03 – RIFLESSIONI SUL MISERERE – Il dolore dei peccati – C. M. Martini
3 – Il dolore dei peccati
Dal Vangelo secondo Luca: 22, 54-62
Dopo averlo preso, lo condussero via e lo fecero entrare nella casa del sommo sacerdote. Pietro lo seguiva da lontano. Siccome avevano acceso un fuoco in mezzo al cortile e si erano seduti attorno, anche Pietro si sedette in mezzo a loro. Vedutolo seduto presso la fiamma, una serva fissandolo disse: «Anche questi era con lui ».
Ma egli negò dicendo: «Donna, non lo conosco! ».
Poco dopo un altro lo vide e disse: «Anche tu sei di loro! ».
Ma Pietro rispose: «No, non lo sono! ».
Passata circa un’ora, un altro insisteva: «In verità, anche questo era con lui, è anche lui un Galileo ».
Ma Pietro disse: « O uomo, non so quello che dici ».
E, in quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. All’ora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: «Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte». E uscito pianse amaramente.
Sei giusto quando parli,retto nel tuo giudizio.
Per completare la riflessione sulla prima parte della sezione centrale del Salmo 50, meditiamo sulle parole: « Sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio ». Esse ci permettono di entrare nel tema del dolore dei peccati.
La parola « dolore », pronunciata nel contesto del Sacramento della Riconciliazione, può evocare in noi una sensazione di disagio o di insoddisfazione.
È il ricordo di sentimenti talora spremuti a fatica; l’incertezza che ci può prendere se abbiamo avuto o non abbiamo avuto veramente il dolore in qualche nostra confessione; il senso di colpa per non riuscire, almeno ci sembra, a provare un dolore vivo dei peccati commessi e il ritardare forse, per questo, la confessione.
Eppure, nel campo delle esperienze corporee, il dolore è la più inevitabile, la più evidente, la meno artificiale delle sensazioni: sento un dolòre nel corpo, malgrado non lo voglia.
Gli stessi dolori morali sono qualcosa di molto reale dentro di noi: a volte ci opprimono fino a toglierei il sonno.
Che cos’è dunque il dolore dei peccati che sembra avere poco in comune con la sensazione, tanto viva e presente, del dolore fisico o morale?
Il giudizio su di sé
Vorrei cominciare da qualche riflessione generale.
Ci sono degli atti, più o meno gravi, che ciascuno vorrebbe non avere compiuto. Ci sono dei comportamenti, magari poco appariscenti, che non corrispondono a come ciascuno vorrebbe essere: modi di fare, di pensare, di rispondere, di agire.
Talvolta ci accorgiamo che non dipendono nemmeno da noi e sono piuttosto il frutto di precedenti abitudini, di sorpresa, di inavvertenza. Tuttavia hanno qualche aspetto di cui interiormente sentiamo di non poterci vantare.
Questa capacità di giudizio su di sé non è ancora il dolore dei peccati: ne è la premessa. Infatti non posso pentirmi se non di qualcosa che insieme è mio e non va, l’ho fatto e non l’approvo.
Il cammino della purificazione cristiana presuppone la capacità di giudizio su di sé, implica una dissociazione da qualche aspetto di noi che non approviamo.
Saper fare questo è un segno di libertà in cammino, è un segno di maturazione umana e morale. C’è da dubitare di una persona che accusa sempre gli altri e che è soddisfatta di sé in tutto. Se, nelle nostre confessioni, siamo portati ad accusare gli altri ed a scusare noi, riveliamo di non aver compiuto nemmeno il primo passo verso il pentimento cristiano.
E d’altra parte è vero che, forse per una certa abitudine al Sacramento della Riconciliazione, il nostro pentimento è a volte bloccato dal fatto che non siamo convinti fino in fondo di dover imputare a noi stessi qualcosa che in noi non va. Non ci sentiamo di ammettere del tutto che la colpa è nostra.
Più di frequente il pentimento è bloccato perché non siamo affatto convinti che quello che abbiamo fatto non andava fatto: magari la tradizione e la dottrina dicono che è sbagliato ma interiormente sentiamo che non è vero. In questo caso il dolore, il pentimento diventa faticoso, superficiale, artificiale.
Che cosa dobbiamo fare se ci accorgiamo che il nostro pentimento non si scioglie, che è bloccato da questi motivi che riguardano il giudizio preliminare su noi stessi?
È chiaro che il cammino da fare è il passaggio da una valutazione frettolosa di noi ad una valutazione più realistica e ponderata, attraverso la riflessione e la preghiera.
Invece di cominciare subito con la confessione propriamente detta, può essere opportuno cominciare ad instaurare un semplice colloquio amichevole che permette di esprimere la difficoltà di fondo, di dare voce a questa difficoltà e di farci aiutare a chiarirla. Sarebbe errato fermarsi alla difficoltà lasciandosi ipnotizzare da essa.
Con queste tre riflessioni, siamo ancora ai preliminari di quello che è il dolore cristiano dei peccati: esso scatta e prende forma ad un livello superiore di coscienza e vogliamo cercare di comprenderlo meditando le parole del Salmo 50.
o dei peccati: esso scatta e prende forma ad un livello superiore di coscienza e vogliamo cercare di comprenderlo meditando le parole del Salmo 50.
La parte lesa
Che cosa vuol dire concretamente: « Sei giusto quando parli, retto nel tuo giudizio? ». Noi interpretiamo spontaneamente questo versetto mettendo Dio al posto di un giudice; vediamo idealmente due parti convenute in giudizio e Dio nel mezzo.
Le due parti sono, nel caso del riferimento storico del Salmo, Davide e Uria, il marito di Betsabea ucciso proditoriamente per ordine di Davide. Dio sta nel mezzo come giudice imparziale che dà torto a Davide e lo condanna. Il re accetta la condanna e allora dice a Dio: Tu sei retto quando giudichi.
Questa interpretazione non è cogente. Essa pone Dio come arbitro che condanna il peccatore alla morte, senza possibilità di appello.
La realtà vissuta dal Salmo è molto più profonda. Dio non è giudice: è parte lesa. Egli, che è il principio di ogni fedeltà e di ogni amore, è stato leso mortalmente da Davide, è stato violentato nei suoi diritti. Per questo rimprovera Davide e questi accetta il rimprovero sapendo che il giudizio divino è giusto ed è quindi anche un giudizio di perdono.
Dio, come parte offesa, redarguisce Davide perché vuole la sua vita e non la sua morte: se ha tentato di uccidere Dio, Dio lo vuole salvare.
È propriamente a questo punto che scatta il pentimento biblico, il dolore dell’uomo: l’uomo si trova davanti a Colui che ha leso, di cui ha respinto la fiducia e che di nuovo gli offre la mano destra della sua fiducia.
Se noi chiediamo in che maniera l’offesa fatta al prossimo raggiunge e lede Dio, Egli stesso ci risponderà dal libro dell’Esodo, nella visione del roveto ardente. Il Faraone opprime gli Ebrei e Dio, apparendo a Mosè, si costituisce patte lesa e inizia la sua azione contro l’oppressore con queste parole: « Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti; conosco infatti le sue sofferenze. Sono disceso per liberarlo» (Es. 3, 7-8 ).
Ci risponderà ancora il Vangelo di Matteo, nella scena del giudizio universale, dove Gesù si costituisce parte lesa ovunque un affamato non è nutrito e un carcerato non è visitato: «In verità vi dico… non l’avete fatto a me » (cfr. Mt. 25, 31-46).
Il pianto di Pietro
C’è un brano del Vangelo di Luca che ci può fare cogliere più profondamente l’esperienza del dolore del peccato che abbiamo meditato nelle parole di Davide. È l’episodio di Pietro che per tre volte ha negata di conoscere Gesù: « In quell’istante, mentre ancora parlava, un gallo cantò. Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: “Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte”. Euscito pianse amaramente» (Lc. 22,-54-62).
Perché Pietro scoppia in pianto?
Fino a quel momento aveva una certa coscienza, anche se un po’ annebbiata, di avere fatto una cosa sbagliata, di essersi disonorato; di avere tradito un amico.
Ma è solo quando Gesù lo incontra e lo guarda che Pietro scoppia in pianto. In quel momento capisce una cosa sola: io ho rinnegato quest’uomo e lui va a morire per me!
È la sovrabbondanza incredibile di fiducia e di attenzione a chi l’ha demeritata, che fa scattare il contrasto.
Il dolore cristiano nasce dalla percezione di questo contrasto, nasce dall’incontro con Colui che, offeso in sé e nel suo amore per l’uomo, offre, come contraccambio, uno sguardo di amicizia.
Pensiamo che qualcosa di simile sia avvenuto nella coscienza dell’attentatore di Giovanni Paolo II, all’ingresso indifeso del Papa nella sua cella, al suo curvarsi pieno di simpatia, al suo prestare ascolto come ad un amico.
Sono esperienze che non si possono descrivere e che ciascuno di noi può però intuire.
Domande per noi
La rivelazione della colpevolezza del cristiano viene dall’incontro con Cristo, con la sua Parola e con la sua Persona. Questo incontro sblocca la rigidità del giudizio su di noi, giudizio sempre incerto e impacciato, e la scioglie in un vero pentimento, nel dispiacere interiore per avere offeso Cristo nella sua persona; nel dispiacere per la scorrettezza del nostro rapporto di amicizia, per l’infrazione del codice di onore e di tenerezza, per la disattenzione e il disprezzo di un rapporto prezioso.
Possiamo chiederci:
-
- Per che cosa posso dire, in verità, dentro di me: « Contro di te, contro te solo ho peccato? ». Che cosa emerge nella mia coscienza quando rifletto su queste parole?
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- Quali di queste cose che emergono sono lesioni dell’immagine di Dio in altri, sono rifiuto di attenzione, di ascolto, di aiuto, di stima? Ho colto, riesco a cogliere il rapporto tra la lesione di un altro e la lesione della mia amicizia e alleanza con Dio, che si è instaurata nel Battesimo e che vivo nell’Eucaristia?
- - Sono consapevole della potenza riabilitativa del mio perdono? Anch’io, come Gesù, posso perdonare, posso fare rivivere, posso ridare fiducia e onorabilità.
- Riesco a farlo? Invoco lo Spirito Santo per essere, intorno a me, partecipe del potere riconciliatore di Cristo?
E possiamo dire insieme:
«Concedi, Signore, a noi che cerchiamo la via della penitenza,
di entrare nel giusto cammino
e concedi che questo entrare sia non soltanto per noi
ma per tutta la città che spiritualmente è qui presente e cammina con noi.
Tu, Signore, che hai donato il dolore del peccato a Davide e a Pietro,
concedi la grazia di un dolore profondo a noi
e alla nostra città per tutto ciò che ti offende».
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