RIFLESSIONE SULLA CORRESPONSABILITA’ – P. J. Frisque

 

RIFLESSIONI SULLA

CORRESPONSABILITA’

OPZIONI ’70 – SUPPLEMENTO – Aprile  1970 N. 3   Anno I

DIREZIONE/REDAZIONE: Centro Studi F.B.F. – Erba (CO)

Avvertiamo di non badare troppo allo stile letterario. Trattandosi di appunti presi durante l’esposizione, il linguaggio, se ha il vantaggio di farci percepire il qualche modo il calore degli oratori, talvota è poco felice, vi ricorrono parecchie ripetizioni e successivamente puntualizzazioni di concetti. Insomma è un linguaggio ‘parlato’.

Ma quello che è importante per noi è cogliere le idee che propongono e le prospettive che aprono. Sotto questo aspetto sono certamente stimolanti. Quelli che pongono sono problemi dell’ora presente, problemi che vanno risolti non solo a livello intellettuale, ma anche a livello di vita, problemi che ci toccano da vicino e su cui tutti abbiamo un contributo da dare.

* * *

Di  P. J. Frisque

Per approfondire il tema della corresponsabilità è necessario rispondere a due domande:

• L’esercizio della corresponsabilità nella Chiesa trova il suo fondamento al livello stesso della vita teologale o non è che un’esigenza dell’ora presente che in quanto tale non ha niente a che vedere con la fede?
• Se la corresponsabilità è di fatto una esigenza della fede e della missione della Chiesa, perché appare come una esigenza nuova?

In altre parole si tratta – in un secondo tempo – di mettere il tema della corresponsabilità in prospettiva storica, per comprendere bene che si tratta di un’esigenza nuova, ma che però corrisponde anche ad un elemento tradizionale qual è la vita stessa della Chiesa. Ecco quindi lo schema che vi propongo.

La corresponsabilità: sua natura e suo fondamento teologale.

Chi non si accorge che tutti i membri del Popolo di Dio sono dei membri responsabili, non sentirà il bisogno di studiare il tema della corresponsabilità

La base di uno studio sulla corresponsabilità è evidentemente l’accorgersi che tutti i membri del Popolo di Dio sono dei membri responsabili.

Non c’è corresponsabilità se non c’è responsabilità. E’ evidente. Tanto evidente che talvolta lo si dimentica!
Ci sono molti preti, ed anche altri, che vogliono giocare ai corresponsabili ma che non sono per niente responsabili.

Più ancora, nella Chiesa non c’è corresponsabilità se non c’è una responsabilità riconosciuta a tutti. Ciò vale evidentemente in modo tutto particolare per i preti che sono pronti ad essere corresponsabili perché sono responsabili, ma che considerano gli altri membri del Popolo di Dio come “clientela”. [nel nostro caso dipendenti – n.d.r] Conosco bene questa situazione!

E’ sufficiente interrogare la Lumen Gentium per avere qualche lume sul problema della responsabilità. Non si travisa il pensiero del cap. II riassumendolo così:

tutti i popoli, tutti i membri del Popolo di Dio godono di una fondamentale uguaglianza. In altre parole tutti sono fratelli. La realtà di questa fraternità fondamentale comprende già tutti gli uomini. Dio solo è PADRE ed Egli è padre di tutta la famiglia umana.

L’affermazione della fraternità fondamentale che lega tutti i membri del Popolo di Dio è stata ripresa con un lait-motiv nei numerosi documenti conciliari, ed io vi do un solo ma tipico esempio dell’evoluzione della mentalità durante i lavori conciliari. La Lumen Gentium aveva ancora detto dei Vescovi: “ Che i Vescovi considerino i loro preti come degli amici e come dei figli”.

La stessa formula è stata ripresa dal decreto sul Ministero e la Vita Sacerdotale – un anno più tardi – sotto questa forma(citando la L:G: ma senza segnalare una importantissima correzione): “che i Vescovi considerino i loro preti come degli amici e come dei fratelli…”. Questo cambia tutta la prospettiva!

La realtà fondamentale della fraternità cristiana che è semplicemente l’espressione della fondamentale uguaglianza di tutti i membri del Popolo di Dio, e dunque, in un certo senso di tutti gli uomini davanti a Dio, è la prima affermazione della Lumen Gentium.

Seconda affermazione: “Tutti i membri del Popolo di Dio sono chiamati ad un ruolo attivo”. Non sono solamente dei membri uguali. Sono chiamati ad un ruolo attivo nell’edificazione del Regno. Questi ruoli sono diversi, ma tutti sono indispensabili alla costruzione del Regno.

Infine, terza affermazione che è la più importante: il ruolo attivo che è domoandato a ciascuno è, propriamente parlando, un ruolo creativo. In altre parole, ciascun membro del Popolo di Dio apporta alla costruzione una pietra unica ed insostituibile. Non ci sono semplicemente delle responsabilità. La responsabilità di ciascuno è in un certo modo una responsabilità creatrice. Ciascuno è chiamato ad apportare una pietra originale. Se egli non la porterà, nessun altro l’apporterà, perché in ciascuno lo Spirito Santo è all’opera in modo diverso.

E’ uno dei punti più importanti della Lumen Gentium. L’aver affermato che il carisma non ha niente di straordinario. Ciascuno di noi è sotto l’azione carismatica dello Spirito Santo. Ecco la base!

Ora ci si può domandare che cosa sia, nella Chiesa, l’esercizio di un’autentica corresponsabilità.

1. Innanzitutto diciamo cosa non è, perché intorno ad essa circolano molte idee sbagliate:
a) non è soltanto il mezzo per permettere una buona coordinazione degli sforzi di ciascuno. La coordinazione dei compiti è di fatto una necessità che può richiedere la formazione dei numerosi organismi. Ma la corresponsabilità è tutta un’altra cosa che un’attività comune domandata a ciascuno, in modo che gli sforzi di ciascuno siano coordinati.
b) Non è nemmeno il mezzo per unificare i compiti. Così ci si richiamerebbe alla corresponsabilità per favorire nell’ambiente del mondo attuale, l’obbedienza di tutti all’autorità di uno solo, a cui spetterebbe il ruolo di definire i compiti.. Dunque, questo sarebbe un modo di unificare le aspirazioni degli uomini d’oggi, che amano dare il loro contributo alla stessa opera. Ma di fatto ciò sarebbe solo un mezzo per favorire, per rendere più facile, l’obbedienza di tutti all’autorità di uno solo…Questa non è corresponsabilità
c) Non è nemmeno il mezzo per mettere in opera un piano, per esempio un progetto pastorale definito a priori per facilitarne l’esecuzione. Si riunirebbero i membri di un gruppo ogni volta che si deve prendere una decisione, per informarli. Ed un buon animatore di gruppo instillerebbe nella coscienza di ciascuno un certo numero di convinzioni appropriate! Di fatto ci si può immaginare diverse formule che danno le apparenze della corresponsabilità ma che non lo sono! Altro esempio. Si riunirà il gruppo; si ascolteranno veramente tutti; si organizzeranno molti incontri…per dare a coiascuno la possibilità di esprimersi. M in fondo l’autorità ha già nella testa ciò che bisogna fare. Si mettono a posto un poco i dettagli perché tutto sia approvato più facilmente. Evidentemente in una situazione del genere ciascuno non ha un’autentica corresponsabilità.

2. Allora cos’è dunque la corresponsabilità?

d) Partiamo da un punto di vista descrittivo. La CORRESPONSABILITÀ è incaricarsi, tutti e ciascuno, di un compito unico e diverso che, per l’essenziale, è da scoprire insieme. Suppone un’intesa profonda, un ascolto vicendevole, che può essere molto faticoso. Bisogna passare molto tempo ad ascoltarsi, il che è apparentemente inefficace. Si dirà volentieri “ma non si conclude niente!”. Infatti è molto più comodo per i responsabili prendere delle decisioni e farle applicare che passare delle ore mentre ciascuno esprime come egli vede le cose con la certezza che sarà ascoltato da ciascuno, e con la volontà di ascoltare egli stesso ciò che è detto da ciascuno, in vista di riformare la sua coscienza, in modo che la decisione che sarà presa – e che sarà una decisione comune – non appartenga più a nessuno. E’ì questo che è importante!

Lo ripeto: la corresponsabilità suppone un’intesa profonda, un ascolto vicendevole in vista di una elaborazione comune e , finalmente, in vista di una comune decisione. Chi dice responsabilità evoca il dinamismo dello spirito umano. Qualcosa di nuovo deve scaturire dall’intesa! In breve, si tratta di un comportamento di tipo dialogico. Non c’è dialogo se si sa in anticipo ciò che deve risultare. Da questo punto di vista il Vaticano II è un buon esempio di comportamento dialogico. E ‘ E’ evidente che all’inizio nessuno aveva in mente con chiarezza quelle che sarebbero state le decisioni del Concilio.

Con la corresponsabilità io credo che di fatto tocchiamo un punto chiave dell’umanesimo che gli uomini del nostro tempo devono promuovere se non vogliono continuare a ignorarsi e a divorarsi. Ma è facile dimostrare che perveniamo anche al cuore del Vangelo che ci fa cogliere le esigenze ultime del vero comportamento dialogico. Con la corresponsabilità arriviamo al Comandamento Nuovo, C’è un vero dialogo quando gli uomini onorano la loro condizione di figli di Dio, che è insieme una condizione di figli e una condizione di fratelli.

Questa condizione acquisita in Gesù Cristo permette a tutti gli uomini di spogliarsi totalmente di se stessi allo scopo di promuovere l’incontro con l’altro, il più autentico possibile, quello in cui “l’altro” è riconosciuto come altro, quello in cui desidero aver bisogno di lui così com’è, ed egli ha bisogno di me, come io sono, in vista di un vero compimento della comunità umana e di ciascuno dei suoi membri.

Parlare di corresponsabilità è parlare di un esercizio attivo della fraternità evangelica, quella fraternità evangelica senza frontiere in cui ciascuno, in cui ciascun popolo è chiamato, nella parità, nell’ascolto vicendevole e nella comunione, a dare il meglio di se stesso al servizio del bene comune.

Non è necessario ricordare l’esistenza del Vaticano II su questo punto; è tanto evidente!

Se si prende seriamente la corresponsabilità significa avere una concezione della vita cristiana che è veramente dialogica. E’ esattamente quello che San Paolo ci dice nella lettera 1Cor, 12, quando parla dei diversi ruoli dei cristiani. Tutti i membri non devono scegliere il medesimo ruolo nel Corpo. Egli afferma innanzitutto che i membri sono diversi, per dire in seguito che tutti i membri hanno una funzione di servizio a tutto il Corpo. Egli afferma innanzitutto che i membri sono diversi, per dire in seguito che tutti i membri hanno una funzione di servizio a tutto il corpo, e che tutti sono solidali: se qualcuno soffre, tutti i membri soffrono con lui.

Ciò significa che non è possibile vivere la vita della fede senza viverla in comunione con gli altri, convinti che questa comunione, questo ascolto vicendevole trasforma la nostra coscienza, ci modella progressivamente e fa sì che alla fine della corsa non siano più gli stessi della partenza.

Io ho fatto questa esperienza spirituale nel gruppo di lavoro per la redazione del decreto sul Ministero e la Vita Sacerdotale. Ciò mi ha fatto molto riflettere e mi ha trasformato… perché ho potuto constatare che i testi che io stesso avevo redatto sono diventati completamente differenti da come li avevo scritti. Però alla fine, era più mio pensiero che all’inizio, anche se non era più il mio.

Ciò significa che quando si applica veramente la corresponsabilità – per esempio a proposito di un testo che deve esprimere una realtà estremamente profonda – il punto d’arrivo non appartiene più a nessuno e tuttavia la corresponsabilità ha permesso a ciascuno di dare il meglio di se stesso al servizio del bene comune. Vedete bene quali prospettive possono aprire dei comportamenti e delle attitudini di questo genere.

Concretamente, in una comunità, quando ci si trova e ciascuno esprime ciò che lo Spirito compie in lui e lo svela, senza pertanto attendersi la critica… – d’altronde non c’è niente da criticare nell’opera dello Spirito in ognuno di noi – ed in cui ciascuno ascolta l’altro ed è pronto a dare il suo contributo, alla fine dell’esperienza non si è più gli stessi!

A titolo di spiegazione vi riferisco l’esperienza che ho vissuto in un gruppo. Non avevamo imparato a fare gruppo. Allora il nostro responsabile ci disse un giorno: “Vi propongo questa formula: su tutti i punti sui quali noi discuteremo ciascuno esprimerà il suo parere ma è proibito agli altri di criticarlo”. Tutti si sono espressi molto liberamente perché nessuno si preparava a porgli la minima questione. Vi posso assicurare che questo metodo di lavoro ci ha condotti molto lontano. Perché quando si è liberi, veramente liberi di esprimere profondamente ciò di cui si vive ed allo stesso tempo si ascolta seriamente ciò che gli altri dicono, alla fine dell’incontro, della messa in comune, non si è più gli stessi.

Non c’è bisogno che gli altri vengano a dire”è questo o quello…”: si sa benissimo da soli su quale punto bisogna cambiare! In quata messa in comune c’è una sorta di “parola” che emerge dalla vita vissuta nel gruppo e che costituisce una serie di richiami per ciascuno.

I mezzi che possono essere utilizzati sono diversi….L’importante è trovare il mezzo con cui ciascuno possa svelare il suo impegno. Più esattamente, possa svelare meraviglie che Dio fa per lui, in lui. Che possa dire come vede la sua responsabilità…Perché soprattutto sul piano della responsabilità e del ruolo che noi dobbiamo avere nella Chiesa, che si tratta di esprimete la maniera in cui si vedono le cose, ma sempre ripetendosi che al punto di arrivo la decisione che sarà presa non sarà l’addizione di tutto ciò che è stato detto….o una specie di comun denominatore per cercare di non provocare dolore a nesuno. No!

Ciò che sgorga all’arrivo è una decisione unanime. Che è diverso da una decisione uniforme. Questo vuol dire che ciascuno di coloro che erano là e che si è espresso, è consapevole di aver dato il meglio di se stesso al servizio del bene comune, tanto che ciò che appare come risultato, appare a ciascuno come una reale novità.

Quando si è fatta un’esperienza di questo genere in seno ad una comunità, credo che si incominci a scoprire che cos’è l’autentica corresponsabilità. In altre parole: l’esercizio della corresponsabilità ci trascina nel movimento, nell’avventura comune della fede del Popolo di Dio. Permette alla fede di sbocciare nella Chiesa. Permette alla fede di sbocciare nella Chiesa.

e). Qualche carattere della corresponsabilità

• L’esercizio autentico della corresponsabilità non suppone l’uniformità dei compiti, né che tutti siano competenti in tutte le materie. Si può essere corresponsabili di tutti i problemi che possono nascere in un gruppo ma in gradi diversi. Il Concilio ha insistito, in tutti i testi in cui ha parlato di corresponsabilità, sulla diversità dei compiti.

La corresponsabilità sarà tanto più feconda quanto più i compiti e le competenze saranno diverse. L’ascolto vicendevole sarà tanto più ricco se vissuto fra uomini e donne differenti e diversamente impegnati nella missione della Chiesa. Si imparano moltissime cose con l’ascolto e lasciando risuonare in se stessi il modo con cui gli altri abbordano certe questioni. Ciascuno ha qualcosa da imparare dall’altro. E ciascuno può dire “ascoltando l’altro io sono sempre più me stesso per il medesimo fatto che mi sono messo ad ascoltare un uomo molto differente da me”.

Credo che l’incontro fra membri differenti, fra “altri”, sia una ricchezza incredibile per una comunità di fede.

La tendenza è di fare gruppo con degli amici, di ricercare un gruppo di gente che si intende bene. Evidentemente è compito dei responsabili non mettere insieme delle persone che abbiano un’assoluta incompatibilità di carattere!

Ma attenzione di non cadere nell’errore contrario, cioè di re “facciamo dei gruppi con della gente che si capisce bene”, ossia con dei “simili”. Non si fa niente in tali comunità. Non si può fare niente che concerna veramente l’avventura della fede.

E’ per questo che nelle comunità in cui qualcosa non va bene…è buon segno! Voglio dire: è buon segno se si ha l’attitudine conveniente. Perché mai può andare tutto bene…Se va “tutto bene” vuol dire che non c’è “l’altro”. Perché quando c’è un altro, c’è una questione, una domanda, un modo di vedere che non è il mio. Non è che in questo aspetto costantemente rinnovato, costantemente approfondito – questo aspetto stesso della fede – che l’esercizio della corresponsabilità diventa interessante.

Se si è tutti decisi a condurre questa avventura con spoliazione, con tutta la rinuncia di se stessi che comporta, nascerà qualcosa di nuovo che non appartiene a nessuno.
Evidentemente non bisogna creare delle difficoltà per il piacere di crearle. Al contrario è necessario trovare i mezzi per rendere la vita “distesa”…

Bisogna rispondere alle difficoltà che si pongono con dei mezzi appropriati: chi è stanco…che vada a dormire! Una volta risolte le piccole difficoltà, allora si svelano quelle vere, quelle che bisogna affrontare e che la fede ci permette di affrontare. In questo momento incomincia la corresponsabilità.

• L’esercizio della corresponsabilità esige che i membri di un gruppo unifichino veramente tutta la loro vita, a partire dalle loro responsabilità, a partire dal loro ruolo. A partire dal loro ministero nella Chiesa E’ solo a questo prezzo, è solo nella misura in cui siamo animati dalla fede, dalla speranza, e dalla carità che noi possiamo, insieme ad altri, far nascere una decisione comune, che sarà veramente una decisione ecclesiale.
• Un terzo carattere essenziale. L’orizzonte della corresponsabilità è sempre la Chiesa universale. Ciò vuol dire che non possiamo esercitare la corresponsabilità se non essendo coscienti di partecipare “nel nostro angolino” al dinamismo profondo che anima tutto il popolo di Dio. La piattaforma universale alla quale dobbiamo aggrapparci per esercitare la corresponsabilità ci è data dalla convergenza di tutto ciò che succede in continuità con il dinamismo conciliare più autentico. Dalla convergenza sbalorditiva di ciò che succede nell’America del Nord e del Sud, in Giappone ed in Tailandia, a Saigon e qui da noi a Busiga e in tutto il mondo. La decisione che stiamo per prendere non si tratta solo della decisione di un gruppo; è un po’ una decisione della Chiesa che al momento in cui emerge non appartiene più al gruppo ma appartiene esclusivamente alla Chiesa. Perché è una decisione che si riferisce a Cristo, che è guidata dallo Spirito di Cristo.

Una conseguenza molto pratica: in un gruppo si rischia sempre di dire: “costui pensa così perché ha quel temperamento, quella formazione…” e si giunge a delle questioni personali… Mentre ciò che ci deve animare è la stessa missione della Chiesa, la missione concreta come la posiamo cogliere nelle molteplici informazioni che abbiamo oggi – mezzi non mancano – nei contatti che abbiamo con gli altri. Un gruppo che esercita la corresponsabilità nella Chiesa non deve mai essere un ghetto; infatti siamo tutti al servizio di una missione che non è la nostra ma quella di Gesù Cristo, invece se ci si comporta come in un ghetto i problemi personali predominano sull’oggettività della missione.
f). La radice sacramentale della corresponsabilità. E’ il battesimo che ci permette d’essere corresponsabili. Per i preti è a causa del carattere specifico dell’Ordinazione presbiterale che li costituisce in un tipo di fraternità che permette di esercitare la loro specifica corresponsabilità. Il testo del Decreto sul ministero e la vita sacerdotale è molto interessante su questo punto: “per la loro ordinazione i preti sono tutti reciprocamente legati da una fraternità sacramentale”.

Cercando di esercitare la corresponsabilità ci si incontra su un terreno teologale poiché è necessario un intervento di Dio nel Sacramento per rendere capaci tutti i membri del Popolo di Dio – e in modo loro proprio i preti – di esercitarla. Se non fossimo costituiti dal Sacramento “Fratelli in Gesù Cristo”, non potremmo mai osare di tentare l’avventura della fede, con tutti i rischi che questa avventura comporta.

Saremmo costantemente scoraggiati davanti alle difficoltà che si presentano. Ora, è caratteristico della corresponsabilità, come l’impegno della fede, il ricominciare sempre da zero senza orgoglio!

Una vera comunità, un autentico gruppo fraterno non è quello in cui tutto va troppo bene. Non è il gruppo in cui il responsabile ha una tale autorità, un tale prestigio personale che di fatto tutti lo seguono senza preoccupazione della responsabilità propria. Al contrario! E’ la comunità in cui il responsabile compie esattamente il suo ruolo che è molto spesso di presiedere la carità, con discrezione.

Cosa significa essere responsabili del gruppo? Significa permettere a ciascuno di dare il meglio di se stesso al servizio del bene comune. Fare tutto affinché ciascuno possa fare ciò. Allora, in un vero gruppo o comunità si possono percepire delle tensioni, e ciò è un bene, in un certo senso. Ciò prova semplicemente che non ci si è accecati su quello che sono gli uni e gli altri…E in certi casi, io immagino, in una comunità dove ci si trova tra fratelli e sorelle differenti, queste tensioni sono inevitabili; ma esse sono essenzialmente sorgenti di fecondità teologica, a condizione che si sia abbastanza chiari sui mezzi concreti per risolvere i piccoli problemi.

Non bisogna necessariamente vivere insieme dal mattino alla sera e dalla sera al mattino per esercitare la corresponsabilità. Questi sono dei dati umani talmente elementari! Quello che importa, è che questi autentici ostacoli, che questo affrontare la morte la morte inerente ad ogni vero incontro con gli altri, siano presenti e che con molto umorismo, una delle doti fondamentali della vita di gruppo, con molto profondo senso di ciò che è la fede, ci impegnamo in una avventura in cui, all’inizio, non sappiamo bene dove saremo condotti. E per questo che la corresponsabilità è radicata sacramentalmente. Sappiamo all’inizio che siamo fratelli in Gesù Cristo: questo ci è dato. Ma tutto l’itinerario della fraternità da instaurare e delle responsabilità da assumere per questa fraternità, tutto questo itinerario è evidentemente da percorrere.

LA CORRESPONSABILITA’ IN PROSPETTIVA STORICA

Per misurare l’importanza della corresponsabilità bisogna collocarla nella vasta mutazione provocata nel mondo e nella Chiesa dall’avvento della civiltà profana.

Prendiamo innanzitutto coscienza di com’era ieri la situazione, e particolarmente per quanto concerne l’autorità-obbedienza.

In una concezione sacrale dell’universo il soprannaturale, o meglio l’intervento di Dio nella storia appariva come una realtà immediatamente riconoscibile. Il disegno del Padre in Gesù Cristo si trova come materialmente inscritto in un certo ordine di cose: un ordine istituzionale. Un certo linguaggio dai contorni ben determinati e quasi immutabili.

Una mentalità di tipo sacrale è questa: la volontà di Dio era manifesta…si sapeva cosa bisognava fare. Essa si traduceva in regole, in leggi, in istituzioni precise. Il sacro era una realtà familiare; è questo che dice nel modo migliore che cosa è questa mentalità di tipo sacrale.

Voi dite bene che questa non è unicamente la mentalità di ieri. Gli europei non sono completamente liberi da questa mentalità; essa vive ancora nel loro spirito. Non so se sapete che a Parigi i gabinetti di astrologia sono più numerosi dei gabinetti medici. Lo dice un recente studio di sociologia. E’ difficile liberarsi da una mentalità in cui si tocca un po’col dito il sacro, come una realtà familiare, anche se d’altra parte si prova un timore “sacro” davanti a questa realtà, che si desidera tuttavia familiare: è più comoda.

Il sacro era dunque una realtà familiare ed in particolare la pastorale era fatta di comportamenti, di istituzioni e di ricette molto provate. Ancora oggi negli ambienti in cui bisogna fare un ripensamento si sente dire: “ma infine! Da sempre si sa coosa bisogna fare…questo mondo ha sempre dato dei risultati!”. E’ assolutamente vero. Non c’è da mettere in causa il valore di ciò che è stato vissuto dai nostri predecessori. Il problema è semplicemente di sapere se questa prospettiva non può essere inserita in una prospettiva molto più integrale.

In questa prospettiva, l’Autorità era detenuta da quelli che ne avevano ricevuto il potere dall’alto e la missione dell’autorità era di manifestare l’ordine stabilito nella volontà del Padre e di farlo rispettare. Quanto all’obbedienza, essa si riduceva ad una sottomissione. Si trattava di entrare in quell’ordine di cose che esprimeva in modo immutabile e praticamente definitivo la volontà di Dio.

Oggi le cose si presentano molto differenti. In un universo dal regime profano l’intervento di Dio nella storia appare come una realtà essenzialmente misteriosa, da scoprire continuamente. Una realtà che non ha i contorni precisi e determinati d’altri tempi.

Parlando della Chiesa il Vaticano II si è messo in questa nuova prospettiva. La cosa più importante non è l’istituzione (Istituzione, per definizione, è qualcosa di chiaro, un linguaggio preciso, delle leggi, delle regole, delle organizzazioni. Dio sa se le istituzioni che la Chiesa ha visto nascere in questi ultimi tempi rischiano di divenire dei valori assoluti. Tutti i movimenti d’Azione Cattolica Francese hanno i loro uffici amministrativi che sono concepiti, soprattutto dai responsabili, come istituzioni divine o quasi!

La cosa più importante è il Popolo di Dio. Non è un linguaggio stabilito e stereotipo una volta per tutte. Sono degli uomini e delle donne concrete, impegnate con altri uomini e donne in un’avventura storica, dove dove si tratta di mettersi insieme all’ascolto dello Spirito che lavora nel cuore del mondo; dove si tratta di interpretare i segni dei tempi, (secondo la formula di Giovanni XXIII che ha fatto il giro della Chiesa nella misura stessa in cui rispondeva esattamente ad una aspirazione fondamentale del Popolo di Dio oggi.

Dunque si tratta di interpretare i segni dei tempi, cercando instancabilmente di realizzare il disegno misterioso del Padre. Non facendo come in certe riunioni di laici e di preti, certe revisioni di vita, dove non si è contenti sin quando non si è fatta una lettura dei segni dei tempi determinata e precisa: “Se c’è stato questo avvenimento, significa che Dio vuol dire così”. Non è per niente così!

Mai nessuno può dire, soprattutto a titolo individuale, ciò che Dio vuole, in una maniera precisa e determinata. E’ insieme che si cerca e che instancabilmente in ricerca, poiché non c’è nessun giorno in cui si può dire: “ora abbiamo in tasca la volontà di Dio”. Non è per niente così. Ciò è tanto più importante che ripeto la frase: la cosa più importante non è l’istituzione, è il Popolo di Dio. Non è il linguaggio della fede stabilito una volta per tutte e stereotipato. Sono degli uomini e delle donne concrete, impegnati con degli altri, in una avventura storica dove si tratta d’essere insieme all’ascolto dello Spirito che lavora nel cuore del mondo, dove si tratta d’interpretare i segni dei tempi cercando instancabilmente di realizzare il disegno misterioso del Padre.

In questo modo di concepire le cose l’autorità non può più avere lo stesso viso. Essa è innanzitutto servizio. Nello volgere il disegno del Padre, più nessuno, nemmeno il Papa, gode di un monopolio qualsiasi perché tutti i membri del Popolo di Dio hanno di diritto la loro parte. Il servizio reso dall’autorità è solamente un servizio di autentificazione, di discernimento. Qui parlo particolarmente dell’autorità gerarchica, dell’autorità apostolica nella Chiesa, nel senso che il primo dovere dell’autorità è d’essere in ascolto. Il primo dovere non è di comandare. E’ d’essere in ascolto del lavoro dello Spirito nel Popolo di Dio in crescita, di partecipare alla ricerca di tutti, e di raccogliere i frutti.

Quanto all’obbedienza, non si presenta più come la sottomissione a delle direttive. Di questa sottomissione il Vaticano II dirà volentieri che è una dimissione. L’obbedienza – tanto del superiore che del subordinato è innanzitutto fede allo Spirito. Una fedeltà in profondità che impegna la persona tutta intera e che la chiama a prendere una parte attiva all’edificazione del Corpo di Cristo. E’ qui che interviene la corresponsabilità. Essa costituisce per tutti i membri del Popolo di Dio il mezzo per eccellenza per essere fedeli allo Spirito. La modalità concreta è l’esercizio tanto dell’autorità quanto dell’obbedienza religiosa, che è una coppia interna all’obbedienza religiosa richiesta a tutti, come fedeltà comune allo Spirito.

In questo senso inutile dire che la corresponsabilità è sorgente d’esigenze profonde. Promuovere la corresponsabilità è darsi i mezzi per una fedeltà attiva ad un’Opera che è quella del Signore. Mentre i membri del Popolo di Dio mettono in pratica la loro corresponsabilità, fanno sorgere una decisione comune che non appartiene a nessuno in particolare. Ciò suppone un’umiltà profondamente evangelica.

Non bisogna nascondersi le difficoltà proprie del periodo di transizione che stiamo attraversando. Numerosi sono i preti e i laici che, davanti all’avvenire della Chiesa oggi in gestazione, hanno l’impressione di una degradazione. Si ha l’impressione che la Chiesa di domani sarà meno fedele al Vangelo che non lo sia stata quella di ieri: tutto si degrada, si corrompe…l’autorità, l’obbedienza, la fede e la morale!

Questa impressione si comprende molto facilmente quando si considera fino a qual punto tutto era stabile fino ad oggi. Il rimedio è chiaro: si tratta di prendere sul serio la nuova soluzione. Prenderla sul serio!

Quello che mi colpisce è che la nostra reazione riguarda la nuova soluzione non presenta la stessa società che c’è stata fino ad oggi. Non la si prende sul serio. Si dice: “Bene! Bisogna essere alla moda, esercitiamo la corresponsabilità”. E in fondo non si prendono sul serio le esigenze che essa comporta… Allora non bisogna meravigliarsi se si ha l’impressione che tutto si degradi.

Questa nuova soluzione, l’esercizio di una autentica responsabilità, non appare immediatamente con lo stesso peso di necessità che l’obbedienza alla Regola… che l’obbedienza all’autorità come la si concepiva in altri tempi.

Ora quello che è chiesto di vivere nella Chiesa attuale è tanto esigente, e forse ancor più, di quello che si viveva ieri! Io stesso provo questa impressione di degradazione certi giorni, fino a dirmi: “Ma dove andiamo a finire su certi punti?”.

Ma quando rifletto, è evidente che mi dico: “In fondo, tu non sei serio, poiché non prendi sul serio la nuova soluzione…”

Una difficoltà propria della transizione che viviamo oggi, è molto spesso quella sorta di incoerenza che accettiamo nella nostra vita. Da un lato siamo entrati in un mondo nuovo: non sopportiamo più di essere dei puri strumenti; ci vogliamo responsabili! Ma, da un altro lato, siamo condizionati dalla formazione ricevuta; siamo sempre legati a delle strutture e delle categorie valevoli oggi. In realtà siamo come a cavallo su due sedie, e accettiamo, così come si può, questa situazione strana.

Ma i più giovani tra noi – lo constato sempre più – non sopportano di vivere nell’incoerenza, poiché cercano di unificare la loro esistenza in funzione dei bisogni attuali.. In fondo, la nuova soluzione è una soluzione coerente.

Non so se ve ne siete accorti, ma è veramente l’obiettivo più profondo che perseguo in tutte le conferenze che posso fare attraverso il mondo: proporre una nuova soluzione coerente. Io non tento di ottenere un po’ da due estremità, non tento di conservare i valori umani e i valori evangelici… Evito le soluzioni di compromesso (senza naturalmente evitarle in tutti gli aspetti della mia vita!) Perché anc’io sono stato formato diversamente da come si forma oggi nei seminari, è normale che mi trovi in una situazione di incoerenza.

I giovani d’oggi – lo sento nei seminaristi di 25-30 anni – non accettano più questa incoerenza. Non possono più viverci dentro. Hanno bisogno di una visione coerente, che infine è anche esigentissima, come avete visto. Ne hanno bisogno quasi ontologico; e accettano di lavorare con i più anziani, e siamo noi…se facessimo uno sforzo nella nostra vita, uno sforzo di lucidità e di coerenza! E bisogno che questo sforzo sia sentito come tale, a qualsiasi età.

Questo sforzo di coerenza è uno sforzo possibile per tutti e ciascuno di noi. Conosco delle persone di 70 anni che, dopo un’evoluzione straordinaria, sono entrate in una visione coerente…Vestito che non si porta senza difficoltà, ma che si porta tuttavia, è necessario, con disinvoltura!.

Il dialogo diventa facile a partire dal momento in cui i giovani si accorgono che noi non accettiamo più di vivere in questa incoerenza. Il rimedio alle difficoltà è d’intraprendere uno sforzo di lucidità e di coerenza, ciascuno al suo livello e secondo le sue possibilità. Entrare nel gioco della corresponsabilità fa parte di un tale spirito.

Proviamo ancora un’altra difficoltà: un sentimento profondo di insicurezza. Anche se le difficoltà non sono mancate, l’istituzione ecclesiastica era fino ad oggi fonte di sicurezza per tutti coloro che si mettevano più direttamente al suo servizio. Ma un giorno i muri sono apparsi crepati…C’è il pericolo del crollo.

Ma il Popolo di Dio non va in rovina…esiste…vive! Lo credo e ne sono convinto sempre più: alla fine, la Chiesa del nostro tempo apparirà come la giovinezza del mondo, data la straordinaria convergenza di tutto ciò che sta capitando nel mondo. Il rimedio è chiaro: si tratta di unificare profondamente le nostre vite nella missione che oggi ci è affidata e che più che mai fa appello all’autenticità della nostra fede. Ciò vuol dire che la nostra unica vera sicurezza è la nostra vita di fede, è Dio. Come diceva uno dei miei vecchi professori, P. Charles: “Ci sono dei predicatori che dicono alle religiose: avete scelto Dio; dunque avete tutto! Ebbene, io dico loro: avete scelto Dio, dunque non avete altro che Lui, ossia niente del tutto!”. Con questa frase voleva dire che la sicurezza fondamentale della fede non è una proprietà, non è un capitale che si mette in tasca!

E’ una sicurezza ben più forte, ben più solida che tutte le altre sicurezze, compresa quella dell’Istituzione ecclesiastica.

In fondo, stiamo vivendo una svolta nella storia della Chiesa in cui non sarà più possibile vivere la fede che mettendo la propria sicurezza in Dio: E in questo processo d’unificazione della nostra vita l’esercizio della corresponsabilità può giocare un ruolo capitale. (P. J. Frisque)

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