MISSIONE OSPEDALIERA: BUONA NOTIZIA DELLA GUARIGIONE DI DIO PER L’UOMO D’ OGGI

teofania 

MISSIONE OSPEDALIERA:

BUONA NOTIZIA DELLA GUARIGIONE DI DIO PER L’UOMO DI OGGI

 

DOCUMENTO DEL XIX CAPITOLO GENERALE

Roma, Maggio 2006 

PRESENTAZIONE 

In attesa della celebrazione del 125° Anniversario di Fondazione della Congregazione, si conclude a Roma il XIX Capitolo generale. Il Documento Finale che da esso deriva, e che oggi presento alla Congregazione, è una lettura della realtà congregazionale dal punto di vista della Missione così come si evince dal titolo stesso: «Missione Ospedaliera: Buona notizia della

guarigione di Dio per l’uomo di oggi». 

Il documento, nato dalla riflessione delle comunità e di alcuni gruppi di collaboratori, torna alla comunità ospedaliera affinché ciascuno dei suoi membri, sia individualmente che riuniti in un corpo solo, lo accolga come una guida che indichi i percorsi e tracci nuove mete per un servizio ospedaliero che risponda efficacemente alle necessità del mondo della sofferenza, verso il quale siamo chiamate. 

Il testo biblico degli Atti 10,34-48, che narra il discorso di Pietro a casa di Cornelio ed il Battesimo dei pagani, è il fulcro di tutto il Documento. La sua struttura ed il suo contenuto permettono di evidenziare le dimensioni teologiche, ecclesiali, carismatiche ed esistenziali del nostro Carisma e dello stile Ospedaliero, oltre ad evidenziare gli obiettivi e le strategie che animeranno l’Azione Ospedaliera durante il prossimo sessennio. 
 

Nella narrazione esperenziale che il Documento propone, scopriamo l’impegno della Comunità Ospedaliera con la Storia come luogo di Salvezza. Così come Pietro riconosce che: «Questi hanno ricevuto lo Spirito Santo come noi», allo stesso modo noi crediamo che il dono carismatico, accolto dai Fondatori per il bene dei malati psichiatrici, possa essere condiviso da suore e collaboratori, promuovendo nuove azioni apostoliche «nella grande opera di costruzione del Regno di Dio» ( BENEDETTO XVI, Omelia della Messa dell’inizio ufficiale del suo Pontificato, 24 aprile 2005.) 

Il Documento Capitolare è composto da quattro parti tra loro collegate, che nell’insieme caratterizzano la Missione come un modo di annunciare e realizzare l’azione di salvezza e guarigione di Gesù a favore degli emarginati e degli infermi, secondo la tradizione centenaria della Congregazione. Ciascuna delle parti ci conduce dalla narrazione teologico-spirituale-carismatica all’impegno con la realtà, espresso sotto forma di obiettivi e strategie che danno corpo alla riflessione. 

  1. Ospitalità, un carisma da testimoniare

La prima parte del Documento sottolinea, in particolar modo, la dimensione teologico-spirituale della Missione come espressione dell’irruzione del Regno di Dio tra i poveri e gli infermi. Così, come Gesù fu unto Messia e Profeta, Colui che annuncia e realizza il progetto di Salvezza del Padre, allo stesso modo tutte noi, membri della Comunità Ospedaliera siamo inviate a dare continuità alla Sua azione, guarendo e liberando le persone più deboli della terra.

Attraverso il nostro lavoro quotidiano, fatto di gesti e parole, rendiamo possibile l’arrivo improvviso e dilagante del potere di Dio che trasforma la sofferenza e la tristezza in gioia, speranza e salute integrale. È questa la nostra identità Carismatica; è questa la sfida dello Spirito per il nostro tempo. 

2. Ospitalità: una Missione da condividere

La seconda parte sottolinea la dimensione comunitaria della Missione condivisa da tutta la Comunità Ospedaliera che, nella misura in cui nasce da comunità radicate nella Parola di

Dio e alimentate dall’Eucaristia, darà frutti di vita nuova per le persone sommerse dal dolore. 

Noi, suore e collaboratori, siamo invitati a lasciarci evangelizzare per essere noi stessi evangelizzatori attraverso la nostra azione. Le diversità di cultura, ideologia, filosofia, credenze, che si vivono all’interno della Comunità Ospedaliera apporteranno alla Congregazione la ricchezza della comunione che permette di lavorare insieme alla costruzione di un mondo più giusto, più solidale e sempre più umano. 

3. Ospitalità: una chiamata a costruire il Regno

La terza parte del Documento emerge con vigore dal racconto biblico che illumina tutto il testo. Pietro si rende conto che Dio non fa distinzione di persone, ma al contrario a coloro

che Egli ama dà  liberamente il Suo Spirito, chiamando tutti ad essere strumento attivo per la costruzione del Suo Regno di Giustizia e Fraternità. La sfida immediata che si coglie da questo racconto è quella della Spiritualità della Collaborazione. Tutti noi, suore e collaboratori, siamo chiamati alla stessa ed unica Missione, ossia quella di Evangelizzare guarendo. 

La Congregazione, attraverso il Documento Capitolare, propone a tutti coloro che lavorano alle sue Opere di collaborare attivamente e creativamente al servizio ospedaliero, con libertà interiore e in rispetto della propria fede, con la coscienza che «insieme saremo buona notizia che Dio continua a proporre la Sua Salvezza all’uomo contemporaneo». 

4. Missione condivisa: Obiettivi strategici 2006-2012 

Oltre agli obiettivi ed opzioni con cui termina ciascuna delle parti del documento, la quarta ed ultima parte, che deriva dalla narrazione precedente, presenta un carattere maggiormente programmatico, traducendo in obiettivi strategici le sfide che la missione ospedaliera ci presenta oggi. 

Il progetto della Missione Condivisa è stato studiato e formulato da diversi collaboratori, revisionato e assunto, come linea-guida per la missione ospedaliera, dal Capitolo che ora lo dona a tutta la Comunità Ospedaliera affinché si impegni nella sua realizzazione. In questo modo potremo interpretare con armonia, bellezza ed efficacia lo «Spartito Ospedaliero» in ciascun paese del mondo dove è presente la Congregazione. 

La partecipazione di un gruppo di collaboratori, in questa fase del Capitolo generale, non solo ha arricchito la riflessione, ma ha rappresentato anche un segnale di ampliamento dell’ambito di pertinenza, rafforzando la corresponsabilità nella Missione Carismatica della Congregazione.

La coincidenza della pubblicazione di questo Documento con la celebrazione del 125° Anniversario della Fondazione della Congregazione non è casuale.  

Il sogno, che San Benedetto Menni, María Josefa Recio, María Angustias Giménez e la comunità ospedaliera originaria ebbero di creare un Istituto che «fondato su solide e ferme fondamenta fosse la meraviglia dell’universo », (RMA 56), si vede oggi accolto da tutti coloro che sono coinvolti, in un modo o nell’altro, nella realizzazione della missione ospedaliera.  

1Il traguardo dei 125 anni deve essere un punto di riferimento obbligato per dare impulso ad un rinnovamento che offra, ai destinatari dell’Ospitalità e alla società in generale, una testimonianza di speranza in quel futuro che vogliamo costruire insieme. 

María Camino Agós

Superiora Generale 
 
 
 

MISSIONE OSPEDALIERA:

Buona notizia della guarigione di Dio

per l’uomo di oggi 

Seguire Gesù che:«passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo….» (Atti 10,38) 

DIO NON FA PREFERENZE DI PERSONE 

Il testo degli Atti 10,34-48 è il filo conduttore del Documento Capitolare, è il faro che lo illumina. 

Discorso di Pietro presso Cornelio. 

Pietro prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a Lui accetto. Questa è la parola che Egli ha inviato ai figli d’Israele, recando la Buona Novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo che è il Signore di tutti. Voi conoscete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; cioè come Dio consacrò  in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con Lui. E noi siamo testimoni di tutte le cose da Lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi

lo uccisero appendendolo ad una croce, ma Dio lo ha resuscitato al terzo giorno e volle che apparisse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con Lui dopo la sua resurrezione dai morti. E ci ha ordinato di annunziare al popolo e di attestare che Egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio. Tutti i profeti gli rendono questa testimonianza: chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome». 

Il Battesimo dei primi pagani 

Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso. E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: «Forse che si può impedire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?» E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Dopo tutto questo lo pregano di fermarsi alcuni giorni. 

OBIETTIVO GENERALE 

Gli obiettivi e le opzioni proposte dal XIX Capitolo generale si deducono dalla sua narrazione tematica. Dal dialogo tra la Parola di Dio, la parola dei Fondatori e la vita delle comunità ospedaliere, scaturiscono le proposte del Progetto Capitolare. 

Gli obiettivi settoriali e le opzioni con i quali termina ciascuna delle prime tre parti, e gli obiettivi strategici 2006-2012, che costituiscono la quarta parte del Documento Capitolare,

cercano di rispondere, in maniera programmatica, a quello che lo Spirito ci chiede, in questo momento della nostra storia congregazionale, al fine di essere «Buona Notizia della guarigione di Dio per l’uomo di oggi». 

Come risposta al tema del XIX Capitolo generale, formuliamo un Obiettivo Generale, una meta verso la quale ci impegniamo, come comunità ospedaliera, a camminare nel corso del

prossimo sessennio: 

«Vivere,

come Comunità Ospedaliera,

la Missione Guaritrice di Gesù

con dinamismo creativo,

per collaborare alla costruzione del Regno di Dio».

.

PRIMA PARTE 

OSPITALITÀ: UN CARISMA DA TESTIMONIARE 

«Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nazaret» (v. 38) 

Il Nucleo della prima evangelizzazione 

1. La prima cosa che Pietro racconta a Cornelio, un adepto del giudaismo, quando lo incontra, è quanto è «accaduto in tutta la Giudea» (v. 37). Secondo quanto si dice nell’Antico Testamento, narrare le vicende vissute dal popolo o da una o più persone permette di intravedere in esse l’intervento di Dio Salvatore di Israele. La narrazione dei prodigi di Jahvè nasce dalla contemplazione attonita della sua azione salvifica e si trasforma in annuncio evangelizzatore attraverso il racconto. 

Pietro è testimone dell’intervento di Javhè su Gesù. Il nucleo della prima evangelizzazione è la narrazione di quello che accadde a Gesù e con Gesù, dalla quale deriva la riflessione su Egli e su Dio. 

Gesù: consacrato del Signore e Profeta del Regno. 

2. «Dopo il battesimo, predicato da Giovanni» (v. 37), ciò che spinge Gesù ad agire e a predicare è il dono dello Spirito Santo. (Il terzo evangelista interpreta il Battesimo di Gesù come il momento della sua consacrazione profetica, (Lc 3,21-22). L’unzione dello Spirito configura Gesù come Profeta sorto per Volontà di Jahvè: «Lo Spirito del Signore è sopra di me. Per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare (…) un lieto messaggio». La citazione di Isaia 61,1-2, in Luca 4,18-19 ci mostra come le prime comunità cristiane videro nella persona di Gesù il profeta Messianico definitivo, inviato agli ultimi di Israele, ossia «ai poveri, ai cuori spezzati, agli schiavi, ai ciechi e agli oppressi». 

Lo Spirito elegge Gesù come Profeta e Messia, che compie la sua missione annunciando al popolo che alla fine giungerà la sua Salvezza: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi, che annuncia la pace, messaggero di bene che annunzia

la salvezza, che dice a Sion: «Regna il tuo Dio» (Is 52,7). La consacrazione attraverso lo Spirito determina l’identità di Gesù, che si manifesta nell’annuncio del «Vangelo della pace3»

(Atti 10,36).  

La missione messianica di Gesù è una missione di salvezza 
 

3. Nella tradizione dell’Antico Testamento, i Profeti sono presentati come persone che sostengono il loro messaggio attraverso segni molto evidenti ed eloquenti. Anche l’attività pubblica di Gesù, Profeta e Messia del Regno, si manifesta attraverso parole e gesti. Le prime, evidenziano le ragioni del suo agire, mentre i secondi danno concretezza al suo predicare: l’annuncio dell’irruzione del Regno di Dio comunica una buona notizia e allo stesso tempo produce un’azione salvifica. 

I discepoli che si recavano a Emmaus, definiscono Gesù come «(…) profeta potente in opere e in parole davanti a Dio e a tutto il popolo» (Lc 24,19). Allo stesso modo, il primo evangelista descrive la sua attività come segue: «Gesù andava attorno per tutta la Galilea insegnando nelle loro Sinagoghe e predicando la 20 Missione ospedaliera: Buona notizia Prima Parte. Ospitalità: un Carisma da testimoniare buona novella del Regno e curando ogni sorta di malattie e infermità nel popolo» (Mt 4,23). 

La consacrazione dello Spirito gli conferisce il potere di vita che dà vita. Gesù, vero benefattore dell’umanità, vive la sua missione messianica come missione di salvezza, agendo come medico e amico degli infermi. La sua azione apre nuovi orizzonti per l’umanità, permettendo a ciascun individuo di svilupparsi completamente.

Ospitalità: evangelizzazione nella guarigione 

4. Nella tradizione spirituale ospedaliera troviamo il nucleo della vera Spiritualità del Regno in Gesù: l’evangelizzazione nella guarigione. San Benedetto Menni considerava assai importante la presenza dell’ordine ospedaliero che secondo il Papa Pio V: «era un fiore indispensabile nel giardino della Chiesa», e affermava: «come il Divino Salvatore comandò ai suoi discepoli

di andare ad annunciare il Santo Vangelo cominciando a curare i malati, così il Santo Padre Pio X vuole che la pratica della Santa Ospitalità sia un argomento irresistibile a favore della religione che ispira lo spirito di carità e abnegazione, con cui si possono vincere anche le maggiori preoccupazioni ad essa contrarie, preparando in tal modo l’animo affinché sia capace di accogliere i beni della vita spirituale incomparabilmente più grandi rispetto alla stessa vita

religiosa»4. Allo stesso modo, il nostro Fondatore considera molto importante la presenza della nostra Congregazione, ricordando nel Prologo alle prime Costituzioni che la religione: «è sempre stata la prima a dare conforto e ad asciugare le lacrime dell’umanità sofferente, ovunque le abbia incontrate». 

L’Ospitalità, vista da Benedetto Menni, si adopera per portare la guarigione a tutte le persone e si identifica nel servizio integrale agli infermi: «non si limita solamente a curare i corpi dei malati, ma si dedica alla cura dell’uomo nella sua totalità di corpo e anima, con i suoi bisogni e le sue malattie fisiche e spirituali, adoperandosi per servirli cristianamente, ossia come un esercizio di carità cristiana […] mira alla guarigione delle anime senza trascurare la salute fisica» ( B. MENNI, Circolare n. 42, 8 marzo 1911, in Perfil, p. 143.)

5. 

Consacrazione ospedaliera: memoria viva di Gesú 

5. Il carisma e la missione continuano nel tempo grazie alla chiamata costante di Dio a seguirlo. «Egli ci consacra con un nuovo titolo attraverso il quale noi ci consegniamo a Lui e vivendo in comunità seguiamo Cristo, vergine, povero e obbediente, che passò per la terra […] facendo del bene a tutti e guarendo i malati » (Cost. 4). La vita consacrata ospedaliera è la memoria vivente della vita e dell’azione di Gesù Messia e Profeta del Regno, dinanzi al padre e ai fratelli. La consacrazione religiosa testimonia il primato di Dio nella vita ed esige un’obbedienza fedele al suo progetto di salvezza. 

L’ «offerta totale di sé delle persone consacrate a Dio e ai fratelli si traduce in segno eloquente della Presenza del Regno di Dio per l’uomo di oggi» (BENEDETTO XVI, Omelia della Giornata mondiale della vita Consacrata, 2 febbraio 2006.) 

  «Lo sguardo fisso sul volto del Signore non attenua nell’apostolo l’impegno per l’uomo; al contrario lo potenzia, dotandolo di una nuova capacità di incidere sulla storia per liberarla da quanto la deturpa» (VC 75). Dalla contemplazione della bellezza divina di Gesù, ha origine la chiamata ad impegnarsi nel ripristino della Sua immagine sui volti delle sue creature. 

Carisma-missione: espressione della stessa identità 

6. Nel corso della nostra storia, possiamo dimostrare che il Carisma e la Missione sono il carattere specifico dell’identità ospedaliera. La Missione apostolica della Congregazione realizza la missione di Gesù attraverso i gesti concreti di ospitalità e servizio rivolti al malato, che per noi rappresenta «il tempio in cui Dio dimora»7. Siamo convinte che non può esserci contraddizione tra quanto annunciamo e il modo con cui lo esprimiamo e lo viviamo. Siamo «comunità in missione, con una grande responsabilità: evangelizzare attraverso la testimonianza, essere riferimento carismatico, salvaguardare la fedeltà creativa del carisma». Vogliamo procedere in piena coerenza tra il dire, il fare e l’essere. 

A partire dal XVIII Capitolo generale: obiettivi… 

7. Possiamo constatare che dall’innovativa focalizzazione, posta al Carisma fondazionale nel corso del XVIII Capitolo generale, sono emerse forze nuove: desideriamo approfondire la nostra identità a partire da una spiritualità incentrata sulla persona del malato mentale; scopriremo che da questa immagine di Dio avremo aperto nuove prospettive di comunione. «L’immagine di un Dio limitato ci ha permesso di vivere meglio la nostra vita, accettando i nostri propri limiti e quelli dei malati. 

Ci ha consentito inoltre, di confrontarci con la nostra condizione di donne che hanno bisogno di guarigione». «La storia del malato e della sua malattia ci rende più umane e pazienti; attraverso i malati sperimentiamo di nuovo il mistero pasquale». 

Abbiamo una maggiore consapevolezza della «profondità e della ricchezza della nostra spiritualità, che ci chiede di essere tradotta in azione nella vita quotidiana. Ha risvegliato in noi energie latenti, mobilitandoci a livello personale e di comunità». Infine, «la consapevolezza che il nostro carisma è radicato così profondamente e che il suo centro è costituito dai più limitati, da coloro che non contano, tra i quali troviamo Gesù il nostro Salvatore, ci ha portato a fare una scelta preferenziale in loro favore». 

… Orizzonti che si ampliano 

8. Non solo siamo cresciute nell’identità ospedaliera, riconfermando la nostra preferenza per le persone malate di mente, noi suore e collaboratori, abbiamo anche fatto passi avanti verso l’integrazione e la partecipazione al carisma ospedaliero attraverso il pluralismo delle vocazioni ed una «maggiore valorizzazione dell’universalità», sia che si tratti di cultura, ideologia o credo. «Dio ha fatto del carisma una luce per illuminare il mondo e annunciare la buona novella dell’ospitalità sino ai confini della terra» attraverso modi nuovi di servizio, così da avviarci verso una mentalità più accogliente e più ospedaliera, visto che il Carisma permette diverse forme di incontri e di realizzazione.  

Siamo chiamate a vivere nella pluralità, le cui conseguenze esistenziali influiscono sulla vita di tutte noi, secondo la propria vocazione e sensibilità personale. Oggi, alcuni collaboratori affermano che «il Valore del Carisma si scopre attraverso l’incontro, vissuto alla massima profondità, con un’altra persona; nell’accoglienza incondizionata; nell’accettazione dell’alterità e nell’accoglienza come testimonianza della misericordia di Dio»; «la nostra realtà assistenziale è uno spartito che può essere perfettamente interpretato in chiave evangelica». 

Centralità  del malato dal punto di vista del Regno 

9. Il XVIII Capitolo generale invitava suore e collaboratori ad approfondire la propria identità alla luce di una spiritualità scaturita direttamente dal malato mentale  . Ha cercato di rispondere al nostro desiderio di trasformare in spiritualità un aspetto già sviluppato a livello apostolico: la centralità del malato. 

Il sessennio vissuto in questa prospettiva, ci ha fatto scoprire che questa centralità proviene dal fatto che lo stesso Regno di Dio pone al centro il malato, come destinatario principale della buona novella della guarigione di Dio attraverso Gesù. Inoltre, è proprio il malato mentale a convocarci 9 Ibid., pp. 37-38), perché è prendendoci cura di lui che ci incamminiamo verso il centro del Regno, dove possiamo incontrare Gesù, Colui che ci ha aperto la strada identificando Se stesso con gli ultimi. Lo sapeva bene il nostro Fondatore che in una sua lettera afferma: «il nostro prossimo per quanto infelice, povero o reietto, rappresenta la viva immagine di Gesù, che è voluto diventare come l’ultimo degli uomini » (B. MENNI, Circolare n. 9, 26 maggio 1888, in Perfil, p. 42; riporta in modo significativo la citazione di Isaia 53,3: «Disprezzato e reietto dagli uomini,uomo dei dolori che ben conosce il patire»). 

10. La centralità del malato mentale nella Missione ospedaliera corrisponde alla stessa centralità che tutte le persone sofferenti hanno ricoperto nell’ambito della missione profetica e messianica di Gesù.

Come comunità ospedaliera, nel corso del prossimo sessennio, siamo chiamate a seminare e a far germogliare una spiritualità che nasca dall’irruzione del Regno e dia impulso alla nostra missione come autentica manifestazione storica della missione guaritrice di Gesù.

a) Il Regno è di Dio – In molte parabole di Gesù, in cui viene narrata la realtà del Regno, il protagonista viene presentato come una figura dotata di un potere straordinario rispetto agli altri personaggi: un re (Mt 18,23), un signore (Lc 12,36), il padrone di casa (Lc 13,25). La narrazione lascia intendere che l’irruzione di questa nuova realtà di salvezza non appartiene agli uomini e non dipende dalla loro volontà: il Regno è di Dio, è un suo dono ed esige un atteggiamento di accoglienza incondizionata, gratitudine ed impegno. Non si può prevedere se germoglierà, nè come sarà il suo sviluppo; non vi si possono porre limiti o confini. La sua realtà avvolge gli uomini e supera le loro possibilità, è rivolta a loro senza lasciarsi pienamente conoscere. Da qui sgorga la confessione del Dio Santo, forte ed immortale. Da qui nasce il ringraziamento al Padre, «(…) Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli », (Mt 11,25-26).

Le nostre prime sorelle giunsero alla consapevolezza che «Dio nella realizzazione dei suoi progetti non ha bisogno di mezzi umani, né di intelligenze sublimi o saggi intelletti. La Sua eccelsa sapienza si compiace nello scegliere i più umili e disprezzabili per dimostrare che l’opera è tutta Sua» (cf. RMA, p. 53). 

La nostra sfida è quella di vivere la missione con lo stesso atteggiamento di Maria di Nazaret, che si è impegnata a servire in povertà e gratuitamente il Regno, contemplando l’azione salvifica di Dio«Onnipotente» (Lc 1,49) senza attribuirsene le conquiste e i successi. 

b) Il Regno fermenta la storia – Nelle sue parabole spesso Gesù paragona l’instaurazione del Regno con quei processi naturali, impercettibili e fragili, ma allo stesso tempo incontenibili come: il seme (Mc 4,26-27), il lievito (Lc 13,21). Il Regno promana da ciò che è più umile nella vicenda umana: le cucine, gli orti, le vigne, le reti dei pescatori, gli aratri dei campagnoli. Non desidera stravolgere la storia, né vuole determinarla ma fermentarla ed ispirarla. 

La nostra Missione ci colloca in quelli che in genere vengono considerati i margini della società, tanto che ci abituiamo ad apprezzare i progressi più che i risultati, il percorso più che la meta, la navigazione più che l’approdo. Viviamo tra la promessa e il suo compimento, tra il «già fatto» e il «non ancora». Questo spazio intermedio richiede uno sguardo mistico che nell’oscurità della notte si orienti verso la storia «senza altra luce né guida se non quella che arde nel cuore»11. 

c) Il Regno è annunciato agli emarginati – L’ideale di un re biblico è che ciascun suddito del suo regno assapori la bellezza di una vita piena e gioiosa. Egli dà ascolto alle richieste dei più deboli: «il Signore rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati, libera i prigionieri, (…) protegge lo straniero, sostiene l’orfano e la vedova, il Signore regna per sempre, il tuo Dio, o Sion, per ogni generazione» (Sl 146,7.9a.10)12. Il primo annunzio che riguarda l’irruzione del Regno, Gesù lo rivolge ai poveri: «Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio» (Lc 6,20). Gesù preferisce rivolgere il suo messaggio ai malati, ai peccatori, agli esattori delle imposte, alle donne, ai bambini, in quanto tutti loro condividono la medesima condizione di emarginazione sociale, economica e religiosa che gli impedisce di accogliere ed interpretare la propria esistenza con gioia e soddisfazione.  

Nell’emarginazione il dolore diviene straziante e la debolezza opprimente.

Laddove si manifesta l’impotenza dinnanzi al dolore, è presente Dio, perché Dio è amore.

La nostra missione ospedaliera continua a presentare, alla Chiesa ed al mondo, il desiderio di Dio di avvicinarsi a quanti sono sommersi dalle tenebre del dolore e paralizzati dall’ emarginazione causata dagli altri uomini. Ci impegniamo a continuare ad offrire, attraverso la nostra vita e le nostre Opere, la proposta salvifica del Regno, come proposta di integrazione a quanti si considerano emarginati. 

d) Il Regno come incontro di gioia – Una delle immagini più utilizzate da Gesù per illustrare la natura del Regno è quella del banchetto (Lc 14,16), durante il quale la famiglia, il gruppo di amici, la comunità dei credenti, condividono con gioia i frutti della terra e del loro lavoro. A tutti è dato in egual misura da un Dio incredibilmente generoso e amorevole. Il banchetto permette di superare le situazioni di indigenza, di armonizzare le diversità, facilita l’apertura tra le persone. Per questa ragione, Gesù non ha lesinato mai la Sua presenza ai convivi, nemmeno in quelli di persone di dubbia reputazione (Lc 5,29) o di farisei (Lc 7,36). 

Ogni giorno incontriamo persone affamate di amicizia e assetate di affetto che ci arricchiscono con la loro umanità. La missione ospedaliera testimonia che nell’incontro si attua quell’esperienza guaritrice e liberatoria che anticipa il banchetto finale di tutti gli uomini con Dio. 

e) Il Regno è motivo di rifuto – L’ immagine del banchetto esprime il carattere accogliente del Regno al cui invito si può rispondere con un rifiuto, (Mt 22,3-5).

A questa conclusione giunge Luca [Lc 13,25-29]: non è sufficiente mangiare e bere con «il padrone di casa» , perché la sentenza verrà inevitabilmente emessa: «Non so di dove siete» (v. 27). Per di più, coloro che credono di avere il diritto di entrare in casa rimarranno fuori, mentre altri «verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno, e siederanno a mensa nel Regno di Dio» (v. 29).  

Non si appartiene automaticamente al Regno solo perché si appartiene ad una nazione, ad un popolo o ad una chiesa: il Regno spetta a coloro che accettano il Dio di Gesù, «amico di pubblicani e peccatori» (Lc 7,34), e che rispondono al suo invito gratuito.

L’irruzione del Regno suscita la reazione delle forze del Male: le guarigioni e gli esorcismi di Gesù indicano che ha avuto ormai inizio la lotta definitiva tra Dio e il Male che deturpa l’umanità: «Se io invece scaccio i dèmoni con il dito di Dio è dunque giunto a voi il Regno di Dio», (Lc 11,20).

A questa lotta partecipiamo anche noi che abbiamo scelto per i membri prediletti della famiglia del Re, riconoscendo come nostra storia istituzionale ciò che ha scritto il nostro padre Fondatore: «Ho dovuto sostenere grandi lotte, ed il Signore per provare la nostra fede ha permesso che le cose arrivassero al punto tale da sembrare una situazione umanamente senza rimedio per i poveri infermi che sarebbero stati cacciati dalla Casa del Signore, e il peggio era che tale decisione veniva sostenuta al fine di un maggior bene, come un provvedimento sensato; come se fosse volontà di Dio, e dunque più prudente per noi, non preoccuparcene tanto, non imporci tanti sacrifici, né esporci a passare guai, per difendere e proteggere l’infelice nella Casa di Dio» (L 706). 

f) Il Regno ci chiede di dare la vita – Il carattere profetico dell’essenza e dell’azione di Gesù si riscontra nella sua disponibilità a dedicare tutta la sua vita alla missione che il Padre gli affida.

Il Regno, come mezzo di salvezza e guarigione di Dio per tutti gli uomini, si trasforma nella Sua unica ragione di vita. Egli non esita ad offrire tutto Se stesso, sino alla croce, donando la Sua vita per il Regno affinché il seme del Regno si impianti nel terreno dell’umanità ed ogni essere umano possa riceverne la vita. Gesù traccia il percorso che i Suoi seguaci dovranno seguire: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la Sua vita a causa mia e del Vangelo la salverà » (Mc 8,35); «In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia o a causa del Vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna» (Mc 10,29-30). 

La stessa disponibilità si riscontra nella storia delle nostre origini: «È ben vero che questi signori del Comune non mantengono la loro parola, però il nostro Benedettissimo e Adorato Gesù no, non mancherà alla sua parola; perciò pur se dovremo sopportare qualche fatica, Egli ci risolverà tutto. Ditemi figlie mie, se non dovessimo sopportare qualche disagio per fare il bene, che merito avremmo? Sia, dunque, figlie mie, la vostra sete, il vostro desiderio, la vostra aspirazione, imitare il Glorioso Padre e Patriarca San Giovanni di Dio, il quale non mirava ad altro se non a cercare in che modo sacrificarsi per dare sollievo ai poveri per amore di Gesù Cristo. Figlie mie, quale grande gloria avremo in Cielo per ogni povero che avremo accolto, lavato e curato, anche se poi dovessero riprenderselo!» (L 346). 

Oggi la guarigione di ogni persona che aiutiamo a sperimentare la vicinanza e la tenerezza di Dio, è il nostro modo di dare la vita per il Regno. 
 

OSPITALITÀ: UN CARISMA DA TESTIMONIARE

OBIETTIVO SETTORIALE 1 

Dare impulso all’identità Carismatica a partire dalla missione salvifica di Gesù che condividiamo e annunciamo. 

OPZIONI 

1 Approfondire ed incarnare la nostra identità nell’ottica

della Spiritualità del Regno.

2 Rafforzare la comunione e la collaborazione a livello

intercomunitario, interprovinciale e congregazionale.

3 Rafforzare la dimensione carismatica ed evangelizzatrice

della comunità religiosa.

4 Partecipare attivamente ai diversi settori ecclesiali

attraverso l’esperienza dell’ospitalità.

5 Diffondere il carisma nelle diverse realtà valorizzandone

la storia e rispettando gli elementi essenziali

che lo definiscono. 

SECONDA PARTE 

OSPITALITÀ: UNA MISSIONE DA CONDIVIDERE 

«Abbiamo mangiato e bevuto con Lui

dopo la Sua risurrezione dai morti» (v. 41) 

Eletti dalla comunione con il Risorto 

11. L’azione salvifica e guaritrice di Gesù verso i popoli della Galilea e della Giudea ha dei testimoni, scelti13 direttamente da Dio per raccontare ciò che accadde: «nella regione dei giudei e a Gerusalemme» (v. 39). La loro scelta fu fatta in «precedenza» (v. 41), ossia «prima della creazione del mondo» (Ef 1,4) ma fu rivelata attraverso un’ esperienza di vita storica: la condivisione della mensa con il Risorto. La comunione dei discepoli con Gesù, prima e dopo la Sua Resurrezione, accredita la loro testimonianza come degna di fede. Una persona, e non un’idea, ha segnato le loro vite: Gesù, colui che ha sperimentato la sventura causata da un’ingiusta accusa ed ha patito una morte ignominiosa.  

Il Dio Onnipotente però, ha restituito al Suo Profeta e Messia, quella vita che Egli così generosamente aveva donato per il Regno di Dio. Per questo ora, il Risorto, può apparire ai suoi discepoli e tornare a gioire per la divisione del pane e la condivisione del vino.

Tutto ciò li converte in convinti e convincenti araldi della Buona Novella del Regno in Gesù crocefisso e risorto.

La comunità, luogo per l’elezione missionaria… 

12. La comunità cristiana è quella che custodisce gelosamente e appassionatamente la memoria della mensa condivisa con il Risorto. Fin dalle origini il condividere la mensa è stato il segno che dava fondamento e motivazione alle comunità dei seguaci di Gesù. Come Dio scelse i primi testimoni tra coloro che avevano mangiato e bevuto con il Risorto, comandandogli di andare a predicare14, allo stesso modo è nell’assemblea della comunità cristiana riunita per commemorare il suo Signore morto e risorto, che si manifesta l’elezione missionaria.  

Di ciò abbiamo una chiara testimonianza negli Atti degli Apostoli 13,1-4: «Nella chiesa fondata ad Antiochia c’erano profeti e dottori: Barnaba, Simeone, detto Níger, Lucio di Cirene, Manahén, compagno di infanzia del tetrarca Erode, e Saulo. Mentre stavano celebrando il culto del Signore e digiunavano, lo Spirito Santo disse: «Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera a cui io li ho chiamati». Dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li inviarono. Essi, inviati dallo Spirito Santo, discesero a Seleucia e da lì salparono verso Cipro». 

… e della comprensione delle Sacre Scritture 

13. La testimonianza di quanti hanno condiviso la tavola con il Risorto (v. 42) non si basa soltanto su un’esperienza personale, ma anche su quella che i profeti hanno tramandato su Gesù (v. 43). I profeti hanno preannunciato che sarebbe giunto il Messia, che avrebbe dovuto soffrire e morire, proclamando l’avvento definitivo della salvezza di Dio. Per questo motivo, nel terzo Vangelo Gesù dà inizio alla sua Missione spiegando che il Profeta Isaia parlava di Lui e che, dunque, la sua profezia si era compiuta (Lc 4,17-21). Luca al termine del suo Vangelo narra le due apparizioni del Risorto ai discepoli (24,13-35 e 24,36-49), nelle quali vengono proposte le due modalità attraverso le quali si giunge ad una profonda ed autentica esperienza di Gesù glorificato: condividere la mensa (vv. 30-31 e 41-43) e capire le Scritture (vv. 25-27.32 e 44-47).  

Le due modalità sono legate indissolubilmente l’una all’altra: bisogna mangiare per riuscire a comprendere (i discepoli in cammino verso Emmaus) e saper comprendere per mangiare (gli Undici e quelli che stavano con loro). È la Parola che offre alla comunità le motivazioni dell’essere e dell’agire di Gesù, spingendola ad agire come Lui, testimoniando la nuova realtà del Regno attraverso il sacrificio della propria vita per l’umanità (martirio). 

Comunità  radicate nella Parola 

14. La Parola di Dio è il faro che illumina la nostra vita personale e comunitaria, un riferimento obbligato per il discernimento delle scelte apostoliche. Le nostre prime sorelle hanno sperimentato che la Parola ascoltata, pregata e contemplata è il fondamento e la forza da cui scaturisce la missione guaritrice a favore degli infermi. María Angustias ne dà testimonianza riflettendo sul brano evangelico di Luca [Lc 10,38-42], in cui si narra delle due sorelle di Betania, Marta e Maria, e del loro modo di vivere l’ospitalità, (RMA, p. 109).  

Angustias lodava Maria per il suo concentrarsi sull’essenziale, Gesù e la sua Parola; e Marta per la sua sollecitudine e servizio attivo. Maria «rapita dall’estasi ai piedi del suo Maestro si lasciava trasportare in cielo», mentre Marta «si affannava nel servirlo». Gesù dice alle due sorelle che «una sola è la cosa di cui c’è bisogno» (Lc 10,42): vivere e agire con lo sguardo fisso su di Lui, ascoltando la Sua Parola. 

Oggi possiamo affermare che la Parola del Signore «ci aiuta a vedere gli eventi della nostra vita e di quella altrui come un tempo di Dio». La Parola «racconta storie di vita, alimenta la speranza, purifica il nostro sguardo nei confronti del mondo» e «ci dona la luce per discernere i sentieri di Dio e seguire Gesù Cristo». La Parola «è fonte di rinnovamento della comunità nella misura in cui ce ne impossessiamo; essa ci aiuta, ci guida, ci insegna, ci ammonisce, consiglia, ci da energia, speranza, forza e ci trasforma». Siamo convinte che sia necessario continuare a creare spazi di condivisione di fede sulla Parola. Riteniamo necessario anche impartire una formazione biblica per approfondire la lettura della Parola di Dio e comprendere la teologia del carisma e la spiritualità ospedaliera. 

Eucaristia cultuale ed Eucaristia della carità 

15. La prima comunità di suore si è formata mangiando e bevendo con il Signore nel suo mistero pasquale. Ha mangiato e bevuto con Cristo crocefisso nelle sue vive immagini, vivo e presente nell’Eucaristia: « ne deduco, perciò, che il segno che deve distinguere colei che milita sotto la bandiera del nostro padre è quello dell’unione quotidiana con il nostro amabile Gesù Sacramentato » (RMA, p. 165). Sia il mistero del culto che quello umano si manifestano nel Signore della vita. Il primo gruppo di ospedaliere ha avuto conferma del proprio carisma, della propria vocazione e missione nel momento in cui ha incontrato il volto della prima malata, Antonia Romira de la Cruz, nella quale si manifestava «Gesù rivestito degli abiti di un folle per amore delle sue creature» (RMA, p. 158). 

L’esercizio dell’ospitalità prolunga l’eucaristia nella vita quotidiana. Intorno al malato si costruisce la liturgia della carità, secondo l’esempio di P. Menni: «ci precedeva all’ora dei pasti […] andando a ricercare la malata più difficile e inginocchiato le dava da mangiare. Con quale venerazione, con quale spirito di fede e con quanto ardore compiva la sua opera misericordiosa!»15 

Le suore fecero loro quella liturgia sacra: «veneravano le malate come oggetti sacri e, non so se esagero a dire che, le veneravano in ginocchio come Dio, come faceva il maestro [P. Menni] che ci aveva insegnato che quel che si fa loro per amore di Gesù è come fatto a Gesù stesso. Aggiungo senza timore e senza dubbi, che in ognuna di esse vedevamo la croce della sofferenza sulla quale stavano inchiodate come vittime, rappresentando la commovente scena del Calvario. Ogni malata era per noi una vittima sacra»16 

La guarigione è un segno pasquale 

16. La dedizione «goccia a goccia»17 nella vita quotidiana, la ricchezza delle relazioni, la carità ed il servizio di qualità che guarisce e reintegra il malato, rendono manifesto il Dio della vita. 

È questo il senso dei progressi terapeutici: «offrire la migliore assistenza alle malate mentali e ottenere tutto ciò che è possibile ottenere[…] la cura di molte di loro, il sollievo o quanto meno la consolazione per le altre18». 

In un altro scritto, Benedetto Menni afferma: «vorrei che ci fossero molte dimissioni dall’istituto, ma tutte dovute alla guarigione»19. Sebbene nel XIX secolo fosse maggiormente seguita la teologia della Croce rispetto a quella della Risurrezione, e la guarigione fosse molto più difficile da raggiungere, rispetto ad oggi, si cercava di raggiungere questo obiettivo con tutti i mezzi e modi disponibili. 

Donare la propria vita significa per noi rispondere alle emergenze sociali: «spero (…) che il risultato di questa esplorazione sia di poter aprire qualche manicomio, visto che in tutta la nazione(…) non ce n’è uno accettabile; e i poveri dementi sono molto male assistiti; nonostante che io ritorni in Spagna,

lascio qui, a Dio piacendo, chi andrà preparando le cose» (L 444). 

Incarnare l’energia del mistero pasquale nella realtà, significa essere portatori, sino ai limiti dell’ esistenza umana e dei confini terreni, della vita di Dio che resuscita e libera. «Benedetto sia il Signore che si degna di farci partecipi del suo prezioso calice di amarezza e che ce lo addolcisce con la grande speranza […] e farà si che tutto questo sia a Sua maggior gloria, a nostro bene, a bene del prossimo, e che da queste fatiche verranno frutti di benedizione della Divina Misericordia che ci sta provvidenzialmente assistendo» (L 508).

Comunità  eucaristiche 

17. La celebrazione eucaristica occupa un posto centrale nella nostra vita. Per mezzo di essa ci sentiamo convocate nel nome del Signore, nutrite e rafforzate nella nostra fede, impegnate a vivere la carità verso una «grande unione di cuori» e ad «accogliere nel cuore il Divino Ospite» (RMA, p. 42).

Celebriamo l’Eucaristia in chiave ospedaliera, «comunicare infatti allo stesso

pane significa condividere la stessa missione guaritrice di Gesù ». Ci sentiamo «chiamate ad essere memoria e presenza di cristo misericordioso come donne pasquali, gioiose e forti nell’annunzio del Risorto». Come il Signore «si manifesta nei sacramenti cultuali e in quelli storici rappresentati dai malati»20, cerchiamo l’unione tra ciò che celebriamo e ciò che viviamo, «scopriamo cioè Colui che celebriamo attraverso colui che serviamo: il malato». In questo modo, rafforziamo la nostra configurazione ai sentimenti del cuore di Gesù, che ci convoca per essere testimoni della Bontà del Dio pieno d’amore verso i più deboli del suo popolo. 

L’ incontro con il Signore alimenta la fecondità carismatica della nostra vita e della nostra missione: «l’Eucaristia vissuta come comune-unione racchiude in sè la forza trasformatrice manifestandosi nella comunione e nella missione con attitudine al perdono, comprensione e amore fraterno per i fratelli e i collaboratori, dedizione generosa, vicinanza, ascolto e trattamento disinteressato verso i pazienti». 

Il martirio della carità 

18. Una partecipazione autentica all’ Eucaristia comporta l’dentificazione con Gesù, nella sua attitudine al servizio e al sacrificio.

Il nostro padre fondatore, che associava il culto dell’eucaristia all’impegno più intenso della carità, afferma: « felici saremo se potessimo esalare l’ultimo respiro con l’ esercizio di questa divina e nascosta carità!». Felice «colui che sigilla ogni momento della sua carriera professionale con nuovi e sempre più eroici gesti di carità, senza ricevere alcun compenso in questa vita ma guardando solo a Gesù»21. 

Siamo chiamate a vivere questa carità contribuendo al riconoscimento

della «dignità ad una moltitudine di persone lacerate e spezzate dall’incomprensione, dalla sofferenza, e dalla solitudine» nel lavoro quotidiano. Ci sono altri contesti in cui si vivono «scontri razziali e religiosi», «il laicismo e l’agnosticismo delle società sviluppate, dove si mette in discussione il valore della vita e quello della persona», e che ci richiedono oggi una presenza profetica a rischio della propria vita, come scrisse San Benedetto Menni: «Beato colui che martire della carità ha la fortuna di vedere accorciata la vita a conseguenza di un suo eroico sacrificio»22, come ci ha dimostrato la nostra fondatrice che ha sacrificato la sua vita come il chicco di grano che cade in terra e muore. 

L’espansione della Congregazione e la pluralità delle situazioni ci rendono più consapevoli delle esigenze del nostro carisma che richiede la disponibilità ad offrire la nostra vita anche a rischio di perderla. E vivendo ciò «serenamente e con speranza, come un vantaggio e non come una perdita, assumendo ciò che è piccolo e semplice come seme del Regno». «Frumento di Cristo noi siamo/ cresciuto nel sole di Dio, nell’acqua del fonte impastati, segnati dal crisma divino».23. 

Comunità, luogo di annuncio e testimonianza 

19. Il dono della vocazione e del carisma è un dono di Dio che bisogna chiedere, accogliere, curare e far crescere. Oggi, «molti giovani non hanno accesso ad una proposta vocazionale e non arrivano perciò mai ad interrogarsi sulla propria vocazione». Ciò nonostante essi manifestano una sincera ricerca di senso, sebbene confusa e dolorosa, una gran sete di trascendenza, un desiderio di incontrare una sorgente d’ acqua viva, e per questo chiedono aiuto. Per noi questo rappresenta una sfida che ci sprona ad annunciare esplicitamente Gesù ai giovani, fornendo loro un percorso formativo nella fede fino alla scelta di Gesù e proponendo loro diversi modi di vivere il nostro carisma all’interno della Chiesa.  

A quei giovani che si sentono chiamati alla vita ospedaliera, dobbiamo offrire un orientamento al discernimento vocazionale. Non dobbiamo dimenticare che «il modo più autentico per assecondare l’ azione dello Spirito sarà quello di investire generosamente le migliori energie nell’attività vocazionale, specialmente con una adeguata dedizione alla pastorale giovanile» (VC 64). 

Consapevoli che la comunità rappresenta il luogo privilegiano per l’annuncio e la testimonianza24, la nostra vita deve essere un modello: «trattare con i giovani e presentare loro la vita ospedaliera ci spingono a vivere nel modo più genuino e autentico la sequela di Cristo» ed a testimoniare «l’allegria, la profondità dell’esperienza di Dio e la totale dedizione a servizio dei fratelli ammalati». 

Non dobbiamo temere di «aprire con semplicità ai giovani le nostre comunità» e «adeguare le sue regole affinché vi possano trovare una famiglia dove sperimentare la fraternità, una mensa dove condividere gli ideali, una missione dove discernere la propria vocazione. La carità ospedaliera «è una scuola di vita che educa i giovani alla solidarietà e alla disponibilità a donare non qualcosa ma se stessi»25. 

Sfide della formazione 

20. Oggi assistiamo ad uno spostamento geografico delle vocazioni, all’interno della Congregazione, provenienti dal sud e dall’est. La diversità culturale che ne consegue è una grande ricchezza che dimostra il dinamismo e il vigore del carisma che non possiamo controllare o reprimere. Questo è segno di speranza e allo stesso tempo una sfida per le «diverse manifestazioni culturali, linguistiche, di costumi e di riti», che esige un serio processo di discernimento vocazionale e di inculturazione sui valori ospedalieri nei diversi contesti. Il nostro fondatore ha dato un grande impulso alla formazione a tutti i livelli: «a questo fine ci si dovrebbe auspicare che in tutte le province […] essa venga promossa […] tenendo conto delle possibilità e dei mezzi a disposizione, promuovendo lo studio e la divulgazione delle questioni relative alla formazione religiosa ed ospedaliera»26. 

Padre Menni sapeva bene che la formazione deve essere orientata alla missione e che lo studio è per il servizio: «spero di proseguire quanto sarà necessario per essere utile alle anime; e se con questo lavoro riuscirò un giorno a fare un poco di bene, anche se ad un’anima sola, quanto bene impiegato sarà qualunque lavoro!» (L 445). 

È necessario insistere sul processo formativo, specialmente nelle prime fasi, con una solida formazione umana, spirituale e carismatica, che ci aiuti a vivere il nostro essere donne e a consolidare la nostra scelta per Cristo. La formazione deve essere realizzata in quei luoghi che garantiscono la migliore qualità, l’esperienza dell’universalità del carisma ed il servizio apostolico al malato. Viene valutata positivamente la creazione di strutture formative a livello interprovinciale per acquisire gruppi di formazione di qualità e per formare i giovani all’internazionalità della Congregazione. 

Evangelizzare a partire dalla comunità ospedaliera… 

21. La Congregazione, condividendo il dono del carisma nella chiesa, collabora alla sua missione evangelizzatrice: ciò «costituisce in pratica la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda» (EN 14). Lo Spirito Santo, come ha ispirato il carisma, dà anche impulso all’evangelizzazione. L’espansione della Congregazione soprattutto verso l’Africa e paesi asiatici quali il Vietnam, India e Cina, genera nuove sfide per la nostra azione evangelizzatrice. 

La comunità  ospedaliera, formata al pluralismo, diventa un vero fattore di evangelizzazione esercitando il ministero della guarigione, nello svolgimento dei diversi compiti, dando impulso ai vari livelli, con qualità, profetismo e creatività. Ci sono persone in grado di evangelizzare grazie alle «loro capacità di comprensione e accettazione, alla loro comunione di vita e destino con gli altri, alla loro solidarietà nell’impegno di ciò che è nobile e buono» (EN 21), altri «accolgono con sincerità la Buona Novella, [e] mediante l’accoglienza e la partecipazione nella fede» (EN 13) cercano la costruzione solidale del Regno; altre mettono in pratica tutte le opportunità umane, cristiane, e carismatiche presenti nel contatto con il malato e nel progetto ospedaliero. 

Le sorelle recano testimonianza dell’ «assoluto di Dio» (EN 69) nell’impegno con il malato. Allo stesso tempo, la comunità ospedaliera evangelizza se stessa attraverso la qualità umana delle relazioni, la stima reciproca, il rispetto per i diversi compiti e funzioni, lo spirito partecipativo e positivo, il rispetto dei diritti individuali e la condivisione dei valori e della cultura ospedaliera. Siamo tutti partecipi dell’impegno evangelizzatore, mediante la testimonianza. 

La dimensione trascendentale della persona e l’identità cristiana della congregazione richiedono «un annuncio chiaro ed inequivocabile del Signore Gesù» (EN 22), offerto a coloro che lo desiderano, rispettando sempre il loro credo. 

Bisogna continuare a sviluppare la pastorale della salute per offrire proposte adeguate di evangelizzazione in grado di favorire l’esperienza liberatrice nell’incontro con Gesù. 

… e dall’opera ospedaliera 

22. Nelle opere ospedaliere si incarna la missione guaritrice di Gesù. Attualmente, la Congregazione esprime la sua missione attraverso una vasta gamma di strutture sanitarie e sociali, nelle quali si evidenzia una crescita graduale sotto l’ aspetto umano e profetico. L’Istituzione ha sviluppato la sua abilità e specializzazione soprattutto nel mondo della sofferenza psichica, a riprova del dinamismo creativo del carisma. 

Come Istituzione nella Chiesa, lavoriamo affinché la persona malata ed emarginata si possa sentire membro prediletto. Collaboriamo al suo arricchimento morale facendo in modo che la missione guaritrice di Gesù venga accolta come Buona Novella nella «civiltà umana universale»27. Realizziamo questa esemplarità evangelizzatrice se mettiamo in pratica i criteri di orientamento della nostra missione, (Direttorio, 62.2) se ci impegnamo a portarli avanti e se continueremo ad orientarci verso i più bisognosi nel carisma. Offriamo la nostra testimonianza come espressione di verità, la giustizia come segno di fraternità sia all’interno che all’esterno dell’Istituzione.  

La nostra gestione economica è volta al maggior bene del malato, il nostro impegno ad approfondire i principi dell’etica cristiana applicati a situazioni spesso lontane dall’ autocoscienza, autonomia e libertà umana. Le nostre opere sono una presenza in rete dello stesso carisma ma poste in realtà diverse, che richiedono traduzioni interculturali concrete. Ciò significa agire con unità e centralità nelle cose essenziali, ma con grande autonomia nello sviluppo di ciascun contesto ed opera. 

Promuovere una comunità ospedaliera che sia luogo di incontro e di discernimento per la missione 

OPZIONI

6 Approfondire la dimensione eucaristica del servizio ospedaliero.

7 Potenziare le comunità radicate nella Parola di Dio.

8 Promuovere, nella formazione iniziale, il nostro modello formativo che formi e fortifichi la persona e la sua identità vocazionale e carismatica.

9 Offrire ai giovani l’annuncio esplicito di Gesù Cristo e la proposta a seguirlo arricchita dal servizio ai malati.

10 Rivedere le strutture di governo e comunitarie. 

Sotto il dominio dello Spirito 

23. La serena scena di Pietro che annuncia la Buona Novella del regno, compiutasi in Gesù di Nazaret, è improvvisamente interrotta dall’irruzione dello Spirito Santo. Pietro non ha ancora terminato il discorso quando lo Spirito avvolge «tutti coloro che ascoltavano la Parola» (v. 44). È un’ azione impetuosa che non si può arrestare, come un boato fragoroso («scese»: v. 44); è una manifestazione «inconsueta», nel senso che non aspetta il suo tempo: lo Spirito si «diffonde sopra i pagani» (v. 45) senza essere stato invocato e senza che questi abbiano espresso la loro conversione. Lo Spirito è un «dono» autentico» (v. 45) e allo stesso tempo il vero regista della scena: a Gesù ha concesso il potere di sconfiggere e assoggettare il demonio, liberando coloro che ne sono schiavi (v. 38); ai pagani permette di abbattere il muro che li separava dai giudei e li integra nella nuova comunità del Risorto vincendo i dubbi di Pietro. Ad egli non resta altro che obbedire (v. 47): lo Spirito dirige ogni cosa, tutto si svolge sotto il suo dominio. 

Il convertitore convertito 

24. Nel vedere che il dono dello Spirito Santo era stato diffuso sui pagani, «i fedeli circoncisi che erano venuti con Pietro si meravigliarono» (v. 45). Non si aspettavano una pentecoste per i pagani identica a quella che avevano vissuto a Gerusalemme: «Questi hanno ricevuto lo Spirito Santo come noi»: (v. 47). L’irruzione dello Spirito ammutolisce Pietro e scioglie la lingua ai pagani che iniziano a «glorificare Dio» (v. 46). Il racconto termina con la conversione dei pagani e con il cambiamento di mentalità di Pietro e dei suoi compagni che ancora non credevano che chi non appartiene al popolo eletto possa partecipare pienamente alla salvezza, e al dono dello Spirito Santo.  

Solo ora Pietro comprende pienamente ciò che stava vivendo mediante le visioni e gli incontri: «(..) Dio mi ha mostrato che non si deve dire profano o immondo nessun uomo» (Atti 10,28).

La volontà  redentrice di Dio ridisegna i criteri di appartenenza al suo popolo. Pietro riconosce di non poter frapporre ostacoli a Dio perché Egli «non fa distinzione di persone, ma chi lo teme e pratica la giustiza, a qualunque popolo appartenga, è a Lui accetto» (v. 34). Di conseguenza accetta di essere parte di una nuova comunità e si ferma alcuni giorni (v. 48) nella casa di coloro che precedentemente considerava impuri. 

Un carisma da condividere 

25. Anche a noi, oggi, capita di vivere qualcosa di simile. Lungo il cammino che stiamo percorrendo insieme, noi suore e collaboratori, scopriamo che il carisma dell’ospitalità è un dono dello Spirito la cui finalità universale è il bene dell’umanità: «è incoraggiante sapere che la ricchezza dell’universalità della famiglia ospedaliera continua a crescere. Al suo interno vi è una grande pluralità la cui causa comune è il malato; è lui che ci unisce.  

I collaboratori scoprono il dono del carisma quando affermano: «abbiamo ricevuto un grande dono attraverso la contemplazione del malato come destinatario diretto del nostro servizio. Grazie a lui i nostri compiti quotidiani acquistano una dimensione trascendentale». La missione ospedaliera si trasforma gradualmente in un’esperienza carismatica. Oggi, per «missione condivisa intendiamo non soltanto la proposta di uno spazio di lavoro concreto, ma soprattutto uno spazio di comunione, dove ci si può sentire parte di uno stesso carisma». Ognuno di noi, suora o collaboratore, interpreta lo spartito del carisma con un suo personale strumento, cercando di riprodurre una crescente armonia con una sola finalità: eseguire la migliore melodia «Buona Novella di Dio» per l’uomo che soffre. 

Suore e collaboratori: i punti di un cammino secolare 

26. Nel Capitolo generale, in cui abbiamo deciso di affrontare il tema della missione ospedaliera come Buona Notizia della guarigione di Dio per l’uomo di oggi, è necessario approfondire un aspetto che fin dal 1980 è diventato sempre più importante: la presenza di persone che lavorano nell’opera ospedaliera e che non appartengono alla comunità religiosa. 

La collaborazione dei laici è stata una costante nella storia della nostra Congregazione. Padre Menni ne fu il promotore, cercando medici competenti che contribuissero al processo terapeutico con la loro competenza tecnica e scientifica28 e quanti, attraverso la loro professione, potessero collaborare al progetto ospedaliero29. 
 

Terza parte.  

Ospitalità: una chiamata a costruire il Regno 

28 L’affanno di assicurare un’assistenza qualificata ci spiega la sua apertura

verso il personale medico: «quando mori il dottor Rodrigo, direttore del Sanatorio

di Ciempozuelos, P. Menni volle a tutti i costi cedere la direzione al miglior

psichiatra di Spagna. Fece una serie di consultazioni giungendo alla conclusione che il miglior psichiatra era il dottor Luís Simarro docente di Psicologia Sperimentale presso l’università di Madrid. Ma gli dissero che questo signore, essendo un grande medico nella sua specializzazione, era ateo e apparteneva alla Massoneria spagnola del Grande Oriente. Padre Menni rispose che prima di tutto veniva l’amore per i malati e che non aveva bisogno di catechisti perché già disponeva di religiosi» (SACRA CONGREGATIO PRO CAUSIS SANCTORUM, Beatificationis et canonizationis servi Dei Benedicti Menni, Positio Super Virtutibus, vol. II, Roma 1981, p. 894: Testimonianza del Dr. José Álvarez Sierra). 

29 Cfr. Lettera 591, alla Superiora generale, 24 novembre 1904; VICENTE

CARCEL, Storia della Congregazione, Città del Vaticano 1988, p. 55.

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Questa partecipazione si è sviluppata gradualmente e costantemente nel corso della nostra storia, imprimendo un valore crescente alla complementarietà tra l’azione religiosa e quella laica allo scopo di offrire un’assistenza integrale e di qualità in accordo con la cultura ospedaliera e in linea con i progressi scientifici.  

Questa integrazione ha subito un maggiore impulso non solo a causa della diminuzione del numero delle suore, ma anche per l’esigenza profetica del carisma e per la consapevolezza di una maggiore partecipazione e responsabilità dei laici nella comunione e nella missione della Chiesa.

Al fine di promuovere una maggiore sensibilità, nel 1987 fu proclamato l’anno dei collaboratori30. Il XVI Capitolo generale (1988) segnò un passo avanti, esortandoci affinché: «Religiosi, collaboratori e volontari dobbiamo integrarci nella missione di servizio al malato, centro della nostra azione, divenendo segno di comunione »31. 

Per proseguire lungo questo cammino di corresponsabilità ed integrazione, nella realizzazione della missione, fu decisivo il XVII Capitolo generale, che rafforzò l’importanza del crescere nell’identificazione con la cultura e i valori ospitalieri come vengono definiti nel Progetto Ospedaliero Integrale32. Si rafforzò la convinzione che i collaboratori «sono chiamati a essere i continuatori non solo delle attività ma anche dello spirito e del carisma dei nostri Fondatori»33, rispondendo, mediante la loro partecipazione attiva nella Chiesa, alle esigenze della loro propria vocazione. 

In questo senso, si assunse l’impegno di condividere l’identità carismatica con alcune persone capaci di costituire un’associazione ispirata e animata dallo spirito della Congregazione come laici integrati nella Chiesa.34. Nel 1988 si pubblicò il documento Laici Ospedalieri per dare slancio a questo cammino e aiutare quei laici che desiderassero vivere «condividendo il dono dello spirito in piena responsabilità»35. 

Il XVIII Capitolo generale (2000) promosse il processo della Missione Condivisa partendo da un maggiore coinvolgimento dei collaboratori nel carisma, nella missione e nella spiritualità, proponendo l’immagine evangelica della vite e dei suoi diversi rami a fondamento di questa partecipazione36. 

Spiritualità  della collaborazione nell’ottica dell’irruzione del Regno 

27. La crescente laicizzazione della società e l’universalità della Congregazione ci stimolano a collaborare non solo con i cattolici ma anche con persone appartenenti ad altre religioni, persone di buona volontà anche se prive di una visione di fede37. 

Il processo di discernimento capitolare si sviluppa lasciandosi guidare dalla narrazione della missione guaritrice di Gesù quale espressione dell’irruzione salvifica del Regno di Dio. Il racconto biblico dell’incontro tra Pietro e Cornelio ci mostra la natura accogliente di questo Regno, di cui solo Dio può determinarne i confini o scegliere i sudditi. 

Noi crediamo che ogni genere di collaborazione alla guarigione, per amore della persona sofferente, offerta mediante le nostre strutture, sia una manifestazione esplicita o implicita della misteriosa presenza del Regno. È quanto sta scritto nella nostra tradizione spirituale: chi desidera «avere in eredità la vita eterna» (Lc 10,25) deve assumere l’atteggiamento del Samaritano (un mezzo pagano), ovvero l’attitudine alla misericordia compassionevole verso tutte le persone dimenticate ai margini della strada. Ne sono testimoni i laici che hanno partecipato al discernimento capitolare: «in questo processo trasversale di comprensione del volto umano come vera manifestazione di Dio sia da parte dei laici che dei religiosi, si radica l’autentica presenza rivoluzionaria della Buona Novella». 

Consideriamo collaboratori38 le persone che, lavorando nelle nostre opere, collaborano alla costruzione del Regno sebbene non siano pienamente consapevoli e che così facendo contribuiscono alla realizzazione storica della missione salvifica di Gesù. Ponendosi inoltre al servizio dei poveri e dei malati riceveranno, al termine del tempo «l’eredità del Regno» preparato per loro «fin dalla creazione del mondo» (Mt 25,31-46). La nostra missione e la loro collaborazione troveranno la piena verità solo nella rivelazione escatologica39.  

Utilizziamo il termine di «laici ospedalieri» per «coloro che credendo assumono la loro vocazione di laici nella Chiesa e nel mondo, e che non solo vogliono vivere il carisma, la spiritualità e la missione ospedaliera, ma desiderano anche giungere a instaurare un rapporto istituzionalizzato di vincolo con la Congregazione»40, sebbene non lavorino nelle sue opere. 

È importante quindi che la comunità religiosa sia disposta a spogliarsi della pretesa di essere l’unica mediazione storica capace di rendere presente la missione salvifica di Gesù. Guidati dallo Spirito, accettiamo di accogliere e riconoscere con gioia e libertà interiore tutti coloro che, anche senza saperlo, appartengono a quella nuova realtà di Dio che noi chiamiamo Regno, alla cui costruzione essi contribuiscono. Insieme saremo «buona novella» che Dio continua a proporre la sua salvezza all’uomo di oggi. 

Nel XIX Capitolo generale inizia una nuova tappa del nostro cammino ospedaliero, nel quale vogliamo dare impulso alle seguenti azioni dinamiche: rafforzare l’identità, la qualità integrale, le nuove necessità, le collaborazioni in rete e la comunicazione. 

I Fratelli Karamazov, definisce l’inferno come «il tormento di non avere assolutamente niente e nessuno da amare».

40 Laici Ospedalieri, p. 44. con molta chiarezza nella parte precedente lo

stesso documento afferma: «La collaborazione è con tutti. Però  nel parlare di

laici in senso stretto non ci riferiamo a tutti i collaboratori. Laico è per definizione una figura ed un termine teologico ed ecclesiale. Non parliamo di

semplici professionisti ma di laici membri del Popolo di Dio, ai quali, attraverso la fede comune e la comune appartenenza alla Chiesa, noi offriamo una partecipazione speciale al nostro carisma e alla missione ospedaliera». MISION HOSPITALARIA italiano 8/9/98 19:36 Página 57 

Rafforzare l’identità istituzionale 

28. Le nostre opere, mediazione storica per realizzare la missione evangelizzatrice verso la cura e l’assistenza integrale al malato, secondo lo spirito dei nostri fondatori, hanno una propria identità e cultura che si esprimono con i valori e lo stile che ci caratterizzano. Il numero crescente di collaboratori che partecipano alla nostra azione apostolica ci porta ad approfondire e condividere la cultura «della nostra Congregazione al fine di offrire un servizio ospedaliero migliore» (Cost. 67), garantendo la sua specifica identità. 

Condividere la stessa missione ci richiede di: sviluppare spazi di formazione e riflessione che favoriscano l’identificazione di tutti coloro che collaborano con la cultura e la nostra missione; assicurare un processo adeguato di integrazione e orientamento dei collaboratori nelle funzioni di responsabilità, attraverso una chiara definizione del loro profilo, conciliando competenza professionale ed identificazione con la cultura ospedaliera. 

Si avverte inoltre, la necessità di definire gli «indicatori che ci permettano di valutare l’autenticità ospedaliera dei nostri progetti». 

Promuovere un progetto ospedaliero di qualità 

29. La qualità è un obiettivo istituzionale ma anche una necessità, data la natura evangelizzatrice della nostra azione apostolica. L’annuncio della Buona Novella dell’ospitalità è più credibile se è in grado di offrire un’assistenza integrale capace di coniugare scienza ed umanizzazione (Directorio, 62.2). Fin dalle origini, il nostro servizio ospedaliero è stato orientato in questa prospettiva, cercando di applicare i mezzi tecnici, terapeutici e umani che ci permettano di assicurare la migliore assistenza al malato. 

Negli ultimi anni, abbiamo migliorato l’assistenza e la qualità di vita del malato, adattando le nostre strutture, diversificando e specializzando i servizi, insistendo sulla riabilitazione e reintegrazione dei malati, sempre secondo il nostro principio di centralità del malato. 

La crescita della qualità integrale comporta, da parte nostra, una maggiore specializzazione a favore dei destinatari. A partire dal riconoscimento della dignità del malato, il nostro impegno è quello di stabilire un equilibrio stabile tra gli obiettivi e i mezzi a nostra disposizione, portando avanti la ristrutturazione e la riorganizzazione delle Opere, potenziando la qualità e l’innovazione. 

Tutto ciò ci stimola a ricercare un sempre maggiore inserimento a livello sociale, che ci consenta di avvicinarci maggiormente alle situazioni di disagio ed emarginazione, anche attraverso strutture più comunitarie. Per poter offrire il meglio al malato, è necessario «l’equilibrio tra l’eccelenza nella gestione, il servizio di qualità, la funzionalità e l’autofinanziamento delle Opere». 

La sfida più grande che ci attende è quella di unificare i criteri organizzativi, amministrativi e di gestione, ottimizzando le risorse finanziarie, strutturali e umane. La responsabilità di garantire l’identità ed il futuro delle nostre Opere, ogni giorno sempre più complesse ed impegnative, ci spinge ad individuare norme idonee a stabilire nuove modalità di gestione, partecipazionee delega. 

Avvicinarsi alle nuove situazioni di sofferenza, emarginazione e povertà 

30. Il nostro Carisma ci chiede di essere presenza profetica attraverso il servizio e la dedizione verso chi si trova in condizioni di emarginazione e povertà. Il Regno, alla cui costruzione collaboriamo con la nostra missione, diffonde il suo messaggio di libertà e la sua forza liberatrice, proprio nei luoghi dove la vita umana è maggiormente minacciata. Oggi, le nuove povertà mettono alla prova la nostra capacità creativa: «è tempo per una nuova ‘idea della carità’, che sia promotrice non solo di aiuti materiali, ma soprattutto di vicinanza e solidarietà a coloro che soffrono, affinché il gesto di aiutare non sia sentito come un «umiliante elemosina» ma, al contrario sia un gesto di condivisione fraterna»41. I malati ci aiutano a scoprire i nuovi orizzonti della nostra missione e ci sfidano a individuare quelle risposte che diano un segnale della presenza del Regno, assumendo «atteggiamenti profetici in campo sanitario e sociale» (Direttorio, 62.2). 

Rispondere alle «nuove forme di emarginazione esige, da parte nostra, anche la volontà di collaborare con altre istituzioni per affrontare i problemi con un’ottica multidisciplinare». È necessario consolidare la cooperazione con i paesi in via di sviluppo, dotati di minori risorse, nei quali la nostra Congregazione è presente, aprendo sempre di più i nostri progetti alla partecipazione solidale dei collaboratori. 

Organizzare sistemi per la collaborazione in rete… 

31. La chiamata a costruire il Regno, a partire dalla nostra identità e missione, ci sprona verso una globalizzazione dell’ospitalità. La profonda comunione nel carisma ci spinge a ricercare un metodo di funzionamento più coordinato, ed esige un’organizzazione in rete che coinvolga tutti i livelli, in modo che le strategie di intervento adottate confluiscano in una complementarietà di risorse ed in un’azione concordata a livello istituzionale. 

Oggi, questa dimensione è divenuta imprescindibile per lo sviluppo presente e la vitalità futura delle nostre opere. Si rende necessario avviare e consolidare sistemi di collaborazione e scambio tra i centri, le province e la Congregazione. Condividere le conoscenze, l’esperienze ed i progetti può rivelarsi un mezzo di arricchimento della missione, di rafforzamento dell’identità e di ottimizzazione delle risorse esistenti. Riconosciamo come fondamentale il potenziamento di una connessione più attiva con le strutture ecclesiali, sociali e accademiche. 

Attivare la comunicazione globale 

32. In un mondo in cui la comunicazione e l’informazione divengono sempre più indispensabili, diventa necessario formulare un progetto di ospitalità con coordinate più universali, utilizzando nuove forme di evangelizzazione. Come Cristo «che andava per città e paesi annunziando la Buona Novella del Regno di Dio» (Lc 8,1), anche noi dobbiamo annunciare la Buona Novella mediante una presenza congregazionale che utilizzi mezzi di informazione e comunicazione qualificati. «Se vogliamo continuare ad essere presenti in una società come la nostra, complessa, mediatica e digitale, con i suoi portali internet, dobbiamo essere anche corporativamente presenti nei mezzi di comunicazione per poter diffondere di più e meglio la nostra missione e il nostro carisma». 

Le nuove tecnologie ci permettono di diffondere la nostra azione apostolica a livello congregazionale, ecclesiale e sociale. Abbiamo bisogno di sviluppare percorsi più agili che ci permettano di capitalizzare e condividere l’esperienza pluriennale in materia di ospitalità, assumendo, a livello ecclesiale, la nostra presenza in ambito sanitario, rivelando il volto di Dio che guarisce e libera le persone. 

A livello sociale, non solo è fondamentale potenziare l’informazione istituzionale ma è anche necessario promuovere la salute, favorendo la cultura della vita e risvegliando la coscienza sociale nei confronti della malattia psichica. Attraverso questi mezzi, possiamo aiutare i malati e le loro famiglie affinché trovino le risorse più adeguate alle loro esigenze. 

Potenziare il processo di integrazione istituzionale e scoprire nuove prospettive per la realizzazione della missione 

OPZIONI 

11 Studiare e creare nuove modalità di gestione, organizzazione e governo delle Opere Ospedaliere.

12 Strutturare, a livello generale, il processo di cooperazione nei progetti di solidarietà della Congregazione.

13 Promuovere la dimensione evangelizzatrice delle istituzioni ospedaliere. 
 

1. Formulare il tratto distintivo dell’identità dell’Istituzione 

È necessario esplicitare l’identità del progetto ospedaliero nella realtà dell’Opera Ospedaliera, delineandone i tratti specifici da cui deve emergere chiaramente «chi siamo, cosa facciamo, perché lo facciamo e come lo facciamo».

Questa procedura di aggiornamento e concretizzazione del codice identificativo e dei suoi principi, deve essere punto di riferimento comune per le politiche di direzione, organizzazione e gestione in tutti i luoghi dove la Congregazione è presente.

2. Promuovere la cultura ed i valori dell’istituzione nella vita quotidiana dei centri

Proseguendo lungo la linea tracciata nel sessennio precedente, in relazione all’identificazione, formulazione e diffusione dei valori ospedalieri (Missione condivisa, XVIII Capitolo generale), si intende, ora, proporne la realizzazione pratica potenziando lo sviluppo dell’Ospitalità e dei suoi valori in tutta la comunità ospedaliera.

3. Promuovere il senso di appartenenza alla comunità ospedaliera

È necessario che tutti gli appartenenti alla comunità ospedaliera si sentano parte dello stesso progetto. La realizzazione di incontri, la formazione comune e l’informazione a tutti i livelli, locali, provinciali, generali, rafforzano l’identificazione e l’ unità. 

4. Aggiornare e sviluppare il modello organizzativo e gestionale

L’evoluzione dell’istituzione e il suo adeguamento alle esigenze odierne, richiede di aggiornare la definizione dei principi organizzativi, le responsabilità, la presa di decisioni ed il profilo dirigenziale. Sarà quindi indispensabile formulare un modello coerente con l’identità ospedaliera, il rispetto della legalità e dell’etica, l’equilibrio crea eccellenza ed equità, autonomia e coordinamento delle istanze organizzative e la cooperazione della comunità ospedaliera.

5. Promuovere una gestione efficiente attraverso strumenti e metodi di pianificazione

Questo obiettivo richiede lo sviluppo e l’adozione di sistemi informativi (non solo informatici), adatti alla gestione delle diverse aree: assistenza, risorse umane, economica-finanziaria, ecc. Tutto ciò può essere realizzato attraverso l’uso di una metodologia moderna di pianificazione e controllo, e con la definizione di indicatori adeguati alla valutazione.

6. Potenziare le sinergie tra le province e i centri

La comunicazione e il lavoro di squadra mettono a frutto gli sforzi, potenziando i legami ed aumentando le probabilità di successo. A partire quindi, dalle iniziative portate avanti nel sessennio precedente, si propone di promuovere le sinergie (comprese quelle economiche) mediante la collaborazione provinciale ed interprovinciale.

7. Dare alla qualità una focalizzazione trasversale che coinvolga le politiche e i sistemi gestionali

Lo sviluppo della componente ospedaliera della qualità, richiede una prospettiva propria, integrale e differenziata (valori e cultura ospedaliera), che implichi una focalizzazione trasversale e che estenda i suoi principi all’elaborazione ed attuazione delle politiche relative (assistenziale, risorse umane, organizzazione, sistemi, infrastrutture, etc.). 

B) ASSISTENZA OSPEDALIERA 

8. Consolidare il modello assistenziale ospedaliero

L’assistenza integrale della persona si caratterizza per il suo essere accogliente, rispettosa, personalizzata, interdisciplinare e di qualità, sostenuta dai progressi scientifici e tecnici, e per la particolare attenzione all’etica (sia sotto l’aspetto clinico che organizzativo). Essa promuove il lavoro di gruppo, il reinserimento sociale e la continuità delle cure. 

9. Sviluppare la pastorale integrata nell’attività assistenziale

La prospettiva ospedaliera dell’assistenza comporta la graduale integrazione dell’azione pastorale nel servizio agli ammalati. Pertanto, è necessario continuare ad accentuarne il suo carattere evangelizzatore e la sua dimensione umanizzante, aprendosi alle diverse situazioni personali dei pazienti e dei loro costumi, a seconda del paese, cultura e credo a cui appartengono.

Data la complessità del lavoro da svolgere, è necessario ampliare la formazione delle persone responsabili.  

10. Rispondere in modo integrale e reale alle emergenze e alle necessità locali

Oltre allo sviluppo dell’assistenza e delle terapie, l’ospitalità, sin dalle sue origini, si è distinta per la sua capacità di individuare le nuove necessità e dare loro una risposta, grazie anche al suo carattere promotore, innovatore e creativo. Data la sua presenza attiva nella società moderna, il modello ospedaliero deve confrontarsi anche con altre realtà simili, come le amministrazioni pubbliche, al fine di coniugare risposte congiunte ed integrate alle esigenze ed emergenze assistenziali del luogo. 

11. Promuovere ed integrare l’insegnamento e la ricerca quale parte del modello assistenziale 

Nel modello assistenziale, l’insegnamento e la ricerca occupano un posto di rilievo, sebbene la loro realizzazione in pratica si attui seguendo diversi livelli di sviluppo. La promozione istituzionale di entrambi i settori, esige un maggiore coinvolgimento nella partecipazione ai progetti, l’assegnazione di risorse e la creazione di strutture proprie in grado di assicurare un adeguato

progresso dei professionisti e dell’Istituzione stessa. 

C) RISORSE UMANE 

12. Sviluppare politiche e progetti relativi alle Risorse Umane  

Le politiche relative alle risorse umane devono configurarsi come uno strumento strategico basilare per il progresso dell’opera ospedaliera. Bisogna promuovere attivamente l’identificazione con l’Istituzione e l’impegno reciproco.

13. Sviluppare la comunicazione interna e gli ambiti di corresponsabilità 

I processi attivi di cambiamento e trasformazione dell’Istituzione richiedono la creazione di nuovi canali di comunicazione e una redistribuzione dei compiti e delle responsabilità interne, tali da consentire una maggiore partecipazione dei collaboratori nel progetto istituzionale. 

L’opera ospedaliera, ogni giorno più complessa, esige un rafforzamento della sua struttura direttiva attraverso l’istituzione di quadri intermedi impegnati nella missione ospedaliera, in grado di gestire, giorno per giorno, le risorse umane e promuovere uno stile di direzione in grado di motivare i collaboratori. 

14. Istituire un sistema di inserimento, motivazione e valutazione 

È importante disporre di una politica che garantisca l’inserimento e l’integrazione di persone qualificate, attraverso piani di accoglienza, orientamento e valutazione delle prestazioni. È importante, allo stesso tempo, applicare sistemi di motivazioni che servano da stimolo ed infondano fiducia ai membri della comunità ospedaliera. 

15. Realizzare la formazione continua a tutti i livelli dell’Istituzione 

È fondamentale promuovere la gestione della conoscenza attraverso programmi di formazione continua, favorendo lo scambio, la crescita professionale e il senso di appartenenza dei collaboratori all’Istituzione. 

D) GESTIONE ECONOMICO-FINANZIARIA 

16. Promuovere una politica economico-finanziaria e patrimoniale che garantisca la continuità e lo sviluppo dell’opera ospedaliera. 

Tenuto conto della complessità degli scenari economici, si rende necessario elaborare alcuni criteri «di base» adattabili alle diverse realtà provinciali, protocollare le politiche, i beni e i criteri comuni che le sostengono. 

È opportuno chiarire gli obiettivi, il grado di esigibilità e i principi delle politiche gestionali patrimoniali, soprattutto per quanto riguarda le risorse umane e gli investimenti. 

17. Promuovere la professionalizzazione nell’ambito della gestione di Risorse Umane Conviene continuare ad investire nella professionalizzazione della gestione economico-finanziaria, promuovendo una gestione condivisa delle risorse sia a livello provinciale che interprovinciale, individuando i servizi che possono essere gestiti congiuntamente. 

E) COMUNICAZIONE ESTERNA 

18. Inserire la comunicazione quale elemento chiave della cultura ospedaliera 

È opportuno promuovere, articolare e consolidare iniziative in favore della comunicazione esterna, quale componente fondamentale della cultura ospedaliera.

Pertanto, si ritiene fondamentale una visione integrale della comunicazione, (soprattutto in relazione ai collaboratori, ad altri enti di nostro interesse, alla società, ecc), quale strumento al servizio dell’Opera, a partire dai principi che integrano il Progetto Ospedaliero. 

19. Progettare e realizzare programmi corporativi di comunicazione 

È necessario elaborare in modo strategico il messaggio pubblico dell’opera ospedaliera, con i suoi obiettivi di congregazione e le caratteristiche carismatiche specifiche da diffondere a livello locale. È opportuno analizzare l’immagine che vogliamo comunicare e quella che invece viene effettivamente percepita.

Il progetto di comunicazione esterna deve ispirare ed integrare gli ambiti Generali, Provinciali e Locali.

VALUTAZIONE

Tutta l’attività deve essere valutata. L’esame periodico del grado di sviluppo degli obiettivi, permette di prendere delle decisioni correttive e di rivedere i progressi compiuti, al fine di ridefinire le opzioni per il futuro. Per facilitare il raggiungimento di questi «obiettivi strategici» stabiliti per il prossimo sessennio 2006-2012, è necessario: 

  1. Realizzare una valutazione iniziale in ogni centro ed in ogni provincia

  2. Individuare degli indicatori che consentano una valutazione efficace. 

Il Governo generale elabora gli indicatori corrispondenti. In ogni Provincia, una commissione o gruppo di lavoro creato appositamente, stabilisce il modo e la metodologia di valutazione da applicare nei propri centri e in tutta la provincia. 

È molto importante conoscere il punto di partenza, in relazione a ciascun obiettivo da raggiungere, al fine di programmare azioni adeguate che ne facilitino il raggiungimento. 

Al termine del sessennio, una valutazione più esauriente potrà fornire un resoconto del cammino percorso e rilanciare la programmazione della «Missione Condivisa» verso una nuova meta.

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CONCLUSIONE

Dio disse: «Sia la luce», e la luce fu.

Dio vide che la luce era cosa buona.

Dio disse: «Ci siano luci nel firmamento

per illuminare la terra» E così avvenne.

Dio fece le due luci grandi e le stelle;

e Dio le pose nel firmamento del cielo per

illuminare la terra.

(Cfr. Gn 1,3-4.15-17)

Le stelle, che godevano di luce propria, si riunirono a migliaia,

formando la Via Lattea, che attraversa il firmamento in

una ricerca infinita della sua origine e del suo destino. Per volere

del Creatore, le stelle si convertirono in centro intorno al

quale gravitano altre creature che da esse ricevono luce, calore

e guida: Dio vide che era cosa buona! (Gn 1,18)

Anche nel cielo dell’ospitalità brillano le stelle: i malati e tutti i destinatari della nostra missione. Essi sono il centro che unifica e riunisce la comunità Ospedaliera. Dio misericordioso e guaritore li ha segnati con i raggi del suo volto – «di poco inferiore ad un dio lo fece» – dotandoli di particolare luce, «incoronandoli di gloria e splendore» (Sal 8,6). 

La comunità  ospedaliera ha ricevuto la missione di riaccendere le stelle, mediante un’ azione riabilitatrice che illumina anche noi, ci arricchisce ed evangelizza. La sua lucentezza originale si plasma sui nostri volti e sulle nostre vite. «Da dove abbiamo meritato la grazia con la quale il Signore si degna di impiegarci al suo servizio e a sollievo delle sue vive immagini?» (L 406). 

Ogni volta che assistiamo un malato rendiamo testimonianza, alla Chiesa e alla società, che Dio è vivo e attivo tra i figli più deboli e bisognosi del suo popolo. Attraverso la nostra missione  ospedaliera siamo Buona Novella della guarigione di Dio per l’uomo di oggi in qualunque luogo della terra.

Allora Dio nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto. Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, (Gn 2,2-3). 

Nel vedere la sua opera compiuta, Dio si rallegrò e si riposò perché l’ affidava in buone mani. A te, a me, a tutta la comunità ospedaliera, appartiene il lavoro del settimo giorno della nostra storia congregazionale. «Coraggio figlie mie, coraggio, il Cielo è nostro: combattete con coraggio sino alla fine» (L 447). 
 
 
 

ABBREVIAZIONI

  • L Lettere di P. Benedetto Menni alle Suore Ospedaliere

del Sacro Cuore di Gesù da lui fondate (1883-1913),Viterbo 1993.

  • Cost. Suore Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù, Costituzioni,

Roma 2000.

  • EN Paolo VI, Esortazine Apostolica, Evangelii Nuntiandi,

8 dicembre 1975.

  • Perfil Lizaso Berruete F. O. H. (coord.), Perfil juandediano

del Beato Benito Menni (463 cartas), Granada 1985.

  • RMA Giménez Vera M. Angustias, Relazione sulle origini

della Congregazione delle Suore Ospedaliere del Sacro

Cuore di Gesù, Viterbo 1977.

  • VC Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica post-sinodale,

Vita Consecrata, 25 marzo 1996. 

INDICE

Presentazione ……………………………………………………………. 5

PRIMA PARTE

OSPITALITÀ: UN CARISMA DA TESTIMONIARE

1. Il nucleo della prima evangelizzazione ………………… 19

2. Gesù  unto di Dio e profeta del Regno …………………. 19

3. La missione messianica di Gesù è una missione

guaritrice ……………………………………………………………. 20

4. Ospitalità: evangelizzazione nella guarigione ………. 21

5. Consacrazione ospedaliera: memoria viva di Gesù . 22

6. Carisma e Missione: espressione della stessa

identità  ……………………………………………………………….. 23

7. A partire dal XVIII Capitolo generale:

obiettivi… …………………………………………………………… 23

8. … e orizzonti che si ampliano ……………………………… 24

9. Centralità  del malato nella prospettiva del Regno .. 25

10. Verso una spiritualità ospedaliera a partire

dall’irruzione del Regno ……………………………………… 26

a) Il Regno è di Dio …………………………………………….. 26

b) Il Regno fermenta la storia ……………………………….. 27

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c) Il Regno si annuncia agli emarginati …………………. 27

d) Il Regno come incontro di gioia ……………………….. 28

e) Il Regno è motivo di rifiuto ………………………………. 29

f) Il Regno esige di donare la vita …………………………. 30

SECONDA PARTE

OSPITALITÀ: UNA MISSIONE DA CONDIVIDERE

11. Eletti dalla comunione con il Risorto ………………….. 35

12. La comunità luogo di elezione missionaria… ………. 35

13. … e di comprensione delle Scritture ……………………. 36

14. Comunità  radicate nella Parola …………………………… 37

15. Eucaristia cultuale ed Eucaristia della carità ……….. 38

16. La guarigione è un segno pasquale ……………………… 39

17. Comunità eucaristiche ………………………………………… 40

18. Il Martirio della carità ………………………………………… 41

19. Comunità, luogo di annuncio e testimonianza ……… 42

20. Sfide della formazione ………………………………………… 44

21. Evangelizzare a partire dalla comunità

ospedaliera… ……………………………………………………… 45

22. … e dalle opere Ospedaliere ……………………………….. 46

TERZA PARTE

OSPITALITÀ: UNA CHIAMATA

PER COSTRUIRE IL REGNO

23. Sotto il dominio dello Spirito ………………………………. 51

24. Il convertitore convertito …………………………………….. 51

25. Un carisma da condividere ………………………………….. 52

26. Suore e collaboratori: punti di un cammino

centenario …………………………………………………………… 53

82 Missione ospedaliera: Buona notizia

Indice

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27. Spiritualità  della collaborazione nell’ottica

dell’ irruzione del Regno …………………………………….. 55

28. Rafforzare l’identità istituzionale ………………………… 58

29. Promuovere un progetto ospedaliero di qualità …… 59

30. Avvicinarsi alle nuove situazioni di sofferenza,

emarginazione e povertà ……………………………………… 59

31. Organizzare sistemi di collaborazione in rete ………. 60

32. Attivare la comunicazione globale ………………………. 61

QUARTA PARTE

MISSIONE CONDIVISA:

OBIETTIVI STRATEGICI 2006-2012

II. Identità  e cultura ospedaliera ……………………………… 67

II. Opera ospedaliera ………………………………………………. 68

a) Organizzazione e gestione ……………………………… 68

b) Assistenza ospedaliera …………………………………… 69

c) Risorse umane ……………………………………………….. 71

d) Gestione economico-finanziaria …………………….. 72

e) Comunicazione esterna ………………………………….. 73

Valutazione ……………………………………………………………….. 75

Conclusione ………………………………………………………………. 77

Abbreviazioni ……………………………………………………………. 79

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Indice

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