Granada e San Giovanni di Dio – Giuseppe Magliozzi o.h.
Granada e San Giovanni di Dio
Tra i più tipici oggetti ricordi che vengono offerti in vendita ai turisti di Granada ci sono delle ceramiche con l’invito a far l’elemosina al cieco, poiché non esiste pena maggiore che vivere a Granada e non aver occhi per ammirarne la bellezza. Davvero Granada è una città affascinante, ma una parte del suo fascino è in cose che non occorre vedere, ma basta sentire; una di queste è il legame viscerale che gli abitanti di Granada, secolo dopo secolo, continuano a provare per la figura del nostro Fondatore San Giovanni di Dio, un umile portoghese che, arrivato a Granada, non solo non seppe più staccarsene ma, docile al soffio dello Spirito, si consumò in un’epopea di carità, la cui fiamma s’è propagata da allora in tutto il mondo.
In questo mese di novembre è morto a Madrid, alla veneranda età di 103 anni, uno dei più illustri figli di Granada, Francisco Ayala, docente universitario ed autore d’innumerevoli opere di saggistica e di narrativa, per le quali ottenne i più prestigiosi premi letterari spagnoli. Visse per lunghi decenni in America, ma Granada non gli uscì mai dal cuore.
Quando la Spagna mon aveva ancora adottato l’euro, ebbi occasione di comprare per solo 100 pesetas un libro ultratascabile del 1993, formato 10 x 15, con due sue novelle brevi, di cui una intitolata “San Juan de Dios”. Lo scrittore la scrisse in Argentina nel 1947 e la inizia confidando che rimaneva vivissimo in lui il ricordo infantile di un ritratto di San Giovanni di Dio che troneggiava nella casa di famiglia a Granada e che raffigurava il Santo nel momento della sua morte in ginocchio, stringendo il crocifisso.
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Quel ricordo indelebile lo spinse a leggersi una biografia del Santo ed a utilizzarne giusto alcuni spunti: la clamorosa conversione ascoltando predicare il Maestro Avila, la capacità di riconciliare nemici irriducibili e mutarli in suoi collaboratori a servizio dei sofferenti, la sensibilità per l’infanzia abbandonata, l’umiltà d’accettare insulti durante la questua e l’abilità di guadagnarsi come benefattrice qualche nobildonna. Su questi pochi spunti lo scrittore ricamò con lussureggiante fantasia, intrecciando intorno ad appena quattro personaggi un’intrigante e fitta sequenza di imprese e dialoghi dai colori violenti e drammatici, che avvince il lettore fino al tragico epilogo durante un’ipotetica peste, che in realtà sappiamo mai colpì Granada in quegli anni.
Mi piace immaginare che se, come spero, il Buon Dio avrà già misericordiosamente accolto in Cielo lo scrittore, il nostro Santo gli muoverà incontro sorridendo e gli dirà: “Grazie, caro amico Francisco, di non aver mai dimenticato Granada e d’avermi dedicato una novella. Lo so che magari qualche mio confratello avrà storto le labbra per la poca storicità delle vicende che hai ricamato sui personaggi che mi ruotano attorno e perfino inventandoti una mia passata viltà nel difendere la fede cattolica, ma l’importante è che hai saputo con la tua vena di narratore avvincere i lettori e trasmettere loro il messaggio che Dio volle indegnamente affidarmi in Granada: ogni peccato può essere cancellato amando e soccorrendo i nostri fratelli nel bisogno.
Voglio inoltre informarti che se a Madrid, dove hai chiuso i tuoi lunghissimi giorni, dicono che dal Cielo c’è un buchino da cui tornare a veder Madrid, per dare invece uno sguardo a Granada c’è qui addirittura a disposizione uno spaziosissimo balcone e perfino un potente telescopio con cui puoi rimirarti, meglio che con Google Maps, il portichetto del palazzo de los Pisas, al quale dedicasti un’appassionata pagina scrivendo del fascino monumentale ed intimo di Granada…”.
Fra Giuseppe Magliozzi o.h.
Anno XI, n. 33 Manila, 14 novembre 2009
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