LA MIA IDENTITA’ L’HANNO FORMATA I POVERI – Arturo Paoli
Posted on Gennaio 6th, 2009 di Angelo |
Arturo Paoli a Pisa
per presentare “Svegliati Dio“
Sabato 15 marzo nella sala delle Baleari di Palazzo Gambacorti
conferenza dell’ “uomo delle due culture“
11/03/2008
“Svegliate Dio!” è il titolo dato alla raccolta di conferenze tenute in Sardegna da Arturo Paoli, una serie di interventi lucidi e appassionati che il novantaseienne Piccolo Fratello del Vangelo ha svolto nell’isola in cui, 51 anni fa, nacque la prima Fraternità Italiana che si ispira all’opera del beato Charles De Focauld. Il libro è stato presentatoo a Pisa, nella Sala delle Baleari di Palazzo Gambacorti sabato 15 marzo, nel corso di una conferenza organizzata dal Comune di Pisa, coordinata dal professor Giorgio Gallo dell’Università di Pisa e introdotta dal curatore del volume Dino Biggio e dal professor Umberto Allegretti dell’Università di Firenze.
E’ intervenuto anche Arturo Paoli, “l’uomo delle due culture” che ha levato alta la sua voce profetica lungo il secolo scorso e quello attuale. Nato a Lucca nel 1912, e laureatosi in Lettere, Arturo Paoli entra in seminario e viene ordinato presbitero nel 1940.
Negli anni della seconda guerra mondiale partecipa alla Resistenza e contribuisce a salvare molti ebrei in fuga
dalla persecuzione nazista.
Il 25 aprile 2006 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli consegna la medaglia d’oro al valor civile per aver salvato la vita agli ebrei durante l’invasione nazista. Da due anni è tornato nella città natale e vive a S. Martino in Vignale, in una parrocchia sulle colline lucchesi dove ha aperto la casa ” Beato Charles De Foucault ” nella quale continua a svolgere incontri individuali e di gruppo con persone provenienti da tutto il mondo.
La mia identità l’hanno formata i poveri
intervista ad Arturo Paoli
“Giustizia” e “amore per i poveri” sono le parole che ricorrono più frequentemente nel parlare pacato e sereno di fratel Arturo Paoli, 88 anni di vita sperimentata nella sua essenza più profonda, sublimata nella relazione con Dio e con i poveri.
Lo scorso anno è stato proclamato dallo Stato d’Israele “Giusto fra le Nazioni” per il suo impegno a difesa degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Il terzo segreto di Fatima. Cosa pensare?
“La Chiesa cattolica ha sempre dimostrato, nei secoli, grandissima dignità e distacco nel giudicare le rivelazioni personali. Anche nei processi dei santi non le ha disprezzate ma non le ha nemmeno prese molto in considerazione, dando quel suggello di verità e autenticità che si dà invece alle verità rivelate.
Al contrario la solennità che ha circondato la promulgazione dei segreti di Fatima ha dato l’immagine di una cosa seria, come fosse la Santissima Trinità. Si è andati oltre il livello in cui sono sempre state le rivelazioni private, che erano sì rispettate ma non considerate una promulgazione di fede davanti alla gente.
Questo, secondo me, ha prodotto un effetto negativo sul pubblico: c’è in giro una specie di fede molto basata sul miracolo, sulle guarigioni attribuite a Santi o a persone speciali – quando invece il Vangelo parla con sobrietà e distacco dei miracoli di Gesù, che lui produceva per manifestare la presenza del Padre – con una carica emozionale intorno alla fede cattolica che non aiuta il suo progresso né la manifestazione del vero senso della fede, ossia quello di trasformare la società umana.
Mi pare invece sia rimasta molto nell’ombra una delle più importanti indicazioni del Concilio Vaticano II secondo la quale il centro della predicazione di Gesù è il regno di Dio e la preoccupazione per la giustizia, la difesa dei vinti, degli oppressi. Questa dovrebbe essere predominante. Invece tutto si riduce a qualcosa di molto simile alla superstizione.
E la gente che osserva dal di fuori la fede non la vede importante per la vita, non trova in essa il senso del vivere. Eventi come la rivelazione del terzo segreto di Fatima sono colpi di scena che attraggono l’attenzione sulla Chiesa, il Pontefice, utilizzando il metodo di questa società. Come con la pubblicità si cerca di attirare l’attenzione dei prodotti, anche la Chiesa usa lo stesso metodo. E’ come una specie di febbre che porta a cercare sempre qualche idea nuova per mantenere viva l’attenzione sulla Chiesa. E io credo che questo dispiaccia molto alle persone che amano la Chiesa. E quando la Chiesa istituzione non lancia ponti ma si ritira, la sola possibilità che rimane è il dissenso. Perdendo in questo modo la possibilità di una critica costruttiva, di un contributo di pensiero che potrebbe dare il mondo laico…”.
E della Chiesa di oggi?
“La scelta odierna della Chiesa è dal punto di vista strettamente spiritualista e della classe borghese. La spiritualità ufficiale che viene predicata, favorita, alimentata non è né per gli intellettuali, né per il popolo. E’ per la classe borghese, la classe ricca, statica, quella che non si vuol muovere, quella che in fondo sente che la Chiesa deve essere al suo servizio, che anche Dio deve essere al suo servizio.
Non c’è più un messaggio serio capace di essere capito dagli intellettuali e dal popolo. L’intellettuale non aspetta una spiegazione razionale ma la visione di una fede che abbia una efficacia storica sulla trasformazione del mondo. Il popolo aspetta la giustizia, la difesa dei suoi diritti, la solidarietà. Ma non c’è né l’uno né l’altro.
C’è una cosa di mezzo che soddisfa la festa, il fasto, il bisogno di colori, di immagini, di esultanze, di trionfi. Tutto a misura di una classe borghese che non assume mai la realtà, la povertà della realtà, la sfida e le sofferenze della realtà, per vivere nelle novelle della televisione…dove entra anche la preghiera, la festa religiosa, ma tutto viene appiattito”.
Ma se la Chiesa è ispirata dallo Spirito Santo e il Papa è il rappresentante di Cristo in terra… perché tutto ciò?
“Nella Bibbia il popolo d’Israele è stato scelto da Dio per essere il popolo testimone, quello che presenta al mondo il Dio vero. Eppure il popolo di Dio è pieno di prevaricazioni, di abbandoni, di tradimenti, di esitazioni…
Il nuovo popolo di Dio presenta le stesse esitazioni, debolezze umane, fragilità, momenti di oscurità… Perché nella Bibbia si parla sempre dell’Alleanza che si rinnova? Di un Dio che ritorna di continuo? Perché c’è sempre questo tradimento o cedimento del popolo che non è all’altezza della missione che Dio gli ha affidato.
Eppure Dio continua con la sua fedeltà. Questo è il grande mistero, che poi ognuno vive nella sua vita privata, quando ci chiediamo come sia possibile che Dio continui ad amare una persona indegna come me… Quando si vive questo nella propria esperienza personale non è strano veder succedere questo a livello macroscopico”.
Parlaci della tua esperienza di fede…
“Durante l’esperienza della vita di fede ci viene tolta sempre più gradualmente la nostra iniziativa: nella relazione con Dio noi siamo totalmente passivi. Come posso io chiedere a Dio di ascoltarmi, di occuparsi di me? Non si può, Dio è sempre più in là.
Però penso che Dio, vedendo la nostra debolezza, la nostra struttura umana, si lascia invocare, supplicare, accetta una relazione che è fatta più dall’uomo che da Lui. Dio accetta la rozzezza di questa relazione, prende sempre più posto dentro di te, ti fa rinunciare ai tuoi desideri personali, alle tue iniziative, ai tuoi sogni, ai tuoi progetti.
E senti che tutto ciò che ti aiutava ad avere una relazione con Lui non ha più senso, perché Lui ti occupa completamente. Io ho cercato di essere sempre fedele a ciò che ci prescriveva la Chiesa nella preghiera, nella meditazione mattutina, ecc. Ora non potrei più perché dedico molto più tempo di quello che dedicavo nel passato a Dio. Ma è più ascolto che Parola.
L’ascolto è nel deserto, non si ha più bisogno di ricorrere a santi, letture, parole o a un libro o alla spiritualità. L’ascolto ti blocca lì dove sei e ascolti senza sapere veramente cosa. Ma senti che ascolti. Ti apri. Se dovessi dire quali sono le parole della mia preghiera sarebbero: ‘vieni’ ed ‘eccomi’”.
Come fare per arrivare ad un ascolto così vero?
“Non saprei dirtelo. Forse Dio ha cercato di vedere nel mondo chi è il più bisognoso, come succede nelle famiglie dove si corre verso il figlio più debole. Forse Dio si è diretto verso di me per questo. Ho cercato di essere vero, di essere sincero. Siccome Lui abita tra i poveri – e di questo non ho alcun dubbio – forse mi ha visto aggirare tra i poveri e si è chiesto ‘Chi è questo qui che visita le famiglie, che abbraccia il lebbroso? Facciamogli fare una particina nel mondo…’ Mi ha scoperto tra i poveri perché lì sono andato con amore umano. I poveri ti provocano amore. Tutto quello che ho e che sono lo devo a loro, altrimenti sarei stato uno speculatore, uno di quei freddi teorici… Ma vista dalla parte dei poveri la Chiesa a volte fa soffrire molto. E’ vero che il Papa ha mangiato con i barboni – e io sono sicuro che il Papa personalmente ama i poveri – però tutte le decisioni, tutte le scelte, sono contro i poveri, non tengono assolutamente conto delle loro esigenze, dei loro diritti. Nelle encicliche e nei discorsi sì, ma nelle decisioni pratiche, nell’esercizio della Chiesa, i poveri non hanno voce, non contano nulla. E dove non entra il povero Dio non entra. Possono dire quel che vogliono, possono fare statue d’oro, ma Dio non entra mai dalla porta dove non entra il povero”.
Ma prima o poi si realizzerà una Chiesa dei poveri?
“Forse si realizzerà quando subentrerà una grande crisi, una débâcle come l’invasione dell’islam o qualcosa del genere. Questo perché gli eccessi di trionfalismo provocano sempre, quasi come un fenomeno storico, delle reazioni di rivolta”.
Quali consigli dare ad un “cristiano qualunque” che voglia assumere pienamente la causa dei poveri?
“I poveri sono dovunque. Gesù ha detto ‘i poveri li avrete sempre con voi’. Purtroppo la storia è sempre una relazione tra vinti e vincitori, tra schiavo e padrone. Bisogna mettersi dalla parte dello schiavo e dell’oppresso, anche politicamente. Un parroco deve guardare alla sua chiesa non dalla parte delle pie signore che lo circondano ma dalla parte dei poveri”.
Eppure spesso ci si occupa dei deboli sono per fare bella figura, per assistenzialismo…
“Certo, e lì è il punto dolente. Non bisogna fare elemosina ai poveri ma fare in modo che formino la nostra identità. Loro me l’hanno formata. Io non vivo come loro, vivo umilmente ma mangio due volte al giorno, mi vesto, viaggio, ma la mia identità è in mano loro. Per descrivere questo Lévinas usa l’idea dell’ostaggio. Sembra un’idea astratta eppure è una realtà. I poveri danno tanto amore, fiducia, speranza, gioia, che non si trova negli altri ambienti. Lì ho trovato veramente Dio”.
Si realizzerà un giorno un mondo in cui non ci saranno più poveri?
“Forse non ci saranno più miserabili economicamente, ma gli oppressi ci saranno sempre. La donna sarà sempre oppressa. Nella relazione uomo-donna la donna sarà sempre in una situazione di svantaggio per la sua stessa natura, l’essere legata così fortemente alla natura, che è la sua grandezza e la sua limitazione. L’uomo ha sempre l’impressione, anche fisicamente, di essere quello che guarda la natura dal di fuori, con la grande tentazione di usarla, di dominarla.
E la donna, anche se non lo vuole, è sempre legata alla natura. Non dovrebbe esserlo ma è dalla parte dell’oppresso perché l’uomo vede sempre la natura come qualcosa che l’attrae e che lui deve dominare. La relazione è invece lasciarsi attrarre non per dominare ma per mettersi in una posizione di umiltà, di gratitudine, dicendo all’altro ‘tu mi dai la vita’ non solo fisica ma anche spirituale…”
Perché la Chiesa è tanto impacciata sui temi che riguardano la morale sessuale?
“La Chiesa ha paura perché ha l’idolo del celibato, e non si preoccupa di come i preti vivono la sessualità. Ora un po’ meno con le scienze attuali, ma prima la sessualità non esisteva e la repressione si manifestava con odio verso la donna. Fortunatamente la mia vita è stata un po’ speciale. Io ho vissuto da laico fino a 25 anni, sempre in scuole miste, avevo numerose amicizie tra le ragazze. Queste esperienze sono state molto utili perché rompono quel mistero che si crea intorno alla figura femminile. Io ho sempre cercato l’amicizia con la donna, che per me è necessaria. E’ diverso un amico uomo da un’amica donna, ti dà quello che l’altro non ti può dare”.
Prima del Brasile dei poveri hai vissuto molto tempo nel deserto. Cosa ti ha dato questa esperienza?
“La vita contemplativa ti libera completamente dalla moralità. Non per dire ‘fai quel che vuoi’ ma perché ti mette in una sfera di libertà diversa. Un esempio: a 18 anni ho conosciuto Giorgio La Pira, che era veramente un mistico. Una cosa mi impressionò molto: lo andai a trovare che era ammalato e trovai seduta sul letto una ragazza che conversava con lui con tanta semplicità e purezza. Mi fece vedere ciò che io inconsapevolmente cercavo e che forse non avevo raggiunto, la relazione semplice, affettiva. E’ stato un esempio migliore di quanto potevano darmi preti o altri discorsi: l’idea di una relazione trasparente. Un altro prete forse si sarebbe scandalizzato. Io capii subito il valore enorme di questa libertà. La vita contemplativa ti libera dalla moralità per metterti in una sfera diversa. La donna non è più la tentatrice, quella che devi sedurre o conquistare. E’ la tua amica che quando ti apri ti dà delle ricchezze che tu non hai”.
Quali sono le maggiori difficoltà nel lavorare con i poveri?
“L’impotenza assoluta e il vedere come siano sempre traditi da tutti. I poveri servono per esercitare le peggiori qualità dell’uomo: la furbizia, le dominazioni… come un sadico su un bambino. E si soffre nel vedere tutto ciò. Prima di venire in Italia sono andato a visitare dei sacerdoti dell’Idi (Istituto dermopatico dell’Immacolata) che hanno costruito un grande laboratorio di analisi in Brasile. C’era anche un medico tra di noi. Vedendo una stanza vuota chiese a cosa servisse. I religiosi dell’Idi hanno risposto che avrebbero messo lì due o tre letti per accogliere i poveri che venivano da lontano per fare le analisi. Il medico è andato su tutte le furie dicendo: ‘Non sapete come sono i poveri, se vengono qui a dormire non se ne vanno più’. Allora mi chiedo: in città come le nostre, dove corruzioni e imbrogli sono all’ordine del giorno come si può negare ad un pover’uomo il diritto di stare alcuni giorni a dormire in ospedale? Questa cosa mi ferì profondamente. E’ come quando i poveri ti rubano la bombola del gas e accade la fine del mondo… Anche i poveri hanno la loro dignità, noi non sappiamo cosa vuol dire passare dei mesi senza il gas, senza la possibilità di cuocere il riso. Invece i grandi furti vengono elogiati.
In un mondo così, dove trovare la speranza?
“Eppure i poveri ce l’hanno. La depressione non esiste tra i poveri ma tra i ricchi, tra chi ha la vita assicurata. Ai ricchi non manca nulla però devono andare dallo psicanalista. I poveri avrebbero tutte le ragioni per disperarsi eppure tra loro c’è sempre la speranza, la forza della vita, l’andare avanti perché il domani sarà migliore”.
Cosa diresti ad un pessimista che pensa sia inutile impegnarsi “tanto le cose non cambieranno mai”?
“Gli direi: amico mio, io non so se le cose cambieranno, confido che prima o poi cambino, quando sarà non lo so. L’importante è che io oggi mi salvi, e se sono un uomo ingiusto, se non assumo la lotta per la giustizia, non sono un uomo, mi distruggo. C’è una forma di egoismo superiore che è salvare se stessi. Salvare se stesso non a danno degli altri ma per essere salvezza anche per gli altri”.
Quali sono stati finora gli effetti della globalizzazione, soprattutto nel Sud del mondo?
“La globalizzazione ha cancellato tutto con una livella. Non esiste politica, idea, ma solo l’accumulazione, il denaro. Anche il Giubileo è entrato nella legge generale. I politici non sanno più dove è la destra e la sinistra perché non esiste politica ma solo il maneggio del denaro, per vedere se la nostra moneta regge. Anche la remissione del debito estero non serve se non sappiamo chi ne approfitterà. Il denaro dovrebbe servire per le spese sociali, quei servizi a cui il popolo ha diritto e che non può pagare. Se si mandano soldi là o si condonano ne approfitteranno sempre quelli che sono ricchi, quelli che dominano”.
Il capitalismo sta dando segni di cedimento?
“Il capitalismo deve finire, non c’è dubbio. Deve finire perché è contro natura. E’ come se in una famiglia entrano due milioni al mese che devono servire per le spese di mantenimento, la spesa, lo studio, ecc. Se invece io riservo 300.000 lire per mangiare e il resto lo investo perché i soldi devono aumentare, fruttare, si crea una conduzione innaturale della famiglia. Lo stesso succede nella società. I soldi vengono distribuiti sempre meno e sempre più accumulati. Alla fine soffocano, necessariamente”.
Il dialogo tra le religioni riuscirà a cambiare qualcosa nel mondo?
“Intanto viviamo in una società pluralista. O ci facciamo guerra oppure dobbiamo metterci d’accordo. Saranno messi in valore quegli aspetti della nostra fede che possono essere armonizzati nel dialogo. La responsabilità verso gli altri, la giustizia, questi linguaggi ci faranno sentire più affini le altre religioni. MI sentirei più vicino ad un musulmano che crede in questi valori piuttosto che ad un cattolico che vive egoisticamente e pensa alla sua fede come salvezza personale ma non è interessato agli altri. Il pluralismo non è solo accettazione dell’altro. E’ messa in discussione di quegli elementi comuni nelle diverse fedi, poi ciascuno sarà ispirato da una fede o dall’altra. Quindi avranno sempre meno valore i culti in sé. Tutto questo finirà, deve finire”.
Patrizia Caiffa
Nata a Roma nel 1966, lavora come giornalista nel Servizio di Informazione Religiosa. Si occupa di attività di volontariato nazionale e internazionale.
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