L’OSPITALITA’ AMOROSA E PREMUROSA DI SAN GIOVANNI DI DIO – + Gianfranco Ravasi
Posted on novembre 6th, 2009 by Angelo
Il primo ospedale di San Giovanni d Dio
L’ospitalità amorosa e premurosa
di San Giovanni di Dio
Gianfranco Ravasi
Cesare Lombroso (1835-1909), psichiatra veronese, inventore dell’antropologia criminale e di estrazione certamente non religiosa, aveva scritto che San Giovanni di Dio, il fondatore dei Fatebenefratelli era stato “il creatore dell’ospedale moderno”, anzi, il maggior “riformatore per quanto concerneva il trattamento dei malati”. Questo riconoscimento partiva dall’attenzione che il santo –in un’epoca ancora lontana dall’assistenza ai miseri e agli ultimi (eravamo, infatti, nel ‘500)– aveva riservato non solo alle anime (“Vale più un’anima di tutti i tesori del mondo”, era solito affermare) ma anche ai corpi sofferenti tant’è vero che nel IV centenario di fondazione dell’Ordine dei Fatebenefratelli il papa Pio XI dirà di lui: “Con l’occhio acuto della fede egli penetrò sino in fondo al mistero che si nasconde negli infermi, nei deboli e negli afflitti; e consolandoli, di giorno e di notte, con la presenza, con le parole, coi medicamenti, era convito di prestare quei pietosi uffici alle membra dolenti del Redentore”.
Noi in questi due ultimi anni abbiamo dedicato la nostra rubrica a un unico tema, quello del corpo, descritto nel suo significato completo di realtà fisica e di segno dell’interiorità. L’abbiamo fatto alla luce della Bibbia che è una religione della storia e dell’Incarnazione, consapevole che questa nostra carne ha avuto in sé anche la presenza del Figlio di Dio.
Vogliamo ora concludere questo nostro itinerario puntando su un aspetto particolare ma significativo e altrettanto realistico, quello dell’ospitalità. Non
dimentichiamo, infatti, che la parola “ospedale” deriva appunto da “ospitare” e che il nome ufficiale dei Fatebenefratelli è “Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio”.
Non per nulla il santo fondatore iniziò la sua missione ospitando nella notte, a Granada, nell’atrio di un palazzo signorile i miserabili che egli incrociava per le strade. Ora, è noto che in Oriente l’ospitalità è una realtà sacra e intangibile: chi, entrando nella tua casa, chiede di essere ospitato, diventa un membro della famiglia. Si era, così, codificata una norma per l’accoglienza e per il rispetto dell’ospite, anche se straniero.
La Bibbia offre al riguardo una testimonianza significativa che è ancor oggi valida, in tempi di sospetti e di paure, anche legittime, ma di illegittimi razzismi, xenofobie, prevaricazioni. Già nel Decalogo, quando si parla del riposo sabbatico, si ricorda che ad esso ha diritto anche “il forestiero che dimora presso di te”. Anzi, egli potrà essere ammesso –se ha il cuore aperto e sincero – anche al culto nel tempio, “casa di preghiera per tutti i popoli” (Isaia 56, 6-7). I profeti, infatti, vedranno confluire verso Sion una processione di popoli, attratti dalla parola del Signore, così da diventare tutti fratelli, pronti a “non alzare più la spada contro un altro popolo” (Isaia 2, 2-5).
Il profeta Sofonia rappresenterà tutti i popoli riuniti a pregare Dio in perfetta parità: “Io darò ai popoli un labbro puro perché invochino il nome del Signore e lo servano tutti spalla a spalla” (3, 9). Ancora Isaia, riflettendo una sorprendente apertura che si faceva strada in mezzo a un certo integralismo ebraico chiuso a riccio, allora diffuso, scriveva: “Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: certo, il Signore mi escluderà dal suo popolo!” (56,3). Dio, infatti, accoglie tutti coloro che, direttamente o implicitamente, lo onorano con la loro vita retta e con la coscienza pura. Ma è non solo un’accoglienza religiosa quella che la Bibbia presenta già nell’Antico Testamento.
Significativo è il fatto che, nella società, unica dev’essere la legislazione per l’ebreo e per lo straniero: “Vi sarà una sola legge per il nativo e per lo straniero che è residente in mezzo a voi” (Esodo 12, 49). Anche lo straniero che è entrato nella nostra terra e che non commette crimini ha diritto al rispetto, alla tutela e all’amore:
“Quando un forestiero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non dovete fargli torto. Il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato tra voi; tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto” (Levitico 19, 33-34). Anzi, lui pure avrà diritto alla protezione della suprema “cassazione” divina perché “il Signore protegge lo straniero”, così come tutela l’orfano e la vedova, ossia le creature più deboli e indifese nelle società (vedi il Salmo 146, 9).
Naturalmente l’ospitalità amorosa e premurosa è esaltata anche nel Nuovo Testamento, essendo un corollario necessario di quell’amore destinato ad estendersi ormai persino ai nemici.
La Lettera agli Ebrei ammonisce: “Perseverate nell’amore fraterno e non dimenticate l’ospitalità: alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo” (13, 1-2). Curiosa è la parabola del buon Samaritano che ha al centro proprio un escluso, un “diverso” (come erano considerati i Samaritani da parte degli Ebrei): eppure è lui che diventa un maestro e un modello di carità e di ospitalità. E Gesù, nel grande affresco del giudizio finale, centrerà proprio sull’accoglienza degli ultimi, dei bisognosi e degli emarginati il criterio di accoglienza nel regno di Dio: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno…
Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi” (Matteo 25, 34-36).
Ciò che si fa a uno dei miseri, anche senza averne consapevolezza, lo si fa a Cristo stesso. Lui che è venuto per eliminare tutti i muri che dividono gli uomini tra di loro, come aveva ricordato San Paolo: “Cristo è la nostra pace, lui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia…, per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo… Così voi non siete più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio” (Efesini 2, 14.16.19). E continuava: “Non c’è distinzione tra giudeo e greco, dato che egli è il lo invocano… Non c’è più giudeo né greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo”.
Da FATEBENEFRATELLI OTTOBRE/DICEMBRE 2006
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