BIOGRAFIA DEL BEATO OLALLO VALDES – Giuseppe Magliozzi o.h.
Posted on settembre 3rd, 2009 by Angelo
Posted on Gennaio 14th, 2009 di
FRA EULALLO VALDES O.H.
IL CUBANO proclamato BEATO
Di Fra Giuseppe MAGLIOZZI o.h.
UN DIFENSORE DELLA DIGNITA’ UMANA
L’urna contenente le reliquie.
Per vedere il video clicca il link:
http://it.youtube.com/watch?v=V7eNe4uNE9w
Agli attuali 71 Beati dei Fatebenefratelli se ne aggiungerà il prossimo 29 novembre uno nuovo, fra Giuseppe Eulalio Valdés, che sarà il nostro primo frate nativo di Cuba ad essere elevato agli onori degli altari. Nato emarginato, fu chiamato dal Signore a farsi difensore della dignità umana delle persone allora più emarginate: i malati poveri, i minorati mentali, gli schiavi, gli sconfitti. Spese tutta la sua vita per loro, soccorrendoli come fratelli in Cristo e rispettandoli anche dopo morti, come quando sfidò le Autorità Militari per tributare l’estremo omaggio al cadavere vilipeso d’un generale ucciso in battaglia.
Nacque emarginato, perché figlio illegittimo e per tal motivo abbandonato dai genitori. Nella nostra società, che va perdendo ogni rispetto per la vita nascente, probabilmente sarebbe stato abortito, ma a quel tempo la gente provava ancora orrore per questo atroce crimine e si cercava di evitare l’eccidio. A Cuba un bravo vescovo, mons. Gerónimo Valdés, già nel 1711 aveva istituito nella capitale un Orfanotrofio dove gli illegittimi potevano essere accolti in totale anonimità, salvando dallo scandalo le madri: accanto alla porta c’era la ruota dove deporre nottetempo l’infante, voltarla verso l’interno e, prima di fuggir via, suonare la campanella perché venissero a prenderlo. Una notte egli fu deposto nella ruota con accanto un bigliettino: “nato il 12 febbraio scorso, non è stato battezzato”.
Al mattino, era il 15 marzo 1820, il cappellano lo battezzò col doppio nome di Giuseppe Eulalio e lo registrò col cognome Valdés, in ossequio alla lungimirante premura del vescovo Valdés, che dispose di dar il proprio cognome a tutti i trovatelli, andando controcorrente al crudele uso di quei tempi di assegnare loro il cognome Expósito, che li bollava per sempre come “esposti”, cioè abbandonati dai genitori. Anche il doppio nome aveva lo scopo di nascondere la nascita illegittima. Dato che nella cultura spagnola è richiesto negli adempimenti ufficiali indicare dopo il nome di battesimo sia il cognome del padre sia il cognome della madre, quando una persona indica un solo cognome, risulta evidente che è un illegittimo.
Se in una conversazione la persona, senza entrare in spiegazioni, fornisce tre nomi, la tendenza di chi ascolta è di ritenere che il primo sia il nome ricevuto al battesimo, il secondo il cognome paterno ed il terzo quello materno. Di questa tendenza profittavano i trovatelli che, quando nel conversare capitava di dover fornire verbalmente le proprie generalità, snocciolavano uno dopo l’altro i due nomi di battesimo ed il loro unico cognome, con la speranza che si creasse l’equivoco e che nessuno facesse domande per fugarlo.
Venendo al nostro caso specifico, il suo primo nome di battesimo, ossia Giuseppe, era dato a quasi tutti i trovatelli, in omaggio al Patrono dell’Orfanotrofio, che era San Giuseppe. Il secondo nome di battesimo, che serviva a distinguerlo dagli altri trovatelli, fu scelto, com’era abituale nella cultura ispanica, in onore del Santo del giorno in cui era nato il bambino e che nel caso specifico del 12 febbraio era Sant’Eulalia, una giovinetta martirizzata a Barcellona nel 303 e la cui devozione si diffuse ampiamente in Spagna, dove spesso finì popolarmente invocata come Santa Olalla, sicché nel registro battesimale le generalità complete di questo neonato furono: José Olallo Valdés.
I cubani, ritenendo che Olallo fosse il cognome paterno, lo chiamarono sempre Padre Olallo e quando nel 1901 gli dedicarono la piazza dell’Ospedale, nella targa scrissero semplicemente “Plaza del Padre Olallo”. Dopo l’Orfanotrofio il bimbo passò alla Casa di Beneficenza, che era ugualmente nella capitale e che comprendeva un Reparto Psichiatrico, un Ospizio per mendicanti ed una Convitto per l’Educazione dell’Infanzia povera o abbandonata. Se si tien conto che all’epoca solo il 5% dei ragazzi cubani frequentava le Scuole, la formazione basica che vi ricevette lo privilegiava nel trovare un lavoro dignitoso e gli avrebbe poi consentito di tenere anche la contabilità dell’ospedale.
A fine febbraio 1833 scoppiò all’Avana un’epidemia di colera che nel giro di un anno fece oltre diecimila vittime. Furono istituite varie sezioni di ricovero, di cui una nella Casa di Beneficenza, dove il giovane Olallo, che pareva già un ometto perché ai tropici lo sviluppo corporeo è accelerato, si offerse di dar una mano nell’assistere i colerosi, avendo superato bene l’infezione, che era assai più micidiale per gli adulti. Fu per lui un’esperienza decisiva e sentì nascersi il desiderio di dedicare la propria vita all’assistenza dei malati.
Bussò alla porta dei Fatebenefratelli, che ben volentieri nel 1834 l’ammisero in Noviziato. Quel suo atteggiarsi a ometto gli valse all’inizio qualche critica e fra José de la Luz Valdés gli si mostrò contrario, definendolo un “lechuguino”, ossia di troppa apparenza e poca sostanza, ma ebbe presto modo di ricredersi e lo volle con sé quando nel 1835 fu nominato Priore di Camagüey.
In teoria le Costituzioni dell’Ordine prevedevano che i Voti potessero essere emessi solo dopo compiuti i 18 anni, ma per lunga tradizione ed a motivo del clima tropicale era divenuto usuale concederli già a 15 anni e tale concessione era stata ratificata nel Capitolo Generale del 1827. Fu così che fra Olallo emise i Voti già appena finiti i 15 anni, probabilmente l’8 marzo 1835, ma non siamo sicuri del giorno esatto perché proprio quell’anno in Spagna entrò in vigore la legislazione eversiva che oltre a confiscare i Conventi iberici con meno di dodici frati, annullò ogni legame tra le Comunità dei Fatebenefratelli e la Curia Generalizia di Madrid, dove pertanto non arrivò alcuna notifica di tali Voti.
Dopo la confisca degli Ospedali, ai frati già Professi erano offerte due possibilità: lasciare il Convento e ricevere a proprio sostentamento una pensione di 5 reali, sancita con Decreto del 9 marzo 1836, oppure restare in Convento e guadagnarsi la vita col lavorare in Ospedale alle dipendenze del Governo. Tale misure saranno applicate a Cuba solo nel 1842, ma come passo previo vi fu inviata una Commissione Regia per compilare liste ufficiali dei frati Professi: quella dei Fatebenefratelli, che avevano a Cuba due Ospedali, uno nella capitale e l’altro a Camagüey, fu redatta il 14 giugno 1839 ed è il più antico documento che elenca fra Olallo come frate, precisando che era già al quinto anno di Vita Conventuale, il che è confermato anche da successivi documenti, ma gli si attribuiscono 22 anni d’età, il che fu certo una benevola bugia per far credere che avesse emesso i Voti a 18 anni ed evitare che un capzioso richiamo alle vecchie Costituzioni dell’Ordine, non essendocene ancora copie stampate con gli aggiornamenti del 1827, desse pretesto per considerare invalidi i Voti e negargli così di restare in Ospedale o di ricevere la pensione.
Tenendo conto che il quinto anno di Voti doveva essere iniziato prima della data del 14 giugno in cui fu compilata la lista, egli dovette emettere i Voti a L’Avana poco dopo il suo compleanno del 12 febbraio 1835 e fu subito destinato all’Ospedale di Camagüey, dove giunse il 13 aprile 1835. Si trattava di un Ospedale Generale, dotato di 5 reparti per complessivi 88 letti, oltre a tre celle per il ricovero dei carcerati. Tre mesi dopo il suo arrivo in questa città, che era la seconda per importanza di Cuba e che in quel tempo si chiamava Puerto Principe, scoppiò anche lì il colera, che imperversò per quasi un anno, riempiendo di malati l’Ospedale, con punte talora di oltre trenta decessi giornalieri. Tutti ammirarono e ricordarono con gratitudine l’impegno sorridente ed instancabile del giovane frate.
I frati, secondo la citata lista del 1839, erano ancora una dozzina all’Avana, ma a Camagüey con fra Olallo erano rimasti solo due frati, il Priore fra José de la Luz Valdés, che aveva ormai già 75 anni, e fra Juan de Dios Gavillán, che n’aveva 28, né c’era da sperare in nuove reclute, poiché il Governo aveva già da tre anni interdetto i Noviziati, ma tutto ciò non smorzò la vocazione religiosa di fra Olallo ed il suo costante impegno a migliorare la propria preparazione ospedaliera, sia apprendendo quanto più poteva dai Confratelli anziani, sia, appena cessò l’emergenza del colera, dedicando il tempo libero a studiare sui libri d’infermieristica e piccola chirurgia stampati dall’Ordine e poi su quelli che in varie occasioni riuscì a farsi venire dalla Spagna, così da mantenersi sempre aggiornato sulle ultime novità.
Quando nel 1888, in occasione della Fiera Agricola-Industriale di Camagüey, il medico Rafael Tristá passò per l’Ospedale, non solo ammirò Padre Olallo per la preparazione professionale, ma notò con piacere che egli usava già le bende triangolari di Esmarch, diffuse in Europa proprio in quegli anni da un generale medico tedesco per il primo soccorso ai soldati feriti. Si noti che allora per i tre Ospedali di Camagüey v’era un unico medico, che vi passava sporadicamente, sicché era Padre Olallo a provvedere all’assistenza continua degli oltre ottanta malati del suo ospedale e ad eseguire interventi d’urgenza, per i quali aveva una valigetta di strumenti chirurgici, oggi esposta nel locale Museo Agramonte.
Codesto generale Ignacio Agramonte fu uno degli eroi della rivoluzione cubana e cadde al fronte l’11 maggio 1873. All’alba seguente gli spagnoli accompagnarono i feriti nell’Ospedale di Camagüey e con disprezzo abbandonarono sul selciato della piazza il cadavere del generale. Padre Olallo accorse immediatamente a rendere omaggio alla salma e col suo fazzoletto ne deterse il volto dal sangue e dal fango, poi la fece trasportare con la barella in Ospedale per rendergli cristiane esequie.
Quel gesto di rispetto e di coraggio gli valse l’ammirata gratitudine della popolazione, impedita dai soldati di manifestare personalmente la loro pietà per il glorioso concittadino caduto. Altra indimenticabile prova di coraggiosa difesa della dignità umana dei poveri e degli sconfitti l’aveva data fin dallo scoppio del conflitto nel 1868, quando il Brigadiere Juan Ampudia dispose di dimettere tutti i civili e ricoverare solo i militari; padre Olallo, sempre mite e rispettoso, questa volta corse a protestare energicamente da lui ed ottenne che almeno per i civili più gravi restasse aperta una sala che approntò d’emergenza.
Inoltre, quando dettero ordine che qualora giungessero feriti non governativi, doveva attendere un ordine scritto per assisterli, egli intrepidamente ribatté “che per lui non era possibile indugiare a salvare vite e che poi facessero pure di lui quel che credessero”. Quando la desolazione della guerra fece mancare ogni sussidio per l’Ospedale e non v’era con che pagare una lavandaia, padre Olallo non esitò a provvedervi di persona e lo vedevano recarsi sulla sponda del rio a lavare lenzuola e biancheria dei malati.
La premura di padre Olallo non si fermava però ai soli problemi d’ambito ospedaliero, ma si faceva carico d’ogni bisogno umano, in autentica sintonia col suo Fondatore San Giovanni di Dio, che mai inquadrava le persone dal solo punto di vista sanitario, ma accoglieva come un fratello in Cristo chiunque incrociava, sano o malato, ricco o povero, condividendone ogni ansia. Accenno qualche episodio in cui rifulse in padre Olallo l’immediata solidarietà e ferma difesa della dignità d’ogni essere umano.
Un giorno una schiava, buttata in strada dal proprietario che non voleva spendere denaro per curarla da una grave ascite, si rivolse a padre Olallo, che con periodiche estrazioni riuscì in qualche mese a rimetterla in sesto. Quando il vecchio proprietario la vide sanata, pretese di riappropriarsene, contro la prassi giuridica che garantiva la libertà agli schiavi scacciati che riuscissero a guarire. Ma come lo seppe padre Olallo, l’affrontò e lo costrinse a recedere dalla sua ingiustizia.
Non meno eloquente fu il comportamento di padre Olallo con un minorato mentale di nome Vincenzo, ma che tutti chiamavano Mamía. Abbandonato alla nascita, era stato accolto da padre Olallo e, grazie al suo fisico robusto, amava aiutarlo in Ospedale nei lavori pesanti. Un giorno il frate dette tre reali a chi allora amministrava l’Ospedale, pregandolo di comprargli un orologetto per questo giovane, ma gli fu obiettato: “Perché sprecare denaro per uno come Mamía?”. Egli sorridendo insistette: “Vincenzo è una persona già tanto colpita. L’orologio lo desidera e non si può negargli un piacere così innocente e che costa tanto poco”.
Anno dopo anno, padre Olallo proseguiva serenamente nella sua dedizione ai malati, ma intanto l’Ordine dei Fatebenefratelli andava sparendo da Cuba a motivo delle leggi di soppressione degli Istituti Religiosi. Nel 1841 fu deliberata la confisca dei nostri due Ospedali e l’affidamento ad una Giunta Amministrativa Civile. Ai frati era proibito indossare l’abito del loro Ordine e solo a chi era sacerdote era permesso di mettersi un colletto clericale.
Le due Comunità erano considerate disciolte ed i membri sollecitati a chiedere al vescovo un permesso di esclaustrazione per essere autorizzati a vivere per conto proprio: se lo ricevevano e se avevano sufficienti anni di Professione alla data della confisca, era loro concesso un sussidio governativo; in caso contrario, potevano tentare di farsi assumere come infermieri e restare a vivere insieme in Ospedale.
Due dei frati che erano nella capitale, fra Juan Bautista Molina e fra Juan Manuel Torres, non avendo gli anni per il sussidio ed essendogli stata rifiutata l’assunzione lì, l’ottennero invece a Camagüey, dove si ritrovarono assieme al padre Olallo e ad un unico altro frate, fra José de la Luz Valdés, che era il Priore e che godeva di tanta stima che il Governo decise di fare un’eccezione e lasciare a lui la gestione invece d’affidarla alla Giunta Provinciale di Carità.
Nel marzo 1845 il Priore morì e gli successe fra Juan Bautista Molina, che era in ruolo come Infermiere Maggiore, incarico che da allora passò a padre Olallo, che lo mantenne fino a morte. In una monografia su Camagüey, pubblicata nel 1888 da Juan Torres Lasqueti, viene così descritto il frate in quest’incarico che espletava ormai da oltre quattro decenni: “Di carattere buono, dolce e affabile di natura, dotato di autentica vocazione ospedaliera, vive esclusivamente dedicato alla sua estenuante missione di Infermiere Maggiore, di cui risponde giorno e notte, ed in più trova modo di medicare e distribuire bende e medicine ai poveri che accorrono alla sua cella per aiuto. Modesto, sobrio, senza aspirazioni di alcun genere, vive ritirato dalla società, totalmente consacrato all’esigente impegno che si è scelto volontariamente.
Nessuno lo vede fuori dell’Ospedale, dove invece lo si trova a tutte le ore, sempre pronto ad impiegare gratuitamente la sua ben nota competenza medico-chirurgica, acquisita in oltre mezzo secolo di fruttuosa pratica quotidiana”. Nel dicembre 1856 il Priore fu trasferito nella capitale ed il suo titolo fu assegnato dall’Arcidiocesi a padre Olallo, col quale ormai restava di Comunità a Camagüey solo fra Juan Manuel Torres, che però nel 1866 s’ammalò di lebbra e lo dovette assistere in stanza d’isolamento finché spirò nel 1876.
Al divenire Priore, padre Olallo fu dal Governo riconosciuto gestore dell’Ospedale, ma già nel settembre 1857 egli vi rinunciò per aver più tempo per i suoi malati e la Giunta Provinciale di Carità insediò dal gennaio 1858 un amministratore laico. Padre Olallo fu l’ultimo a sopravvivere dei Fatebenefratelli di Cuba e finché visse continuò a prodigarsi in Ospedale. Nel luglio 1888 redasse il testamento, lasciando ogni cosa ai poveri, compreso i circa duemila pesos di stipendi arretrati che gli spettavano come Infermiere Maggiore.
Agli inizi del 1889 la sua salute apparve così deteriorata che gli amici lo pregarono di farsi fotografare seduto al tavolo della sua modesta cella. Giorni dopo, gli chiesero di farsi fotografare con l’abito da frate, che egli conservava religiosamente, ma che era proibito indossare, sicché si rifiutò e solo dopo lunghe resistenze acconsentì, ma di controvoglia, tanto che nel volto non appare la sua abituale espressione di dolcezza.
Un aneurisma toracico ne stroncò la vita la sera del 7 marzo 1889, vigilia della festa del suo Fondatore San Giovanni di Dio, che gli diede il benvenuto nella vita eterna. Immenso il cordoglio della cittadinanza, che non solo accorse in massa a venerarne la salma ed a seguirne il funerale, ma espresse concretamente la sua gratitudine erigendogli per sottoscrizione popolare un monumento funebre in marmo italiano con nel fronte un ritratto scolpito in Spagna a Barcellona da Francisco Planas e sui lati tre commoventi didascalie, tra cui una che diceva: Questo monumento toccherebbe il Cielo, se lo formassero i cuori riconoscenti dei poveri che il padre Olallo assistette per 53 anni nell’Ospedale San Giovanni di Dio di Puerto Principe”.
Tra la folla accorsa ai funerali c’era un ragazzetto di nove anni, Manuel Arteaga y Betancourt, che conservò un forte ricordo dell’affascinante figura di Padre Olallo; diverrà poi cardinale e nel 1942, appena insediato come arcivescovo all’Avana, darà con commozione il benvenuto ai Fatebenefratelli, tornati a far rifiorire in Cuba il carisma ospedaliero da cui era sbocciata la santità di questo confratello, il cui messaggio non andò perduto, ma fu seme di nuove vocazioni, perfino prima del ritorno ufficiale dei Fatebenefratelli, una delle quali fu il Servo di Dio fra Jaime Oscar Valdés, caduto martire in Spagna nel 1936 e del quale si attende la proclamazione a Beato.
A Camagüey la popolazione non dimenticò mai padre Olallo e nel centenario della morte organizzò solenni celebrazioni, che convinsero i Fatebenefratelli a chiedere l’apertura del Processo di Canonizzazione, che venne autorizzato dalla Congregazione dei Santi il 7 febbraio 1990. Padre Felice Lizaso Berruete fu designato Postulatore della Causa, durante la quale fu raccolta una notevole documentazione, che tra l’altro permise a Francisco de la Torre Rodriguez di pubblicare nel 1994 a Barcellona quella che resta tuttora la più completa biografia di padre Olallo, intitolata “El Padre Olallo. Un Cubano Testigo de la Misericordia”.
Si procedette inoltre alla rituale ispezione della salma che, ricomposta in un’artistica urna, fu dall’8 marzo 2004 posta alla venerazione dei fedeli in un altare laterale della Chiesa dell’Ospedale. Il Processo si concluse felicemente il 16 dicembre 2006, quando Benedetto XVI firmò il Decreto che riconosceva l’eroicità delle virtù di questo Servo di Dio. A consentire la Beatificazione fu un secondo Decreto del Papa, promulgato il 15 marzo 2008 e che riconobbe come autentico miracolo l’istantanea guarigione avvenuta il 18 settembre 1999 di un linfoma di cui stava morendo a Camagüey la bambina Daniela Cabrera Ramos, come raccontammo nell’ottobre 2007 nelle pagine di “Vita Ospedaliera”.
La Beatificazione si svolgerà all’aperto la mattina del 29 novembre a Camagüey, nella Plaza de la Caridad, e sarà presieduta dal card. José Saraiva Martins, Prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi. Nel calendario liturgico dell’Ordine la celebrazione annuale di questo nostro nuovo Beato ricorrerà il 12 febbraio, essendo parso opportuno scegliere in questo particolare caso il giorno della sua nascita terrena invece di quello della sua nascita al Cielo, onde evitare che il 7 marzo tale celebrazione andasse a sovrapporsi alla conclusione della tradizionale novena in onore del Fondatore dei Fatebenefratelli.
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