LASCIATEVI GUIDARE DALLO SPIRITO – Fra Pasqual Piles o.h.
FRA PASQUAL PILES FERRANDO o.h.
Priore Generale Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio
Lettera Circolare ai Confratelli dell’Ordine
Roma, 24 ottobre 1996
LASCIATEVI
GUIDARE
DALLO SPIRITO ( GAL. 5, 16 )
1. INTRODUZIONE
1.1 MOTIVAZIONI
Miei Carissimi Fratelli:
Sono ormai trascorsi due anni dalla celebrazione del nostro ultimo Capitolo Generale. Parecchie volte ho indirizzato all’Ordine, da allora, dei messaggi. L’ho fatto con la parola e con gli scritti. L’ho fatto con l’intento di rendermi presente in molte delle vostre realtà. Ho visitato 34 paesi. Sono stato, in modo più o meno incisivo e questo dipendeva dalle possibilità che avevo, in circa 148 Centri. Vi sono stato da solo o accompagnato da qualche Consigliere Generale.
Considerandomi uno strumento del Signore ho cercato, con il mio passaggio, di rendere visibile San Giovanni di Dio. Ho avuto tante opportunità per questo: Capitoli Provinciali, Visite Canoniche, momenti di riflessione, ricorrenze dei Centri o avvenimenti personali di qualche Confratello.
La celebrazione del V Centenario della nascita di San Giovanni di Dio poi, mi ha dato modo di partecipare a molte manifestazioni, sia alle tre organizzate a livello di Ordine che a quelle promosse dalle varie Province o dai vari Centri. Esse sono state per tutti motivo di grande arricchimento. Volevamo che questa celebrazione fosse per noi come un Anno Giubilare, un anno di crescita nella spiritualità sia per i Confratelli che per i Collaboratori. Dire che sia stato così è affermare qualcosa di troppo, ho potuto però constatare, attraverso esperienze che mi sono state comunicate da Confratelli, collaboratori ed ammalati che in molti casi vi è stata veramente questa crescita spirituale.
Inoltre, come conclusione, prima di iniziare l’estate, abbiamo avuto la gioia della canonizzazione del nostro Beato Giovanni Grande, la quale ci ha aiutato a conoscerlo maggiormente e a valutare l’attualità della sua testimonianza in una società che necessita, ogni volta di più, della solidarietà nei confronti dei bisogni degli altri.
1.2 PER I MIEI CONFRATELLI
Desidero con questa lettera dirigermi a voi Confratelli. Voglio farvi un’esortazione sull’ideale di vita che siamo chiamati a conseguire. Infatti siamo stati convocati da diverse parti del mondo per vivere insieme la vocazione dei Fratelli di San Giovanni di Dio.
Vorrei anche trattenermi con voi su molte delle questioni da me prese in considerazione durante questi due anni e che considero ottima cosa il comparteciparle perché ci aiutino a vivere la nostra vita religiosa. Non dimentico gli ammalati, i bisognosi e nemmeno i Collaboratori e amici dell’Ordine. Infatti, a loro farò allusione in parecchi punti di questa lettera. Perciò, voglio ora rivolgermi a voi cari Confratelli, pensare con voi e condividere con voi la gioia della nostra vocazione.
1.3 IL TONO CON IL QUALE VI SCRIVO
Vi scrivo in modo positivo. Sapendo che la nostra realtà è limitata e che tale limitazione appare tante volte anche nei nostri comportamenti, vi presento il buono e il bello dell’ideale che siamo chiamati a vivere.
Mi ispiro, nell’assumere questo tono, alla stessa Esortazione Apostolica post-sinodale che ci ha indirizzato il Santo Padre “Vita Consacrata”, valutandone i problemi, ma in senso positivo e pieno di speranza.
In alcuni punti parla della bellezza della vita religiosa. Sappiamo che, da parte nostra, dobbiamo metterci tutto l’impegno, ma che il vero protagonista della storia della salvezza e, pertanto, della storia della ospitalità, è Dio. Nei miei incontri con voi ho constatato delle difficoltà, ma ho incontrato anche molta vitalità.
Giovanni Paolo II ha presentato la vita religiosa come la forma di vita che assunsero Gesù e la Vergine Maria sulla terra. Desidero offrirvi una considerazione sulla nostra vita religiosa, la quale serva come lettura e meditazione, e che ci aiuti a riflettere sul nostro modo di essere religiosi e a confrontarlo con le direttive del Magistero alle quali, in molti punti, farò riferimento.
Abbiamo scelto di assumere la forma di vita di Giovanni di Dio così come ci è stata trasmessa da tanti nostri Confratelli: i primi compagni, Pedro Soriano, Giovanni Grande, Gabriele Ferrara, Francesco Camacho, Paolo De Magallon, Benedetto Menni, Riccardo Pampuri, Eustachio Kugler, ecc. Siamo chiamati a fare lo stesso. Essi hanno potuto essere fedeli, essere santi, non vedo perché non possiamo esserlo anche noi.
1.4 INVITO A RENDERE IL NOSTRO IDEALE UNA REALTA’
Da ciò il forte richiamo, che ho indirizzato a me e a voi, alla chiusura del V Centenario della nascita del nostro Fondatore: “Signore, come hai ispirato Giovanni di Dio, ispira anche noi, trasformaci, affinché possiamo essere oggi degli altri Giovanni di Dio, i quali vivano in contatto continuo con Te e sappiano darsi agli altri”.
Signore, fa che crediamo nella grandezza della nostra vita, che godiamo della grandezza della nostra vita. Non abbiamo bisogno che altri lo dicano e che ci esortino a questo. Ne siamo consapevoli. Ciò di cui abbiamo bisogno è di vivere, di sperimentare questa grandezza. Ispiraci, affinché tutto ciò che facciamo sia motivato dal sentimento, dalla speranza e dal desiderio di costruire un mondo migliore. Fa che non rimaniamo intrappolati e ingannati dalla realtà concreta di ogni giorno, quella che ci condiziona e ci impedisce di vivere. Fa che siamo coscienti di essere stati trasfigurati con Te e che, attualmente, siamo nel mondo tue icone, icone di Giovanni di Dio.
2. LA NOSTRA IDENTITA’
Probabilmente mai come oggi l’uomo si è interrogato tanto sulla sua identità. Chi siamo, chi sono io, come sono chiamato a vivere.
La vita religiosa ha avuto un forte periodo di rinnovamento, desiderato e richiesto dalla Chiesa tramite il Decreto del Concilio Vaticano II, intitolato “Perfectae Caritatis“, per un adeguato rinnovamento della vita religiosa. Abbiamo interrogato noi stessi sul come stiamo vivendo e sul come, invece, dovremmo vivere.
Tre furono le coordinate che ci siamo dati e con le quali proseguire nella nostra identità: il Vangelo; le origini o fonti della Istituzione, il Fondatore, la Tradizione; e l’adattamento ai nostri tempi. Abbiamo cercato di seguire queste piste. Non per tutto siamo riusciti a trovare la strada giusta, ma sono convinto che in nessuno vi sia stata, in ciò, della cattiva volontà. Desidero pertanto, partendo da queste tre coordinate, fare una riflessione su alcuni aspetti della nostra identità.
2.1 TESTIMONIANZA DI VITA
I Vangeli sono le narrazioni del testimone per eccellenza: Gesù di Nazareth. Ed anche dei suoi seguaci. La Chiesa ha avuto molti testimoni. Giovanni di Dio è, prima di tutto, un vero testimone di vita. Lo è anche la vita dei suoi primi compagni e lo è anche la tradizione dell’Ordine, la quale cessa di essere vera tradizione nella misura che non è più testimonianza di vita. “Il nostro mondo ha bisogno di testimoni più che di maestri e se si accettano i maestri è perché sono dei testimoni” (Paolo VI, Evangelii Nuntiandi, 41 ).
E’ evidente che, sia il progetto di Gesù di Nazareth, sia la figura di Giovanni di Dio e le esigenze di questo mondo ci lanciano un richiamo ad essere dei testimoni. Testimoni di vita: evangelica, juandediana, attuale.
Data la nostra limitatezza è facile la incoerenza: pretendere delle cose che non sappiamo raggiungere. Giustificarne molte altre le quali, alla fine, sappiamo che sono ingiustificabili, ma dalle quali ci costa staccarci.
La nostra testimonianza di vita evangelica esige radicalità. Gesù chiama alla sua sequela con forza, con radicalità, essendo però comprensivo con la nostra natura. Lo fu con le debolezze dei suoi discepoli, con la loro vulnerabilità sebbene lo possiamo definire come l’invulnerabile. Infatti Gesù afferma che il suo giogo è soave e che il suo peso è leggero (cfr. Mt 11,28-30), perché la sua radicalità è aperta alla misericordia e alla riconciliazione.
Conosce la nostra natura e non vuole che siamo ciò che non possiamo essere. Ci chiede però che siamo sue icone, che ci trasfiguriamo e che lo manifestiamo con la nostra vita che deve essere eminentemente juandediana (cfr. Cost. 2c; 3a).
Ho ricordato alcuni Confratelli nostri i quali, assieme a Giovanni di Dio, sono stati dei trasmettitori del carisma lungo la storia. Sono quasi 32 anni che appartengo all’Ordine e sempre ho vissuto con gioia lo sforzo fatto dal medesimo per scoprire questo nostro passato, vivente sia nei nostri Confratelli che ci hanno preceduto, sia nella Tradizione che in Giovanni di Dio.
Ho vissuto tutto ciò, con maggiore consapevolezza, in questi ultimi due anni. Apprezzo tutti gli sforzi che si realizzano per centrare la figura di Giovanni di Dio. Egli si presenta a noi realmente come una figura armonica: Giovanni di Dio e degli uomini. Dovremmo sentirci esaltati della sua personalità.
Inoltre sono stimolato dalla testimonianza di tanti Confratelli che incontro durante il mio passaggio nelle comunità ed è davanti a loro che io mi sento piccolo. Nel mio apprezzamento personale valuto quella che è stata la loro vita e non posso fare a meno di dire che fu eminentemente juandediana.
Giovanni di Dio, come testimonianza, è per noi un richiamo ad essere dei testimoni di una vita che, come ben sappiamo, vale la pena di essere vissuta.
Dobbiamo essere dei testimoni: nel nostro mondo, il quale necessita di testimoni; nella Chiesa la quale ha bisogno di testimoni. Viviamo in società molto diverse, più o meno sviluppate. In tutte però arriva il consumismo, il materialismo, l’edonismo con le loro proposte che ci lusingano. Noi però, tutte queste società, desideriamo arricchirle con la luce del nostro carisma.
Siamo chiamati ad essere ospitalità, incarnazione della nuova ospitalità. Cambiando modi e forme nell’attuarla. Di questo però non tutti siamo convinti e ciò ci fa soffrire non poco. La nostra risposta, oggi, alle esigenze di essere dei testimoni, porta con sé anche il saper discernere lo stile per meglio servire la nostra società come lo fece Giovanni di Dio nel suo tempo: “Gesù Cristo mi conceda il tempo e mi dia la grazia di avere io un ospedale, dove possa raccogliere i poveri abbandonati e privi della ragione, e servirli come desidero io” [1].
2.2 LA DIMENSIONE PROFETICA DELLA NOSTRA VITA
Tutta la vita religiosa viene definita come profetica. Assume le caratteristiche della natura stessa del vero Profeta della Sacra Scrittura.
La forza della profezia si basa sulla veridicità di ciò che il profeta dice. Presenta l’oracolo del Signore il contenuto del quale viene manifestato dalle sue parole. Il profeta è una figura di vita autentica, è figura che irradia trascendenza, è figura che agisce come istanza etica, è figura che tiene contatti vitali con le necessità umane, è figura che vive la solidarietà con gli altri con semplicità, con gioia, con speranza.
Una delle riflessioni di Fra Brian O’Donnell ci presentò Giovanni di Dio come servo e profeta[2], due realtà queste che si completano e che portano con sé anche la dimensione dell’annichilirsi -Kenosis- e quella del servizio -Diakonia-[3].
Pertanto, dalla esigenza profetica della vita religiosa e dall’essere profetico di Giovanni di Dio, la nostra vita è chiamata ad essere profetica.
Giovanni di Dio, come profeta, ci ha presentato con la sua vita la Parola di Dio riguardo alla Ospitalità, il nostro modo di essere Ospitalità. Lo ha fatto in un modo autentico e coerente. E’ stato un’immagine che irradiava trascendenza e per questo lo hanno “battezzato” come il “Giovanni di Dio”. Ha avuto un contatto vero e pieno con le necessità umane, solidale sempre con esse, vivendo con semplicità, con gioia, con speranza, spogliandosi di se stesso per dare spazio, in se stesso, agli altri, per servire gli altri, per promuovere la vita degli altri.
Come lui, anche noi siamo chiamati ad essere profeti. In un mondo difficile, che però è il nostro mondo, noi dobbiamo essere Parola di Dio, coerenti nel nostro modo di vivere, testimoni dei valori spirituali, di semplicità di vita, di gioia, di speranza.
E’ possibile questo oggi? Dalle esperienze fatte e dalla conoscenza che ho delle diverse realtà dell’Ordine io non posso altro che dire sì. Siamo profeti e siamo chiamati ad accrescere il profetismo della nostra vita. Non so se in questo sono un po’ troppo ottimista. Può darsi che vi sia qualcuno il quale ritenga che, così come siamo attualmente, questo nostro profetismo divenga sempre meno evidente.
Ho fiducia però nell’azione di Dio, confido nella presenza dello Spirito il quale ci guiderà nelle risposte che, come Istituzione, stiamo dando e siamo chiamati a dare, anche se queste risposte non vanno nella direzione auspicata da alcuni ed anche se, in alcune occasioni, noi possiamo sbagliare.
2.3 CON UNA PROPRIA SPIRITUALITA’
Giovanni di Dio ci ha lasciato un testamento spirituale: la sua vita fu eminentemente carismatica. Colpì ed attirò tante persone motivandole a collaborare con lui. Alcune vollero vivere come lui, da questi il gruppo dei primi compagni. Giovanni di Dio fu per loro l’icona di Cristo. La sua rettitudine e la sua probità furono ciò che li convinse.
I primi dati scritti che raccontano ciò che avvenne in quei momenti, sono del decennio posteriore 1570-1580. Giovanni di Dio, morendo, lasciò una comunità carismatica, con una vita propria la quale venne, man mano, irradiandosi. Diverse persone si aggregarono al gruppo iniziale. Alcune delle quali già stavano svolgendo un servizio di ospitalità e, come Fratelli del benedetto Giovanni di Dio, continuarono nel loro progetto di servizio all’umanità sofferente ed emarginata.
Le biografie di San Giovanni di Dio e le diverse Costituzioni dell’Ordine sono state l’espressione della spiritualità del Fondatore e dell’arricchimento che ebbe, lungo la storia, questa nostra spiritualità. Non possiamo dire che siano stati dei trattati specifici. Non erano scritte per quello scopo. E nemmeno possiamo affermare che esse sono state sempre un apporto alla vera esperienza spirituale. In esse però vi è plasmata gran parte della nostra peculiare spiritualità. La verità è che, senza spiritualità, la nostra vita cesserebbe di essere vita.
Questo nostro mondo di contrasti, pur vivendo fortemente il fenomeno della secolarizzazione, ha anche un grande desiderio di spiritualità. Questo lo abbiamo affermato anche nel Cap. IV del documento dell’ultimo Capitolo Generale “Nuova Evangelizzazione e Ospitalità alle soglie del terzo millennio”. E questo può essere constatato anche da noi.
Da molti anni si parla, soprattutto da parte dei formatori, di poter mettere per iscritto la nostra spiritualità. Abbiamo un testo di Padre Gabriele Russotto del 1958. Attualmente, l’itinerario presentato nella tesi dottorale di Padre José Sanchez, ha arricchito le nostre nozioni fondamentali della spiritualità e ha centrato la figura di Giovanni di Dio.
Seguendo il desiderio del LXIII Capitolo Generale si sta lavorando attualmente per giungere a compilare un libro sulla nostra spiritualità. Cioè bisogna redigere un testo che ne sia l’espressione e del quale noi abbiamo constatato la necessità, dato che questa spiritualità già esiste incarnata in noi ed è quella di essere fedeli a Giovanni di Dio.
Mio desiderio è che in ognuno di voi continui ad esserci la consapevolezza della necessità di essere uomini spirituali, di esserlo allo stile di San Giovanni di Dio e di fare ogni sforzo per approfondire tutti i presupposti dai quali egli iniziò. Le sue Lettere sono piene di espressioni che scaturiscono dal suo cuore e che sono affermazioni di una sua peculiare spiritualità.
Vi è il timore però che centriamo tutto in troppe cose del passato, allontanandoci così dalla nostra realtà attuale. Non dovremmo però correre questo pericolo.
Vi esorto a vivere la nostra peculiare spiritualità nel mondo del quale formiamo parte, amato da Dio, creato da Lui: Spiritualità per le nostre strutture sanitarie e sociali, per il mondo della malattia e della emarginazione; spiritualità per condividere la missione con i Collaboratori; spiritualità per l’umanizzazione e l’evangelizzazione; spiritualità che illumini i problemi etici; spiritualità che è continuità dell’essere di Giovanni di Dio oggi; spiritualità per una nuova Ospitalità.
2.4 OPZIONE PREFERENZIALE PER L’UOMO CHE SOFFRE
Nella nostra Chiesa e nella vita religiosa, attualmente, si parla molto della opzione preferenziale per i poveri. Aderisco pienamente a questo orientamento, anche se sappiamo che il concetto di povertà è relativo e che non sempre la nostra vita è testimonianza di povertà.
Giovanni di Dio è sempre stato a fianco del povero, sempre con il povero. Desidero che in ciò m’intendiate bene. Giovanni di Dio ha operato questa opzione integrando, nel concetto di povero, il malato, considerando la malattia una manifestazione della povertà dell’uomo. Anche oggi parliamo di chi soffre come di un povero. Così lo esprime anche l’Esortazione Apostolica “Vita Consacrata” (VC 82). E’ vero che, tra gli infermi, ve ne sono di quelli che dispongono di mezzi per poter curare le loro malattie, tutto questo però, anche con i soldi, non sempre essi lo conseguono. Senza voler eliminare la radicalità della opzione preferenziale per il povero ritengo che anche noi, come San Giovanni di Dio, dobbiamo integrare in questa opzione tutte le persone che soffrono.
Valgono perciò le conclusioni dei nostri ultimi Capitoli, sia Generali che Provinciali, nelle quali abbiamo optato per aprirci, tra tutti coloro che soffrono, a quelli che maggiormente hanno bisogno. Vivendo così, tutto questo, nella universalità che ha caratterizzato Giovanni di Dio e che lo ha spinto a fare sempre il bene, davanti a qualsiasi necessità, con grande apertura, con capacità di tenere relazioni con chiunque e partendo sempre dalla opzione per colui “che soffre” , il quale è veramente un povero.
[1] CASTRO, Francesco, Storia della Vita e della Sante Opere di Giovanni di Dio, e della istituzione dell’Ordine e principio del suo ospedale, Granada 1685, Cap. IX.
[2] O’DONNELL, Brian, Servo e Profeta, Granada 1989.
[3] SANCHEZ, José, Kenosis e Diakonia, nell’itinerario spirituale di San Giovanni di Dio, Madrid, 1995.
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