O2 – IL “CONVENTO-OSPEDALE” UN FARO SULLA CITTA’ – A. Nocent

C’ERA UNA VOLTA IL CONVENTO-OSPEDALE


Appunti di bordo di Angelo Nocent

n. 02Il “Convento-Ospedale” un faro sulla città


Sul carisma dell’Ospitalità sono sati versati negl’ultimi cinquant’anni fiumi d’inchiostro, come non mai nei cinque secoli di storia dell’Ordine. Potrebbe essere il lampeggiatore che segnala l’esaurimento del carburante, la spia rossa che mette in forse le salde certezze di un tempo. A diverso titolo, assistiamo ad una subdola crisi persistente che sgretola silenziosamente l’Istituzione come i tarli le gambe di un tavolo. Ci sono forti indizi – ad esempio la latitanza – per presagire che alcune realtà stiano per implodere. Che significa un cedimento verso l’interno, un afflosciarsi sulle proprie gambe, come fossero state minate le fondamenta. Questa potrebbe anche essere la spiegazione dell’atteggiamento di certa subdola politica che se ne sta in riva al fiume riservata e guardinga, in attesa che passi il cadavere, pronta ad intervenire al momento giusto. E non sarebbe la prima volta…
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No alle conclusioni predefinite

Epperò noto con rammarico che non c’è la tendenza ad analizzare i fallimenti e gli sbandamenti. Incolpando or l’uno or l’altro, s’imbocca la strada più facile che esenta dalla fatica dell’approfondire per capire. Davanti ad un mobile antico, ad un affresco intaccato, si procede al restauro. Quando si parla di un Ordine Religioso si deve parlare – come si sta facendo – di ri-fondazione. Se quella del restauratore è come la mano del chirurgo che rischia, “o la va o la spacca”, quella della rifondazione è arte delicata che si apprendere dalla Chiesa delle origini che crede alle promesse del Signore: «Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). E questa promessa, all’inizio incredibile, gli Apostoli l’hanno vista realizzarsi: «Di questi fatti siamo testimoni noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui» (At 5,32).
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Nello specifico, si tratta di reinterpretare il carisma tramandato, in funzione di nuovi bisogni della Chiesa, della Società e di una mutata situazione culturale. La rilettura compete al Capitolo Generale. Ma sempre in sottomissione a Lui. Leggo che sono in corso sforzi di preparazione all’assise. Mi auguro che siano commisurati all’importanza che assume nella Chiesa. Perché di Chiesa stiamo parlando e non di sociologia, né di scienza delle finanze o di mercato globale. E tutti dovremmo sapere che un carisma non è dato ma affidato. Non appartiene alla persona o al gruppo che lo riceve ma alla Chiesa, cioè al Popolo di Dio tutto intero che ne ha diritto e dovere di vigilanza attraverso la gerarchia ecclesiastica. Perciò, se non è affare privato, vuol dire che in Messico si va essenzialmente a parlare della nuova evangelizzazione in un contesto mondiale diventato altro.
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Una qualche perplessità su quanto sta avvenendo mi viene dalla constatazione del tanto che è già stato detto, ridetto e scritto in questi anni, magari non sempre centrando le cause che hanno originato la crisi. Si tratta di una catena di propositi senza seguito, di auspici rimasti tali, di ipotesi traballanti. La constatazione più amara è vedere che i religiosi ormai sono stati praticamente allontanati dal letto dei malati, per fare di mestiere non si sa bene che cosa. Se la riforma della scuola non si può fare semplicemente cambiando i banchi, figuriamoci se la ri-fondazione di un Ordine può avvenire introducendo gli amministratori delegati!
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Ma si può fare medicina senza i medici?

Non so quanti si sono soffermati sulla Circolare. La prima impressione a caldo per me è stata di disorientamento. Per come la vedo io, si tratta di un documento con alti e bassi e qualche contraddizione. Qui non c’è lo spazio per documentare né per un’analisi dettagliata ma, di sicuro si può dire che richiederebbe precisazioni, integrazioni e magari anche ripensamenti di natura teologica. Ma scendiamo di un gradino. Lì per lì mi sono posto una domanda che può sembrare retorica: si può oggi pensare di rifondare un Ordine Ospedaliero senza fare i conti con i medici che io non vedo così coinvolti? Ed una conseguente: a quanti degli altri operatori sanitari può interessare la svolta che si vorrebbe storica? Non mi risulta che dalle nostre parti sia stata condotta un’analisi conoscitiva. In epoca di maxi sondaggi, questa andrebbe commissionata al più presto, se si vuole restare con i piedi per terra e non perdersi fantasticamente negli spazi siderali.
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Nelle sedi in cui verrà aperto il dibattito, bisognerebbe evitare due insidie: quella di analizzare la Circolare per evidenziarne semplicemente i limiti e sottolineare le lacune, e l’opposta, avvilente, di lasciar correre tutto, come si trattasse delle solite chiacchiere inconcludenti di chi non ha altro da fare. Invece è doveroso discernere, ossia prendere coscienza di ciò che lo Spirito suggerisce attraverso la Parola instancabilmente interpellata. Il testo base deve fungere da tracciato per la riflessione e il dibattito. Ma il documento Capitolare finale dovrà risultare necessariamente irriconoscibile rispetto al testo iniziale. E’ successo per tutti gli schemi proposti dalle Segreterie ai Padri Conciliari per il dibattito e il voto in aula; dovrà succedere anche qui, a costo di rimandare di un anno la sessione di chiusura del Capitolo. E’ l’auspicio che proprio ieri, dopo un funerale, ho formulato al Direttore della Rivista, che è uno dei Vocali al CGS.
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Le imposizione calate dall’alto, pur se elaborate da canonisti ed esperti, sono come i cibi precotti: hanno per natura durata limitata e, quando scadono, intossicano. Solo da un paziente dialogo, che è tollerante ascolto dell’altro, può passare l’illuminazione dello Spirito di Gesù, il Maestro Interiore di ciascuno. La purificazione della memoria, cui fa riferimento la Circolare, non può avvenire che gradualmente. E non va dimenticato che le conclusioni predefinite assomigliano ai progetti sulla fame nel mondo di cui è popolato l’universo: la fame non scompare, gli affamati sono in aumento.
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S’è già detto che l’annuncio che ne ha fatto il Priore Generale, coinvolge – almeno nelle sue intenzioni – religiosi e laici. Anzi, per i secondi, i famosi 40.000 dipendenti sparsi nel mondo, più benefattori, ecc…, quasi non bastassero quelle ordinarie, l’Ordine sembrerebbe intenzionato ad aprire autostrade pur di facilitarne l’adesione. Ma Dio solo sa in quale misura c’è disponibilità ad aggregarsi a livello di base, sia da parte dei consacrati che dei Christifideles laici. Meglio non illudersi. Mentre la Circolare va subito all’osso nell’intento di portarsi a casa un risultato storico, mi parrebbe prudenziale che si provasse a rispondere preventivamente ai tanti interrogativi sorti in questi anni dai documenti ufficiali ed anche da queste colonne, a cominciare da uno: Chiesa, dove stai andando? Naturalmente intendo noi Chiesa particolare, dove, come nelle promesse battesimali e nel Credo, non si può dare una risposta collettiva (crediamo, rinunciamo) ma solo personalissima: credo, rinuncio…
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Un faro sulla città

Nel linguaggio della tradizione FBF c’era il Convento-Ospedale di… Cambiano i tempi, le mode s’impongono, il linguaggio si adeguano: Centri FBF, IRCSS, Fondazioni… Ma quella denominazione che la tradizione ha conservato fino ai giorni nostri, trovo che sia insuperabile ed averla abbandonata o volerla dimenticare è solo un impoverimento, anche se imposto dalle circostanze. Non dico no alle nuove terminologie ma andrebbero usate negli atti ufficiali e solo quando occorre. Perché il Convento-Ospedale richiama il concetto che lì, in quella struttura sanitaria c’è un “angolo monastico”. Come a dire che lì il primato è dichiaratamente di Dio e che vi si respira la divina umanità di Cristo.
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Già nel nome si percepisce l’idea che, proprio nella fase critica di una malattia, volendo, c’è la possibilità per ognuno di avvertire una Presenza, di imbattersi in una Persona, che succeda un Avvenimento sconvolgente. In questo modo il Convento-Ospedale sarebbe anche un faro che orienta e richiama la Comunità territoriale all’esperienza bruciante della Presenza di Dio; un luogo dove il Santo dei Santi fa dell’Ospedale un Tempio, la dimora di Dio fra gli uomini, il Misericordioso e Compassionevole che gli operatori sanitari cristiani fanno percepire ogni volta che accostano i letti dell’infermità.
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Da noi, in ogni struttura ospedaliera pubblica o privata, di solito c’è una chiesa, una cappella. Ma il Convento-Ospedale suscita l’idea di una comunità che non è solo di professionisti della salute ma anche di oranti, che partecipa al dolore della città sofferente, che si fa carico dei destini degli uomini. Ed è proprio qui, in quest’angolo monastico che dovrebbe convergere anche la Chiesa locale, di cui la comunità religiosa è parte integrante ed espressione della sua diaconia e del ministero sanante.
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Giovanni Marcandalli, il parroco e confidente del nostro compianto Dott. Pierluigi Micheli di cui ho più volte riferito, in Sogni e follie di un parroco, prefazione del Card. Tettamanzi, racconta di aver avviato nella centralissima Chiesa di San Marco in Milano, vicino alla Scala, nei pressi dell’antico ospedale Fatebenefratelli, un’iniziativa da moltiplicare: “Ogni settimana, in un giorno stabilito, nello spazio “monastico” del nostro coro secentesco, io mi raccoglierò, con chi vorrà partecipare, per questo momento contemplativo:
  • - per “godere di Dio”,
  • - perseguire il sentimento della Sua presenza,
  • - deliziarsi della bellezza del Suo volto,
  • - lasciarsi rigenerare dalla sua parola nella lectio divina,
  • - non per “sapere” di più, ma per “ardere” di più, cogliere qualche bagliore della Sua gloria, qualche scintilla del Suo mistero “tremendo e affascinante”.(Ed. Àncora).
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Lo spazio monastico”.

Io credo che anche questo sarebbe un modo di concepire la medicina che porterebbe a fare la differenza: curare con gli strumenti della scienza e della tecnica ma anche con un supporto di fede palese, manifesta, espressa e non scontata e vissuta come fatto privato da vivere dietro le quinte. La città lo dovrebbe sapere. Come dovrebbe sapere che il tal giorno, alla tal ora, nell’angolo monastico, il Crocifisso-Risorto si fa trovare in mezzo ai suoi perché ognuno, alla stregua di Maria Maddalena, possa farsi annunciatore della vita nuova: “Ho visto il Signore” ( Gv 20,18).
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Ogni mercoledì, nella cappella dell’Istituto dei Tumori di Milano dove lavoro, il SS. Sacramento resta esposto all’adorazione per tutta la giornata. Ed ogni lunedì la messa è animata da quelli del Rinnovamento nello Spirito, dopo la quale vengono effettuate le “preghiere di guarigione”, secondo le indicazioni della Sacra Congregazione.
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Alla Messa quotidiana sono ricordati coloro che subiranno l’intervento chirurgico il giorno successivo. Se ciò può avvenire in un Ospedale pubblico, allora ben torni a risuonare il binomio “Convento-Ospedale” avvertito come una qualificazione più che sinonimo di superato e di stantio. Basterebbe la sola presenza di un religioso, posto come segno escatologico, per costituire nel territorio un’assemblea di oranti, un far percepire alla città che il luogo di cura è una delle strutture del ministero sanante di Cristo che più sta a cuore al Vescovo, memore del Signore Gesù che “passava di città in città e guariva tutti” (Lc 6,19).
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A guardar con la lente d’ingrandimento, buona parte della pastorale ospedaliera, nella maggior parte dei casi si riduce a ben poco. I ricoveri sono sempre più brevi per via dei costi, i sacerdoti, assegnati con il contagocce, le suore, mosche bianche. Le visite del sacerdote ai degenti, fugaci, tanto per ricordare che la Chiesa esiste e con essa i Sacramenti della Salvezza. Tutte le buone intenzioni e le suggestive proposte che si leggono, provengono da gratificanti convegni e servono più per sfornare libri e articoli che altro.
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Se le cose stanno davvero così, il Convento-Ospedale potrebbe fungere da scuola e palestra, dove ci si prepara, da sani, ad affrontare l’inevitabile periodo della malattia e dove si riceve attenzione per le “emozioni ferite” di cui siamo un po’ tutti portatori. Un modo per fare prevenzione, inculcando, attraverso percorsi educativi, nozioni di igiene mentale ed arginare in questo modo i disastri di una patologica diffusa vita disordinata e del diffondersi dei disturbi della personalità che possono anche degenerare. Un luogo di ascolto e di orientamento.
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Ma attenzione. La tentazione ricorrente nella vita consacrata postconciliare è quella di chiederci che cosa dobbiamo fare e di mettere insieme una lista di impegni, di propositi o elencare dei campi in cui metterci ad operare, dimenticando che la domanda vera cui tentare una risposta è un’altra: a quali condizioni c’è per la vita consacrata un futuro carico d’eternità. “…voi avete il compito di invitare nuovamente gli uomini e le donne del nostro tempo a guardare in alto, a non farsi travolgere dalle cose di ogni giorno, ma a lasciarsi affascinare da Dio e dal Vangelo del suo Figlio. Non dimenticate che voi, in modo particolarissimo, potete e dovete dire non solo che siete di Cristo, ma che «siete divenuti Cristo»!
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A queste sollecitazioni della Chiesa, segue un incoraggiamento da raccogliere: “Voi non avete solo una gloriosa storia da ricordare e da raccontare, ma una grande storia da costruire! Guardate al futuro, nel quale lo Spirito vi proietta per fare con voi ancora cose grandi.” (Vita consecrata.110)
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Ma c’è di più e ce lo suggerisce il Padre Raniero Cantalamessa, predicatore pontificio: “Diciamocelo pure: la preghiera comune delle comunità tradizionali rischia di ridursi facilmente a quello che Isaia definiva “un imparaticcio di usi umani”, un “onorare Dio con le labbra mentre il cuore è lontano da lui” (cf. Is 29, 13-14). Non dobbiamo certo disprezzare la preghiera liturgica, ma è necessario sostenerla e mantenerla viva con altri tipi di preghiera, da sola non basta.
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Noi conosciamo due soli generi di preghiera: la preghiera liturgica e la preghiera personale. La preghiera liturgica è comunitaria, ma non spontanea; la preghiera personale è spontanea, ma non comunitaria. Ci occorre una preghiera che sia al tempo stesso comunitaria e spontanea e questo è ciò che chiamiamo preghiera carismatica, non chissà quali strane forme di preghiera. Essa permetterebbe, in certe circostanze o all’interno della stessa preghiera liturgica quando è consentito, dei momenti di autentica condivisione spirituale tra fratelli.
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Diversamente c’è il pericolo che nelle nostre comunità condividiamo tutto, eccetto che la nostra fede e la nostra esperienza di Gesù. Si parla di tutto eccetto che di Lui. Lo Spirito Santo ha riportato in vita questo tipo di preghiera carismatica, essa è la forza di quasi tutte le nuove comunità e i movimenti ecclesiali del dopo Concilio. Possiamo aprirci a questa grazia senza tradire minimamente la nostra identità, anzi manifestandola”.
E allora, buona preghiera carismatica a tutti. Nello “spazio monastico” che non deve scomparire.

Angelo Nocent
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REVISIONE PER LA RIVISTA “FATEBENEFRATELLI”:

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