LETTERA AL DIRETTORE su “EXTRA-Sanità in Lombardia n° 42 “ – Angelo Nocent

 

TEMPI - 16 OTTOBRE 2008

TEMPI – 16 Ottobre 2008

AL DIRETTORE RIVISTA “FATEBENEFRATELLI”

 

Caro Direttore,

questa volta sono costretto a scriverti a titolo strettamente personale, giacché non intendo coinvolgere l’Istituzione che rappresenti. Mi limiterò a riportare notizie che sono di cronaca, convinto che non è tempo perso fermarsi a riflettere. Avrai modo di verificare che, volutamente, al di là di qualche sottolineatura più marcata, mi limito alla constatazione, astenendomi dal prendere posizione. Tutto vorrei meno che far correre il rischio di essere frainteso difensore, “portavoce” di un incarico che nessuno mi ha affidato.

So di essermi dilungato oltre misura e perciò, se deciderai di pubblicare questa lettera aperta, affido alle tue forbici, ove occorresse per ragioni di spazio, di sfoltire sostituendo il testo mancante con i puntini di sospensione, nella speranza che l’operazione non produca un mutilato di guerra senza volto, ma un ponticello, ossia una provocazione di dialogo tra Chiesa e Istituzioni, più che uno sgradevole braccio di ferro fra le parti. Del resto, proprio CEI, Università Cattolica, Aris, Luiss Business School, hanno sentito l’esigenza di trovarsi a convegno il giugno scorso sul “No-profit dell’assistenza ospedaliera in Italia: riflessioni a trent’anni dalla legge 833/78”.

Si trattasse di un articolo, ti proporrei di titolarlo così: L’ Hospitalitas istituzionale a un bivio. ”Io speriamo che me la cavo”.

Scrivere di Ospitalità a te che hai appena pubblicato un libro, è come portare vasi a Samo. A me l’ “Ospitalità” suona sempre come concetto astratto che si materializza, per così dire, nel momento in cui me la sento scorrere nelle vene come carisma, dono “per l’utilità comune” (1 Cor 12,7), non tanto destinato alla santificazione della persona, ma al “servizio della comunità” (1Pt 4,10). E’ donato ad alcuni il carisma e non a tutti allo stesso modo. Lo scopo non è di dare lustro o prestigio o fama a chicchessia ma per la varietà e vitalità della Chiesa. E’ anche mia convinzione che, se il carisma viene istituzionalizzato, inaridisce. Perché non è il reparto di cura che è carismatico, ma lo sono io nel reparto.

Ironia della sorte! A restarne affascinato di tale carisma piovuto dal cielo è stato proprio lui, il Don Giussani, che nella vita si è occupato più di giovani e di università che di ospedali e malati. Solo che, improvvisamente, ha scoperto l’evolversi del carisma dell’ hospitalitas proprio nel movimento che ha animato, senza che lo avesse provocato con riflessioni che svilupperà solo successivamente e che ora sono raccolte nel volume: “Il miracolo dell’Ospitalita’”, Ed. Piemme, al quale rimando. Ma, si sa, non tutti credono ai miracoli ed anche i discepoli non sempre hanno la fede del fondatore e, quindi la capacità di leggere i contesti. Fa un certo effetto constatare che avvenga proprio nella politica sanitaria della Lombardia dove sono all’opera persone raggiunte e segnate dal quel grande educatore del nostro tempo che è stato il “ Don Gius”. Credimi: leggendo la programmazione sanitaria talvolta sono tentato di credere che vi sia in corso il perdurare di un “malinteso culturale” più che una volontà della politica di sopprimere e penalizzare le istituzioni religiose. In tal caso, andrebbe fatto ogni sforzo per dissipare le nubi che nocciono ad entrambi. Ma, per non inventarmi nulla o eccedere nel dire, è meglio che parlino i fatti.

La parola alla politica

TEMPI - 16 OTTOBRE 2008E’ il 16 Ottobre 2008. Passo dal giornalaio di Palazzo Pignano dove solitamente lascio la bicicletta. Acquisto Il Giornale perché di giovedì c’è TEMPI come allegato. Prendo la corriera, mi sistemo comodamente per la lettura, apro il n° 42 , più voluminoso perché accompagnato da un altro allegato: EXTRA-Sanità in Lombardia “. E’ su questo che mi concentro in prima battuta e, cosa insolita, non mi addormento. Sfoglio, divoro e, man mano che procedo, resto sempre più coinvolto.

L’Editoriale è del Presidente Roberto Formigoni. Un titolo suggestivo: “Più libertà di scelta. Più sicurezza sanitaria”. Al centro dell’argomentare – come sempre – c’è la “persona”. Sfoglio con interesse: “Ripensare la sanità a distanza di trent’anni dall’introduzione del Sistema Sanitario Nazionale significa pensare a un modello culturale nuovo, capace di rispondere alle mutate condizioni di vita che caratterizzano la società contemporanea e che ci impongono di guardare alla spesa sanitaria non più come a un costo da contenere, ma come a un investimento, oltre che per la salute, anche per lo sviluppo del nostro Paese”

Poi l’enunciazione di due principi irrevocabili:

  1. Libertà di scelta, innanzitutto.

  2. E il principio secondo cui un servizio di natura pubblica può essere garantito anche da un soggetto di diritto privato, oltre che dagli irrinunciabili meccanismi di controllo del sistema.

Fin qui tutto bene. Altri punti forza:

  1. Separazione tra enti che forniscono (le aziende ospedaliere) ed enti che acquistano (aziende sanitarie locali) le prestazioni sanitarie.

  2. Valorizzazione della professionalità degli operatori del settore

  3. Una sfida: “E’ questo il momento di gettare le fondamenta per un nuovo Welfare, realizzando appieno una logica di sussidiarietà che veda il contributo di soggetti responsabilmente attivi e garantisca pari opportunità durante l’intero ciclo di vita a tutti i componenti della società”.

Nelle pagine seguenti gli argomenti vengono ripresi e sviluppati. Ma cambia l’antifona e sono costretto a rileggermi più volte le opinioni sostenute che mi lasciano sempre più allibito. A pagina 8 un titolone ad effetto: “Il bilancio di una novità”. Prima di proseguire mi soffermo sulla foto di una bella suora “cappellona”, dalla divisa preconciliare. Quelli della mia età ricordano benissimo le suore di San Vincenzo, presenti in sanità, nelle carceri, nelle infermerie dell’esercito… Sulla foto, del viso, spuntano soltanto il naso e la bocca; il resto è nascosto dall’enorme copricapo. La suora, un pezzo di consacrata che nessuno oserebbe chiamare “suorina”, com’è di moda dopo il caso Eluana, accudisce una bambina che ha vicino a lei una grossa bambola con i boccoli d’oro. La microscopica didascalia della foto recita: “Anche nella sanità negli ultimi anni si è assistito a un fenomeno di concentrazione economica. I principali concorrenti del servizio pubblico ora sono i gruppi privati nazionali e le grandi fondazioni”.

Sulla destra della foto invece, virgolettato ed a caratteri cubitali il messaggio: “Fino a 10 anni fa, esistevano i centri di cura religiosi. Oggi [maggiormente evidenziato] NON PIU’”. L’articolista è Francesco Beretta che riferisce di una tavola rotonda costituita da

  • Luigi AMICONE (Direttore e Moderatore)

  • Carlo LUCCHINA (Direttore Generale Sanità Regione Lombardia)

  • Francesco BERETTA (Dir. Gen. A.O. Istituti Clinici di Perfezionamento)

  • Pasquale CANNATELLI (Dir.Gen. A.O. Niguarda)

  • Gabriele PELISSERO (Direttore Scientifico Irccs Policlinico San Matteo)

  • Costantino PASSERINO (Direttore Centrale Fondazione Maugeri).

Introduce il direttore di Tempi, Luigi Amicone, che spiega: “Da sempre il nostro giornale è molto attento a temi come l’educazione e la sanità. In genere il tema sanità risente purtroppo di un ritorno di ideologia, per cui il privato sembra “il male”.

Mentre leggo, mi si fa presente, visivo, il mendicante di Granada. Nella mente rivedo la figura di San Giovanni di Dio che sta sullo sfondo degli ultimi cinque secoli di storia, con i suoi discepoli sopravissuti a tante intemperie. Quella storia che conosco abbastanza, mi appare sempre più come una bella fiaba grottesca, da non raccontare più neppure ai nipotini perché parla di sofferenze patite e lenite, di frati questuanti, soccorritori di appestati, di feriti sui campi di battaglia, di malati psichici abbandonati ai loro destini. Chi sarà mai il Beato Olallo, di cui in questi giorni si è dovuta occupare perfino la stampa? E’ roba del passato il frate Cubano rimasto da solo sul campo, medicina dei poveri, a condividere lo stipendio d’infermiere, “facendosi tutto a tutti” ?

E visivo mi si fa pure il Giussani. L’espressione è quella di una foto che ne ritrae solo lo sguardo. Un Giussani pensoso…A meno che non si tratti di una proiezione della mia mente malata.

Ma riprendiamo la tavola rotonda. Com’è cambiato il settore sanitario? La risposta la fornisce il Direttore Generale degli Istituti Clinici di Perfezionamento, Dott. Francesco BERETTA: Dieci anni fa la realtà lombarda era diversa. Esisteva il settore pubblico e i privati convenzionati. Questi ultimi si dividevano essenzialmente fra istituzioni religiose, alcune fondazioni pubbliche, altre private e tante altre piccole realtà private”. Poi il cambiamento radicale. Oggi le istituzioni religiose sono quasi del tutto scomparse o svolgono attività marginale perché sono strutture che non riescono gestire al meglio le proprie realtà  sia per le dimensioni (piccole) che per mancanza di una vera mentalità e capacità imprenditoriale e manageriale e quindi sono spesso realtà economiche in perdita.

Anche le piccole strutture private sono pressoché scomparse, quasi sempre assorbite dai grandi gruppi privati. Restano così il pubblico, alcune grandi Fondazioni, per esempio il San Raffaele e la Fondazione Clinica del Lavoro, la Don Gnocchi e, appunto, i grandi gruppi privati (in Lombardia soprattutto il gruppo Rotelli e Humanitas), che sono in crescita.

La sanità privata oggi è anche un grande business coinvolto nel processo della globalizzazione. Questo elemento ha sicuramente modificato la modalità di erogazione e di gestione di queste strutture, ed esige una riflessione. Per esempio, sul fatto che un gruppo privato di livello nazionale non solo compra meglio, ma acquisisce meglio professionisti di elevata qualità nazionale e imposta l’organizzazione delle proprie strutture in modo moderno e con elevate tecnologie. Il sistema lombardo appare come  principio buono, tanto che altre regioni lo vogliono copiare. Penso che si possa lavorare su alcuni provvedimenti correttivi della Legge 31, senza però stravolgere la norma. Anzitutto perché la Lombardia è la Regione dove gli ospedali hanno i bilanci migliori e dove le persone si sentono assistite meglio. Un’osservazione, su cui chiedo una riflessione.

La realtà pubblica soffre del problema di non poter valorizzare al meglio i professionisti degli ospedali. Ce ne sono molti e bravissimi, ma non possiamo permetterci adeguate retribuzioni, così speso vediamo questi professionisti dover lasciare spesso l’ospedale per svolgere attività nel loro studio privato. D’altronde le varie riforme della sanità non consentono a noi direttori generali di premiare adeguatamente i nostri professionisti più bravi. Ci sono molti vincoli sulle assunzioni di personale, sulle remunerazioni differenziate anche per tutto il personale assistenziale che necessita di un ampio approfondimento“.

Tutto qui? Sì, tutto qui. Ma è sintomatico. E’ un bene che la sanità evolva. Non sarà certo una mia lettera a rallentarne il decorso. Ma s’accorgeranno “i poveri ricchi” del “nuovo Welfare”. Bisognerà dare molto peso ai propositi. Perché non basta la buona fede. La politica è sempre pronta a dichiarare la persona malata al centro dei suoi disegni. Scoccerebbe però che fosse semplicemente “l’oggetto del desiderio” di chi ha il fiuto degli affari. Perché, nei fatti, rischiamo un po’ tutti di finire nell’occhio del ciclone, travolti dalle esigenze del mercato, sul fronte del bussines. America docet. Sarò anche portatore di iella; epperò nelle cinquanta pagine di Tempi EXTRA, scritte da cattolici, non ho trovato la parola Dio. E passi. Ma nemmeno “viscere di misericordia”, o il termine “compassione”, modi diversi per dire hospitalitas. Perciò mi sia concessa almeno una perplessità: dove vogliono arrivare? Napoleone, la Massoneria, gli Anticlericali, ecc. s’incaricavano loro di centrifugare i religiosi dal mondo sanitario. Oggi che non è più necessario temere i discendenti di un passato, suonerebbe imbarazzante doversi guardare da quei cattolici che trovano le buone ragioni per far piazza pulita di una ingombrante “Chiesa del grembiule”. Non so se lo pensano. O se ho frainteso. Ma lo affermano senza mezzi termini: quelle dei frati e delle suore sono strutture che non riescono gestire al meglio le proprie realtà  sia per le dimensioni (piccole) che per mancanza di una vera mentalità e capacità imprenditoriale e manageriale e quindi sono spesso realtà economiche in perdita” (Francesco Beretta). Se rimango di stucco per simili affermazioni è perché gli istituti religiosi maschili e femminili, consapevoli dei limiti, da almeno vent’anni a questa parte, si sono circondati di laici, hanno chiamato ad amministrare proprio fior di professionisti supertitolati, il più delle volte cattolici. Mi domando: il carisma istituzionale è passato agli imprenditori? Me lo auguro.

Rinascenze – Rampollamenti – Dissecamenti

A ripetersi con una certa apprensione quell’ormai famoso ”io speriamo che me la cavo”, sono un po’ tutti gli istituti religiosi implicati nel socio-sanitario.

Mi sentirei di dire: “niente paura“. Che non significa subire gli eventi passivamente, delegando di buon grado allo Spirito Santo ma semplicemente che bisogna rimboccarsi le maniche e dialogare con Dio e con gli uomini. L’ho appreso tanti anni fa e mi torna sempre in mente quel motto molto energico di Don Primo Mazzolari che vorrei essere capace di mettere in pratica: “un uomo d’onore non lascia agli altri la pesante eredità dei suoi “adesso” traditi”.

 Nel lontano 1949 il compianto P. Gabriele Russotto o.h. nel volume “L’ORDINE OSPEDALIERO DI S. GIOVANNI DI DIO ” riportava e commentava un passo del Papini:

A tutte le decadenze corrispondono rinascenze; tutti i disseccamenti sono accompagnati da speranzosi rampollamenti“. (Giovanni Papini: Storia della Letteratura italiana (Firenze, 1937),vol.I, pag.121)

E aggiungeva: “Nel secolo XVI  germogliarono molte “rinascenze” e molti “speranzosi rampollamenti” nel campo teologico, morale e caritativo, come corrispondenze ad altrettante “decadenze” e “dissecamenti”.

Giovanni di Dio e il suo Ordine sono una di queste provvidenziali “rinascenze” e uno di questi vigorosi “rampollamenti” nel campo dell’assistenza sociale e della carità ospedaliera.

In questa modesta sintesi storica, rievocando la grande figura di Giovanni di Dio e l’opera caritativa svolta da lui e dal suo Ordine, sarà facile poter constatare che le “rinascenze” e i “rampollamenti”, suscitati dal “pazzo di Granata”, non finirono con lui e nei limiti, pur vasti, di un secolo, ma continuano ancora al ritmo progredito del nostro secolo, conciliando  sapientemente nova et vetera in caritate Christi“.

Quella del Russotto è un’autorevole voce ottimistica della tradizione che va ad aggiungersi al “niente paura” o al più colorito “io speriamo che me la cavo”. Di mezzo vi è una certezza assoluta che viene dal sigillo, che il segno sacramentale della cresima imprime indelebilmente:

 Ricevi il sigillo dello Spirito che ti è dato in dono” (Rituale Cresima).

 Nei testi biblici e nella letteratura patristica il sostantivo “sigillo” e il verbo sigillare sono connessi con il mistero dello Spirito Santo. Così le espressioni “donare lo Spirito” e “dono dello Spirito” si rifanno a testi biblici ai quali dobbiamo continuamente rifarci se non vogliamo che l’Ospitalità si trasformi in panacéa che si sposa con tutti i piatti come il prezzemolo. Alle tante possibili citazioni bibliche, mi limito a riferirne qualcuna: 

  • Alla conclusione del discorso di Pentecoste, Pietro, rispondendo alla domanda degli ascoltatori, dice: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo” (At 2,38).

  • Simon mago voleva comperare il “dono di Dio” con denaro (At 8,19-20) e Pietro lo minaccia di perdizione.

  • Di fronte alla discesa dello Spirito Santo sui pagani in casa di Cornelio, i fedeli circoncisi che erano venuti con Pietro si meravigliavano che anche sopra quelli “si effondesse il dono dello Spirito Santo” (At 10,45; 11,17).

  • A coloro che hanno ricevuto l’iniziazione cristiana, la lettera agli Ebrei dice: “Quelli che sono stati una volta illuminati (battezzati), che hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo” (Eb 6,4).

 

Nel colloquio con la Samaritana Gesù le dice: “Se tu conoscessi il dono di Dio” (Gv 4,10);questo dono viene poi espresso con l’immagine dell’acqua viva. Il significato dell’acqua viva è la rivelazione: lo Spirito mi fa penetrare la rivelazione nella coscienza di credente (Gv 7,37-39). Così è accaduto alla donna, miracolata da Gesù in modo inconsueto: le ha inculcato il desiderio: “Se tu conoscessi il dono di Dio”. E lei, progressivamente, si è aperta alla fede.

 

Noi la parola fede l’abbiamo sempre sulle labbra. Il Card. Martini, nel rammentarci che credere è una parola-chiave dell’esperienza cristiana, ci ricorda che spesso è parola abusata. Il Vangelo di Marco ci riferisce che “Gesù predicava il Vangelo di Dio e diceva: il tempo è  compiuto e il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al vangelo” (1,15).

L’Arcivescovo dice che il termine greco usato da Marco e tenendo presente anche il vocabolo ebraico che vi sottostà, andrebbe tradotto così: “Appoggiatevi al Vangelo, affidatevi al Vangelo“. E’ l’esperienza di Israele: di chi si affida , si appoggia su una roccia, di chi si sente saldo perché è appoggiato a qualcuno molto più forte di lui. Sembra facile ma è difficilissimi fidarsi veramente di qualcuno”.

 A me che scrivo, a te Direttore che leggi, la fede che qui, adesso, viene proposta è proprio questa: fidati del Vangelo! Affìdati, abbandònati, appòggiati all’iniziativa di Dio che  ti viene incontro nella persona di Gesù, il vivente nella Chiesa e nella storia. 

 

La politica? Non ci spaventi. Siamo chiamati a credere alla possibilità impossibile. Nei momenti in cui si sperimenta un senso d’impotenza, non va dimenticato l’atteggiamento che fu dei padri. Ma i religiosi, i laici, con i politici devono dialogare. Anch’essi hanno una mente, un cuore. E magari anche una proposta, solo apparentemente scomoda. L’essere indirizzati su una diversa rotta può anche voler dire “segno dei tempi”. Il rifiuto pregiudiziale non è nelle indicazioni dell’Apostolo Paolo che scrive: “Non ostacolate l’azione dello Spirito Santo. Non disprezzate chi profetizza: esaminate ogni cosa e tenete ciò che è buono”. 1Tess 5,19-20 . 

 Le parole che il teologo Won Balthasar ha rivolto a CL, nel richiamare il movimento, ha messo in guardia un po’ tutti: “Se il movimento [l’Ordine, la Congregazione n.d.r.] dovesse chiudersi in sé, contento di se stesso e dei suoi successi, si allontanerebbe dal suo programma, perderebbe anche ogni drammaticità che risulta proprio dal continuo, nostalgico sforzo di andare oltre se stesso. Accontentarsi significherebbe essere arrivati, significherebbe riposo; ma questo riposo equivarrebbe alla morte“.

 

Per ora, a dar man forte è giunto l’ appello di Mons. Giuseppe Bertori, Segretario Generale della CEI: “Sanità cattolica: un patrimonio che va tutelato… E’ apprezzata dai cittadini, ma non ha i giusti riconoscimenti delle Regioni”. E’ già qualcosa. Poi si vedrà. Auspico che la Comunità Ospedaliera cui appartieni, assuma un impegno: “aiutare la politica ad aiutare”, conciliando “nova et vetera in caritate Christi”, come suggeriva il Padre Russotto.

 

Tuo affezionatissimo

Angelo Nocent

Da “Fatebenefratelli” - Genn/Mar 2009 

 

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