IL NUOVO VOLTO DELL’ORDINE – Fra Donatus Forkan

 NUOVO VOLTO DELL’ORDINE  

Lettera sul rinnovamento

“Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21,5)

 

 

di fra Donatus Forkan o.h. – Superiore Generale

 

A TUTTO L’ORDINE

Roma, 26 aprile 2009 – Festa della Madonna del Buon Consiglio

Prot. N. PG050/2009

 

Miei cari fratelli e sorelle nell’ospitalità, 

 

                   ogni cambiamento comporta un importante impatto psicologico sulla mente umana. Per la persona timorosa, esso costituisce una minaccia, in quanto pensa che le cose potrebbero peggiorare. Per chi è fiducioso, invece, il cambiamento è una fonte di incoraggiamento, perché è convinto che le cose potranno migliorare. Chi ha delle certezze, poi, trova nel cambiamento una fonte di ispirazione, perché ogni sfida lo spinge a fare le cose ancora meglio.

 

INTRODUZIONE

 

1. IL RINNOVAMENTO

 

1.1. Il concetto di rinnovamento.

Il rinnovamento organizzativo1 è il processo con il quale si dà inizio, si creano e si confrontano i cambiamenti necessari in un’organizzazione, affinché essa possa diventare o restare vitale, adattarsi alle nuove situazioni, risolvere i problemi, apprendere dalle esperienze del passato e crescere da un punto di vista organizzativo.

 

Il rinnovamento, nel nostro caso, ci riporta ad una conoscenza delle origini dell’Ordine, della storia di San Giovanni di Dio e della sua filosofia di vita. Non dobbiamo limitarci a conoscere Giovanni, mostrando suoi ritratti o narrando storie della sua vita, ma – ed è la cosa più importante – dobbiamo cercare di incarnare il suo spirito con entusiasmo, esprimendolo con atteggiamenti ed azioni concrete nei confronti delle persone che serviamo. Lavorare con gli altri ci permetterà di condividere un’unica visione del futuro, aprendoci ad esso con fiducia2, orientando la missione e restituendo speranza a quanti si trovano nella sofferenza.

 

Come per la conversione del cuore, dobbiamo sentirci coinvolti ogni giorno nel processo di rinnovamento, poiché “l’amore del Cristo ci spinge” (2Cor 5,14). Per usare l’analogia di San Paolo, anche noi, come l’atleta, ci dobbiamo sforzare per raggiungere la meta, ma con la consapevolezza che persino se distribuissimo tutte le nostre sostanze e dessimo il nostro corpo per essere bruciato, ma non avessimo la carità, niente ci giova3.

 

Affinché il rinnovamento metta radici, deve toccare tutti gli aspetti della nostra vita. Ogni Provincia deve redigere un piano strategico per il proprio rinnovamento, per quello di ogni suo Centro e di ogni sua Comunità. Il processo deve coinvolgere anche i Collaboratori, oltre ovviamente ai Confratelli, e tutti dobbiamo avere la “formazione del cuore e un cuore che vede”4 per portare ed esercitare l’ospitalità di Giovanni di Dio in un mondo devastato da guerre, violenza, corruzione, emarginazione e sofferenze di ogni tipo.

 

È stato Fra Pierluigi Marchesi, quando era Priore Generale, ad avviare un vero processo di rinnovamento nel nostro Ordine. Usava una sola parola per descrivere ciò che era realmente necessario fare per intraprendere il rinnovamento: umanizzazione. Per P. Marchesi, l’umanizzazione costituiva il legame che potesse unificare ed integrare i diversi elementi che ci avrebbero permesso di mettere in pratica il processo di rinnovamento: “Rivedere la nostra cultura significa soprattutto finalizzare le nostre conoscenze, le nostre abilità, le nostre capacità […] per diagnosticare la nostra salute […] e per assumere la responsabilità della nostra cultura, di una cultura che sia soprattutto umanizzante. Per rinnovarci in profondità, e riuscire ad essere autentici testimoni umanizzazione, è indispensabile che riscopriamo i valori che esistono in noi e nella nostra comunità”5. Rinnovamento significa perciò rigenerare, rivedere, rileggere nella continuità!

 

1.2. Le basi biblico-teologiche

Quanto mi accingo ad affrontare in questo documento ha un suo profondo radicamento biblico-teologico che è possibile rintracciare in alcuni elementi salienti dei quali sintetizziamo le principali tappe cronologiche:

• Metànoia evangelica. Il cambiamento è richiesto innanzitutto dal messaggio evangelico la cui predicazione originaria (antecedente l’annunzio del kerygma pasquale) riguarda proprio le esigenze della “conversione”, termine che mal traduce, nelle lingue moderne, la densità  ell’originale greco metànoia che significa letteralmente “cambiamento di mentalità”. L’ottica che il Vangelo propone, infatti, comporta un radicale mutamento nei modi di pensare e,  conseguentemente, di agire ben espressi dalle Beatitudini. Queste, infatti, pongono la felicità non in questa ma nell’altra vita basandola, peraltro, su elementi che la “logica del mondo” è portata a rifiutare radicalmente, come la povertà, la rinunzia a logiche di vendetta e la sofferenza per l’impegno ad essere giusti.

• Adattamenti della chiesa apostolica. Non è però solo il Vangelo a chiedere un cambiamento di mentalità. La chiesa apostolica, nel momento in cui si trova priva della presenza fisica di Gesù, deve trovare, sotto la guida dello Spirito, le soluzioni più appropriate per far fronte alle esigenze dell’evangelizzazione, non solo sul piano pratico, come ad esempio l’istituzione dei diaconi, ma anche su quello propriamente pastorale, come il confronto col mondo ebraico da una parte e quello ellenistico dall’altro. Tale confronto, peraltro, non è privo di contrasti (basti pensare allo “scontro” sulla circoncisione, al confronto tra Pietro e Paolo, al cosiddetto “Concilio di Gerusalemme”, ecc.). Questo deve costituire per noi un riferimento esemplare, che testimonia come il cambiamento, anche in una comunità di alto tenore spirituale come era certamente quella apostolica, non è esente da ostacoli, resistenze, perplessità o scontri.

 

Tutti, però, sempre superati sotto la guida dello Spirito e nello scopo dell’unica missione caritativa ed evangelizzatrice.

• Ecclesia semper reformanda. Questo antico detto latino pone l’accento non solo e non tanto su quanto è avvenuto ai tempi della Riforma Protestante, ma su una sorta di perenne attitudine che deve avere la Chiesa nei confronti di se stessa. La riforma della Chiesa non significa necessariamente che ci sia qualcosa di “sbagliato” ma indica la necessita di un constante atteggiamento di crescita, di miglioramento interno, di non sentirsi mai perfetta – nelle sue

componenti umane – ma “perfettibile”. Per far questo però si dovrà prendere atto dei profondi mutamenti sociali, dei cambiamenti intervenuti e che continuamente intervengono nel mondo sul piano sociale, economico, familiare, bioetico, ecc., per cui non è possibile trattare questi aspetti così come si faceva cento anni fa. La storia della Chiesa, d’altra parte, è una costante  testimonianza di tali continui adattamenti. Oltre al già citato confronto col mondo del paganesimo greco, pensiamo al Medioevo in cui tutta la teologia è stata “ripensata” ed attuata secondo le categorie della filosofia scolastica, e pensiamo alla cosiddetta “Controriforma” conseguente alla Riforma protestante col fiorire di Ordini religiosi, l’istituzione dei seminari, la celebrazione canonica del matrimonio, ecc. Tutte innovazioni che persistono a tutt’oggi.

 

• Il Concilio Vaticano II. Indubbiamente è stata la maggiore “innovazione ecclesiale” dei tempi moderni. In fondo, se scriviamo queste pagine esortandoci al cambiamento, lo dobbiamo proprio al varco aperto dal Vaticano II. Innanzitutto con una diversa concezione di Chiesa, non più piramidale ma comunionale, intesa come popolo di Dio in cammino nel quale Dio stesso suscita diverse vocazioni e attribuisce diversi ministeri. In secondo luogo con un ritorno alle fonti bibliche ma anche patristiche (il ressourcement a cui si riferiva spesso Paolo VI). E ancora col rinnovamento della liturgia, della teologia morale, ecc. Proprio tale profondo rinnovamento e “aggiornamento” ha posto le basi perché il rinnovamento, nella Chiesa, sia un’attitudine costante che deve trovare, nelle varie condizioni di vita, nelle varie situazioni esistenziali e contingenze storiche le sue diverse espressioni. In modo particolare, per ciò che ci riguarda, il Vaticano II ha posto le basi, successivamente sviluppate, di un profondo rinnovamento della vita consacrata, maggiormente inserita nel contesto ecclesiale e sociale, in cui la dimensione dei voti è vista più come dono di sé che come rinunzia, in cui l’icona cristologica costituisce la dimensione di riferimento esemplare, in cui l’ambito caritativo diventa espressione centrale caratterizzante anche la vita contemplativa.

Questa breve rassegna non può che avere come comune riferimento la proiezione escatologica del Dio che “fa nuove tutte le cose” (cfr. Ap 21, 5). Non limitandosi dunque a “rinnovarle” quasi rivestendole di novità o ponendo semplici adeguamenti strutturali, ma realmente “facendole nuove”, assumendo cioè l’esistente come fonte esso stesso di novità. È proprio questa la prospettiva a cui lo Spirito oggi ci chiama e alla quale, in queste pagine, cercherò di esortare.

 

1.3 Il rinnovamento è opera dello Spirito

Parlando di rinnovamento, dobbiamo dire che non esiste un unico metodo o processo che vada

bene per tutti. Malgrado ciò, credo che non risponderebbe allo spirito del Concilio Vaticano II se una persona o un singolo gruppo affermassero che il rinnovamento non fa per noi o che non ci riguarda. Rifiutarsi di rispondere alla chiamata al rinnovamento o non prenderla sul serio significherebbe agire contro o resistere allo Spirito di Dio, che agisce sempre, e che è colui che guida la Chiesa e il nostro Ordine. Il Signore ci parla attraverso le Scritture, nell’Eucaristia, nei rapporti interpersonali, attraverso la preghiera, la bellezza del creato, le persone che serviamo

quotidianamente, persino nel silenzio. Indipendentemente dal fatto che possiamo realizzarlo o meno, siamo coinvolti nel Suo messaggio di cambiamento di vita, un messaggio di speranza. Dobbiamo tenerlo ben presente nella nostra mente e nel nostro cuore. Come i discepoli, anche noi dobbiamo scoprire che Gesù viene tra noi, portandoci la pace del Padre e la forza dello Spirito Santo. Riempiti dalla forza dello Spirito, ci sentiremo liberi di condividere la buona novella con le persone che incontreremo sul nostro cammino.

Il rinnovamento perciò è il frutto dell’opera dello Spirito, che rinnova costantemente il nostro Ordine. Per noi è estremamente importante essere consapevoli di ciò che sta accadendo, e cooperare pienamente con Dio. Un elemento essenziale nel rinnovamento è la purificazione della nostra motivazione, della nostra conversione, aperti allo Spirito, in un dialogo riflessivo e nella preghiera, ponendoci all’ascolto della brezza leggera dello Spirito che soffia dove vuole6.

Lasciamoci guidare da Dio, lasciamoci ispirare e sorprendere da Lui, così come Egli vuole. Quando ci sentiamo vulnerabili o insicuri, il che è normale quando ci si confronta con un cambiamento, questo atteggiamento ci sarà di conforto, dandoci la gioia e la soddisfazione di essere parte di un qualcosa che è più grande di noi stessi, e che non dipende totalmente da noi.

Ciò ci riempirà di orgoglio e ci farà sentire privilegiati di far parte di qualcosa che non si è ancora manifestato totalmente, qualcosa di bello, che mai avremmo pensato fosse possibile. Questa trasformazione sta già avvenendo in molte parti dell’Ordine, attraverso l’operato di singoli Confratelli e Collaboratori, acquisendo alla fine un senso per quanto riguarda la nostra missione.

Questa visione del rinnovamento potrebbe non farci sentire pienamente soddisfatti di ciò che stiamo facendo, o del modo in cui stiamo vivendo. È ovvio che non tutti potranno e possono procedere allo stesso modo, né è tassativo o necessario che sia così. Ciò che è importante è che i leaders della Provincia/Delegazione/Comunità o Servizio, assieme al proprio gruppo di lavoro, al Consiglio, ai Confratelli e ai Collaboratori direttivi, studino i documenti della Chiesa e dell’Ordine concernenti il rinnovamento, arrivando così a formulare insieme un piano o un programma che ne preveda lo studio, l’applicazione e laddove necessario anche la sperimentazione, applicabile ad una situazione specifica.

Come Religiosi, ci troviamo al cuore della Chiesa e al confine della sua missione evangelizzatrice. Per questo, viviamo ed esercitiamo il nostro ministero in uno spazio che differisce da quello degli altri ministri della Chiesa, come ad es. vescovi e parroci, che portano avanti la loro missione in un luogo sacro: parrocchie, chiese, case per esercizi, ecc. Essi accompagnano e sostengono il popolo di Dio con la parola e i sacramenti. Ovviamente, come membri di un’unica famiglia, la Chiesa, operiamo in armonia per raggiungere lo stesso obiettivo, e cioè per l’edificazione del Regno di Dio.

Il modo in cui dobbiamo farlo è attraverso l’esercizio del ministero ospedaliero. La nostra missione è quella di evangelizzare attraverso l’ospitalità, secondo lo stile di San Giovanni di Dio. Praticare l’Ospitalità così come ci ha indicato Giovanni di Dio significa evangelizzare. Se saremo fedeli alla nostra missione avremo un impatto sociale, potremo dare una svolta alla vita delle persone, e contribuiremo così anche alla missione evangelizzatrice della chiesa locale.

Per molte persone, siamo l’unica “bibbia” che abbiano mai letto. Per poter testimoniare Cristo, però, dobbiamo essere costantemente in uno stato di conversione e di rinnovamento. Stiamo lavorando assieme ad altri nella Chiesa per l’edificazione del Regno di Dio, ma non possiamo aspettarci che la sua leadership arrivi da noi. È per questo che i Religiosi godono di uno ‘status speciale’ nell’ambito della Chiesa, sentendosi liberi di cercare quanti vivono nelle tenebre, di andare dove mai nessuno ha osato recarsi, di fare ciò che gli altri non possono o non vogliono fare, di amare coloro che si sentono abbandonati, incompresi, emarginati e non voluti, amandoli nella loro interezza nello stesso modo in cui fecero Gesù e San Giovanni di Dio. Questa è la nostra missione. 

DOMANDE PER L’APPROFONDIMENTO DEL TESTO

Capitolo 1 – Il Rinnovamento

Per i Confratelli

  1. Scegliendo uno dei riferimenti biblici citati provare ad analizzarlo alla luce della situazione della comunità locale, lasciandosi interpellare dalla Parola di Dio in relazione al rinnovamento.

  2. Applicare la nozione di “rinnovamento” al carisma dell’Ospitalità ed indicare le espressioni operative che può assumere.

  3. Ricercare e commentare tra le molte preghiere (o inni) allo Spirito Santo quella che maggiormente potrebbe prestarsi ad approfondimenti sul tema del rinnovamento.

Per i Confratelli e i Collaboratori (o per i soli Collaboratori laddove non vi siano Confratelli)

  1. Alla luce della biografia o delle lettere di San Giovanni di Dio analizzare l’incidenza del rinnovamento da lui portato alla società del suo tempo.

  2. Applicare tali criteri a un possibile “piano di rinnovamento” della propria comunità locale.

  3. Quali apporti potrebbe dare la spiritualità laicale al rinnovamento dell’Ordine? 

2. STORIA DEL RINNOVAMENTO NELL’ORDINE

I cambiamenti – peraltro necessari – che sono stati richiesti all’Ordine, per trasformarsi in  un’attiva istituzione apostolica dopo il Concilio Vaticano II, erano di proporzioni enormi. Come sempre quando accadono cambiamenti di massa, nessuno può sapere, prevedere o addirittura ipotizzare, in che modo le cose cambieranno. Questa è una prerogativa della storia. Se guardiamo al passato, possiamo vedere che l’Ordine, da quando ha intrapreso il processo di rinnovamento, ha compiuto un grande passo avanti, un cambiamento in termini di fede e rispetto alla visione che aveva di sé, della sua missione e dei suoi punti centrali. Grazie all’intervento dello Spirito Santo, i cambiamenti, gli adattamenti e i sacrifici realizzati dai membri dell’Ordine per perseguire un autentico rinnovamento sono stati veramente di proporzioni enormi. Il risultato è stato una verifica del processo di rinnovamento, con la consapevolezza che lo Spirito Santo fosse ben presente. Il rinnovamento intrapreso dall’Ordine si è concretizzato in una visione più originale e autentica dell’Ospitalità, della missione dell’Ordine e del suo posto nella Chiesa. Ciò a sua volta ha prodotto una forte espansione e un inarrestabile sviluppo dei servizi destinati a vari tipi di bisogni, favorendo così un afflusso sempre maggioredi persone ai nostri centri e servizi. Sono più che certo che anche San Giovanni di Dio ne sarebbe orgoglioso.

2.1. Le premesse storiche di un rinnovamento perenne

2.1.1. “Il cuore comanda”7

Facendoci ‘comandare’ soltanto dal cuore, abbiamo portato l’Ordine a scoprire nuovi orizzonti, nuove frontiere, nuove sfide e nuove opportunità. L’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio continua ad essere uno strumento affidabile nelle mani di Dio, per portare il Suo Regno sulla terra, non perché chi ci ha preceduti avesse dato prova di grande valore intellettuale, lasciandoci intere raccolte di saggi e trattati, anche se abbiamo opere preziose che racchiudono la memoria collettiva del passato, ma soprattutto perché c’è stato chi ha saputo interpretare la storia alla luce dei tempi in cui viveva. L’Ordine di San Giovanni di Dio è così come è oggi perché i suoi membri hanno permesso al cuore di ‘comandare’. È un cuore che ascolta la voce dei poveri, che vede dove c’è bisogno d’amore e agisce in modo conseguente8.

L’Ospitalità esercitata secondo lo stile di San Giovanni di Dio è come un filo d’oro che tesse attraverso i secoli il tessuto dell’Ordine, mantenendolo compatto e intatto. L’ospitalità è come un vestito con tante sfumature, i cui colori rappresentano i diversi modi in cui è stata espressa lungo i secoli, secondo le esigenze del momento, del luogo e dei bisogni della società. Il filo d’oro del carisma dell’ospitalità di San Giovanni di Dio ha formato la trama di questo stupendo tessuto.

La fedeltà all’ispirazione originaria, costituita da San Giovanni di Dio e dalla sua eredità di Ospitalità che ci ha lasciato, è l’elemento fondante che ha permesso all’Ordine di continuare a crescere. Ho usato deliberatamente questa espressione perché un’organizzazione o un organismo che non cresce è destinato gradualmente a morire. La vita di un’organizzazione viene misurata attraverso la sua capacità di crescita, di espandersi e, da ultimo, per la sua capacità  di ricostituirsi, di produrre risultati.

2.1.2. Ogni forma di vita è destinata a crescere oppure a morire

Questa espressione potrebbe sembrare un modo forse troppo crudo per descrivere l’operato di un’istituzione religiosa, e cioè il produrre o meno dei risultati. Sappiamo infatti che, nel nostro caso, i risultati sono spirituali, e pertanto non possono essere misurati. I mezzi che usiamo sono la cura e l’assistenza corporale e spirituale all’umanità sofferente9. Rimanendo fedeli a questa missione sacra, l’Ordine continua ad essere uno strumento essenziale di evangelizzazione nel mondo della salute. Se il contadino non coltiva la propria terra, piantando la semenza e dando nutrimento alle piantine di grano, non ci sarà alcun raccolto. Allo stesso modo, per potere avere un risultato spirituale, l’evangelizzazione, deve esserci un impatto sociale.

L’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio oggi assiste e cura molte più persone di quanto non abbia mai fatto nella sua storia. Annualmente, l’esistenza di circa venti milioni di persone viene a contatto con un seguace di San Giovanni di Dio, e ciò avviene attraverso un’espressione dell’Ospitalità così vasta che non era certo immaginabile prima del Concilio Vaticano

II. L’Ordine inoltre porta avanti la sua missione in un modo e con un tale livello di eccellenza che solo 40 anni fa non erano certamente realizzabili. Bisogna notare che, prima dell’aggiornamento cui ci ha esortati il Concilio, il Voto di Ospitalità aveva effetto quando “i professi adempivano diligentemente gli offici assegnati […] per la cura o l’assistenza degli infermi di sesso maschile, nelle case proprie dell’Ordine o ad esso affidate”10.

La nuova definizione del Voto di Obbedienza, come riportano le Costituzioni del 1984, così recita: “Con il voto di ospitalità ci dedichiamo, sotto l’obbedienza dei superiori, all’assistenza degli ammalati e dei bisognosi, impegnandoci a prestare loro tutti i servizi necessari, anche i più umili e con pericolo della propria vita, a imitazione di Cristo, che ci amò fino a morire per la nostra salvezza.

La maggiore nostra felicità consiste nel vivere a contatto con i destinatari della nostra missione: li accogliamo e li serviamo con l’amabilità, la comprensione e lo spirito di fede, che essi meritano e come persone e come figli di Dio; e mettiamo a loro disposizione tutte le nostre energie e tutte le nostre capacità, nei vari uffici che ci vengono affidati”11.

2.1.3. Una visione originale e autentica dell’Ospitalità

Sebbene sia stato un processo difficile, e talvolta persino travolgente, il coraggio e la dedizione nei confronti del rinnovamento, secondo lo spirito del Vaticano II, hanno portato ad un nuovo volto dell’Ordine, che ha iniziato a presentarsi come un’Istituzione formata da uomini consacrati nell’ospitalità, che hanno deciso di vivere in modo radicale la sequela di Cristo come Religiosi Fratelli, oltre a uomini e donne che, affascinati dalla ‘storia di San Giovanni di Dio’, si sono impegnati a continuare la sua missione, secondo la filosofia, le peculiarità e i valori dell’Ordine.

Questo nuovo volto dell’Ordine è stato il risultato di un profondo impegno nel processo di rinnovamento. La strada che porta al rinnovamento è dura, talvolta difficile, spesso emozionante e piacevole, ma pone delle sfide, che ci saranno sempre, perlomeno fintanto che l’Ordine esisterà. Qualora in un momento qualsiasi l’Ordine, nella sua totalità o nelle parti che lo costituiscono (Province, comunità), smetterà di impegnarsi nel processo di rinnovamento, smetterà cioè di ricrearsi, di rifondarsi o di rifocalizzare la propria missione, allora morirà. Non c’è alcuna garanzia, però, che pur impegnandosi appieno nel processo di rinnovamento, l’Ordine continuerà ad esistere anche nel futuro.Tuttavia, lo scopo (o la motivazione) che ci deve spingere al rinnovamento, non è solo la longevità o la continuazione dell’Ordine nel futuro, perché il futuro è nelle mani di Dio. La nostra responsabilità è quella di cercare di fare sempre ciò che Egli desidera da noi. Attraverso una profonda riflessione, la preghiera comunitaria e personale di ciascuno di noi, dobbiamo sempre sforzarci di essere in sintonia con ciò che il Signore vuole da noi: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” 12.

2.2. Come eravamo…

2.2.1. I Confratelli prima del Concilio Vaticano II.

Comprendo bene che alcune persone che leggeranno questo documento o che guarderanno il DVD che lo accompagna, potrebbero non conoscere bene la nostra storia. Per aiutarci a comprendere meglio le nostre origini, desidero riflettere brevemente sul modo in cui vivevamo e svolgevamo il nostro ministero come Ordine Religioso nel periodo antecedente il Concilio Vaticano II, che non era poi troppo dissimile da quello degli altri istituti religiosi dell’epoca.

Ciò potrebbe aiutare tanti “nuovi ospedalieri” (Confratelli e Collaboratori) ad apprezzare di più la nostra storia ed essere orgogliosi della missione che da secoli ci colloca al fianco dell’umanità sofferente. È interessante notare che, malgrado le molte sfide, persecuzioni e vicissitudini che i membri del nostro Ordine hanno dovuto affrontare nell’arco della storia, come istituto religioso l’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio è sempre rimasto fedele alla sua missione, schierandosi dalla parte degli emarginati, delle persone rifiutate dalla società o trattate ingiustamente a causa della loro malattia o disabilità, dei poveri, dei malati e dei sofferenti.

È sottinteso che per poter avere “un quadro completo” della nostra Istituzione, in poche parole chi siamo, e per comprendere al meglio la nostra missione, è necessario studiare la vita di San Giovanni di Dio, il nostro Fondatore e la nostra fonte di ispirazione. Abbiamo molto materiale al riguardo, ma il testo più importante è senz’altro la prima Biografia di San Giovanni di Dio, scritta da Francisco de Castro, Rettore dell’Ospedale di Granada, nel 1585. Fondamentalmente, l’Ordine sta uscendo da una lunga tradizione che potremmo definire “monastica”, che contraddistingueva i nostri ospedali e il nostro stile di vita. Nel passato ci consideravamo un po’ come dei monaci, con un ministero ospedaliero e una forte struttura monastica che si rifletteva nella preghiera, nel silenzio, nella clausura e nella routine quotidiana.

Esercitavamo il nostro ministero occupandoci della cura o dell’assistenza degli infermi di sesso maschile, nelle case proprie dell’Ordine o ad esso affidate13. Questo stile di vita ‘monastico’ non era stata una scelta dei primi Fratelli di San Giovanni di Dio, ma era stato piuttosto imposto loro dalla Chiesa. Uno degli aspetti positivi di questa situazione, è stato il fatto che il luogo in cui i Confratelli vivevano e lavoravano fosse definito come ‘monastero-ospedale’. Ciò significa che i Confratelli vivevano vicini ai pazienti, in una struttura nei pressi dell’ospedale o addirittura al suo interno. Dato che le comunità erano relativamente grandi in quanto al numero dei Confratelli, essi erano in grado di gestire tutti i reparti dell’ospedale, con l’aiuto di pochi Collaboratori laici. Malgrado questo “ambiente monastico”, Urbano VIII concesse all’Ordine i privilegi degli Ordini Mendicanti (1624), il che comportava, tra le altre cose, che essi potevano uscire dalla loro dimora e recarsi per le strade a chiedere l’elemosina per l’ospedale, così come aveva fatto Giovanni di Dio a Granada.

Tuttavia, se ci soffermiamo a riflettere su chi eravamo, sulla nostra missione o sulla nostra spiritualità prima delle riforme avviate dal Concilio, vediamo che forse Giovanni di Dio non occupava il posto che meritava.Anche se pronunciavamo il Voto di Ospitalità, erano i tre ‘Voti di Religione’ (povertà, obbedienza e castità), che ci collocavano in uno stato di perfezione, distinto da quello dei laici. Sembra che sia stata data più enfasi a ciò che ci ha differenziati dagli altri nella Chiesa, piuttosto che a ciò che avevamo in comune con il popolo di Dio.

Il Concilio ha incoraggiato i religiosi ad avvalersi delle scritture e a ritornare alle proprie radici, al proprio fondatore (o alla fondatrice), come strumenti per il rinnovamento. Ci hanno aiutati in questo processo i tanti documenti attinenti la vita religiosa che sono stati promulgati dal Concilio, da parte dei Papi che sono venuti dopo, e dalla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, che hanno pubblicato molti documenti riguar do la vita religiosa14.

La leadership del nostro Ordine ha preso molto sul serio le direttive sul rinnovamento che erano state avviate dal Concilio. Sono state intraprese diverse iniziative, a livello internazionale ma anche provinciale. L’Ordine ha pubblicato svariati documenti al riguardo15, si sono celebrati capitoli speciali e congressi, ci sono stati corsi di rinnovamento per i Confratelli, diretti da persone esperte, e periodi di ‘sperimentazione’ nello svolgimento del ministero, oltre che della vita comunitaria e della preghiera. È stato un momento cruciale per l’Ordine.

Abbiamo iniziato a chiederci:

  • siamo ancora paragonabili a dei monaci?

  • Siamo religiosi apostolici?

  • Siamo laici o apparteniamo al clero?

  • Quale è la nostra missione nella Chiesa?

  • Chi sono i destinatari della nostra missione?

Per qualcuno, in particolare per coloro che rivestivano posizioni di leadership, non è stato certo un periodo facile. Sono state molte le domande, i periodi di serenità o di crisi, i dissensi su come muoverci, che sono arrivati addirittura a determinare l’abbandono del ministero da parte di religiosi e sacerdoti. È stato un periodo di cambiamenti, di sfide e di opportunità per esercitare il ministero, mentre per altri si è trattato di un’esperienza dolorosa, che li ha lasciati con un profondo senso di perdita. Tutto ciò è accaduto in un lasso di tempo durato 40 anni che, rispetto ai 460 anni di storia dell’Ordine, può essere considerato un breve periodo. Malgrado  utto, è stato un periodo stimolante, che ci ha offerto nuove libertà di pensiero e di espressione; un maggiore discernimento teologico e rispetto per l’individualità del religioso e per la diversità nello svolgimento del ministero. Molte persone credono che sia soltanto l’inizio, perché non sappiamo dove ci porterà questo processo; ciò che sappiamo è che tutto è nelle mani di Dio, e che Lui agirà per il meglio.

Prima del Concilio, gli spostamenti erano difficoltosi e costosi, ragion per cui i contatti tra le Province erano piuttosto limitati, eccetto quando si celebrava un Capitolo Generale, e ciò ovviamente contribuiva all’isolamento dei religiosi, anche se appartenevano allo stesso Istituto. Di conseguenza, erano rare le occasioni in cui i Confratelli potevano incontrarsi, ad eccezione di quelli che partecipavano ai Capitoli Generali, in quanto era questa l’unica opportunità di cui disponevano all’epoca i religiosi per potersi riunire a livello internazionale.

In uno scenario come questo, le Province acquisirono una certa indipendenza, e nel nostro Ordine in particolare. Una volta un Priore Generale disse che si sentiva come il Superiore di una federazione formata da 20 Ordini diversi, piuttosto che da 20 Province. Queste ultime non erano soltanto indipendenti l’una dall’altra, ma contattavano la Curia Generalizia solamente per definire le questioni attinenti il diritto canonico e le nostre Costituzioni, e sempre per lettera.

Per ricevere una risposta era necessario molto tempo, mentre solo per le questioni urgenti si faceva ricorso all’invio di un telegramma. È importante ricordare che quanto accadeva nella vita religiosa rifletteva, così come accade ancora oggi, ciò che succedeva nella società civile, che allora si muoveva più lentamente: i cambiamenti e gli sviluppi erano limitati ed andavano a rilento, le comunicazioni erano difficoltose e non immediate come oggi, i viaggi erano lunghi e dispendiosi, sia economicamente che in termini di tempo, ed erano limitate anche le influenze degli altri Paesi sulla vita nazionale.

Oggi viviamo in un contesto nettamente diverso, caratterizzato da un’evoluzione rapida e costante; nel nostro ‘villaggio globale’ le comunicazioni sono immediate, grazie agli spostamenti più facili e più economici rispetto al passato, il che favorisce le influenze transnazionali e il progresso. Solo in campo medico, ad esempio, ci sono stati sviluppi che fino a qualche tempo fa erano addirittura inimmaginabili. Per poter avere un impatto sociale in questo nostro mondo, l’Ordine deve riconoscere di dover affrontare il cambiamento, aggiornandosi e dandosi unvolto ‘più nuovo’.

L’impulso al cambiamento è scaturito dalla riflessione sulla vita e sul ministero di San Giovanni di Dio. Ciò che abbiamo scoperto quando abbiamo guardato con occhi nuovi alla sua vita è stata una vera rivelazione. La statura morale del Fondatore, con riferimento alla sua spiritualità e alla missione, è straordinaria. Nell’ambito del processo di rinnovamento, questa scoperta ha costituito un momento incoraggiante, determinante, ma che ci ha altresì posto delle sfide, e che ha influenzato l’Ordine come mai era accaduto prima, sin da quando l’istituto religioso avviato dai primi seguaci di Giovanni di Dio venne riconosciuto come Congregazione dal Papa Pio V, nel 1572.

San Giovanni di Dio influenzò enormemente ogni decisione che venne presa dopo il Concilio. I Confratelli hanno iniziato a chiedersi cosa avrebbe pensato e come avrebbe agito il Fondatore in una determinata situazione. Questa scoperta influenzò la nostra vita in un modo che non avremmo mai pensato fosse possibile, ispirando il nostro modo di agire, di intendere la missione e l’ospitalità, che è il punto centrale della nostra esistenza, oltre a farci comprendere in quanti modi questa ospitalità poteva essere espressa. È stata veramente un’esperienza entusiasmante e sostanziale. L’Ordine raggiunse così una profonda consapevolezza del proprio ruolo e della propria missione, paragonabile ad un’esperienza di rifondazione.

La riscoperta del Fondatore attraverso il processo di rinnovamento fece sì che iniziassimo a vederci come Religiosi Fratelli, rivoluzionando anche il modo di considerare la missione e i nostri rapporti con gli altri: rappresentanti del clero, religiosi, laici, cristiani e non cristiani. Iniziammo a giudicare e a vedere le cose attraverso il prisma dell’ospitalità, con nuove possibilità per viverla e per esprimerla. Tutto ciò è stato emozionante e stimolante.

2.2.2. I Confratelli all’epoca del Concilio Vaticano II

È con un profondo senso di gratitudine che vorrei sottolineare la grande eredità, costituita dall’esercizio dell’ospitalità, che ci hanno lasciato i nostri Confratelli che ci hanno preceduti su questa terra, sin dai primi compagni di Giovanni di Dio. Questi uomini sono stati dei modelli, ed hanno mostrato al mondo il lato più bello e più nobile della vocazione del Fatebenefratello.

La loro dedizione nel servizio al malato, praticata costantemente, giorno e notte, mettendo persino a rischio la propria vita, l’austerità che ha caratterizzato la loro esistenza e la devozione nella preghiera, costituiscono un punto di riferimento per le attuali generazioni, come testimonianza dei valori fondamentali dell’Ordine che sono al centro della vocazione del Fatebenefratello. Il patrimonio dell’Ordine, relativamente al suo orientamento verso la cura e l’assistenza dei membri più trascurati e più bisognosi della nostra società, tendendo sempre all’eccellenza nel servizio, deriva dalla convinzione che ogni essere umano è stato creato da Dio a Sua immagine e somiglianza e che niente (povertà, deformità, disabilità o malattia) può in qualche modo distruggere o diminuire questa bellezza intrinseca dell’uomo. È una ricca eredità che abbiamo ricevuto dalle passate generazioni di Confratelli, che ci lega orgogliosamente al nostro passato e al nostro Fondatore.

Grazie a Dio, abbiamo ancora tra noi tanti Confratelli che hanno avviato il processo di rinnovamento dopo il Concilio, e che sono ancora attivi ed efficienti; altri sono avanti negli anni ma danno ancora il proprio contributo alla missione dell’Ordine, seppure in modi diversi. Altri Confratelli ci hanno lasciati per fare ritorno alla casa del Padre, mentre ce ne sono parecchi altri che esercitano il loro ministero attraverso le preghiere e la sofferenza, a causa dei malanni e dei disturbi propri dell’età ormai avanzata.Tutti questi Confratelli, ovviamente a seconda delle circostanze, sono ancora impegnati nel processo di rinnovamento. Personalmente, non ho mai conosciuto un Confratello che, avendo vissuto il periodo preconciliare, e sentendosi attualmente impegnato nel processo di rinnovamento, desideri tornare indietro a quel  periodo.

Nello spirito del Concilio Vaticano II, il rinnovamento non deve solamente preservare il legame con il passato, ma rafforzarlo, attingendo e conservando ciò che è essenziale, escludendo quanto non è più applicabile ai giorni nostri e pianificando il futuro. Dobbiamo pertanto fermarci a riflettere, scegliendo ciò che è essenziale per preservare l’identità di Giovanni di Dio, che caratterizza tutto ciò che facciamo.

2.3. …e come siamo

2.3.1. Gli effetti del rinnovamento

Quando il rinnovamento venne avviato, gli effetti iniziarono ad essere evidenti: c’erano vita ed entusiasmo. La cosa più importante, però, era che questi effetti ebbero delle ripercussioni immediate sull’assistenza e sulla cura che venivano fornite ai pazienti, che in definitiva sono i destinatari della nostra missione. La ragione del rinnovamento, pertanto, non è che quanto è stato fatto nel passato fosse sbagliato, ma piuttosto che l’Ordine continui ad essere fedele alla propria missione, adattandosi ad una società che è in continuo cambiamento. Anche l’Ordine si trova costantemente interessato dal cambiamento. Come ebbe a dire il Cardinale Newman, ‘vivere significa cambiare, e vivere a lungo significa dover cambiare spesso’.

Anche il nostro Ordine ha una lunga vita, pertanto nel corso degli anni ha dovuto affrontare notevoli cambiamenti. Ciò che invece è rimasto sempre uguale nel tempo è stata la sua fedeltà alla missione di ospitalità. I Confratelli ed i Collaboratori non devono vedere nel rinnovamento una sorta di ‘terapia’ , ma uno strumento per garantire la sopravvivenza della missione, rimanendo fedeli e rispecchiando l’ispirazione originale di San Giovanni di Dio.

Tuttavia, impegnarsi totalmente nel progetto ospedaliero porta gradatamente a rendersi conto di essere coinvolti in qualcosa di pregevole e di utile per la comunità, che va oltre la singola persona o il singolo gruppo, come ho già detto. Anche se l’ospitalità esercitata secondo lo stile di San Giovanni di Dio è un carisma, un dono di Dio, non è qualcosa di statico o di immutabile.

La parola stessa, ‘carisma’, ha un significato spirituale: è una grazia, un potere, generalmente di natura spirituale, un dono fatto liberamente da Dio.Viene usato altresì nel contesto sociale-psicologico e in circostanze secolari, per indicare che chi possiede questa qualità riesce ad influenzare gli altri, singole persone o gruppi. Gli istituti religiosi ricorrono a questo termine per descrivere il proprio orientamento spirituale e le caratteristiche peculiari della propria missione o dei propri valori, che si manifestano attraverso i voti emessi dai membri, e dall’orientamento dell’istituto cui essi appartengono. Un esempio concreto del nostro carisma è il modo in cui l’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio mette in evidenza il servizio che offriamo ai poveri, ai malati e alle persone svantaggiate: è l’Ospitalità esercitata secondo lo stile di San Giovanni di Dio, che in definitiva è il valore che sostiene la missione del nostro Ordine.

Affinché possa essere tangibile ed efficace, il carisma deve radicarsi e crescere nella vita della persona che ha ricevuto questo dono. Come ebbe a dire il Santo Padre Giovanni Paolo II, “Giovanni non solo praticò l’ospitalità, ma si fece, per così dire, egli stesso ospitalità”16. Ciò accade quando la persona fornisce un servizio agli altri, in special modo a quanti si trovano nel bisogno, che ci interpellano ed esigono una risposta da ciascuno di noi. Pensiamo all’immagine della melagrana, che quando è matura si apre, offrendo nutrimento, e perciò vita, forza ed energia. Essendo un dono dinamico, e non inerte, l’ospitalità richiede un investimento personale da parte dell’individuo e quando ciò accade l’ospitalità stessa ne è arricchita, e la ricompensa per la persona è appagante, da un punto di vista umano ma anche professionale.  

Questi effetti rigeneranti del processo di rinnovamento hanno diffuso nuova energia e nuovo entusiasmo per Giovanni di Dio ed il suo operato. C’erano nuovi spazi, nuovi porticati e nuove esigenze che avevano bisogno di una risposta, e tutti hanno permesso al fiore dell’ospitalità di crescere, di sbocciare e di diffondere il suo profumo nel mondo della sofferenza, portando salute, speranza e gioia a milioni di persone. L’Ospitalità secondo lo stile di Giovanni è il dono che Dio vuole fare al mondo e alla società. Essendosi liberata dalle costrizioni delle vecchie strutture, ormai superate, che ne ostacolavano la crescita e lo sviluppo, ha potuto fiorire per il bene di milioni di persone.

2.3.2. Il rinnovamento ha portato a qualcosa di nuovo

È vero che lungo il processo di rinnovamento ci sono stati alti e bassi, successi e sconfitte, gioie e delusioni. Comprensibilmente, talvolta è stato un processo oltremodo doloroso, a causa di alcuni sacrifici che è stato necessario affrontare, come abbandonare il passato e ciò che ci era familiare. Ciò ha portato alcuni Confratelli ad avvertire una sensazione di perdita, di confusione, talvolta come se si stesse andando ‘alla deriva’. Ci si sentiva meno sicuri e più vulnerabili, senza il controllo delle cose, e si avvertiva l’eventualità di un fallimento. Ci sono volute umiltà, piena fiducia in Dio e nei fratelli, per perseverare nel processo di rinnovamento.

Alla fine, però, qualcosa di nuovo ha iniziato a materializzarsi, un qualcosa che ci appare molto bello e significativo. Come la nuova vita che sempre rinasce a primavera dopo il lungo periodo invernale, l’Ordine ha iniziato ad aprirsi e a sbocciare. Sono abbastanza sicuro che non ha raggiunto la piena fioritura, e che dobbiamo ancora vederne la meraviglia, che fa elevare il nostro cuore a Dio in segno di ringraziamento.

2.3.3. La ‘Nuova Ospitalità’

L’espressione ‘Nuova Ospitalità’ deriva dal tema che era stato scelto per il Capitolo Generale del 1994: “La nuova evangelizzazione e l’ospitalità alle soglie del terzo millennio”. Ciò che è nuovo riguardo l’ospitalità è la grande varietà di modi e di forme in cui essa può essere vissuta ed espressa nel mondo, laddove in pratica l’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio è presente. Considerare la missione dell’Ordine non soltanto come un oggetto di abbellimento della Chiesa, ma consentirle di continuare il ministero sanante di Cristo, è stato emozionante ed estremamente stimolante. Nuove espressioni di ospitalità iniziavano a moltiplicarsi, così come si ampliava il numero dei nostri Collaboratori mentre, allo stesso tempo, aumentava l’età dei Confratelli, soprattutto nel mondo cosiddetto industrializzato, e iniziavano a scarseggiare i giovani che decidevano di scegliere il nostro stile di vita. Viceversa, nei Paesi in via di sviluppo il numero dei Confratelli andava aumentando, così come venivano creati nuovi centri e servizi, o si ampliavano quelli già esistenti. La situazione contingente, causata da questi elementi, ha portato alla scoperta che i Collaboratori possono rivestire un ruolo chiave nell’aiutare l’Ordine a portare avanti la propria missione.

Forse qualcuno potrebbe obiettare che ciò è avvenuto solo perché l’Ordine, a causa della scarsità di Confratelli, si è visto costretto ad affidare ai laici un ruolo più attivo nell’amministrazione e nella conduzione dei propri centri e servizi. Dio però agisce in modi diversi, anche se dobbiamo ammettere che forse, se il numero dei Confratelli fosse stato sufficiente, non avremmo visto i nostri Collaboratori sotto la stessa luce. Non dobbiamo dimenticare però che quelle Province che nella collaborazione con i laici hanno visto un’opportunità per essere aiutate, consigliate e per programmare un nuovo modo per portare avanti la missione, così come in campo amministrativo e gestionale, quelle Province – dicevo – hanno tratto da questa  collaborazione benefici enormi.

Considero l’evoluzione che sta avvenendo nella Chiesa non come una scomparsa dei religiosi, ma piuttosto come l’emergere del laicato. Come ho già detto, i Religiosi saranno sempre al cuore della Chiesa e in prima linea nella sua missione evangelizzatrice. Di certo però la loro presenza sarà ben diversa dal passato, ma il loro ruolo sarà imprescindibile in quanto fanno parte della vita e della santità della Chiesa stessa.

Come risultato dell’impegno nel processo di rinnovamento, due cose sono accadute contemporaneamente: la prima è che, attraverso il processo formativo associato a quello di rinnovamento, i Collaboratori hanno dimostrato una reale volontà di mettersi al servizio dell’ospitalità, immedesimandosi sempre di più nel loro ruolo. La seconda, e forse la vera forza del cambiamento, sta nel fatto che i Confratelli si sono resi conto che l’Ordine non ha l’‘esclusiva’ su Giovanni di Dio, che appartiene alla società e alla Chiesa17, né che l’ospitalità riguarda solamente loro, ma che anche i laici possono condividere l’ospitalità di Giovanni di Dio e mettere a disposizione i propri talenti e la propria competenza professionale per arricchire questo grande dono che abbiamo ricevuto dal Signore.

Entrambi, Confratelli e Collaboratori, avendo ricevuto il dono dell’ospitalità, sono fratelli e sorelle nell’ospitalità, uniti nella stessa missione18. Come fratelli e sorelle, pertanto, siamo membri della stessa famiglia, la Famiglia di San Giovanni di Dio. Ciò è la diretta conseguenza del modo in cui Giovanni si rapportava con le persone che serviva, con quanti lavoravano assieme a lui, con le persone che incontrava per la strada, quando si aggirava con la sua sporta chiedendo l’elemosina per sostentare i suoi malati o per assistere i poveri. È un rapporto – o legame – che si basa sulla fiducia e sul rispetto reciproci, sull’amicizia e su una visione condivisa. Questa evoluzione nel rapporto tra Confratelli e Collaboratori non è soltanto confortante e segno di arricchimento e di maturità, ma devo dire che ci pone anche delle sfide… è comunque la strada da percorrere nel futuro.

Questa visione del futuro dell’Ordine non esige solamente che i Collaboratori assumano maggiori responsabilità in campo amministrativo e manageriale, ma è necessario che ricevano un’adeguata formazione che consenta loro di esercitare il proprio ruolo secondo lo spirito e lo stile di San Giovanni di Dio, e nel pieno rispetto della filosofia e dei valori della sua Famiglia Ospedaliera. In questo processo, la Scuola dell’Ospitalità avrà un compito veramente importante.

2.3.4. La purificazione della memoria

Nel presentare quanto di bello è stato fatto storicamente nel servizio alla persona malata, povera o emarginata, non possiamo trascurare anche le inevitabili mancanze e le fragilità del nostro operato. La Chiesa stessa, sul magistrale esempio di Giovanni Paolo II e della grande richiesta di perdono solennemente pronunziata nel Giubileo del 2000, ci invita a farlo.

Ovviamente non è questa la sede per evidenziare mancanze o insufficienze né per analizzare, in una revisione critica della nostra storia, quali siano stati i possibili elementi di debolezza. Tuttavia, dobbiamo imparare dalla storia per il presente e per il futuro. In tal senso, l’ammissione delle nostre mancanze assume un significato di purificazione e, quindi, anch’esso, di rinnovamento. Noi non siamo i “perfetti” che si rivolgono ai peccatori, ma fratelli che insieme vogliono operare per l’edificazione del Regno, in un percorso che è costellato anche di cadute.

Ma proprio ogni caduta è pure un’implicita richiesta di aiuto, di una mano fraterna che eviti di farci cadere o che ci aiuti a rialzarci. Se questa caduta, poi, è stata lesiva del bene altrui allora esige, da parte nostra, l’umile e sincera richiesta di perdono e, da parte di chi è stato offeso, la sua generosa elargizione. Se da un lato, infatti, siamo invitati a “confessare i peccati gli uni agli altri”19, dall’altro siamo invitati a perdonarli “non sette volte ma fino a settanta volte sette”20. Chiediamoci allora perdono per le nostre colpe, anzitutto tra noi Confratelli, ma anche tra Confratelli e Collaboratori, e in particolare, chiediamo perdono a coloro che, per un motivo o per l’altro, sono stati ospiti in una delle nostre strutture in un determinato momento della loro vita. Siamo convinti che non c’è rinnovamento se la confessione delle proprie fragilità non porta al loro superamento.

Tra queste colpe dobbiamo certamente includere:

  • - le mancanze agli impegni assunti nell’ambito della vita consacrata;

  • - non aver fornito un’assistenza d’eccellenza a quanti abbiamo ospitato nei nostri centri o hanno usufruito dei nostri servizi;

  • - le offese alla dignità delle persone;

  • - le chiusure egoistiche ai bisogni delle persone assistite, e che per questo non si sono  sentite come veri figli di Dio, come nostri fratelli e sorelle;

  • - la scarsa pratica della vita fraterna;

  • - l’incomprensione e la mancanza di ascolto nei confronti degli altri;

  • - l’inadeguata valorizzazione dei nostri Collaboratori;

  • - il prevalere delle logiche di potere su quelle di servizio;

  • - l’attaccamento personale ai beni della comunità, ecc.

2.3.5. Verso una nuova collaborazione

Attualmente, Confratelli e Collaboratori lavorano insieme per portare avanti la missione di Giovanni di Dio. L’Ordine non affida posti di responsabilità nell’ambito della missione solamente ai Confratelli, ma concepisce il proprio operato assieme ai Collaboratori. Malgrado questo rapporto fosse molto importante per il buon esito della missione, alcune istituzioni religiose nell’ambito della Chiesa se ne sono rese conto con un certo ritardo, oppure hanno allontanato dalle proprie strutture (o da quelle che a loro erano state affidate) quanti appartenevano ad un’altra religione. Per il nostro Ordine, il processo di rinnovamento, che ha portato a cooperare insieme ai Collaboratori, ha comportato sì un rischio, ma ne è valsa la pena. Relativamente alla missione dell’Ordine, l’esperienza si è dimostrata positiva, che valeva gli sforzi e gli investimenti economici realizzati, anche se ovviamente le difficoltà non sono mancate.

Il Capitolo Generale del 2006 ha ribadito in modo chiaro che, affinché l’operato di San Giovanni di Dio continui nel futuro attraverso un’organizzazione in crescita, estesa, internazionale e multiculturale, la trasmissione dei valori ai Collaboratori è essenziale. Ispirati dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II, e dalle successive intuizioni teologiche, in particolar modo dalla storia del nostro Fondatore, San Giovanni di Dio, come ho già detto l’Ordine ha iniziato a considerarsi una ‘Famiglia Ospedaliera’.

La richiesta del riconoscimento ufficiale della Chiesa da parte del primo gruppo di seguaci di Giovanni di Dio, ebbe tra le motivazioni anche quella di preservare l’eredità tramandata da Giovanni di Dio. Dopo la morte del ‘fondatore carismatico’, infatti, il pericolo della disintegrazione fu molto forte, come spesso accade per certi movimenti o idee e modi di fare le cose che sono innovativi. Dietro consiglio di alcune persone a loro vicine, i seguaci di Giovanni di Dio, proprio per preservare la sua eredità spirituale, vennero a Roma per chiedere al Sommo Pontefice il riconoscimento ufficiale del nascente Istituto21. Sappiamo però che, malgrado avessero ricevuto lo status di istituto religioso, ciò non impedì ad ingerenze esterne, da parte di gruppi e persone, di interferire negli affari interni dell’istituto. Infine, la Santa Sede concesse l’esenzione dell’Ordine dalla giurisdizione degli Ordinari dei luoghi, il che significava che i Fratelli e la loro missione non erano più soggetti al vescovo locale. Tutto per preservare l’eredità di Giovanni di Dio.

2.3.6. Una struttura per conservare l’eredità di Giovanni di Dio.

Quando Giovanni di Dio morì, l’8 marzo del 1550, c’era già un gruppo di ‘fratelli’: Antón Martín (al quale Giovanni affidò i suoi poveri e gli ammalati), Pietro Velasco, Simone d’Avila, Domenico Piola e Giovanni García22. Erano uomini totalmente devoti a Cristo nel servizio ai poveri, secondo lo stile di vita che aveva indicato loro Giovanni di Dio23. Altri invece, come Angulo, erano sposati, mentre altri ancora prestavano la loro opera come volontari. Il primo gruppo, che chiameremo di ‘fratelli’, anche se non erano ancora uniti dai voti religiosi, costituivano quella Confraternita che si era riunita attorno a Giovanni.

Quando questi uomini si consacrarono a Dio con i voti religiosi, diventando membri della nuova Congregazione di Giovanni di Dio, divenne necessario separarsi materialmente dagli altri residenti della ‘Casa’. Non si trattava però una separazione dal mondo, e cioè dai loro collaboratori o addirittura dalle persone di cui si prendevano cura, in quanto continuarono a svolgere i propri compiti come prima.Anche dopo la costituzione di questo gruppo di seguaci di Giovanni di Dio in congregazione religiosa, la popolazione di Granada continuò a vedere i “Fratelli camminare per le strade alla ricerca dei poveri, caricarseli sulle spalle e portarli nell’ospedale, dove potevano essere curati con amore…Tutti sapevano che i Fratelli giravano per le strade, raccoglievano i poveri, se li caricavano sulle spalle e li portavano nell’ospedale”24.

Dato che lo stile di vita dei primi Confratelli inevitabilmente subì un cambiamento, perché dovettero adattare la propria esistenza alle Costituzioni della nuova Congregazione, è importante notare che nessun testo riporta che i Confratelli si allontanarono dall’ispirazione originale e dall’esempio del Fondatore, Giovanni di Dio. Viceversa, come abbiamo già detto, i cittadini di Granada continuarono a vederli per le strade, mentre andavano alla ricerca dei poveri, per poi caricarseli sulle spalle e portarli al loro ospedale, dove li curavano con amore e dedizione. Questi primi Fratelli di Giovanni di Dio hanno lasciato una testimonianza tangibile del Vangelo della Misericordia e sono stati dei veri Religiosi ospedalieri, esemplari nell’amore e nel servizio che rendevano ai malati e ai poveri.

2.4 Il carisma dell’ospitalità

2.4.1. La fedeltà al carisma dell’Ospitalità: elemento distintivo dei Confratelli

Questi primi Confratelli e le generazioni successive si impegnarono totalmente per continuare l’operato di Giovanni di Dio, non soltanto nella città di Granada, ma si estesero ai quattro angoli della terra. L’Ordine ha donato alla Chiesa molti Confratelli santi e martiri dell’ospitalità, che hanno dato testimonianza di uno stile di vita che porta alla santità. Gli esempio più recenti sono i Martiri spagnoli e colombiani, Fra José Olallo Valdés e Fra Eustachio Kügler. Sono certamente molti di più i Confratelli che, pur non essendo stati elevati agli onori degli altari, hanno vissuto al più alto livello l’ideale della chiamata alla santità nel servizio ai poveri e ai malati, che hanno sempre svolto con gioia, impegno e perseveranza.

È l’ospitalità che definisce chi siamo. Il nome ufficiale della nostra Istituzione è: Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio. Ospedaliero è la parola-chiave, e questo titolo definisce in modo eloquente il nostro carisma e la maniera in cui viviamo la nostra vita consacrata. Tuttavia, nell’arco della storia dell’Ordine è andato modificandosi il modo in cui i primi Confratelli praticavano l’ospitalità.Ad esempio, le terze Costituzioni dell’Ordine, pubblicate nel 1587, riportano:

“Il quarto voto (ospitalità), è quello di servire i poveri infermi, nel quale si raggiunge e si completa la perfezione della vita cristiana. Attraverso la pratica di questo voto, serviamo lo stesso Gesù Cristo nei poveri infermi”25.

Dopo circa quattro secoli, le nostre ultime Costituzioni (1984), affermano che:

“Con il voto di ospitalità ci dedichiamo, sotto l’obbedienza dei superiori, all’assistenza degli ammalati e dei bisognosi, impegnandoci a prestare loro tutti i servizi necessari, anche i più umili e con pericolo della propria vita, a imitazione di Cristo, che ci amò fino a morire per la nostra salvezza.

La maggiore nostra felicità consiste nel vivere a contatto con i destinatari della nostra missione: li accogliamo e li serviamo con l’amabilità, la comprensione e lo spirito di fede, che essi meritano come persone e come figli di Dio; e mettiamo a loro disposizione tutte le nostre energie e tutte le nostre capacità, nei vari uffici che ci vengono affidati”26 .

2.4.2. L’Ospitalità è la nostra eredità

Il carisma dell’Ospitalità è una virtù dinamica, in quanto è arricchita da coloro che l’hanno assimilata e la vivono. L’eredità che ci è stata tramandata da San Giovanni di Dio è stata arricchita e rinnovata da successive generazioni di Confratelli e Collaboratori che, seguendo l’esempio del Fondatore, hanno sempre cercato di rispondere ai poveri e ai malati che incontravano e che servivano secondo lo stile di San Giovanni di Dio. Questo dono è ciò che definiamo come il Carisma dell’Ospitalità. È per noi interessante, ed altresì incoraggiante, vedere che, lungo i secoli, la fedeltà al dono ricevuto ha spinto i Confratelli ad agire con creatività, immaginazione ed impegno, per rispondere alle necessità esistenti in ogni momento e in diversi luoghi.

L’imperativo contenuto nell’Ospitalità di San Giovanni di Dio è che non potremo mai voltaregli occhi davanti alle necessità o alle sofferenze umane. Questo imperativo fu mantenuto vivo e alimentato in diversi modi dalle successive generazioni di Confratelli, malgrado la ‘struttura monastica’ in cui vivevano. Incoraggiati dal Concilio Vaticano II a tornare indietro all’ispirazione originale del Fondatore, hanno iniziato a fiorire nuovi modi per esprimere il carisma, come non si era mai visto prima nella storia dell’Ordine.

I primi cristiani avevano compreso che anche i Gentili avevano ricevuto il loro stesso dono, e cioè la salvezza attraverso la fede in Cristo Gesù27. Allo stesso modo, potremmo dire che ciò che ha permesso all’Ordine di fiorire relativamente al proprio ministero è dovuto al fatto che la maggior parte dei Confratelli si sono resi conto che anche i nostri Collaboratori hanno ricevuto il dono dell’Ospitalità28.Tutto ciò ovviamente è andato maturando col tempo, oltre ad una re-interpretazione del carisma e del voto di ospitalità, portando così nuova vita, freschezza, creatività e immaginazione alla missione dell’Ordine, più che mai necessaria.

2.4.3. Un rapporto di totale fiducia

Giovanni aveva un rapporto molto stretto con Giovanni d’Avila, il suo fidato compagno che aveva soprannominato Angulo. Sembrerebbe che Angulo fosse una sorta di collaboratore, di amministratore, nel quale Giovanni riponeva la sua più totale fiducia. Così riporta il Castro nella sua Biografia: “[…] un serviente dell’ospedale, chiamato Giovanni d’Avila, uomo prudente e di buona vita, morto da pochi giorni dopo aver servito lodevolmente molti anni nella casa, il quale diede testimonianza di ciò che accadde […].”29 . Dal testo del Castro, così come dalle lettere di Giovanni di Dio, emerge chiaramente come Angulo fosse il compagno di viaggio che il Santo preferiva.

Spesso Giovanni mandava Angulo anche fuori Granada per svolgere alcune commissioni di fiducia per suo conto. Ovviamente c’erano altre persone nelle quali Giovanni riponeva la sua fiducia, anche perché spesso, nei suoi viaggi, preferiva portare Angulo con sé, come ad esempio nel viaggio a Toledo con le quattro donne che voleva riscattare dalla prostituzione. In questa occasione, così come in tante altre, Angulo era sempre accanto a Giovanni di Dio, godendo della sua fiducia incondizionata.

Sembrerebbe che Giovanni e i suoi compagni non disponessero di un posto speciale in cui risiedere, nella ‘Casa di Dio’. Sappiamo infatti che il nostro Fondatore cedeva spesso il suo letto a chi ne aveva bisogno quando la casa era piena. Il suo ultimo desiderio era quello di morire tra i suoi poveri, un desiderio che gli venne negato persino quando, ormai molto malato, dovette accettare le insistenze di Donna Anna Ossorio, moglie di Garcia de Pisa30 , e si fece portare a casa di quest’ultimo affinché venisse curato: era la dimostrazione dell’affetto, del rispetto e della preoccupazione che queste persone avevano per lui. Pur con il cuore colmo di dolore, egli obbedì, non volendo fare la sua volontà ma quella del Signore, così come gli era stato indicato dal Vescovo.

 

DOMANDE PER L’APPROFONDIMENTO DEL TESTO

Capitolo 2 – Storia del rinnovamento nell’Ordine

 

Per i Confratelli:

1. Oltre a quelli citati nel testo, quali ritenete siano gli elementi più positivi da attribuire al rinnovamento avvenuto nell’Ordine, in modo particolare dopo il Concilio Vaticano II?

2. E quali, al contrario, gli atteggiamenti negativi dai quali dobbiamo ancora “purificarci” per un effettivo rinnovamento?

3. Rimpiangete qualcosa del passato che, a vostro giudizio, andrebbe recuperato e riproposto?

 

Per i Confratelli e i Collaboratori (o per i soli Collaboratori laddove non vi siano Confratelli)

1. L’analisi fatta nel testo vi sembra che corrisponda effettivamente ai punti di forza e ai punti di criticità nel processo di rinnovamento dell’Ordine?

2. Ritenete ancora attuale l’esigenza di rinnovamento o quanto fatto è già abbastanza ed è sufficiente?

3. Come ritenete di poter promuovere maggiormente il ruolo dei Collaboratori laici nell’Ordine?

 

3. LE PROSPETTIVE DEL RINNOVAMENTO

 

3.1. L’Ordine come “famiglia”

3.1.1. La Famiglia Ospedaliera

Quale tipo di struttura esisteva durante la vita di Giovanni? Credo che si trattasse di una specie di ‘famiglia’. Nelle sue lettere, quando si riferisce alla sua casa, Giovanni la chiama ‘Casa di Dio’ (4 volte), oppure semplicemente ‘Casa’ (16 volte), mentre solo per due volte la chiama ‘Ospedale’. Se guardiamo poi al modo in cui la gestiva, ci sembra che sia qualcosa che assomiglia molto ad una famiglia. Egli stesso era sempre indaffarato nei lavori domestici di ogni giorno, oltre ad essere attivamente impegnato nella cura, nell’ascolto dei malati, nel riportare la pace nelle dispute tra le persone, e nel guidare la preghiera di ogni giorno.

“Si occupava tutto il giorno in diverse opere di carità, e la sera, quando tornava a casa, per quanto stanco fosse, non si ritirava mai senza aver prima visitato tutti gli infermi, uno per uno, e chiesto loro com’era andata la giornata, come stavano e di che cosa avevano bisogno, e con parole molto amorevoli li confortava spiritualmente e corporalmente”31. Per provvedere alle necessità della casa e ai suoi 110 ospiti, Giovanni trascorreva la maggior parte della giornata chiedendo l’elemosina.

Vi erano volte in cui era lontano da casa per settimane, ma non c’è ragione di credere che al suo ritorno trovasse una situazione caotica o problemi da risolvere. Sembrerebbe piuttosto che la casa venisse gestita così come egli aveva predisposto. Nella Casa di Giovanni di Dio regnavano sempre l’armonia, la pace e l’ospitalità, indipendentemente dal fatto che egli fosse presente o meno.

Nei documenti più recenti e negli ultimi Capitoli Generali, l’Ordine ha definito la sua stessa  atura, che ha evidenziato essere formata da Confratelli e Collaboratori32. Il Capitolo Generale del 2006 ha affermato in modo chiaro che i Confratelli e i Collaboratori sono uniti nella missione e nel carisma33. Assieme ai nostri Collaboratori siamo impegnati nel coltivare e promuovere i valori della persona, e a diffondere la cultura dell’ospitalità. Noi Religiosi abbiamo molto in comune con i nostri Collaboratori: condividiamo gli stessi valori e siamo uniti nella missione, è perciò abbastanza naturale considerarci come un’unica famiglia, la Famiglia di San Giovanni di Dio. È interessante notare che la recente Conferenza Internazionale dei Religiosi di recente ha affermato lo stesso concetto: “Riteniamo che la vita consacrata debba uscire dalle frontiere dei nostri istituti, della nostra fede cattolica, della nostra fede cristiana.

Uniamoci allora ai nostri fratelli e sorelle laici che condividono il nostro stesso Carisma, identificandoci così non come un Ordine o come una Congregazione, ma come una famiglia, condividendo la nostra vita e la nostra missione”. Credo che questa sia anche la nostra esperienza; è vero che molti nostri  Collaboratori non condividono la nostra fede, ma sono molto impegnati nel portare avanti l’operato di San Giovanni di Dio e condividono la nostra filosofia e i nostri valori, per cui sentono di far parte della Famiglia di San Giovanni di Dio. Definirci in questo modo, e cioè come appartenenti ad un’unica famiglia, è secondo me un’altra espressione dell’ospitalità che professiamo.

3.1.2.Apprendere dai Confratelli missionari

Possiamo osservare un altro fattore interessante, relativamente a come le nuove esperienze hanno influenzato il modo in cui esercitiamo il nostro ministero. Prima che i Confratelli europei iniziassero a recarsi “sul campo”, nei luoghi cioè in cui c’era bisogno di loro, mettendosi al servizio dell’Ospitalità, i Confratelli missionari erano già abituati a farlo. Dato che molte persone povere e malate non potevano recarsi in ospedale, i Confratelli e i Collaboratori, sentendosi incoraggiati dall’esempio di San Giovanni di Dio, organizzarono ambulatori mobili e iniziarono a recarsi nei villaggi più remoti e nelle colonie per lebbrosi (come si diceva all’epoca) portando loro cibo, medicinali ed altre cose di cui i malati e i bambini avevano estremo bisogno.

Come sempre, per rispondere alle necessità urgenti delle persone che erano andati ad evangelizzare attraverso il loro servizio caritatevole, i Confratelli iniziarono ad abbandonare il modello tradizionale adottato in Europa. Queste attività dei missionari ospedalieri diedero inizio ad un dibattito sulla natura dell’ospitalità, che diede un notevole contributo a tutto l’Ordine portando ad una maggiore comprensione dell’Ospitalità di San Giovanni di Dio, così come la sperimentiamo noi oggi. Questi Confratelli furono dei pionieri nel campo della salute mentale, in quello delle cure palliative e di tipo hospice per malati terminali, nei programmi di ortopedia e riabilitazione, così come in quelli nutrizionali e di medicina preventiva, in campo educativo e formativo per ragazzi e giovani adulti con difficoltà di apprendimento, nel proporre programmi assistenziali e cure per gli anziani, aprendo asili notturni per senzatetto, nella ricerca di un lavoro per gli immigrati, e in molte altre iniziative.

3.2.Verso il rinnovamento

Ci sono molti modi, a dire il vero tantissimi, in quanto smisurate sono le necessità degli uomini, per esprimere l’ospitalità con la creatività, l’immaginazione, l’aspetto esteriore e con un modo non-istituzionale. Inoltre, e ciò è molto importante, quanto maggiore è il numero delle persone che come seguaci di Giovanni di Dio riusciamo a permeare con il suo esempio e a motivare con la sua vita, tanto più saremo riusciti a portare cura e speranza nella vita dei nostri fratelli e sorelle che soffrono.

La risposta della Famiglia Ospedaliera ai nuovi bisogni della società e a quelli che ancora non hanno ricevuto una risposta, è costantemente in aumento in tutto il mondo, mentre allo stesso tempo si continuano a mantenere le espressioni tradizionali dell’ospitalità. Di conseguenza, la Famiglia di San Giovanni di Dio è in continuo aumento, per accompagnare lo sviluppo dei servizi, e mi riferisco al numero dei nostri Collaboratori laici. Con l’aumento dei servizi e, parallelamente, del numero di Collaboratori, si va affermando la necessità di trasmettere a questi ultimi i valori della Famiglia Ospedaliera di San Giovanni di Dio. La formazione dei Collaboratori, perciò, è una questione che riveste grande importanza per il futuro dell’Ordine e la sua missione, e dovrà includere la vita di San Giovanni di Dio, una chiara comprensione della sua missione, la conoscenza della storia, della filosofia e dei valori dell’Ordine.

Per far coincidere il nuovo volto dell’Ordine che si sta progressivamente delineando, con i servizi in costante espansione che offriamo in tutto il mondo, si va affermando un nuovo vocabolario, con termini ed espressioni come Collaboratore, che ha un significato diverso da quello  di semplice dipendente o salariato; missione invece di apostolato; valori che sostengono e guidano la missione, e ovviamente Famiglia Ospedaliera.

3.2.1. ‘Ripartire’

Credo che sia giusto dire che l’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio è stato ri-fondato, ha avuto una nuova rinascita, si è re-inventato, assumendo “un nuovo volto”. Ciò non rientrava nelle intenzioni dei suoi membri, ma in realtà è proprio ciò che è accaduto, frutto dell’incessabile ricerca da parte dei suoi membri di conoscere e di fare la volontà di Dio.

Il processo non è ancora finito, è in piena evoluzione, come se fosse interminabile. Il pericolo o la tentazione, in un dato momento, è quello di cercare una formula per ‘fissare’ definitivamente o per arrestare l’onda del cambiamento. Ciò potrebbe comportare che si sapeva a cosa l’Ordine avrebbe dovuto assomigliare. Sarebbe però presuntuoso. Chi sa a cosa assomiglierà il nostro Ordine nel futuro? Sappiamo solo che il futuro è nelle mani di Dio.

L’appello che ci viene rivolto è di porci in un costante stato di conversione; di ascoltare la voce di Dio che alberga nel nostro cuore e ciò che Egli ha da dire alla Chiesa attraverso di noi, i nostri Confratelli e i Collaboratori. Dobbiamo ascoltare il popolo di Dio, in special modo i sofferenti: sono loro la nostra università34. Dobbiamo cercare costantemente di leggere ed interpretare i segni dei tempi, per poter conoscere ciò che Dio vuole da noi in un preciso momento storico.

Scopriremo così l’operato dello Spirito Santo, attraverso il nostro aiuto, per quanto povero e limitato esso possa essere, ma che il Signore, nella sua infinita saggezza, considera essenziale. È ciò che ci spinge a cooperare con Lui in modo calmo e sereno, e che ci trasmette gioia ed energia. È questa convinzione che ci conferisce un senso di privilegio, di entusiasmo e di gioia che ci riempiono di nuova energia. Ogni giorno rappresenta un’opportunità per ‘ripartire’, nel senso che ogni giorno porta nuove opportunità per fare il bene, e non dovremmo mai cessare di fare il bene mentre possiamo farlo (San Giovanni di Dio, 1DS, 13).

3.2.2. A che punto ci troviamo nel nostro cammino verso il rinnovamento?

Come sapete, il Governo Generale considera il rinnovamento dell’Ordine come una priorità. Quando parliamo di rinnovamento, dobbiamo avere ben presente che, fondamentalmente, nell’Ordine ci sono cinque gruppi di cui tenere conto.Tra i Confratelli i gruppi sono due: coloro che hanno partecipato al processo di rinnovamento immediatamente dopo il Concilio Vaticano II e quei Confratelli che sono entrati nell’Ordine quando non si faceva già più appello al processo e le persone si erano abituate all’idea che, come dice il Presidente Obama,“il mondo sta cambiando e noi dobbiamo cambiare con esso”. È più comodo abituarsi all’idea che dobbiamo adattarci e aggiornarci. Indipendentemente dal fatto che ne siamo consapevoli o meno, il rinnovamento, così come la conversione, è un processo permanente. Oltre a ciò, ovunque vi sia la nostra presenza le esigenze sono grandi, la risposta è proporzionata alle risorse disponibili, la qualità dei servizi rimane elevata e non veniamo meno ai nostri impegni.

Anche tra i Collaboratori ci sono due gruppi:

  • il primo è costituito da coloro che potrebbero essere considera ti come il frutto del processo di rinnovamento, e che attualmente rivestono le posizioni di maggiore responsabilità nell’ambito dell’Ordine per quanto riguarda la sua missione di Ospitalità.

  • Il secondo gruppo è formato dai Collaboratori che operano in Europa, nel Nord America e in Oceania, e che sono entrati nell’Ordine mentre i Confratelli sono pochi di numero e vengono visti come delle figure simboliche.

  • Allo stesso tempo, in America Latina, in Africa e in Asia esiste ancora un numero considerevole di Confratelli.

  • Ci sono poi quei Collaboratori che si trovano in una situazione simile a quella di chi li ha preceduti prima che il processo di rinnovamento avesse inizio, dopo cioè il Concilio Vaticano II.

  • Il quinto e ultimo gruppo è formato dai pazienti, dagli ospiti e da quanti usufruiscono dei nostri servizi, unitamente ai loro familiari, ai volontari e ai benefattori che ci aiutano nel nostro operato.

Tutti insieme costituiscono una grande varietà di persone, che l’Ordine abbraccia in una vera espressione di ospitalità, che come missione e punto centrale della nostra Famiglia Ospedaliera è destinata a crescere e ad espandersi in questa direzione. Non farlo significherebbe estromettere dalla nostra vita i destinatari ultimi della nostra missione, e cioè le persone che si trovano nel bisogno, e quanti hanno il dono di giungere a loro in uno spirito di servizio.

Aprendosi alla riflessione sulla ragione della propria esistenza e su di sé, l’Ordine è cambiato ed è cresciuto notevolmente negli ultimi cinquant’anni e più. La questione centrale, la sfida più importante che dobbiamo affrontare oggi, è come mantenere vivo lo spirito di San Giovanni di Dio e la sua missione rimanendo fedeli alla sua ispirazione originale.

Se guardiamo alla Chiesa come Popolo di Dio, tutti, compresi i Collaboratori, sono chiamati ad operare per la missione della Chiesa35. Ciò conferisce al Religioso il compito di dare una testimonianza profetica viva di ciò che è essenziale nel Vangelo. Attraverso la sua opzione e il suo  stile di vita e di agire, il religioso dimostra ciò che è fondamentale nella vocazione di seguire Gesù, la vocazione di chiunque si identifichi come cristiano, e cioè seguace di Cristo, per giungere alla santità.

Il futuro ruolo del Religioso nella Famiglia di Dio, nel Popolo di Dio, può essere paragonato al lievito nel pane. Solo una piccola parte di lievito è necessaria per produrre il risultato sperato, e cioè per far lievitare tutta la massa. Allo stesso modo, per esercitare un’influenza positiva, non è indispensabile un grande numero di Religiosi.

Ciò che è necessario è che i Religiosi diano una testimonianza viva della loro sequela radicale di Gesù e manifestino chiaramente il dono speciale, o carisma, che hanno ricevuto dalla Chiesa. L’Ospitalità secondo lo stile di San Giovanni di Dio, ad esempio, è un dono fatto da Dio alla sua Chiesa, per permetterle di realizzare la sua missione evangelizzatrice al servizio dell’umanità. Il compito dei Confratelli è quello di essere dei compagni di viaggio assieme ai Collaboratori,essendo allo stesso tempo coscienza critica, guida morale e una presenza profetica aperta e flessibile.

Uno sviluppo certamente positivo, ma al tempo stesso una sfida in termini di rinnovamento, e che non esisteva prima, è il carattere internazionale che l’Ordine è andato assumendo. Alla chiusura del Concilio, i Confratelli detenevano la responsabilità per la missione dell’Ordine, e la maggior parte di loro erano europei. Le iniziative missionarie intraprese negli anni ’50 grazie all’impulso dell’allora Priore Generale, Fra Mosé Bonardi, non avevano ancora portato i frutti sperati in termini di vocazioni autoctone nei Paesi terra di missione.

Come già detto, oggi nell’ambito dell’Ordine ci sono gruppi molto diversificati, che devono essere considerati al momento di pianificare o di affrontare un processo di rinnovamento. Oggi più che nel passato, la Famiglia di San Giovanni di Dio si ritrova veramente rappresentata dal proprio simbolo, la melagrana, che rappresenta la grande varietà di ministeri e servizi che l’Ordine fornisce e che porta avanti in tutto il mondo, con un’estensione e un livello di professionalità che non ha avuto eguali nel passato, e che solo 40 anni fa, dopo il Concilio Vaticano II, non ci saremmo neanche sognati di raggiungere. Di ciò non possiamo ovviamente che rallegrarci, e dobbiamo rendere grazie a Dio per queste nuove forme e modi di esprimere l’ospitalità.

È un altro volto del processo di rinnovamento, che non deve farci dimenticare che esistiamo per servire le persone che si trovano nel bisogno, e dobbiamo farlo con sempre maggior vigore, con immaginazione e con impegno, determinati a rispondere a queste necessità con determinazione e in modo organizzato.

Un’altra realtà che dobbiamo prendere in considerazione è la grande diversità dei Confratelli e dei Collaboratori che costituiscono la Famiglia di San Giovanni di Dio. Ciascuno di loro ha i propri talenti, che contribuiscono ad arricchire l’Ospitalità. L’Ordine è presente in molte parti del mondo, alcune delle quali sono altamente industrializzate, ma in cui prevalgono la secolarizzazione e il relativismo, che ostacolano il rinnovamento.

Ecco alcuni dei principali cambiamenti che sono scaturiti dall’impegno nel processo di rinnovamento:

• Un forte cambiamento nel modo in cui l’Ordine esercita la sua missione di Ospitalità;

• Un cambiamento nel modo in cui ci consideriamo come Ordine di Fratelli nella Chiesa;

• Sono cambiati il modo in cui preghiamo, lo stile di vita dei Confratelli, il modo in cui ci relazioniamo e viviamo in comunità;

• Riconosciamo che il dono dell’ospitalità non è stato affidato soltanto ai Confratelli, ma che anche gli altri, i nostri Collaboratori, lo possono ricevere;

• Riconosciamo il ruolo dei laici nella Chiesa, che ha portato ad uno sforzo concertato e al l’integrazione di Confratelli e Collaboratori nella missione dell’Ordine;

• Confratelli e Collaboratori uniti nella missione.

• Il fatto che la Famiglia di San Giovanni di Dio ha assunto un vero significato.

Quando Gesù voleva comunicare a coloro che lo stavano ascoltando argomenti complessi, ricorreva alle parabole. Le parabole di Gesù sono storie molto semplici, facili da ricordare, spesso facendo ricorso ad immagini e a concetti facili da capire, ciascuna delle quali conteneva un solo messaggio. Allo stesso tempo, le parabole di Gesù non sono semplici storie, perché contengono in sé una vera sfida per chi ascolta, richiedendo una riflessione profonda. Vorrei utilizzare la parabola del Figliol Prodigo36 per spiegare, seppure sommariamente, a che punto ci troviamo nel processo di rinnovamento. Nella parabola del Figliol Prodigo, così come è narrata da Gesù, esistono vari personaggi: gli spettatori, i servi, il padre e i suoi due figli.

Relativamente al rinnovamento, ci sono alcune persone che potrebbero essere gli “spettatori” 37. Essi non impediscono il processo di rinnovamento, ma non si lasciano neanche coinvolgere. Sembrano in attesa del ritorno dei vecchi tempi, con i noviziati pieni di giovani, e che le cose possano tornare ad essere ‘normali’, come erano prima. In questo caso, sono come il ‘figlio primogenito’ della parabola: hanno lavorato sodo ma provano una sorta di risentimento, o di gelosia, quando vedono che i Collaboratori assumono posizioni di leadership che una volta appartenevano solo ai Confratelli. 

Poi ci sono “i servi” e cioè uomini e donne, la maggioranza silenziosa, che tutti i giorni continuano fedelmente l’opera di Giovanni di Dio in un’ampia varietà di modi. Queste persone, rappresentate dalla figura del “figliol prodigo” vogliono occuparsi delle proprie cose, sentirsi liberi, accettano pochi compiti e con un minimo di responsabilità.

Da ultimo troviamo “il padre”, che è una splendida immagine del nostro Padre Celeste, che apre le braccia in un grande gesto di accoglienza, di perdono e di ospitalità, e che attraverso questo gesto ci esorta tutti ad unirci a lui nella cura dei nostri fratelli e sorelle che soffrono e aspettano… 

Chi sono le persone che questa immagine rappresenta? Se siamo onesti con noi stessi, allora penso che ciascuno di noi possa identificarsi con una delle figure che ho appena descritto. Credo che sia giunto il momento, per tutti noi, di lavorare insieme per rinnovarci, per rinnovare le nostre comunità e i nostri centri, in modo da poter essere veramente strumenti di salvezza e di speranza per le attuali e le per future generazioni di nostri fratelli e sorelle sofferenti. 

3.2.3. Riscopriamo Giovanni di Dio!

Il processo di rinnovamento avviato dall’Ordine dopo la chiusura del Concilio Vaticano II ci ha riportati alle origini, ed ovviamente a San Giovanni di Dio. Ripercorrendo la sua vita e quella dell’Ordine siamo giunti ad una grande intuizione: l’Ospitalità è ciò che conferisce identità all’Ordine. È il punto centrale della nostra Famiglia Religiosa. Un’altra intuizione è che come Religiosi siamo nel cuore della Chiesa e allo stesso tempo ‘in prima linea’ nella sua missione evangelizzatrice. “La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza”38.

La ‘riscoperta’ di San Giovanni di Dio ha fatto sì che il nostro Ordine si sviluppasse più di ogni altro istituto negli anni successivi al Concilio. Questo è stato l’evento più stimolante di tutti, in quanto ha cambiato ogni cosa. Non è stato certo per caso che la Curia Generalizia, durante  questa intensa fase di rinnovamento, ha pubblicato un documento dal titolo “Giovanni di Dio continua a vivere nel tempo” (1992).

La parabola del Buon Samaritano39, raccontata da Gesù, costituisce l’immagine più forte di ciò che è essenziale nel Vangelo della Misericordia, che San Giovanni di Dio ha incarnato personalmente. Per questo, nessun ebreo userebbe deliberatamente nella stessa frase le parole ‘buono’ e ‘Samaritano’. Per i giudei, la parola ‘Samaritano’ richiamava alla mente tutto ciò che essi consideravano sgradevole e disprezzabile nei Samaritani.

È facile comprendere allora come la parabola del Buon Samaritano abbia fornito un contenuto importante su cui meditare, e fosse stata una fonte ricca di alimento spirituale e vocazionale per generazioni di Confratelli. Le parole usate da Gesù: gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, le medicò (vi versò olio e vino), lo caricò sopra il suo giumento, lo portò a una locanda, si prese cura di lui, sono caratteristiche dell’ospitalità, così come la intendiamo noi. Gesù stesso, come Figlio di Dio, era la personificazione dell’ospitalità di Dio.

Tuttavia, quando Juan Ciudad iniziò il suo lavoro con i poveri di Granada, fu trattato così come i giudei trattavano i Samaritani al tempo di Gesù: fu emarginato e disprezzato. Col tempo però, vedendo ciò che egli faceva ogni giorno, e come si aggirasse per le strade della città andando alla ricerca dei poveri e dei malati di cui si prendeva cura, i “granadini” iniziarono a cambiare opinione nei suoi confronti. E proprio perché assomigliava al Samaritano, nel senso che intendiamo noi oggi, non solo lo definirono ‘BUONO’, ma gli diedero anche l’appellativo “di DIO”: Giovanni DI DIO.

3.3. L’importanza della comunità religiosa

Diversi avvenimenti sono accaduti contemporaneamente, ed hanno interessato il modo in cui i Confratelli vivono in comunità. In molti centri o servizi dell’Ordine il loro numero è piuttosto limitato; in alcune strutture è presente un solo Religioso, o al massimo due, mentre in altre non ce n’è neanche uno. Non di rado un Confratello si accorge di essere l’unico a lavorare nel centro o servizio. La realtà è che molte nostre comunità sono formate in media da 5-7 Confratelli, alcuni dei quali possono essere anziani o malati; e non sono affatto poche le comunità formate da meno di 5 Confratelli. Per questo motivo, la residenza della comunità, inizialmente costruita per un gruppo numeroso di persone, dovrà essere ristrutturata per essere più confortevole, semplice e accogliente per i Confratelli. La casa della comunità è la casa dei Confratelli e, di conseguenza, dovrà essere confortevole per offrire un ambiente accogliente, che favorisca la preghiera e la distensione.

La comunità religiosa, proprio in quanto tale ha un compito molto importante da svolgere nell’ambito della missione dell’Ordine, e ciò per diverse ragioni.Vorrei richiamare l’attenzione su alcune di esse:

a) La missione della comunità.

Affinché le nostre comunità siano dinamiche, oltre ad essere delle fonti di vita, dobbiamo promuovere un tipo di comunità aperta, ma che allo stesso tempo rispetti la privacy dei suoi membri e la residenza dei Confratelli. Gli ospiti, i familiari e i Collaboratori possono essere invitati ad alcune celebrazioni. Sarebbe importante che i Collaboratori che rivestono posizioni direttive nel servizio o nel centro adiacente la comunità, come ad esempio i Direttori, venissero invitati dai Confratelli con una certa regolarità. L’occasione potrebbe essere un pranzo fraterno, una preghiera appositamente preparata, la condivisione di alcune informazioni da parte dei Collaboratori, seguita da una discussione aperta sugli argomenti che riguardano da vicino la vita e il lavoro del Centro.

Oltre ad aggiornarsi sugli argomenti attinenti il Centro, i Confratelli avrebbero così l’opportunità di condividere le proprie preoccupazioni, ciò che pensano e la loro visione del futuro. Ciò sarebbe fonte di ispirazione e di incoraggiamento per i nostri Collaboratori, per rimanere fedeli alla missione del Centro e dare un’autentica testimonianza della nostra missione di ospitalità.

Questi incontri dimostrerebbero che, sebbene la comunità religiosa potrebbe non avere compiti di tipo amministrativo nel Centro, i Confratelli ne condividono la responsabilità assieme ai Collaboratori, attraverso il Carisma di Ospitalità. Sarebbe inoltre la dimostrazione che i Confratelli sono interessati – e si preoccupano – di ciò che accade nel Centro, del benessere di quanti vi trovano cure e assistenza, così come dimostrerebbe in modo tangibile il loro appoggio e l’apprezzamento per i Collaboratori che quotidianamente portano avanti l’operato di San Giovanni di Dio.

b) La comunità religiosa come punto di riferimento.

Questo è un ruolo che le nostre comunità, oggi più di prima, sono chiamate ad esercitare. Dato l’elevato numero di Collaboratori che lavorano nei nostri servizi, è una tendenza che continuerà fino a quando l’Ordine cercherà di rispondere ai nuovi bisogni della società, indipendentemente dal numero di vocazioni che avremo. La comunità religiosa sarà allora come una massa di lievito che, sebbene ridotta nelle sue dimensioni, è chiamata a vivere e a dare testimonianza della vera natura della missione dell’Ordine; sarà come una sorta di ‘centrale spirituale’ da cui irradiano i valori del Vangelo, in special modo la misericordia, la compassione e ovviamente l’ospitalità.

La presenza dei Confratelli, con il nostro modo di vivere, la chiamata che abbiamo ricevuto, il nostro atteggiamento nei confronti dei Collaboratori e dell’umanità sofferente, che si traduce in azioni concrete, ricorderà costantemente ai Collaboratori che il servizio che essi forniscono nelle nostre strutture non è soltanto un servizio sociale ma anche spirituale, un ministero della Chiesa40. I nostri Collaboratori, insieme ai Confratelli, stanno continuando il lavoro intrapreso da San Giovanni di Dio, un lavoro che, come dice Benedetto XVI, è“un compito essenziale della Chiesa, quello dell’amore ben ordinato del prossimo” 41. E nella stessa enciclica il Santo Padre afferma che “La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri,ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza”42.

c) Il Fatebenefratello mantiene vivo lo stesso modo che aveva Giovanni di Dio nel relazionarsi con le persone, che per lui erano fratelli e sorelle. Un dono particolare che i Confratelli hanno ricevuto è quello di sentirsi tutti reciprocamentefratelli, non solo tra di loro, nell’ambito della comunità, ma anche nei confronti di coloro con i quali si relazionano o che incontrano nel centro o servizio. La presenza emblematica del Fatebenefratello mantiene vivo quel particolare rapporto che Gio-vanni di Dio aveva con coloro che serviva nella sua Casa di Ospitalità, con le persone che lavoravano con lui e con i suoi benefattori. Egli si sentiva fratello di tutti, e considerava gli altri come suoi fratelli e suo prossimo.

Quando si recò alla corte del Conte di Tendilla, a Valladolid, fu ricevuto dal Principe e quando venne ammesso alla sua presenza, Giovanni gli disse: “Signore, io sono solito chiamare tutti fratelli in Gesù Cristo. Voi siete il mio re e il mio signore, e devo ubbidirvi. Come volete che vi chiami?”43.

Quando si recava per le strade di Granada a chiedere l’elemosina, Giovanni si rivolgeva alle persone che incontrava chiamandole ‘fratello’ o ‘sorella’. La fraternità è un valore fondamentale, un elemento essenziale dello stile di San Giovanni di Dio, e pertanto quanti lavorano nei nostri centri sono chiamati ad instaurare nella struttura un’atmosfera familiare, in cui tutti si sentano curati, amati e rispettati, indipendentemente dal fatto che nel centro vi sia o meno la presenza  dei Confratelli.

3.4. Collaboratori/ Missione

3.4.1. Confratelli e Collaboratori hanno ricevuto entrambi il dono dell’Ospitalità Ogni nostro Collaboratore, indipendentemente dal proprio bagaglio culturale o dalla sua fede religiosa, nel praticare l’ospitalità apporta i suoi talenti e la propria competenza professionale, potenziandone così l’espressione. Confratelli e Collaboratori hanno ricevuto entrambi il dono dell’Ospitalità e insieme nella missione formano un grande fiume, il fiume dell’Ospitalità, che purifica, guarisce e restituisce la speranza in una migliore qualità di vita per coloro che serviamo nello spirito e secondo lo stile di San Giovanni di Dio.

La massa d’acqua di un fiume che scorre è formata da tante minuscole goccioline. Allo stesso modo, l’Ospitalità è incrementata dall’impegno personale di tanti Confratelli e Collaboratori nello svolgimento quotidiano del loro servizio. La persona che pratica l’ospitalità si fa essa stessa ospitalità per colui che serve, così come Giovanni di Dio si faceva ospitalità per le persone che serviva nella città di Granada.

3.4.2. Formazione dei Collaboratori e chiarezza sulla missione

Su questa linea, aprendo i Capitoli Provinciali affermavo che:

a) Per tutti i Collaboratori deve essere ben chiaro che la Chiesa promuove le nostre Istituzioni, sia dall’inizio che lungo tutta l’esistenza del nostro Ordine. Pertanto, uno dei nostri principali obiettivi è quello di essere testimoni di Gesù Cristo, presentando un volto della Chiesa che è benigno e compassionevole, e trasmettere il messaggio di salvezza, non soltanto attraverso le parole, ma soprattutto con le nostre opere.

b) Nella comunione che ci definisce come Chiesa, abbiamo un concetto di vita pluralistico, siamo consapevoli che i nostri centri sono centri di salute, e rispettiamo quanti frequentano  i nostri servizi, amandoli e servendoli in tutto e per tutto.

c) Le stesse circostanze professionali coinvolgeranno persone che hanno valori simili ai nostri. Consideriamo che quanti sono legati all’Ordine debbano rispettarli, aderire a ciò che è buono e promuovere i principi dell’Istituzione, sempre rispettando la libertà di coscienza.

L’Ordine è arrivato a definire i principi secondo i quali opera, illuminato dagli insegnamenti della Chiesa, e tenendo conto della legislazione dei Paesi in cui è presente. I Confratelli e i Collaboratori, come rappresentanti dell’Ordine, devono partecipare all’elaborazione di questi principi.

d) Come Istituzione, dobbiamo impegnarci ad incoraggiare il senso di appartenenza e l’identificazione con lo spirito di San Giovanni di Dio.A questo riguardo, l’Ordine promuove in tutto il mondo molteplici iniziative, ed in modo particolare una serie di riflessioni, per illuminarci come Ordine e come famiglia.

e) Sappiamo che, per poter realizzare una buona amministrazione nei nostri centri, il tipo di gestione che vogliamo mettere in pratica, cioè secondo i nostri valori, questa amministrazione deve essere carismatica. Ci troviamo di fronte alla sfida che ci pone questa realtà, e dobbiamo affrontarla in un modo che sia coerente con il Vangelo.

f) Il punto centrale del nostro carisma è la persona, indipendentemente dal tipo di malattia o di bisogno che possa avere, e per il quale è necessaria la nostra assistenza. Dalla parte opposta si trova un’altra persona: è il Confratello o il Collaboratore, che deve avere la competenza per agevolare l’incontro con il malato e, di conseguenza, l’assistenza e la cura che gli sono dovute.Tutti noi che facciamo parte dell’Ordine dobbiamo impegnarci fortemente nel trovare un sano modo di vivere.

Con questo progetto realizziamo una dimensione di ospitalità che non soltanto si mette in relazione con noi da un punto di vista professionale e inerente la missione, ma anche con la realtà che ci è peculiare.

3.5. Le sfide

La teologa Sandra M. Schneiders, così scrive: “La vita religiosa è idealmente una testimonianza profetica primaria nella Chiesa del tipo di comunità che Gesù intendeva. La famiglia che Egli ha fondato non era composta soltanto da un gruppo di amici, ma era una comunità di persone reciprocamente responsabili verso la comune missione e nella condivisione del ministero. Comprendeva alcune persone che avevano tra loro un legame di sangue, ma per la maggior parte di loro non era così. C’erano viaggiatori erranti e capi famiglia. Alcuni vivevano insieme, altri invece no. Ma ciò che avevano in comune era la fede e l’amore che nutrivano per Gesù, il loro impegno per la realizzazione del Regno di Dio, e la determinazione a dare la propria vita per il prossimo, così come aveva fatto Gesù Cristo”44.

Allo stesso modo, la Famiglia di Giovanni di Dio racchiude una varietà ed una ricchezza di elementi che consentono all’Ordine di rimanere fedele alla propria missione. Molte Istituzioni Religiose stanno iniziando ad identificarsi come una Famiglia. Comprensibilmente, per una varietà di ragioni, alcuni Religiosi pensano, a livello individuale, che è difficile da mettere in pratica.

Per quanto mi riguarda, penso che ciò costituisca un nuovo inizio per la vita religiosa, e non certo la fine. Forse quanti si sono formati secondo vecchi schemi e quanti avrebbero voluto un diverso modello di Chiesa, potrebbero trovare delle difficoltà con questo modo di vedere il futuro della vita religiosa, e cioè come una Famiglia. Tuttavia, in uno spirito di dialogo, nella ricerca sincera della volontà di Dio, la diversità di opinioni e di idee non deve necessariamentecreare divisioni; al contrario, può costituire uno strumento che ci esorti ad una più profonda riflessione su chi siamo, sulla nostra missione e sulla realtà del mondo in cui viviamo ed esercitiamo la missione stessa.

3.5.1. Fedeltà alla nostra identità ospedaliera

Questa situazione ci spinge al rinnovamento, allo studio e al dialogo, per affrontare il futuro con speranza. “La vera, grande speranza dell’uomo, che resiste nonostante tutte le delusioni, può essere solo Dio – il Dio che ci ha amati e ci ama tuttora sino alla fine, fino al pieno compimento”45.

“La fedeltà alla nostra identità ospedaliera richiede da ogni Confratello una formazione integrale, solida e permanente, in accordo con le attitudini delle persone e con le condizioni di ogni tempo e luogo, affinché possa rispondere alle esigenze della propria vocazione”46. Ciò può applicarsi anche ad ogni Collaboratore che desideri abbracciare l’identità del nostro Ordine ed essere custode del carisma che anima le nostre opere.

In uno spirito di servizio all’Ordine, dobbiamo continuare nel dialogo, mettendoci in ascolto della voce dello Spirito, cercando di leggere ed interpretare i segni dei tempi. In questo modo, potremo condividere il futuro assieme ai nostri Collaboratori, il che darà maggiore enfasi al concetto di Famiglia Ospedaliera; dovrebbe ispirarci inoltre a dimostrare attraverso le azioni concrete il nostro impegno nei confronti del Regno di Dio, praticando l’Ospitalità secondo lo stile di San Giovanni di Dio, lavorando insieme agli altri membri della Famiglia Ospedaliera.

Questa è una nuova ed esaltante sfida che noi religiosi dobbiamo affrontare, e sulla quale dobbiamo riflettere alla luce del Vangelo, per darle il suo reale significato. Tuttavia, sarà necessario avere del coraggio per essere profetici, evangelici ed ospitali. Dobbiamo rivolgerci a Dio così come ci esorta il Santo Padre: “Pregare non significa uscire dalla storia e ritirarsi nell’angolo privato della propria felicità”47. Attraverso la preghiera il nostro cuore si espande e si purifica; avvertiamo una forte speranza e diventiamo capaci di accogliere Dio e i nostri Collaboratori, assieme ai quali consideriamo i valori della nostra Famiglia e li viviamo appassionatamente, supportandoci a vicenda, ciascuno con la propria vocazione, ma sempre nell’ambito della stessa Famiglia.

3.5.2. La dimensione internazionale

Come ho già detto prima, alla chiusura del Concilio Vaticano II, nel 1965, i Confratelli detenevano gran parte della responsabilità per la missione dell’Ordine. La maggior parte di loro erano europei, e nei Paesi in via di sviluppo le iniziative missionarie intraprese negli anni ’50 non avevano ancora portato frutti, in termini di vocazioni autoctone.

All’inizio del terzo millennio, però, la situazione è notevolmente diversa. Ora formiamo veramente un organismo internazionale. L’Ordine è presente in 50 Paesi del mondo, 30 dei quali si trovano nel mondo cosiddetto “in via di sviluppo”. Questa nuova realtà non può essere dimenticata, in quanto fa parte del rinnovamento, di questa nuova visione e della futura pianificazione dell’Ordine. Non siamo più un’istituzione centrata soprattutto a livello europeo, ma abbiamo assunto un volto veramente internazionale, con i Confratelli che provengono da 56 nazioni, appartenenti ai 5 continenti. Abbiamo oltre 40.000 Collaboratori, che non rappresentano soltanto i Paesi in cui l’Ordine è presente, ma molti di più, a causa dell’immigrazione e per altri fattori che facilitano gli spostamenti anche oltre i confini nazionali.

3.5.3. Cooperazione interprovinciale e internazionale

Il nostro futuro si basa sulla nostra capacità e sulla volontà di lavorare insieme ai Collaboratori, in una cooperazione che oltrepassa i confini delle Province e in una rete operativa che comprende anche altri gruppi ed organizzazioni. Il futuro dell’Ordine si basa sulla cooperazione interprovinciale e sulla condivisione delle risorse; viceversa in molti Paesi la presenza dell’Ordine gradualmente cesserà di esistere, non soltanto nei Paesi in via di sviluppo, ma anche in quelli industrializzati. Ciò a cui sto pensando non è soltanto la sopravvivenza materiale delle nostre opere, il che ovviamente è nelle mani di Dio, ma soprattutto la sopravvivenza del Carisma.

Affinché il carisma dell’Ospitalità continui a sopravvivere, anzi ad essere espresso in modi che rispondano ai bisogni delle persone, due cose sono essenziali. La prima è che ci siano persone impegnate verso Giovanni di Dio e il suo operato, che vogliono portare avanti per il bene dell’umanità, e che pertanto si dedicano a questo obiettivo; la seconda è che si realizzi la trasmissione dei nostri valori alle future generazioni.

3.6. Quale futuro?

Ovviamente ci vorrebbe un profeta per predire il futuro della Vita Religiosa. Una cosa però è certa: il futuro sarà ben diverso dal presente, dato che l’Ordine già oggi è diverso da come era ai tempi del Concilio. È una cosa positiva? Personalmente, credo che sia la direzione verso cui ci sta guidando lo Spirito. Ricordo che il mio Maestro, quando ero novizio, era solito dire che dobbiamo cercare di fare le cose al meglio, come se dipendesse tutto da noi, e pregare come se tutto dipendesse da Dio, come in effetti è.

Non è importante quale forma assumerà la Vita Religiosa nel futuro, ma la domanda fondamentale è: come continuare ad essere testimoni credibili della sequela radicale di Gesù, e inoltre, in che modo essere la presenza compassionevole del Padre celeste per i suoi figli sofferenti?48. Ciò deriverà dal potere dello Spirito Santo e dalla nostra volontà di cooperare con Lui con gioia ed entusiasmo.

Il Concilio Vaticano II non ci ha fornito un piano d’azione o un programma, soltanto un’esortazione che dice di ritornare alle scritture e all’ispirazione originale del proprio istituto, al Fondatore!

Questo consiglio è ancora valido e ad esso dovremmo aggiungerne un altro: saper distinguere i segni dei tempi49. Dovremmo altresì prendere coscienza e imparare dalle esperienze degli ultimi 40 anni, dalle riflessioni teologiche e dalle intuizioni cui siamo giunti in questo periodo.

I fattori che plasmeranno il modo in cui l’Ordine si evolverà nel futuro, ci permetteranno di continuare a dare un’autentica testimonianza dell’amore compassionevole del Padre per i suoi figli, in special modo per quelli si trovano nel bisogno. Questi fattori sono:

a) L’urgenza e la necessità della missione, nella quale siamo impegnati, e che ci spinge al cambiamento, adattandoci e rifocalizzando la missione dell’Ordine.

b) Il Signore ha dato alla sua Chiesa, attraverso il nostro Ordine, due doni speciali: il primo è la Fraternità. Implicito in questo dono è il comandamento ad amarci gli uni gli altri, e ad amare in modo particolare le persone che serviamo e quelle con le quali lavoriamo, considerandoli nostri fratelli e sorelle. Questo dono ci richiama all’unicità della chiamata ad essere fratelli e sorelle, e mostra all’umanità intera come dovrebbero vivere i membri della stessa Famiglia di Dio, un compito cui tutti siamo chiamati50.

c) Una maggiore comprensione del secondo dono che Dio ha fatto a noi e all’umanità attraverso il nostro Ordine, e cioè l’Ospitalità, che può essere definita come l’accoglienza del forestiero, dell’altro, di colui che bussa alla nostra porta perché si trova nel bisogno e che non ha nulla da offrirci, e che fa appello alla lunga tradizione di ospitalità della nostra Famiglia Ospedaliera. Ogni atto di ospitalità trasforma così il rapporto che esiste tra i membri di un gruppo di persone estranee, trasformandolo in un gruppo di persone prossime, in senso biblico. NON SEI PIU’ FORESTIERO, come dice la canzone dell’Ospitalità che costituisce la ‘colonna sonora’ del DVD che accompagna questo documento.

d) Arrivare al punto in cui, riferendoci ai membri dell’Ordine, non sia più necessario specificare Confratelli e Collaboratori, ma usare soltanto il termine noi, che ci comprende tutti.

e) Un elemento importante nel processo di rinnovamento è il fatto che tutti debbano essere informati di quanto sta accadendo, sentendosi coinvolti e impegnati in questo processo.

Una buona comunicazione perciò è essenziale. Molte buone idee e iniziative si perdono proprio per mancanza di comunicazione. Le persone devono sapere cosa ci si attende da loro, che la loro cooperazione attiva è importante e necessaria affinché il processo di rinnovamento abbia un esito positivo. Tuttavia, dobbiamo essere forti e molto coraggiosi 51, perché quello del rinnovamento è un processo che richiede tempo, l’impegno volontario delle persone e tanta perseveranza. Solo quando le menti e i cuori delle singole persone saranno toccati da questa trasformazione, avrà luogo un vero cambiamento.

3.7. Impegni concreti

Ovviamente le diverse istanze di cambiamento potranno venire solo dal confronto tra la volontà di rinnovarsi e il confronto con le esigenze delle comunità locali. Per questo, sarebbe improprio, o addirittura azzardato, dare indicazioni concrete in tal senso, che si possano applicare ad ogni situazione. Tuttavia, credo sia doveroso indicare alcune direttrici lungo cui incamminarsi, anche se certamente non sono le uniche e non sono tutte necessariamente da percorrere.

Quantomeno, però, costituiscono un possibile orizzonte da intravedere.

➢Una rinnovata comprensione del Carisma.

Alla luce del rinnovamento della teologia conciliare e del documento “Vita consecrata” dobbiamo comprendere come il Carisma non sia il privilegio concesso da Dio a un Fondatore, e da questi trasmesso ai suoi seguaci. Si tratta piuttosto di un dono fatto da Dio alla Chiesa per il bene comune, attraverso la specifica vocazione di un Fondatore e da questi trasmesso alla famiglia religiosa da lui fondata. In tal senso il carisma ha tre caratteristiche fondamentali:

a) Ecclesialità. Innanzitutto il Carisma, nel nostro caso l’Ospitalità, è dono fatto da Dio alla Chiesa, affidato a San Giovanni di Dio e da questi trasmesso all’Ordine Ospedaliero. Pertanto non è possibile vivere, comprendere ed attuare l’Ospitalità se non nel contesto ecclesiale in cui esso si colloca. Detto in altri termini, anche il Carisma deve camminare nel tempo, al passo con la Chiesa e con l’evolversi della diversa sensibilità ecclesiale. Non può essere custodito come fosse un pezzo da museo, cercando di conservarlo in tutto e per tutto nella sua forma originaria: sarebbe il modo migliore per tradirlo. Come spero appaia chiaramente da questo documento, il Carisma dell’Ospitalità ha una sua intrinseca dinamicità, che si riferisce al cammino di progresso che anche la Chiesa realizza nella storia.

b) Incarnazione. In virtù del “principio di incarnazione” sottostante tutta la teologia pastorale anche il Carisma dell’Ospitalità, per quanto detto prima, deve concretamente incarnarsi nelle diverse situazioni e circostanze storiche in cui si trova ad essere esercitato. Se il punto precedente richiamava l’“ecclesialità” del Carisma, questo aspetto è più relativo alla sua “socialità”, se possiamo usare questo termine. In altre parole, le istanze del mondo, della contemporaneità, le mutate esigenze del malato di oggi, le nuove forme di patologia, ecc. esigono che l’Ospitalità sia praticata secondo stili diversi, anche profondamente mutati rispetto a quelli del tempo di S. Giovanni di Dio. Grazie a questo diverso approccio all’Ospitalità rimarremo fedeli al Carisma e, quindi, alla volontà di Dio che lo ha donato per il bene comune.

c) Espansività. Il Carisma, come dice un’espressione latina, è expansivus sui, tende cioè ad espandersi, a riverberare su altri che, a vario titolo, ne diventano partecipi. Se, infatti, è l’Ordine Ospedaliero il suo “titolare” e custode, ad esso partecipano quanti a vario titolo collaborano  con l’Ordine. L’avevamo già compreso molti anni fa, ma l’ultimo Capitolo Generale (2006) ha evidenziato questo fatto ancora una volta. Ovviamente esistono varie forme di collaborazione, da quelle più remote e periferiche – ad esempio benefattori ed amici che danno il proprio sostegno – a quelle più dirette e partecipative. Di conseguenza, anche la condivisione del Carisma partecipa in qualche modo a tali diversi gradi di vicinanza ed è stato già più volte auspicato di dare anche una specie di riconoscimento canonico a questa più diretta partecipazione.

In ogni caso, l’importante è prendere atto che, sul piano carismatico (al di là di ogni riconoscimento canonico) esiste già una diversificata partecipazione al Carisma, che in alcuni casi, è assai simile a quella dei Confratelli.

➢I rapporti con i Collaboratori.

Da parecchi decenni, quantomeno dai tempi di Fra Pierluigi Marchesi, c’è stata una progressiva crescita nel rapporto tra Confratelli e Collaboratori, affidando a questi ultimi sempre maggiori responsabilità nella missione dell’Ordine. Con un numero costantemente in aumento di centri e servizi, i Collaboratori non saranno soltanto impegnati nell’assistenza ai sofferenti, ma assumeranno responsabilità amministrative e direttive. Inoltre, nelle questioni più attinenti la missione, i Collaboratori sono coinvolti nell’organizzazione delle politiche e nella pianificazione del futuro. Come ho già detto prima, però, ci sono quelli che in questo processo rivestono il ruolo di ‘osservatori’, preferendo tornare ai vecchi modelli del passato, e che vedono questa prospettiva con sospetto o con indifferenza. In questa situazione, è difficile affidare ai Collaboratori un ruolo attivo in ambito decisionale. Le loro opinioni e il loro ruolo rimangono quelli di un ‘impiegato’, piuttosto che quelli di una persona che partecipa a pieno titolo della vita dell’Ordine, facendosi carico responsabilmente della sua vita e del suo progresso nella storia.

➢Esemplarità di vita.

Come abbiamo già detto in un’altra parte di questo documento, ciascuno di noi ha le sue cadute e le proprie fragilità. Si tratta di aspetti che sono inevitabilmente connessi alla nostra condizione umana. Tuttavia, in particolar modo noi Confratelli, dovremo impegnarci di più per fornire una testimonianza esemplare di vita cristiana, così come esige la nostra pubblica consacrazione nell’Ospitalità. Purtroppo, a volte non solo non diamo un buon esempio, ma addirittura con i nostri atteggiamenti, il nostro stile di vita e il nostro comportamento abbiamo dato una contro-testimonianza di ciò che è essenziale nel messaggio evangelico e nella sequela di Cristo.

➢Vocazioni.

Quanto abbiamo appena detto ha un importante risvolto vocazionale. A un giovane che ci chiede cosa significhi essere un Fratello di S. Giovanni di Dio, un Fatebenefratello, dobbiamo sempre essere in grado di dire “vieni e vedi”52. La migliore strategia vocazionale deve basarsi proprio sulla testimonianza di vita. Una comunità che si dimostri accogliente nel confronti di un aspirante è un fattore importante per aiutare chi vuole identificare con chiarezza la propria vocazione: ciò che egli sperimenta quando visita una comunità può incoraggiarlo, così come distoglierlo. “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni”53. Per questa ragione, dovremo fare in modo da poter dare, in ogni situazione, una testimonianza chiara di ciò che costituisce il nucleo del nostro essere Fatebenefratelli, e cioè l’Ospitalità.

Periodicamente si parla della possibilità dell’esistenza di vari tipi di impegno temporaneo, considerandolo tale sin dall’inizio. Questo tema potrebbe essere discusso in sedi appropriate, insieme ad altri modi di condividere la Vita Consacrata per un limitato periodo di tempo. Come ho già detto, non dovremmo considerare la diminuzione delle vocazioni e l’aumento delle responsabilità dei laici in termini negativi. Secondo me, ci saranno Confratelli sufficienti per fornire una testimonianza viva della sequela radicale di Gesù, e saranno una presenza emblematica della fraternità, un esempio di ciò che è essenziale nella missione, in termini di servizio e di dedizione, in un rapporto basato sul rispetto reciproco, sulla giustizia, sull’armonia e sull’ospitalità.

Considero questo momento storico come una “età del laicato”, che vede cioè emergere i laici nella Chiesa. L’aumento, in termini numerici, di uomini e donne impegnati – che nel nostro caso specifico sono i nostri Collaboratori – deve essere considerato non tanto come una forma per compensare la scarsità di Religiosi, ma soprattutto come una diversa “distribuzione” tra le due vocazioni. Tutto fa parte del progetto di Dio per il suo Popolo. Uno dei grandi documenti del Concilio è la costituzione dogmatica sulla Chiesa “Lumen Gentium”. Nel capitolo IV, quello espressamente dedicato ai Laici, il Concilio afferma che: “Grava su tutti i laici il glorioso peso di lavorare, affinché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno più tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra. Sia perciò loro aperta qualunque via affinché, secondo le loro forze e le necessità dei tempi, anch’essi attivamente partecipino all’opera salvifica della Chiesa” (n° 33).

Ciò conferisce ai Religiosi il compito di dare una testimonianza profetica viva di ciò che è al centro del Vangelo.Attraverso la loro scelta di vita, il loro modo di vivere e le loro azioni, i Religiosi dimostrano  che la chiamata a seguire Cristo – una vocazione che è comune a tutti coloro che si identificano come cristiani e cioè come seguaci di Cristo – è al cuore della chiamata ad essere Religioso.

➢Prossimità.

Purtroppo sono sempre meno i Confratelli che sono attivamente impegnati nell’assistenza ai malati e a quanti usufruiscono dei nostri servizi. Laddove i Confratelli sono pochi, ci si potrebbe chiedere: dove dovrebbero stare per dare una testimonianza di ciò che è al cuore del messaggio evangelico e della nostra vocazione di Fatebenefratelli? Avrebbe forse più valore dare questa testimonianza nel settore amministrativo o svolgendo funzioni manageriali? Ovviamente anche questo è un servizio, che esemplifica il cambiamento carismatico di cui ho già parlato; ma non si può limitare ad esso tutta l’essenza e il fine della vocazione. Dobbiamo trovare forme e mezzi adeguati affinché le persone e le comunità possano decidere per proprio conto, così da permettere ai Confratelli di avere un contatto più diretto con i malati e con le persone che si trovano nel bisogno, e non necessariamente attraverso cure di tipo medico-infermieristico, ma a livello umano, relazionale e pastorale. Ho visto spesso nostri Confratelli già avanti negli anni che ancora rendono un servizio prezioso ai malati, alle persone sole o abbandonate.

Nel DVD che accompagna questo documento fornisco un elenco – peraltro non completo – dei modi in cui un Confratello può mantenere un contatto diretto con le persone che soffrono. Possono essere modi “semplici”, come quello di sedersi, in modo amichevole, accanto ad un bambino malato o a un anziano che soffre, e semplicemente fargli compagnia.

Questo è un magnifico servizio di carità che anche un Confratello avanti negli anni può svolgere, e nel quale può trovare una personale gratificazione e un’alternativa alla sensazione di vuoto e di solitudine in cui a volte si passano le giornate. 

DOMANDE PER L’APPROFONDIMENTO DEL TESTO

Capitolo 3 – Prospettive di rinnovamento

Per i Confratelli

1. Quali difficoltà pensate possano esservi nel ritenere i Collaboratori “membri della nostra famiglia”?

2. Quale incidenza potrebbe avere il rinnovamento sulla nostra vita comunitaria, sulla missione della comunità e sul piano vocazionale?

3. Cosa ritenete debba essere cambiato nel nostro stile di vita per una migliore adesione al Vangelo, al Carisma dell’Ospitalità e ai nuovi bisogni dell’umanità?

Per i Confratelli e i Collaboratori (o per i soli Collaboratori laddove non vi siano Confratelli)

1. Vi sembra pertinente questo concetto di “Famiglia Ospedaliera”?

2. Come adattereste alla vostra realtà locale le prospettive di rinnovamento proposte dal documento?

3. Quali iniziative si possono prendere concretamente per un più ampio respiro internazio nale dell’Ordine?

 

4. CONCLUSIONI

4.1. La ricchezza del Carisma dell’Ospitalità.

Ciò che ho descritto della nostra vita e del nostro ministero è veramente qualcosa di molto speciale. Quanto sta avvenendo nell’Ordine è ovviamente l’operato dello Spirito Santo, e per questo mostra tutta la bellezza, l’ampiezza e la ricchezza del Carisma dell’Ospitalità. Il modo in cui trasformare, introdurre e abbracciare un dono è qualcosa che nessuna singola persona o istituzione può controllare o limitare. “Solo lo Spirito Santo può mantenere costante la freschezza e l’autenticità degli inizi e, nello stesso tempo, infondere il coraggio dell’intraprendenza e dell’inventiva per rispondere ai segni dei tempi” 54.

Se guardassimo all’Ordine come se stessimo guardando attraverso un prisma, vedremmo che ha una grande varietà di colori e di forme nell’espressione dell’ospitalità: sono i doni che abbiamo ricevuto, le persone e le vocazioni. C’è la vocazione del Fatebenefratello e quella del cristiano laico, entrambe fondate sul Battesimo e unite nella missione55. Ci sono altresì persone di buona volontà che si identificano e condividono i valori fondamentali dell’Ordine, non necessariamente appartenenti alla fede cristiana, ma che contribuiscono alla sua missione di misericordia attraverso il proprio lavoro professionale e la loro bontà d’animo, i talenti e le qualità umane che possiedono56.

Per usare una metafora, l’Ospitalità può essere vista come un grande fiume formato da due corsi d’acqua che confluiscono nello stesso alveo, pur provenendo da due fonti diverse. Uno è quello formato da coloro che hanno ricevuto la chiamata a seguire Cristo come Fatebenefratelli, e che cercano di viverla mettendosi al servizio dell’Ospitalità, dando così la testimonianza dell’amore compassionevole del Padre per i suoi figli sofferenti. Il secondo corso d’acqua è quello dei Collaboratori, che ha la sua fonte nel Battesimo cristiano, per coloro che appartengono alla nostra stessa fede, e la scelta vocazionale che hanno fatto nella propria vita.

Come un fiume che si espande continuamente erodendo le proprie sponde, permeando nuovi terreni, certe volte solo in superficie, altre anche nel profondo, l’ospitalità è una forte corrente che tende sempre, senza sosta, a continuare il proprio viaggio verso il mare. Nella fedeltà allo spirito di Giovanni di Dio, la nostra sorgente deve rimanere profonda, segnando la corrente o l’influenza che ci guida.Attraverso la ricerca e lo studio, l’ospitalità ci spinge, in ogni generazione, ad utilizzare mezzi aggiornati e sviluppi scientifici per servire in modo più efficace l’umanità sofferente, sempre illuminati e guidati dal Magistero della Chiesa e da quello dell’Ordine57.

La forte corrente che ci guida senza sosta è la forza dello Spirito e l’urgenza della missione, e non potrebbe essere altrimenti, se ci soffermiamo a riflettere sulla vita del Fondatore, che era molto triste nel “vedere soffrire tanti poveri, che si trovano in grandi necessità sia per il corpo che per l’anima”58.

La profonda spiritualità che ci è stata tramandata è una nuova fonte di illuminazione alla quale attingere. “Oggi l’Ordine mostra un volto pluralista, interculturale ed interrazziale e si sente chiamato a proporre il cammino spirituale di Giovanni di Dio anche a uomini e donne che non appartengono più solo alle culture occidentali, come succedeva finora… Oggi emergono sfide nuove ed inedite; non è più sufficiente accogliere il carisma come eredità ricevuta. Bisogna riconfigurarlo, dargli un nuovo volto, interpretarlo in modo più attuale. Occorre ‘far ardere il cuore’ non solo ai membri dell’Ordine, ma anche alla società, alla gente, alla Chiesa”59. E la forza che ci sostiene in questo ministero è costituita dai bisogni della gente, che ci spingono ad agire e a farci ritornare sempre alla nostra fonte, San Giovanni di Dio, in cui troviamo l’ispirazione e la guida.

4.2. Superare tutto per Cristo

Dobbiamo costantemente ricordare a noi stessi quanto sia importante la missione di Ospitalità, nei confronti della quale ci siamo impegnati e nella quale siamo stati consacrati. Come Fatebenefratelli dobbiamo fungere da esempi ed essere uomini di speranza per tutti, in un mondo che sta rapidamente perdendo la speranza, e ciò riguarda in modo particolare le giovani generazioni. Dobbiamo continuare a dimostrarci testimoni dell’amore di Dio, essendo coscienza critica, testimonianza profetica e guida morale, e nell’apertura verso i nuovi bisogni, in  collaborazione con tutti i membri dell’Ordine60.

Miei cari fratelli e sorelle nell’Ospitalità, la nostra amata Famiglia Ospedaliera ha ancora molto da offrire al mondo e alla Chiesa, oggi e nel futuro. Non smettiamo di sostenerci e di incoraggiarci a vicenda attraverso la parola e soprattutto con l’esempio concreto, cercando di non sprecare le opportunità che ci vengono offerte ogni giorno. Cerchiamo di riconoscerle e di affrontarle con fermezza, convinzione, entusiasmo, e con il profondo desiderio di superare tutto per Cristo.

Ancora una volta vorrei sottolineare il fatto che il futuro dell’Ordine e la garanzia per il successo della sua missione è nella solida formazione dei Confratelli, nel lavoro assieme ai nostri Collaboratori e nella loro formazione. È questa ‘partnership’ con i Collaboratori che darà nuovo vigore al nostro Ordine, ed un nuovo significato al termine “Ordine”. La nostra Famiglia Ospedaliera è formata da tanti uomini e donne: ci sono coloro che hanno professato i voti religiosi, e ci sono altre persone, la grande maggioranza, che pur seguendo la loro vocazione nella vita sono uniti ai Religiosi professi nel servizio alla missione.Tutte queste persone formano un grande fiume di ospitalità, che cura, guarisce, restituisce vita e speranza alle persone che si trovano nel bisogno. Con questo spirito di collaborazione, di fiducia e rispetto reciproci, oltre che di amicizia tra Confratelli e Collaboratori, riusciremo a dare una nuova vita, un nuovo significato e un nuovo slancio alla missione, che ravviverà la nostra fede, rafforzerà la nostra speranza e riaccenderà la nostra carità. È così che l’ospitalità praticata secondo lo stile di San Giovanni di Dio diventerà una vera “Passione per l’Ospitalità di San Giovanni di Dio oggi nel mondo”, con l’entusiasmo e l’impegno che ne derivano.

L’ospitalità è oggi interpretata ed espressa in un modo che è antico ma al tempo stesso ancora attuale e moderno, secondo le necessità delle persone sofferenti. Per usare le parole di Pio IX, dobbiamo praticare la “carità antica ma con mezzi modernissimi”. Questo processo certamente non ha mai fine, ma si ricrea, pieno di vitalità e fervente di attività. Mi piace pensare a come Giovanni di Dio sarebbe orgoglioso nel vedere quanto stanno realizzando oggi i suoi seguaci, così come un insegnante sarebbe orgoglioso nel vedere che i suoi studenti realizzano le cose meglio di come ha fatto lui nel passato. Gesù disse: “compirete le opere che io compio e ne farete di più grandi”61. Senza dubbio San Giovanni di Dio si meraviglierebbe nel vedere come il seme che ha gettato a Granada nel 1539, attraverso la potenza dello Spirito Santo sia diventato quel bel fiore che mancava nel giardino della Chiesa, come lo definì il Papa San Pio V nel 1572, quando approvò l’Istituto formato dai seguaci di Giovanni di Dio come Congregazione62.

Affidiamo alle mani sicure di Maria, Madre del Buon Consiglio, le nostre necessità individuali, quelle della nostra famiglia e della comunità, nel giorno della sua Festa e nel quale pubblichiamo questo documento. Possiamo essere certi che proprio come una madre, non abbandonerà i suoi figli, ma ci aiuterà a fare ciò che vuole da noi il suo Divin Figlio63. Dato che San Giovanni di Dio continua a vivere in ciascuno di noi, è con noi tutti i giorni, guidando e intercedendo per le nostre necessità e per quelle delle persone che serviamo in suo nome.

La memoria e l’esempio. 

La memoria e l’esempio di tanti membri della nostra Famiglia Ospedaliera che ci hanno preceduti e che sono stati “marcati dall’Ospitalità”, alcuni dei quali proposti come icone di ospitalità e per questo canonizzati e beatificati, possano continuare ad ispirarci e a motivarci nel nostro operato quotidiano al servizio dei sofferenti. 

Mi unisco a voi nella speranza di un futuro luminoso per la nostra grande Famiglia Ospedalieradi San Giovanni di Dio.

Fra Donatus Forkan,O.H. – Priore Generale 

 ———————————————————————————–

1 Cfr. Lippitt, 1969.

2 Cfr. Giovanni Paolo II, Novo Millennio Ineunte, 1.

3 Cfr. 1Cor 13, 3.

4 Cfr. Benedetto XVI, Deus Caritas Est, 31 a,b.

5 Fra P. Marchesi, Umanizzazione, Roma, 1981, pp. 34-35.

6 Cfr. Gv 3, 8; 1Re 19, 11-17.

7 Lo stemma della Famiglia Venegas, che si può ancora scorgere sull’architrave della porta di quella cheanticamente era la casa di questa importante famiglia di Granada, raffigura un cuore trafitto da una spada,dove si legge il motto ‘Il cuore comanda’. Il padrone di casa, Don Miguel Abiz de Venegas, aveva concessoa Giovanni di passare la notte all’ingresso della sua casa. Ma il cuore di Giovanni non era sordo alla voce dei poveri, e li invitò a rifugiarsi con lui in questo alloggio di fortuna, che ben presto si riempì di quei poveri e malati che egli portava lì, tanto che gli abitanti della casa avevano difficoltà ad entrare e ad uscire. Comprensibilmente perciò, a Giovanni venne chiesto di cercare un luogo più appropriato in cui ospitare i suoi ‘amici’. Potremmo dire che fu allora che l’ospitalità di Giovanni iniziò a prendere forma, nell’androne di una casa.

8 Cfr. Benedetto XVI, Deus Caritas Est, 31b.

9 Cfr. Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, Costituzioni 1984, cap. I.

10 Cfr. Costituzioni 1927, art. 79 a.

11 Costituzioni 1984, art. 22.

12 Mt 6, 33.

13 Cfr. Costituzioni 1927, art. 79a.

14 Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Vita Consecrata, 1996. Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica: La vita fraterna in comunità (1994), Ripartire da Cristo (2002); Il servizio dell’autorità e l’obbedienza (2008).

15 Umanizzazione; I Fatebenefratelli alle soglie del Terzo Millennio; Fatebenefratelli e Collaboratori insieme per servire e promuovere la vita; Progetto Formativo dei Fatebenefratelli; La Carta d’Identità dell’Ordine; Il cammino di Ospitalità secondo lo stile di San Giovanni di Dio.

16 Discorso di Giovanni Paolo II ai Religiosi dell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio, Città del Vaticano, 2 dicembre 1995.

17 Cfr. Fra Pascual Piles, Lasciatevi guidare dallo Spirito, Roma 1996.

18 Cfr. Dichiarazioni del Capitolo Generale 2006.

19 Gc 5, 16.

20 Mt 18, 22.

21 Gabriele Russotto OH, San Giovanni di Dio e il suo Ordine Ospedaliero, Roma 1969, vol. I, pag.116.

22 G. Russotto, op. cit., Roma 1969, vol. I, pagg. 111-112.

23 F. de Castro, Storia della vita e sante opere di Giovanni di Dio, cap. XXIII.

24 Cfr. J. Sánchez Martinez OH. Kenosis-diaconia en el itinerario espiritual de San Juan de Dios, pp 292, 307, 393.

25 Cfr. Primitivas Constituciones, cap. 35 (traduzione libera in italiano).

26 Costituzioni 1984, art. 22

27 Cfr. At 11, 1-18.

28 Cfr. Dichiarazioni del Capitolo Generale 2006.

29 F. de Castro, op. cit., cap. XIII.

30 F. de Castro, op. cit., cap. XX.

31 F. de Castro, op. cit., cap. XIV.

32 Cfr. Confratelli e Collaboratori Insieme per servire e promuovere la vita (dove si fa una definizione dei Collaboratori al n. 6).

33 Dichiarazioni del LXVI Capitolo Generale, 2006, Missione dell’Ordine, 2.C.

34 Cfr. Fra Pierluigi Marchesi, Umanizzazione.

35 Cfr. Lumen Gentium, n. 13.

36 Lc 15, 11.32.

37 Nel quadro di Rembrandt che raffigura il ritorno del Figliol Prodigo, oltre alle tre figure principali della storia ci sono degli spettatori curiosi. Anche se la parabola non ne fa menzione, è possibile immaginare che, avendo sentito dire che il giovane aveva fatto ritorno a casa, qualcuno fosse stato mosso dalla curiosità e pertanto si fosse recato a vedere come lo avrebbe accolto il padre. In questo modo, ne avrebbero ricevuto una sorta di ‘suggerimento’, di indicazione per riaccoglierlo nella comunità.

38 Benedetto XVI, Deus Caritas Est, 25a.

39 Lc 10, 29-37.

40 Cfr. Benedetto XVI, Deus Caritas Est.

41 Benedetto XVI, Deus Caritas Est, 21

42 Benedetto XVI, Deus Caritas Est, 25 a.

43 F. de Castro, op. cit., cap. XVI.

44 Cfr. Sandra M. Schneiders, Selling Out (traduzione libera in italiano).

45 Benedetto XVI, Spe Salvi, 27.

46 Costituzioni 1984, art. 55.

47 Benedetto XVI, Spe Salvi, 33.

48 Cfr. Mt 14, 14.

49 Cfr. Mt 16, 3.

50 Cfr. Vita Consecrata, n. 60.

51 Cfr. Gs 1, 6-7.

52 Gv 1, 46.

53 Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, IV, n. 41.

54 Ripartire da Cristo, 20.

55 Cfr. Christifideles Laici, 33.

56 Cfr. Vita Consecrata, n. 54.

57 Cfr. Carta d’Identità dell’Ordine.

58 Cfr. San Giovanni di Dio 2 GL, 8.

59 Il cammino di ospitalità secondo lo stile di San Giovanni di Dio, nn. 5; 6.

60 Cfr. Capitolo Generale del 2006.

61 Cfr. Gv 14, 12.

62 Cfr. Russotto, G., op. cit., vol. I, pag. 108

63 Cfr. Gv 2, 1-5

INDICE

1. IL RINNOVAMENTO II

1.1. Il concetto di rinnovamento II

1.2. Le basi biblico-teologiche II

1.3. Il rinnovamento è opera dello Spirito IV

2. STORIA DEL RINNOVAMENTO NELL’ORDINE VI

2.1. Le premesse storiche di un rinnovamento perenne VI

2.1.1. “Il cuore comanda”

2.1.2. Ogni forma di vita è destinata a crescere oppure a morire

2.1.3. Una visione originale e autentica dell’Ospitalità

2.2. Come eravamo… VIII

2.2.1. I Confratelli prima del Concilio Vaticano II

2.2.2. I Confratelli all’epoca del Concilio Vaticano II

2.3. …e come siamo XI

2.3.1. Gli effetti del rinnovamento

2.3.2. Il rinnovamento ha portato qualcosa di nuovo

2.3.3. La ‘Nuova Ospitalità’

2.3.4. La purificazione della memoria

2.3.5.Verso una nuova collaborazione

2.3.6. Una struttura per conservare l’eredità di Giovanni di Dio

2.4. Il carisma dell’ospitalità XV

2.4.1. La fedeltà al carisma dell’ospitalità: elemento distintivo dei Confratelli

2.4.2. L’Ospitalità è la nostra eredità

2.4.3. Un rapporto di totale fiducia

3. PROSPETTIVE DEL RINNOVAMENTO XVIII

3.1. L’Ordine come “famiglia” XVIII

3.1.1 La famiglia Ospedaliera

3.1.2. Apprendere dai Confratelli missionari

3.2.Verso il rinnovamento XIX

3.2.1. ‘Ripartire’

3.2.2. A che punto ci troviamo nel nostro cammino verso il rinnovamento?

3.2.3. Riscopriamo Giovanni di Dio!

3.3. L’importanza della comunità religiosa XXIII

3.4. Collaboratori/Missione XXV

3.4.1. Confratelli e Collaboratori hanno ricevuto entrambi il dono dell’Ospitalità

3.4.2. Formazione dei Collaboratori e chiarezza sulla missione

3.5. Le sfide XXVI

3.5.1. Fedeltà alla nostra identità ospedaliera

3.5.2. La dimensione internazionale

3.5.3. Cooperazione interprovinciale e internazionale

3.6. Quale futuro? XXVII

3.7. Impegni concreti XXVIII

4. CONCLUSIONI . XXXII

4.1. La ricchezza del carisma dell’ospitalità XXXII

4.2. Superare tutto per Cristo XXXIII

NOTE XXXIV

Leave a Reply

You must be logged in to post a comment.