F.B.F. – PROVINCIA LOMBARDO-VENETA:TRA STORIA E PROFEZIA – Angelo Nocent

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LA PROVINCIA LOMBARDO-VENETA

TRA STORIA E PROFEZIA

Riflessione teologico-pastorale

PREMESSE.

La presente riflessione fornisce l’ indicazione di alcune piste possibili per la Provincia Lombardo-Veneta F.B.F. che prende coscienza di essere Chiesa, ma presente in un contesto di Chiese locali.

1. La comunità cristiana (istituto religioso-comunità terapeutica, parrocchia,  diocesi).

1.1. Negli ultimi decenni (dall’ecclesiologia del Vaticano II; cf Lumen Gentium) è avvenuto un grande passaggio nel linguaggio e nella comprensione della Chiesa, legata alla teologia della Chiesa locale o particolare.

Da “parrocchia” a “comunità cristiana”.

E’ il passaggio da un criterio territoriale o geografico, giuridico e funzionale ad un criterio teologale:

  • la Chiesa è “sacramento” o “mistero”,

  • cioè realtà umana, storica che rende presente e operante il mistero di Dio e della salvezza,

  • strumento, via, mezzo con il quale Egli continua a operare per gli uomini di oggi.

Il criterio territoriale pone in evidenza l’appartenenza sociologia, culturale:

  • tutti gli abitanti fanno parte della parrocchia (“cuius regio, eius et religio”), in un’epoca di cristianità.

  • Si parla di “religione” (partecipazione ad atti religiosi, entrati a far parte della cultura del territorio, conoscenza delle verità – teologiche e morali – della religione cristiana).

Il criterio teologale pone in evidenza la fede, intesa non come “fides quae” (verità oggettive), ma piuttosto come “fides qua”.

  • La fede è adesione personale a Gesù Cristo, al suo vangelo, al suo stile di vita, al suo progetto di storia;

  • adesione accolta e vissuta insieme (la comunità).

  • La scelta della fede è una scelta di campo, una appartenenza che segna la vita, il pensiero (la cultura), la storia personale e collettiva.

1.2. C’è un’icona che esprime la realtà della comunità cristiana: l’assemblea domenicale per la celebrazione dell’Eucaristia. Occorre imparare a leggerla:

  • la composizione dell’assemblea nella casa di Dio (da luoghi diversi, da storie diverse;

  • adulti e bambini, religiosi e laici, buoni e cattivi, bianchi e neri… come i pesci della rete gettata in mare).

  • E’il corpo di Cristo.

Le azioni di Dio per generare, per nutrire, accompagnare, sviluppare la sua Chiesa:

  • la Parola,

  • la Liturgia,

  • lo Spirito di Carità.

E’ fatta di “uomini”, cioè di storia, di “mondo”: viene dal mondo ed è inviata al mondo.

Non è la quantità dei numeri che dice la vitalità della comunità cristiana, ma la profondità della fede che accoglie la Parola, celebra i santi misteri, vive dello Spirito di Carità.

1.3. La comunità cristiana, corpo di Cristo, continua il progetto di Dio in Cristo, qui e ora: il Regno di Dio. Occorre ripercorrere tutta la Scrittura per aver chiaro che cosa è il Regno di Dio:

  • dalla creazione alla liberazione (Esodo),

  • dai Profeti alla sapienza,

  • fino all’Incarnazione, alla Pasqua, alla Pentecoste.

E’ il progetto di Dio per venire incontro agli uomini, per offrire loro la salvezza, cioè una vita “salvata dalla morte” e dal male.

Gesù racconta il Regno con parabole: è la storia che si ripete.

  • Il regno di Dio non è un luogo, una struttura:

  • è la signoria del “bene”, cioè della verità, della giustizia, dell’amore e della libertà.

  • E’ la costruzione del bene dell’uomo, di ogni uomo e di tutti gli uomini.

Nella comunità i cristiani fanno esperienza del Regno che Dio realizza per essi e diventano strumenti del Regno: testimoni, annunciatori, costruttori.

1.4. La comunità cristiana è fatta di uomini e di donne che vivono l’esperienza e la fatica della famiglia, del lavoro e della professione, della malattia, dell’economia, della politica, ecc; in essi il “mondo”, la storia, la cultura del tempo e del territorio entrano nella casa di Dio e nel progetto del Regno.

  • La Parola annunciata e accolta “cade” come semente nel terreno della vita;

  • l’Eucaristia diventa cibo, lo Spirito diventa guida.

  • Diventano anche criterio che illumina, discerne, orienta la vita e la storia.

  • La comunità cristiana non è chiusa al mondo, alla storia.

  • Diventa “sorgente” o fontana che dà acqua per la vita.

1.5. Emerge un’urgenza pastorale per le nostre comunità cristiane:

  • ritornare al primato della fede,

  • non come enunciazione di verità dottrinali,

  • ma come esperienza esistenziale di uomini e donne.

  • Ritornare al primato della Parola che entra nella vita, della Liturgia, dello Spirito di carità.

Occorre imparare a “dirsi”, l’un l’altro, la nostra fede all’interno della comunità cristiana, per imparare a raccontarla nelle famiglie, tra amici e colleghi di vita, in tutti gli ambiti delle relazioni umane.

La comunità cristiana vive, cresce, cammina per questa comunicazione germinale della propria fede. Questa è l’evangelizzazione.

  • Solo a partire da questa visione teologale della comunità cristiana (parrocchia, diocesi) è possibile un rinnovamento della chiesa;

  • Dopo saranno possibili le riforme strutturali (unità pastorali, decanati, piccole comunità, movimenti e associazioni).

2. La pastorale.

2.1. La comunità cristiana è il corpo di Cristo; ogni corpo vive e opera perché ha un’anima e un corpo. La pastorale è il vivere, il crescere, il muoversi della comunità cristiana.

E’ necessario riscoprire l’anima della pastorale (a fronte dell’impressione che le attività e le strutture abbiano ridotto la pastorale ad un’azienda…fallimentare!).

La vita della comunità cristiana nasce dalla Parola, dalla Liturgia, dallo Spirito di carità.

Con una attenzione:

  • spesso abbiamo tenuto la vita lontana dalla Parola, dalla Liturgia e dallo Spirito di Carità.

  • La Parola è diventata evanescente, senza senso;

  • la Liturgia è diventata un rito,

  • lo Spirito non anima le ossa aride, perché non incrociano la vita delle persone.

Chi ascolta e accoglie la Parola, celebra l’Eucaristia e gli altri sacramenti, è una persona o una comunità che vive l’esperienza della famiglia, della professione, della cultura .

  • La Parola entra e illumina,

  • la Liturgia trasforma,

  • lo Spirito vivifica.

Da qui parte l’esperienza del raccontarsi, tra fratelli e sorelle della stessa comunità, l’esperienza di quanto il Signore, attraverso la sua Parola e i suoi doni, opera in me.

  • La mia esperienza raccontata ai fratelli,

  • la loro esperienza raccontata a me, diventano “parabole del Regno”, annuncio e testimonianza che evangelizza.

  • L’esperienza dei santi.

La prima pastorale è quella che si compie tra fratelli e sorelle della stessa comunità cristiana. Si crea un legame di fraternità nella fede. Penso alla predicazione, ai Consigli pastorali, ai gruppi associativi di giovani e di adulti…

2.2. Ma un corpo ha anche una struttura che lo regge; anche la pastorale ha una struttura, quasi uno scheletro: non è tutto, ma senza di esso…il corpo non vive, non si muove.

La pastorale spesso spreca le sue energie (preti e laici sfiduciati) perché la struttura non funziona.

  • La struttura della pastorale non è un opzional;

  • è dettata dalla natura e dalla finalità stessa della comunità cristiana.

  • ogni elemento, ogni persona, ogni iniziativa, ogni gruppo o attività ha un suo posto, una sua funzione e si collega vitalmente con tutto il resto del corpo, che è la comunità stessa.

  • La comunità è il primo e unico soggetto della pastorale: tutti i soggetti particolari (prete, religiosi, gruppi, attività, strutture…) sono parte ed espressione della comunità.

  • Il coordinamento degli elementi che costituiscono la comunità e la pastorale è essenziale: altrimenti …il corpo si smembra e spreca le energie. Ma questo è un “sacrilegio”.

2.3. Emerge la necessità irrinunciabile degli organismi di partecipazione, in primis del Consiglio pastorale. E’ il luogo e lo strumento che rende possibile la pastorale della comunità cristiana come corpo unitario.

Nella sua composizione è rappresentativo di tutta la comunità (attenzione alle regole per la composizione, il rinnovo del CP): tutte le realtà, i soggetti, i gruppi sono parte della Chiesa, cioè della comunità cristiana. Nessuno cammina e opera da solo nella chiesa!

Suo compito prioritario è di coordinare i soggetti, le attività, le proposte, le strutture…

  • La pastorale non è un insieme scomposto di attività;

  • la comunità non è il supermercato delle proposte.

  • Per questo il CP, all’inizio dell’anno pastorale, elabora – con la partecipazione di tutti – il programma pastorale della comunità, in sintonia con il decanato, con la diocesi, con la chiesa italiana.

  • La comunione ecclesiale non è un sentimento: è un criterio di azione e di organizzazione.

2.4. La Curia Provincializia – I Segretariati:

  • sono strutture di coordinamento tra comunità cristiane della stessa Chiesa locale (la diocesi).

  • Operano secondo il “principio di sussidiarietà”.

Gli organismi di partecipazione e di coordinamento

  • sono la strada concreta, prevista dalla Chiesa, che rendono reale la partecipazione e la corresponsabilità di tutti fedeli alla vita della propria comunità,

  • la valorizzazione e la maturazione dei cristiani laici,

  • la valorizzazione e la complementarietà dei carismi e dei ministeri che lo Spirito dona ad ogni Chiesa, secondo le proprie necessità,

  • la unitarietà della comunità cristiana,

  • il rinnovamento della pastorale secondo le esigenze del tempo presente, il dialogo con la cultura e la storia del territorio.

Se mancano o non funzionano questi meccanismi non resta altro che continuare a fare pii auspici.

Il compito del Provinciale, strettamente legato con quello del Pastore (capellano, parroco, Vescovo) è quello di far funzionare questi organismi, come strumento concreto di armonia e collaborazione tra carismi e ministeri presenti nella propria comunità, come strada reale per la “conversione pastorale” delle comunità.

2.5. Una annotazione merita il funzionamento degli organismi di partecipazione, primo fra tutti il CP; spesso diventano inutili per un funzionamento non corretto. Il lavoro di un CP assomiglia ad una tessitura:

  • ciascun Consigliere è chiamato (è tenuto) a dare il proprio “Consiglio” sull’argomento all’ordine del giorno.

  • Solo dalla pazienza di mettere insieme il Consiglio di ciascuno, comprendendo ciascuno le ragioni degli altri, nascono le indicazioni per la vita della comunità cristiana, come indicazioni dello Spirito. Il CP infatti è un “organo consultivo”!

  • La funzione del parroco-presidente del CP.

  • Importanza delle formalità: ordine del giorno, documentazione, verbalizzazione, comunicazione alla comunità…E’ una scuola esigente di vita cristiana, di santità.

3. La cultura e il territorio.

3.1. La Provincia Lombardo-Veneta deve tracciare con precisione l’identikit della cultura dei suoi Centri, condizione per poter innestare il discorso del carisma istituzionale che, diversamente, faticherebbe a reggersi o ne uscirebbe impoverito. E’ da tenere presente che:

  • La cultura crea mentalità, stili di vita, scelte personali, familiari, comunitarie, sociali e politiche a tutti i livelli.

  • Il territorio si configura, di fatto, in base alla cultura dei suoi abitanti.

  • Il passato si innesta sul presente e genera il futuro: le scelte di oggi condizionano il domani dei nostri figli.

Non è difficile notare alcuni tratti che connotano la cultura generale del nostro tempo; qualcuno parla della “religione del mercato”, cioè del prevalere dei criteri mercantilistici (tutto si compra e si vende). Il criterio mercantilistico si impone a livello personale, come anche a livello strutturale, sociale, politico, nazionale e internazionale.

Questo criterio tende a soppiantare i criteri etici che fondano la bontà e la correttezza della vita delle persone, dei gruppi sociali e degli stati: la verità, la giustizia, la carità, la libertà: è vero, giusto, buono, libero non ciò che oggettivamente è tale, ma ciò che può essere imposto con la forza del mercato, del potere, dei numeri. C’è, giustamente, da essere preoccupati.

3.2. A fronte di tutto ciò che sta avvenendo (o è già avvenuto), appare pensante l’afasia delle comunità cristiane. Sembrano problemi estranei; anzi spesso spunta l’accusa di “fare politica” per comunità o persone che “entrano” in terreni come questi. Eppure fanno parte della vita di quelle persone cristiane che, la domenica, ascoltano la Parola, celebrano i santi misteri e ricevono lo Spirito. Spesso, proprio i cristiani sono dubbiosi, angosciati, preoccupati (come nel caso della guerra all’Iraq, dell’immigrazione…).

Sembra di capire anche che il territorio spesso attende dai cristiani una parola di valutazione, di orientamento.

  • Ma la comunità cristiana è destinata a restare estranea e silenziosa di fronte alla cultura, alle scelte storiche, agli avvenimenti del proprio tempo e del proprio territorio?

  • non deve forse apprendere a muoversi in questi ambiti decisivi della vita delle persone, della città e dei popoli?

3.3. Il primo passaggio da compiere è quello di mettere sempre in evidenza la “valenza storica” (o politica) della parola di Dio, come della fede e della Liturgia. La Bibbia è la storia di un popolo nella quale i credenti leggono e accettano la presenza e l’azione di Dio che cammina con il suo popolo verso la salvezza.

Chi legge o ascolta la Parola oggi, è rimandato alla propria storia, alle vicende del proprio tempo: in caso contrario la Parola rimane astratta, incomprensibile.

  • E’ la vita che illumina la Parola, come la Parola illumina la vita.

  • Tutti i “misteri” della fede sono paradigma del vivere umano, secondo quel progetto di Dio che è il Regno (es. la Trinità è il paradigma delle relazioni umane a tutti i livelli).

E’ l’impostazione teologica di Giovanni Paolo II: chi ascolta la Parola, chi celebra l’Eucaristia non può non essere dalla parte della pace, della verità, della giustizia, della carità, della libertà; non può accettare scelte e comportamenti che sono di guerra, di falsità, di ingiustizia, di egoismo, di oppressione dei deboli. Questo non sarebbe solo un comportamento immorale: è una sconfessione della fede.

3.4. E’ necessario imparare a entrare nelle questioni della cultura, del territorio, della storia con l’esercizio del “discernimento comunitario” (cf. convegno di Palermo), per giungere alla “conversione pastorale”.

Il discernimento è un procedimento scientifico, esigente nei suoi passaggi metodologici. E’ la capacità di entrare dentro ad un fatto, ad un avvenimento, ad una scelta concreta, e discernere (cioè distinguere, separando elementi e fattori diversi), alla luce della Parola, della fede, del magistero della chiesa, ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, in modo da valutare obiettivamente e di compiere le scelte corrette ed efficaci.

Il metodo del discernimento

  • permette ad una comunità cristiana di entrare nella storia, nei fatti che occupano e preoccupano i cristiani, come tutti gli altri cittadini di un territorio, dialogando – concretamente – con la cultura, con le istituzioni, i servizi i soggetti presenti e operanti;

  • permette di coniugare concretamente la fedeltà alla propria fede e alla Parola, con la fedeltà all’uomo, alla storia;

  • permette di non rimanere estranea e muta;

  • permette di non appiattirsi o di lasciarsi appiattire su posizioni ideologiche o di schieramenti politici;

  • permette di diventare profetica, cioè capace di indicare le vie del futuro.

3.5. Il soggetto deputato al discernimento comunitario è ogni organismo di partecipazione, in particolare il CP di ciascuna comunità (parrocchia, decanato, diocesi). Ma questo dovrebbe essere anche il modo ordinario di camminare (e di fare formazione) per i gruppi associativi di cristiani adulti (adulti nella fede, nella vita della propria città). C’è solo bisogno di iniziare, di imparare per scoprire quanto è “profetica” e innovativa questa strada.

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