INCONTRO CON PAPA FRANCESCO ALL’UNIVERSITA’ SOPHIA DI TOKYO Pubblicato il 28 novembre 2019 da angelonocent

INCONTRO CON PAPA FRANCESCO ALL’UNIVERSITA’ SOPHIA DI TOKYO
Pubblicato il 28 novembre 2019 da angelonocent

Incontro all’Università Sophia di Tokyo con padre Juan Haidar, gesuita argentino di Santa Fé, allievo di Bergoglio dal 1985 al 1991 nella casa di formazione di Buenos Aires. Quando Bergoglio fu eletto Papa, padre Haidar segue l’evento in tv dal Giappone. “Ho provato una grandissima gioia”, ricorda. “Ma anche paura. Ho pensato subito che le persone avrebbero fatto fatica a capirlo, lo avrebbero criticato. Perché per capire Bergoglio bisogna avere occhi buoni”.

“A volte noi non crediamo nei giovani. Li vediamo sempre attaccati allo smartphone, distratti, poco interessati, quasi indifferenti. Bergoglio invece crede nelle persone. È convinto che Dio lavora in ogni cuore. Non è mai pessimista di fronte alla realtà. Mai”. È questa capacità di vedere il sole sempre, anche nella oscurità della notte, l’insegnamento più importante che padre Juan Haidar ha ricevuto da Papa Francesco.

Il gesuita, argentino di Santa Fé, insegna oggi filosofia all’Università Sophia di Tokyo. Lo incontriamo lì, indaffarato con poster e fogli in mano, tra i corridoi dell’ateneo dove tra pochi giorni arriverà il Santo Padre. Padre Haidar aveva solo 20 anni quando Bergoglio era Superiore della casa di formazione dei gesuiti a Buenos Aires. L’ha conosciuto così, negli anni che vanno dal 1985 al 1991, in un periodo in cui Bergoglio aveva già vissuto le atrocità del regime militare in Argentina e il vento di rinnovamento portato dal Concilio Vaticano II nella Chiesa. I giovani appena entrati nella casa di formazione, lo guardavano con interesse forse proprio per questo.

Per padre Haidar, Bergoglio era il “modello di gesuita”.“Se mi chiedi perché sono diventato gesuita, è anche perché ho visto in lui una scelta di vita che mi attraeva. Era una vita piena, che non scartava nulla, fatta di preghiera, di studio, di cura delle persone. E a me questa vita piaceva”.

Padre Haidar capisce subito che con Bergoglio poteva parlare di tutto. Aveva solo 20 anni ed aveva un bisogno immenso di confrontarsi con qualcuno anche sulle cose più private, sui fatti di tutti i giorni. Era come “un padre” per lui. Il ricordo si sposta subito sull’attenzione che Bergoglio aveva per i poveri. Era convinto che “erano le persone più vicine a Dio”. Ai giovani gesuiti, diceva di studiare con gli insegnanti dal lunedì al venerdì. Ma poi il sabato e la domenica dovevamo andare nei barrios e mettersi alla scuola dei poveri. Prendeva sul serio le parole del Vangelo: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli”.

“Io però non provenivo da una famiglia povera e queste parole per me erano difficili da capire”, racconta padre Haider. “Mi chiedevo: ma cosa possono insegnarmi queste persone. È gente ubriaca, persa, ignorante. Ne parlavo spesso con Bergoglio. E lui mi diceva che se non partivo da queste persone, non potevo diventare un uomo di Dio.

Mi parlava anche della saggezza dei poveri: conoscono Dio molto meglio di te e di tanti teologi”.

Padre Haidar intravede in Bergoglio anche un modello di pedagogia che lo segnerà in futuro. “Quando gli parlavo, lui era veramente interessato a quello che gli stavo confidando. Non rispondeva con frasi fatte o concetti generali. Mai iniziava la frase dicendo, “come Karl Reiner scriveva…”. No, aveva una parola sempre originale, personale, adatta a te. L’unica cosa a cui teneva, era che noi crescessimo. Voleva che diventassimo persone migliori di quelle che eravamo. Era un continuo stimolo per noi studenti. Quello che ricordo è che con lui stavi bene, perché ti rispettava, ti illuminava”.

Poi la vita va avanti. Padre Haidar viene mandato in Giappone e Bergoglio diventa vescovo.“Quando è diventato vescovo ha continuato a vivere una vita povera perché non aveva bisogno niente. Aveva Dio, aveva le persone, aveva i poveri”.

Succede l’incredibile: il 13 marzo 2013, Bergoglio si affaccia dalla loggia centrale della Basilica Vaticana. Era diventato Papa. Padre Haidar segue l’evento in tv dal Giappone. “Ho provato una grandissima gioia ma anche paura”, ricorda. “Ho pensato subito che le persone avrebbero fatto fatica a capirlo, lo avrebbero criticato. Perché per capire Bergoglio bisogna avere degli occhi buoni”.

Anche quando era vescovo, padre Haider andava a cercare che cosa dicevano di lui sui giornali. “Bergoglio non è mai stato un politico. Però vuole cambiare la società. Lo fa in modo diverso, in modo evangelico, come Gesù. Ma per capirlo, bisogna avere occhi buoni”.

Quella di padre Haidar è quasi una premonizione. Papa Francesco in questi 6 anni di pontificato è stato spesso oggetto di critiche, talvolta di veri e propri attacchi. “Quando l’ho visto affacciarsi per la prima volta in piazza San Pietro, sembrava emozionato”, confida il gesuita. “Con il tempo è diventato se stesso, completamente libero, con una grande forza. Sono convinto di due cose. La prima è che i cardinali che oggi lo criticano, lo hanno scelto. L’altra è che anche Gesù è stato criticato. Per questo il Papa dice che le critiche non lo colpiscono. A noi ha insegnato a non avere mai paura di parlare con tutti, anche e soprattutto con chi ti critica. Ciò non vuol dire non avere un pensiero forte. Significa essere aperti a tutti”.

Padre Haidar è costantemente in contatto con Papa Francesco. Gli basta scrivere una mail che lui gli risponde subito. Spesso il Papa gli chiede come stanno le persone di comune conoscenza. Non perde mai il ricordo di nessuno. Lo è andato a trovare a Roma, nella casa di Santa Marta. Hanno celebrato insieme la messa e dopo la colazione, il Papa gli ha chiesto: “hai tempo per parlare un po’?”.

“Gli ho risposto che sì, certo che avevo tempo. Così siamo andati nella sua stanza e abbiamo parlato tantissimo. Ricordo che era un mercoledì, c’era udienza ed ero preoccupato che il Papa facesse tardi”. Quello che oggi a padre Haidar manca di più di Bergoglio è proprio quella libertà di parlargli sempre. In Argentina, stavano spesso insieme. Facevano lunghe passeggiate.

“Non so com’è oggi la sua vita. So che il Papa ha bisogno di stare con le persone, di parlare con loro, di interessarsi dei loro problemi, anche delle storie più semplici”.

Ora riceverlo a Sophia è “una grande emozione”.

Ci ha chiesto di non fare nulla, nessun discorso, nessuna canzone. Solo stare insieme e celebrare la messa. Anche per l’incontro con i giovani, ci ha detto che viene soprattutto per ascoltare gli studenti”. Alla fine dell’intervista, padre Haidar registra un video messaggio che tramite il Sir invia a Papa Francesco:

Caro Jorge, ti stiamo aspettando qui in Giappone con tanta gioia. Stiamo lavorando molto per preparare questa visita, ma siamo tutti molto contenti. Preparati bene, perché molte persone ti sta aspettando, soprattutto i giovani, tanto che non sappiamo dove metterli. Mi chiedono perché c’è soprattutto da parte dei giovani così tanta attesa. Io credo perché vedono in te un segno di speranza, un leader apprezzato nel mondo, una persona che predica il Vangelo ed è un discepolo di Gesù. Ti aspettiamo!”.

Qualcosa di più oltre l’ordine e l’efficienza
Francesco, nel suo discorso, ricorda che in Giappone, dove tanti martiri hanno dato “testimonianza della loro fede”, la presenza dei cristiani si sente nonostante siano una minoranza. In questo Paese, aggiunge il Papa, si percepisce “nonostante l’efficienza e l’ordine” caratteristici della società giapponese, che “si desidera e si cerca qualcosa di più”: “un desiderio profondo di creare una società sempre più umana, compassionevole e misericordiosa”. È necessario, sottolinea il Pontefice, che i centri di studio “mantengano la loro autonomia e libertà”. “In una società così competitiva e tecnologicamente orientata, questa Università – spiega il Santo Padre – dovrebbe essere non solo un centro di formazione intellettuale, ma anche un luogo in cui una società migliore e un futuro più ricco di speranza possono prendere forma”.

Scegliere il meglio

Altri temi toccati da Francesco sono la tutela della casa comune e l’identità internazionale dell’Università. Nello spirito dell’Enciclica Laudato Si’, osserva il Papa, l’amore per la natura “così tipico delle culture asiatiche”, qui dovrebbe “esprimersi in una preoccupazione intelligente e anticipatrice per la protezione della terra”. Francesco ricorda poi che l’Università Sophia, fin dalla sua fondazione, è stata arricchita “dalla presenza di professori provenienti da diversi Paesi”, a volte anche da Stati “in conflitto tra loro”. “Tutti – sottolinea – erano uniti dal desiderio di dare il meglio ai giovani del Giappone”.

Nessuno studente di questa università dovrebbe laurearsi senza aver imparato come scegliere, responsabilmente e liberamente, ciò che in coscienza sa essere il meglio. Possiate, in ogni situazione, anche in quelle più complesse, interessarvi a ciò che nella vostra condotta è giusto e umano, onesto e responsabile, come decisi difensori dei vulnerabili, e possiate esser conosciuti per quell’integrità che è tanto necessaria in questi momenti, nei quali le parole e le azioni sono spesso false o fuorvianti.

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Sono le nuove generazioni il futuro della Chiesa e del mondo. “La Chiesa universale – spiega il Papa – guarda con speranza e interesse ai giovani di tutto il mondo”:

La vostra Università nel suo insieme è chiamata a concentrarsi sui giovani, che non solo devono essere destinatari di un’educazione qualificata, ma anche partecipare a tale educazione, offrendo le loro idee e condividendo la loro visione e le speranze per il futuro. Possa la vostra Università essere conosciuta per questo modello di confronto e per l’arricchimento e la vitalità che esso produce.

Camminare con i poveri
In un tempo e in una società, profondamente lacerati dagli effetti della cultura dello scarto, Francesco esorta inoltre a “camminare con i poveri e gli emarginati del nostro mondo”. L’Università, sottolinea il Papa, dovrà essere “sempre aperta a creare un arcipelago in grado di mettere in relazione ciò che socialmente e culturalmente può essere concepito come separato”:

Gli emarginati saranno coinvolti e inseriti in modo creativo nel curriculum universitario, cercando di creare le condizioni perché ciò si traduca nella promozione di uno stile educativo capace di ridurre le fratture e le distanze. Lo studio universitario di qualità, piuttosto che essere considerato un privilegio di pochi, va accompagnato dalla consapevolezza di essere servitori della giustizia e del bene comune; servizio da attuare nell’area che ognuno è chiamato a sviluppare. Una causa che ci riguarda tutti; il consiglio di Pietro a Paolo è valido ancor oggi: non dimentichiamoci dei poveri.

Il Santo Padre esorta inoltre i giovani, i professori e tutto il personale dell’Università a “cercare, trovare e diffondere la Sapienza divina” e ad “offrire gioia e speranza alla società di oggi”. Le parole del discorso del Papa sono anche piene di gratitudine a “tutto il popolo giapponese” per l’accoglienza ricevuta durante la visita in Giappone. Poco dopo, con il trasferimento all’aeroporto e la partenza da Tokyo, si conclude il 32.mo viaggio apostolico di Francesco.

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