VOCI LAICHE ALLA RIBALTA (1) – A. Nocent

  

 

VOCI LAICHE  ALLA RIBALTA  

Con  i FATEBENEFRATELLI

in sanità

cercatori d’infinito

costruttori di storia

 

 

Di Angelo Nocent 

  

A CHE PUNTO SIAMO? 

 

 A forza di temporeggiare, si corre un rischio: di far pervenire la risposta,  quando nel frattempo     è cambiata la domanda.

  “Signore,

  • concedimi la serenità
  • di accettare le cose che non posso cambiare,
  • il coraggio di cambiare quelle che posso,
  • e la saggezza necessaria per capire la differenza” (R.Niebuhr)

  

PREMESSA 

La riflessione sul processo di collaborazione e di integrazione istituzionale fra laici e Ordini o Congregazioni religiose operanti in sanità, negli ultimi anni di fine millennio è andata accentuandosi.

Ciò è accaduto soprattutto grazie al contributo sul laicato proveniente dal Sinodo dei Vescovi, all’ Esortazione Apostolica Christifideles laici di Giovanni Paolo II, nonché alle Linee di Pastorale Sanitaria erogate dalla Consulta Nazionale della CEI, che hanno stimolato nuovi interrogativi e fermenti su entrambi i fronti.

 

Non mancano coloro che hanno già saputo trarre conclusioni operative, messe in cantiere per la sperimentazione. Ma esistono anche quelli che, fiutando la complessità del problema, hanno ritenuto prudente starsene in disparte ad osservare, in attesa che maturi l’uva del vicino.  Una simile calcolata prudenza può ingenerare solo pie illusioni proprio perché ogni Istituto non solo è parte in causa, ma ha una sua storia, una  fisionomia specifica con le quali deve fare i conti. Temporeggiare non conviene a nessuno. Anzi, più il tempo passa, peggio sarà per gli eredi di tale immobilismo. E’ sempre vero l’antico adagio:  “non progredi, regredi”.

 

La mia ricerca è approdata casualmente a questi lidi solo perché stavo tentando una rilettura della spiritualità di San Riccardo Pampuri che, nelle biografie moltiplicatesi per la sua canonizzazione, trovo insoddisfacente e riduttiva. Mentre andavo osservando la sua vita di cristiano nella comunità ecclesiale del suo tempo, ricostruivo i suoi rapporti con l’Azione Cattolica, il Terz’ordine di S. Francesco, il Circolo Universitario “Severino Boezio” che indubbiamente hanno lasciato tracce indelebili nella sua anima, mi son trovato a dover fare i conti con la Christifideles laici di Giovanni Paolo II. Cosi l’indagine su Riccardo, pur a buon punto, si è temporaneamente arenata, anche per la difficoltà di accesso agli archivi storici. In compenso ha preso corpo questa riflessione di urgente attualità, modesto ma sincero contributo al dibattito in corso.

 

Per quanto umile, l’apporto che vorrei dare è motivato da un timore che mi auguro infondato ma che avverto con un sesto senso e che, forse,  non andrebbe sottovalutato: il rischio che i Fatebenefratelli di alcune Provincie imbocchino lentamente, senza accorgersene, il tunnel dell’estinzione.

 

E’ lo Spirito chechiede questo sacrificio? Fiat! A condizione che non si tratti di miopia. In tal caso, sarebbe meglio un intervento correttivo. E’ sotto gl’occhi di tutti: il treno della storia marcia a velocità sostenuta e non fa sconti ai ritardatari che non rispettano gli orari per difetto di antenne. I cinque secoli di storia che i Fatebenefratelli hanno sulle spalle non li esonera dai rischi né li esenta dal tributo che sono chiamati a corrispondere oggi.

 

Al momento, “VOCI LAICHE ALLA RIBALTA“ si presenta come un sondaggio d’opinioni, una raccolta di spunti e riflessioni, d’ intuizioni e proposte. Tutto è da soppesare, discernere, mettere a severo confronto, ponderare,  per non correre il rischio di giungere a precipitose conclusioni,  più emotive che argomentate.

 

In un primo momento il testo doveva ridursi a poche pagine. In seguito, è prevalsa l’esigenza di documentare il più possibile per avvalorare, accreditare ogni ipotesi, ed il discorso è stato allargato anche alle esperienze altrui.

 

Sia per mancanza di tempo, sia per il dubbio costante  che una simile fatica possa davvero interessare a qualcuno, il materiale raccolto fin’ora non è ancora stato riordinato sistematicamente ma può benissimo essere utilizzato anche come si presenta. Infatti, una volta centrato il primo obiettivo che sarebbe quello di stimolare la curiosità di coloro che ne sono interessati, di provocare un’acuta riflessione, di promuovere un sereno e vivace dibattito, il successivo dovrebbe tradursi in una realistica sintesi operativa. Un nuovo testo, quindi, tutto da perfezionare.

 

Dall’inizio, la preoccupazione costante è stata quella di non rimettere in circolazione minestra riscaldata. Perciò ho provato a spingermi oltre il già detto nella letteratura prodotta all’interno dell’Ordine Ospedaliero negli ultimi anni. Non sono del tutto sicuro di esservi riuscito.

 

Solo recentemente ho avuto in mano il Documento del XVII Capitolo Generale -  Roma 1994 – delle Suore Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù, fondate da San Benedetto Menni, titolato “LAICI OSPEDALIERI”. E’ indubbiamente una lodevole fatica, scritta a più mani,  che si presenta ricca di spunti  e che non andrebbe letta tutta d’un fiato per non perdere di vista i suoi capisaldi. Le conclusioni cui sono giunte le Sorelle possono essere più o meno condivise. Ma, vista la consanguineità dei due rami religiosi, le proposte meritano degna attenzione.

 

Della preziosa speculazione delle Sorelle che ho disseminato qua e là, mi sono maggiormente interessate le conclusioni cui era arrivato il Capitolo. Ho tralasciato di riportare i fondamenti teologici che sottendono il loro documento in quanto erano già presenti anche nel mio lavoro. Inoltre, i passi citati, a differenza del testo originale, talvolta sono stati volutamente schematizzati, allo scopo di favorire una maggior concentrazione del lettore su ogni concetto. Quando poi è stato possibie, ogni proposizione risulta anche numerata per facilitare i riferimenti in fase di dibattito.

 

La speranza è una sola: che, fuori da ogni integralismo religioso e assolutizzazione dei valori, nel rispetto delle reciproche autonomie, in mezzo ai rumori e ai fumi, ai pro e ai contro, si riesca a recepire ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

 

Indicazioni propositive non mancano  ma non andrebbero poste subito all’ordine del giorno. Bisognerebbe guardarsi dall’abboccare alle prime suggestioni. Varrebbe  invece la pena di sottoporre a macerazione il proprio spirito nei fondamenti  teologici che sono di rilevante spessore. Bisogna che da entrambe le sponde si senta il bisogno di passare attraverso il travaglio mentale del mettersi in discussione. A tutti è richiesta la fatica di ascoltare, verificare, studiare, approfondire. Non si possono recepire richiami essenziali, promuovere scelte conclusive che non siano motivati, sostenuti da un’intelaiatura di fede teologica, perché fragilità e inconsistenza non tarderebbero a manifestarsi.

 

“VOCI LAICHE ALLA RIBALTA” non dev’essere inteso come un risultato conclusivo preconfezionato.  Va preso invece per quello che è: un sussidio, uno strumento di lavoro da utilizzare come guida al dibattito. D’altra parte, senza avere a disposizione una traccia, una bozza, uno schema, risulterebbe difficile avviare un confronto che dovrà essere il più possibile aperto, coinvolgente, franco e leale.

 

Quelli della mia età ed oltre, appartengono al cosiddetto “secolo breve”, caratterizzato dalla rapidità e radicalità dei mutamenti intervenuti tra la prima guerra mondiale (1914) ed il crollo del muro di Berlino (1989).  Essi non possono non ricordare un piccolo gesto significativo di Papa Giovanni, rivelatore del suo pontificato: egli ha stabilito che nel “Dio sia benedetto!”, recitato dalla Chiesa universale, venisse inserita l’invocazione “Benedetto lo Spirito Santo Paraclito”. Il frutto di tale intuizione di fede s’è visto in breve tempo.

 

I ragionamenti umani, per quanto di buon senso, sono sempre sabbia sulla quale è pericoloso edificare. Per evitare che la nuova costruzione cui si dovrà porre mano venga scoperchiata dalle prime raffiche di vento, è consigliabile affidarsi allo Spirito Santo e credere che Egli si farà profezia, cammin facendo.

Penso che a tale proposito ormai tutti noi abbiamo maturato la stessa convinzione efficacemente espressa dal Card. Carlo Maria Martini nella sua Lettera Pastorale 1997-1998:

  • “Che lo SPIRITO c’è, anche oggi, come al tempo di Gesù e degli Apostoli, 
  • C’è e sta operando,
  • Arriva prima di noi,
  • Lavora più di noi e meglio di noi,
  • A noi non tocca né seminarlo né svegliarlo,

 

Ma anzitutto

 

  • Riconoscerlo
  • Accoglierlo
  • Assecondarlo
  • Fargli strada
  • Andargli dietro
  • C’è e non si è mai perso d’animo rispetto al nostro tempo;
  •  

 Al contrario,

 

  • Sorride
  • Danza
  • Penetra
  • Investe
  • Avvolge
  • Arriva anche là dove mai avremmo immaginato.

 

Lo Spirito sta giocando la sua partita vittoriosa nell’invisibile e nella piccolezza “.

 

Anche in questa fase di ricerca conviene muoversi, laici e consacrati, con una certezza: Lui “che è il Signore e dà la vita, può suscitare il nuovo di Dio anche nel cuore o nell’ambiente più chiuso, appesantito, o sclerotizzato”.

 

Milano, 1 Maggio 2004 – Memoria di San Riccardo Pampuri

Angelo Nocent 

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IO HO DATO LORO LA TUA PAROLA”

 

Il brano del Vangelo di Giovanni, che non viene mai letto nella liturgia per via della sua lunghezza, merita la massima attenzione, perché è solo da qui che tutto prende senso o si snatura,  guarisce l’Istituzione  o degenera  e si dissolve.

 

La preghiera di Gesù   

 

Giovanni – Capitolo 16,32 -17,26

 

“Viene il momento, anzi è già venuto, che sarete dispersi, ciascuno per conto suo, e mi lascerete solo. Ma io non sono solo, perché il Padre è con me.

33 Vi ho detto tutto questo perché troviate in me la pace. Nel mondo avrete dolori; coraggio, però! Io ho vinto il mondo.

 

Gesù e il Padre

 

1 Dopo aver detto queste parole Gesù guardò in alto verso il cielo e disse: «Padre, l’ora è venuta. Manifesta la gloria del Figlio, perché il Figlio manifesti la tua gloria.

2 Tu gli hai dato potere sopra tutti gli uomini, perché tutti quelli che gli hai affidato        ricevano vita eterna.

3 La vita eterna è questo: conoscere te, l’unico vero Dio, e conoscere colui che tu hai mandato, Gesù Cristo.

4 «Io ho manifestato la tua gloria sulla terra, portando a termine l’opera che mi avevi affidato.

5 «Innalzami, ora, accanto a te, dammi la gloria che avevo accanto a te, prima che il mondo esistesse.

 

Gesù e i discepoli

 

6 «Tu mi hai affidato alcuni uomini scelti da questo mondo: erano tuoi, e tu li hai affidati a me. Io ho rivelato chi sei, ed essi hanno messo in pratica la tua parola.

7 Ora sanno che tutto ciò che mi hai dato viene da te.

8 Anche le parole che tu mi hai dato, io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e hanno riconosciuto, senza esitare, che io provengo da te, e hanno creduto che tu mi hai mandato.

9 «Io prego per loro. Non prego per il mondo, ma per quelli che mi hai affidato, perché ti appartengono.

10 Tutto ciò che è mio appartiene a te, e ciò che è tuo appartiene a me, e la mia gloria si manifesta in loro.

11 Io non sono più nel mondo, loro invece sì. Io ritorno a te. Padre santo, conserva uniti a te quelli che mi hai affidati, perché siano una cosa sola come noi.

12 «Quando ero con loro, io li proteggevo. Per questo tu me li hai dati. Io li ho protetti, e nessuno di loro si è perduto, tranne quello che doveva perdersi, realizzando ciò che la Bibbia aveva predetto.

13 Ma ora io ritorno verso di te, e dico queste cose mentre sono ancora sulla terra, perché essi abbiano tutta la mia gioia.

14 «Io ho dato loro la tua parola. Perciò essi non appartengono più al mondo, come io non appartengo al mondo. E il mondo li odia.

15 Io non ti prego di toglierli dal mondo, ma di proteggerli dal Maligno.

16 Essi non appartengono al mondo, come io non appartengo al mondo.

17 Fa’ che appartengano a te mediante la verità: la tua parola è verità.

18 Tu mi hai mandato nel mondo: così anch’io li ho mandati nel mondo.

19 E io offro me stesso in sacrificio per loro, perché anch’essi siano veramente consacrati a te.

Gesù e i futuri credenti

20 «Io non prego soltanto per questi miei discepoli, ma prego anche per altri, per quelli che crederanno in me dopo aver ascoltato la loro parola.

21 Fa’ che siano tutti una cosa sola: come tu, Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi. Così il mondo crederà che tu mi hai mandato.

22 «Io ho dato ad essi la stessa gloria che tu avevi dato a me, perché anch’essi siano una cosa sola come noi:

23 io unito a loro e tu unito a me. Così potranno essere perfetti nell’unità, e il mondo potrà capire che tu mi hai mandato, e che li hai amati come hai amato me.

24 Padre, voglio che dove sono io siano anche quelli che tu mi hai dato, perché vedano la gloria che tu mi hai dato: infatti tu mi hai amato ancora prima della creazione del mondo.

25 «Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto ed essi sanno che tu mi hai mandato.

26 Io ti ho fatto conoscere a loro e ti farò conoscere ancora; così l’amore che hai per me sarà in loro, e anch’io sarò in loro».

Vorrei sottolineare che la preoccupazione di  Gesù  è per coloro che ha custodito, ma che da ora in poi non potrà più proteggere e che il mondo perseguiterà, perché non gli appartengono più: “Quando ero con loro, io li proteggevo. Per questo tu me li hai dati. Io li ho protetti, e nessuno di loro si è perduto…”.

Gesù pensa a tutti, di tutti si preoccupa, persino di quelli che non sono ancora nati. Nel filmato che passa nella sua mente ci siamo anche noi: «Io non prego soltanto per questi miei discepoli, ma prego anche per altri, per quelli che crederanno in me dopo aver ascoltato la loro parola.

21 Fa’ che siano tutti una cosa sola: come tu, Padre, sei in me e io sono in te, anch’essi siano in noi. Così il mondo crederà che tu mi hai mandato”.

 Qui è anticipato quello che sarà il destino dei Figli di Dio: una sola cosa nel Padre e nel Figlio. Per condividere la Divinità del Padre Creatore e del Figlio Redentore, ci viene chiesto di passare attraverso i tortuosi sentieri di un’umanità sofferente. Ed è proprio del “come condividere” che  siamo qui a parlare.

 

Abbiamo lo Spirito Santo per guida.  Ma ci è stata designata a farci da Madre anche la nostra sorella Maria, sensibilissimo cuore di donna aperto alle confidenze, suggeritrice dei percorsi che conducono a quel Giorno Beato. E’ per questo che, solo al muovere i primi passi,  la nostra voce si fa già invocazione. 

 

CONTRO OGNI EQUIVOCO

 

Dalle origini i Fratelli Ospedalieri di San Giovanni di Dio sono “Chiesa sanante”, compagna di sofferenti e sventurati di ogni latitudine. Nell’ora del risveglio ecclesiale,  l’invito a porre l’attenzione ai dolori e alle sofferenze del pianeta, è rivolto a tutti i cristiani, senza distinzioni e classificazioni gerarchiche, semplicemente perché lo esige il Vangelo.

 

La Conferenza Episcopale Italiana in “COMUNICARE IL VANGELO IN UN MONDO CHE CAMBIA”, Orientamenti pastorali per il primo decennio 2000, 29 giugno 2001, al n.45, cosi si rivolge all’intera Chiesa Italiana:

 

“Negli ultimi decenni e anche recentemente non sono mancati , nella vita della Chiesa, cristiani – vorremmo di “profeti” – dallo sguardo penetrante, i quali hanno intuito e intravisto la necessità di esperienze di vita, personali e comunitarie, fortemente ancorate al vangelo per dare un avvenire alla trasmissione della fede in un mondo in forte cambiamento. Abbiamo bisogno di

 

  • cristiani con una fede adulta,
  • costantemente impegnati nella conversione,
  • infiammati dalla chiamata alla santità,
  • capaci di testimoniare con assoluta dedizione,
  • con piena adesione,
  • con grande umiltà e mitezza
  • il VANGELO “.

 

Ma ciò è possibile soltanto se nella Chiesa rimarrà assolutamente centrale la docile accoglienza dello Spirito, da cui deriva la forza capace di plasmare i cuori e di far sì che le comunità divengano segni eloquenti a motivo della loro vita “diversa”. Ciò non significa credersi migliori, né comporta l’esigenza di separarsi dagli altri uomini, ma vuol dire prendere sul serio il Vangelo, lasciando che sia esso a portarci dove forse non sapremmo neppure immaginare e a costituirci testimoni.”

 

Da questo “affresco” è immediata la percezione che si è convocati per un viaggio verso le terre sconosciute del nuovo millennio, in situazioni nuove, con mezzi e strumenti inediti, ma con la bussola di sempre: “Duc in altum” (Lc 5,4).

 

Solo che oggi il campo della missione si è così dilatato che include perfino le terre da cui una volta i missionari partivano. Ed è principalmente di queste zone che qui ci si vuol occupare, giacché, la fede ha cessato di avvolgere la vita “dalla culla alla tomba” anche nelle nostre contrade.

 

Nell’evoluto  mondo “post-cristiano” che  sociologi e filosofi chiamano”post-moderno”, termine che, di per sé, dice solo che qualcosa è finito, tutti ci troviamo a navigare “a vista”. E’ successo che, dopo circa quattro secoli di alterne vicende tra “Fides et Ratio”, l’orizzonte spirituale dell’uomo occidentale è entrato in una nuova stagione, quella del “pensiero debole”, “intendendo con esso una conoscenza che non pretende  più di risalire al fondamento ultimo delle cose, né di stabilire la verità assoluta, ma che si limita alla ricognizione del mondo dei fenomeni, accettandone la verosimiglianza come l’orizzonte più adeguato alle effettive possibilità conoscitive degli uomini”. (G. Savagnone).

 

 A chi è stato dato di vivere questa fine, è chiesto anche di profetizzare, nello Spirito, la nascita del “nuovo” che urge e dovrà emergere da quelle rovine.

 

Sembra che i nemici da temere siano principalmente due o tre:

 

  • l’abitudine e la noia che ottundono le menti e chiudono i cuori;
  • la presunzione di conoscere già ciò che si vuole comunicare,
  • l’illusione che si possa vivere di rendita solo perché in passato sono state scritte pagine gloriose sulla carità e sull’ospitalità

 

Essere “cercatori d’infinito” e “costruttori di storia” significa “fare cultura”. In “Evangelizzazione e ateismo” del 10. Ott.1980 il Papa dice: “…rendere di nuovo cultura la fede nei diversi spazi culturali del nostro tempo”.

 

Ciò vuol dire che “la grazia non sostituisce la cultura, ma la purifica dalle scorie che le impediscono di rispecchiare adeguatamente l’identità dell’uomo, ne libera le più profonde risorse, valorizzando e potenziando tutto ciò che di vero, di bello e di bene essa contiene, la apre a prospettive illuminate, che non solo  non ne mortificano lo slancio, ma lo esaltano e lo intensificano” (G.Savagnone”)

 

Giovanni Paolo II, timoniere della nave, e l’episcopato italiano con lui, dicono che

 

  • Occorre “prendere il largo”, verso il mare aperto della missione della Chiesa,
  • in termini religiosi e insieme culturali,
  • sempre di schietta umanità,
  • dentro le nostre comunità e paesi
  • e di fronte alle grandi questioni che interpellano la coscienza delle persone e travagliano le sorti dei popoli .

 

Occorre “andare in profondità”, per un lavoro che scavi dentro e plasmi personalità cristiane

 

  • autentiche,
  • con una fede adulta,
  • con una fede “pensata“,
  • con una fede capace di tenere insieme i vari aspetti della vita facendo unità di tutto in Cristo” (CEI, ivi, n.5°)

 

Da tali premesse, qui solo accennate e presupposte,  si arriva  alla

 

SINTESI:

 

“Siate soprattutto uomini.

 Fino in fondo.

 Anzi, fino in cima.

 Perché essere uomini fino in cima

 Significa essere santi.”

                                               + Don Tonino, Vescovo

 

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