09 – PADRE NOSTRO – PANE EUCARISTICO E PAMNE QUOTIDIANO – Luca Beato oh

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PANE EUCARISTICO E PANE QUOTIDIANO

E’ celebre il detto: “A tavola non si va solo per mangiare”. Sedersi insieme a tavola per prendere cibo esprime già di per sè un segno di amicizia, di amore reciproco. A pranzo si ritrovano i familiari, si invitano i parenti e gli amici. Se si invita qualcun altro, si vuol esprimere un gesto che apre all’ amicizia.

Se poi chi ci invita pranzo, o si degna di venire a pranzo da noi, è una persona importante, allora è grande la nostra gioia per l’amicizia inaspettata e inimmaginabile che ci viene offerta.

Gesù, durante la sua vita, contrariamente al Battista e ai Farisei, amava stare a tavola con la gente e non solo per mangiare, ma per esprimere il fatto che Dio si fa vicino agli uomini fino al punto di condividerne la mensa. E questo anche con peccatori. “L’essere seduti insieme a tavola non significa semplicemente gentilezza e affabilità, ma pace, fiducia, riconciliazione, fraternità. E questo…non solo agli occhi degli uomini, ma anche agli occhi di Dio” ( 1 ).

Tra gli evangelisti è soprattutto San Luca quello che mette in risalto la “pastorale conviviale” di Gesù.

Gesù, talvolta, per illustrare qualche aspetto del Regno di Dio ricorre alla parabola di un banchetto: un banchetto di nozze che Dio ha imbandito per suo Figlio, al quale tutti gli uomini, e non solo pochi privilegiati, sono invitati ( Mt 22,1-14 ). Anche la vita eterna è rappresentata talvolta come un sedere a tavola con Dio e i Patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe nel clima festoso del Regno dei Cieli ( Mt 8, 11).

I pranzi non sono tutti uguali. Ci sono quelli ordinari e quelli speciali, come il pranzo di nozze, i pranzi celebrativi di feste e ricorrenze o quelli di addio. Noi fermiamo la nostra attenzione sulla cena pasquale. Essa è anzitutto celebrativa della festa annuale della pasqua ebraica. Ma Gesù ne fa anche una cena di addio. E’ ben per questo che si chiama ultima cena.

“Che l’istituzione dell’ Eucaristia sia legata ad un clima conviviale è una delle sottolineature più significative della esegesi recente. Due tipi di banchetto sono i più quotati punti di riferimento: la celebrazione della pasqua ebraica e il banchetto d’ addio di un patriarca o di un capofamiglia” ( 2 ).

La celebrazione non è un semplice ricordo del passato, ma un memoriale, un passato che ha ripercussioni sul presente e sul futuro:

1) mentre si mangia l’agnello si benedice il Signore ricordando le gesta da Lui compiute in favore del suo popolo nei tempi antichi per liberarlo dalla schiavitù dell’Egitto e stringere con esso un’ Alleanza, sancita con un patto di sangue presso il monte Sinai.

2) Si rinnova l’impegno di osservare l’Alleanza, invocando la protezione del Signore.

3) Si guarda al futuro con fiducia perchè Dio è fedele alle sue promesse e benedice chi adempie gli impegni dell’Alleanza, cioè osserva i comandamenti.

Gesù nel contesto della cena pasquale inserisce due gesti suoi propri:

la frazione del pane e la comunione allo stesso ca1ice .

Lo spezzare il pane, all’inizio del pasto, era un gesto che il capo famiglia ebreo faceva, recitando una preghiera di benedizione: la partecipazione allo stesso pane voleva indicare la partecipazione alla benedizione di Dio ( 3 ).

Ma la frazione del pane fatta da Gesù non è quella dell’inizio del pasto.

E’ un gesto nuovo fatto da Gesù e caricato di un significato nuovo espresso dalle parole che l’accompagnano: ( Cfr. 1 Cor 11,23-25; Mt 26,26-29; Lc 22,15-20; Mc 14,22-25 ). Per l’interpretazione e l’armonizzazione dei testi dell’ istituzione si può vedere qualche testo specialistico ( 4 ). Nel Canone della Santa Messa le parole sono queste: “Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi”.

Più sorprendente è il gesto che riguarda il calice, perchè solitamente ognuno beveva al proprio calice di vino nelle tre benedizioni che si facevano durante la cena pasquale. Gesù invece fa bere ad un unico calice. Il gesto simbolico è illustrato dalle parole che 1’accompagnano, che nel Canone della Santa Messa sono queste: “Prendete e bevetene tutti: questo è il Calice del mio Sangue per la Nuova ed Eterna Alleanza, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”.

Il pane spezzato e distribuito indica la persona di Gesù nell’ atto della donazione suprema della sua vita sulla Croce, cioè nel momento in cui spezza la sua vita per la nostra salvezza. Il calice del vino indica la persona di Gesù che versa il suo sangue per tutti sulla croce e col suo sacrificio sancisce l’Alleanza nuova e definitiva di Dio con l’umanità.

Che cosa hanno capito i commensali ?

Certamente devono aver capito:

- che Gesù alla cena pasquale aveva aggiunto il significato di una cena di addio;

- che questa cena di addio aveva un valore sacrificale, anticipatorio del suo sacrificio sulla croce;

- e che nel sangue di Gesù versato per noi veniva sancita una nuova Alleanza tra Dio e gli uomini, migliore di quella di prima.

 

Fate questo in memoria di me”.

 

Si tratta di un memoriale, non solo di un ricordo storico. Inoltre non si tratta soltanto di ripetere il gesto rituale fino al compimento del Regno di Dio. Ma è la chiamata a seguire Gesù, assumendo uno stile di vita conforme al suo: fare della propria vita un dono per gli altri, fino al sacrificio della propria esistenza.

- Il pane – dato significa la vita vissuta come dono per gli altri.

- Il sangue – sparso significa che bisogna arrivare al gesto supremo di dare la vita per gli altri.

Il Vangelo di Giovanni, che non narra l’istituzione dell’Eucaristia, inserisce al suo posto la lavanda dei piedi ( Gv 15,14 ). Esso non è un gesto rituale, ma un gesto compiuto da Gesù per indicare che la vita dei suoi discepoli, modellata sulla sua, deve essere vissuta come un servizio per gli altri. “Lavare i piedi ( la vita come servizio ), spezzare il pane ( la vita come dono ): questi i comportamenti di Gesù, che il discepolo deve imitare. Gesù ha lasciato espresso tutto questo come in un testamento” ( 5 ).

 

La cena di Agape

 

Nella prima lettera di San Paolo ai Corinzi ( l Cor 11,20 ss ) l’usanza di riunirsi per celebrare la cena del Signore viene collegata direttamente alla cena di Gesù. Nell’ambito di un pasto comune, detto agàpe, venivano ripetuti i gesti di Gesù: la frazione del pane e la comunione al calice.

Pasti rituali dello stesso tipo della cena di Gesù erano in uso presso gli Ebrei, quindi non erano una novità. La novità consisteva nel fatto che questa cena doveva essere organizzata con l’apporto di tutti, in modo che i più abbienti provvedevano anche ai più poveri. Questa cena si chiamava agàpe, un termine che corrisponde alla nostra solidarietà. “Proprio questo atteggiamento di fraterna condivisione ( agàpe ) giustificherà il fatto che fra tutto quel pane condiviso e quel vino gioiosamente versato nei calici, un pane spezzato e un calice benedetto acquistino un significato più pieno e pregnante, in virtù della memoria del gesto e delle parole del Maestro, origine e causa di quello stare e di quel mangiare insieme: “ Il calice della benedizione che noi benediciamo non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? ” ( l Cor 10,16 ) ( 6 ).

Il pensiero di Paolo è anzitutto questo: i cristiani celebrando la Cena del Signore partecipano al mistero consumato sulla croce, il mistero della vita di Gesù immolata per la salvezza degli uomini e per la remissione dei peccati.

Ma il pensiero di Paolo è anche un altro. Il “Corpo di Cristo” non indica più soltanto la persona del Cristo storico, ma la Chiesa, il corpo di cui Cristo è il Capo. E più concretamente la comunità dei credenti radunati in Cristo per la celebrazione dell’Eucaristia. “Poichè c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane”( 1 Cor 10,17 ) E’ questo il Corpo di Cristo che bisogna riconoscere con la fede e con il quale bisogna condividere tutto, perfino il pane quotidiano.“Chi mangia e beve senza riconoscere il Corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” ( 1 Cor 11,29 ).

Ma è più facile compiere il rito dell’Eucaristia, che vivere una vita di servizio verso il prossimo come ci ha testimoniato e insegnato Gesù. E’ per questo che sorgono ben presto le sfasature tra liturgia e vita. San Paolo rimprovera ai Corinzi il fatto di non riconoscere il Corpo di Cristo perchè celebrano la frazione del pane ( Eucaristia ) senza fare più la cena fraterna. Ognuno mangia per conto suo: così c’è chi ha troppo da mangiare e chi non ne ha a sufficienza.

Successivamente la Chiesa stessa ha visto l’opportunità di separare le due cose: la celebrazione dell’Eucaristia dal pranzo di solidarietà ( agàpe ) verso i poveri, mantenendo però vivo il significato del legame tra i due gesti, Eucaristia e solidarietà, Liturgia e vita vissuta.

Ci sono testimonianze in Tertulliano e San Giovanni Crisostomo. Dopo la Santa Messa in chiesa, si faceva un pranzo per i poveri, organizzato da persone facoltose e presieduto dal vescovo. “L’aspirazione profonda di queste riunioni agapiche è quella di riprendere l’ ideale della comunità apostolica di Gerusalemme e di anticipare lo stato della comunità messianica, nella quale tutti sono uguali e nessuno è sotto il morso della necessità” ( 7 ).

Comunione con Cristo vuol dire comunione con tutti:

- quello che si fa sacramentalmente nella Liturgia eucaristica deve poi essere realizzato nella vita quotidiana.

- ricevere Cristo, essere in comunione con Lui, vuol dire pensare e agire come Lui; fare propria l’attenzione che Egli aveva per tutte le sofferenze umane. Scrive San Giovanni Crisostomo: “Vuoi onorare il Corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità. Infatti colui che ha detto “Q Questo è il mio corpo” è il medesimo che ha detto “Voi mi avete visto affamato e mi avete nutrito”… A che serve che la tavola eucaristica sia sovraccarica di calici d’oro, quando lui muore di fame?…”( 8 ).

Nella nuova celebrazione liturgica della Santa Messa, avvenuta con un tentativo di ritorno alle origini, secondo le indicazioni del Concilio Vaticano II, si sono certamente recuperati in gran parte i valori della cena del Signore e della frazione del pane. L’Eucaristia è un banchetto al quale siamo invitati dal Signore, il quale ci spezza personalmente il pane della parola, il pane eucaristico e il pane della carità.

Ecco come la Teologia spiega questi tre aspetti.

 

1) Spezzare il pane dalla parola

 

La Liturgia della parola, molto valorizzata nella riforma liturgica,

è importantissima. Non di solo pane vive l’uomo. La parola di Dio che alimenta la nostra fede è più importante del pane quotidiano. Per la nostra salvezza è indispensabile riconoscere Gesù Cristo come il pane vivo disceso dal cielo per nutrire la nostra vita nel tempo e per l’eternità ( Discorso eucaristico del Vangelo di Giovanni, cap. 6 ).

Ma non si può riconoscere il Cristo risorto, quando spezza il pane, se prima non si capisce in base alle Scritture il Cristo che soffre la passione e la morte di croce ( Cfr. Discepoli di Emmaus, Lc 24, 25 ss ).

 

2) Spezzare il pane eucaristico

.

E’ propriamente la comunione sacramentale, che tutti i partecipanti alla Santa Messa sono invitati a fare.

Chi partecipa alla Santa Messa e non fa la Comunione è come un invitato a pranzo che non mangia. Tutti si preoccupano di lui, perchè, poveretto, deve proprio star male.

La comunione sacramentale non ci mette in comunione soltanto con Cristo, ma anche tra di noi, che siamo il Corpo di Cristo.

Parecchi gesti della liturgia indicano questa realtà:

- il simbolismo del pane ricavato dalla macinatura di molti grani e del vino ricavato dalla pigiatura di molti acini.

- L’invocazione del canone: “…per la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, lo Spirito Santo ci riunisca in un solo Corpo”.

- Il gesto di pace prima della Santa Comunione.

- Il cibarsi del medesimo pane alla stessa mensa.

 

3) Spezzare il pane della carità ( o meglio: agàpe = solidarietà )

 

La comunione ( koinonìa ) porta alla diaconìa, al servizio degli altri, alla condivisione dei nostri beni con chi ne ha di bisogno.

E’ chiaro che la colletta che si fa all’ offertorio è solo un gesto simbolico. Quello che Gesù vuole da noi è che mettiamo a servizio del prossimo non solo i nostri beni economici, ma tutta la nostra persona, i talenti, i carismi che abbiamo ricevuto ( 1 Cor. 12-14 ). A imitazione di Gesù, la cui vita è stata definita dal Papa Paolo VI una proesistenza, un’esistenza a favore degli uomini ( 9 ).

 

Un atteggiamento di fondo

 

Il servizio reciproco, simboleggiato dalla lavanda dei piedi che Gesù ha fatto agli apostoli. La Chiesa vera, autentica, evangelica, voluta da Gesù non è quella del potere economico, politico, religioso: ( queste sono le tentazioni che Gesù ha vinto e che anche noi dobbiamo respingere ); non è quella del trionfalismo, ma quella dell’ umiltà e del servizio ; è la Chiesa del grembiule (10 ).

 

Possono, anzi devono variare le forme concrete della solidarietà

 

Non è detto che si debba restaurare il pranzo agapico…

I nostri interventi in favore del prossimo devono rispondere ai bisogni concreti dei poveri che invocano il nostro aiuto. Ecco perchè non basta fare quello che si è sempre fatto ma bisogna aggiornarci, scoprire le nuove povertà, adeguarci alle esigenze della nostra società che si avvicina al terzo millennio.

Si capisce a questo punto perchè il Concilio ha parlato dell’Eucaristia come fonte e culmine della vita cristiana.

Chi celebra bene l’Eucaristia ( leiturghìa ) cresce progressivamente nella fede e sotto l’influsso dello Spirito Santo, lo Spirito dell’amore, lavora per creare la comunione fraterna ( koinonìa ) e impegna la sua vita nel servizio verso il prossimo ( diakonìa ): compie gesti di solidarietà ( agape ), lavora per la giustizia e per la pace al fine di costruire un mondo nuovo, più giusto, più umano.

Chi vive bene la sua vita cristiana con fede viva, speranza certa e carità operosa ha tutti i presupposti per celebrare bene l’Eucaristia, la veste adatta per partecipare al banchetto ( Mt 22,11 ), la carta d’identità per essere riconosciuti davanti al Padre e collocati tra gli eletti ( Mt 25,31 ss ) e così partecipare alle nozze eterne.

Beati, quindi, noi, che siamo invitati a pranzo dal Signore!

 

 

NOTE

 

 

1 – H. Kueng, Essere cristiani, Ed. Mondadori, Segrate, l976, pag. 301

2 – AA.VV. Dossier: celebrazione e solidarietà, in SERVIZIO DELLA PAROLA, Ed. Queriniana, Brescia, n. 238, Luglio-Agosto 1992, pag. 28

3 – H. Kueng, op. cit., pag. 301

4 – La costruzione più probabile delle parole pronunciate da Gesù può essere la seguente: “Prendete, mangiate: questo è il mio corpo, che è dato per molti. Fate questo in memoria di me.

Bevetene tutti: questo è il mio sangue, della (nuova) alleanza, che è versato per molti, ( in remissione dei peccati ). Fate questo, ( ogni volta che ne berrete ), in memoria di me”. ( Cfr. E. Galbiati, L’ Eucaristia nella Bibbia, Ed. Ancora, Milano, pag. 123 ).

5 – T. Goffi e G. Piana, Corso di morale, Vol. V – Liturgia – pag. 164

6 – Id. pag. l63

7 – AA.VV. Dossier; celebrazione e solidarietà, in SERVIZIO DELLA PAROLA, Ed. Queriniana, Brescia, n. 238, Luglio – Agosto 1992, Pag. 29

8 – Cfr. G. Cionchi, Studiare Religione, vol. II, pagg. 81 – 82

9 – AA.VV. Dossier: vivere la solidarietà, in SERVIZIO DELLA PAROLA, Ed. Queriniana, Brescia, n. 206/2O7, Aprile – Maggio 1989, pag. l3

10 – G. Pasini, La Chiesa del grembiule, in RELIGIONE E SCUOLA, Ed. Queriniana, Brescia, n. 5, Maggio – Giugno 1994, pagg. 3 ss.

 

BIBLIOGRAFIA

 

 

X. Léon-Dufour, Condividere il pane eucaristico secondo il Nuovo Testamento, Ed. Elledici, Torino, l983.

T. Goffi – G. Piana, Corso di morale, vol. V – LITURGIA – Ed. Queriniana, Brescia 1986 , ( L’ Eucaristia, di A. Santantoni ), pagg. 155 – l92.

AA.VV. SACRAMENTUM MUNDI, Vol. III, Morcelliana, Brescia, l975, voce EUCARISTIA, coll. 669 – 692.

G. Florio, SHALOM, Ed. Queriniana, Brescia 1990, pagg. 323 – 338.

AA.VV. Dossier: Celebrazione e solidarietà, in SERVIZIO DELLA PAROLA, Ed. Queriniana, Brescia, n. 238, Luglio – Agosto 1992, pagg. 3 – 50.

AA.VV. Dossier: Vivere la solidarietà, in SERVIZIO DELLA PAROLA, Ed. Queriniana, Brescia, n. 206/207, Aprile – Maggio 1989, pagg. 3-15.

G. Pasini, La chiesa del grembiule, in SCUOLA E RELIGIONE, Ed. Queriniana, Brescia, n. 5, Maggio – Giugno I994, pagg. 3 – l3.

 

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