06 – METTERE LA NOSTRA VITA SOTTO IL RAGGIO DI DIO – Mons. Luigi Serenthà
Le pagine che seguono sono di Mons. Luigi Serenthà, Rettore Maggiore dei Seminari Milanesi, che ha concluso gli Esercizi Spirituali. Il testo è stato trascritto da registratore e non rivisto dall’Autore.
Mettere la nostra vita
sotto il raggio della parola di Dio
Preparazione alla Confessione comunitaria
L’Arcivescovo non sa più che parole usare per dire quanto siete bravi, quanto l’avete colpito; ha ripetuto più volte: «Si vede che sono attenti; che sono dei ragazzi formati, diligenti, e ciò nonostante non hanno perso la loro freschezza, la loro vivacità; sono ragazzi pieni di vita, pieni di sincerità, di gioia». Con queste parole l’Arcivescovo vi ha già assolti tutti! Potremmo quindi chiudere qui questo rito penitenziale, perché l’Arcivescovo ha dato un giudizio generale di bontà e bravura per tutti voi!
Ma ho letto una volta in una pagina di santa Teresa d’Avila, una grande santa, vissuta nel 1500 in Spagna, questo paragone molto bello: «Provate a prendere un bicchiere pieno d’acqua e mettetelo in una stanza in un angolo un po’ buio, in ombra. A voi quel bicchiere d’acqua sembra tutto limpido, tutto pulito; ma se per caso, da una fessura di una finestra, entra in quella stanza un raggio di sole e voi collocate quel bicchiere sotto quel raggio, vi accorgerete che dentro l’acqua c’è del pulviscolo, c’è tanta impurità, qualche scoria». Ecco, io penso che uno può dire che tutti noi siamo bravi, buoni, se guarda le cose un po’ da lontano; ma se lasciamo attraversare la nostra vita dalla luce della parola di Dio, ci accorgiamo che la nostra vita, purtroppo, non è limpida, non è bella; porta dentro di sé alcune cose sbagliate, alcuni peccati.
Allora, anche se l’Arcivescovo ha detto che siete bravi, buoni, generosi, simpatici, noi quest’oggi vogliamo mettere la nostra vita sotto il raggio della parola di Dio, per poter scoprire anche le cose meno belle che sono presenti nella nostra esistenza. E io personalmente, senza voler insegnare niente a santa Teresa d’Avila (e sapete che è stata proclamata dal Papa «Dottore della Chiesa», cioè maestra di vita cristiana), vorrei prolungare l’immagine che ha scritto in quella sua pagina, dicendo che la luce del sole, attraversando quel bicchiere, non soltanto fa vedere le cose sporche, il pulviscolo, le scorie, che ci sono, ma con la sua forza, col suo calore riesce a distruggerli, e fa diventare l’acqua ancora limpida e pulita.
Ecco, questo è ciò che vorremmo fare: lasciarci attraversare dalla parola di Dio, per raggiungere due risultati:
1) Vedere le cose sbagliate che sono dentro di noi.
2) Chiedere alla forza e al calore della parola di Dio di distruggere, di bruciare queste cose sbagliate.
Mi sono detto allora: cercherò nella Bibbia qualche parola di Dio da usare come raggio di sole, nel quale collocare la nostra vita; ma poi ho pensato: è da due giorni che l’Arcivescovo dice tante parole di Dio, le ha commentate con la sua parola autorevole di Vescovo, le ha fatte cercare anche a voi… Allora proviamo insieme a ricordare alcune di queste parole forti, luminose, intense, che l’Arcivescovo vi ha suggerito. Intanto anch’io imparo qualcosa…
Faremo due cose: la prima è di raccogliere le parole che vi hanno impressionato; cercherò poi di aiutare me e voi a fare sì che queste parole entrino come un raggio di sole nella nostra vita per farci capire i nostri sbagli, i nostri peccati; ma entrino nella nostra vita anche per darci coraggio, per non avere paura.
Mi pare di capire che le parole che l’Arcivescovo ha commentato con particolare insistenza sono state:
- Gesù conosce tutto e tutti.
- Gesù conosce perdonando e donando.
1. Gesù conosce tutto e tutti, niente e nessuno sfugge alla sua conoscenza piena di amore
Signore, tu mi scruti e mi conosci,
tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Ti sono note tutte le mie vie;
la mia parola non è ancora sulla lingua
e tu, Signore, già la conosci tutta.
+ La luce di Gesù penetra tutto. La luce di Gesù non lascia nessuno indifferente.
Se dico: «Almeno l’oscurità mi copra
e intorno a me sia la notte»;
nemmeno le tenebre per te sono oscure,
e la notte è chiara come il giorno;
per te le tenebre sono come luce.
+ Gesù conosce di me anche tutto quello che io non conosco.
Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere,
tu mi conosci fino in fondo.
Il brivido di sentirsi conosciuti. Il brivido di gioia o di rabbia, secondo che noi siamo felici che ci guardi o abbiamo paura che ci scopra!
2. Gesù conosce perdonando e amando
Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore,
provami e conosci i miei pensieri;
vedi se percorro una via di menzogna
e guidami sulla via della vita.
Gesù ci vuole e ci accetta così come siamo; ma incontrandolo, facendoci e lasciandoci conoscere, ci trasforma, perdonandoci e donandoci una vita rinnovata.
Quando incontra la samaritana (e si lascia incontrare), quando incontra la peccatrice (e si lascia amare), quando incontra Zaccheo (lasciandosi vincere dalla sua voglia di vederlo) Gesù li fa diventare diversi; li ha accolti così come erano, ma poi li ha fatti diventare diversi.
(Si può utilmente riprendere il salmo 138 o i diversi episodi del Vangelo sopra ricordati e altri ancora).
* * *
Adesso facciamo due minuti di silenzio, affinché la nostra vita venga attraversata con coraggio da questa sciabola di luce che è la parola di Dio che l’ Arcivescovo ci ha detto in questi giorni e che in questo momento abbiamo ricordato.
Cerchiamo di pregare su quelle parole del Signore. E questa preghiera è anche un po’ un esame di coscienza, un parlare a Gesù come introduzione alla celebrazione del sacramento della Penitenza.
1. Mancanze contro la gioia di essere cristiano e seminarista
O Gesù, io sono rimasto colpito anzitutto da questo fatto, che la tua conoscenza, il tuo sguardo dovrebbe suscitare in me tanta gioia; ma riconosco che purtroppo non sempre ciò si verifica, non sempre sono felice di esserti amico. Se fossi davvero felice di esserti amico, pregherei molto volentieri quando mi è possibile; penserei a te, verrei con gioia in chiesa per celebrare la tua Eucaristia; non avrei paura di dedicare qualche tempo in più della mia vita a leggere la parola di Dio, non soltanto qui in Seminario ma anche quando vado a casa, quando ci sono le vacanze. Forse io sono contento che tu mi guardi e mi conosci, però non provo la gioia di essere conosciuto e guardato da te! Ecco una prima impurità che scopro dentro di me: non sono un cristiano felice.
A volte sopporto la vita cristiana. Con fatica prego, con fatica ascolto la tua parola; non sono uno che prega con entusiasmo, con gioia; che è felice di essere amico
di Gesù; anzi, qualche volta arrivo a dire: «Magari sono più fortunati quelli che non sono stati conosciuti e guardati da Gesù, perché fanno quello che vogliono!». Quante volte forse ho detto: «Come sono fortunati i ragazzi che Gesù non ha conosciuto e non ha guardato come me!».
O Signore, tu che sei tanto buono, perdona se non sempre mi sono lasciato guardare e conoscere da te con gioia, se ho portato la vita cristiana come un peso e non come un dono prezioso che tu mi hai fatto e che mi deve rendere felice!
2. Incapacità di vedere i propri difetti
E poi una seconda cosa bella, o Gesù, io ho ascoltato in queste parole: tu sei venuto per i peccatori, tu sai capire fino in fondo i nostri peccati, tu sei venuto non per quelli che si ritengono giusti, ma per quelli che sanno di essere peccatori, e che cercano il perdono come la samaritana, come Zaccheo, come il buon ladrone, come la peccatrice che è entrata durante il pranzo in casa di Simone. Ecco, io, o Signore, qualche volta faccio fatica a riconoscere di essere peccatore e continuo a guardare i difetti degli altri, e non ho il coraggio di guardare i miei; non ho il coraggio di riconoscere dove sbaglio; faccio fatica anche a farmi conoscere con i miei difetti ai miei educatori e a quelli che vogliono conoscermi bene, perché possano aiutarmi ad essere un bravo cristiano, un bravo seminarista.
Io apprezzo, ammiro la samaritana, Zaccheo, il buon ladrone, ma non so fare come loro; non ho il coraggio, o Gesù, di riconoscere i miei sbagli, di presentarti le mie povertà, i miei peccati. O Gesù, aiutami a non aver paura di me, aiutami a guardare dentro, per scoprire anche le cose che tu soltanto conosci e che io non so conoscere. Comunicami tu la tua conoscenza; fammi vedere dove sbaglio; fammi essere luminoso, coraggioso con me stesso; fammi essere limpido, trasparente verso di te e verso i miei educatori.
3. Non corrispondenza alla generosità del Signore
Terza cosa che mi è piaciuta molto, o Gesù, delle cose che hai detto in questi giorni a questi ragazzi attraverso l’Arcivescovo è che tu conosci tutto e tutti, e, conoscendo tutto e tutti, ti doni, dai tutto te stesso. È questa parola «tutto» che ho sentito continuamente ritornare: Gesù conosce tutto e tutti, Gesù perdona e sopporta tutto, Gesù dona tutto se stesso a noi… e mi ha colpito.
Ecco, anche su questa totalità mi scopro pieno di difetti, perché io ti voglio bene in certi momenti, ti darei veramente tutta la mia vita… Ma poi comincio a dire: questa cosa la tengo per me, per esempio un po’ del tempo della mia preghiera; mi piace pensare ad altre cose mentre prego. Un po’ del mio tempo di studio non lo do a te, ma lo tengo per me per far niente, per disturbare i miei compagni, che sono così indotti dal mio cattivo esempio a distrarsi, a non studiare.
O Signore, quante cose trattengo per me stesso; non do a te tutto il mio tempo, non ti do tutto il mio cuore perché voglio coltivare alcune amicizie non buone; non ti do tutto il mio corpo perché accontento la mia golosità, perché non mi alzo presto la mattina, accontento gli istinti che sento nascere in me.
Tu conosci tutto e tutti; tu doni tutto te stesso a me e io invece continuo a fare degli sconti; qualche cosa di me, del mio cuore, del mio corpo, del mio tempo, del mio studio non te lo do, lo tengo per me.
4. Il nostro amore diverso da quello del Signore
E infine, Gesù, la quarta cosa molto bella che ho sentito viene dalla parabola del buon samaritano.
Questo signore, che non aveva speciali vocazioni, che non aveva particolari compiti nel popolo di Dio (era anzi un forestiero, un nemico), ha saputo imitare la carità di Dio; ha visto quel poveretto e si è comportato così come avrebbe fatto Dio, con tenerezza, con amore, con comprensione.
Ho sentito dire tante belle parole; Gesù ci ama senza differenza, e allora anche noi dobbiamo interessarci dei nostri fratelli; Gesù ci ama, ci conosce, sopporta, perdona nei nostri confronti, noi dobbiamo essere come Gesù per i nostri fratelli, dobbiamo donare, perdonare, sopportare, capire; e anche qui, o Gesù, quante cose sbagliate scopro nel bicchiere della mia anima e della mia vita; quante volte io non do tutto ai miei fratelli, non sono capace di sopportare qualche loro difetto, non sono capace di dare qualche cosa di mio, di dire una buona parola, di perdonare un torto che ho ricevuto. ..
O Signore, aiutami ad essere come te; aiutami a conoscere gli altri con lo sguardo pieno di amore, che sa perdonare, che sa capire, che sa sopportare.
PREGHIERA
Grazie, Gesù, perché mi scruti e mi conosci.
Grazie, Gesù, perché mi conosci perdonando.
Grazie, Gesù, perché mi conosci illuminando.
Grazie, Gesù, perché mi conosci separando.
Grazie, Gesù, perché mi conosci sopportando.
Perdona, Gesù, le mie mancanze contro la gioia.
Perdona, Gesù, la mia incapacità di vedere i miei difetti.
Perdona, Gesù, le mie mancanze di trasparenza, di generosità.
Perdona, Gesù, se ti ho rubato qualcosa che ti dovevo.
Perdona, Gesù, se non ho amato i miei fratelli come te.
Un cammino in tre tappe
Omelia durante la celebrazione eucaristica conclusiva
(Letture: Gn 37,1-7; Prv 3,13-18; Mt 6,19-24)
Dobbiamo rendere grazie al Signore perché la sua parola che questa sera ci è stata annunciata sembra arrivare proprio al momento giusto.
Il rischio che possiamo correre al termine degli Esercizi spirituali è quello di dire: «Ho camminato tanto, ho fatto un lungo percorso di preghiera, di silenzio, di riflessione. Ecco, sono come arrivato in cima ad una montagna. Ho finito di camminare. Adesso mi siedo e riposo un po’».
Mentre il vero significato degli Esercizi non è di invitarci a riposare, ma piuttosto di camminare di più. Gli Esercizi non segnano una mèta raggiunta, ma sono un punto di partenza per una vita cristiana più vera, più seria, più profonda. E mi pare che proprio in questo contesto riusciamo a cogliere la bellezza della parola che il Signore questa sera ci ha rivolto. È una parola che traccia davanti a noi un cammino in tre tappe da percorrere e che potremmo intitolare così:
1) la prima tappa: dall’esterno verso l’interno; 2) la seconda tappa: dall’interno verso l’alto; 3) la terza tappa: dall’alto verso l’altro.
Prima tappa: dall’esterno verso l’interno
Penso soprattutto al Vangelo, che ci ha ricordato come le realtà più importanti da coltivare non siano le cose esterne, ma il nostro cuore, cioè i nostri desideri più profondi, che coltiviamo nella mente e nell’animo.
Il nostro cuore è il nostro intimo, il nostro interno da cui parte ogni decisione di orientare la vita verso i tesori del cielo che sono quelli veri, autentici, che rimangono; oppure verso le cose che passano e vengono distrutte dalla ruggine, dalla tignuola e portate via dai ladri. È importante dare una direzione giusta alla nostra esistenza. Questa direzione giusta dipende dal nostro cuore, dalla capacità che noi abbiamo di penetrare dentro di noi, di meditare, di capire, di riflettere, di non essere tutti dispersi fuori di noi stessi, attratti da tante cose. Questa direzione giusta dipende dalla nostra capacità di fare silenzio per ascoltare parole più grandi e più vere; per riflettere su ciò che accade, così da sapere confrontare un episodio con un altro e distinguere ciò che mi ha fatto bene da ciò che mi fa male, per cercare di coltivare le cose che mi fanno bene ed evitare ciò che fa male a me e agli altri.
Gesù dà importanza al cuore, cioè all’interno della nostra vita. Forse voi in questi giorni, con tanta gioia e anche con un po’ di fatica, avete sperimentato come è importante il vostro cuore. Tutti voi mi avete detto che sono stati giorni belli, che avete pregato, avete fatto silenzio; ma mi avete anche detto che avreste voluto pregare di più, tacere ancora di più, perché avete scoperto che nella preghiera e nel silenzio uno impara tantissimo.
Ecco la prima tappa di viaggio che Gesù ci propone: saper passare dall’esterno di voi verso l’interno, coltivando l’abitudine al silenzio, alla riflessione, alla preghiera.
Quando ero bambino mi è tanto piaciuta una leggenda che ora vi racconto. Parla di un eremita, che viveva solo in cima ad una montagna, e una volta vide arrivare nella sua grotta una signora che gli disse:
- Signor eremita, sono disperata, sono vedova. Mi è morto il marito. Mi ha lasciato una grande fattoria e tutto va a rotoli. Ogni anno quando tiro le somme della mia attività sono sempre sotto zero; sono sempre piena di debiti. Tutto va male nella mia fattoria.
L’eremita, lisciandosi la barba, cominciò a dire: – Senti, figliuola mia, raccontami cosa fai durante la tua giornata.
- Signor eremita, io mi alzo verso le 9,30-10. – Così tardi? – replicò l’eremita.
- Sì! Poi faccio la mia toilette, e arrivano le 11 – continuò la signora -. Faccio un passeggino in città, a vedere i negozi. Arriva l’una e tomo a casa a mangiare. Poi faccio un riposino. Alle 16 prendo il tè da qualche mia amica. Arrivo a casa la sera. Faccio cena e poi guardo la televisione oppure vado a teatro, o a fare una passeggiata…
L’eremita, lisciandosi la barba, disse:
- Ora ti do io un rimedio per questa tua disgrazia. Si ritirò in un angolo nascosto della grotta e dopo un po’ comparve con in mano una scatoletta, che consegnò alla signora con queste parole:
- Senti, figliuola mia, in questa scatoletta c’è un rimedio eccezionale per la tua disgrazia. Tu però non puoi guardarlo. Tra un mese tornerai qui, e apriremo insieme la scatoletta. Tu devi fare soltanto questa cosa: ogni ora della tua giornata, iniziando dalle sette del mattino sino alle sette di sera, porterai questa scatoletta dapprima nel frutteto, poi nel vigneto, poi nel campo seminato a grano, poi nel mulino, e vedrai che questa scatoletta farà miracoli; farà fiorire ancora la tua azienda.
Fiduciosa nelle parole dell’ eremita, la signora ritornò a casa. Era tentata di aprire la scatoletta, ma pensava: «L’eremita ha detto che se l’apro tutto il rimedio svanisce» .
E così cominciò ad ascoltare l’eremita. Alle sei del mattino si alzava, lei abituata ad alzarsi alle nove! Poveretta, era tutta assonnata, sbadigliava, ma pensava: «L’eremita mi ha detto…», e così si faceva coraggio.
Alle sette era nel mulino, dove stavano macinando il grano, e scoperse che i mugnai spandevano la farina e la buttavano via; ma quando videro arrivare la padrona misero la farina tutta nei sacchi ben pigiata.
Alle otto la signora prendeva la scatoletta preziosa e la portava nel vigneto. I contadini, anziché raccogliere l’uva per fare il vino, la mangiavano oppure la distribuivano ai passanti. Ma visto che arrivava la padrona, dissero:
- Ragazzi, arriva la padrona! Mettiamo tutta l’uva nei tini per poter fare il vino.
E così di ora in ora quella signora portava la scatoletta in tutte le parti della sua fattoria. Così si accorse che anche i mungitori che dovevano mungere le mucche non lo facevano e lasciavano soffrire quelle povere bestie; e altrove gli operai anziché lavorare facevano altre cose.
Per un mese ogni giorno, dalle sette di mattina alle sette di sera, la signora portava la scatoletta preziosa in un posto diverso della sua fattoria, e alla fine del mese cominciò a vedere che i conti tornavano giusti.
Piena di gioia, andò dall’eremita a dire:
- Adesso deve aprirmi questa scatoletta, perché contiene un rimedio veramente formidabile. Ha fatto funzionare alla perfezione tutta la mia azienda.
L’eremita aprì la scatoletta e ne uscì il rimedio misterioso: un piccolo fogliettino su cui c’era scritto: «Alle cose tue pensaci tu!»; e commentò:
- Sappi stare in casa tua. Sappi badare alle cose della tua azienda e vedrai che funzioneranno. Se sei sempre in giro, o a dormire, a chiacchierare, a prendere il tè, invece di pensare a governare la tua casa, sarà impossibile che la casa funzioni.
Ecco, questo saggio eremita ci aiuta a interpretare l’invito del Signore a passare dall’esterno verso l’interno. Impariamo a stare in casa, dentro quella casa interiore che ognuno di noi porta dentro di sé. Tante volte noi pensiamo ad altro, pensiamo a centomila cose. Ma non pensiamo a noi stessi. Non siamo capaci di stare dentro di noi per ascoltare ciò che il Signore ci dice, per capire quello che dobbiamo fare. Ecco la prima tappa che gli Esercizi ci invitano a percorrere: andare dentro di noi.
Imparare a pensare. Imparare a riflettere. Penso che un aiuto importante a percorrere questa tappa ci è dato anche dalla scuola. I vostri educatori e professori vi insegnano a pensare, a ragionare, a riflettere. È un grandissimo aiuto che vi danno. Anche se qualche volta dite che sono troppo esigenti o rigidi – ed è normale che vi lamentiate un po’ – tuttavia dovete dire a loro un grazie immenso, perché vi aiutano ad «andare verso l’interno», a diventare gente che sa badare alle sue cose, che non è sempre con la testa fra le nuvole, dispersa fra centomila distrazioni, ma che sa abituarsi a pensare, a riflettere, a guardarsi dentro.
Seconda tappa proposta dalla parola del Signore: dall’interno verso l’alto
Gesù ci dice: «Il tuo cuore, che è dentro di te, va orientato verso i beni del cielo, verso Dio, verso Gesù, non verso le cose che possono essere rubate dai ladri, o distrutte dalla ruggine e dalla tignuola».
Occorre che i nostri desideri interni vengano orientati verso Dio, verso Gesù. È anche il messaggio che l’Arcivescovo vi ha suggerito in questi giorni. Dobbiamo capire sempre più profondamente questo invito di Gesù ad «andare verso l’alto».
Gesù ci dice che non basta pensare a Dio e servirlo con il nostro cuore qualche volta, dedicandoci poi qualche altra volta a Mammona, cioè al dio del denaro, all’egoismo, al possesso. Gesù ci chiede di andare dall’interno verso l’alto non soltanto qualche volta, ma sempre. Il nostro interno deve sempre essere orientato verso Gesù, in uno sforzo continuo di generosità. Penso che tutti i buoni cristiani di questo mondo ogni tanto sanno orientarsi verso l’ «alto», perché pregano, vanno a Messa, leggono la Bibbia, dicono di sì a Gesù. Ma il guaio è che poi in tanti altri momenti della loro vita non pensano a Gesù; non pensano ad andare verso l’alto, si separano da Gesù con il loro egoismo e i loro peccati.
Dobbiamo noi, tutti insieme, fare il proposito di orientare tutta la nostra vita verso Gesù: senza venire a mezze misure, senza dividere la vita Un po’ per Gesù e un po’ senza Gesù. Tante volte noi dividiamo a metà la nostra vita. Per esempio, con il corpo siamo qui in chiesa, siamo in ginocchio, con le mani giunte, ma la nostra anima è altrove, perché pensiamo ad una cosa e all’altra e così ci distraiamo. In questo caso, metà del nostro essere è con Gesù, ma l’altra metà non è con Gesù. Qualche altra volta facciamo l’inverso: con i nostri pensieri diciamo a Gesù: «Ti voglio bene, voglio pensare a te», ma poi il corpo lo teniamo per accontentare la nostra pigrizia, i nostri comodi, i nostri istinti, i nostri capricci.
Gesù ci chiede di non dividerci a metà, ma di essere tutti intieri per lui.
Ho letto alla porta della cappella una bellissima frase di Madre Teresa di Calcutta: «Essere con Gesù e come Gesù, non qualche ora o per un po’ della nostra giornata, ma ventiquattro ore su ventiquattro». Dobbiamo essere generosi con Gesù; dare tutto noi stessi a lui, e proprio questo vi ha richiamato l’Arcivescovo quando insisteva in questi giorni nel dire che Gesù conosce tutto e tutti; che ha dato tutto se stesso a noi e perciò noi dobbiamo dare tutto noi stessi agli altri.
Quando si tratta di entrare in rapporto con Gesù, gli scarti non vanno bene. Quando ad esempio so che devo fare la meditazione di venti minuti, mentre in realtà la riduco a diciotto…; quando so che devo studiare un’ora e tre quarti, mentre in realtà mi impegno solo per un’ora e mezza, e sciupo l’ultimo quarto perdendo tempo e disturbando gli altri; allora gioco a tirare di prezzo… Ma con Gesù non va bene mirare all’economia. Con Gesù bisogna essere generosi al massimo.
Mi viene in mente al riguardo un’ altra storiella, breve breve, che mi è stata raccontata quando ero in seconda media e come voi stavo facendo gli Esercizi spirituali. Mi è rimasta impressa, perché è un racconto simpatico. Non è un episodio contenuto nei Vangeli, è una leggenda, che però dice una verità molto importante.
Un giorno Gesù disse agli apostoli Pietro e Giovanni: «Andiamo a fare una bella passeggiata in montagna. Però vi raccomando di portare insieme con voi un sasso». Pietro, che era un tipo realista, ragionò così tra sé: «Andare in montagna costa fatica, ci sono delle salite lunghe. Conviene portare un sasso piccolo piccolo». E così si mise in tasca un leggero sassolino.
Giovanni, invece, che era un generoso, senza fare troppi calcoli, prese una grossa pietra, e messala sulle spalle si incamminò dietro a Gesù, verso la cima della montagna. Dopo un bel po’ di strada, Giovanni moriva dalla fatica ed era tutto sudato, mentre Pietro camminava fresco fresco, fischiettando e prendendo in giro Giovanni: «Chi ti ha fatto fare tutta quella fatica lì! Basta un sassolino…».
Arrivarono in cima alla montagna stanchi morti, pieni di fame. Gesù si sedette tra i due apostoli e benedisse quei sassi che, d’incanto, diventarono un pane fragrante. Pietro si trovò tra le mani un minuscolo boccone di pane con cui sfamarsi; Giovanni invece una bella pagnotta, così grande che poté mangiarla insieme con Gesù, e ne avanzò anche per la sera.
Questa leggenda ci insegna ad essere generosi. Con Gesù non si deve giocare a mezze misure o stare sul minimo: a lui occorre dare tutto, e darlo con gioia.
Terza tappa del nostro viaggio, suggerita dalla parola di Dio: dall’alto verso l’altro, cioè verso i fratelli
Quest’ultima tappa non la trovo scritta nel brano del Vangelo proposto, ma la ricavo dall’episodio del libro della Genesi narrato nella prima lettura.
Giacobbe, che ha conosciuto Dio, che ha toccato con mano il suo favore e la sua bontà misericordiosa, sente il bisogno di dire a tutti i suoi familiari: «Buttate via gli idoli. Cercate anche voi di credere in Dio con tutto il vostro cuore!».
È l’esempio di un uomo che ha conosciuto Dio, ha orientato il suo cuore verso l’alto e ora va verso gli altri per dire a ciascuno: «Credete in Dio insieme con me. Sapete come è bello amare Gesù; come è bello conoscerlo; come è bello sapere di essere conosciuti e scrutati dal suo sguardo che illumina e purifica, che separa in noi il bene dal male, che perdona».
E qui capite, cari amici, che voglio alludere alla vostra vocazione. Gesù, chiamandovi a diventare preti, vi invita proprio a spendere la vostra vita per dire agli altri uomini che è bello amare il Signore. Altre persone offrono agli uomini altri doni, come il vestito, il cibo, il vino da bere, la giustizia, ecc.; voi darete agli uomini soprattutto la certezza di essere conosciuti e amati dal Signore.
E qui mi rivolgo in particolare a quelli di terza media che stanno vivendo questi Santi Esercizi quasi come ultima tappa verso una decisione importante che dovranno prendere: se passare in ginnasio, e così continuare il cammino vocazionale, oppure incamminarsi per qualche altra strada.
Può darsi che uno, ragionando con calma col suo Rettore e col suo Direttore Spirituale, capisca che Gesù gli chiede un altro modo di volergli bene e di servirlo nella Chiesa. Quindi niente di male se lascia il Seminario per continuare a seguire la vocazione di Gesù su un’ altra strada, diversa dal sacerdozio.
Però penso che tanti di voi sono realmente chiamati a fare il prete. Qualcuno potrebbe dubitare, pensando: «Ma io ho tanti difetti, faccio tanti sbagli. Come posso fare il prete?»; oppure: «Cosa serve fare il prete. La gente ha bisogno di altre cose più importanti che non la preghiera, il Vangelo, i Sacramenti…».
Ecco, io vi dico: se voi scoprite che la vostra strada è un’altra, benissimo, seguite ciò che Gesù vi indica. Ma se Gesù vi chiama a diventare preti, non scoraggiatevi per i vostri difetti. Chiedetegli piuttosto il coraggio di vincerli pian piano. Soprattutto non pensate che il mondo non abbia bisogno di Gesù. lo ho girato un po’ il mondo in questi anni e dappertutto ho visto un immenso bisogno di persone che parlino di Dio agli uomini.
Ho in mente una scena straziante: nel luglio scorso sono stato in Africa, nel Sudan, e ho visitato a Quirick vicino a Giuba un grosso lebbrosario. C’è chi dice che lì siano raccolti 5.000 lebbrosi, altri dicono che siano 15.000, altri infine che ve ne siano 25.000; nessuno sa il numero preciso, perché i lebbrosi sono abbandonati a se stessi. C’è solo qualche capanna e una piccola cappella costruita da un prete. Ricordo che quando sono arrivato ho incominciato a distribuire un po’ di vestiti e altro… ma quando hanno capito che ero un prete, uno dì loro, che fa un po’ da sacrista, è corso subito in cappella a suonare la campana a più non posso per dire alla gente che era arrivato un prete.
In breve tempo si è radunato un bel gruppo di lebbrosi, e io dicevo: «Ma la Messa l’ho già detta, poi non so parlare l’arabo. L’inglese lo so appena appena». Essi mi rispondono: «Non fa niente, non fa niente! Father, bless us: Padre, benediteci!». Ecco, quella gente affranta aveva bisogno di incontrare un prete per essere benedetta. Uno può dire: «Certo in Africa, poveretti, non hanno niente, cercheranno i preti per consolarsi». No, non è così. Anche in altre parti del mondo ho fatto la medesima esperienza.
Ad esempio, nel 1970 sono stato un mese intero in America, ospite di mio fratello. Vicino c’era la casa di un protestante, più precisamente di una famiglia presbiteriana che ho cominciato a conoscere piano piano fino a diventare amici.
In America tanta gente ha tutto: il frigorifero, il condizionatore d’aria, soldi a palate, due o tre macchine… Eppure questa gente ha un immenso bisogno di Dio. Ricordo che quando recitavo il breviario nel giardino, dalla finestra della casa vicina la signora mi vedeva e sempre mi urlava: «Father Louis, pray also for us! (Don Luigi, preghi anche per noi!». Questa gente, che ha tutto, cerca qualcuno che preghi per loro.
E infine l’ultimo episodio che vi racconto si riferisce all’estate scorsa, quando sono stato in Germania con i seminaristi più grandi della Scuola Vocazioni Adulte di Milano.
Eravamo alloggiati in un ostello della gioventù, dove c’erano anche dei soldati impegnati per alcuni giorni in esercitazioni militari. La sera della nostra partenza abbiamo organizzato una festa assieme, bevendo birra, mangiando salsicce e cantando un po’ in italiano e un po’ in tedesco. Alla fine ci siamo salutati, e un soldato mi è venuto incontro e mi ha detto: «Padre, so che voi siete cattolici e so che questi giovani sono seminaristi. lo sono un protestante evangelico, voglio molto bene al Signore, dica ai suoi seminaristi di pregare tanto per me».
Il mondo ha un immenso bisogno di gente che parli loro di Gesù, che annunci il Vangelo, che trasmetta le cose che l’Arcivescovo vi ha detto in questi giorni.
La gente ha bisogno di uomini che con la loro vita dicano a tutti che Gesù ci conosce, ci ama, ci perdona, sopporta con noi tutte le nostre prove e difficoltà e ci sostiene con la sua grazia.
lo prego tanto in questa Messa soprattutto per voi più grandi di terza media, perché viviate questi ultimi mesi di scuola con coraggio, con gioia, con responsabilità.
Se il Signore vi chiama a diventare preti non siate pigri. Non spaventatevi dei vostri difetti. Non dite che non c’è bisogno di preti in questo mondo, Mentre prego per tutti i seminaristi, prego in modo speciale per voi, perché il vostro cammino sia pieno di speranza e di coraggio.
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