SAN RICCARDO PAMPURI – VERGINITÀ VIGILATA – ANGELO nOCENT

SAN RICCARDO PAMPURI
VERGINITÀ VIGILATA

La verginità riferita a fra Riccardo è quella per il Regno. Su di essa sono stati scritti trattati; fiumi d’inchiostro scorrono sia per esaltarla come un diamante che per banalizzarla come “trovata” di cattivo gusto, imposta per sottomettere i “gracili di spirito”. Per tanta gente la verginità consacrata è un “colpo di testa” di persone frustrate, deluse oppure suggestionate, illuse da provetti adescatori che plagiano psicologie fragili per rinnovare l’organico dell’esercito ecclesiastico. Per chi la sceglie, si tratta invece di un “colpo di vento”. Allora di male in peggio? No.
Ma lo spiegherò dopo.

Appartengo alla generazione di coloro che in materia ne hanno sentite di cotte e di crude e ne hanno anche viste di tutti i colori!
Quand’ero bambino, fanciullo di Azione Cattolica prima “fiamma bianca”, poi “fiamma verde”, in fine “fiamma rossa” e per giunta primo premio diocesano (Gorizia), viaggio a Roma con altri cinquemila ragazzi in camicia color crema, calzoncini corti blu e basco di panno azzurro, per vedere Papa Pio XII, le Basiliche, le Catacombe…in occasione dell’ anno santo 1950, fino a quattordici, quindic’anni non ricordo di avere incontrato sul mio cammino sacerdoti impegnati in discorsi di purezza, castità e tanto meno di verginità. Forse il perché l’ho capito in età matura: nel paese dove sono nato e dintorni c’era in circolazione più d’un chiamato con la coda di paglia e quindi si evitava…
Successivamente, in un contesto collegiale, l’argomento veniva sollevato già dal primo mattino con la meditazione. Qualunque fosse il tema della meditazione, la morale della favolai finiva sempre lì, nel punto critico. L’esame di coscienza della sera riprendeva l’argomento da dove era stato lasciato, con una puntigliosa domanda rivolta ad alta voce in cappella a qualcuno in preda al panico per il timore di far scena muta. Più d’uno, a cominciare da me, potendo scegliere, avrebbe optato per una schioppettata. In camerata poi, luogo popolato dai demoni dell’impurità, s’era instaurato un clima di vigilanza e di all’erta. In ginocchio sul pavimento, appena dopo le preghiere recitate in cappella, s’invocava il S. Luigi, “di angelici costumi adorno”, sorvegliante permanente del dormitorio. Poi c’era sempre di turno un Prefetto, suo zelante sosia che, spente le luci principali, gironzolava su e giù per il corridoio con la corona in mano a dar man forte alla “resistenza”.
Non ho esagerato. Sono cose accadute e nessuno mai s’è sognato di ribellarsi se non più avanti, dopo i vent’anni. Ciò nonostante, eccoci qua, tutti grandi (grossi) e vegeti. Nessuno è morto allora per via della fissazione (nevrosi) e a qualche inconveniente ognuno a provato a metterci una pezza in seguito. Del resto, i nostri giovani, non frustrati dall’ossessione della castità, li ritroviamo demoralizzati, abbattuti, delusi, sfiduciati, depressi e prematuramente impotenti, per le sante buone ragioni del nuovo metodo educativo che di tutte queste sofferenze vorrebbe preservarli.
Sarebbe utile poter cogliere la dinamica interiore che ha mosso il Pampuri a prendere la direzione alta, perché ne verrebbe un messaggio ed un esempio di vita vissuta sia per i ragazzi che per gl’uomini del nostro tempo. E, – come dice un barzellettiere – quando dico uomini, naturalmente intendo abbracciare anche tutte le donne.

Il termine biblico ruah ordinariamente tradotto con spirito, ha proprio questo significato, naturalmente molto più esteso: è l’instaurarsi di un clima atmosferico necessario per la vita che il vento provoca refrigerando o portando pioggia. Si tratta di una vitalità prorompente e imprevedibile, fisica e psichica, che coinvolge l’intera persona. La sua mancanza provoca clima soffocante, vita difficile, paralisi progressiva.
Come ogni consacrato, votato a Dio, anche fra Riccardo è un uomo fecondo che non contempla soltanto il Divino e sublima il suo io, le sue repulsioni. Uomo di Dio per gli uomini, la sua donazione verginale in un Ordine ospedaliero che ha il carisma del mandato evangelico dell’ “andate…guarite…annunciate…”(Mt 4, 23-25), assume un preciso significato concreto nel fare di ogni giorno:
sfiorare la carne delle persone che incontra, la carne malata,
inserirvi il germe vitale del Dio che guarisce,
perché in essa germogli il Suo progetto nel tempo della malattia.
Verginità e ospitalità, quindi, verginità che feconda il dolore passando attraverso la kenosis della povertà e dell’obbedienza. Quattro voti per un unico obiettivo: colui che si è fatto Dono (verginità=amore puro di Dio) per tutti gli uomini, chiede a sua volta di essere donato.
Riccardo negl’anni successivi alla laurea ha avvertito prepotentemente la spinta ad uscire da se stesso per non rimanere soffocato dall’abbraccio dell’io. Si è sforzato di aprire e di muoversi in direzione dell’ altro e, stando alle testimonianze, ci riusciva anche bene. Epperò intuiva che gli mancava qualcosa che un giorno arriverà inaspettato: il famoso colpo di vento che finalmente gli provocherà un cambio di stagione, di atmosfera, di vita. Aperto al dono dello Spirito, è attratto e percepisce il fascino di una scelta tanto impegnativa qual è quella della vita consacrata.

Ai nostri giorni Giovanni Paolo II scriverà in “Vita Consacrata”: “ Chi può essere se non Lui a suscitare il desiderio di una risposta piena. E’ lui che forma e plasma l’animo dei chiamati, configurandoli a Cristo casto, povero e obbediente e spingendoli a far propria la sua missione. Lasciandosi guidare dallo Spirito in un incessante cammino di purificazione, essi diventano, giorno dopo giorno, persone cristiformi, prolungamento nella storia di una speciale presenza
del Signore risorto.
Ogni verginità, compresa quella per il Regno, è come la salute: rischia di essere veramente apprezzata solo quando la si perde.
Se essa è sinonimo di innocenza bambina, prima o poi con la crescita si trasforma in nervosismi, desiderio d’incontri e d’esperienze, conflittualità domestica;
quando è valore da portare in dono alla persona amata, maschio o femmina che sia, si trasforma in senso di colpa se è perduta per puro gioco o calcolo egoistico, o in deprezzamento di ciò che si è perso (poco e niente);
se verginità è luogo di fecondazione divina per una testimonianza in prospettiva escatologica di “cieli nuovi e terra nuova”, è frustrazione dolorosa per chi se ne priva in un contesto di debolezza, che porta molto spesso in un pendio per nuovi dolorosi ribaltoni.
In tutti i casi, ogni sconfitta è fonte nuova di cadute, il cuore perde vigilanza ed atrofizza, lo sventurato, debole e confuso, più che chiedere aiuto, s’inabissa.
Il “fa che non soccombiamo nella tentazione” che dobbiamo chiedere ogni giorno nel “Padre nostro“ assieme al pane quotidiano, se non riguarda lei soltanto, quella verginità che ogni battezzato, celibe, nubile o coniugato deve gelosamente custodire, senza richiesta quotidiana d’intervento dall’alto, muore.
Ora stiamo vivendo una stagione nuova in cui il tema della verginità, secondo quanto scrive mons. Franco Brovelli, Vicario episcopale per la formazione permanente del clero della diocesi di Milano, “sembra scomodo e pare più oggetto che dà voce al disagio che non alla riflessione. Anche questa, peraltro, spesso sceglie percorsi di tipo teorico, volti a dare ragione di una scelta non più scontata. Si è molto attenuato, infatti, un consenso “culturale” sulla verginità: questa forma di vita non appare più immediatamente significativa. Di essa permane frequentemente solo il senso di una rinuncia, e non appare più invece il significato di una donazione, di un bene al quale ci si lega, di una speranza che si tiene viva per sé e per tutti.
Oggi chi fa questa scelta deve mostrare la sua plausibilità non tanto e non solo in sede teorica, ma molto più mostrando una forma pratica di vita buona e felice.
Non sarà ovviamente una forma di vita facile – e d’altra parte il Signore ai suoi discepoli ha indicato la via della beatitudine e insieme della persecuzione, non del successo e della ovvietà -, ma non sarà neppure priva di una sua bellezza e plausibilità.
Indubbiamente nella verginità abita uno scarto, una tensione che non a tutti è dato di comprendere (cfr Mt 19,10-12) Occorre proprio sostenere questa scelta nella sua forma pratica, nelle sue condizioni di vita, perché in essa appaia una buona notizia, una speranza che alimenta la vita di tutti”. (Un dono per la Chiesa –LA FIACCOLA, Ago/Set.2003.)

La situazione ai tempi del Pampuri era certamente più simile a quella che ho descritto che non all’attuale. Stringi stringi però, l’educazione del cuore ha le sue regole. E’ resa possibile e facilitata se vi sono i presupposti:
la direzione spirituale, (sono raggiunto dalla Profezia);
la confessione e comunione frequenti, (lo Spirito agisce in me);
l’Evangelo che si fa Parola viva, ascolto, preghiera, provocazione (m’introduce nel movimento dell’Amore Trinitario);
la lettura di vite collaudate che sono i santi, campioni della fede (attingo ai tesori della Chiesa).
Non sono ammesse scorciatoie. Diversamente, ai primi scossoni, la costruzione cade.

Dagli scritti del Pampuri trapelano queste indicazioni pedagogiche che, al di là della formulazione linguistica o dello stile letterario, sottintendono i punti fermi di sempre. Nel 1926, scrivendo ad un amico, per farlo uscire dal grave e tanto pericoloso stato d’animo in cui si era venuto a trovare, lo pregava con tutto il cuore di accogliere alcuni suggerimenti, il primo dei quali sembra riassunto e vigorosamente lanciato da Papa Woitila nell’ormai famoso : “non abbiate paura…
aprite le porte a Cristo!”. Alle esortazioni che seguono ho dato un’impostazione grafica diversa solo per evidenziare meglio il testo:
1. “…non aver paura di conoscere la verità, noi dobbiamo sempre cercarla la verità con ardore e con sincerità, poiché dove è la verità è anche il nostro sommo bene, poiché ivi è Dio il quale disse: Ego sum veritas.
2. Ritorna quindi a leggere gli Evangeli, il Catechismo, l’Imitazione di Cristo, così semplici e così ripieni della sapienza divina; leggili e meditali, e prega soprattutto con la preghiera che Iddio stesso ci ha insegnato, col Pater noster, e la luce della verità, diradatesi le nebbie delle passioni, ritornerà a risplendere alla tua mente in tutta la sua bellezza.
3. Con l’aiuto di Dio e la intercessione della nostra Madre celeste, dalla cui misericordiosa bontà tutto possiamo ottenere, certamente il tuo animo buono e generoso saprà trovare la forza per vincere e la lonza e il lione dantesco, ed uscir fuori dalla selva oscura, nella quale fortunatamente non ti sei ancora di molto inoltrato.Uscire coraggiosamente e prontamente, senza perdere la speranza dell’altezza, di quell’altezza alla quale noi tutti siamo chiamati dalla bontà di Dio ed alla quale tutti possiamo giungere col suo aiuto onnipotente per i meriti infiniti di Gesù Cristo nostro Redentore”.
4. Rivedi nel S.Evangelo la paterna bontà di Gesù che chiama a sé coloro che sono oppressi e travagliati, per confortarli e renderli felici, che ci mette in guardia dai falsi profeti, dalle massime perverse del mondo corrotto e corrompitore, pieno di scandali, di ipocrisia, di perversità: che ci mette in guardia contro gli sterpi, le erbe selvatiche, le quali cresciute rigogliosamente possono soffocare la buona semente pur caduta sopra un buon terreno e germogliata e cresciuta bene da principio.
5. Rivedi Gesù tanto buono coi poveri, coi peccatori, cogli afflitti, con tutti gli umili ed i bisognosiche pieni di fiducia ricorrevano a Lui, invocando le sue grazie, le sue benedizioni.
6. Rivedilo in balia di quegli autentici rappresentanti di quello spirito del mondo,
Della cupidigia di Giuda,
Della sacrilega superbia degli scribi e farisei,
Della vile prudenza di Pilato,
Del lussurioso Erode
A tutti fatto ludibrio, Lui, il Giusto, il Santo, la
Purezza personificata,
- Da tutticostoro schernito, condannato.
- E tutto questo per la nostra avarizia,
Per la nostra superbia,
-Per la nostra lussuria,
-Per le nostre vili e vergognose passioni,
-Per scontarne la pena terribile, per liberarci da tale orribile catena,
Dalla schiavitù di satana,
Della carne,
Del mondo.

Se fino ad ora ha invitato l’amico a una lectio divina, nel testo che segue possiamo leggervi lo spirito del penitente che si accosta al sacramento della confessione. Verginità vigilata non vuol dire solo castità; il termine va oltre il significato riduttivo che lo relega nella sfera del femminile, per estendersi al cuore umano in tutte le sue implicanze.
Per uscire dalle proprie miserie il laico Dr. Pampuri è consapevole che non esiste altra via per l’uomo se non quella di affidarsi ad un amore più grande, sorgente di quella fede che fa muovere le montagne e rende possibile ciò che ad occhi umani appare irragionevole. I sacramenti sono le strade da battere. Quello della riconciliazione è un percorso privilegiato. L’affetto che traspare nel resto della lettera, è simile di quello dell’Apostolo Paolo per Tito:
“ Sì, o amico carissimo, il mondo ci illude, ci inganna, ci tradisce, ci avvelena questa vita eccitando e scatenando le nostre passioni, che insaziabili (“E dopo il pasto han più fame che pria”, non è vero?) non possono renderci che infelici, e ci fa perdere la vita eterna, ci conduce alla ETERNA dannazione.
Iddio ci chiama alla verità, alla luce, alla vita, al bene, alla felicità in questa vita nella sua pace, nell’abbandono alla sua misericordiosa provvidenza, ed alla beatitudine eterne, e la sua parola non inganna, ce ne sono garanti l’esempio dei santi, i continui miracoli anche contemporanei.
Il giogo del mondo è duro, tirannico,quello di Dio soave, “Jugum meum suave est”, “Servire Deo regnare est”: esiteremo ancora noi a scegliere?

“Il nostro cuore, o Signore, è stato creato per Te, e sarà sempre inquieto finchè non potrà riposare in Te”(S:Agostino).
Abbandoniamoci fidenti con umiltà di cuore e purezza di intenzione nelle braccia della infinita misericordia di Dio. “In Te, Domine, speravi, non confundar in aeternum”.

A qualcuno potrà sembrare un noioso predicozzo d’altri tempi. Ma a rileggere, disarmati, l’analisi che il nostro medico fa dell’animo umano, emerge chiaramente come la fonte di un affidamento totale della persona a Dio, anche nelle imprese che appaiono più disperate od inutili, quelle che nessuno vuole accettare perché troppo gravose. Sia proprio Lui, il Signore Gesù. C’è proprio molto da confutare a un giovanotto che ha voluto mettere al centro della sua vita la Parola di Dio?
Per tornare al discorso iniziale sulla verginità, bisogna fare una precisazione: si può vivere senza un esercizio della sessualità, ma non senza una vita affettiva e delle relazioni di spessore. Un consacrato, uno che accosta quotidianamente i letti del dolore umano, non può vivere la verginità come assenza di relazioni, ma come viverle. Una persona acida è come una perla senza luce. A tal proposito il citato Vicario Episcopale Brovelli scrive che “Fuori da un radicale discepolato del Signore non si capisce una scelta che rimane un’eccezione rispetto alla destinazione dell’uomo per la donna e viceversa. Eccezione che non separa il vergine da chi testimonia l’amore di Dio nella forma della relazione uomo-donna, ma che ne richiama il fondamento. Le due vocazioni rimangono insieme un segno verso l’assoluto affettivo che solo Dio può rappresentare”. Su questo “assoluto affettivo” del Pampuri si è pronunciata la Congregazione dei Santi che gli ha trovato le carte perfettamente in regola per accedere alla gloria degli altari.
Personalmente mi fa rabbia sia quando il Pampuri lo si butta sul San Luigi, sinonimo spregevole di collo torto, senza…spina dorsale; parimenti quando si riscontra in lui una timidezza di natura misogina. Questi giudizi appartengono solo a coloro che di verginità non ci capiscono un’acca, né l’apprezzano e tanto meno la condividono.
Per pura curiosità, si dia un’occhiata alla liturgia del 21 Giugno, memoria del santo gesuita. Gl’occhi possono solo sbalordire per tanta meraviglia di luci, suoni e di colori. Il vestito sembra fatto su misura per il nostro San Riccardo, chiamato a indossare la perenne giovinezza del Vangelo quasi quattro secoli dopo.
La liturgia di San Luigi Gonzaga (+ 1568-1591) si apre con il salmo 23, 4.3: ”Chi ha mani innocenti e cuore puro salirà sul monte del Signore e starà nel suo santo luogo”.
Al di là dei nobili natali, tra le righe della sua biografia non è difficile intravedere i tratti essenziali ed una certa somiglianza con quella del suo erede spirituale Riccardo:
“Luigi, primogenito del marchese di Mantova, nacque a Castiglione delle Stiviere. Era un ragazzo vivace, impaziente, senza complessi, amava il gioco e si divertiva. La madre, Marta Tana di Chieri, gli insegnò da piccolo a orientare decisamente la sua vita a Dio. E con la sua tenacia vi riuscì.
Ricevuta la prima volta l’Eucaristia da san Carlo Borromeo, coltivò una forte unione con Gesù.
La grazia fece di lui un santo di grande dominio di sé, interamente votato alla carità. Il suo segreto di eroismo è la preghiera; già a 12 anni aveva deciso di
dedicare 5 ore al giorno alla meditazione.
Per gradi si sentì attratto alla vita religiosa. Col coraggio delle sue convinzioni, vinse l’opposizione del padre, rinunciò alla primogenitura, e a 16 anni entrò nella Compagnia di Gesù, avendo a maestro spirituale san Roberto Bellarmino.
Lui, che riusciva bene negli affari, si diede assai più allo studio, alla preghiera, alla carità. Mirò anche alle missioni e al martirio. L’occasione non gli mancò ma diversa da quella sognata: scoppiata la peste, Luigi si prodigò talmente che la contrasse e morì anche lui.
Catechista coi ragazzi, premuroso con i poveri e i malati, fattosi tutto a tutti, vivendo la propria fede in Cristo, Luigi si rivelò soprattutto un giovane «generoso», trascinatore di giovani, sia ieri che oggi “.

Se San Luigi è questo, – dico io – ben vengano i “colli torti” con il giglio in mano! Mi viene da dire che, per comprendere i Pampuri andrebbe RI-VALUTA la figura del Gonzaga, alla quale sovente viene accostato ma di cui la maggior parte delle persone conose poco o nulla ed in modo distorto.
Nella «Lettera alla madre» san Luigi Gonzaga canta senza fine le grazie del Signore (Acta SS., giugno, 5, 878).
Di pensieri analoghi sono colme anche le lettere del Pampuri, indirizzate alla sorella, madre spirituale di quest’orfano eccezionale che un giorno potrebbe essere proclamato a pieno titolo patrono di coloro che hanno perso o mai conosciuto i genitori.
“Io invoco su di te, mia signora, il dono dello Spirito santo e consolazioni senza fine. Quando mi hanno portato la tua lettera, mi trovavo ancora in questa regione di morti. Ma facciamoci animo e puntiamo le nostre aspirazioni verso il cielo, dove loderemo Dio eterno nella terra dei viventi. Per parte mia avrei desiderato di trovarmici da tempo e, sinceramente, speravo di partire per esso già prima d’ora.
La carità consiste, come dice san Paolo, nel «rallegrarsi con quelli che sono nella gioia e nel piangere con quelli che sono nel pianto». Perciò, madre illustrissima, devi gioire grandemente perché, per merito tuo, Dio mi indica la vera felicità e mi libera dal timore di perderlo. Ti confiderò, o illustrissima signora, che meditando la bontà divina, mare senza fondo e senza confini, la mia mente si smarrisce. Non
riesco a capacitarmi come il Signore guardi alla mia piccola e breve fatica e mi premi con il riposo eterno e dal cielo mi inviti a quella felicità che io fino ad ora ho
cercato con negligenza e offra a me, che assai poche lacrime ho sparso per esso, quel tesoro che è il coronamento di grandi fatiche e pianto.
O illustrissima signora, guardati dall’offendere l’infinita bontà divina, piangendo come morto chi vive al cospetto di Dio e che con la sua intercessione può venire incontro alle tue necessità molto più che in questa vita.
La separazione non sarà lunga. Ci rivedremo in cielo e insieme uniti all’autore della nostra salvezza godremo gioie immortali, lodandolo con tutta la capacità dell’anima e cantando senza fine le sue grazie. Egli ci toglie quello che prima ci aveva dato solo per riporlo in un luogo più sicuro e inviolabile e per ornarci di quei beni che noi stessi sceglieremmo.
Ho detto queste cose solo per obbedire al mio ardente desiderio che tu, o illustrissima signora, e tutta la famiglia, consideriate la mia partenza come un evento gioioso. E tu continua ad assistermi con la tua materna benedizione, mentre sono in mare verso il porto di tutte le mie speranze.
Ho preferito scrivertiperché niente mi è rimasto con cui manifestarti in modo più chiaro l’amore ed il rispetto che, come figlio, devo alla mia madre”.

La liturgia della Parola, con la lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi rivela il già di Luigi e Riccardo ed il non ancora di noi, in corsa verso la meta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere in Cristo Gesù.
“Fratelli, tutto io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste
cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede.
E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti.
Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.(Fil 3, 8-14)

Il salmo 15 sintetizza il sentimento interiore degli atleti di Dio:
Sei tu, Signore,
l’unico mio bene.
Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio.
Ho detto a Dio: «Sei tu il mio Signore,
senza di te non ho alcun bene» .
Il Signore è mia parte di eredità e mio calice:
nelle tue mani è la mia vita.
Benedico il Signore che mi ha dato consiglio;
anche di notte il mio cuore mi istruisce.
Io pongo sempre innanzi a me il Signore,
sta alla mia destra, non posso vacillare.
Mi indicherai il sentiero della vita,
gioia piena nella tua presenza,
dolcezza senza fine alla tua destra.”.

Nel canto al Vangelo i poveri di Dio che hanno venduto tutti i loro averi, con l’Alleluia testimoniano il Dio fedele alla promessa: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Contro ogni apparenza, essi sono proprio coloro che hanno saputo fare ottimi investimenti:
“In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va,
pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose;
trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra”. (Mt 13, 44-46)

L’antifona alla Comunione con i versetti 24 e 25 del Salmo 77 richiama la Pasqua dei santi, vissuti in perenne rendimento di grazie: ”Ha dato loro il pane delcielo:l’uomo ha mangiato il pane degli angeli”.
E’ strabiliante la somiglianza dei due giovani santi. Verginità-povertà-obbedienza sono un trinomio inscindibile che genera carità, ospitalità. Anche Riccardo, venduti tutti i suoi averi, ha fatto ottimi acquisti, dimostrando di essere non solo un bravo medico ma anche un avveduto uomo d’affari.
I testi della liturgia, uno più bello dell’altro, sottolineano l’identità genetica dei due, non fosse altro perché figli dello stesso Padre. Sono ragazzi che, in epoche diverse, coltivano gli stessi sogni: le missioni, il martirio, si votano alla carità, ai malati, ma si lasciano anche docilmente condurre per itinerari molto diversi da quelli sognati. In questo prodigarsi senza risparmio, muoiono entrambi in giovane età, il primo di peste, il nostro di tisi. Tutto questo per avere trovato un tesoro in un campo ed averlo comprato. Qualcuno potrebbe chiedersi: ma che razza di affare è mai questo?
“Uomini d’affari” scusate per l’appropriazione indebita della vostra qualifica da parte di due volgarissimi collezionisti d’insuccessi. Eppero, “Chi può capire,
capisca”.
Personalmente mi morsicherò le dita fin che campo al pensiero che, avendo un giorno di tanti anni fa comprato a poco prezzo una perla preziosa e inestimabile, me la sono fatta soffiare sotto il naso da una mano invisibile ed astuta che mi ha tratto in inganno con uno specchietto per allodole. Non ho ancora capito come sia potuto avvenire. Da allora ho sempre avuto paura a buttarmi in affari, preferendo vivere sobriamente di salario. Purtroppo nelle competizioni dello spirito non basta partecipare, occorre vincere. A meno che al premio di consolazione vengano ammesse anche le lumache. In tal caso si tratterebbe anche per me di un bel… colpo di fortuna!
Fortunatamente, lo Spirito di Dio non è circoscritto, soffia dove vuole, penetra dappertutto con sovrana libertà. Qualunque situazione umana, per quanto deteriorata, disperata, vive l’attrazione dello Spirito che continuamente muove il cuore o col rimorso o con la nostalgia o con la paura o con il coraggio e la speranza. Lo Spirito insomma soffia sulla nostra umanità peccatrice anzitutto come Spirito di amore perdonante per fare di noi persone che amano e perdonano i fratelli. Passate parola.
Al termine di questa riflessione, proprio perché alcune mie battute sulla pedagogia del tempo non vengano interpretate come un risentimento, mi è sembrato interessante evidenziare una felice coincidenza di sostanza e di metodo. Nella festa dell’Immacolata Concezione del 1897, anno di nascita di Erminio Pampuri, Giuseppe Roncalli, il futuro Giovanni XXIII, nel giornale dell’anima, miniera preziosissima, sconosciuta ai più, “Della Santa Purità” così scriveva:
48. “Convinto, per grazia di Dio e della mia madre Maria, dell’inestimabile tesoro della santa purità e della necessità grandissima che io ne ho, per essere chiamato all’angelico ministero del sacerdozio, a conservare sempre terso questo specchio lucentissimo, in questi santi Esercizi ho formato, coll’approvazione del mio padre spirituale, ed ho proposto di eseguire scrupolosamente questi proponimenti, che io consacro alla Vergine dei vergini per le mani di quei tre angelici giovinetti, Luigi Gonzaga, Stanislao Kostka e Giovanni Berchmans, miei speciali protettori’, affinché ella, in vista de’ meriti di questi tre suoi carissimi gigli, me li voglia benedire ed accordarmi la grazia di tradurli in pratica.
49. 1.Anzitutto intimamente persuaso che la santa purità è grazia di Dio, senza la quale io sono capace solo di violarla, farò anche in questo affare la gran base dell’umiltà, diffidando di me stesso e ponendo ogni mia confidenza in Dio ed in Maria santissima. Laonde ogni giorno pregherò il Signore per la virtù della santa purità e massimamente mi raccomanderò a lui nella santa comunione, a lui che nell’Eucaristia mi appresta il «frumentum electorum et vinum germinans virgines» (Zc 9,17). (Traduzione: il grano darà vigore ai giovani e il vino nuovo alle fanciulle).
Della Regina dei vergini poi sarò tenerissimo; ed oltre ad altre preci che la mia devozione mi suggerirà, applicherò sempre l’ora di prima dell’ufficiolo, la
prima Ave Maria dell’Angelus, la prima posta del rosario per l’acquisto e conservazione della santa purità.
Terrò pure impegnato san Giuseppe, sposo castissimo di Maria, recitando a lui, due volte il dì, l’orazione «O virginum custos » e sarò devoto dei tre
santi giovani suddetti, la cui purità mi studierò di trasfondere in me stesso.
50. 2. Attenderò a mortificare severamente i miei sentimenti mantenendoli dentro i limiti della cristiana modestia; epperò farò digiunare specialmente gli occhi, detti da sant’Ambrogio reti insidiose e da sant’Antonio di Padova ladri dell’anima, schivando quanto più posso i concorsi di popolo per feste ecc.; e quando fossì costretto a intervenirvi, diportandomi in modo che nulla, che anche solo richiami il vizio contrario alla santa purità, ferisca i miei occhi, i quali perciò in tali occasioni si terranno sempre fissi al suolo.
51. 3. Somma modestia userò pure quando mi avvenga di passare per città o altri luoghi popolati, non guardando mai a manifesti, vignette, negozii
dove ci può essere indecenza, giusto il detto dell’Ecclesiastico: «Noli circumspicere in vicis civitatis, nec oberraveris in plateis illius» (Sir 9,7).
(Traduzione: non guardar qua e là per le vie della città, né andar vagando per le sue piazze). Ed anche nelle chiese, oltre ad una modestia edificante nelle sacre funzioni, non fisserò mai bellezze di qualunque sorta, come quadri, intagli, statue o altri oggetti d’arte, in cui sia, anche per poco,
violata la legge del decoro, massimamente in fatto di pitture.
52. 4. Con donne di qualunque condizione, siano pure parenti o sante, avrà un riguardo speciale, fuggendo dalla loro familiarità, compagnia o conversazione, come dal diavolo, massimamente trattandosi di giovani; né mai fisserò loro in vòlto, o in parte dove la modestia resti offesa, gli occhi, memore di ciò che insegna lo Spirito Santo: «Verginem ne conspicias, ne forte scandalizeris in decore illius» (Sir 9,5). (Traduzione: non guardare una vergine, perché tu non abbia a sdrucciolare a cagione della sua avvenenza). Mai non le toccherò per qualsivoglia motivo, mai non darò loro una minima confidenza o permetterò che esse mi tocchino, e quando per
necessità dovrò parlare con esse, mi studierò di usarmi del « sermo durus,brevis, prudens et rectus». (Traduzione: conversazione asciutta, breve,
prudente e retta).
52.5. Mai non terrò in mano, o sotto gli occhi, libri di frivolezze o figure che offendano il pudore, e quanti ne troverò, di questi oggetti pericolosi, tanti ne straccerò o darò alle fiamme, anche se fossero nelle mani dei miei compagni, a meno che dal ciò fare non derivino più gravi inconvenienti.
53.6. Oltre al dar io esempio di somma modestia nel parlare, procurerò in famiglia di allontanare dai discorsi argomenti poco convenienti alla santa purità, non mai permettendo che, in mia presenza massimamente, si parli di amoreggiamenti, si usino parole poco oneste e decenti da chicchessia, o si cantino canzoni amorose; sempre correggerò con carità di qualunque immodestia da altri usata, e se persisteranno mi allontanerò mostrandone il più vivo dispiacere. In seminario poi a questo riguardo sarò scrupoloso e tutt’occhi per allontanare genialità, simpatie fra i compagni e tutti quegli atti o parole, che, se nel mondo possono passare, sono ìndecenti per gli
ecclesiastici.
54.7. A tavola, e nel parlare e nel mangiare, non mi mostrerò ghiotto o intemperante; farò sempre qualche piccola mortificazione; e in quanto al bere vino starò più che moderato, poiché nel vino c’è lo stesso pericolo che nelle donne: «Vinum et mulieres apostatare faciunt sapientes» (Sir 19,2).
(Traduzione: il vino e le donne fanno sviare anche i saggi). 8. Userò eziandio una somma modestia con me stesso riguardo al mio corpo in qualunque occasione, e per qualunque atto degli occhi, delle mani, della mente, ecc., sì in pubblico che in privato. Ed acciò si tolga l’occasione ditali atti, quantunque incolpevoli, alla sera prima di addormentarmi, messami al collo la corona della beata Vergine, disporrò le mie braccia sul petto in forma di croce, nel quale stato procurerò di trovarmi la mattina.
55. 9. In tutto mi ricorderò sempre che io devo essere puro come un angelo, e mi diporterò in modo che da tutto me stesso, dai miei occhi, dalle mie parole, dai miei tratti, traspiri quella santa verecondia sì propria dei santi Luigi, Stanislao e Giovanni, verecondia che piace tanto, si attira la riverenza ed è l’espressione di un cuore, di un’anima casta, diletta da Dio.
55.10. Non mi scorderò mai che io non sono mai solo, anche quando losono: che mi vede Dio, Maria e l’angelo mio custode; che sempre sono chierico. E quando sarò sulle occasioni di offendere la santa purità, allora più che mai istantemente mi rivolgerò all’angelo custode, a Dio, a Maria, avendo familiarissima la giaculatoria: Maria Immacolata, aiutatemi. Allora penserò alla flagellazione di Gesù Cristo ed ai novissimi, memore di quanto dice lo Spirito Santo: «Memorare novissima tua et in aeternum non peccabis» (Sir 7,40). (Traduzione: in tutte le opere tue ricorda il tuo fine (morte-giudizio,inferno, paradiso) e non peccherai in eterno)”.

Se tanto mi dà tanto, si resta senza parole. In quel periodo e con quel clima, è sbocciata una miriade di santi. Con il nuovo metodo ce lo diranno i posteri. Una
domanda si pone: Cose superate? D’altri tempi? La risposta è meglio lasciarla al lettore, illuminato dallo Spirito del discernimento. Mi permetto solamente di dire che c’è molto da recuperare.

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