12 – PADRE NOSTRO – LA CONSOLAZIONE NELLE TRIBOLAZIONI – Luca Beato oh

XII 

LA CONSOLAZIONE NELLA TRIBOLAZIONE

( ma liberaci dal male )

 

Di Luca Beato oh

 

L’idea della consolazione richiama per contrapposizione quella della tribolazione e della sofferenza. Si consola chi soffre e chi piange non chi sta bene.

Nell’Antico Testamento ci sono due libri di consolazione. Il primo in ordine di tempo è quello del profeta Geremia, si trova nei capitoli 30 e 31 e si rivolge agli Ebrei del Regno del Nord, deportati dagli Assiri nel 722 a.C. Il Profeta promette loro a nome di Dio il ritorno in Patria. Il secondo è opera del profeta Isaia, più precisamente il secondo Isaia, dal capitolo 40 al 55 e si rivolge al popolo del Regno di Giuda, deportato a Babilonia nel 587 a.C. La Consolazione del ritorno in patria si realizza con l’editto di Ciro, re dei Persiani nel 538 a.C. e culmina con la ricostruzione del tempio di Gerusalemme nel 515 a.C.

 

Le immagini usate dai profeti sono di due tipi: negative se riguardano la schiavitù e positive se riguardano la liberazione. “In quel giorno romperò il giogo togliendolo dal suo collo, spezzerò le sue catene” ( Ger 30,8 ). “La tua ferita è incurabile” ( Ger 30,12.15 ). “Farò cicatrizzare la tua ferita e ti guarirò dalle tue piaghe” ( Ger 30,17). “Essi erano partiti nel pianto, io li riporterò tra le consolazioni” ( Ger 31,9 ) … “perchè io sono un padre per Israele, Efraim è il mio primogenito” ( Ger 31,9 ). “Per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui una profonda tenerezza” ( Ger 31,20 ). Il lutto verrà cambiato in gioia. Il popolo sarà felice senza afflizioni. La gioia riempirà il cuore dei giovani e dei vecchi e si esprimerà nel canto e nella danza. Godranno tutti dell’abbondanza dei frutti della terra: grano, mosto, olio; e dei frutti del gregge e degli armenti ( Ger 31,12-13 ).

 

L’azione consolatrice di Dio viene espressa con diverse immagini. Dio è per il suo popolo un pastore molto premuroso “che porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri ( Is 40,11; Ger 31,10 ). E’ come lo sposo che gioisce per la sua sposa ( Is 62,5; 61,10 ), è come la madre che consola il proprio figlio ( Is 66,13 ).

 

Nella terra d’Israele ci sarà gioia e pace perfetta. Verrà eliminato il pianto e l’angoscia di mezzo al popolo, che godrà il frutto del proprio lavoro senza pericolo di razzie; godranno tutti buona salute e vita lunga ( Is 65,19-25 ). Gerusalemme sarà nell’abbondanza e tutto il popolo ne potrà godere. Per esprimere questa realtà viene usata l’immagine del bimbo che succhia felice il seno materno ripieno di latte. “Succhierete deliziandovi all’abbondanza del suo seno”( Is 66,11). Oppure l’immagine del bimbo portato in braccio e coccolato da sua madre. “I suoi bimbi saranno portati in braccio, sulle ginocchia saranno accarezzati ( Is 66,12 ).

 

Il profeta Ezechiele paragona il ritorno del popolo ebreo dalla schiavitù di Babilonia a una “risurrezione”. E’ la famosa visione delle ossa aride, che riprendono vita per la forza di Dio, descritta con straordinario verismo ( Ez 37, 1-10 ) e poi spiegata in questa maniera: “ Queste ossa sono tutta la gente d’Israele. Ecco, essi vanno dicendo: Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti. Perciò profetizza e annunzia loro: Dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese d’Israele. Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nel vostro paese; saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò” ( Ez 37,11-14 ).

 

Risorgere vuol dire riprendere a vivere come popolo libero nella propria terra, dove poter crescere, moltiplicarsi, godendo dei frutti di questa terra, il grano, il mosto e l’olio, ecc. Per gli Ebrei vale sempre il trinomio: Dio – popolo – terra. La salvezza di Dio consiste nell’assicurare una terra al suo popolo.

Più tardi, al tempo dei Maccabei ( Mac 12, 38-45) nel 160 ca. a.C. troviamo una chiara affermazione della fede degli Ebrei nella risurrezione dei morti. Ma al tempo di Gesù i Sadducei non ci credevano ancora ( Mt 22,23 ss; Mc 12,18 ss; Lc 20,27 ss ).

 

Il Consolatore

 

Il consolatore d’Israele è Dio stesso che libera il suo popolo dalla schiavitù e gli permette di vivere una vita serena e pacifica nella sua patria. Ma anche i profeti hanno un compito importante nella consolazione del popolo. “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio, parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità” ( Is 40,1-2; cfr 61,1-9 ).

 

Ma il tanto auspicato ritorno in patria è stato alla lunga piuttosto deludente. Il popolo si trova ridotto a due tribù e mezza ( Giuda, Beniamino e mezza Levi ) quindi molto debole ed esposto alle invasioni. In questa situazione critica i profeti tengono accesa la speranza di un futuro migliore per opera di Dio. Le speranze del popolo si coagulano attorno alla figura del Messia, che avrebbe riportato il Regno di Giuda alla grandezza e allo splendore del tempo di Davide. Col tempo la speranza di salvezza del popolo viene proiettata verso orizzonti inaspettati: non più soltanto un popolo, una terra, una potenza politico-religiosa, ma una nuova èra messianica rivolta a tutti i popoli, perchè il Messia farà “cieli nuovi e terra nuova”.

 

E’ il grande sogno del profeta Isaia ( Is 2,2-4 ). Infine il profeta Daniele nelle sue visioni apocalittiche attribuisce al Messia i poteri divini di governare su tutte le genti e di giudicarle. Egli infatti vede “il figlio dell’uomo” salire sulle nubi del cielo e ricevere da Dio il regno universale ed eterno. “Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco apparire, sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui, che gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo serviranno; il suo potere è un potere eterno, che non tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà distrutto” ( Dan 7,13-14 ).In conclusione si può dire che nell’A.T. appare chiaro che è Dio che prende l’iniziativa di liberare il suo popolo, stringere con lui un’Alleanza, promettergli una terra feconda dove possa crescere, moltiplicarsi e vivere in pace. E’ Lui che castiga il suo popolo, quando infrange l’Alleanza, ma lo fa per correggerlo e quindi alla tribolazione – che dura poco – fa seguire la consolazione che è destinata a durare per sempre, mediante la risurrezione alla fine dei tempi.

 

I profeti hanno un compito importante in mezzo al popolo. Infatti l’azione salvifica di Dio normalmente non si verifica in modo evidente, bisogna che qualcuno la sappia rilevare e riesca a farla risaltare davanti agli occhi del popolo. Il profeta è la persona capace di fare una lettura teologica della storia, facendo risaltare l’azione salvifica di Dio in mezzo al groviglio delle vicende umane, nel passato e nel presente con proiezioni cariche di speranza nel futuro.

 

Gesù consola e risuscita

 

Al centro della predicazione di Gesù sta l’annuncio dell’avvento del Regno di Dio ( Mc 1,14-15 ). Dio intende realizzare il suo progetto di salvezza per il suo popolo, affermando la sua Signoria, assumendo le funzioni dirette di governo e di direzione del mondo. Questo Regno realizza le promesse profetiche e messianiche, quindi segna il tempo della salvezza, del compimento, del perfezionamento della presenza di Dio nel mondo.

 

La predicazione del Regno di Dio si colloca in un orizzonte apocalittico. Gesù, come tutta la generazione apocalittica giudaico-cristiana ( specialmente S. Paolo ) attendeva l’avvento del Regno di Dio in un futuro imminente. In questa luce si spiega l’insegnamento di Gesù sulla noncuranza della propria vita, del vitto, del vestiario, ecc. E’ in questa luce che vanno interpretate le parabole del Regno: esso è la cosa più importante, per esso si deve sacrificare tutto. C’è grande contrasto tra i suoi umili inizi e il suo grandioso compimento finale. E’ la potenza di Dio che realizza tutto ciò, sconfiggendo le forze del male. Gesù non è soltanto l’annunciatore del regno di Dio come imminente, ma ne è anche il realizzatore nel presente. E’ Lui il seminatore che semina la parola di Dio. E’ Lui che guarisce i malati, risuscita i morti e perdona ai peccatori. E’ Lui che inaugura la realizzazione del Regno di Dio.

 

Gesù si occupa contemporaneamente del già e del non ancora. Tramite Gesù, il Regno di Dio del futuro è già una forza operante nel presente. Il Regno di Dio non è una promessa consolatoria che riguarda il futuro escatologico, una proiezione dei desideri inappagati, come volevano i filosofi “del sospetto” Feuerbach, Marx e Freud. Il futuro è appello di Dio al presente. Già ora bisogna strutturare la vita secondo la prospettiva del futuro assoluto. Il presente è il tempo della decisione alla luce del futuro assoluto di Dio.

 

Anche le beatitudini ( Lc 6,20-2; Mt 5,3-12 ) vanno interpretate alla luce del Regno di Dio. Ci riferiamo alle beatitudini “nuove” di Gesù, non a quelle di tipo sapienziale, che c’erano già nell’A.T. Quando Gesù dice ai poveri, ai sofferenti e ai perseguitati: “Beati voi!” significa che Dio, instaurando il suo Regno, si ricorda di loro per tirarli fuori dalla situazione di sofferenza in cui si trovano, come ha fatto con gli Ebrei quando erano schiavi in Egitto o a Babilonia.

 

La beatitudine è quindi una promessa di Dio che genera gioia subito in chi la ascolta e la fa fiduciosamente propria. Già irrompe nella vita di costui il futuro di Dio, portando con sè subito consolazione. Infatti la presa di coscienza che Dio gli sta innanzi, lo precede, comunica al credente una forza trasformante, anche nelle situazioni più difficili e tribolate.

 

San Luca, già all’aurora della redenzione, nel canto del Magnificat, mette in risalto il modo in cui Dio intende realizzare il progetto di salvezza mediante il Messia, riagganciandosi ai gesti liberatori di Dio a favore del suo popolo nell’A.T. “…ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi; ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia…” ( Lc 1, 52-54 ).

 

Gesù nella Sinagoga di Nazaret fa il suo discorso programmatico, con la citazione del profeta Isaia, che si ispira all’anno sabbatico. “ Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore” ( Lc 4,18-19 ; cfr Is 61,1-2 ).

 

Agli inviati di Giovanni Battista, che voleva sapere con certezza se era Lui il Messia, Gesù dà questa testimonianza: “Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri viene annunziata la buona novella” ( Lc 7, 22-23 ). Tra i miracoli che il Messia compie a favore del suo popolo S. Luca mette espressamente anche la risurrezione dei morti e per avvalorare le parole di Gesù ai discepoli del Battista, immediatamente prima narra la risurrezione del giovane figlio della vedova di Naim ( Lc 7,11-17 ).

 

Anche i miracoli vanno interpretati alla luce dell’avvento del Regno di Dio: sono dei “segni” della sua realizzazione. Le guarigioni e gli esorcismi non sono fine a se stessi, ma sono al servizio del Regno di Dio. Per Gesù infatti l’avvento del Regno di Dio rappresenta la sconfitta di Satana, che perciò vede cadere dal cielo come un fulmine ( Lc 10,18 ). I miracoli illustrano e confermano la parola di Gesù. Un paralitico viene guarito proprio per convalidare la legittimità del perdono dei peccati, pronunciata da Gesù ( Lc 5,24 ). Essi hanno la funzione di segno: il Regno di Dio, attraverso l’azione di Gesù, comincia a realizzarsi ( Lc 11,20 ). Con le sue azioni Gesù non ha ancora edificato il Regno di Dio. Ha posto però dei segni nei quali già splende il Regno che viene: prefigurazioni emblematiche, tipiche, corporee, di quel bene psicofisico completo e definitivo che chiamiamo “ salvezza” dell’uomo.

 

 

Risurrezioni di morti

 

I tre Vangeli sinottici riferiscono della risurrezione di una bambina figlia di Giairo, uno dei capi della Sinagoga, della quale Marco ci conserva anche la frase usata da Gesù: “Talita kum, fanciulla alzati” ( Mc 5,21 ss; Mt 9,18 ss; Lc 8,40 ss ). Luca narra la risurrezione di un giovane, figlio unico di una vedova di Naim ( Lc 7, 11ss ). Giovanni narra la risurrezione di Lazzaro, amico di Gesù, fratello di Marta e di Maria ( Gv 11, 1 ss). Questa narrazione mostra chiaramente, perché è proprio nell’intenzione dell’autore, che la risurrezione di Lazzaro è un segno della risurrezione definitiva; essa offre l’occasione a Gesù di autorivelarsi come colui che risuscita i morti per la vita eterna: “ Io sono la risurrezione e le vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” ( Gv 11,25-26 ).

 

La risurrezione di Gesù Cristo

 

La risurrezione di Gesù è prima di tutto un fatto storico, nel senso che si è veramente verificato, anche se non è stato un fatto verificabile come gli altri avvenimenti della storia. Nessuno infatti è stato testimone oculare della risurrezione. Le testimonianze degli Apostoli riguardano Gesù Cristo già risuscitato, fanno riferimento alle sue apparizioni. D’altra parte Gesù dopo la risurrezione non ha più un corpo materiale come prima, ma un corpo spiritualizzato. Egli è entrato nella dimensione spirituale, trascendente, incommensurabile di Dio. Tutto ciò viene descritto con un linguaggio immaginoso. La parola “risurrezione”, richiama alla mente il ridestarsi dal sonno, il rialzarsi, ma – nel nostro caso – non per un ritorno alla condizione antecedente, bensì per il radicale trapasso a una condizione totamente diversa, a una vita nuova, divina, immortale.

 

La fede degli Apostoli e la prima predicazione ( kérigma ) si fondano sull’avvenimento sconvolgente della risurrezione di Gesù Cristo. La più antica testimonianza del Nuovo Testamento è quella di San Paolo, riportata nella prima Lettera ai Corinzi, scritta negli anni 56/57 d.C. ma formulata dalla Chiesa primitiva molti anni prima e ricevuta da Paolo stesso forse già al momento della sua conversione nel 36 d.C. Vi è riportato un elenco di apparizioni, senza narrarne alcuna.

 

Vi rendo noto, fratelli, il Vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale state saldi, e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l’ho annunziato. Altrimenti avreste creduto invano! Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. Ultimo fra tutti apparve anche a me… Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto”( 1 Cor. 15,1-11 ).

 

La risurrezione degli uomini

 

La risurrezione di Gesù riguarda anzitutto la sua persona, il suo “Io” che entrando nella dimensione di Dio ne esce glorificato, spiritualizzato, completato. Ma da questo fatto riceve luce e significato tutta la sua vita terrena, la causa per cui è vissuto ed è morto. La sua risurrezione, perciò, è anche un fatto salvifico per noi, è un Vangelo, un lieto annuncio per l’umanità.

E’ così infatti che si esprime San Pietro nel suo discorso agli abitanti di Gerusalemme il giorno di Pentecoste: “ Uomini di Israele…Gesù di Nazaret…uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni…voi l’avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l’avete ucciso. Questo Gesù Dio l’ha risuscitato dai morti e noi tutti ne siamo testimoni. Innalzato pertanto alla destra di Dio e dopo aver ricevuto dal Padre lo Spirito Santo che Egli aveva promesso, lo ha effuso, come voi stessi potete vedere e udire…Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso” ( At 2,22-23.32-34.36 ).

 

Qui occorre fare una precisazione. L’evento pasquale nella sua globalità comprende non solo la risurrezione, ma anche l’Ascensione al cielo, cioè l’intronizzazione di Gesù alla destra di Dio Padre, e la Pentecoste, cioè l’effusione dello Spirito Santo sugli Apostoli. Anche se l’Evangelista San Luca per ragioni liturgiche distribuisce questi avvenimenti nell’arco di cinquanta giorni, essi sono aspetti particolari dell’unico evento salvifico della risurrezione. Del resto l’Evangelista San Giovanni fa concludere tutto il giorno di Pasqua.

 

La risurrezione di Gesù e la sua intronizzazione rappresentano il riconoscimento ufficiale da parte di Dio Padre che Gesù è il Cristo (= Messia ), non solo, ma anche il Signore, cioè condivide con Dio Padre la vita divina e la gloria ed ha il potere di effondere lo Spirito Santo e di giudicare le genti nell’ultimo giorno.

 

La risurrezione di Gesù come fatto salvifico per noi è il fondamento della nostra fede nella risurrezione di tutti gli uomini nell’ultimo giorno. Il messaggio che ci viene dalla Pasqua è essenzialmente questo: “ Il Crocifisso vive per l’eternità presso Dio, come impegno e speranza per noi… La vita nuova ed eterna dell’Uno è stimolo e speranza reale per tutti”.

 

Questa affermazione della connessione essenziale tra la risurrezione di Cristo e la risurrezione degli uomini appartiene al patrimonio della fede cristiana fin dalle origini. Il più vigoroso assertore ne è San Paolo. “Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede…E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini” ( 1 Cor 15,12-19 ). Perciò San Paolo definisce Gesù: La primizia dei morti ( 1 Cor 15,20 ), il primogenito di coloro che risuscitano dai morti” ( Col 1,18; cfr Ap 1,5 ).

 

Certo la nostra mente a questo punto è portata a pensare: “Troppo bello per essere vero!”. Allora sarà utile fare un’altra considerazione: tutto ciò che esiste è stato tratto dal nulla dalla potenza, sapienza e bontà infinita di Dio. La nostra stessa vita è un dono gratuito di Dio! La fede nella risurrezione dei morti è una radicalizzazione della fede nel Dio creatore. “Chi comincia il suo Credo con la fede in un Dio Creatore onnipotente, può tranquillamente concluderlo con la fede nella vita eterna. Il Creatore onnipotente che dal non essere chiama all’essere, è anche in grado di chiamare dalla morte alla vita”.

 

I cristiani sono risorti con Cristo

 

La caratteristica dei cristiani non è semplicemente la fede in Dio, ma la fede nel Dio che ha risuscitato dai morti Gesù Cristo. Questa fede, unita ai Sacramenti della iniziazione cristiana ( Battesimo – Cresima – Eucaristia ), configura il cristiano al Cristo risorto, già fin d’ora, sul piano oggettivo, in maniera spirituale, misteriosa, ma reale ( mistica ), come anticipazione nel tempo presente di quella partecipazione piena alla gloria del Cristo risorto che avverrà alla fine dei tempi.

 

Questa è la fede della Chiesa apostolica, che troviamo splendidamente esposta nelle Lettere di San Paolo. Per la precisione, il mistero pasquale del Cristo è di morte e risurrezione e così anche la nostra partecipazione. Siccome però la novità appare più evidente nel risultato finale, allora si accentua la configurazione con il Cristo risorto. Citiamo un passo significativo della Lettera ai Romani: “O non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del Battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a Lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” ( Rom 6,4 ). Il battezzato, risorto con Cristo, è una nuova creatura, un uomo nuovo, membro dell’unico Corpo di Cristo animato dall’unico Spirito, cioè la Chiesa di Cristo ( 6 ).

 

Sul piano operativo i cristiani manifestano di essere dei risorti in Cristo modellando la propria vita su quella di Gesù. “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio. Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con Lui nella gloria”( Col 3,1-4 ).

Dalle apparizioni del Cristo risorto la Chiesa riceve la vocazione alla missione, il mandato di continuare nel mondo l’opera redentrice iniziata da Gesù ( Gv 20,19-23; Mt 28,18-20; Mc 16,15-18; At 1,8 ). Essa è il popolo messianico che partecipa dell’ ufficio sacerdotale, profetico e regale del Messia (= Cristo ). Gode di molti carismi dello Spirito Santo per il bene unitario dell’intero organismo, il Corpo di Cristo e per portare la salvezza a tutte le genti.

 

L’attesa della parusia

 

Le comunità cristiane postpasquali hanno visto in Gesù risorto il Messia ( di qui il titolo di Cristo ) che portava a compimento la profezia di Daniele 7,13 ss. Non per nulla le dichiarazioni sul ritorno sono messe in bocca proprio a Lui e riprendono tutte le figure del Figlio dell’uomo che verrà sulle nubi ( Mc 13,18 e paralleli ). Come Figlio dell’uomo, ma seduto alla destra di Dio ( = Signore ), Gesù concluderà lo svolgimento della vicenda umana e si imporrà anche ai suoi avversari.

 

L’attesa della venuta del Signore glorioso si esprime nella acclamazione liturgica MARANA’ THA , Signore, vieni! ( 1 Cor 16, 22; Cfr Ap 22,20 ).

All’inizio l’avvento del Signore risorto era creduto imminente. San Paolo pensa di essere ancora in vita quando verrà il Signore a portare a compimento la vittoria sulla morte ( 1 Tess 4,17; cfr 1 Cor 15,51-52 ). Talvolta l’attesa ansiosa e spasmodica dava luogo a disordini, episodi di fanatismo e abbandono del lavoro ( 2 Tess 3,10-12 ). Per cui l’Apostolo deve intervenire per esortare i cristiani a una vita attiva e pacifica. Però Paolo dichiara con profonda convinzione la provvisorietà di tutte le cose: il tempo si è fatto breve, per cui non vale più la pena di sposarsi o impegnarsi negli affari ( 1 Cor 7,29-31 ).

 

Pian piano si assume un atteggiamento più sereno, di vigilanza nella preghiera, nell’astensione dal male ( Lc 21,34-36; cfr 17,26-30 ) e nell’attività a servizio dei fratelli, come il servo di famiglia in attesa del padrone che tarda a venire ( Lc 12,35 ss ). San Giovanni nel suo Vangelo introduce una novità di rilievo. Egli pone in risalto la presenza attuale del Cristo risorto nella comunità cristiana mediante il suo Spirito, definito l’altro Consolatore ( Gv 14,16 ) (mentre era in vita era Gesù il Consolatore dei suoi discepoli ). Lo Spirito Santo ci conferisce la capacità di conoscere Dio mediante il dono della fede, di amarlo sopra ogni cosa e di testimoniare l’amore fraterno fino a dare la vita per gli altri come ha fatto Gesù ( Gv 14,15-25 ). Egli è il conferitore di tutti i doni o carismi che noi possediamo per il bene del Corpo di Cristo che è la Chiesa, compreso il carisma della cura dei malati e il dono delle guarigioni ( 1 Cor 12,4-11).

 

In altre parole, San Giovanni mette in rilievo quello che Gesù ha “già” attuato con la sua passione-morte-risurrezione ed effusione dello Spirito Santo, cominciata sulla croce e completata il giorno di Pasqua. E’ come se la parusia ( avvento finale del Cristo glorioso ) fosse già in qualche modo attuata. Ora è il giudizio di questo mondo ( Gv 16,11 ); la vita eterna comincia qui ( Gv 5,24 ) e si manifesta nei gesti di bontà che il cristiano compie animato dallo spirito dell’amore.

Tutto questo viene affermato senza togliere nulla alla venuta finale del Signore, come viene detto molto bene nell’Apocalisse, un libro di consolazione indirizzato ai cristiani perseguitati: alla fine Cristo vendicherà il sangue dei martiri con il giudizio di condanna dei malvagi e la premiazione dei giusti ( Ap 11,15 ss; 12,10 ss; 15,3 ss; 19,6 ss). La Gerusalemme celeste è piena di luce e di gioia, “ non ci sarà più la morte, nè lutto, nè affanno, perchè le cose di prima sono passate”( Ap 21,4; 22,4-5 ).

 

Nell’attesa che tutto ciò si compia, bisogna armarsi di pazienza ( Ap 6,10-11 ). Il Signore è fedele alla sue promesse e “verrà presto”, perciò la Chiesa continua a pregare con fiducia: “Vieni, Signore Gesù” ( Ap 22,20 ).

Concludiamo con una citazione di San Paolo, che sottolinea il compito di noi cristiani che proprio perché consolati da Dio, dobbiamo farci consolatori dei fratelli in nome di Dio. “Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio” ( 2 Cor 1,3-4 ).

 

FATEBENEFRATELLI = CONSOLATORI

 

La Spiritualità dei Fatebenefratelli si può trovare concentrata in queste parole di San Paolo: “ Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perchè possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio” (2 Cor 1,3-4).

 

Come Istituto religioso di vita mista, non corre il rischio come il monachesimo, nato da una diffusa spiritualità di fuga dal mondo, di pensare solo alle cose dello spirito e trascurare i bisogni dei poveri. La spiritualità dei Fatebenefratelli non è assolutamente alienante: non si limita a pregare per i malati, o a organizzare pellegrinaggi ai santuari della Madonna o di Sant’Antonio o di San Riccardo, ecc. per ottenere miracoli.

 

Il voto di ospitalità ci impegna qui e adesso alla cura e all’assistenza dei malati e dei bisognosi, anche con rischio della vita. La spiritualità dei F.B.F. nasce dalla teologia della creazione e dell’Incarnazione, ben illustrata dal Concilio Vat. II, impegna alla trasformazione del mondo, quindi all’azione concreta per la cura e l’assistenza dei malati, alla lotta contro ogni forma di sofferenza che opprime l’umanità, a imitazione di Cristo e di San Giovanni di Dio ( C 21 ).

 

Il Fatebenefratello è chiamato a fare una sintesi della vita contemplativa e della missione caritativa, sull’esempio di San Giovanni di Dio, il quale “visse in perfetta unità l’amore a Dio e al prossimo” ( C 1,1 ). Si rifà allo spirito originario del cristianesimo, che con grande stupore dei pagani, a differenza di tutte le altre religioni che si rivolgevano esclusivamente ai sani, si occupava seriamente dei malati e dei bisognosi sull’esempio di Gesù, al punto che pian piano si è coniata tra i cristiani la definizione di Gesù come medico delle anime e dei corpi ( 8 ).

 

I malati, ai quali è rivolta la nostra missione in forza del carisma dell’0spitalità, sono delle persone che attraversano una fase della vita segnata dalla sofferenza, che sovente non è solo fisica ma anche psicologica, e minaccia di far crollare ogni speranza per il futuro. E’ la persona che con la malattia entra in crisi esistenziale, come Giobbe sul letamaio, abbandonato da tutti, anche dai propri cari. “Lo stato di malattia è accompagnato da intensi sentimenti di ansia diffusa, di insicurezza emotiva e di perdita di sicurezza sociale” ( 9 ).

 

Si consola curando

 

La consolazione consiste anzitutto – questo è evidente – nel restituire la salute al malato. Quindi i nostri Centri devono essere continuamente aggiornati in modo da rispondere sempre a questa esigenza fondamentale. I religiosi e il personale medico e infermieristico devono continuamente aggiornarsi professionalmente. Le strutture, le apparecchiature tecniche, ecc. vanno continuamente rinnovate.

 

Si consola con la comprensione

 

Ma il malato non è un “caso” clinico, è una persona umana, che per di più soffre e spesso nasconde in sè un dramma. Anche di questo dobbiamo farci carico, non solo il Cappellano, ma tutti, religiosi e laici, operatori sanitari e volontari che accostano i malati. Negli ospedali moderni malati di elefantiasi e di supertecnicismo il problema numero uno è quello della umanizzazione. “L’infermiere non è un metalmeccanico” ha cominciato a predicare il sottoscritto ancora negli anni ‘60. “Più cuore in quelle mani” diceva San Camillo e questo motto è ripreso da P. Pierluigi Marchesi come titolo di un articolo significativo appena pubblicato ( 10 ). Ma il problema dell’umanizzazione è stato trattato a fondo dal medesimo Padre quando era Generale dei Fatebenefratelli nel libretto:Ospitalità verso il 2.000.

 

Si consola con la speranza cristiana

 

Se l’umanizzazione deve essere l’obbiettivo di tutti, ai cristiani e ai religiosi viene chiesto qualcosa di più: l’evangelizzazione del mondo della sanità.

La recente esortazione apostolica “Vita consecrata” ricorda ai religiosi e alle persone consacrate “che fa parte della loro missione evangelizzare gli ambienti sanitari in cui lavorano, cercando di illuminare, attraverso la comunicazione del valori evangelici, il modo di vivere, soffrire e morire degli uomini del nostro tempo” ( 83,3 ). Già prima le Costituzioni dell’Ordine ospedaliero avevano recepito questo principio. “Perciò viviamo la nostra assistenza agli ammalati e il nostro servizio a favore dei bisognosi, come annuncio e segno della vita nuova ed eterna conquistata dalla redenzione di Cristo” ( C 21,2 ). E ancora meglio: “Nell’ambiente tecnicizzato e consumista della società moderna, nel quale si scoprono ogni giorno nuove forme di emarginazione e di sofferenza…noi siamo chiamati: – a realizzare la nostra missione con atteggiamenti e modi umanizzanti; – a proclamare, come Gesù, che i deboli e gli emarginati sono i nostri prediletti; – a vivere il nostro servizio come espressione del valore escatologico della vita umana”( C 44 ).

 

Ma noi Fatebenefratelli da diversi anni parliamo di nuova ospitalità per una nuova evangelizzazione. E in questo compito ci sforziamo di coinvolgere anche i nostri collaboratori laici credenti e praticanti, che condividono con noi il carisma dell’ospitalità secondo lo stile di San Giovanni di Dio. Per meglio raggiungere questo scopo sono stati istituiti dei corsi di pastorale sanitaria aperti ai collaboratori laici maggiormente sensibili ai valori dello spirito.

 

Il compito dei Fatebenefratelli e degli operatori della pastorale sanitaria è paragonabile a quello dei profeti: parlare in nome di Dio, tenere accesa la speranza anche nei momenti più duri, pensare a quello che ha fatto Cristo per noi, alla sua salvezza percepibile già ora nella nostra vita e alla salvezza eterna che Egli ha preparato per noi al termine della nostra vita terrena ( C 44 ).

 

Questo compito è certamente difficile, ma non mancano gli aiuti per impararlo. “La consolazione non è nè semplice ( poche parole convenzionali ) nè facile: è un’arte che s’impara alla scuola della vita propria ed altrui. E, come tale, è un vero mosaico, composto da tante e svariate tessere: silenzio, ascolto, rispetto, sentimento e tenerezza, attesa, sguardi, gesti… La possiamo esprimere ai malati infondendo speranza, illuminando l’interiore, facilitando una verifica, scuotendo a tempo opportuno, proponendo un cammino, pregando con formule o spontaneità”( 11 ).

 

NOTE

 

1 – G.Cionchi, Studiare Religione, vol. I , Ed. Elledici, Leuman ( Torino ), pag. 31.

2 – Id. pag. 104.

3 – H.Kueng, Essere cristiani, Mondadori, 1976, pagg.241-247.

4 – Id. pagg.297-298.

5 – Id. pag. 258.

6 – Id. pag.259

7 – AA.VV. Dossier: Celebrare l’ Avvento del Signore per essere servi della speranza, in: SERVIZIO DELLA PAROLA n. 233, 1991, Queriniana, Brescia, pagg. 5-62.

8 – J.C. Larchet, Teologia della malattia, Queriniana, Brescia, 1993, pagg.73-75.

9 – P.M. Zulehner, TEOLOGIA PASTORALE vol. III, Capitolo secondo:

La malattia, pag. 63. Tutto il capitolo è interessante: pagg.59-86.

10 – P. Marchesi, Più cuore in quelle mani, in: INSIEME PER SERVIRE n. 31, Genn/Mar 1997, pagg. 35-47.

11 – L. Di Taranto, “Consolare gli afflitti”: modelli a confronto, in: INSIEME PER

SERVIRE, n. 31, Genn/Mar 1997, pagg.17-33. Il passo citato è a pag. 30.

 

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

 

H.Kueng, Essere cristiani, Mondadori, 1976

E.Charpentier, Cristo è risorto, Gribaudi, Torino

W.Burghardt, Invecchiamento, sofferenza e morte, in CONCILIUM, 3 / 1991, La terza età, pagg. 92 ss.

J.C.Larchet, Teologia della malattia, Queriniana, Brescia, 1993

P.M. Zulehner, TEOLOGIA PASTORALE, vol. III, Capotolo secondo: La malattia, pagg. 59 – 86

AA.VV. Dossier: Celebrare l’Avvento del Signore per essere servi della speranza, in: SERVIZIO DELLE PAROLA n. 233 / 1991, Queriniana, Brescia, pagg. 5 – 62

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