SAN GIOVANNI DI DIO: IL CARISMA ALLO STATO NASCENTE – Di Angelo Nocent
Posted on agosto 26th, 2009 by Angelo
SAN GIOVANNI DI DIO:
IL CARISMA ALLO STATO NASCENTE
di Angelo Nocent
La “STORIA DELLA VITA E SANTE OPERE DI GIOVANNI DI DIO – Prima biografia di S. Giovanni di Dio (di Francisco de Castro)” è il compendio della tradizione orale tramandata dai contemporanei del Santo Dio che hanno condiviso con lui l’Opus Dei, suscitata dallo Spirito e posta nelle sue mani perché la portasse a compimento nella Chiesa. E’ uno strumento unico per risalire al carisma del Fondatore nel suo stesso sbocciare, per così dire “allo stato puro”. È un kairòs per tutto l’Ordine che non può essere lasciato passare invano.
Solo che questo documento storico non andrebbe mai letto da solo ma in un contesto biblico, se non vogliamo che diventi ciò che non è: un libro ispirato che, anche se non intenzionalmente, rischia di precede il Sacro Testo, posto incautamente in secondo ordine ed utilizzato per le citazioni a sostegno e rafforzamento delle tesi che su di esso si intendono costruire.
I sociologi da tempo hanno messo in luce la forza e il carattere irripetibile di un movimento collettivo nel suo “statu nascenti”. Parlando degli stati di effervescenza collettiva, Durkheim ha scritto: “L’uomo ha l’impressione di essere dominato da forze che non riconosce come sue, che lo trascinano, che egli non domina…Si sente trasportato in un mondo differente da quello in cui si svolge la sua esistenza privata. La vita qui non è soltanto intensa, ma è qualitativamente differente”[1]. Per Max Weber la nascita di tali movimenti è legata alla comparsa di un capo carismatico che, rompendo con la tradizione, trascina i suoi seguaci in una avventura eroica, e produce in chi lo segue l’esperienza di una rinascita interiore, una ‘metanoia’, nel senso di san Paolo[2].
Premesso che la prospettiva di questi autori è sociologica, anche se non è in grado di spiegare da sola i movimenti religiosi, aiuta tuttavia a capirne la dinamica.
Secondo Francesco Alberoni, sono i momenti del nascere delle religioni, della riforma protestante, della rivoluzione francese o bolscevica; noi possiamo benissimo aggiungervi senza esitazione anche l’Ordine dei Fratelli Ospedalieri di San Giovanni di Dio . Vi è, secondo Alberoni, una indubbia analogia tra la nascita di questi movimenti e il fenomeno dell’innamoramento[3]. Questo fu, in ogni caso, ciò di cui si trattò per Giovanni di Dio e per suoi seguaci: un innamoramento:
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” Era tanta e tanto grande la carità, della quale nostro Signore aveva dotato il suo servo, ed erano così singolari le opere che da essa derivavano, che alcuni, giudicandolo con spirito vano, lo ritenevano per prodigo e dissipatore, non comprendendo che nostro Signore lo aveva messo nella cantina del vino ed ivi aveva stabilito in lui la sua carità1[33], e che egli si era in tal modo inebriato del suo amore, che non negava nessuna cosa che gli venisse chiesta per lui, fino a dare molte volte, quando non aveva altro, la povera roba di cui era vestito, e rimanere ignudo, essendo pietosissimo con tutti e molto austero e rigoroso con sé.” (Cap. 14)
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E c’è un altro passo rivelatore di questo innamoramento: “Era il fratello Giovanni di Dio molto devoto della passione di nostro Signore Gesù Cristo, perché, essendo questa la sorgente principale di ogni nostro rimedio, aveva trovato in essa grande profitto e soavità. E perciò, volendo che quanto era giovato a lui giovasse anche al suo prossimo, per amor di Dio…ecc”. (Cap. 13)
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E ancora: “La pazienza, che corona e perfeziona i soldati di Cristo, possedeva in tal modo l’animo di questo santo uomo, che, per quanti travagli gli avvenissero, nessuno lo vide mai turbato, né senti uscire dalla sua bocca parola irritata. Nelle maggiori ingiurie e negli affronti, anzi, rimaneva quieto e allegro, come colui che non aveva altra volontà che quella di nostro Signore Gesù Cristo, della cui croce solo si gloriava, come si vide in molti casi che gli accaddero dei quali qui ne riporteremo alcuni”. (Cap. 15)
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Un altro sintomo dell’innamoramento è questo:“Sebbene il fratello Giovanni di Dio fosse stato chiamato da nostro Signore specialmente alle opere di Marta (nelle quali occupava la maggior parte del tempo), tuttavia non tralasciava quelle di Maria. Tutto il tempo, infatti, che gli avanzava, lo spendeva nell’orazione e nella meditazione, tanto che molte volte trascorreva le notti intere piangendo e gemendo, e chiedendo a nostro Signore perdono ed aiuto per le necessità che vedeva, con sì profondi gemiti e sospiri, che ben faceva capire di conoscere che la preghiera è l’àncora ed il fondamento di tutta la vita spirituale, e quella che risolve bene tutte le questioni dinanzi a Dio, e senza la quale tutto il resto ha poco fondamento. E perciò non intraprendeva cosa alcuna, senza averla prima raccomandata e fatta raccomandare molto a nostro Signore”. (Cap. 18).
Parlando di San Francesco d’Assisi, P. Raniero Cantalamessa scrive che “vi sono fiori che non si riproducono piantando di nuovo il loro seme o un ramoscello della pianta, ma solo a partire dal bulbo che misteriosamente si ridesta e torna a germogliare in primavera. Tali sono, tra quelli che conosco, i tulipani e le calle”.
Io credo che anche l’ Ordine dei Fatebenefratelli abbia bisogno di ripartire dal bulbo. E il bulbo è la primitiva intuizione, o meglio ispirazione, che Giovanni di Dio ebbe nel 1538:
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“«Gesù Cristo mi conceda il tempo e mi dia la grazia di avere io un ospedale, dove possa raccogliere i poveri abbandonai i e privi della ragione, e servirli come desiderio io». E nostro Signore lo esaudì pienamente.” (Cap. 9)
Naturalmente, non si tratta dell’unica intuizione che pur le riassume tutte. Bisogna evitare di restringere noi il suo campo d’azione, vedendo il lui soltanto l’uomo dell’ospedale perché, in tal modo, si rischia di ridurre tutto a ospedale. In realtà Giovanni è un uomo “da marciapiede” come si usa dire oggi di alcuni preti, l’uomo della notte, l’uomo dei postriboli, l’uomo delle carceri, il questuante di Granada, l’ufficio di collocamento di ragazze sottratte ai ruffiani…Ed è un carismatico avvezzo alla preghiera spontanea, un parlare diretto con Dio ed un parlare agli altri di Dio…
Egli è l’uomo-carità che nella Festa di San Sebastiano riceve il “battesimo nello Spirito”, ossia riscopre il primitivo battesimo e ritrova la Verità che, per il IV Vangelo è la persona stessa di Gesù, il suo volto ed il suo amore per noi, rivelatore del volto del Padre. E’ l’antica promessa che, progressivamente, si attua in lui:
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“Quando verrà il difensore che io vi manderò da parte del Padre mio, lo Spirito della verità che proviene dal Padre, egli sarà il mio testimone, 27e anche voi lo sarete, perché siete stati con me dal principio.
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2… 12“Ho ancora molte cose da dirvi, ma ora sarebbe troppo per voi; 13quando però verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà verso tutta la verità.
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Non vi dirà cose sue, ma quelle che avrà udito, e vi parlerà delle cose che verranno. 14Nelle sue parole si manifesterà la mia gloria, perché riprenderà quel che io ho insegnato, e ve lo farà capire meglio.
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15Tutto quel che ha il Padre è mio. Per questo ho detto: lo Spirito riprenderà quel che io ho insegnato, e ve lo farà capire meglio”. (Gv 15,26-27; 16,12-15).
Giovanni di Dio è guidato verso una Verità che deve ancora scoprire nella sua interezza. Lo Spirito gli apre orizzonti nuovi di comprensione del volto di Dio e di accoglienza del suo amore. Il ri-nato si lascia guidare verso una verità di relazione che si contrappone all’ egoismo. I frutti di questo cammino sono visibili, sperimentabili:
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“…22Lo Spirito invece produce: amore, gioia, pace, comprensione, cordialità, bontà, fedeltà, 23mansuetudine, dominio di sé.”. (Galati 5,22)
E’ la contrapposizione di quella che Paolo denomina ‘legge della carne’, alla “legge dello Spirito”. ‘Carne’ in tale contesto significa egoismo. Da adesso e fino all’ultimo respiro, la vita di Giovanni di si connoterà come esperienza in cui si rendono visibili i frutti di un’altra logica di vita: la vita dello Spirito, i desideri dello Spirito. Sono i segni di una vita che si apre verso l’altro, che attua il servizio, che prevede il movimento del donarsi. E il biografo, con poche parole essenziali, lo evidenzia: ”Quello che gli avanzava lo distribuiva ai poveri, che cercava di notte, buttati giù per quei portici, intirizziti e nudi, piagati ed infermi. Vedendone la moltitudine, mosso da grande compassione decise di procurar loro con maggiore impegno il rimedio” (Cap.11)
Ed il capitolo successivo è paragonabile all’Inno della Carità dell’Apostolo tradotto in quotidianità:
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“Deciso di procurare realmente il conforto e il rimedio ai poveri, Giovanni di Dio parlò con alcune pie persone che durante i suoi travagli l’avevano confortato e, con il loro aiuto e il suo fervore, prese in affitto una casa alla pescheria della città, perché era nei pressi di piazza Bibarrambla, da dove e da altre parti raccoglieva i poveri abbandonati, infermi e storpi, che trovava2[28]; e comprò alcune stuoie di giunco ed alcune coperte vecchie in cui potessero dormire, non avendo ancora né danaro per far di più, né altra cura da prestar loro.
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E diceva ad essi: «Fratelli, rendete molte grazie a Dio, che vi ha atteso tanto tempo perché facciate penitenza. Pensate in che cosa lo avete offeso, ché io voglio condurvi un medico spirituale che vi curi le anime, e per il corpo poi non mancherà il rimedio. Confidate nel Signore, perché egli provvederà a tutto, come si suol fare con quelli che da parte loro fanno quel che possono».
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Quindi usciva e conduceva loro un sacerdote e li faceva confessare tutti. Vista la sua gran carità infatti, qualunque sacerdote, al quale si rivolgeva, andava molto volentieri a fare, quest’opera buona.
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Dopo di che, usciva animosamente per tutte le vie e, portando con molto sforzo una grande sporta sulle spalle e due pentole nelle mani, appese ad alcune cordicelle, andava dicendo ad alta voce: «Chi fa del bene a se stesso? Fate bene per amor di Dio, fratelli miei in Gesù Cristo!»
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Siccome all’inizio usciva di sera, a volte anche piovendo, e nell’ora in cui le persone stavano riunite nelle loro case, la gente, meravigliata nel sentire quel nuovo modo di chiedere elemosina, si affacciava dalle porte e dalle finestre. Con la sua voce lamentevole e la virtù che gli dava il Signore, sembrava che trapassasse l’animo di tutti. Ed insieme commuoveva molto il suo aspetto debole e affaticato, e l’austerità della sua vita, sì che tutti uscivano con le proprie elemosine, ciascuno secondo le sue possibilità, e gliele davano volentieri, con molto amore: alcuni danaro, altri pezzi di pane o pani interi, altri quanto avanzava dalla loro mensa, di carne ed altre cose, e lo ponevano nelle pentole che a ciò portava.
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Quando egli vedeva di aver ricevuto elemosina sufficiente, tornava correndo ai suoi poveri e, appena giunto, diceva: «Dio vi salvi, fratelli. Pregate il Signore per chi vi fa del bene».
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Quindi riscaldava ciò che aveva portato e lo distribuiva a tutti. Quando avevano mangiato e pregato per i benefattori, egli da solo lavava i piatti e le scodelle e strofinava le pentole, scopava e puliva la casa e portava acqua con due brocche dalla fontana con molta fatica, perché, essendo recente il ricordo che era stato giudicato pazzo e vedendolo così malandato, nessuno voleva andare a fargli compagnia per aiutarlo; e così sosteneva il lavoro da solo, fino a quando lo riconobbero per quello che era.
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Poiché egli serviva i poveri con grande carità, ve ne andavano molti. E siccome la casa era piccola e la gente molta, non c’era posto per quelli che vi accorrevano attirati dalla fama di Giovanni di Dio, e per quelli che egli stesso cercava con affabilità ed amore, i quali, pur avendo supplicato, non potevano entrare negli altri ospedali.
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Vista, perciò, la necessità che aveva, prese in affitto un’altra casa più grande e spaziosa, dove trasferì sulle proprie spalle tutti i suoi poveri menomati ed infermi che non potevano camminare da sé, come pure i giacigli in cui dormivano essi e i pellegrini. Qui mise più ordine ed armonia, e sistemò alcuni letti per i più sofferenti; e nostro Signore lo provvedeva di infermieri, che lo aiutassero a servirli, mentre egli andava a cercare elemosine e medicine per poterli curare3[29].
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Pertanto, come cresceva la carità in Giovanni di Dio, così andavano crescendo e moltiplicandosi l’arredamento e le masserizie della casa di Dio, giacché ormai la gente si era reso conto; e molte distinte ed onorate persone, dentro e fuori di Granata, lo tenevano in considerazione e lo stimavano, vedendo e constatando che perseverava, teneva ordine nelle sue cose e andava progredendo sempre di bene in meglio.
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E quando videro che non solo alloggiava pellegrini e abbandonati, come all’inizio, ma aveva altresì letti apprestati ed infermi che in essi curava, cominciarono tutti ad avere molta fiducia in lui e gli davano e garantivano qualunque cosa gli occorreva per i suoi poveri, e gli donavano elemosine più abbondanti di quanto solevano, come pure coperte, lenzuoli, materassi, indumenti ed altre cose.
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E poiché accorreva a lui ogni sorta di poveri e bisognosi per essere aiutati – vedove ed orfani onorati, in segreto; persone coinvolte in liti giudiziarie, soldati sbandati e poveri contadini, ché, essendo quello un anno penoso e di scarso raccolto, erano più numerosi -, egli soccorreva tutti secondo le loro necessità, e non mandava via nessuno sconsolato. Agli uni, infatti, quando poteva dava subito e con gioia, agli altri dava conforto con parole amorevoli e gioviali, infondendo in essi fiducia che Dio avrebbe provveduto, affinché tutti rimanessero confortati, e così avveniva, poiché si ritiene per prodigio che nessuno mai giunse a lui, senza che il Signore provvedesse Giovanni del poco o del molto, in modo che potesse aiutarlo.
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Non si contentava di occuparsi di tutti costoro, ma cominciò anche a prendersi la cura di cercare i poveri vergognosi: ragazze ritirate, religiose e monache povere, e donne sposate che pativano necessità in occulto. E con molta diligenza e carità le provvedeva del necessario, chiedendo elemosina per esse alle signore ricche ed agiate; ed egli stesso comprava loro il pane e la carne, e pesce e carbone, e tutto il resto che è necessario per il sostentamento, affinché non avessero motivo di uscire per procurarselo, ma rimanessero ritirate e coltivassero la virtù e il raccoglimento.
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E dopo averle provvedute del necessario per il corpo, perché non stessero in ozio ma lavorassero per aiutarsi a vestire, andava nelle case dei mercanti per cercare ad alcune seta da lavorare e ad altre lino da filare, e stoppa.
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E poi si sedeva un po’ e le animava al lavoro e teneva loro un breve discorso spirituale, esortandole ad amare la virtù e aborrire il vizio. A tale scopo apportava vivaci argomenti, sebbene semplici, che ancora oggi sono vivi nella memoria di molti che li udirono. Dava loro speranza che così facendo, oltre a conseguire la grazia dal Signore, non sarebbe ad esse mancato il necessario per il sostentamento. Inoltre, prometteva anche qualche premio a quelle che avessero lavorato di più. Ed in questo modo le induceva ed animava a vivere virtuosamente e a servire nostro Signore.
15. Non gli mancarono invidiosi in quest’opera, come in tutte le altre che faceva, perché satana non cessa di far guerra, da sé o per mezzo dei suoi ministri, a coloro che vede usciti dal suo dominio ed incamminati nel servizio di nostro Signore. Alcuni di questi, infatti, lo motteggiavano o mormoravano di lui, dicendo che tutto era un ramo di pazzia, che gli era rimasto da quando andava per le vie di Granata privo della ragione, e che presto sarebbe crollato, perché non aveva fondamento.
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E oltre a ciò, gli tenevano gli occhi addosso, osservando le case nelle quali entrava ed informandosi di quanto ivi diceva e faceva, ed anche appostandosi in luoghi occulti. E vedendo con i loro occhi il suo grande esempio e l’onestà e santità delle sue parole e delle buone opere che faceva, rimanevano sbalorditi e confusi, ed erano costretti a tacere; e perfino alcuni, quando lo incontravano, quasi loro malgrado, lo lodavano e gli davano elemosina.
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Con tutto questo, non dimenticava i suoi poveri, perché la sua principale cura era per essi, consolandoli con le parole e provvedendoli del necessario la mattina prima di uscir di casa; e, dopo aver dato disposizioni su tutto, come ciascuno doveva adempiere il proprio ufficio verso di loro, e sapendo che i compagni, che già aveva per questo, lo facevano, egli se ne andava e si occupava a chiedere elemosina fino alle dieci o alle undici della notte” (Cap. 12).
A questo punto appare evidente che il periscopio di Giovanni di Dio rotea a 360 gradi. Nella prima biografia appare ciò che nelle Prime Costituzioni, chiamate a dare una sistemazione giuridica al movimento dei discepoli che riceve in questo modo il riconoscimento ecclesiale per tutta la cattolicità, per quanto ne rispettino l’ispirazione, non hanno potuto riportare.
Questa fonte parallela alle Costituzioni di ieri e di oggi, ci autorizza ad “osare” con la fantasia della carità che è lo Spirito. Il mandatum novum ci sollecita nelle direzioni più impensate. Sarebbe mortificante e riduttivo escludere il non previsto dai testi giuridici presi rigorosamente alla lettera. Sarebbe un precludersi e tarparsi le ali alle tante possibilità che un rinnovamento carismatico dell’Ordine avrebbe di esprimersi al meglio oggi, proprio utilizzando le risorse umane con il dovuto discernimento ma nel rispetto delle attitudini di ciascuno.
E’ accaduto con tutti gli Ordini Religiosi: quando il “movimento”, l’evento primordiale diventa istituzione, in tale passaggio l’Ordine fa degli gli acquisti, ma subisce delle perdite e mutilazioni. Ciò è avvenuto anche per i Fatebenefratelli: se gli articoli costituzionali hanno dato una forma precisa a idee intuite vagamente, gli stessi hanno dato un’impostazione strutturale in cui il pensiero originario di Giovanni di Dio è costretto a perdere qualcosa della sua originalità e forza. E’ come il mettere il vino nuovo negli otri vecchi”[4]. Senza togliere nulla al valore inestimabile delle prime Costituzioni, è a quel primo momento fondante dunque che bisogna costantemente rifarsi se si vuole affrontare con successo “la sfida della ri-fondazione”.
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