Lettera ai popoli e a chi ha paura
Lettera ai popoli e a chi ha paura
di Ermes Ronchi
Nel dibattito sempre più caldo sui clandestini rilanciamo questa riflessione sapienziale (ma non tranquilla) scritta dando voce all’apostolo Paolo
Da giorni ormai il tema degli immigrati clandestini domina le prime pagine dei nostri giornali. Per questo ci sembra significativo oggi rilanciare un testo che invita ciascuno ad andare alla radice di questo dibattito. Si tratta di una «lettera paolina» scritta qualche tempo fa da padre Ermes Ronchi, religioso dei Servi di Maria di Milano, amico di padre David Maria Turoldo e commentatore del Vangelo domenicale per il quotidiano Avvenire. La «Lettera ai popoli e a chi ha paura» è una delle sette lettere scritte da padre Ronchi per il concerto spirituale «L’apostolo delle genti», un’iniziativa promossa l’8 novembre scorso a Roma dal Servizio nazionale Cei per il Progetto culturale e dal Servizio nazionale per la Pastorale giovanile. Di questo evento – trasmesso in diretta da Sat2000 – è stato realizzato anche un Dvd (clicca qui per le informazioni).
Io, Saulo, ebreo figlio di ebrei, della tribù di Beniamino,
io, detto Paolo, nato a Tarso tra i greci, in Cilicia dell’Asia Minore
che sono per diritto cittadino romano,
io migrante per tutto il Mediterraneo,
a tutti i fratelli immigrati in paese straniero.
Io che ho navigato per isole e coste, e conosco i naufragi,
che ho attraversato deserti e città,
che conosco Gerusalemme, Atene e Roma,
amo Efeso e Antiochia e le città dell’Asia Minore:
io oggi mi rendo conto che ogni terra è per me patria,
e ogni patria è per me terra straniera.
Io mi rendo conto che davanti a Dio
non esiste giudeo né greco,
non esiste schiavo né libero,
non esiste uomo o donna,
nordeuropeo o nordafricano,
poiché tutti siamo uno in Cristo,
una sola persona in Gesù.
Cristo ci ha liberati da ciò che appartiene all’uomo esteriore,
per la libertà ci ha liberati.
Ognuno resta ciò che è,
ogni diversità rimane, ma non conta più.
Ciò che conta non è circoncisione o non circoncisione,
ma l’ essere una nuova creatura, in Cristo.
La nostra identità è Cristo.
Io, di nome latino, di origine ebraica, per cultura greco,
figlio di tre popoli, non appartengo a nessuno di questi,
e sono debitore di tutti,
debitore verso i greci come verso i barbari,
verso i dotti come verso gli ignoranti,
ho un debito d’amore da versare a ogni uomo.
Io, straniero in Roma
scrivo a voi che sentite lo straniero come una minaccia.
Dio dei molti vuole fare uno,
delle molte genti un popolo solo, un solo corpo,
crea la comunione nella differenza, e non nell’uniformità.
Ogni identità rimane, ma le mie radici non vanno indietro
verso qualche luogo oscuro,
ma sono braccia che si protendono e abbracciano.
E si allargano in superficie
incontrandone e stringendone altre,
senza rinnegare l’origine,
ma facendola continuamente vivere
e dunque mutare negli incontri.
Così mi sono fatto tutto a tutti,
greco con i greci, giudeo con i giudei,
debole con i deboli, mi sono arricchito di tutti.
Fratello che hai paura, Dio ha riconciliato il mondo nella croce di Cristo
ma ora ha affidato a noi, a me,
la parola della riconciliazione.
E vai, vai leggero
dietro il sole e il vento, e canta.
Vai di paese in paese
e saluta, saluta tutti:
il nero l’olivastro
e perfino il bianco.
Che tutti i paesi
si contendano di averti generato (David M. Turoldo)
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