L’Immacolata nell’arte
Foto 1
Antonio de Pereda ( 1608 ca.- 1678), Immacolata. Lione, Museo di Belle Arti.
Foto 2.
Juan Valdes Leal, “La Vergine Immascolata tra gli angeli”, National Gallery, Londra
Foto 3
Charles Mellin. L’Immacolata Napoli, Chiesa di Donnaregina Nuova.
Foto 4
Francisco de Zurbaràn. L’immacolata Concezione. Barcellona, Museo di Arte Catalana.
Foto 5
Piego Velasquez ( 1599–1660), Immacolata. Londra, National Gallery.
Foto 6
Gianbatrista Tiepolo (1696- 1770), Immacolata. Madrid, Museo del Prado.
Foto 7
Leonardo da Vinci (1452- 1519), Immacolata-La Vergine delle Roccie. Londra, National Gallery.
Foto 8
Murillo, Immacolata. Londra, National Gallery.
Foto 9
Gian Battista Piazzetta, Immacolata. Parma, Pinacoteca.
Foto 10
Francisco de Zurbaràn. Immacolata. Guadalaiara, Museo Diocesano di Siguenza.
Foto11
Francisco de Zurbaràn, L’Immacolata Concezione- particolare. Guadalaiara, Museo Diocesano di Siguenza
Foto 12
Foto 13
Giuliano di Jacopone Bandino Panciatichi, l’Immacolata. Pistoia, Chiesa della SS. Annunziata.
Fig. 14
Bartolomeo Estèban Murillo., Immacolata. Madrid. Museo del Prado.
Foto 16
Edicola dell’800 ( S. Apollinare – Fr) in ceramica di scuola napoletana, restaurata nel 2005 dalla Sovrintendenza dei Beni Culturali del Lazio
Dobbiamo risalire alla fine del ’400 alle composizioni che mostravano Maria purissimo concetto esistente nella mente di Dio. Maria è sempre nel centro: ha aspetto giovanile di ragazza, quasi ancora bambina, con i capelli lunghi, neri e sciolti; è sospesa fra il ciclo e la terra, ha le mani giunte ed è immersa in profonda adorazione. Dio dall’alto del ciclo la contempla e vedendola così pura, esclama: “Tutta bella sei, o amica mia, e in te non v’è macchia”. Cortei di angeli sono in profonda ammirazione.
La liturgia applica a Maria le parole del Siracide: “Sono cresciuta come un cedro sul Libano come un cipresso sui monti dell’Ermon Sono cresciuta come una palma in Engaddi come le piante di rose m Gerico, come un ulivo maestoso nella pianura sono cresciuta come un platano. Come cinnamomo e balsamo ho diffuso profumo come mirra scelta ho sparso buon odore; come galbano, onice e storace, come nuvola di incenso nella tenda. Come un terebinto ho esteso i rami e i miei rami sono rami di maestà e di bellezza. Io come una vite ho prodotto germogli graziosi e i miei fiori, frutto di gloria e di ricchezza Avvicinatevi a me, voi che mi desiderate, e saziatevi dei miei prodotti. Poiché il ricordo di me è più dolce del miele, il possedermi è più dolce del favo di miele. Quanti si nutrono di me, avranno ancora fame e quanti bevano di me, avranno ancora sete” (24,13-20).
Gli artisti per rendere meglio la pura bellezza di Maria, scelsero le più soavi espressioni della Scrittura che si leggevano nelle preghiere delle feste dell’Immaco-lata e dell’Assunta e le hanno poste intorno a Maria.
Così tutte le cose belle divennero un riflesso della bellezza di Maria e divennero gli emblemi dell’Immacolata. Essi si trovano sempre nelle prime composizioni, vi occupano quasi sempre lo stesso posto e sono talora accompagnati dalle relative scritte Essi sono, a destra di Maria: il sole (electa ut sol); la luna (pulchra ut luna); una porta turrita di città (porta coeli); una pianta (exaitata ut cedrus) ; un roseto (plantatio rosae); un virgulto fiorito (virgo, lesse floruit); un pozzo (puteus aquarum viventium); giardino con siepe (hortus conclusus). Alla sinistra di Maria troviamo: una stella (stella matutina); un giglio (sicut lilium inter spinas); una città turrita (turris David); un ramo d’olivo (oliva speciosa); uno specchio (speculum sine macula); una fonte (fons hortorum); una grande città con mura e torri (civitas Dei).
Talora qualche simbolo manca, talora se ne trovano di nuovi, o ai vecchi simboli sono messe scritte nuove. Ad esempio: la scala di Giacobbe (scala Jacob); un giardino (hortus voluptatis); una fonte (fons gratiarum); un fiore (flos campi) ; un palazzo (domus Dei); l’aurora (aurora consur-gens); un filo di fumo (sicut virgula fumi ex aromatibus); l’arca delle tavole della legge (foederìs arca); un vaso (nardus odoris oppure nardus odorifera, oppure myrrha o myrrha electa); una stella (stella non erratica); una finestra (fenestra coeli)…
Qualche particolare fu preso dagli schemi già studiati; così dalla rappresentazione apocalittica dell’Immacolata fu tolto il motivo delle dodici stelle, la luna sotto i piedi e talora il dragone che insidia; e dalla rappresentazione di Maria, “figlia” privilegiata di Adamo, fu tolto il particolare del serpente cui viene schiacciata la testa. Citiamo alcuni esemplari fra i più antichi. Nella chiesa del Cerco ad Artajona (Navarra) vi è una tavola che presenta il nuovo schema ed è datata 1497. La Vergine tota pulchra occupa gran parte del centro del quadro, con le sue mani giunte, assorta in meditazione. Un grande Eterno Padre, posto in alto, la sta ammirando.
Ai suoi lati vi sono due file di simboli, posti uno sull’altro senza preoccupazioni per la prospettiva, come se fossero tanti quadretti a se stanti. A destra di Maria, dall’alto in basso, troviamo: il sole, la luna, la porta del cielo, il cedro, il roseto, il pozzo, la verga di Jesse, l’orto recintato.
Alla sinistra: la stella del mare, il giglio, l’olivo, la torre di Davide, la fonte, lo specchio, la città di Dio. Nel 1505 questo schema veniva riprodotto in una incisione da Thielman Kerver, a Parigi, e diffuso in un “Libro d’ore”. Nel 1513 veniva riprodotto in pietra da Des Aubeaux come pala d’altare per la chiesa di San Gervaso a Gisors (Eure) con alcune varianti. Anzitutto, al di sopra dell’Immacokta, vi sono tutte e tre le Persone della Trinità, poi, due angeli sostengono una corona sul Capo della Madonna. Anche nella disposizione dei simboli vi sono delle varianti. A destra di Maria, dall’alto in basso: là palma, la porta celeste, il pozzo, la rosa, la fonte, la luna, la stella, lo specchio; a sinistra: il sole, l’orto, la torre, il giglio, la città, lo stelo di Jesse, il cedro.
Altro bassorilievo col nuovo schema è quello del 1564, conservato nella chiesa di S. Arè di Decize (Nièvre), chiamato La Vergine delle litanie. Anche nelle vetrate fu riprodotto molto presto: lo si trova in una vetrata di S. Fede a Conques e in una di Saint-Alpin a Chalons, ambedue del secolo XVI. Sempre in Francia, nella cattedrale di Bayeux si conserva un’Immacolata secondo il nuovo schema, dell’epoca di Luigi XIII, che ricordiamo perché pone i simboli in quattro file, ed inoltre ne presenta alcuni molto rari, come: l’arca del Signore, la scala di Giacobbe, la porta di Salomone, l’albero della vita, il vello di Gedeone e l’incensiere.
In Italia il nuovo schema fece più fortuna che non altrove, e lo si trova subito dopo i primi anni del ’500 diffuso un po’ ovunque. Tra i primi pittori che lo usarono nei loro quadri ricordiamo Bernardo Castello. In Spagna uno dei primi pittori fu Juan de Juanes (1506-1572). Egli dipinse Maria, con la luna sotto i piedi circondata da simboli, in due quadri: uno è conservato nella chiesa dei Padri Gesuiti di Valencia e uno nella sacrestia di Sot de Ferrer di Castellon de la Plana. Anche gli artisti cinquecenteschi della Scuola di Cusco in Perù seguono questo schema.
Qualche artista vorrà mantenere l’usanza di porre i simboli ai lati di Maria, però sostenuti da angeli e con armoniosa prospettiva. Ne riportiamo un esempio famoso: La Purissima di Josè de Ribera, di Valencia. Essa fu dipinta a Napoli per conto del viceré di quella città Don Manuel de Fonseca y Zuniga, conte di Monterrey. Costui fondò a Salamanca il convento delle Agostiniane Recollette e la loro chiesa pubblica per custodirvi il prezioso quadro. I lavori durarono dal 1636 al 1687. La Purissima vi trovò una sede degna, e anche oggi continua a destare ammirazione di tutti per la sua incomparabile bellezza. La Vergine è veramente la purissima contemplata nella mente di Dio dagli angeli estatici. Il Padre compare dall’alto per mostrarla e lo Spirito Santo aleggia su di lei. Intorno vi sono i soliti simboli trasportati dagli angeli: la rosa, il giglio, lo specchio, il tabernacolo, l’ulivo. Sulla porta del cielo brilla la stella. Tutto ciò si ritroverà anche in Charles Mellin (fig. 3).
Ben presto però gli emblemi vengono riportati a terra ove in un primo tempo li troviamo in ordine sparso, poi sempre più fusi con il paesaggio. Ad esempio, li troviamo per terra in una miniatura del Breviario Grimani della Biblioteca di Venezia, intitolata Hortus conclusus e da alcuni attribuita al Memling. In terra vi sono tutti i simboli di Maria Immacolata: il puteus aquarum viventium, l’hortus conclusus, il giglio, la porta turrita, la civitas Dei, l’oliva speciosa, la Virga Jesse, lo specchio tenuto da un angelo, la stella marìs. In alto, librata nell’etere, una piccola Immacolata al di sopra della quale l’Eterno Padre le dice “tota pulchra es amica mea et macula non est in te”.
Il Greco, nel dipinto che si trova alla National Gallery di Londra, ha posto gli emblemi dell’Immacolata per terra ancora ben distinti dal paesaggio. Si vede il tempio d Dio, il pozzo di acque vive, la fonte, il giglio dei campi, il cespuglio di rose, la palma, il cipresso e, in lontananza il sole, la luna, la città turrita e l’aurora che sorge. Maria è sempre una pura idea della mente di Dio, ammirata dagli angeli estatici. Se ha un corpo, è di sostanza e di bellezza tanto pura quanto pura è la luce immateriale che la esprime. Si noti la presenza dello Spirito Santo e la scomparsa dell’Eterno Padre. Vedi anche VImmacai dello Zurbaran (fig. 4).
La “Concezione” di Francesco Vanni (1563-1609), venerata nella collegiata di Montalcino, riporta ancora distinti emblemi dell’Immacolata, però sempre più fusi con il paesaggio. In lontananza v’è la porta del ciclo, la scala del paradiso, la torre di Davide, la città turrita, il tempio di Dio, il pozzo, il platano lungo le acque correnti, il fiore del campo, il cespuglio di rose, il cipresso. Alla sinistra di Maria v’è l’orto recintato, la palma, la fonte, l’olivo, i giglio delle convalli e lo specchio senza macchia. Nel ciclo è ben visibile la stella del mattino, sotto la quale annuncia un’alba, l’aurora consurgens. Il sole e la luna sono ai lati del bellissimo Eterno Padre che insieme allo Spirito Santo contempla l’idea della sua purissima figlia. Costei ha, eccezionalmente, il bambino in braccio, che però vi è forse introdotto come Verbo di Dio che contempla la futura madre, che rimane come assente da lui. L’artista preso anche elementi dalla donna dell’Apocalisse e,cioè la luna sotto i piedi e le dodici stelle intorno al capo. Inoltre, dalla rappresentazione della “figlia” privilegiata di Adamo, ha preso il dragone che ella schiaccia con il piede immacolato.
In un’altra innovazione più tardiva, che non riflette più nei simboli, l’ordine delle precedenti composizioni, questi sono posti in terra, così fusi con il paesaggio da non distinguersi che a fatica. È un quadro di Giuliano di Iacopo di Bandino Panciatichi, del 1523 (fig. 13). Medesima innovazione comincia ad osservarsi nel dipinto dell’Immacolata di Charles Mellin (1600-1649) venerata a Napoli nella chiesa di Santa Maria Donnaregina Nuova: l’Eterno Padre è nell’atto di ammirare questa sua perfetta idea e di mostrarla al creato. L’immacolato concetto di Dio è circondato da angeli che sostengono alcuni simboli: lo specchio senza macchia, l’olivo della pace che cominciò a regnare con la venuta di Maria, la stella del mattino che preannuncia la nascita del sole, la scala che porta al cielo (altro simbolo di Maria che è scala al paradiso) e finalmente lo scettro e la corona di rose, segni della sua regalità; in alto a sinistra si vede anche la corona di dodici stelle. Sotto i piedi di Maria v’è la luna e il demonio, nel simbolo (il serpente) e nella realtà. In terra v’è il sole che sorge (aurora consurgens), il cipresso, e nell’angolo di destra (di chi guarda), la città murata, la palma, e la torre di Davide (fig. 5).
Anche il Velazquez nella sua Immacolata (National Gallery di Londra) pone in terra il tempio, l’aurora, la fonte di acqua viva, il platano, la città turrita (fig. 14). Talune Madonne del nostro Rinascimento, poste in un paesaggio di eccezionale bellezza naturale, per essere capite devono essere vedute alla luce dello schema dell’Immacolata, idea purissima di Dio, posta in un mondo di ideale bellezza. Così, ad esempio, la Vergine delle Rocce di Leonardo da Vinci.
Fu commissionata al grande artista dalla Confraternita della Concezione, il 25 aprile 1483, per la loro cappella posta nella chiesa di San Francesco Grande a Milano. Egli doveva eseguirla in collaborazione con i fratelli Ambrogio ed Evangelista De Predis, che dovevano preparare la cornice con rilievi e figure, e il tutto doveva essere presentato finito per la festa dell’Immacolata di quell’anno, cioè l’8 dicembre 1483.
In seguito a dissapori con i due fratelli, Leonardo non volle più collaborare con essi e fece il quadro indipendentemente dalla cornice. Soppresse anche i profeti (che nel contratto si trovano menzionati) e li ridusse ad uno solo: san Giovannino (fig. 7). 1 critici, pur non sapendo di trovarsi di fronte ad una Vergine Immacolata, hanno sempre rilevato nel quadro di Leonardo una insolita atmosfera religiosa ed un sublime senso mistico. “Se il Leonardo è rimasto indietro quale pittore della luce, nessuno suscitò col chiaro-scuro sensi acutissimi di mistero e di religioso sgomento come nella Vergine delle Rocce”, scrisse il Berenson.
Maria è la creatura immacolata prescelta da Dio prima del tempo come madre di Dio e collaboratrice alla redenzione del genere umano, “posta dal pittore in un recesso fuori della vita e del tempo, in mezzo alla rappresentazione poetica delle cose che per lei e per il Cristo vennero fatte”.
La presenza di Giovanni riassume i profeti che hanno preannunciato l’Immacolata e l’abbiamo già trovata in Raffaello e nel Parmigianino. Forse però allude anche alla Passione di Cristo e quindi alla missione di Maria come madre della vittima e corredentrice, missione che era la ragione di essere della sua Immacolata Concezione.
Il tipo di Immacolata fissato da Leonardo ebbe moltissimi imitatori. Esistono opere del secolo XVI in relazione con la sua ad Affori e ad Asola, e vengono chiamate Immacolata. Ad essa si ispirò Cesare Magni pure nel secolo XVI (Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte); Jacopo Sansovino (Venezia, Loggia del Campanile di San Marco); Raffaello, Luini, Correggio e tanti altri artisti grandi e umili.
La cosiddetta Madonna col bambino e san Giovannino del Correggio conservata al Prado è certamente un’Immacolata che imita quella del Leonardo. L’idea di Maria, concetto immacolato nella niente di Dio, piacque tanto che fu introdotta anche nelle composizioni dell’Immacolata che già conosciamo: così abbiamo delle “Dispute” ove invece di trovare la Madonna nella sua vita terrena come si vede in Palmezzano, o nel simbolo di Ester, la si trova come idea immacolata nella mente di Dio. Ne citiamo un esempio superbo “La disputa dei dottori sulla Immacolata Concezione” di Giovanni Antonio Sogliani, discepolo di Lorenzo di Credi.
L’Eterno Padre guarda con ineffabile compiacenza a questa sua purissima idea. Due angioletti gli sollevano il manto d’ambo i lati con un gesto che già si trova nel quadro della Concezione e vari Santi di Francesco Zaganelli da Cotignola, conservato a Forlì. Giunto a questo punto il lettore stesso comprenderà come si sentisse negli artisti e nel popolo il desiderio di semplificare lo schema e di ridurlo alle sue parti essenziali. È così che verso la fine del secolo XVI si giungerà finalmente alla più perfetta e sublime composizione dell’Immacolata che poi resterà invariata fino ai giorni nostri. Citiamo qualche esemplare. Cesare Fracanzano riduce la scena all’Immacolata, all’Eterno Padre e a due angeli. L’Eterno Padre è nell’atto di contemplare e di mostrare l’idea purissima di Maria nella propria mente. Il Sogliani ci ha mostrato il Padre quasi nell’atto di far uscire l’Immacolata di sotto il suo manto; nel Francanzano il Padre sembra voglia farla uscire da un velo.
Il Murillo che talora aveva introdotto anche alcuni fedeli a contemplare l’Immacolata e a condividere l’estasi degli angeli, poi li sopprimerà. Solo Dio, dall’alto, contempla questa sua purissima idea in mezzo all’estasi di piccoli angeli (fig-61). Qualche autore preferirà porre al posto dell’Eterno Padre lo Spirito Santo, forse per ricordare che Maria è il capolavoro dell’attività della terza persona della Trinità. Così il Tiepolo nella sua Immacolata accanto alla quale lavorò anche il figlio Domenico (fig. 14). Il Piazzetta preferisce la sola Immacolata (fig. 9). E fra queste due tipologie oscilleranno gli artisti posteriori e moderni (fig. 2).
Dal ’500 ai nostri giorni si può dire che nessun pittore ha saputo resistere alla tentazione di dipingere l’Immacolata, tanto è il fascino che emana da questa composizione: Jean Bellegambe, che finiva il suo Trìttico dell’Immacolata nel 1526 (Douai, Museo); il Reni (Forlì, San Biagio); Juan Valdes Leal (Amburgo, Collezione privata); il Ribera (Madrid, Prado); il Velazquez (Londra, National Gallery); Annibale Carracci (Bologna, Pinacoteca); il Van Dyck (Firenze, Galleria degli Uffizi); Giuseppe Odazzi, 1665-1731 (Roma, Santa Maria dell’Orto); C. Francesco Nuvolone (Malnate, chiesa parrocchiale); lo Zurbaràn (fig. 10). Costui iniziò la sua carriera di pittore con una Immacolata nel 1612, sedicenne, e la finì nel 1662 a 66 anni di età con un’altra Immacolata che si ammira nel Museo di Budapest.
Anche il Murillo, già citato, ha una ventina di quadri della Immacolata Concezione (figg. 8, 14). A Venezia, nella chiesa di San Vitale, è venerata la bellissima Immacolata di Sebastiano Ricci. A Madrid, al Prado, si ammira quella del Rubens e a Lione, nel Museo di Belle Arti, quella di Antonio de Pereda (fig. 1); a Toledo, al Museo di S. Cruz, le due Immacolate di Scuola madrilena del XVII secolo. Un nuovo particolare ha aggiunto all’iconografia dell’Immacolata il pittore Giovanni Tagliasacchi (1737c.) nella sua tela conservata nella chiesa di San Lorenzo a Cortemaggiore (Piacenza): l’Eterno Padre vi contempla Maria e le pone in capo una fulgida corona davanti agli angeli estasiati. Nella scultura questo schema dell’Immacolata fu prediletto, soprattutto, in Germania. Ve ne è una in avorio della Scuola del Giambologna, ricordiamo la bella statua dell’Immacolata di C. Wenzinger, conservata nel Museo agostiniano di Friburgo; di I. Guenther, nella chiesa parrocchiale Weyarn; di J.A. Feuchtmyer, nella chiesa parrocchiale di Birnau sul Bodensee.
A Genova nell’Oratorio di San Filippo, è venerata una Immacolata del grande scultore francese P. Puget. In Italia poi molte città hanno elevato statue all’Immacolata nelle pubbliche piazze: ricordiamo quella celeberrima di Napoli, quella di Giovanni Lazzoni innalzata a Lucca nel 1687, quella di Roma in Piazza di Spagna, quella di Piacenza… Dei tempi più vicini a noi ricordiamo l’Immacolata Concezione del Maccari nella Santa Casa di Loretc; le due del Seitz a Loreto e nella basilica di San Lorenzo al Verano a Roma; quella di G. Szoldatics, conservata nei Palazzi Apostolici Vaticani; quella su vetrata di R. Albertella, inaugurata nel 1954 per il centenario della definizione del dogma, nella cattedrale di Genova; quella di F. Asco in marmo, inaugurata nella stessa solennità, l’I settembre 1954 a Trieste; e quella di Ernesto Bergagna, affrescata nella cappella del Seminario teologico di Venegono. Costui, guidato da quella grande anima di artista e di santo che fu mons. Giuseppe Polvara, egli pure architetto e pittore, eseguì nell’abside di quella cappella una grandiosa composizione dell’Immacolata, densa di pensiero teologico, Maria che apre soavemente le braccia ha lo sguardo assorto in ciclo; essa vede in se stessa l’adempimento del disegno di salvezza del genere umano, promesso ai nostri progenitori e che finalmente si attuerà per tutte le generazioni future. Posta così fra due età del genere umano, Maria le domina, le avvicina nel mistero del suo figliuolo, di cui essa ha la chiave. E’ lei l’alba del riavvicinamento dell’umanità a Dio e perciò è sospesa fra ciclo e terra, fra miriadi di stelle, quasi nuova costellazione di buon augurio e di pace per l’umanità. E, difatti, sopra di lei c’è solo l’Eterno Padre che stende le braccia in un gesto ampio e misericordioso, quasi impaziente di riabbracciare i suoi figli che la nascita dell’Immacolata gli assicura che presto potrannc ritornare a lui. Al di sotto del Padre aleggia lo Spirito Santo, pronto a ispirare, guidare e compiere l’opera redentrice del futuro Messia, che Maria portò già nel suo cuore spiritualmente, prima ancora di concepirlo nel suo seno immacolato. Maria tiene fra le mani un velo, che anticamente era simbolo di protezione, e che qui le serve per sostenere il bambino.
Schiere di angeli, come nubi che salgono nel silenzio dell’universo, cantano ed esaltano la loro regina. Al di sotto di Maria v’è la città di Dio, simbolo della Chiesa, come è descritta da Isaia (51,11-12), da Ezechiele (43,30-35) e da Giovanni stesso (Ap 21,10-27): con le sue torri e le sue cupole, cinta di mura di marmi rari, con le porte ornate di pietre preziose. Ogni porta è custodita da un angelo.
Dopo le apparizioni di Lourdes l’iconografia dell’Immacolata si è, il più delle volte, limitata, a ripetere la scena dell’apparizione di Maria a Bernardetta. Maria è vestita di bianco, con le mani giunte e gli occhi rivolti al ciclo, una fascia azzurra la cinge e due rose d’oro le ornano i piedi.
L’Immacolata nell’arte dei Paesi di Missione.
La composizione iconografica dell’Immacolata ha ricevuto un nuovo impulso dall’arte dei Presi di Missione, con l’aggiunta di nuovi elementi, estranei alla nostra cultura.
Nel Museo Laterano è conservata una statua dell’Immacolata alta cm. 65, proveniente dall’Annam e scolpita da un indigeno nel 1890 circa. Maria ha il serpente e la luna sotto i piedi. Appoggia su una roccia che sorge dal mare, motivo tipicamente buddista. Non è questo il solo particolare tolto dall’iconografìa buddista. La mantellina della Madonna dalle volute a fior di loto, i capelli del bambino, identici a quelli di Budda, ci dicono l’influenza dell’arte annamita su questa statua. Al tema delTlmmacolata sono stati particolarmente sensibili gli artisti indiani. Padre Heras così descrive una statua in avorio fatta scolpire ad artisti indiani: “La Madonna è vestita con il caratteristico sari indiano, tanto modesto quanto elegante e artistico. È rappresentata come è descritta da san Giovanni: vestita di sole (che si vede dietro la testa) con la luna sotto i piedi e una corona di dodici stelle sul capo. La corona è di stile indiano. L’immagine è posta su un fior di loto che ha un significato simbolico molto prezioso. Il fior di loto nei laghi e nelle fontane appare senza visibile connessione alla terra. Perciò coloro che stanno sul fiore sono esenti dalle imperfezioni e impurità terrene. Come il giglio è simbolo di purezza in Europa, così lo è in India il fior di loto. L’arco che si sviluppa dietro l’immagine è caratteristico delle sculture indiane.
In sanscrito si chiama prabhavali che significa cammino di luce ed equivale alla nostra aureola. Nella parte superiore, ove le immagini indiane mostrano spesso una testa di leone simbolica e puramente ornamentale, noi abbiamo posto la colomba dello Spirito Santo, autore delle meraviglie che si attuarono in Maria”.
Luca Hasegawa, artista giapponese, ci ha dato pure un’Immacolata, che forse i posteri apprezzeranno come un autentico capolavoro. “In essa – scrisse il card. Costantini – la corporeità sparisce nello splendore di una insuperabile spiritualità” il giglio è divenuto un ornamento del suo vestito.
La concezione buddista della vita, e il modo con il quale questa percezione viene resa in arte, possono forse fornirci qualche bella e utile ispirazione artistica per una composizione dell’Immacolata.
Il Buddismo primitivo ha insegnato che tutto quello che noi chiamiamo regno della realtà, regno dell’esistenza, non è altro che un regno del divenire, e quindi del fenomeno, dell’illusorio.
Questo regno fu chiamato samsara che significa corrente ed in arte fu rappresentato come un fiume straripante o un mare agitato, che tutto inghiotte, tutto trasforma, è in continuo moto e mai non s’arresta. Di qui l’importanza che il mare assume nell’arte buddista.
Volete rappresentare la vita? Ecco una mare coi suoi flutti agitati sui quali galleggia un vecchio tronco dal ramo fiorito. Forse tutti noi abbiamo visto questa scena in qualche raccolta d’arte cinese, giapponese o tibetana.
Quei flutti rappresentano l’instabile divenire della vita: quel tronco morto, la vita che ha ceduto; quel ramo fiorito, la vita che si rinnova.
Altro quadro tipicamente buddista e che si ispira agli stessi concerti è il seguente: in primo piano si vede il mare spumeggiante; da esso, immobile, fiammeggiante, si eleva un fìor di loto: fra i petali, gelosamente custodito, sfavilla un gioiello.
I buddisti sentono l’incanto di questo quadro. Essi vedono che in mezzo al fluttuare del mare del divenire c’è qualcosa che sta, che è perenne: è la dottrina di Budda, rappresentata dal gioiello che sfavilla tra i petali del loto: il loro cuore si commuove e lascia erompere la preghiera che è adorazione ed estasi (tratto da: G. M. Toscano, La vita e la missione della madonna nell’arte. Volume I La Madonna “in mente Dei”, Carlo Pellerzi Editore, 1989)
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