Presentazione 14a Giornata Mondiale del Malato 2006

   

Ufficio Nazionale per la pastorale della sanità

Presentazione 14a Giornata Mondiale del Malato 2006

 

 

 

Presentazione del Sussidio

 

 

nelle comunità parrocchiali, nelle strutture sanitarie, nei gruppi di operatori sanitari e pastorali, nelle associazioni dei malati e per i malati.

Con l’augurio che la preparazione e la celebrazione di questa 14a Giornata Mondiale del Malato ci aiuti tutti a crescere nell’impegno di seminare e di testimoniare quei valori ispirati dalla giustizia, dalla solidarietà e dall’amore, c

Il tema “Alla scuola del malato”, scelto per la preparazione e la celebrazione della 14a Giornata Mondiale del Malato, per essere meglio compreso e valorizzato, deve essere collocato all’interno di una visione e attuazione globale della nostra azione pastorale nel mondo della salute, in continuità e collegamento con le altre riflessioni da noi sviluppate in questi anni, in riferimento alle finalità che la stessa celebrazione della GMM si propone.

 

Questa collocazione più ampia e più attenta permetterà di non pensare o interpretare il tema in modo isolato o semplicemente come indicazioni, per quanto importanti, per promuovere una spiritualità del malato. Anzi, proprio a partire da questo ascolto e da un nostro metterci “alla scuola del malato”, tutti come comunità cristiana e come società e istituzioni civili, possiamo essere provocati a ripensare e a migliorare oggi la cura della salute e a riscoprire che la salute non è innanzitutto o esclusivamente un problema medico, ma è strettamente collegata a condizioni di natura culturale, sociale, politica, economica ed esistenziale.

 

In particolare, nella utilizzazione del presente sussidio, siamo invitati a non pensare “un malato” in astratto, ma a tutte le persone che vivono e soffrono situazioni sempre singolari con malattie diverse, alle loro famiglie, alle numerose associazioni di malati, a quei malati, spesso nascosti, quali sono i malati mentali e le tante persone che soffrono uno stato di depressione.

 

Fra l’altro, ad Adelaide (Australia), luogo simbolico dove dal Pontificio Consiglio per la pastorale della salute si celebrerà, l’11 febbraio 2006, la GMM, l’accento verrà messo proprio su questo tema.

 

Questo metterci in ascolto e “alla scuola del malato” dovrà significare, soprattutto, metterci alla scuola di colui che, assumendo su di sé ogni nostro limite umano, la nostra sofferenza e la nostra stessa morte, ci apre l’orizzonte e la certezza di una guarigione definitiva e di una salute – salvezza piena.

 

Al centro, infatti, del cammino formativo e promozionale nella cura della salute, dei malati e dei sofferenti, che il presente sussidio intende sostenere, c’è ancora una volta la necessità di fissare i nostri occhi sulla persona e il mistero di Gesù Cristo, in cui solo trova piena luce il mistero dell’uomo e si trova la sorgente dell’amore che cura e risana.

 

   

Con un grazie fraterno alle persone che hanno collaborato per preparare e redigere questo sussidio, auspico che esso venga utilizzato creativamente per diversi incontri formativi (gli stessi titoli interni possono essere di aiuto)he possono favorire una nuova qualità nella cura della vita e della salute, a partire dal riconoscimento e dal rispetto della uguale dignità di ogni persona.


 

Mons. Sergio Pintor

Direttore dell’Ufficio Nazionale CEI

per la pastorale della salute




 

 

 

 

 

La rapida evoluzione tecnologica, culturale e sociale, oltre gli innegabili vantaggi, genera anche preoccupazioni e paure sulla salute degli uomini e sul futuro del pianeta.

Tale situazione fa emergere interrogativi sull’esistenza, sul senso del dolore e sofferenza e sul modo di affrontarli. Fondamentale diventa la testimonianza umana e cristiana dei malati i quali possono diventare vangelo vivente di Cristo tra gli uomini.

Se la sofferenza è maestra di vita, il malato può diventare un buon insegnante.

 

 

 

La vita “dono e mistero”

“…la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio” (Col. 3,3).

Solo comprendendo e percependo la dimensione misteriosa della vita, si può essere disponibili a ricercarne il senso e il valore e a riscoprirla come dono, di cui essere riconoscenti e responsabili.

“Fissare lo sguardo su Gesù” e fare memoria della sua vita mortale è scoprire una chiave interpretativa e una finalizzazione umanamente impensabile del limite che causa sofferenza, dolore, morte.

 

“Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv. 10,10).

Gesù promuove la vita e guarisce i malati, come segno del Regno di Dio, dove la malattia, la sofferenza e la morte non sono ultima parola ma vengono superate in una visione di una salute di vita piena e integrale. L’offerta di noi stessi, soprattutto nel nostro servire e nella cura delle persone sofferenti, grazie alla presenza e al dono di Gesù, ci pone a servizio e ci fa vivere una solidarietà costruttiva. Nel momento supremo della Croce il Figlio di Dio, Buon Pastore, dona la vita per le sue pecore e dona ad esse di vivere la stessa vita di relazione obbediente e filiale al Padre, per la salvezza del mondo. Anche la nostra sofferenza, nella croce di Cristo si porta dentro una certezza e una promessa: la vittoria definitiva della vita sul male e sulla morte.

 

Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per gli amici” (Gv.15,13).

Gesù non solo ha guarito i malati ma ha vinto e ha dato senso alla sofferenza, assumendola su di sé per amore e così, vincendo malattia e morte, ci ha fatto il dono della salute piena che è la salvezza. Gesù è andato incontro alla morte con consapevolezza e libertà. Gesù non vuole il dolore; come ogni uomo Egli vuole la vita, la gioia. Incontra però il male, la sofferenza, la morte sul cammino che Egli percorre insieme agli uomini. Egli vuole eliminare il male, ma il modo di eliminazione ci sorprende. Dio elimina il male non ignorandolo o aggirandolo, ma aggredendolo e trasformandolo dal di dentro con la forza dell’amore.

Il discepolo riceve dal suo Signore Maestro lo stesso compito: trasformare ogni croce umana in croce di Cristo.

 

“Andate, annunciate e curate” (Cfr. Lc. 9,1-2).

La comunità cristiana si caratterizza come comunità di vita nuova e liberata, inviata come segno e strumento del Cristo, datore di vita e di salute piena. Tuttavia non mancano situazioni in cui questo volto della comunità non sia ancora pienamente riconosciuto da alcuni pastori; fedeli, associazioni e movimenti. Il lavorare in modo individualistico, la sorte di delega in bianco a quanti, per carisma o doti personali, continuano con passione e tenacia a proseguire progetti possibili, non sono garanzia di efficacia ecclesiale

 

“…perché si manifestassero in lui le opere di Dio” (Gv. 9,3).

La comunità è chiamata a “riconoscere” la presenza del malato e il suo essere soggetto attivo della comunità umana e cristiana, perché attraverso l’esperienza di malattia e sofferenza, vissuta e condivisa alla luce della Pasqua di Cristo, si possa manifestare oggi la potenza delle sue opere salvifiche. La persona sofferente ci richiama ad una adeguata attenzione circa l’integrazione personale ed ecclesiale a partire dalla specifica ricchezza evangelica e cristiana. Contro il mito dell’uomo perfetto e della società libera dalla sofferenza, la comunità cristiana, che non rinuncia a porsi la domanda sul perché della sofferenza, attinge una luce particolare dall’incontro pasquale di Gesù.

 

 

 

 

Alla scuola del malato

 

Per una nuova cultura della salute e dell’amore.

Se l’ambito della cura della salute è chiamato a diventare il “laboratorio” di una nuova civiltà dell’amore, c’è da chiedersi se questo può avvenire senza che una società e una comunità cristiana si mettano in attento ascolto del magistero del malato. Nella nostra epoca i successi della scienza e della tecnica permettono di raggiungere, in grado finora sconosciuto, un benessere materiale che mentre favorisce alcuni conduce altri alla emarginazione. Ciò può comportare anche una graduale scomparsa della sensibilità per l’uomo, per ciò che è essenzialmente umano. In questo senso, soprattutto ai nostri giorni, attendono la manifestazione di quel “genio” della persona sofferente che assicuri la sensibilità per l’uomo in ogni circostanza: per il fatto che è uomo.

 

Il malato soggetto attivo di evangelizzazione.

Va superata una visione riduttiva e perfino il rischio della presunzione che porta a pensare la persona, in condizione di malattia e sofferenza, solo come oggetto passivo di aiuto e non come soggetto attivo di comunicazione di valori che consentano di comprendere meglio il senso e la ricchezza inesauribile della vita e cosa significhi ‘prendersi cura della salute’ a tutti i livelli. Le persone sofferenti non siano solo accolte passivamente nelle nostre parrocchie, come se i malati fossero solo ricettori di una prestazione pastorale. Siano riconosciuti non solo come invitati da Dio a unire le loro sofferenze, ma anche inviati nella vigna del Signore a trasmettere agli altri la forza del rinnovamento e la gioia del Cristo Risorto.

 

Una costruttiva visione della vita e della salute.

La società e la cultura appaiono segnate – in modo ambivalente e secondo le situazioni – o da una resa passiva davanti al limite umano o dallo stesso rifiuto nell’accettarlo, oppure d’atteggiamenti presuntuosi di onnipotenza umana. La crisi di verticalità che tenta di nascondere Dio, l’individualismo che porta a bilanciare tutto su se stessi, la fatica di vivere nel tempo e di avere un giusto senso del tempo, sembrano determinanti nel processo di interpretazione del proprio soffrire e influiscono sulla portata di senso. Non mancano atteggiamenti sociali e culturali di indifferenza e passività nei confronti dei malati.

In questo contesto, il mettersi alla scuola dell’esperienza del malato e del sofferente non potrebbe diventare un percorso di una più sapiente e costruttiva visione della vita e della cura di essa?

 

 

 

 

L’insegnamento del malato

 

 

Il malato testimonia:

 

* l’importanza e il valore della vita in ogni istante e situazione, in un contesto che talvolta o spesso non la considera nella sua totalità o la strumentalizza o addirittura la disprezza. La testimonianza del malato consiste nel favorire una comunità che si adoperi per una cultura capace di promuovere i valori della vita, di aiutare a riflettere sul dono della salute e sull’esperienza della vulnerabilità e della morte come realtà esistenziali.

 

* la necessità di una personale e collettiva responsabilità nel prevenire le cause di malattia assumendo stili sani di vita. Dobbiamo impegnarci tutti, a tutti i livelli, per cercare una via di speranza, di relazione e di crescita umana.

 

* l’urgenza che la persona in condizione di malattia non sia lasciata sola e venga debitamente

curata dalla società e dalla comunità cristiana. La pastorale della salute richiede “testimoni che non siano condizionati dalla frettolosità, dall’individualismo, dall’approccio devozionale o dal facile richiamo alla rassegnazione, ma capaci di instaurare dialoghi aperti e sananti.

 

 

Il malato educa:

 

* scoprire il valore delle realtà essenziali della vita: è strano, però capita di riconoscere, non senza sorpresa, quanto in realtà sono importanti e preziose le persone con le quali si vive insieme soltanto nel momento in cui sopraggiunge la sofferenza.

 

* a scoprire il limite e la provvisorietà della vita umana: esprime la verità della persona di fronte al grande mistero dell’esistenza umana. Il vissuto di sofferenza nelle piccole e grandi imprese della vita obbliga a pensare più umilmente riguardo a se stesso.

 

* a comprendere alla luce della fede, che la sofferenza, pur conservando i tratti dell’assurdo, pur restando sorgente di lacerazione interiore, proiettata sullo sfondo della croce di Cristo, assume un significato che va oltre la semplice valorizzazione umana.

 

 

Il malato chiede:

 

* che la professione sanitaria abbia un’anima: è urgente l’impegno per una ripersonalizzazione delle professioni sanitarie, che favoriscano l’instaurarsi di un rapporto dalle dimensioni umane con il malato.

 

* che l’economia non sia prepotente: la salute dei costi, ma non deve avere prezzo. Per salvare il bisogno integrale di salute, di fronte a una cultura che spinge a considerare l’intero sistema sanità come una qualsiasi azienda, la salute come un prodotto e il malato come un cliente, è urgente e necessario riaffermare la centralità della persona umana.

 

* che la riorganizzazione sanitaria abbia sempre come finalità la cura di ogni persona e che

la scienza sia sempre a servizio della vita.

 

* che la comunità cristiana sia più attenta al mondo della salute e della malattia per

riconoscerlo come terreno privilegiato di Vangelo e si impegni a crescere come comunità che

educa alla cura della salute.

Per questo va rivalutata la missione della comunità cristiana che si prende cura dei sofferenti, quale contesto vitale che concorre a far uscire il malato dall’isolamento e dalla condizione di inutilità.

 

 

 

Conclusione 

 

La Vergine Maria, che fin dall’inizio ha compreso che la sua vocazione di donna e di madre era segnata dal mistero dell’amore e del servizio, ma anche della sofferenza e l’ha accettata con umiltà e abbandono, ci aiuti a leggere in questa luce la nostra vita e ci renda capaci di donarci in umiltà e serenità perché nessuna croce umana sia trascurata e dimenticata, e nessuna rimanga senza senso e senza ascolto.

 

 

 

 

 

“I malati e tutti i sofferenti possono diventare veramente soggetto attivo di comunicazione in vista di una società più degna.

Quanti valori, quante dimensioni umane, quanti reconditi significati della vita i ‘cosiddetti sani o normali’ sono tentati di trascurare!

Il malato, il sofferente, chiunque è debole e trascurato, invece, se viene cordialmente aiutato, può diventare per tutta la società un richiamo potentissimo, che riesce ad esprimere dal proprio cuore e dal cuore di chi è solidale con lui, sentimenti ignorati e disattesi, quali, il coraggio, la speranza, la non rassegnata sopportazione, la fraterna dipendenza reciproca, il senso del limite, l’attesa operosa di un mondo nuovo creato dall’amore di Dio” (Card. C. M. Martini 1980).

 

 

 

 

“L’amore, certo, non riesce su questa terra ad eliminare ogni handicap ed ogni sofferenza, ma questo non significa che esso diventi inutile ed inoperoso.

La riabilitazione, le cure mediche, gli interventi tecnici hanno un limite; l’amore no!

Quando le altre cose finiscono, l’amore continua la sua opera di promozione dell’uomo.

Anzi si può dire che comincia il tempo più vero dell’amore:

- è il tempo della condivisione, del ‘portare gli uni i pesi degli altri’ per renderli più sopportabili;

- è il tempo del coraggio e della speranza;

- è il tempo dell’umile e magnanima accettazione della propria condizione umana;

- è il tempo della fiducia in Dio e nella sua promessa di vita e di gioia;

- è il tempo della scoperta di nuove dimensioni della vita umana e di nuove forme di comunicazione” (Card. C. M. Martini 1981).

 

 

 

 

 

 

 

 

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