06 – RIFLESSIONI SUL MISERERE – LA PENITENZA – C. M. Martini

Sicomoro - Zaccheo

La penitenza

 

Dal Vangelo secondo Luca: 19, 1-10

Entrato in Gerico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là.


Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua ». In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È andato ad alloggiare da un peccatore! ». Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto ». Gesù gli rispose: « Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo, il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

 

Allora gradirai i sacrifici prescritti,
l’olocausto e l’intera oblazione,


Questa sera vogliamo cercare il volto del Signore meditando su alcune delle parole finali del Salmo 50 là dove dice: « Allora gradirai i sacrifici prescritti, l’olocausto e l’intera oblazione » (v. 21).


In realtà, gli esegeti si pongono il problema se questi ultimi versetti, a partire dal v. 17, e soprattutto il v. 20, appartengano o no al Salmo. Alcuni li ritengono un’appendice liturgica, di carattere nazionale, che a questo punto si aggiunge per trasformare un canto di supplica individuale in un canto collettivo.


Si paria, infatti, di Sion, di Gerusalemme, delle sue mura e dei sacrifici: tutte realtà che riguardano il culto del tempio e la stessa vita civica. Nei versetti precedenti, invece, c’è una persona che dialoga con Dio in un crescente cammino di riconciliazione.

 

Risonanze politiche del Salmo

 

Ci troviamo dunque di fronte ad una visuale ampia, allargata, nella quale il cammino individuale va a sfociare nella vita liturgica dell’intera comunità di Israele, anzi dell’intera città.


Potremmo dire che siamo chiamati a meditare sulle risonanze sociali e politiche del Salmo penitenziale e del cammino di riconciliazione che esso ci propone. Ritornano, in un certo senso, le parole con cui abbiamo cominciato i nostri incontri. Allora, riferendomi al Sinodo mondiale dei Vescovi, sottolineavo che uno dei punti di convergenza dell’assemblea sinodale era stata la convinzione che non c’è riconciliazione sociale, civile, politica senza la conversione dei cuore. E viceversa che non c’è conversione del cuore senza ripercussione sulla collettività.


È su questo sfondo che desideriamo approfondire questa sera il momento del Sacramento della Riconciliazione che è chiamato appunto la «penitenza» o « soddisfazione ». Si tratta cioè di quei gesti, preghiere, azioni che il sacerdote confessore ci chiede di compiere quale segno, frutto ed espressione della nostra conversione.

 

La penitenza

 

Quando io, come ministro del Sacramento, quindi come confessore, penso alla « penitenza », sento certamente emergere qualche disagio: è forse uno dei momenti che maggiormente mettono in difficoltà il sacerdote. gli, infatti, si domanda:


  • Quale penitenza è veramente adeguata al cammino di questa persona che ho davanti?

  • Come posso, in un tempo così breve, individuare la penitenza che per questa persona sia frutto di una specifica conversione, un suo momento di grazia?

  • Che cosa le è veramente utile per esprimere, in modo specifico, il suo cammino storico?

     

Ecco che allora il confessore spesso sfugge a questa difficoltà proponendo genericamente una preghiera o un atto di culto: cose molto belle, importanti, che tuttavia non sembrano avere sempre una rispondenza immediata al cammino che la persona sta compiendo.
Questo è il disagio concreto del momento specificamente penitenziale del Sacramento, quando si vuole uscire dalla routine, dall’abitudine, dalla formalità e adattarsi alla persona.


D’altra parte sono convinto – e lo siamo tutti – che quello è uno dei momenti in cui la Chiesa è più vicina, in forma concreta, a colui che compie un itinerario di penitenza. È vero che gli è vicina in ogni tappa del Sacramento: nell’esame di coscienza aiutando con le domande; nel momento del « dolore» suggerendo le parole; invitando al proposito con l’esempio dei santi; soprattutto facendosi trasparenza di Cristo misericordioso quando accoglie e assolve in nome del Signore.
Nel momento di suggerire la « penitenza », però, la Chiesa vuole adattarsi in maniera tutta particolare, facendosi -vicina al camIl1ino di ciascuna persona nella sua irripetibile individualità.


Dovrebbe quindi farsi maestra di itinerario penitenziale perché la persona esprima, secondo la parola di Giovanni Battista, «frutti. degni di penitenza », segno di un cuore che si vuole rinnovare.
Abbiamo così individuato il problema emergente dalla lettura degli ultimi versetti del Salmo.

 

L’uomo Zaccheo

 

Tenendo ora presente la difficoltà che la « penitenza» pone al sacerdote che amministra il Sacramento, vi invito a meditare il brano evangelico che parla di Zaccheo (Le. 19, 1-10).


Possiamo definirlo, infatti, un brano di incontro penitenziale tra l’uomo e Gesù: è un racconto storico singolare perché esprime una realtà permanente.


In questo incontro, l’uomo Zaccheo compie delle azioni successive, interne ed esterne, che sono, alcune, la premessa e, altre, la conseguenza della parola di perdono di Gesù.

 

a) L’azione interna che Zaccheo compie è il suo desiderio di vedere Gesù. È un desiderio forte, intenso, che potremmo quasi chiamare « estatico »,che fà usci’re cioè Zaccheo fuori di sé. Non è infatti spiegabile che sia la semplice curiosità a farlo correre per vedere Gesù, ad imporgli di fare le cose che sta facendo! È un profondo desiderio che lo muove dal ‘di dentro e che è già amore, un amore incoativo, incipiente per Gesù, che lo spinge a compiere un’azione esterna.

 

b) L’azione esterna che compie Zaccheo è quella di mettersi a correre e di salire su un albero. Stupisce che un uomo come lui, un impiegato, si metta a correre per la strada, e salga poi su un albero, cosa che non avrebbe fatto in un momento ordinario. È una persona che sta vivendo un attimo di amore così forte da dimenticare le abitudini, le convenienze, il suo nome, il suo prestigio, la sua boria.
Su questo amore intenso di Zaccheo ecco allora che cade la parola di amicizia di Gesù: «Oggi vengo a casa tua ». È una parola bellissima che a me è stato dato di ripetere e di esprimere a coloro con i quali ho potuto comunicare durante le trasmissioni televisive della Quaresima, proprio partendo dall’espressione: Oggi vengo a casa tua e vorrei che tu mi invitassi a cena.


Questa parola di familiarità sorprende Zaccheo e suscita in lui alcune nuove azioni che non sono più di premessa ma di conversione.
a) L’azione esterna è che Zaccheo accoglie Gesù, pieno di gioia.
b) L’azione interna è che Zaccheo decide e comunica di voler dare ai poveri la metà di quello che ha e di riparare i torti in misura straordinaria.


La parola di Zaccheo: «Signore, do la metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto» è la risultanza penitenziale, sociale, civile, comunitaria del cammino di Zaccheo. È il frutto di « penitenza» della sua riconciliazione.

 

Gioia e proposta della penitenza

 

“Tuttavia ci sono ancora due sottolineature da fare in questo cammino di Zaccheo.

 

Innanzitutto la gioia con cui compie le sue azioni, una gioia che lo rende straordinariamente, quasi, diremmo, sconsideratamente generoso, al di là di ogni calcolo. Gli si potrebbe fare osservare che se dà la metà dei suoi beni ai poveri, l’altra metà non gli basta per restituire il quadruplo! In realtà, Zaccheo ha, per così dire, perso il senso della misura, è stato trasformato dall’amicizia e dalla riconciliazione con Gesù e per questo ciò che gli importa è di lasciar risuonare intorno a sé la gioia con abbondanza, quale segno della sua conversione.


Il primo frutto dell’incontro penitenziale è dunque la gioia, una gioia che deborda, trabocca intorno a noi e che ci fa compiere con facilità azioni anche difficili a cui non ci saremmo mai decisi prima di aver ascoltato la parola di Gesù.

 

La seconda sottolinea tura del cammino di Zaccheo è che lui stesso propone a Gesù la «penitenza» che vuoi fare e Gesù l’approva. Zaccheo propone ciò che è più adatto per un uomo avido, imbroglione, desideroso di possedere come è lui.


Ha saputo cogliere il proprio punto debole e su questo si rinnova. Per lui il frutto di « penitenza» è la generosità verso i poveri, la prontezza nel riparare i torti che ha arrecato agli altri (non lunghe formule di preghiera, non pellegrinaggi, non gesti esteriori che non toccano). È la sua personale, storica, precisa penitenza.. Gesù l’approva e gli dice: « Oggi la salvezza è entrata in questa casa ».

 

Possiamo ritornare alla nostra domanda iniziale: Quale penitenza adeguata al cammino di chi ho davanti posso dare come sacerdote che amministra il Sacramento della Riconciliazione? Come posso aiutare a fare frutti degni di penitenza?


La risposta suggeritaci dal brano evangelico è molto semplice. Forse è il penitente che può aiutare me confessore, forse è colui che ha instaurato con me un dialogo penitenziale che può suggerirmi come aiutarlo a fare frutti degni di penitenza. Invece di chiedere a me stesso, a me sacerdote: « che cosa devo dare come penitenza? », posso chiedere a questa persona, a questa sorella, a questo fratello che è venuto da me: « quale penitenza credi che ti sarebbe utile? quale opera di giustizia, di pietà, di misericordia corrisponde in questo momento al tuo cammino? ».


Ciascuno, quindi, è in grado di aiutare il confessore nello stabilire una penitenza che sia segno ed espressione di un autentico itinerario penitenziale.


Anziché lamentarci che la «penitenza» è poco adatta, che è esteriore, form~le, che è sempre la stessa, noi potremmo, in un dialogo più disteso e più aperto; suggerire qualche volta che cosa riteniamo importante come segno della conversione che abbiamo chiesto a Dio, come frutto dello Spirito Santo di purificazione, invocandolo nei nostri incontri con le parole del Salmo: «Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo… non privarmi del tuo Santo Spirito, rendi mi la gioia di essere salvato… ».

 

Domande per noi

 

Vorrei allora proporre due domande per la vostra riflessione silenziosa.

 

  • La gioia di Zaccheo accompagna in me il Sacramento della Riconciliazione? E se non lo accompagna abitualmente, qual è la causa? Parlo evidentemente di una gioia profonda, non superficiale, di una gioia che potrà anche essere tenue nella sua risonanza sensibile e che però al fondo ci deve essere e deve muovere lo spirito alla generosità.


  • Se non c’è questa gioia di fondo, il motivo va forse ricercato in qualche modo sbagliato di vivere il cammino di riconciliazione, a cui abbiamo accennato nel primo dei nostri incontri. Un’idea sbagliata di Dio, della sua misericordia, della sua iniziativa di amore; oppure un non affidarsi abbastanza alla Chiesa nel nostro cammino; o un dolore che non parte da un vero dialogo con Gesù, da una contemplazione interiore del Padre.


    Sono diversi motivi che ciascuno può evocare per comprendere come mai la gioia non accompagna abitualmente il Sacramento della Riconciliazione.

 

La seconda domanda richiede una riflessione silenziosa più lunga: se io dovessi suggerire al sacerdote confessore una penitenza adatta per me, in questo momento della mia vita, che cosa direi?


Questa è una domanda esigente perché ci impegna ad individuare non solo le nostre mancanze, i peccati ma anche le inclinazioni negative, ad individuare quegli atti e quei gesti che possono colpire alla radice il male che c’è in me. Gesti di penitenza quindi che sono un frutto degno della conversione personale.


Se mi accorgo, ad esempio, che i miei peccati, le mie mancanze derivano dall’egoismo, affiorerà come penitenza adeguata un atto di generosità autentico, che mi costa davvero. Se mi accorgo che alcuni miei peccati derivano da pigrizia, emergerà come penitenza una vittoria sulla mia pigrizia, sulla golosità, sulla curiosità, sulla morbosità, su tutto ciò che rende la mia vita pigra,”:pesante, neghittosa. Se mi accorgo che le mie mancanze derivano da antipatie; dalla non accettazione . di alcune persone, allora emergerà come penitenza un gesto di attenzione per queste persone, un gesto semplice ma che mi coinvolga davvero.

 

Preghiamo il Signore dicendo:

 

« Signore, noi vogliamo offrir ti frutti degni di penitenza non solo per noi ma per la Chiesa intera, per tutta l’umanità, per tutta questa città, perché ci sentiamo corresponsabili del cammino di conversione dell’umanità intera.


Sciogli, o Signore,

i nostri cuori, la nostra lingua, le nostre mani

perché possiamo conoscere ciò che veramente

è segno di un cammino nuovo,

ciò che è un passo avanti deciso verso di Te!

 

Non permettere che cadiamo nell’abitudine,

nella pigrizia, nella monotonia:

rendici santamente inquieti

perché mediante un cammino serio ed autentico verso di Te

possiamo ritrovare in noi la sorgente della gioia.

Te lo chiediamo per noi

e te lo chiediamo per ciascun uomo

e per ciascuna donna che nella nostra città,

nella nostra diocesi, vive ed opera ».

 

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