LA TENEREZZA DI DIO NELLA BIBBIA – Don Enrico Ghezzi
Posted on maggio 13th, 2010 by Angelo
La tenerezza di Dio
nella Bibbia
Cari amici, ho appena ricevuto un bel regalo dall’amico DON ENRICO GHEZZI che vive a Roma – chiesa di Santa Maria dell’Orto - e desidero rendervi partecipi, affinché ne facciate dono anche ad altri. Dell’argomento, proprio perché non se ne parla sovente, abbiamo tutti più bisogno che del pane.
“Dio non si accontenta di irradiare, tramite la santità delle anime, l’influsso creatore, emanato dalla sua Potenza - direbbe Teilhard Du Chardin – Discende altresì IN PERSONA nella sua opera per cementarne l’unificazione. Lo ha detto Lui stesso e non un altro.
Man mano che le passioni dell’anima si concentrano su di Lui, Egli le invade, le compenetra, le introduce nella sua irresistibile semplicità. Tra coloro che si amano di carità, Egli appare, nasce, in qualche maniera , quale il legame sostanziale del loro affetto” (in La vita cosmica).
Cos’è la ‘tenerezza’ se non un sentimento profondo col quale vogliamo comunicare l’intensità e la delicatezza del nostro amore verso le altre persone? Come dirà poi il termine ebraico rahamim la tenerezza esprime “l’attaccamento istintivo di un essere ad un altro. Questo sentimento, secondo i semiti, ha sede nel seno materno” ( Dizionario di Teologia Biblica, Marietti, Torino).
Per questo, la tenerezza, oltre ai sentimenti, include anche delicate e intense espressioni del corpo, come le carezze, gli abbracci, i baci, che conducono al contatto fisico dei corpi: pensiamo all’importanza di questi segni affettuosi verso i bambini o i propri figli: la mancanza di questi gesti spesso possono causare dolorose carenze affettive capaci di portare turbamenti nel nostro equilibrio anche di adulti.
Pensiamo all’attrazione dei corpi nell’amore, alla importanza dei gesti di tenerezza nella vita quotidiana del matrimonio, o al significato tenerissimo del darsi la mano fra due ragazzi o fra due coniugi anziani, o al gesto delicatissimo del medico e dell’infermiere verso il nostro corpo malato.
Potremmo allora dire che la ‘tenerezza’ resta una componente emotiva e carnale sullo sfondo di tutta la nostra vita e che si manifesta nei segni della corporalità e della sua fisicità.
Quante sofferenze, incomprensioni, violenze o delitti potremmo risparmiare all’umanità, quando ci fosse una bella e gioiosa educazione alla tenerezza!
Nella Bibbia c’è, dalla creazione nel libro della genesi fino ai vangeli, una costante attenzione degli autori a esprimere, con parole e gesti, l’atteggiamento tenero e affettuoso di Dio e di Gesù.
Possiamo rileggere con emozione, nel cap. secondo della genesi, il testo più arcaico, dell’autore jahvista, quando Dio ha pensato alla creazione dell’uomo e della donna.
E’ un concentrato di ‘tenerezza divina’ unita alla creatività dell’autore sacro.
Dopo il testo elohista del capitolo primo, dove Dio crea l’uomo ‘a sua immagine e somiglianza’ (Gen.1,26), dove si notano già forme di una altissima teologia, ora in Gen. 2, in un linguaggio che ricorda miti antichissimi, l’autore ci pone di fronte a un racconto ‘colorito e popolare’ (Bibbia di Gerusalemme), dove Dio, secondo la mentalità ebraica, appare come un padre, un Dio assolutamente vicino e concreto che sta all’origine della storia umana.
Dio ‘plasma’ l’uomo ‘con la terra ’ e gli dà il ‘soffio’ vitale che lo fa esistere (Gen.2,7), lo pone, felice, nel ‘giardino’ che è l’eden’.
Ma poi Dio, dopo aver creato il nostro padre Adamo, accorgendosi della sua solitudine e per non lasciarlo ‘solo’(v.18), lo fa ‘appisolare’ (v.21), e, mentre dorme, gli ‘tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore formò con la costola, che aveva tolto all’uomo, una donna e la condusse all’uomo’ v.22).
Nasce così la nostra madre Eva, da ‘corpo a corpo’ diremmo noi oggi, quasi un anticipo del processo di trapianto! Un racconto di sapore primitivo e mitico che anche per noi resta fantastico.
Finalmente così, il buon Adamo, (quasi non gli bastasse l’amicizia con Dio), trovatosi improvvisamente di fronte alla donna, esclamerà:
“Questa volta è osso delle mie ossa,
carne della mia carne.
La si chiamerà donna,
perché dall’uomo è stata tolta”(v.23).
Questa è la ‘radice’, io penso, di quel sentimento di ‘tenerezza’ che accompagna l’uomo e la donna per tutta la storia dell’umanità: un ‘sentimento’ carnale, che fin dalla sua origine è posto come evento intercorporale: per questo gli ebrei spiegheranno anche la natura del matrimonio come progetto indissolubile.
Ma Dio, mi sembra, si mostra ancora più tenero allorchè i nostri poveri progenitori, mangiato il ‘frutto’ di quel benedetto ‘albero’ da cui non dovevano mangiare, a quel punto ‘conobbero di essere nudi’ (v.7) e al ritorno del Signore, andarono a nascondersi ‘in mezzo agli alberi del giardino’ (v.8).
A quel punto, il Signore venuto a passeggiare nel giardino, prima li chiama, poi li rimprovera, maledice il serpente da cui era nata la tentazione a mangiare il frutto della conoscenza, e decide di allontanarli dall’eden, il giardino della felicità paradisiaca (vv.14-19).
Tutto avviene in così poco tempo, che forse i nostri progenitori non avevano fatto in tempo a capire fino in fondo, il disastro che avevano procurato a se stessi e a tutta la stirpe umana!
Tuttavia, l’evento dell’uscita dal paradiso per entrare nel mondo dell’umanità (come ha ben descritto Michelangelo nella Cappella Sistina), è accompagnato da un gesto tenero e dolcissimo da parte di Dio: dopo aver accolto l’istigazione del serpente, i nostri progenitori, purtroppo, sentirono la loro ‘nudità’ e, seguendo il principio del ‘pudore’ che in questo momento stava nascendo, cercavano di coprirsi, usando le ‘frasche’ prese in quel bellissimo giardino dove fino allora avevano potuto vivere.
Il Signore però, accortosi in qualche modo, di questo nuovo elemento nella vita delle sue due creature che era il ‘pudore’, non li lascia uscire ‘nudi’: ma, come avrebbe fatto in seguito ogni brava mamma, il Signore – racconta il capitolo secondo della genesi- < li rivestì con tuniche di pelli> (v.21).
Sembra proprio che Dio non voglia abbandonare al destino Adamo ed Eva: il Signore, li crea e li riveste per non andare nudi nel mondo: l’autore sacro incomincia così a descrivere il Signore, come poi gli ebrei sperimenteranno nella loro storia, con gesti di amore e di tenerezza assoluti.
Da questo inizio della Bibbia, si comprenderà l’atteggiamento di Dio espresso in seguito nei vari libri.
I profeti, i salmi, la Sapienza, gli stessi libri storici, non faranno che proclamare la bontà e la tenerezza di Dio.
Voglio soltanto ricordare, prima di una analisi più dettagliata, il salmo 103(102) e il salmo 145 (144).
Il salmo103,13: <Come è tenero il padre verso i suoi figli.
così il Signore è tenero verso quelli che lo temono>.
Qui il ‘timore’ non è altro che l’amore che risponde alle tenerezze di Dio, come fa un bambino verso le carezze del padre. Nella tenerezza del padre verso il corpo del figlio, sta l’immagine della tenerezza di Dio verso la nostra carne e il nostro corpo.
Così questa tenerezza riempie l’universo delle creature:
il salmo 145,9: <Buono è il Signore verso tutti,
la sua tenerezza si espande su tutte le creature>.
Io penso che nella misura con cui noi, nella vita, possiamo usufruire e godere di una tenerezza umana e incarnata, così possiamo lasciarci attrarre dalla tenerezza di Dio, dal momento che la ‘tenerezza’ ha in se stessa una radice di affetto corporale.
MOTIVO DI QUESTE RIFLESSIONI
Sono stato invitato da una brava signora (Rossana) del volontariato dell’ospedale dell’Isola Tiberina, dei Fatebenefratelli, a fare una riflessione ‘sulla tenerezza di Dio’ nella Bibbia.
Dobbiamo subito constatare che questo ‘sentimento’ di Dio, ci è spesso lontano, e Dio ci appare come una esistenza astratta, assente dal groviglio quotidiano del nostro operare, amare o soffrire. Potremmo a volte dire a noi stessi: <‘Dio non c’è’, o, se c’è, è lontano dai miei problemi; ci è difficile pensare che Dio è ‘assieme’ esistenza e tenerezza, o anche coniugare ‘amore di Dio’ e ‘sofferenza’ >.
Eppure l’esperienza del pio israelita nell’AT, i profeti, i giusti, o uomini e donne come Francesco, Teresa del Bambino Gesù, Teresa di Calcutta ecc., hanno saputo sperimentare assieme
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‘fiducia e sofferenza’ (Giobbe),
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‘letizia e sequela a Gesù in povertà’,
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‘passione per il vangelo e croce’,
come Paolo, e tanti missionari del vangelo, tante mamme e papà che abbiamo incontrato nel cammino della nostra esperienza. Nella nostra natura ‘creaturale’ non si dà opposizione tra ‘tenerezza di Dio’ e la nostra ‘sofferenza’ o la nostra ‘croce’: se mai, io penso, dobbiamo trovare la strada interiore e feconda dove, anche nel mio corpo dolorante o morente, o nel mio cuore gravato da dolori di grandi tragedie, è ancora Dio che viene a ‘rivestirmi’ con le ‘vesti’ del suo amore e della sua dolcezza.
Così, come il Signore si rivela nell’AT, e poi Gesù nei vangeli, la storia dell’uomo biblico è sempre accompagnata dall’amore, dalla tenerezza e dall’affetto di Dio per noi. D’altra parte, da sempre il Signore conosce il nostro cuore, le possibilità del nostro esistere e delle nostre azioni, e sa che la nostra esperienza di lui, può avvenire soltanto in una capacità di sentire e provare la sua tenerezza, di sentire in noi la gioia del suo godimento.
ANTICO TESTAMENTO
Ora, uno studio biblico sulla ‘tenerezza’ ci può aiutare a scoprire e ad attingere dalla Scrittura una forza di consolazione che ci aiuti nel cammino della nostra vita.
E’ una riflessione che presento con estrema umiltà, avendo sempre cercato nei lunghi anni della mia vita sacerdotale, di unire e comporre assieme la parola di Dio e la vita concreta che ognuno di noi è chiamato a vivere.
Dobbiamo subito constatare che nell’AT la ‘tenerezza-tenero’ si coniuga quasi sempre con l’altra espressione per descrivere l’agire di Dio con le parole ‘misericordia-buono’.
Nell’ebraico ‘tenerezza’ traduce la parola ‘rahamim’ = le ‘viscere’ un plurale di intensità di
rehem = ‘ventre materno’: quindi la ‘tenerezza’, secondo i semiti, ha origine nel ‘seno materno’ e indica l’atteggiamento delle donne verso il frutto della propria carne; noi oggi tradurremmo l’espressione ebraica con ‘cuore’: la tenerezza della madre verso la sua creatura, l’amore del padre.
Perciò il termine ‘rahamin’ indica < l’attaccamento istintivo di un essere verso un altro > (Diz. di Teologia Biblica, Marietti).
Questo ‘amore viscerale’ dall’immagine della donna o del padre verso il figlio, è l’immagine dell’amore-tenerezza di Dio verso il popolo di Israele e poi di Gesù verso l’umanità intera.
Insomma, nella Scrittura, il temine che più ci è comprensibile e reso quasi fisicamente sensibile, quando parliamo di ‘amore di Dio’ dovremmo sempre partire da questa idea di tenerezza con cui Dio si è voluto esprimere.
Prima di passare ai testi, voglio indicare un altro termine per esprimere ‘tenerezza-misericordia’, per cui Dio ‘tenero-buono-misericordioso’, nella Scrittura diventa il ‘Dio fedele’: Dio rimane sempre ‘fedele’ al suo amore, il suo è un amore tenero e misericordioso che non può mai venire meno: il termine è ‘hesed’ che nella bibbia dei LXX, la bibbia tradotta dall’ebraico in greco nel secondo secolo prima di Cristo (la stessa bibbia usata da Gesù e dagli apostoli, e tradotta poi in latino, da S. Girolamo, nel IV sec. d.C. col nome di Vulgata), il termine hesed indica entrambi i significati: tenerezza, bontà, misericordi, fedeltà.
Il già citato Dizionario di Teologia biblica così si esprime: <Le traduzioni in lingue moderne delle parole ebraiche e greche oscillano dalla misericordia all’amore, passando attraverso la tenerezza, la pietà, la compassione, la clemenza, la bontà e persino la grazia (ebr. hen)… Nonostante questa varietà, non è impossibile definire la concezione biblica della misericordia. Dall’inizio alla fine, Dio manifesta la sua tenerezza in occasione della miseria umana: l’uomo a sua volta deve mostrarsi misericordioso ( e tenero ) verso il prossimo, ad imitazione del suo creatore>.
Ora voglio indicare soltanto alcuni testi, prima dell’AT e poi del NT, dove meglio possiamo cogliere l’intensità ‘viscere-tenerezza’ per poter capire la vera natura dell’amore tenero di Dio.
I testi che indicano le viscere’ come ‘amore di tenerezza’ sono il Primo libro dei Re nella contesa delle due madri sul figlio rimasto vivo, e la storia avvincente di ‘Giuseppe e i fratelli’:
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1Re 3,26: le due donne chiedono il giudizio di Salomone sul figlio vivo:<La donna il cui figlio era vivo si rivolse al re, poiché le sue viscere si erano commosse per suo figlio>.
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Gen.43,30: Giuseppe di fronte al fratello più piccolo Beniamino: <Giuseppe si affrettò a uscire, perché si era commosso nell’intimo alla presenza di suo fratello e sentiva il bisogno di piangere>.
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Abbiamo già considerato i due salmi 103 e 145, dove Dio rivela tutta la sua tenerezza di padre.
Ma Dio nella bibbia è anche ‘madre’: nel secondo canto ‘del servo del Signore’, del profeta Isaia (il deutero-Isaia), nel tripudio di gioia per il ritorno a Gerusalemme del popolo dopo la cattività babilonese (587-537 a C.), il profeta esclama:
<Giubilate o cieli, rallegrati o terra,
gridate di gioia o monti perché il Signore consola il suo popolo
e ha misericordia dei suoi poveri.
Sion ha detto: ‘Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato’.
Si dimentica forse una donna del suo bambino,
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere?
Anche se costoro ti dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai> (Is.49,13-15).
Il cuore di Dio, le sue ‘viscere’ sono ricolme di amore come quelle delle madri, anzi assai di più, da non poterci mai dimenticare!
E alla fine del grande libro di Isaia (il Terzo Isaia), quando col ritorno del popolo a Gerusalemme, alla ripresa della ricostruzione del Tempio (520 a.C), nel cap.66, è una esplosione, un inno di amore di Dio espresso con termini totalmente materni:
< ‘Io che apro il grembo materno, non farò partorire?’,dice il Signore.
‘ Io che faccio generare, chiuderei il seno?’dice il tuo Dio>(Is.66,9).
E conclude con parole di altissima poesia e delicatezza divina:
<..Voi sarete allattati e portati in braccio,
e sulle ginocchia sarete accarezzati.
Come una madre consola il suo figlio,
così io vi consolerò; a Gerusalemme sarete consolati>(v.13).
Per non tralasciare poi il libro delle Consolazioni del profeta Geremia (650-587c.d.C) nei cc.30-31: chi può consolare un popolo sempre minacciato dalle potenze esterne? Ecco allora il profeta, anche se inascoltato, a gridare al suo popolo la tenera bontà del Signore:
Ger. 31,20 < Non è un figlio carissimo per me Efraim?
Il mio bambino prediletto? Ogni volta che lo minaccio,
me ne ricordo sempre con affetto.
Per questo il mio cuore si commuove
E sento per lui una profonda tenerezza>.
Così il grande profeta Osea(c.780-40, nel regno dl Nord): turbato da situazioni familiari, il suo impegno è profuso per dichiarare e gridare la passione di amore di Dio per il suo popolo:
<Come potrei abbandonarti, Efraim,
come consegnarti ad altri Israele?…
Il mio cuore si commuove dentro di me
Il mio intimo freme di compassione> (Os.11,8).
Si può dire che tutta la storia e gli scritti dellAT, portano fremiti di amore misericordioso, di richiami alla fedeltà di Dio verso il suo popolo che spesso si lasciava smarrire dalla tentazione delle divinità straniere: così i profeti, molti salmi, la stessa figura enigmatica di Giobbe, i proverbi, i libri della sapienza: tutta l’attenzione di Dio che è ‘padre e madre’ è rivolta all’annuncio di amore, di perdono, di misericordi; perciò, tocca a noi, nella nostra quotidianità, ritornare ai testi sacri per sentire l’amore e la dolcezza ineffabile del Dio ‘tenero e buono’.
NUOVO TESTAMENTO
Il NT, a differenza del Primo Testamento, è una intensa produzione letteraria della durata di circa 50-70 dopo la morte e risurrezione di Gesù, indicata sia nei quattro libretti dei vangeli, sia nel seguito della letteratura neotestamentaria, comprendente le lettere degli apostoli e di Paolo in particolare, gli Atti e il libro dell’Apocalisse.
Il tema fondamentale del NT è ‘salvezza’ operata da Gesù con la sua morte in croce: questo evento straordinario è fondato sul dato essenziale dell’amore di Gesù che rivela il disegno di amore del Padre.
Il capitolo tredici di Giovanni, alla vigilia della condanna e morte di Gesù, ricapitola tutta la storia della rivelazione cristiana: <Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine..>(Gv.13,1).
Cos’è la storia umana di Gesù, come poterla definire? E’ una ‘storia d’amore’, una storia di autodanazione vissuta alla luce del Padre che è Dio e in comunione col Padre, come dichiara Gesù nel suo ‘testamento’ al capitolo quattordici di Giovanni.
Dichiara Gesù a Filippo: <Chi ha visto me, ha visto il Padre…Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me..?> (Gv.14,9-10). La comunione tra Gesù e il Padre, l’intimità di tenerezza e vita che intercorre tra il Padre e il Figlio, è la tenerezza che Gesù, davanti alla sua morte, comunica e dona ai discepoli e a noi: <Chi mi ama, sarà amato dal Padre mio, e anch’io lo amerò e mi manifesterà a lui…Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a prendere dimora presso di lui..> (v-23).
Il mistero di ‘comunione’ che unisce Gesù al Padre, è una intensa, intima rivelazione di amore espresso con parole di tenerezza assoluta. Gesù cammina verso la croce, sapendo però di vivere le sue ultime ore, nella comunione col Padre, presente in lui con lo Spirito.
Gli ultimi giorni di Gesù sono accompagnati da un profondo ‘turbamento’(12,27) perché conosce che è giunta ‘la sua ora’ che è l’ora della morte: questi giorni assomigliano ai giorni del nostro turbamento mortale, al quale non possiamo fuggire, come non fugge Gesù: <Adesso l’anima mia è turbata; che dirò? ‘Padre, salvami da questa ora?’ Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora! Padre glorifica il tuo nome> (12,27-28).
Cosa rivela la morte di Gesù sulla croce, in questo vangelo di Giovanni? Perché Gesù dice al Padre‘glorificami’? Sulla croce Gesù rivela la gloria dell’amore e della tenerezza del Padre che coinvolge l’intera umanità: non siamo stati creati, come abbiamo già visto nella Genesi, per essere gettati come oggetti di peccato e di morte in questa nostra storia umana e individuale che è irripetibile: anche noi siamo stati creati per la gloria, e la presenza del Padre nella morte-glorifacazione di Gesù avvolto nella tenerezza e protezione del suo amore, è la storia e la sorte di ogni uomo: nessuno è mai stato creato per finire nella distruzione del nulla come forse si pensa in una certa teologia. Basterebbe ritornare al modo con cui Gesù, nel vangelo di Giovanni, affronta la morte come il suo passaggio alla gloria, per capire poi anche il rapporto gioioso di Francesco con la croce di Gesù che è una croce fonte di grazia.
Non dice forse Gesù agli apostoli, turbati per la sua morte vicina: <Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore…’ Vado e ritornerò da voi’…> (14,27-28) e poco prima: <Io vado a prepararvi un posto…> (v.2) ?
D’altra parte, non riusciremmo a concepire il mistero oscuro e luminoso della incarnazione di Gesù, che è l’immagine di Dio, il volto di Dio nella carne, senza il mistero rivelato da Dio in Gesù, e che rappresenta il momento più alto di tutta la storia umana, come viene folgorato da Giovanni al versetto 14 del suo Prologo: nel detto giovanneo <E il verbo si è fatto carne> (1,14) si rivela l’abisso di amore che conclude la lunga rivelazione di Dio nella storia del cosmo e si trasmette di generazione in generazione fino alla fine dei tempi (cfr. anche Rom.8).
<E il Verbo si è fatto carne
E venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità > (14,3).
Cosa sono, biblicamente, la verità e la grazia se non la fedeltà, la misericordia, la tenerezza di Dio che hanno preso dimora nella carne di Gesù e di tutto l’uomo di cui Gesù è il primogenito’?
Inoltre, in Giovanni il termine greco sarx, carne, indica l’assunzione nel Verbo di Dio in Gesù, della fragilità e debolezza che son proprio della nostra natura umana. D’ora in poi, per sempre, Dio è anche uomo: le pelli che hanno coperto il corpo di Adamo ed Eva all’inizio della storia umana, ora in Gesù Figlio di Dio, sono diventate la nostra carne che vanno a rivestire il corpo di Dio. In Gesù il Signore ha posto la sua ultima e definitiva riconciliazione con l’uomo e il mondo.
Nei vangeli sinottici inoltre, nella storia della ‘infanzia’ di Gesù raccontata da Matteo e Luca, Maria, la madre di Gesù nella carne, appare come la giovane fanciulla di Nazaret che accoglie con giubilo e tremore (Lc.1,29; 46-55) l’annuncio di essere madre per opera dello Spirito di Dio (1,35), di un figlio straordinario che sarà Gesù (v.31). Le sue ‘viscere’ e ‘ il suo ventre’ di giovane madre vivono la tenerezza di ogni madre verso le proprie creature, e attraverso questa tenerezza il mondo conoscerà il volto umano del Figlio di Dio: una tenerezza, quella di Maria, la giovane fanciulla di Nazaret, che verrà a estendersi su tutti i poveri e gli ultimi della terra:
<…ha innalzato gli umili,
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote,…> (Lc.1,53).
Gioia e dolcezza che Maria con Giuseppe potranno esercitare alla nascita di Gesù, nella povertà di Betlemme, come racconta con delicata poesia il mite Luca:
<Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio> (16-7).
In questo incanto di amore e povertà, i genitori di Gesù verranno assistiti da alcuni pastori accorsi all’annuncio di ‘un angelo del Signore’ v.9), offrendo certamente alla giovane coppia, com’è nella tradizione dei contadini e dei pastori, pane, latte, formaggio e un po’ di lana per ripararsi dal freddo; mentre dal cielo, ci racconta Luca, era apparso un coro celeste di angeli a rendere più lieto l’evento della venuta di Gesù nel mondo.(vv.13-14).
Questo incanto della nascita di Gesù, tramandato nella pittura da tutti i grandi maestri da Cimabue a Giotto all’Angelico, verrà mirabilmente annunciato da Francesco nella sua scoperta originale e serafica del presepio di Greccio (anno 1223). Come narra nella prima biografia Tommaso da Celano (Vita prima): Francesco, pieno di letizia e tenerezza, in quella notte del primo Natale offerto al mondo, cantava la sua gioia lasciandosi comprendere da emozioni fino alle lacrime: <Francesco è raggiante di letizia…il tempo della letizia e il giorno dell’esultanza…> e canta il vangelo <con voce forte e dolce, limpida e sonora…poi parla al popolo con parole dolcissime e rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme…infervorato di amore celeste lo chiamava ‘il Bambino di Betlemme…riempiendo la bocca di tenero affetto…> (T. da Celano, Vita prima).
Nei santi, tutto diventa primordiale, come il fuoco, l’acqua l’amore e la tenerezza dei doni di Dio.
E quanta tenerezza ricevette Gesù da Maria e Giuseppe, allorchè, secondo il racconto di Matteo (1,13-18), Gesù dovette essere portato in Egitto (ricordando in questo l’esilio del suo popolo).
Il bambino Gesù è un piccolo profugo, come tanti bambini profughi del nostro tempo e spesso rifiutati dai cristiani.
Così anche nei vangeli chiamati ‘apocrifi’ (cioè non riconosciuti canonici) l’infanzia di Gesù è descritta con tanti particolari che sono proprio della fantasia popolare, ricca di affetto e tenerezza, un po’ come avviene nei Fioretti di S. Francesco.
Gesù, nei lunghi anni di silenzio nella casa di Nazaret con Maria e Giuseppe, vive il tempo del focolare domestico e familiare, nella crescita della sapienza e conoscenza biblica, nel lavoro, nel calore dolce e intimo circondato dalla tenerezza dei suoi genitori.
Poi, verso < i trent’anni>, come ricorda Luca ( 3,23), Gesù dà inizio a un periodo di circa tre anni di vita pubblica, con la missione di < proclamare il vangelo di Dio e il Regno di Dio> (Mc 1,14-15; Mt 3,2; 8,10), al mondo, percorrendo a lungo la Palestina, circondandosi di una famiglia di discepoli e di donne che saranno in seguito testimoni dei suoi segni, dei miracoli di guarigione, e delle parole di speranza.
Rivelerà al mondo un immenso patrimonio di misericordia e di bontà unite a dolcissima tenerezza: nell’incanto delle Beatitudini in Matteo (5, 1-12), dove ai poveri, ai miti, ai misericordiosi agli innocenti di cuore, ai combattenti per la giustizia, viene proclamata la beatitudine e la ricompensa celeste; così i malati, i ciechi, i lebbrosi, i peccatori trovano nelle parole di Gesù la salvezza e la misericordia.
In questi viaggi faticosi e spesso accompagnati da incomprensione, Gesù darà continua testimonianza del Regno di Dio con segni di tenerezza e bontà infinite: accoglie i bambini, corregge gli arroganti e i presuntuosi, dona fiducia ai disperati, usa misericordia ai peccatori, consola i poveri, gli orfani e le vedove e insegna alle folle di rivolgersi a Dio con fiducia come Padre nostro
( Abbà = papà mio) (Mt.6,9-13) manifestandogli tutte le nostre necessità: ma quanta tenerezza di Gesù nel presentarsi a Dio con l’invocazione di Padre: anche per noi, basterebbe ripetere in continuazione la parola Padre, con intimità e fiducia, per sentirci i figli di Dio!
Voglio ricordare alcuni gesti di Gesù, che ne proclamano la bontà e la dolcezza, indicando in questi segni, l’arrivo del regno di Dio.
In Matteo: Gesù, alla finita di una giornata faticosa per il cammino sulle strade polverose della Palestina: <Venuta la sera gli portarono molti indemoniati e malati, ed gli li guarì tutti…> per adempiere le parole di Isaia: <Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie> (Mt.8,16-17; cfr. Is 53,4; cfr. Gv 1,29; Mc 2,32-34; Lc.4,40-41)).
Le ‘guarigioni’ nel corpo e il ‘perdono’ dei peccati restano il tratto più significativo della partecipazione di Gesù alla sofferenza e povertà dell’umanità:
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<Coraggio, figlio, ti sono perdonati i peccati …>dice al paralitico, e aggiunge con la potenza divina della parola: <Alzati e cammina…prendi il tuo lettuccio e va a casa tua> (Mt 9,1-7);
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alla donna malata da dodici anni che ‘aveva toccato il mantello’ di Gesù fiduciosa di guarire, Gesù <si voltò, la vide e le disse: ‘coraggio, figlia la tua fede ti ha salvata’. E da quell’istante la donna fu guarita> (Mt 9,21-22);
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e con lo stesso amore ridona la ‘figlia morta a uno dei capi’ che lo aveva implorato di andare e ‘imporle le mani’: <…Gesù entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò> (v.18.25).
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Ai discepoli di Giovanni Battista che erano andati a chiede se lui, Gesù, era il Messia, nella sua risposta Gesù rivela la sua missione:<Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete:’ i ciechi vedono’, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, ‘i sordi odono, i morti risuscitano’, ai poveri è annunciato il Vangelo…> (Mt 11,3-5).
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Nei vangeli sinottici non c’è pagina dove Gesù non si prenda cura di annunciare il ‘regno di Dio’, se non attraverso la partecipazione alla sofferenza dell’umanità che lo circondava.
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Ai due ciechi di Gerico (Mt 20,29ss.), che gridavano verso Gesù e ai quali la folla rimproverava perché ‘tacessero’, Gesù, scrive Matteo: <Ebbe compassione, toccò gli occhi, e all’istante ricuperarono la vista e lo seguirono> (vv.33-34).
‘Compassione’ che Marco descrive quando Gesù è di fronte alla ‘folla’: <Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano ‘come pecore senza pastore> (Mc.6,34 ss.). Allora Gesù, prima ‘insegna loro molte cose’, poi, sopraggiunta la sera, fa sedere la folla e moltiplica i pani: <Tutti mangiarono a asazietà> (6,42).
L’anima di Gesù, potremmo commentare, ha il potere di stringere in sé tutta la fragilità e sofferenza degli uomini, in cerca di Dio, della verità e della giustizia. Qui veramente Gesù è il profeta dei popoli di ogni tempo e di ogni nazione: nella sua infinita delicatezza, cogliamo la profonda carità e tenerezza di Dio: essere ‘salvati’, secondo Gesù, significa essere amati e accolti, perché spesso noi uomini siamo come ‘pecore senza pastore’.
E ai bambini, una parte debole della società, Gesù dice: <Lasciate che i bambini vengano a me…a loro infatti appartiene il regno di Dio..> (Mc 10,14ss.cfr. Gv 3,4ss): così Gesù rivela il senso del ‘regno di Dio’: è il ritorno alla innocenza perché l’innocenza è lo specchio del volto di Dio presente in Gesù.
Se dunque i poveri, i malati, i peccatori, i bambini sono capaci di accogliere il ‘regno’, Gesù non esclude i ricchi e le singole persone: in Marco leggiamo quella bellissima pagina di vangelo dell’invito al ‘giovane ricco’ alla sequela del maestro: < ‘Maestro buono, che devo fare per avere in eredità la vita eterna?’… Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: ‘una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo, e vieni! Seguimi!…> Ma quel giovane guardato con amore intenso di Gesù, ‘non lo seguì’ <..e se ne andò rattristato perché possedeva infatti molti beni> (Mc.10, 17-22).
L’amore di Gesù può essere ancora rifiutato, perché la ricchezza acceca la nostra anima e ci chiude al miracolo della sua tenerezza!
Quando nella Prima Lettera di Giovanni leggiamo che ‘Dio è amore’ (1Gv.4,7), potremmo anche tradurre nel linguaggio quotidiano che ‘ Dio è tenerezza’, rivelata nel volto e nell’amore di Gesù.
In Luca, l’evangelista mite, che ama descriverci un vangelo dei poveri che sanno accogliere il ‘regno di Dio’ nella persona di Gesù, la ‘tenerezza’ ha subito inizio nell’atteggiamento luminoso dell’annunciazione a Maria, nella soavità piena di fede di Giuseppe, nell’atmosfera biblica di Zaccaria ed Elisabetta genitori di Giovanni Battista(Lc.1,39-45); sarà proprio Zaccaria, sacerdote del tempio di Gerusalemme (1,5), a indicare, nel cantico del Benedictus la missione del Precursore:
<sarai chiamato profeta dell’Altissimo> (v.76), e a proclamare la bontà di Dio nel suo lungo piano di salvezza:
<Grazie alla tenerezza e misericordia del nostro Dio,
ci visiterà un sole che sorge dall’alto,
per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre
e nell’ombra della mortel
e dirigere i nostri passi
sulla via della pace> (vv.78-79)-
La tenerezza di Gesù è preceduta dalla tenerezza di Dio, nel disegno di salvezza universale.
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Di Luca vorrei ricordare ancora due parabole: nel cap.10 il ‘Buon Samaritano’
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e nel cap.15 ‘Il Padre misericordioso e il figlio prodigo’.
Luca coglie la centralità del Messia – Gesù, proprio nel Samaritano che davanti a un uomo ferito dai briganti <vide e ne ebbe compassione…gli fasciò le ferite…> 10,33-34), contro il sacerdote e il levita, i ‘puri’ della religione ebraica, che erano passati avanti, essendo il Samaritano ritenuto un nemico!
E nel ‘figlio prodigo’ 15,11-32), la tenerezza del padre che corre ad abbracciare il figlio che si era allontanato dall’amore della casa paterna: è festa, è la musica, c’è la gioia, c’è la felicità <perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato> v.24); il figlio maggiore, rimasto in casa, obbediente ed ossequiente agli ordini del padre, non aveva saputo cogliere il senso della tenerezza e bontà del vecchio genitore, credendo che la pratica della legge fosse superiore all’amore.
Nelle sue parabole, Gesù sconvolge il senso della pratica puramente legalistica: è il cuore che ci guida verso il Signore, non la materialità dei nostri gesti esteriori.
Infine, voglio cogliere questa immagine di tenerezza, dal vangelo di Giovanni, guardando alla morte in croce di Gesù.
Ai lettori del ‘Ponte’, questa piccola rivista che esce dall’Isola per i ‘volontari’ (ma anche per medici, personale infermieristico e impiegati), voglio far osservare che entrando nell’ospedale, nel primo cortile a destra, sulla parete davanti alla fontanella dei pesci e delle tartarughe, ci son quattro piccoli crocifissi di autori diverse e tutti assai significativi.
Mi ha colpito però l’immagine che rappresenta Gesù, secondo il vangelo di Giovanni, dove Maria la madre, e l’apostolo Giovanni assistono alla morte di Gesù.
Gesù reclina dolcemente il capo verso la Madre, Maria, in un atteggiamento filiale tenerissimo: nell’ora della sua morte (che è anche l’ora della sua glorificazione), Gesù non rifiuta la tenerezza della madre e del ‘discepolo amato’ che lo assistono; anche Gesù ama il conforto, la tenerezza, la carezza della madre: è l’ultima immagine che abbiamo del Figlio di Dio nella sua carne, ed è una icona di amore tenero e dolce.
Morendo Gesù ‘ chinato il capo, donò lo spirito’ (Gv19,36).
Dunque nella ‘tenerezza’ si coglie l’ultima immagine di Gesù nella fragilità della sua carne: dai vangeli perciò, veniamo a sapere che la tenerezza ha un posto teologico fondamentale, che riassume l’intera storia della rivelazione come la Bibbia ha saputo raccontarci, a partire dalla creazione fino ad Abramo, ai profeti e a Gesù.
Si può annunciare la salvezza del mondo, restando sempre aderenti al valore anche filologico del testo biblico, incontrando finalmente il volto di Dio nella bellezza, nella santità e tenerezza di Gesù.
Tutto questo, per noi malati nel cuore o nel corpo, è una grande speranza, anzi è già una certezza.
Roma, otto maggio 2010
Don Enrico Ghezzi
Via Anicia 10, tel. 334.35.99.790.
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