PIERLUIGI MICHELI: “Quel non so che” – Angelo Nocent
Posted on novembre 26th, 2009 by Angelo
PIERLUIGI MICHELI: “Quel non so che”
chiamato agàpe
(II parte)
I santi assomigliano a Gesù ma Gesù non assomiglia ai santi
Per il filosofo Jean Guitton, i santi sono un prisma che ci permette di conoscere l’enigmatico Sconosciuto del Vangelo. E’ la luce di questo Sconosciuto ad illuminare quelle esistenze che nessun segno esterno permette di riconoscere – siano essi dei mendicanti o dei prìncipi – anche se vi passiamo accanto tutti i giorni. Egli scrive: “Gesù è un lavoratore normale e un maestro, un contemplativo, uno schiavo, un capo, un prete, una vittima, un apostolo, ecc… I santi sono i colori di questo spettro. Non è possibile separare Gesù dai santi, né questi da Gesù. E’ questa corrente che va da uno all’altro e dall’altro all’uno che mi sembra una conferma, potente e dolce, di ciò in cui credo”.
Ognuno di noi si muove in un mosaico di volti che incontriamo ogni giorno dal vivo o nei loro scritti o nelle loro opere. Sono i volti di chi ci ha preceduti e di chi ci seguirà, i volti di coloro che vorremmo essere o di coloro che vorremmo assolutamente evitare di diventare. Vero è che, nei mille volti che sfioriamo, quello che davvero cerchiamo è il Volto. Chi cerca Dio, lo può vedere nella luce dei santi. Con i frammenti di tanti volti umani raccontati, c’è il tentivo di trovare le parole per narrare il Volto del divino che si cela in ognuno. Anche una rivista può essere un modo perché i volti e le vie s’incontrino e s’intreccino.
Il volto di Pierluigi Micheli, luce riflessa nel caleidoscopio della santità è l’oggetto della nostra ulteriore indagine.
Nel precedente numero ci siamo lasciati con le ultime parole del libro di Martano: “Non tace il segno di questa grande e feconda umanità”. Non so immaginare come il Dott. Micheli, a sentir parlare di lui, l’abbia presa. Probabilmente come di solito: “Ogni sublime umorismo comincia con la rinuncia dell’uomo a prendere sul serio la propria persona”. Così pensava e conseguentemente agiva. Ma noi preferiamo continuare per la nostra strada, con l’impegno di amplificare la voce e diffondere il messaggio che ci viene da un testimone del Vangelo, nel decimo anniversario della sua morte.
Abbiamo accennato ad un poema sinfonico: l’Inno alla Carità (1 Cor 12, 29-31; 13,1-13; 14,1-3). Va tenuto a portata di mano perché in esso vi è l’indiretta risposta alle due precedenti affermazioni, alquanto impegnative e, forse, non del tutto condivise dai lettori più esigenti:
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“Fa’ splendere il tuo volto su questa comunità parrocchiale che ti ricorderà sempre come il migliore dei suoi figli, come il più saggio e il più santo fra i suoi fedeli” (Parroco di San Marco in Milano nella liturgia esequiale);
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“morto a Milano il 22 Giugno 1998 IN CONCETTO DI SANTITÀ” (epigrafe precedente numero).
Contro ogni esitazione ad affrontare l’argomento, è vorrei richiamare un fatto a tutti noto ma che difficilmente torna in mente: “Ti assicuro che oggi sarai con me in paradiso”. E’ un’espressione che sappiamo a memoria e che rimanda al Calvario, al dialogo di Gesù con il ladrone, pure crocifisso. In realtà sono parole sacramentali pronunciate da Gesù sul primo canonizzato della Chiesa nascete. Si tratta di un ladro, condannato a morte, crocifisso di fianco al Giusto. Il disgraziato raccoglie le forze ed osa il gesto estremo: “Gesù, ricordati di me quando sarai nel tuo regno” (Lc 23, 42-43). Deduco che bene ha fatto il Parroco a chiamare le cose con il loro nome: Pierluigi “il più santo fra i fedeli della comunità parrocchiale”.
Certo, la Chiesa da sempre sa che quando lasciamo il corpo, “lasciamo questa vita per essere con Cristo” (Fil 1,23). Del resto, si tratta di un “già” che Paolo VI spiega molto bene: “La Resurrezione di Cristo interessa noi? Certissimamente. Noi tutti siamo compresi in quel massimo prodigio e come avvolti dalla sua luce. E cioè: fra i battezzati, i cristiani e il Cristo esiste un rapporto arcano, ma vivo e vero, che ha mutato sostanzialmente gli esseri umani, e con sommo privilegio li ha introdotti al Mistero della Resurrezione.
Col Battesimo il Signore ha infuso in ogni suo seguace il principio, il seme di una nuova vita, la Sua, che ci porterà al Paradiso. Ed ecco il dono incomparabile. Avviene un reale innesto della vita di Cristo in noi e ci fa entrare nel circuito divino della sua energia e della sua forza. Siamo vivificati da Lui, insieme risuscitati, come dice San Paolo. E perciò: “Si consurrexistis cum Christo, quae sursum sunt quaerite… quae sursum sunt sapite, non quae super terram”: Se siete risuscitati con Cristo, cercate le cose dell’alto… gustate le cose superne, non quelle della terra. Tale verità sarà confermata, tra breve, in reale pienezza, dalla Comunione Eucaristica. Sentirci, quindi, cristiani cioè appartenenti a Cristo, è insigne risultato della Resurrezione”. (Pasqua 18 Aprile 1965)
Pierluigi, tra alti e bassi, ha camminato per 85 anni in quest’ottica (27 Ottobre 1913-22 Giugno 1998). Ne siamo tutti convinti: a contare davvero non è tanto l’aspirare agli “onori degli altari” che rarissimi tra noi raggiungeranno, proprio per non averli ambiti, quanto l’essere con Cristo, possibilità offerta gratuitamente a tutti. Ma allora perché i santi? Ce n’è proprio bisogno?
I nostri amici Protestanti dicono di no. Il pastore evangelico Paolo Ricca proprio di recente ha preso lo spunto per motivare le sue obiezioni: “Anche la santità di padre Pio, come quella di ciascun cristiano (ogni cristiano è «santo» perché Dio è santo: 1Pietro 1, 15-16) può solo essere un pallido riflesso della santità vera e piena di Cristo.” Ed aggiunge: “…in fin dei conti Padre Pio è più «popolare» di Gesù stesso, allora Padre Pio dovrebbe veramente fare un miracolo, l’unico che conta: far capire in qualche modo alla gente (come, non saprei) che la sua santità non è nulla rispetto a quella di Cristo”.
Eccessi e stravolgimenti a parte – di cui è bene raccogliere l’ammonimento e ravvedersi – vien da dire all’amico Ricca: che non lo sappiano la Chiesa di Roma e buona parte dei cristiani? Mi sovviene un’espressione di Sant’Agostino che ho memorizzato durante il Concilio, in occasione della riforma liturgica: “E’ meglio che non ci capiscano gli eruditi piuttosto che non ci comprendano i popoli”. Se per noi cattolici i santi sono importati è perché vi troviamo un senso che va ripetutamente recuperato. Si dice che erano donne e uomini come noi, vissuti in contesti difficili quanto i nostri ma che hanno saputo, voluto, potuto, fatto… Dunque: testimoni. Epperò il senso io lo trovo nelle parole del Maestro: “beati quelli che hanno creduto senza aver visto!” (Gv 20, 29). E’ strepitoso, è grazia, dono.
Don Giussani, parlando di San Riccardo Pampuri nella prefazione di una biografia, ci offre la giusta linea interpretativa:
“Da quando lo abbiamo conosciuto qualche anno fa attraverso il racconto stupefatto di chi ne ha avuto beneficio nel corpo e nello spirito, san Riccardo è per noi la testimonianza mirabile che la santità come ideale di umanità vera è alla portata di tutti.
Nella sua figura semplice e discreta di medico condotto – che giganteggia nella nostra campagna lombarda – ciascuno di noi ritrova i lineamenti dei proprio volto umano autentico. Tanto che non si può non aderire alla verità dell’invito della Didaché: “Cercate ogni giorno il volto dei santi e traete conforto dal loro discorsi”.
Il santo dei Fatebenefratelli ci insegna che il grande problema della santità cristiana è riconoscere una Presenza eccezionale che è entrata nella storia del tempo. Così che la creatura nuova generata dall’acqua del Battesimo si erge sulla scena del mondo come un protagonista nuovo, chiamato a cambiare la terra insieme ai fratelli uomini, fino al suo compimento finale, che sarà come e quando al misterioso disegno del Padre piacerà”. (S. Riccardo Pampuri – Camilleri)
E qui, per grazia di Dio, – guarda caso – ci risiamo: un altro medico, stesso secolo, nella continuità. I santi mi spronano a credere senza il vedere. Mi si fanno Parola di Dio incarnata e mi additano il Vangelo, la grande sinfonia dell’amore per l’uomo.
Quando il Mons. Andrea Ghetti della Parrocchia del Suffragio di Milano – Baden per gli scouts – m’insegnava, da ragazzo, a meditare tenendo in una mano la Bibbia e nell’altra la biografia di un santo, mi dava la “dritta”, come quando un maestro dice al cantante d’opera: “ascolta la Callas in questo passaggio…vai a sentire il fraseggio di Bastianini…impara da Di Stefano a impostare l’acuto…”. Ecco la funzione del santo: additare, suggerire, incoraggiare…E’ l’ hêgoúmenos , di cui abbiamo già parlato: un fratello maggiore che prende per mano il minore “aiutandolo a percorrere un tratto con sé, per lasciarlo poi proseguire sui suoi piedi con la forza dello slancio acquisito” (Micheli Cf. 27).
Un uomo da conoscere
Se uno mi chiedesse a bruciapelo in che cosa consista la santità del Dr. Micheli, come risposta non avrei che parole poverette: nessuna prova schiacciante da sottoporre, non un miracolo da illustrare. Ma è proprio così necessario? Ognuno, volendo, potrebbe provare a guardare il volto di questo medico, accostarsi a lui senza pregiudizi e verificare da sé il grado di corrispondenza con il Volto invisibile di Dio, i cui riflessi non sono trascurabili. Anche perché a monte, oltre al miracolo dela Grazia, c’è un lavoro interiore di anni. Pierluigi si è lasciato prende per mano già da liceale a Monza. I suoi educatori? La mamma, il Maestro Interiore, la Parola, i professori, i libri, le persone…) Ecco perché lo trovo con le carte in regola per additarlo con insistenza come hêgoúmenos per noi. Lui, appassionato del divino, è suonatore integerrimo, rigorosamente intonato, uno Stradivari nella grande orchestra del Regno, dove nessuno – salvo i Raccomandati dell’ultima ora – s’improvvisa musicista. Come ogni serio professionista, anche Pierluigi, mentre si acculturava nelle scienze mediche, in concomitanza si perfezionava nella “teologia dei Santi” che è “Scienza d’Amore”, scienza dell’Amore Divino rivelato e dato in Gesù Cristo. Secondo le parole di san Paolo che Pierluigi ha fatte sue, in realtà, questa scienza di “tutti i santi”, cioè della Chiesa come Popolo Santo, va chiesta e ricevuta “in ginocchio” davanti al Padre, come dono dello Spirito Santo.
Di cosa si tratta? In che cosa consiste? Nel “conoscere l’Amore del Cristo che sorpassa ogni conoscenza” (cf Ef 3,14-19). Attingendo ancora immagini dalla musica, si può dire che Pierluigi ha assimilato i canoni fondamentali del buon musicista:
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coltivare pazientemente l’arte dell’ascolto,
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curare la capacità di emissione perfetta del suono,
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badare al colore delle note,
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vibrare all’unisono con l’orchestra,
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pendere dal gesto manuale e dalla mimica facciale del Direttore…
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che per lui è Gesù, il Maestro, Colui che invita tutti ad assumere il ruolo d’interprete
più che di spettatore, di atleta più che di tifoso.
Da laico nella Chiesa – Da cristiano nel mondo
I suoi discepoli no, ma San Giovanni di Dio in giacca e cravatta, nell’immaginario collettivo stonerebbe. Epperò oggi l’Arcivescovo di Granada, incontrandolo in corsia in abiti dimessi, non avrebbe esitazione a suggerirgli di vestire in ospedale un classico di buon gusto, magari alla Bertinotti. O meglio, di adeguarsi, anche nell’abbigliamento, ai diversificati ruoli della giornata. Per via che l’abito non fa il monaco? Anche. Ma più semplicemente per funzionalità.
A cominciare dall’abbigliamento, ed in non so quante altre cose, il Micheli, che ha vissuto per decenni gomito a gomito con i religiosi, per certi aspetti è distante anni luce dal santo Patriarca. Per carità: che non avesse anche lui i suoi personali difetti, qualche debolezza o fragilità, nessuno è qui a negarlo e sarebbe utile che la consorte e gli amici amorevolmente ce ne parlassero. Su ogni cosa i nostri punti di vista possono essere contrastanti, giacché la di divergenza di vedute rientra nella fisiologia dell’uomo. Immagino che anche lui perdesse talvolta la pazienza in casa e fuori; che in certi momenti non amasse essere disturbato, che non gli andasse di adeguarsi a una certa mentalità…Alcune debolezze, qualche piccola vanità, sempre gli son venute dietro: a cominciare dalla pipa, gustata anche lungo i corridoi dell’ospedale, la fragrante spruzzatina d’acqua di colonia… Per il resto, come ogni marito, si adeguava agli umori della consorte: “Oggi la signora Augusta ha deciso che devo mettere il cappotto color cammello…La signora ha detto…la signora ha fatto…”. Anche nella conduzione della politica aziendale ospedaliera in cui era inserito come Primario, non tutto avrà condiviso e non sempre si sarà rigorosamente adeguato, acriticamente, a indicazioni opinabili. Resta il fatto che l’Ordine ospedaliero lo ha “aggregato” come figlio diletto. E tale resta.
Ciò a cui teneva particolarmente era una cosa banalissima per molti di noi: il camice bianco, indossato come abito “liturgico”, paragonabile alla casula, per via di quel sacerdozio cui sapeva di appartenere: “Voi siete la stirpe eletta, voi siete il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le meraviglie di Lui” (1 Pt 2,9). Sacerdozio non ministeriale ma vero, non segregato ma di solidarietà con i fratelli, come quello di Gesù, per “offrire sacrifici spirituali graditi a Dio (1 Pt 2,5): le implicazioni del soffrire.
La teologia ci dice che Cristo ha abolito il sacerdozio antico, segregato e separato il più possibile dalla comunità, perché “offrì se stesso” (Ebr10,14). In Lui, non più distinzione tra sacerdote offerente e la vittima offerta, ma contemporaneamente, Lui, sacerdote e vittima, solidale con noi, divenuti così popolo sacerdotale, profetico e regale, chiamati a identica missione.
Pierluigi nell’Amen eucaristico era consapevole di dare non solo l’adesione al Corpo di Cristo sacramentale, ma anche al Corpo di Cristo ecclesiale, di cui egli è il Capo: principio di solidarietà fra le Sue membra e in Lui comunione con il Padre. Sono fondamenti della spiritualità laicale che vanno ribaditi, inculcati. Diversamente, anche l’invocata “collaborazione” dei laici, di cui si fa un gran parlare, appoggiando principalmente sull’umano o sull’effimero o sul carisma immaginario, se mai è esistita, è casa destinata a crollare alle prime scosse.
Ma il laico Pierluigi, di temperamento così diverso, acculturato, elegante, a tratti arguto ed ironico, assomiglia in qualcosa a quell’uomo di poche parole, sempre in movimento, piuttosto trasandato ma “rivoluzionario”, che è san Giovanni di Dio? Sì. Ma in un aspetto che non è affatto appariscente. Noi siamo soliti enfatizzare la genialità del Santo che, dal Lombroso in avanti, viene accettato come inventore dell’ospedale moderno. Se corrisponde al vero, non è cosa da poco. Ma il punto focale sul quale convergere dovrebbe essere un altro: quel chiodo fisso che quel pazzo di portoghese, trapiantatosi a Granada, s’è ficcato in testa: “Dio sopra tutte le cose del mondo. Amen Gesù”. (Dalle lettere).
Bene: su questo aspetto il Micheli è vero discepolo, in perfetta sintonia, immagine di comunione. Perché questo motto rivoluzionario è prodigioso e ne suscita uno conseguente, perfino contagioso: “Fate del bene a voi stessi, fratelli, per amore di Dio”. Il resto è relativo, contingente.
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Perché rivoluzionaria è l’audacia dei deboli che fa andare in confusione i potenti (1 Cor 1,27-28),
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la fortitudo dello Spirito che li abita: Deus, in te sperántium fortitúdo, Dio, sostegno e forza di chi spera in Te…
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Qui sta la grandezza dell’uomo abitato dall’Amore Trinitario, del medico cristificato.
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”vivo autem, iam non ego: vivit vero in me Christus! (Gal 2, 20). Parafrasando, si potrebbe tradurre così: Se ho la consapevolezza di essere stato crocifisso con Cristo, sono liberato dalla legge, «e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me…».
Allora un medico del ‘900, a Milano, in giacca, cravatta e camice lindo, con una debolezza per la pipa, fragrante di colonia, che ha una convinzione radicata: “Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me”(Gal 2, 20), uno che si guarda bene di separare la scienza dalla fede, crescendo l’una alla luce dell’altra, come lo definireste? Io altro non vedo che un contemplativo nel contesto schizofrenico e allucinogeno delle contraddizioni che la città degli affari vive e offre, o anche di un ospedale, per certi versi, distratto.
“Quel non so che” chiamato agàpe
Il promesso Jean Guitton, uno dei più eminenti filosofi cristiani del nostro tempo, dei santi ha una sua opinione originale ed illuminante. Anche per la sua fede, la loro esistenza non è irrilevante: questi hanno il potere di rassicurarlo maggiormente in essa. Nel suo libro “Che cosa credo”, cosi si racconta:
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“I santi non sono per me né dei privilegiati del calendario, né degli intercessori, e ancor meno dei personaggi che appartengono alla leggenda, o alle vetrate.
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A mio parere non sono degli individui di un carisma eccezionale e neppure dei guaritori.
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Non sono essenzialmente degli asceti o degli uomini che praticano il digiuno, anche se conosco a questo proposito degli esseri umani inimitabili.
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E non sono neppure dei filantropi o dei riformatori sociali, anche se conosco ancora ai nostri tempi delle anime semplici che appartengono a questo gruppo di persone meravigliose.
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Non sono neanche degli iniziatori di nuove religioni, o dei fondatori di ordini, congregazioni o nuove compagnie.
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Certamente ho la più grande ammirazione per tutti i personaggi che ho appena nominato, in quanto propongono dei modelli privilegiati alla venerazione dei fedeli, allo stesso modo in cui apprezzo in tutti i loro aspetti gli esseri umani eccezionali, gli eroi, gli esploratori della luna, e tutti coloro che scoprono cose come l’Anapurna.
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Ma ciò che mi attira nei “santi” è qualcosa di completamente diverso: per esempio, in Teresa non sono solo le estasi, nel parroco di Ars non sono solo i digiuni eccezionali, in Francesco d’Assisi le stigmate, in Vincenzo de’ Paoli o in Don Bosco le opere, poiché possono esistere dei grandi filantropi o dei grandi asceti che non trasmettono l’impressione di quel “ non so che “ che io chiamo col nome comune di “santità”.
L’ amico di Paolo VI, laico al Concilio, la spiegazione di quel “non so che” la trova nella prima lettera di Paolo ai Corinti e precisamente nell’inno all’amore, cap. 13,1-13:
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“Quando l’Apostolo Paolo ha voluto definire a sua volta quel “non so che” che chiama stranamente agàpe, lo ha paradossalmente opposto al dono della fede che muove le montagne, o allo zelo della fede che fa morire i martiri tra le fiamme, e spiega l’agàpe con la pazienza, la dolcezza la buona reputazione presso gli altri, l’intensità della speranza, ecc.
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Credo che con questo cerchi di definire quello che chiamo l’elemento della santità, dato che la difficoltà di coloro che hanno ricevuto questi doni rari ed eccelsi è quella di oltrepassarli, di andare sempre al di là e di giungere fino alla purezza dell’amore, fino all’amore puro, all’umile dovere di stato, alla semplicità e all’umanità divina.
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Per tutta la vita ho potuto constatare che la Chiesa Cattolica genera naturalmente dei santi…Di questi santi ignorati e allo stesso tempo sconosciuti a se stessi, che vivono in Dio senza saperlo fino in fondo, ne ho visti diversi intorno a me…
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Ripeto che il cristianesimo, e più in particolare il cattolicesimo, crea questi sconosciuti in ogni generazione. Non voglio dire che sia sempre in grado di individuarli: è difficile riconoscere un santo anche dopo la sua morte“.
Chi ama è – Chi non ama non è
Ma allora Pierluigi è un santo? Dopo questa lunga premessa per chiarire il termine “santità”, bisogna provare a rispondere all’audace interrogativo. Come ho già avuto modo di scrivere, il Martano, primo biografo, nel suo libro non lo dichiara. Per due motivi: primo, perché non l’ha conosciuto il Micheli; poi, perché il suo compito, a pochi anni dalla morte, era quello di cronista: frugare tra gli scritti, intervistare, documentarsi e riferire, astenendosi dal pronunciare giudizi. Lavoro egregio il suo. Con un particolare: in “PIERLUIGI MICHELI MEDICO UMANISTA”, sovra titola: “Imago animi sermo est”. Non è parola di Dio ma di Seneca. Che, per rimarcare, aggiunge: qualis vir, talis oratio, ossia: la parola è specchio dell’anima; l’uomo e il suo parlare coincidono.
Martano definisce il Micheli “medico umanista”. La mia domanda provocatoria è sempre stata questa: perché umanista e non santo? Ormai, a dieci anni dalla morte, personalmente, pur con i limiti delle mie conoscenze, mi sento di poter ribadire in coscienza, libertà e senza impegnare nessuno, che Pierluigi è santo. Proprio così: santo. La santità non ha bisogno di vesti sgargianti. Normalmente non si apre la strada a colpi di miracoli o di gesti spettacolari. In fondo, la santità è la condizione normale della vocazione cristiana, non un attributo di lusso per pochi, né esclusiva dei chiamati alla vita religiosa.
Io nel medico Micheli, laico, vedo una santità complementare a quella di San Riccardo Pampuri, medico-frate. Connubio che si celebra nello stesso luogo: L’Ospedale San Giuseppe. Il primo viene portato lì a morire. L’altro, eredita, mette a frutto e consegna a sua volta il patrimonio. Dobbiamo riconoscerlo: di entrambi i modelli abbiamo bisogno. Allora perché non provare a scoprire “quel non so che” che caratterizza entrambi, con la chiave di lettura fornita dall’Apostolo Paolo e indicata dal filosofo Guitton?
Per ora Pierluigi appartiene alla legione dei santi ignorati, di cui s’è parlato. Forse più d’uno, man mano, si andrà accorgendo che lì, in quella stoffa di broccato, negl’intrecci della tessitura, durata 85 anni, nei fili di rilievo che formano disegni di trama, il progetto di Dio, c’è un santo davvero. Ho avuto già modo di dire che, forse, è per eccesso di prudenza che si tende a sottolineare in lui l’umanista, perché è soluzione non compromettente, asettica, senza rischio. Il fatto però che se ne parli, una qualche ragione ci dovrà pur essere. I motivi sono elencati proprio nell’inno dell’agàpe, dove si dice molto esplicitamente: chi ama è, chi non ama, non è:
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“Chi ama è paziente e generoso, non è invidioso, non si vanta, non si gonfia di orgoglio,
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è rispettoso, non cerca il proprio interesse, non cede alla collera,
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dimentica i torti, non gode dell’ingiustizia,
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la verità è la sua gioia, tutto scusa, di tutti ha fiducia, tutto sopporta, mai perde la speranza”. Chi di coloro che l’hanno conosciuto non scorge in questo incalzante ritmo sinfonico il ritratto del Dr. Micheli, “Piero” per gli amici?
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