A QUARANT’ANNI DALLA GAUDIUM ET SPES – Enrico Chiavacci
Posted on agosto 27th, 2009 by Angelo
Posted on Febbraio 15th, 2009 di Angelo |
Mons. Enrico Chiavacci è il primo a sinistra.
L’ATTIVITÀ UMANA NELLUNIVERSO
Cominciamo qui a costruire il Regno
di ENRICO CHIAVACCI
La costituzione conciliare sottolinea il valore autentico dell’attività umana: al di là di ogni arricchimento materiale c’è la tensione verso l’adempimento del progetto di Dio. Pur avendo una sua legittima autonomia, implica sempre, dunque, un aspetto religioso. Per questo ogni cristiano è impegnato nella lotta contro l’egoismo umano e tutte le forme di sfruttamento in cui si manifesta.
Della densa sezione, pochissimo conosciuta e ancor meno studiata, sull’attività umana nell’universo (GS 33-39; 44) intendo qui solamente mettere in evidenza tre punti che ritengo essenziali: il significato morale (e spirituale) di ogni forma di attività umana; la sua legittima autonomia; il tradimento in atto del progetto del Creatore e l’impegno del cristiano per la sua realizzazione.
Il significato morale
1 L’attività umana intesa nel senso più ampio (il lavoro dipendente verrà trattato ai nn. 67-68) avviene sempre nel quadro della vita dell’universo, e ne è parte essenziale voluta dal Creatore. Infatti con la sua attività – qualunque essa sia – l’uomo modifica sempre le cose (io direi oggi il cosmo), modifica la società in cui è inevitabilmente inserito (e oggi tale società non può essere concepita se non come la famiglia umana: si veda il n. 77), e soprattutto modifica sé stesso. Quest’ultimo punto è importantissimo: l’uomo in ogni sua attività è in cammino verso Dio, «multa discit, facultates suas excolit, extra se et supra se procedit» (35).
Al di là e al di sopra di ogni ricerca di arricchimento materiale sta la tensione verso l’adempimento del progetto di Dio: l’uomo vale molto più per ciò che è che per ciò che ha. Ma l’uomo è se sa inserirsi nel progetto di Dio per l’intera famiglia umana: egli non può realizzare pienamente sé stesso se non nel sincero dono di sé («nisi per sincerum sui ipsius donum», GS 24). Tale dovrebbe essere la ricchezza spirituale che ogni attività umana include. Dall’umile lavoro manuale all’attività manageriale, dalla ricerca filosofica, teologica, scientifica, alla fatica della sofferta attività artistica in tutte le sue forme, sempre l’uomo dovrebbe essere alla ricerca di sé stesso e del disegno del suo Creatore per il vero bene del genere umano (GS 35).
Oggi più di ieri ciò non avviene, per due motivi opposti: o l’uomo agisce per avere sempre di più e non si cura del proprio essere sempre di più, o l’uomo è costretto dalla miseria ad agire solo per sopravvivere: che cosa darò da mangiare ai miei figli domani?. E quest’ultima condizione è oggi quella della maggior parte dell’umanità: la miseria senza speranze, senza orizzonti, toglie all’uomo anche la possibilità di essere sé stesso (si veda GS 71: un minimo di proprietà è parte integrante della persona umana nella sua capacità di decidere su sé stessa. È un fenomeno studiato già da J.K. Galbraith e più recentemente da A. Sen).
Ogni attività è autonoma
2 Ogni attività umana implica sempre, dunque, un aspetto religioso. L’attenzione di GS si rivolge qui soprattutto a ogni attività più specificamente “creativa”, sia quella del piccolo artigiano, sia quella del filosofo o dello scienziato, sia quella dell’artista. In essa l’uomo cerca consapevolmente di andare oltre ciò che già sa o che già in sé stesso sente. Vi è un universo esteriore e interiore che è sempre aperto alla scoperta, o a una migliore comprensione. Questo cammino da un lato non sarebbe possibile fuori dell’ambito del già dato (e sempre in qualche modo culturalmente condizionato), ma dall’altro lato è anche sempre uno sforzo di andare oltre il già dato e il culturalmente condizionato.
L’uomo che con animo sincero e onesto si pone su questa strada è sempre guidato dal Creatore, che attraverso di lui attua gradualmente il suo divino progetto, fa sì che le cose siano quello che sono. Conviene qui citare un brano bellissimo di GS 36: «Qui humili et constanti animo abscondita rerum perscrutari conatur, etsi inscius quasi manu Dei ducitur qui, res omnes sustinens, facit ut sint id quod sunt». Si noti lo “etsi inscius”: chiunque opera con serietà e onestà, che sia o no credente, arricchisce il cosmo e la famiglia umana.
Vanno qui ricordati due altri passi che spiccano fra i tanti possibili. GS 44 afferma che «l’esperienza dei secoli passati, il progresso della scienza, i tesori nascosti nelle varie forme di cultura umana, attraverso cui si svela più appieno la natura stessa dell’uomo e si aprono nuove vie verso la verità, tutto ciò è di vantaggio anche per la Chiesa», e ciò «sive de credentibus sive de non credentibus agatur». E GS 92 afferma che dialogo e cooperazione per la pace del mondo sono possibili anche con chi ha il culto degli alti valori presenti nel cuore dell’uomo, anche se non ne conosce l’autore.
Tale attività umana è sempre per principio autonoma – e non può essere che tale – sia perché si muove partendo da un quadro culturale e scientifico già dato, né potrebbe fare altrimenti, sia perché procede sempre, in qualche misura, al di là di tale quadro (ed è interessante la citazione implicita del caso di Galileo in GS 36, nota 7). Si pensi alla teoria evoluzionista nata da Darwin e alla teoria della relatività nata da Einstein: due teorie, ormai consolidate, che – nate fuori dell’ambito di fede cristiana e in piena autonomia da essa – hanno aperto la fede cristiana a una più profonda e ricca comprensione del concetto stesso di un Dio creatore. In linea generale si osservi come il dialogo con le scienze, le filosofie, le religioni, le culture, non sia mai visto dal Concilio come somma di monologhi, ma come forma di arricchimento reciproco.
Ma, prosegue GS 36, l’autonomia dell’attività e della ricerca umana non è mai autonomia da Dio. E per il non credente non è mai autonomia dalla chiamata di Dio, quella chiamata che è sempre presente nella coscienza di ogni essere umano (GS 16: va ricordata qui la costante ricerca e documentazione offerta dagli studi di H. de Lubac). Detto altrimenti, io sono sempre autonomo nella mia ricerca, ma non sono mai autonomo dal mondo dei valori o, meglio, dal valore supremo che, in forme diverse, io esperimento al mio interno e assumo per il mio esistere e operare. La chiara distinzione conciliare fra autonomia dell’attività e autonomia dal valore (e dalla coscienza) ritengo sia un punto fondamentale segnato dal Concilio.
Tradimento e impegno
3 Indubbiamente l’attività umana nell’universo costituisce un continuo arricchimento di conoscenze e di esperienze, e contestualmente – dopo 40 anni dal Concilio – di capacità di comunicazione quasi istantanea di tale arricchimento in ogni parte della terra. Ma questo continuo progredire in legittima autonomia può essere disgiunto dal valore (o, se si preferisce, dall’ordine dei valori). Può cioè essere disgiunto dal suo significato profondo già visto sopra: deve segnare il cammino voluto dal Creatore già ricordato in GS 35 e cioè che: «iuxta consilium (= progetto) et voluntatem divinam cum genuino humani generis bono congruat». La ricerca e in genere l’attività umana, se è orientata principalmente sul proprio personale vantaggio – in genere economico – di singoli o di gruppi o ceti sociali, tradisce radicalmente il disegno di Dio.
Accanto al tema degli investimenti e produzione di armi terribili, già presente ai tempi del Concilio, oggi incombe il dramma della fame e della miseria di gran parte della famiglia umana; incombe il dramma ecologico dell’inquinamento e dello sfruttamento del pianeta per interessi finanziari privati; e incombe da qualche anno il tragico dramma della brevettabilità di ricerche biomediche e di medicamenti, che si sta estendendo a terapie essenziali per malattie gravissime e perfino alle possibilità di modifica del patrimonio genetico. Il che vuol dire riservare ai ricchi l’accesso a terapie essenziali e indurre modificazioni genetiche al solo scopo di arricchimento privato.
Il Concilio, oggi quasi del tutto inascoltato in tempi di neoliberismo dominante, aveva ben visto quasi profeticamente questa serie di possibilità in GS 37, che conviene rileggere e meditare nel testo originale: «Ordine enim valorum turbato et malo cum bono permixto, singuli homines ac coetus solummodo quae propria sunt considerant, non vero aliorum. Quo fit ut mundus non iam spatium verae fraternitatis exsistat, dum aucta humanitatis potentia iam ipsum genus humanum destruere minatur».
E il Concilio non esita a definire la lotta contro l’egoismo umano come lotta contro le potenze delle tenebre. In questa lotta il cristiano deve sempre sentirsi coinvolto: è infatti una battaglia che accompagnerà la storia umana fino alla sua fine. Non è concepibile un cristiano che non sia impegnato, nei modi che gli sono possibili, in questa battaglia: l’impegno riguarda ogni cristiano, e non solo una piccola schiera di addetti (spesso malvisti dai tanti cristiani, ecclesiastici e laici, che non vogliono turbamenti dell’ordine costituito. È questo invece il lato positivo della teologia della liberazione, un lato ancora oggi ampiamente ignorato o sottovalutato).
«In hanc pugnam insertus», dice la GS 37, può il cristiano trovare la propria identità e la propria realizzazione terrena. Certamente non si può identificare il progresso umano con la pienezza del Regno. Ma Cristo con la sua incarnazione è entrato nella storia del mondo e dell’umanità, assumendola e ricapitolandola in sé. Vi sarà un termine per l’umanità e per la terra, e tutta la famiglia umana vivrà nella pienezza della giustizia, della pace, della felicità. L’intera storia umana sarà trasfigurata, purificata dalla corruzione, dalla vanità di questo mondo, ma – attenzione –«manente caritate eiusque opere» (GS 39): là dove è la carità, è già presente in modo misterioso l’eterno.
Cieli nuovi e terra nuova non sono l’inizio del Regno, come di qualcosa di avulso e diverso dalla storia: sono invece la pienezza del Regno, il traguardo della storia: «Dominus finis est humanae historiae» recita GS 45. Il capitolo sull’attività umana si chiude dunque così: «Qui sulla terra il Regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore giungerà a perfezione» (GS 39).
Enrico Chiavacci
parroco e docente di teologia morale presso lo Facoltà teologica
dell’Italia Centrale, Firenze
Filed under: TEOLOGIA DELLA MISSIONE