CATTEDRA DEI SOFFERENTI – PER ROMPERE IL GHIACCIO…due sofferenti famosi

Crocifisso attribuito a Michelangelo

FACTUS OBOEDIENS USQUE AD MORTEM,

MORTEM AUTEM CRUCIS

 

Per rompere il ghiaccio…mettiamo in cattedra due sofferenti famosi: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Essi hanno assunto sulle spalle il dolore del mondo ed anche i nostri interrogativi…

 

Giovanni Paolo II e la Sofferenza

 

Alcuni testi scelti dai discorsi del Santo Padre in cui Egli, rivolgendosi ai malati e ai sofferenti, affida la preparazione, soprattutto dal punto di vista spirituale del Grande Giubileo dell’Anno 2000, nonché tutte le intenzioni della Chiesa universale, proprio alla preghiera e al dono della sofferenza dei malati.

giovanni-paolo-ii-lo-sguardo-nelleterno1. Il Santo Padre fin dall’inizio del suo Pontificato ha voluto appoggiare il suo ministero papale sulla preghiera e sul dono della sofferenza dei malati: “…Carissimi fratelli e sorelle vorrei affidarmi alle vostre preghiere… Nonostante le vostre condizioni fisiche siete molto potenti, così come è potente Gesù Cristo crocifisso….La vostra potenza sta nella vostra rassomiglianza a Lui stesso. Cercate di utilizzare quella potenza per il bene della Chiesa, dei vostri vicini, delle vostre famiglie, della vostra patria e di tutta l’umanità. E anche per il bene del Ministero del Papa che è, secondo altri significati, anche molto debole” (Cfr. Giovanni Paolo II, Un saluto ai malati, agli operatori sanitari, in occasione della prima vista del Santo Padre al Policlinico “Gemelli”, il 18 ottobre 1978, in l’Osservatore Romano, giovedì 19 ottobre 1978, pp. 1-2).

“….Ai più deboli, ai poveri, ai malati, agli afflitti, è a questi specialmente che, nel primo istante del pastorale ministero vogliamo aprire il nostro cuore. Non siete infatti voi, fratelli e sorelle, che con le vostre sofferenze condividete la passione dello stesso Redentore ed in qualche modo la completate? L’indegno Successore di Pietro, che si propone di scrutare le insondabili ricchezze di Cristo, ha il più grande bisogno del vostro aiuto, della vostra preghiera, del vostro sacrificio, e per questo umilissimamente vi prega”. (Cfr. Giovanni Paolo II, Il discorso programmatico rivolto dalla Cappella Sistina agli uomini di tutto il mondo, la prima udienza concessa dal Santo Padre Giovanni Paolo II, mercoledì 18 ottobre 1978, in l’Osservatore Romano, 19 ottobre 1958, p. 1).

“Desidero oggi rivolgermi in modo particolare a tutti gli ammalati, esprimendo ad essi, io, infermo come loro, una parola di conforto e di speranza. Quando, all’indomani della mia elezione alla Cattedra di Pietro, venni per una visita al Policlinico “Gemelli”, dissi di volere “appoggiare il mio ministero papale soprattutto su quelli che soffrono”. ….Riaffermo ora la medesima convinzione di allora…Invito tutti gli ammalati ad unirsi con me nell’offerta a Cristo dei loro patimenti per il bene della Chiesa e dell’umanità”. (Cfr. Giovanni Paolo II, La preghiera mariana del Papa diffusa via radio dal “Gemelli” – Roma, 24 maggio 1981, in Insegnamenti IV/1, p. 1211).

2. “Cari Amici, vedete quanto siete importanti! Cosi come soffrite in unione con Cristo siate uniti a lui nella preghiera. Ricordate Giobbe: dopo aver sopportato una sofferenza e un’afflizione terribili ha pregato per i suoi amici e “il Signore ebbe riguardo di Giobbe” (Gb 42, 9). Anche voi potete pregare molto efficacemente per il vostro prossimo, uomini e donne, per la Chiesa e per il mondo”. (Cfr. Giovanni Paolo II, Omelia durante la Liturgia della Parola con la benedizione dei malati nella chiesa di “St. Joseph”a Baroko, 18 gennaio 1995, in Insegnamenti XVIII/1, p. 191, n. 3).

3. “I malati, i volontari e gli operatori sanitari qui presenti si sentono in modo particolare in comunione con fratelli e sorelle dell’Africa e del mondo intero e tutti insieme offrono sofferenze ed impegno implorando il dono della pace, come suggerisce il tema del Messaggio da me inviato per l’odierna Giornata….Cari fratelli e sorelle – malati e sofferenti, pellegrini tutti di Lurdes! Non cessate di pregare per la Chiesa! Non cessate di raccomandare a Cristo, attraverso sua Madre, in modo particolare la giovane generazione, cioè quei cristiani a cui sono affidati gli inizi del terzo millennio. Possano essi sentire il vostro amore! La vostra preghiera e il vostro sacrificio ottengano loro di maturare spiritualmente. Possano entrare in comunione con voi, per ricevere dalle vostre mani la fiaccola della fede e diffondere ovunque la luce di Cristo”. (Cfr. Giovanni Paolo II, Nella Celebrazione della III “Giornata Mondiale del Malato” uniti gli itinerari di fede dei giovani a Manila e dei sofferenti a Lourdes, 11 febbraio 1995, in Insegnamenti XVIII/1, n. 1; 5).

4. “Carissimi malati e voi, familiari ed operatori sanitari che ne condividete il difficile cammino, sentitevi protagonisti di evangelico rinnovamento nell’itinerario Spirituale verso il Grande Giubileo del 2000… Carissimi fratelli e sorelle che vi trovate nella prova, offrite generosamente il vostro dolore in comunione con Cristo Sofferente e con Maria sua dolcissima Madre. “A voi tutti che soffrite chiediamo di sostenerci. Proprio a voi, che siete deboli, chiediamo che diventiate una sorgente di forza per la Chiesa e per l’umanità. Nel terribile combattimento tra le forze del bene e del male, di cui ci offre spettacolo il nostro mondo contemporaneo, vinca la vostra sofferenza in unione con la Croce di Cristo” (Salvifici doloris, 31)”. (Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio del Santo Padre per la IV Giornata Mondiale del Malato, 11 febbraio 1996, in Dolentium Hominum, n. 30/ 1995, p. 4).

5. “Esprimo il mio affetto anzitutto a voi, cari malati, che vedo con piacere qui davanti, come pure a tutti gli infermi che non sono potuti intervenire a questo momento di preghiera. Sappiate unire costantemente, nella fede, le vostre sofferenze alla croce vittoriosa di Cristo e pregate anche per me e per il ministero che mi è affidato”. (Cfr. Giovanni Paolo II, R ecita del Santo Rosario nel Duomo di Como, 4 maggio 1996, in Traccia 1996, 533/V, 1.)

6. “La prossima Giornata Mondiale del Malato sarà celebrata l’11 febbraio 1997 presso il Santuario di Nostra Signora di Fatima, nella nobile Nazione portoghese….La Giornata si colloca nel primo anno del “triduo” preparatorio del Grande Giubileo del Duemila: un anno interamente dedicato alla riflessione su Cristo…. Carissimi ammalati, sappiate trovare nell’amore “il senso salvifico del vostro dolore e risposte valide a tutti i vostri interrogativi” (Lett. Ap. Salvifici doloris, n. 31). La vostra è una missione di altissimo valore sia per la Chiesa che per la società. “Voi che portate il peso della sofferenza siete ai primi posti tra coloro che Dio ama…Di questo amore privilegiato sappiate essere testimoni generosi attraverso il dono del vostro patire, che tanto può per la salvezza del genere umano” (Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio del Santo Padre per la V Giornata Mondiale del Malato, 11 febbraio 1997, nn. 1-4, in Dolentium Hominum, n. 33/1996, pp. 4-5).

7. “La celebrazione ufficiale ha luogo oggi nel Santuario di Nostra Signora di Fatima, a me particolarmente caro ed assai significativo nell’attuale fase di preparazione al Giubileo del Duemila. Il messaggio della Vergine a Fatima – come del resto anche a Lourdes – è un appello alla conversione e alla penitenza, senza le quali non vi può essere autentico Giubileo. Anche la malattia costituisce per la persona umana un appello alla conversione, ad affidarsi interamente a Cristo, unica fonte di salvezza per ogni uomo e per tutto l’uomo. A questo invita la tematica del Convegno promosso dall’Opera Romana Pellegrinaggi, che riecheggia quella universale del primo anno di preparazione al Giubileo. … Ogni anno l’Opera Romana Pellegrinaggi propone un gesto profetico di pace: quest’anno è previsto un pellegrinaggio ad Hebron alla tomba dei Patriarchi, luogo sacro per le tre grandi religioni monoteiste, quale auspicio di pace nella Terra Santa. Prego affinché tale gesto, nel nome del comune padre Abramo, costituisca l’inizio di una nuova fioritura di pellegrinaggi di riconciliazione, in vista del Grande Giubileo dell’Anno Duemila. Possano Roma e Gerusalemme diventare i poli di un universale pellegrinaggio di pace, sostenuto dalla fede nell’unico Dio buono e misericordioso. Per questa intenzione invito voi, cari malati, ad elevare al Signore fervide preghiere, avvalorate dall’offerta della sofferenza” (Cfr. Giovanni Paolo II, Al termine della S. Messa celebrata dal Cardinale Ruini nella Basilica Vaticana in occasione della V Giornata Mondiale del Malato, in l’Osservatore Romano, 13 febbraio 1997, p. 6).

8. “Ecco, carissimi, Loreto ci fa pensare a Nazaret e Nazaret rappresenta ogni casa, ogni famiglia cristiana. In queste famiglie voi ammalati avete un compito insostituibile: essere con la preghiera e con la testimonianza una fonte inesauribile di pace e di unità. Lo dico anche in riferimento alla Nazione italiana, e soprattutto alla grande Famiglia della Chiesa. Affido in particolare alle vostre preghiere la causa dell’unità dei cristiani: implorate con insistenza, mediante intercessione della Vergine, la piena unità dei cristiani nella fede e nella carità” (Cfr. Giovanni Paolo II, Il discorso rivolto ad un gruppo di ammalati raccolti nella navata centrale del Santuario Mariano di Loreto, 10 dicembre 1994, in Dolentium Hominum, n. 29/1995, p. 18.)

9. ” …Un caloroso benvenuto rivolgo soprattutto a voi, cari malati, che avete affrontato i disagi del viaggio per venire a Roma, vicino alla tomba dell’apostolo Pietro… Offrite la vostra sofferenza per diventare protagonisti nel cammino di rinnovamento evangelico che la Chiesa intera è chiamata a percorrere in questi anni che ci conducono al Giubileo del Duemila” (Cfr. Giovanni Paolo II, Il discorso ai partecipanti al pellegrinaggio organizzato dall’Opera Federativa Trasporti Ammalati a Lourdes, 23 marzo 1996, in Dolentium Hominum, n. 32/1996, p. 16.)

10. “Mi rivolgo ora a voi, carissimi fratelli e sorelle malati. Attraverso il dolore voi venite configurati a quel “Servo del Signore” che, secondo la parola di Isaia “ha preso su di sé le nostre infermità e si è addossato i nostri dolori” (Is 53, 4; cfr. Mt 8, 12; Col 1, 24)….In quest’anno millenario del martirio di sant’Adalberto, che è anche il primo anno di preparazione al Grande Giubileo del 2000, ed è consacrato a Cristo, unico Salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre, vi affido le mie intenzioni per la Chiesa universale e per la Chiesa nella vostra terra: offrite le vostre sofferenze per le necessità della nuova evangelizzazione; per la Chiesa missionaria, nella quale il Signore suscita ancor oggi i suoi martiri com’è stato sant’Adalberto; per i lontani, per chi ha perduto la fede. Vi chiedo ancora di pregare per l’opera che la Chiesa svolge in questo Paese: per i vostri Vescovi e sacerdoti; per l’aumento delle vocazioni sacerdotali e religiose; per la causa dell’ecumenismo…Tutte queste speranze io pongo nelle vostre mani e nei vostri cuori, carissimi fratelli e sorelle sofferenti”. (Cfr. Giovanni Paolo II, Il discorso ai malati ed ai religiosi, nella Basilica del monastero di Breunon a Praga, 26 aprile 1997, in Dolentium Hominum, n. 35/1997, pp.15-16.).

11. “A Voi, cari malati ….rivolgo parole di cordiale saluto. Ogni giorno cerco di essere vicino alle vostre sofferenze….E’ grazie a voi, grazie alla vostra comunione con il Crocifisso, che la Chiesa possiede ricchezze inestimabili nel suo tesoro spirituale. Niente arricchisce gli altri come il dono gratuito della sofferenza. Perciò ricordate sempre, specialmente quando vi sentite abbandonati, che la Chiesa, il mondo, la nostra Patria hanno tanto bisogno di voi. Ricordate anche che ha bisogno di voi il Papa” (Cfr. Giovanni Paolo II, Il discorso ai medici, agli infermieri e agli operatori del mondo sanitario polacco presso la nuova clinica cardiochirurgica dell’ospedale “Giovanni Paolo II” di Cracovia, 9 giugno 1997, in Dolentium Hominum n. 36/1997, p. 17.)

12. “Carissimi Fratelli e Sorelle, la vostra Responsabile, interpretando l’atteggiamento che avrebbe oggi il Fondatore, ha espresso la promessa di collaborare intensamente con la preghiera ed il sacrificio alla preparazione del Grande Giubileo dell’Anno 2000. Grazie per questo vostro contributo. Esso è quanto mai utile e prezioso…. Non vi può essere autentica preparazione al Giubileo se non si assume nell’itinerario spirituale anche l’esperienza del soffrire, nelle sue varie forme” (Cfr. Giovanni Paolo II, Il discorso nel Palaghiaccio di Marino agli aderenti al “Centro Volontari della Sofferenza” nel 50° di Fondazione, 6 settembre 1997, in Dolentium Hominum, n. 36/1997, p. 22.).

13. “In questo secondo anno di preparazione al Giubileo, Maria deve essere contemplata e imitata “soprattutto come donna docile alla voce dello Spirito, donna del silenzio e dell’ascolto, donna della speranza, che seppe accogliere come Abramo la volontà di Dio “sperando contro ogni speranza” (Rm 4, 18) (Esort. Ap. Tertio millennio adveniente, 48) … Cari ammalati, nella Comunità ecclesiale è riservato a voi un posto speciale. La condizione di sofferenza in cui vivete e il desiderio di recuperare la salute vi rendono particolarmente sensibili al valore della speranza. Affido all’intercessione di Maria la vostra aspirazione al benessere del corpo e dello spirito e vi esorto ad illuminarla ed elevarla con virtù teologale della speranza, dono di Cristo”. (Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio del Santo Padre per la VI Giornata Mondiale del Malato, 11 febbraio 1998, n. 4; 7., in Dolentium Hominum, n. 36/1997, pp. 5-6.)

14. ” Mercoledì prossimo, 11 febbraio, si celebra la sesta Giornata Mondiale del Malato….Quest’anno essa si svolgerà a Loreto, presso la Santa Casa, celeberrima icona del mistero dell’Incarnazione, sede quanto mai adatta in questo secondo anno di preparazione immediata al Grande Giubileo, dedicato allo Spirito Santo….Ogni uomo è chiamato a soffrire; ogni uomo, imitando Maria, può diventare cooperatore della sofferenza di Cristo e quindi della sua redenzione”. (Cfr. Giovanni Paolo II, Recita dell’Angelus, 8 febbraio 1998, in Traccia 1998, 148/II, 1).

15. “… Oggi, infatti, 11 febbraio, è la giornata dei malati di tutto il mondo e della Polonia in particolare. In questa giornata mi rivolgo in modo speciale sia ai malati riuniti nel santuario di Loreto in Italia sia a tutti i malati nei santuari polacchi. Li saluto e li affido alla Madre di Dio, e allo stesso tempo chiedo loro di pregare per la Nazione, per la Chiesa, per il Papa, per tutte le necessità del mondo intero”. (Cfr. Giovanni Paolo II, Udienza generale 11 febbraio 1998 “saluto ai fedeli di lingua polacca”, in Traccia 1998, 152/II).

Giovanni Paolo II

© 2009  The Pontifical Council for Health Pastoral Care

Inviato: 12/09/2006 14.32

Benedetto XVI - L'arcobaleno della pace.

  

Discorso di Benedetto XVI ad Auschwitz

 

 

 

 

28 maggio 2006

Come non rimanere ‘toccati’ dalla comparsa 
dell’arcobaleno, simbolo biblico 
di pace e riconciliazione?

Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l’uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio – un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? È in questo atteggiamento di silenzio che ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte; questo silenzio, tuttavia, diventa poi domanda ad alta voce di perdono e di riconciliazione, un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa.Ventisette anni fa, il 7 giugno 1979, era qui Papa Giovanni Paolo II; egli disse allora: “Vengo qui oggi come pellegrino. Si sa che molte volte mi sono trovato qui… Quante volte! E molte volte sono sceso nella cella della morte di Massimiliano Kolbe e mi sono fermato davanti al muro dello sterminio e sono passato tra le macerie dei forni crematori di Birkenau. Non potevo non venire qui come Papa”.

 Papa Giovanni Paolo II stava qui come figlio di quel popolo che, accanto al popolo ebraico, dovette soffrire di più in questo luogo e, in genere, nel corso della guerra: “Sono sei milioni di Polacchi, che hanno perso la vita durante la seconda guerra mondiale: la quinta parte della nazione”, ricordò allora il Papa. Qui egli elevò poi il solenne monito al rispetto dei diritti dell’uomo e delle nazioni, che prima di lui avevano elevato davanti al mondo i suoi Predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI, e aggiunse: “Pronuncia queste parole […] il figlio della nazione che nella sua storia remota e più recente ha subito dagli altri un molteplice travaglio. E non lo dice per accusare, ma per ricordare. Parla a nome di tutte le nazioni, i cui diritti vengono violati e dimenticati…”.

Papa Giovanni Paolo II era qui come figlio del popolo polacco. Io sono oggi qui come figlio del popolo tedesco, e proprio per questo devo e posso dire come lui: Non potevo non venire qui. Dovevo venire. Era ed è un dovere di fronte alla verità e al diritto di quanti hanno sofferto, un dovere davanti a Dio, di essere qui come successore di Giovanni Paolo II e come figlio del popolo tedesco – figlio di quel popolo sul quale un gruppo di criminali raggiunse il potere mediante promesse bugiarde, in nome di prospettive di grandezza, di ricupero dell’onore della nazione e della sua rilevanza, con previsioni di benessere e anche con la forza del terrore e dell’intimidazione, cosicché il nostro popolo poté essere usato ed abusato come strumento della loro smania di distruzione e di dominio. Sì, non potevo non venire qui. Il 7 giugno 1979 ero qui come Arcivescovo di Monaco-Frisinga tra i tanti Vescovi che accompagnavano il Papa, che lo ascoltavano e pregavano con lui. Nel 1980 sono poi tornato ancora una volta in questo luogo di orrore con una delegazione di Vescovi tedeschi, sconvolto a causa del male e grato per il fatto che sopra queste tenebre era sorta la stella della riconciliazione. È ancora questo lo scopo per cui mi trovo oggi qui: per implorare la grazia della riconciliazione – da Dio innanzitutto che, solo, può aprire e purificare i nostri cuori; dagli uomini poi che qui hanno sofferto, e infine la grazia della riconciliazione per tutti coloro che, in quest’ora della nostra storia, soffrono in modo nuovo sotto il potere dell’odio e sotto la violenza fomentata dall’odio.

Quante domande ci si impongono in questo luogo! Sempre di nuovo emerge la domanda:

 

 

  • Dove era Dio in quei giorni?

  • Perché Egli ha taciuto?

  • Come poté tollerare questo eccesso di distruzione, questo trionfo del male?

  •  Ci vengono in mente le parole del Salmo 44, il lamento dell’Israele sofferente: “…Tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli e ci hai avvolti di ombre tenebrose… Per te siamo messi a morte, stimati come pecore da macello. Svégliati, perché dormi, Signore? Déstati, non ci respingere per sempre! Perché nascondi il tuo volto, dimentichi la nostra miseria e oppressione? Poiché siamo prostrati nella polvere, il nostro corpo è steso a terra. Sorgi, vieni in nostro aiuto; salvaci per la tua misericordia!” (Sal 44,20.23-27).

  • Questo grido d’angoscia che l’Israele sofferente eleva a Dio in periodi di estrema angustia, è al contempo il grido d’aiuto di tutti coloro che nel corso della storia – ieri, oggi e domani – soffrono per amor di Dio, per amor della verità e del bene; e ce ne sono molti, anche oggi.Noi non possiamo scrutare il segreto di Dio – vediamo soltanto frammenti e ci sbagliamo se vogliamo farci giudici di Dio e della storia. Non difenderemmo, in tal caso, l’uomo, ma contribuiremmo solo alla sua distruzione.

  • No – in definitiva, dobbiamo rimanere con l’umile ma insistente grido verso Dio: Svégliati! Non dimenticare la tua creatura, l’uomo!

  • E il nostro grido verso Dio deve al contempo essere un grido che penetra il nostro stesso cuore, affinché si svegli in noi la nascosta presenza di Dio – affinché quel suo potere che Egli ha depositato nei nostri cuori non venga coperto e soffocato in noi dal fango dell’egoismo, della paura degli uomini, dell’indifferenza e dell’opportunismo.

  • Emettiamo questo grido davanti a Dio, rivolgiamolo allo stesso nostro cuore, proprio in questa nostra ora presente, nella quale incombono nuove sventure, nella quale sembrano emergere nuovamente dai cuori degli uomini tutte le forze oscure: da una parte, l’abuso del nome di Dio per la giustificazione di una violenza cieca contro persone innocenti; dall’altra, il cinismo che non conosce Dio e che schernisce la fede in Lui.

  • Noi gridiamo verso Dio, affinché spinga gli uomini a ravvedersi, così che riconoscano che la violenza non crea la pace, ma solo suscita altra violenza – una spirale di distruzioni, in cui tutti in fin dei conti possono essere soltanto perdenti. Il Dio, nel quale noi crediamo, è un Dio della ragione – di una ragione, però, che certamente non è una neutrale matematica dell’universo, ma che è una cosa sola con l’amore, col bene.

  •  Noi preghiamo Dio e gridiamo verso gli uomini, affinché questa ragione, la ragione dell’amore e del riconoscimento della forza della riconciliazione e della pace prevalga sulle minacce circostanti dell’irrazionalità o di una ragione falsa, staccata da Dio.Il luogo in cui ci troviamo è un luogo della memoria, è il luogo della Shoah. Il passato non è mai soltanto passato. Esso riguarda noi e ci indica le vie da non prendere e quelle da prendere. Come Giovanni Paolo II ho percorso il cammino lungo le lapidi che, nelle varie lingue, ricordano le vittime di questo luogo: sono lapidi in bielorusso, ceco, tedesco, francese, greco, ebraico, croato, italiano, yiddish, ungherese, neerlandese, norvegese, polacco, russo, rom, rumeno, slovacco, serbo, ucraino, giudeo-ispanico, inglese. Tutte queste lapidi commemorative parlano di dolore umano, ci lasciano intuire il cinismo di quel potere che trattava gli uomini come materiale non riconoscendoli come persone, nelle quali rifulge l’immagine di Dio. Alcune lapidi invitano ad una commemorazione particolare. C’è quella in lingua ebraica. I potentati del Terzo Reich volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall’elenco dei popoli della terra. Allora le parole del Salmo: “Siamo messi a morte, stimati come pecore da macello” si verificarono in modo terribile. In fondo, quei criminali violenti, con l’annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell’umanità che restano validi in eterno. Se questo popolo, semplicemente con la sua esistenza, costituisce una testimonianza di quel Dio che ha parlato all’uomo e lo prende in carico, allora quel Dio doveva finalmente essere morto e il dominio appartenere soltanto all’uomo – a loro stessi che si ritenevano i forti che avevano saputo impadronirsi del mondo. Con la distruzione di Israele, con la Shoah, volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell’uomo, del forte. C’è poi la lapide in lingua polacca: In una prima fase e innanzitutto si voleva eliminare l’élite culturale e cancellare così il popolo come soggetto storico autonomo per abbassarlo, nella misura in cui continuava ad esistere, a un popolo di schiavi. Un’altra lapide, che invita particolarmente a riflettere, è quella scritta nella lingua dei Sinti e dei Rom. Anche qui si voleva far scomparire un intero popolo che vive migrando in mezzo agli altri popoli. Esso veniva annoverato tra gli elementi inutili della storia universale, in una ideologia nella quale doveva contare ormai solo l’utile misurabile; tutto il resto, secondo i loro concetti, veniva classificato come lebensunwertes Leben – una vita indegna di essere vissuta. Poi c’è la lapide in russo che evoca l’immenso numero delle vite sacrificate tra i soldati russi nello scontro con il regime del terrore nazionalsocialista; al contempo, però, ci fa riflettere sul tragico duplice significato della loro missione: hanno liberato i popoli da una dittatura, ma liberando i popoli dovevano servire anche a sottomettere gli stessi popoli ad una nuova dittatura, quella di Stalin e dell’ideologia comunista. Anche tutte le altre lapidi nelle molte lingue dell’Europa ci parlano della sofferenza di uomini dell’intero continente; toccherebbero profondamente il nostro cuore, se non facessimo soltanto memoria delle vittime in modo globale, ma se invece vedessimo i volti delle singole persone che sono finite qui nel buio del terrore. Ho sentito come intimo dovere fermarmi in modo particolare anche davanti alla lapide in lingua tedesca. Da lì emerge davanti a noi il volto di Edith Stein, Theresia Benedicta a Cruce: ebrea e tedesca scomparsa, insieme con la sorella, nell’orrore della notte del campo di concentramento tedesco-nazista; come cristiana ed ebrea, ella accettò di morire insieme con il suo popolo e per esso. I tedeschi, che allora vennero portati ad Auschwitz-Birkenau e qui sono morti, erano visti come Abschaum der Nation – come il rifiuto della nazione. Ora però noi li riconosciamo con gratitudine come i testimoni della verità e del bene, che anche nel nostro popolo non era tramontato. Ringraziamo queste persone, perché non si sono sottomesse al potere del male e ora ci stanno davanti come luci in una notte buia. Con profondo rispetto e gratitudine ci inchiniamo davanti a tutti coloro che, come i tre giovani di fronte alla minaccia della fornace babilonese, hanno saputo rispondere: “Solo il nostro Dio può salvarci. Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto” (cfr Dan 3,17s.).

    Sì, dietro queste lapidi si cela il destino di innumerevoli esseri umani. Essi scuotono la nostra memoria, scuotono il nostro cuore. Non vogliono provocare in noi l’odio: ci dimostrano anzi quanto sia terribile l’opera dell’odio. Vogliono portare la ragione a riconoscere il male come male e a rifiutarlo; vogliono suscitare in noi il coraggio del bene, della resistenza contro il male. Vogliono portarci a quei sentimenti che si esprimono nelle parole che Sofocle mette sulle labbra di Antigone di fronte all’orrore che la circonda: “Sono qui non per odiare insieme, ma per insieme amare”.

    Grazie a Dio, con la purificazione della memoria, alla quale ci spinge questo luogo di orrore, crescono intorno ad esso molteplici iniziative che vogliono porre un limite al male e dar forza al bene. Poco fa ho potuto benedire il Centro per il Dialogo e la Preghiera. Nelle immediate vicinanze si svolge la vita nascosta delle suore carmelitane, che si sanno particolarmente unite al mistero della croce di Cristo e ricordano a noi la fede dei cristiani, che afferma che Dio stesso e sceso nell’inferno della sofferenza e soffre insieme con noi. A Oświęcim esiste il Centro di san Massimiliano e il Centro Internazionale di Formazione su Auschwitz e l’Olocausto. C’è poi la Casa Internazionale per gli Incontri della Gioventù. Presso una delle vecchie Case di Preghiera esiste il Centro Ebraico. Infine si sta costituendo l’Accademia per i Diritti dell’Uomo. Così possiamo sperare che dal luogo dell’orrore spunti e cresca una riflessione costruttiva e che il ricordare aiuti a resistere al male e a far trionfare l’amore.

    L’umanità ha attraversato a Auschwitz-Birkenau una “valle oscura”. Perciò vorrei, proprio in questo luogo, concludere con una preghiera di fiducia – con un Salmo d’Israele che, insieme, è una preghiera della cristianità: “Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza … Abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni” (Sal 23, 1-4. 6).

 

 

 

 

 

 

 

 

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