7 – RIFLESSIONI SUL MISERERE – TESTIMONIARE LA MISERICORDIA – C. M. Martini
7 – TESTIMONIARE LA MISERICORDIA
Dal Vangelo di Giovanni: 4, 1-39
Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevan sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni – sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli -, lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. Doveva perciò attraversare la Samaria. Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno. Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua.
Le disse Gesù: « Dammi da bere ». I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: « Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana? ». I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: « Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: . “Dammi da bere! “, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva ».
Gli disse la donna: « Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i ‘suoi figli e il suo gregge? ».
Rispose Gesù: « Chiunque beve di quest’ acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna ».
« Signore, gli disse la donna, dammi di quest’ acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua. » Le disse: « Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui ».
Rispose la donna: « Non ho marito ». Le disse Gesù: « Hai detto bene “non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero ».
Gli replicò la donna: « Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite, che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare ».
Gesù le dice: « Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità ».
Gli rispose la donna: « So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa ».
Le disse Gesù: « Sono io, che ti parlo ».
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: « Che desideri? », o: « Perché parli con lei? ».
La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: « Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia? ».
Uscirono allora dalla città e andavano da lui.
Intanto i discepoli lo pregavano: « Rabbì, mangia ».
Ma egli rispose: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete ».
E i discepoli si domandavano l’un l’altro: « Qualcuno forse gli ha portato da mangiare? ».
Gesù disse loro:
- « Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera.
- Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura?
- Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura.
- E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete.
- Qui infatti si realizza il detto: uno semina e uno miete.
- Io vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato,
- altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro ».
- Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: « Mi ha detto tutto quello che ho fatto ».
Insegnerò agli erranti le tue vie
e i peccatori a te ritorneranno.
…la mia lingua esalterà la tua giustizia.
Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode.
Siamo giunti all’ultimo dei nostri incontri e vogliamo riflettere questa sera sulla necessità di essere testimoni della misericordia divina, di vivere la missione della misericordia.
Ci ispiriamo ad alcune tra le parole della parte finale del Salmo 50, là dove viene espresso appunto il proposito di missionarietà: « Insegnerò agli erranti le tue vie..: la mia lingua esalterà la tua giustizia… apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode». Colui che ha percorso il cammino della penitenza sente questa missione come momento conclusivo di ciò che ha fatto e che ha vissuto.
L’esperienza del salmista
Notiamo innanzitutto che il salmista esprime il suo impegno missionario in una maniera precisa, che corrisponde all’itinerario da lui percorso:
- farò capire a chi è senza strada che una strada c’è,
- anzi che tu, o Signore, gli stai venendo incontro.
- Lo farò capire non come uno che fa una lezione o una esortazione ma come testimone di ciò che è avvenuto a me.
Ecco allora la forza di questa testimonianza:
- chi ha percorso un genuino cammino penitenziale, può aiutare altri a capire che c’è una via d’uscita:
- e non semplicemente una via d’uscita generica o stoica o eroica
- ma una via d’uscita in cui Dio stesso viene incontro, in Gesù, come è venuto incontro a me.
Più di una volta si verifica nella vita, infatti, che proprio chi è uscito da qualche tenebroso tunnel ha una singolare capacità di dire ad altri: coraggio, anche per te c’è sicuramente una via di uscita!
Questa viene espressa dal salmista in modo aperto e libero, quasi gli fosse ridata la parola.
- Le tre realtà che segnano la parola umana – la lingua, le labbra, la bocca – vengono qui coinvolte nell’impegno di esprimersi missionariamente.
- Lingua, labbra, bocca si aprono non per una imposizione, non perché il testimone sente un dovere che grava sopra di sé, bensì per una effusione che gli viene dalla pienezza che ha dentro di sé.
Sappiamo molto bene che una testimonianza a mezza bocca è poco efficace, talora è quasi una controtestimonianza. Quella invece che viene dall’esultanza della lingua, dal bisogno della bocca che si apre, dalle labbra che si muovono con gioia, è veramente degna di essere rispettata e di essere ascoltata.
Possiamo subito domandarci: com’è la mia testimonianza?
- È una testimonianza a mèzza bocca, in cui le labbra si muovono a fatica e annaspo in cerca delle parole?
- In questo caso non nasce da una esperienza: nasce piuttosto da qualche cosa che non è ancora entrato dentro di me.
- Oppure, è una testimonianza spontanea, libera, gioiosa, in cui le parole vengono fuori da sole? In questo caso sta operando in me la tua grazia, Signore,
- è il tuo Spirito che mi apre la bocca perché io possa cantare le tue lodi con amore,
- perché io possa insegnare che c’è una strada a coloro che ritengono non ci sia più niente da fare.
- Apri sempre, Signore, la mia bocca soprattutto di fronte alle situazioni difficili nelle quali mi accade di rimanere muto, di non sapere cosa dire e addirittura mi sembra che davvero non ci sia speranza!
L’esperienza della Samaritana
Il Vangelo secondo Giovanni, al c. 4, ci presenta un altro esempio di una bocca che si apre alla testimonianza convinta e convincente: la donna samaritana.
È un brano che si potrebbe commentare ripercorrendo, in qualche maniera, le tappe che hanno segnato i nostri incontri di quest’anno, perché anch’esso indica un cammino penitenziale, un momento in cui la persona giunge alla verità di se stessa di fronte a Cristo e alla verità di Cristo come salvatore e come amico.
E alla fine del cammino, ritroviamo l’apertura del cuore e delle labbra: « La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia? ».
Notiamo la finezza del particolare: « lasciò la brocca ».
- Questa donna era venuta per attingere acqua, la brocca era la sua ricchezza, ad essa era legata la sua vita quotidiana: eppure in questo momento tutto è dimenticato e la brocca slabbrata, abbandonata sul ciglio del pozzo, è come il segno di una esistenza da cui la donna è ormai uscita, è il segno di un incubo che ha lasciato dietro di sé.
- A somiglianza dei due discepoli di Emmaus, che interrompono la cena a metà, si alzano e corrono verso Gerusalemme, la Samaritana rifà la strada, corre in città e va ad annunciare quello che le è accaduto.
- Lo annuncia con parole piuttosto maldestre, in verità: «Che sia forse il Messia? ».
- Di per sé non è un annuncio molto efficace, almeno da un punto di vista teologico.
- Eppure queste parole sono una testimonianza efficacissima perché derivano da una esperienza vissuta.
- La gente ha davanti una persona che non parla con parole imparate, che non ripete una lezione, ma che parla quasi smozzicando le frasi e però con il cuore e l’affanno di chi ha avuto un’esperienza formidabile, che a fatica si può comunicare.
Alla Samaritana si sono aperte le labbra, si è sciolta la lingua e, in una esplosione di gioia, parla con semplicità e con verità della misericordia di Dio verso di lei.
Proclamare la misericordia
Di fronte all’esperienza del salmista e della donna samaritana, noi dobbiamo domandarci quale sia la nostra testimonianza missionaria di misericordia. A noi, infatti, è chiesto di testimoniare quella grazia che ci ha attratto e d ha accolto nel cammino penitenziale fatto insieme quest’anno.
Nell’enciclica « Dives in misericordia », Giovanni Paolo II esprime questo dovere, che ci compete, in due momenti.
- In un primo momento parla del dovere generale della testimonianza:Occorre che la Chiesa del nostro tempo prenda più profonda e particolare coscienza della necessità di rendere testimonianza alla misericordia di Dio in tutta la sua missione, sulle orme della tradizione dell’antica e della nuova Alleanza e, soprattutto, dello stesso Gesù Cristo e dei suoi apostoli (Dives in misericordia, VII).
Testimoniare la misericordia è dunque un dovere del nostro tempo. Il Papa sembra quasi avere l’impressione che la Chiesa abbia bisogno di essere esortata, soprattutto oggi, a prendere coscienza della necessità di rendere testimonianza alla misericordia di Dio.
- In un secondo momento indica come si deve dare testimonianza e sottolinea tre modi:
- Professandola in primo luogo come verità salvifica di fede e necessaria ad una vita coerente con la fede;
- poi cercando di introdurla e di incarnarla nella vita, sia dei suoi fedeli, sia, per quanto è possibile, in quella di tutti gli uomini di buona volontà.
- Infine la Chiesa… ha il diritto e il dovere di richiamarsi alla misericordia di Dio, implorandola nella preghiera (ibidem).
È facile comprendere come noi possiamo rendere testimonianza alla misericordia di Dio professandola.
Ogni volta, infatti, che ci accostiamo al Sacramento della Riconciliazione, noi facciamo anche una «confessio fidei »,
- cioè proclamiamo che Dio è Signore della nostra vita,
- è più grande del nostro peccato,
- che la sua misericordia trionfa sulla fragilità dell’esistenza umana e sul buio dell’uomo:
- confessiamo quindi e proclamiamo la misericordia di Dio.
Incarnare la misericordia
Il secondo modo suggerito dal Papa per testimoniare la misericordia divina è più difficile. Non è cosa da poco incarnare nella vita la misericordia di Dio. Anzi, è talmente difficile che talora ci lascia perplessi e sgomenti, ci lascia davvero senza parole e senza capacità di muoverci in questo cammino di missione e di testimonianza. D’altra parte, se non riusciamo a dare testimonianza della misericordia di Dio, ne va della credibilità della Chiesa e della nostra vita di cristiani.
Vorrei fare capire questa difficoltà riflettendo su tre situazioni nelle quali possiamo trovarci.
- a) Situazioni o casi ordinari. Che cosa vuol dire introdurre, incarnare la testimonianza della misericordia? Concretamente vuol dire mettere in pratica la domanda del « Padre nostro»: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori ». Vuol dire saper perdonare, saper comprendere, saper capire, voler perdonare settanta volte sette.’
E questo è già difficile, per tanti motivi che conosciamo bene. È così difficile che spesso noi lo emarginiamo, questo impegno di perdonare, anche dal nostro orizzonte morale e rimane quindi come qualcosa di inadempiuto a cui non guardiamo in faccia. Eppure è testimonianza necessaria, quotidiana, della misericordia ricevuta da Dio: «Se non perdonerete a chi vi ha fatto del male, neppure il Padre vostro perdonerà a voi» (cfr. Mt. 6, 15).
- b) Situazioni o casi più complessi. Sono i casi nei quali c’è in gioco la reciprocità. Dove, cioè, non basta perdonare, quasi fossimo noi soltanto a concedere il favore ad un altro, ma bisogna farsi perdonare, chiedere perdono, assumere l’atteggiamento di chi riconosce che se, è stato offeso ne ha però dato- occasione, che se è stato oggetto di qualche ingiustizia, anche lui però si è comportato in maniera non pienamente giusta. Tutto questo è molto difficile.
C’è un altro caso di reciprocità assai difficile nella vita quotidiana ma che è assolutamente necessario pèrché forma, per così dire, il tessuto della vita. Ne abbiamo già accennato in un precedente incontro. Non basta cioè perdonare, ma bisogna saper camminare con un altro, bisogna saper correggere. La correzione fraterna, così importante per la comunità cristiana, e praticata nella Chiesa primitiva, richiede molto amore e molta umiltà. Tuttavia spesso noi la eliminiamo dal nostro orizzonte di agire perché ci appare troppo rischiosa, impossibile, inefficace e in tal modo non diamo sufficiente testimonianza alla misericordia di Dio.
Vorrei che ciascuno, a partire da me, si interrogasse sinceramente:come viviamo queste occasioni di dare testimonianza, con i fatti, con le opere e non solo con le parole, alla misericordia di Colui che ci ha amato, che ci riabilita, che ci accoglie, che ci rifà dall’interno, che ha fiducia in noi?
- c) Ci sono, infine, le situazioni o i casi conflittuali. Intendo per casi conflittuali quelli in cui ci sembra che la misericordia esiga un certo comportamento mentre l’ordine e la giustizia ne esigono un altro.
Sono certamente situazioni estremamente difficili e non sempre riusciamo a trovare la soluzione soddisfacente: sono situazioni che causano nella Chiesa, nella società, ,nelle famiglie delle grandi sofferenze. Cercando di vivere la misericordia si arriva addirittura a temere di, fare torto o danno ad altri o al bene comune: nasce allora un conflitto tra i valori, almeno apparente, che ci costringe. nella nostra povertà storica; a non saper scegliere oppure a scegliere qualcosa che risulta insoddisfacente, in un caso o nell’altro.
Chiunque vive in mezzo a delle responsabilità si imbatte in molti di questi casi che fanno soffrire nella misura in cui ci accorgiamo di quanto siamo lontani dall’essere lungimiranti e veri nella nostra misericordia. Questa sofferenza dobbiamo offrirla a Dio perché è la sola cosa che possiamo fare.
Ci sono poi dei casi in cui il compiere un atto di misericordia comporta un uscire da quel minimo di possesso di noi, che pure è necessario, perdonarci, e allora non lo compiamo. Quante volte persone generose arrivano ad un limite e riconoscono di non poter andare oltre, di non potere fare di più! È il limite intrinseco alla nostra fragilità umana che addolora moltissimo. Andare oltre un certo limite equivarrebbe a spossessarsi di sé e si cadrebbe nell’opposto di quello che si, vorrebbe fare. Questa misura di prudenza necessaria ci fa cogliere come sia difficile dare storicamente una testimonianza pienamente luminosa della misericordia. Non ci resta allora che soffrire e implorare, per noi e per gli altri.
Implorare la misericordia
Il Papa, infatti, nella « Dives in misericordia », dopo aver detto di cercare di introdurre e di incarnare nella vita la misericordia, aggiunge che bisogna « implorarla di fronte a tutti i fenomeni del male fisico e morale, dinanzi a tutte le minacce che gravano sull’intero orizzonte della vita dell’umanità contemporanea ».
Dobbiamo essere certi che questa implorazione è resistenza attiva e vera al male e che dispiace profondamente al nemico di Dio.
Mi ha molto colpito un brano di Simone Weil, che avevamo ascoltato lo scorso anno, durante uno dei nostri incontri, là dove scriveva:
Non è così difficile rinunciare a un piacere, pur inebriante, o sottomettersi a un dolore, pur violento. Lo si vede fare quotidianamente da gente molto mediocre. Ma è infinitamente difficile rinunciare anche a un leggerissimo piacere, esporsi a una semplicissima pena solo per Dio; per il vero Dio, per colui che è nei cieli e non altrove. Poiché, quando lo si fa, non si va alla sofferenza ma alla morte. Una morte più radicale della morte carnale e che fa orrore alla natura stessa.
Invece, è proprio questo il momento di vincere il male: credere, cioè, al valore di una implorazione che non ha un’efficacia immediata connessa col suo esercizio.
La nostra preghiera di implorazione, soprattutto nei casi-limite nei quali ci pare di non potere fare altro, è un vero modo di resistere al male. Non dobbiamo dunque avere paura della sterilità e abbandonare la preghiera, come spesso siamo tentati di fare, perché non ci riesce di scuotere immediatamente il male. È per questa nostra implorazione sofferta, che talora ci angoscia fino alle lacrime, che Dio ci darà modo di vedere come usare, anche in quei casi, la misericordia e l’amore e come aiutare veramente coloro che possiamo assistere con il dono di noi stessi.
Conclusione
Ecco che cosa significa e che cosa comporta nella vita essere testimoni della misericordia divina: « Insegnerò agli erranti le tue vie ». Riconoscendo che siamo tutti molto lontani da questa testimonianza seria della misericordia, dobbiamo ritornare alla preghiera creativa del Salmo 50:
- « Crea in me, o Dio, un cuore puro» perché non l’ho e tu devi crearlo in me come cosa nuova;
- « Rinnova in me uno spirito saldo» là dove il mio spirito si adagia nella fatica e nella paura;
- « Rendimi la gioia di essere salvato, sostieni in me uno spirito pronto» a essere testimone della tua misericordia di fronte a tanti miei fratelli e sorelle che aspettano questa testimonianza di Te, Padre misericordioso, che mi hai amato e mi hai chiamato, che mi hai fatto camminare quest’anno insieme a molti altri in un cammino di conversione e di misericordia.
Vorrei concludere con le parole di Charles de Foucauld che nel primo incontro abbiamo ripetuto facendole nostre. Dopo aver indicato il Miserere come preghiera in cui l’esperienza dell’uomo è spiegata a se stessa, preghiera quotidiana che innalza l’uomo verso Dio, diceva:
[Questa preghiera] parte dalla considerazione di noi stessi e della vista dei nostri peccati e sale fino alla contemplazione di Dio, passando attraverso il prossimo e pregando per la conversione di tutti gli uomini.
È dunque una preghiera universale da cui nessuno è escluso e da cui la storia umana, nella sua verità, riceve un coinvolgimento e una presenza degli uni negli altri. In questa preghiera, cioè, noi ci ricordiamo, ci perdoniamo, ci aiutiamo, ci sosteniamo nel cammino difficile della conversione evangelica, nella strada faticosa di chi vuol dare un volto storico credibile a Cristo.
Recitando il Salmo 50 noi viviamo questa fatica e insieme la gioia immensa dello Spirito che si riversa nella nostra esistenza e cresciamo verso l’unità misteriosa di Dio, del Cristo nella storia.
Chiedo al Signore che attraverso la recita del Salmo 50, attraverso il ricordo di questo Salmo che ciascuno di noi conserverà nel cuore, noi possiamo conservare anche la memoria dei momenti meravigliosi che abbiamo vissuto, di questa fraternità nella fede, di questa umiltà nella richiesta di perdono, della fiducia che Lui, il Signore, ci fa camminare illuminati dallo splendore del suo volto e sostenuti dalla grazia del suo Spirito.
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