LA NUOVA ECCLESIOLOGIA – Don Enrico Ghezzi
Posted on giugno 17th, 2010 by Angelo
LA NUOVA ECCLESIOLOGIA
(Cap XII-XVI e sintesi finale – Lettera ai Romani)
di don Enrico Ghezzi
L’anno paolino è una straordinaria occasione, offertaci dal Papa, per riscoprire l’apostolo delle genti e percorrere con lui il nostro cammino. Come noi, Paolo non ha conosciuto il Gesù della storia, ma lo ha creduto risorto, si può dire che ha dato alla storia il suo vero senso.
La fede nella resurrezione, l’amore di Dio, la giustificazione dalla fede in Cristo sono solo alcuni dei temi che ci accompagnano in questi testi relativi alla prima parte del ciclo di catechesi sulla Lettera ai romani (si concluderà alla fine del 2009).
L’anno paolino avrà effetti su ognuno di noi se, per intercessione di Paolo, avremo fatto esperienza della Grazia e del perdono del Signore e se avremo approfondito la conoscenza dell’epistolario paolino, fonte indispensabile per chi vuole vivere in profondità la propria adesione a Cristo.
11 maggio 2009
INCONTRO CON DON ENRICO GHEZZI A CHIUSURA DELL’ANNO PAOLINO
Don Ghezzi
Buona sera a tutti. Mi pare che ci eravamo visti qualche mese fa, a novembre, all’inizio di questo cammino su S. Paolo: è importante, forse siete una delle poche parrocchie che ha tenuto un cammino costante in questo anno paolino, non ho sentito altre, sì magari qualche incontro così, ma aver fatto tutto l’anno la lettura della Lettera ai Romani è stata una cosa interessante, siete stati fortunati, avete avuto un parroco che vi ha sollecitato alla parola di Paolo.
Adesso mi diceva che eravate arrivati praticamente agli ultimi 12, 13, 14, 15, 16 che è l’ultimo capitolo che forse, secondo gli studiosi, non è proprio stato scritto da Paolo ma forse dai suoi discepoli.
Forse avete sentito un po’ come le cose che Paolo ha detto durante tutto questo cammino, qualcuno dice che San Paolo è stato così profondo, così grande nelle sue lettere che addirittura sia lui il vero fondatore del cristianesimo. Qualcuno dice che il vero papa a Roma era Paolo, non era Pietro, queste cose ve le hanno dette. Questa figura potente che proprio ha invaso il mondo del Mediterraneo con i suoi tre viaggi, ma soprattutto con questa sua riflessione potente, che è riassunta quasi tutta nella Lettera ai Romani.
Vi ricordate all’inizio lui era un fervente, zelante giudeo, di quelli proprio, diremmo oggi, un fanatico, lui era di Tarso però aveva studiato a Gerusalemme, con questo grande maestro Gamaliele che appare anche nel Vangelo di Giovanni, grande maestro, grande uomo saggio, compare anche negli Atti degli Apostoli, quindi un grande personaggio, e lui era un discepolo veramente pieno di questo zelo giudaico.
Guardate che lo zelo giudaico caratterizza proprio il popolo di Israele, forse fino ai nostri giorni, tanto è vero che questo benedetto popolo non accettava mai il dominio di nessuno ed era così litigioso, così forte nel difendere il monoteismo, di fronte all’Assiria, l’Egitto, Roma, era così forte nel difendere il monoteismo che pur essendo il paese più piccolo, quasi insignificante, e i romani dovevano continuamente tenerlo a bada con delle battaglie, con delle guerre che poi è sfociato nel 70 con la distruzione del Tempio, ma più avanti ancora, un altro imperatore, non so se Claudio nel 134, vengono uccisi, una shoah, 600-700.000 ebrei nel 135-140, in quei momenti lì c’è proprio la dispersione.
Ciò che rendeva così intenso il discorso ebraico era proprio il fatto che noi abbiamo un solo Dio e i primi cristiani incominceranno il martirio quando, fino ad un certo momento gli imperatori non chiedevano l’adorazione dell’imperatore, quando incominciano, lì comincia la grande crisi.
Per essere obbedienti, noi siamo obbedienti dicevano i cristiani, c’è da andare a fare la guerra, arruolati, facciamo i soldati, quando però incominciavano i primi scricchiolii all’interno dell’Impero e allora c’era bisogno di una forza ulteriore e l’imperatore doveva essere adorato come Dio, e lì allora incomincia il grande rifiuto, i cristiani non possono accettare e tanto meno Israele può accettare questa immagine di un dio in terra da adorare.
Paolo scrive questa famosa Lettera ai Romani che avete letto, facendo il compendio di tutto il grande pensiero cristiano che dura fino ai nostri giorni. Primo grande concetto: lui è il predicatore dei gentili, delle genti, non degli ebrei soltanto, dei giudei, anzi questo qui lo facciano pure gli apostoli tradizionali, io sono mandato da Gesù a fare l’annunciatore ai gentili, quindi a tutti i popoli che non si riconoscevano. Una missione grandissima, perché poter parlare di Gesù Cristo a gente che era completamente estranea al mondo religioso dell’unico Dio, un Dio che si era fatto uomo, veramente era un discorso impossibile, ci vuole la grande forza interiore spirituale di Paolo, il suo grande coraggio e certamente l’assistenza dello Spirito Santo e quindi lui scrive, prima di arrivare, questa famosa Lettera ai Romani che è il grande compendio della teologia.
Lì ci sarà il grande tema: come mai esiste nel mondo il male, il peccato originale, Cap. V e VI, Adamo ed Eva, il peccato originale, questo dominio, il battesimo, fondamentale in Paolo perché è il sacramento che dà una nuova vita, essere sepolti con Cristo e co-resuscitare con Cristo attraverso il dono dello Spirito Santo, Paolo susciterà davvero la potenza, la grazia, il calore, il dono dello Spirito Santo nella sua grande predicazione.
E poi tutto il grande tema il Cap. VIII, quello della visione, che tutto il cosmo verrà redento e tutto verrà rinnovato in Cristo risorto, nulla andrà distrutto, non solo noi, ma il mondo, il cosmo intero geme in attesa di una nuova rivelazione. Questo grande personaggio che vede poi donato nella grazia di Dio la via veramente per la propria salvezza. Quindi Paolo farà una grande teologia che durerà fino ai nostri giorni.
Negli ultimi capitoli lui fa una specie di grande esortazione, nella Bibbia di Gerusalemme, non l’ultima ma la penultima, infatti veniva proprio chiamato come la “parenesi”, l’esortazione finale a tutti i discorsi che Paolo aveva fatto. Guardate bisogna partire da un concetto che non è così ancora chiarissimo, però poi sarà più chiaro negli Atti degli Apostoli: come si va formando la prima chiesa.
C’era la sinagoga, i primi apostoli andavano ancora a pregare nella sinagoga, però a poco a poco si accorgono che nella Sinagoga si leggeva solo l’Antico Testamento e non riconosceva il Cristo e allora, a poco a poco si forma la nuova “ecclesia”, la parola è uguale dal greco ecclesia vuol dire chiamata, essere radunati, però in un ambiente nuovo e in una situazione nuova.
Quale sarà il fondamento che deve arrivare fino ai nostri giorni della nuova chiesa, tre cose fondamentali: erano assidui nell’ascolto della parola. Paolo dirà: non ci può essere fede senza l’ascolto, fides ex auditu, la fede dall’ascolto. Negli Atti degli Apostoli le prime comunità cristiane erano assidue nell’ascolto della parola. Qual era la parola che gli apostoli annunciavano?
Era la parola dell’Antico Testamento reinterpretata nella realizzazione finale che aveva fatto Gesù. Gesù è colui che realizza la figura di Mosè, la figura dei profeti, la figura dell’attesa del popolo d’Israele di un Messia, lui è il Cristo, il Messia nuovo. Quindi la fede nasce, guardate anche per noi, anche per i vostri figli, per i vostri nipoti, non c’è altra soluzione, bisogna ascoltare la parola: fides ex auditu, questa grande intuizione di Paolo e anche delle prime comunità cristiane, giunge fino ad oggi a noi, perché oggi noi abbiamo, non dico pochi cristiani, forse ce ne sono fin troppi, ma alle volte cattivi cristiani.
Adesso ho visto in Trastevere, da dove vengo, fuori di una chiesa antichissima, bellissima,, Santa Rita da Cascia. Ecco questo nuovo nostro popolo è un popolo pieno di devozioni, ma non sa chi è Gesù Cristo, nelle chiese che sono state fatte, prima Padre Pio, so che voi siete molto devoti di Padre Pio, poi Santa Rita, poi la Madonna, e anche Gesù Cristo al quarto o quinto posto.
Questo è il nostro grande problema: fra venti anni avremo le chiese piene di chi sente Santa Rita, chi segue Padre Pio, chi segue un padre eterno che si sono inventati ultimamente, ma il Cristo non c’è, mentre la fede, fides ex auditu, il fondamento, se tu non leggi la parola di Dio, se tu non la commenti, ecco il senso anche di questi incontri di Don Francesco durante questo anno, se non si ascolta non saremo mai dei cristiani, saremo delle persone devozionaliste, ma i devozionalisti c’erano anche ai tempi dei romani, anche loro credevano alle loro divinità, accendevano i lumini anche loro alle divinità, il popolo ha sempre bisogno di questo, ma Cristo è venuto a fare un annuncio diverso.
Questo non era ancora ben delineato nella chiesa: gli Atti degli Apostoli dicono la fede nasce dall’ascolto. Secondo momento: si radunavano, dicono gli Atti, e il giorno in cui Cristo è risorto, la domenica e spezzavano il pane, l’eucaristia, il gesto che Gesù aveva fatto nell’ultima cena, prendete e mangiate, questo pane è il mio corpo, viene rinnovato, i cristiani si sentono attorno all’eucaristia, perché il mangiare il pane vuol dire partecipare al Cristo risorto: chi mangia di questo pane. Lo ha detto Giovanni nel Cap. VI “Chi mangia di questo pane ha in sé la vita eterna ed io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.
I primi cristiani ascoltano la parola spiegata dagli apostoli, l’Antico Testamento e le cose che Gesù aveva fatto ed aveva detto e spezzano il pane dell’eucaristia. Ecco la domenica. La domenica, l’andare alla messa, bisogna andare alla messa, ma non per dire sono andato alla messa, per cui se non sono andato alla messa devo andare a confessarmi perché è un peccato mortale, non è questo il problema, la domenica è il giorno in cui noi nelle nostre comunità parrocchiali celebriamo qualche cosa di più grande dell’andare a messa, celebriamo il Cristo che ogni domenica si rinnova nella eucaristia e ricorda a noi che siamo partecipi della gloria di Dio, della gloria di Cristo.
Chi mangia di questo pane ha in sé la vita eterna e allora questa comunità che la domenica si raduna e canta le lodi al Signore e continua quello che già avveniva nella sinagoga prima di Gesù, con gli ebrei, dà lode a Dio, adesso lo ritroveremo subito questo concetto, la lode nel Tempio dove si radunavano per dare la lode al Signore, e terzo momento fondamentale che anche qui Paolo poi richiamerà, è “spezzavano il pane e mettevano in comune le loro cose” in modo che le vedove, gli orfani, che erano la catena più debole erano aiutati.
Ecco i tre grandi momenti, la carità, la solidarietà. Da qui nasce la chiesa cristiana cattolica che è fondamentalmente la chiesa in cui noi ci troviamo. Però questa va animata, perché il primo punto spesso non lo conosciamo, ascoltare la parola; il secondo punto, chi va a messa, nel passato spesso si andava a messa altrimenti se non ci andava si doveva confessare perché era peccato mortale e quindi non va con la gioia di chi risorge, di chi rinasce, ma va perché deve adempiere un mestiere, un compito.
Il terzo momento, la carità, il compito della carità è fondamentale e questo della solidarietà è fondamentale anche ai nostri giorni. Certo la carità, la solidarietà sono difficili, però lì ama il prossimo tuo come te stesso, c’è poco da fare. Anche per i non credenti questo concetto un po’ kantiano “fa il bene che vuoi sia fatto a te e non fare il male agli altri che non vuoi sia fatto a te”. Ama il prossimo tuo come te stesso.
Era questo che ha invaso il mondo romano, i romani che erano questo grande popolo di potenza che soggiogava e sottometteva i popoli, incominciare a dire che l’altro, il conquistato, era immagine di Dio, immagine del Cristo risorto, ha cambiato completamente la mentalità. E non per niente Gesù quando appare dice sempre, nelle sue apparizioni pasquali, dice sempre la prima parola “pace a voi”. Non una pace/assenza di guerra, ma una pace che vuol dire una nuova creazione, dove l’uomo può vivere veramente in un sistema di non violenza, pensate quanto è moderno questo concetto che è lì nelle prime comunità cristiane.
Adesso arriviamo al nostro Paolo, al Cap. XII: “Vi esorto dunque fratelli per la misericordia di Dio a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio. E questo è il vostro culto spirituale”. Allora dice “offrite sacrifici”.
Paolo che veniva dalla sinagoga, la sinagoga era il luogo dove gli ebrei offrivano la loro adorazione a Dio, il loro culto al Signore. Paolo qui dice “adesso c’è un nuovo culto”. Perché c’è un nuovo culto? Perché la comunità cristiana “offrite dunque fratelli i vostri corpi come servizio vivente santo e gradito a Dio. E questo è il vostro culto spirituale”.
Mentre gli ebrei nella sinagoga, nel tempio, offrivano la lode al Signore, ora per i cristiani dice Paolo, il nostro nuovo tempio è Cristo. I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità, aveva detto Giovanni e Gesù aveva detto sempre in Giovanni “distruggete questo tempio e io lo ricostruirò” e parlava del suo corpo. Il nuovo tempio è Cristo: noi siamo in Cristo, gli adoratori del Padre.
Naturalmente le chiese non fanno altro che rappresentare Cristo che è presente e noi nel tempio possiamo lodare il Signore. Quindi questo per un nuovo culto spirituale indica come i nostri padri ebrei adoravano Dio nella santità del tempio, ora il nuovo tempio è il corpo di Cristo. Poi certamente anche il nostro corpo diventerà il corpo di Cristo perché noi siamo inseriti.
Vedete un po’ perché Paolo tira fuori questo concetto del tempio di Cristo. Guardate un po’:
“per la grazia che mi è stata data io dico a ciascuno di voi non valutatevi più di quanto conviene ma valutatevi in modo saggio…perché come in un solo corpo (attenti bene qui) abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo.
E ciascuno per la sua parte siamo membra degli uni e degli altri. Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi: chi ha il dono della profezia la eserciti, secondo la fede, chi ha un ministero attenda al ministero, chi insegna si dedichi all’insegnamento, chi esorta si dedichi all’esortazione, chi dona lo faccia con semplicità di cuore, chi presiede presieda con diligenza, chi fa opere di misericordia le compia con gioia.
La carità sia senza ipocrisia, detestate il male, attaccatevi al bene, amatevi gli uni gli altri con amore fraterno, non siate pigri nel fare il bene, – vedete la terza parte, la carità come viene continuamente fuori,- siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera, condividete la ….. dei santi, siate premurosi nell’ospitalità.”
Allora Paolo perché è partito e dice questo nuovo tempio dove noi possiamo rendere un culto nuovo a Dio, è il corpo di Cristo, cosa serviva questa immagine a Paolo? Paolo dirà che Cristo ormai è salito in cielo, chi rimane qui sulla terra ?
Il dono dello Spirito Santo e i credenti in Cristo che formano il nuovo tempio che è la chiesa, Cristo è il tempio nuovo, la chiesa che noi tutti formiamo è il luogo dove vive Cristo e noi Cristo possiamo adorare. Per cui guardate che concetto Paolo ha tirato fuori: che cos’è la Chiesa?
Non è soltanto l’edificio, la chiesa innanzitutto sono i cristiani, noi siamo il Cristo, è un corpo, il corpo che durerà fino alla fine dei tempi è la chiesa, la comunità dei credenti. Per cui Paolo tira fuori: nella chiesa ci sono varie funzioni.
Ognuno di noi, anche se questo noi non siamo mai stati educati a questo, c’è il prete, il parroco, il vice parroco, il vescovo, il cardinale e noi il gregge.
In realtà Paolo dice, scrive ai romani – siamo negli anni 53-54, ancora non conosceva questa comunità,- immaginando che a Roma c’erano i primi cristiani, che poi vedremo nell’ultimo capitolo, c’erano i primi cristiani, lo fa anche nella Lettera ai Corinti, immagina che Cristo è il capo, la chiesa è il corpo di Cristo e come nel nostro corpo, il naso, le mani, gli occhi, hanno funzioni diverse dice, così in questo corpo ci sono funzioni diverse.
Guardate che bello, dice: la profezia, la profezia è l’annuncio della parola; il ministero forse i sacerdoti, l’insegnamento, i genitori, ma guardate voi genitori chi è più chiamato ad essere nella chiesa un corpo vivo nell’insegnare ai propri bambini la parola di Dio, l’insegnamento.
Donate con gioia, una carità sincera, amore fraterno, siate lieti nella speranza, forti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera. Vedete in questa comunità, noi lo proviamo, c’è per esempio chi è più ottimista e chi sprizza speranza e gioia da tutte le parti: è un servizio, un dono di Dio; c’è chi è più attento, più dedicato alla carità, più attento verso i poveri, verso i deboli, verso i malati, verso gli handicappati, è un carisma, si dice, è un dono della comunità; c’è chi è più attento alla contemplazione della preghiera, chi è più attento alla profezia, dire parole di speranza, parole di salvezza, parole di gioia.
Vedete come Paolo immaginava la chiesa e come la chiesa così oggi ancora dovrebbe essere. Non c’è che una persona dice ma io sono vecchio, no chi partecipa a questa grande comunità – e noi lo siamo attraverso il battesimo -, tutti noi, tutti voi avete un carisma. Ma pensate il carisma più grande di essere genitori.
Il matrimonio: quando il matrimonio durerà sempre e non sarà messo in crisi dopo due o tre anni? Quando gli sposi vivranno il carisma dell’essere amanti nell’amore di Cristo, di essere capaci di testimoniare ai propri figli questa grande luce della speranza, ma quando ci sono questi valori, l’attenzione, la delicatezza verso i più poveri.
Quanti genitori oggi educano per esempio al senso della solidarietà che renderebbe meno egoisti i nostri ragazzi. Vedete siete tutti, siamo tutti profeti in questo senso e Paolo vede che questo corpo, il Cristo, il tempio antico dove gli ebrei adoravano, il nuovo tempio che è il corpo di Cristo, noi siamo in questo corpo che è il corpo di Cristo, siamo la chiesa e in questa chiesa al servizio dell’umanità e poi di Dio ci sono tutti questi grandi carismi.
Questo quindi è tutto sommato un grande identikit della chiesa.
Guardate poi più avanti cosa dice Paolo:
“Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite, rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto, abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri, non nutrite desideri di grandezza, volgete piuttosto a ciò che è umile, non stimatevi sapienti da voi stessi, non rendete a nessuno male per male, cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini, se è possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti, non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare a Dio”.
Allora vedete questi verbi bellissimi: benedite, rallegratevi, piangete, sentire comune, sentimenti comuni con chi è nella gioia o con chi è nel dolore, non fate il male ma fate il bene. Guardate come sono forti questi verbi che sono l’animazione di quella comunità che si raduna intorno e forma il corpo di Cristo.
Che comportamento deve avere questa comunità?
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La profezia,
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il ministero,
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l’insegnamento,
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la carità in modo che allora benedite e non maledite,
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esortate, esortatevi a vicenda,
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conforto, la luce, la speranza,
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rallegratevi, sappiate piangere con chi piange.
Vedete che è un sistema quello che ha nutrito la prima chiesa, che ha dato la possibilità proprio di questa grande espansione perché sentiva veramente di essere nel corpo di Cristo.
Noi abbiamo l’umanità, pensate l’umanità cristiana era piena, il terrore delle potenze naturali, il terrore del fato, che cosa avranno gli dei preparato per noi, la paura delle guerre e delle malattie, arriva Cristo, supera tutto questo, non c’è più un dio che ha un fato o un destino drammatico per noi.
No, questo Dio, dice Gesù, ha il volto del Padre, Paolo dice questo: il volto di Dio è il volto del Padre. E’ lì che i romani, il mondo pagano, anche il mondo greco che era molto sofisticato, ha incominciato a capire che c’era una grande novità.
Quando Paolo andrà la prima volta all’areopago vi annuncio il Dio… Gli antichi, anche i greci, avevano l’uso di avere tanti altari ed ognuno adorava il dio che voleva e lì Paolo aveva annunciato il Dio Ignoto. Capite che per la mentalità filosofica greca dove la materia, il corpo, la materia secondo Platone era una prigione e dove la materia veniva disprezzata, dire vi annuncio il Dio che non conoscete, che ha avuto un corpo, che si è incarnato, che è morto sulla croce e che è risorto, ai greci faceva proprio girare la testa, non capivano più niente, dicevano tu sei ubriaco. Però quella semente che lui aveva buttato quando ritornerà troverà.
Ma questa è stata la novità presso i popoli pagani, questo mondo che viveva di divinità, buone o cattive, per cui ognuno doveva attendere un beneficio da quella divinità e un malificio dall’altra, l’annunciare che questo Dio era buono, per cui qui esortate, benedite, rallegratevi, piangete, abbiate un sentire comune con chi sta bene e con chi sta male, non fate male a nessuno, era un’assoluta novità. Ormai c’è qualche cosa di nuovo all’interno di questo rivelarsi di Dio che veramente ci libera finalmente dalla schiavitù drammatica di essere sempre dipendenti da qualche cosa di minaccioso e di drammatico.
Siamo al Cap. XIII.
“Ciascuno sia sottomesso alle autorità costituite. Infatti non c’è autorità se non da Dio. Quelle che esistono sono state stabilite da Dio, quindi chi si oppone all’autorità si oppone all’ordine stabilito da Dio”.
Allora guardate bene questo capitolo. Probabilmente c’erano già delle critiche, delle crisi all’interno anche della comunità cristiana: ma se noi abbiamo un Dio che è Gesù Cristo che è risorto, dobbiamo ancora obbedire alle leggi civili, dobbiamo ancora obbedire alle leggi che sono leggi pagane secondo noi?
E guardate Paolo qui veramente trova un principio generale che vale anche nei nostri giorni: qual è il principio fondamentale? Il versetto 3 dice “chi fa il bene non deve temere”. Se io agisco bene secondo la mia coscienza illuminata dalla parola di Dio, non devo temere le leggi anche se sono fatte, perché la legge, il principio deve tendere al bene comune, non deve essere una legge che impone di fare delle cose contro il bene comune.
E Paolo dice: se la legge non ti obbliga a fare il male, ma a fare il bene, fallo, se siamo soggetti alla legge. Non c’è problema anche se la legge viene dai pagani, perché la legge deve avere come principio quello del bene comune e quindi deve essere vissuta nella mia coscienza che quando è illuminata dalla parola che ho ascoltato, mi dà una grande libertà di seguire una legge che mi impone il bene.
Nella storia guardate queste cose sono diventate importanti: quando nella storia un magistrato, un avvocato, oppure un medico, dovevano decidere questo è bene e questo è male, era tremendo.
Quando Enrico VIII al suo cancelliere Tommaso Moro che era adorato da Enrico VIII, gli dice tu mi devi permettere di ottenere dal papa il divorzio e lui gli dice guarda io ti posso fare tutto, un uomo saggio, un uomo di una famiglia felicissima, con due o tre figli, una famiglia bellissima quella di Tommaso Moro, e lui gli dice no, tu ti devi piegare alla mia legge, devi ottenere da Roma che io possa celebrare, e lui gli dice no, e viene messo là nella torre e viene ucciso.
Capite come queste parole “obbedite alla legge” poi hanno fatto veramente dei martiri. Durante le prime persecuzioni dei cristiani, come faccio ad obbedire ad una legge che mi obbliga di adorare un imperatore come Dio, non è possibile, e allora qui il martirio, come quello di Tommaso Moro. Nella storia avviene spesso: la legge quando è buona io la devo osservare, ma deve filtrare in qualche modo nella mia coscienza, la mia coscienza stabilisce, illuminata dalla parola di Dio, se quello che io faccio è veramente un bene, non solo per me ma è un bene comune. Quindi Paolo qui dà un avvertimento fondamentale e il mezzo per, versetti 8-10 cosa dicono:
“Non siate debitori di nulla a nessuno se non dell’amore vicendevole, perché chi ama l’altro ha adempiuto la legge”.
Vedete dov’è il riassunto di tutto: le leggi sono cose buone se propongono il bene. Come faccio a sapere che la legge è buona: la legge si riassume nell’amore. Questa è stata la grande rivoluzione cristiana:
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l’aver scoperto che non ci sono mille divinità,
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che non ci sono influssi negativi,
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che non ci sono zone dove il mio fato, il mio destino è già stabilito,
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il fatto che questo Dio che Paolo annuncia, che è Dio fatto uomo in Gesù Cristo, è l’amore.
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E allora dice: non c’è problema laddove la legge si riassume nell’amore. Questo è un principio fondamentale per chi deve agire, le leggi che noi diamo ai nostri ragazzi, ai nostri figli, che si lamentano, ma se un papà e una mamma hanno coscienza che quello che stanno vedendo è un amore oggettivo, non un amore troppo affettivo, ma se è un amore oggettivo, allora bisogna avere il coraggio di presentare ai nostri figli la bellezza della legge, ama il prossimo tuo, rispetta il creato, come lo abbiamo distrutto questo creato, rispettare il creato, rispettare il tuo prossimo, rispettare le persone che hanno un colore della faccia diverso dal tuo.
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Pensate quanta sapienza e quanta saggezza Paolo riassume in queste poche parole: il culmine della legge è l’amore. Dove c’è l’amore non c’è timore.
Quindi il problema la legge e l’amore. Poi
“Infatti non commetterai adulterio, non ucciderai, non ruberai, non desidererai, qualsiasi altro comandamento si ricapitola in questa parola: amerai il tuo prossimo come te stesso. La carità non fa alcun male al prossimo, pienezza della legge infatti è l’amore”.
“E questo voi farete consapevoli del momento. E’ ormai tempo che… perché adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti. La notte è avanzata e il giorno è vicino. Perciò gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce.”
Ecco qua: la legge è buona quando si traduce nell’amore. Altro grande principio paolino che poi è nel Vangelo: bisogna operare, le ubriachezze, le orge sono opere delle tenebre, bisogna operare nella luce.
L’azione è quella di vivere l’amore: come faccio a sapere? Se io opero nella luce. E guardate le parole che usa Paolo, guardate come usa la parola “tempo”, che in greco era il kairos, il tempo di Dio, il tempo della pienezza, non il tempo cronologico che ci passa sotto le mani, è passato un anno, ecc. Guardate cosa usa Paolo: era ormai il tempo di conversione, adesso è la salvezza, notte e giorno, le opere della luce sono quelle del giorno, i vizi, orge, impurità ecc., dov’è il peccato, come faccio a sapere che tutto questo è peccato, se io opero fuori dalla luce.
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Ma chi è per me la luce? E’ l’essere in Cristo.
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Ma come faccio a sapere che è Cristo? La parola. La parola ti traduce il pensiero, il cuore, l’amore, il concetto, vorremmo dire così, di Gesù e di Dio.
Cap. XIV. Paolo in questi capitoli riassuntivi dà un po’ una definizione generale.
“Accogliete chi è debole nella fede, senza discutere le esitazioni. Uno crede di poter mangiare di tutto”
Lì c’era il grande problema: tra i primi cristiani alcuni venivano dal giudaismo, e sapete che gli ebrei, anche gli arabi, alcune carni non le mangiano, il maiale, voi sapete perché il maiale non si poteva mangiare? L’ho scoperto anche io poco tempo fa: a parte i motivi igienici, ma poi anche perché il maiale presso alcune popolazioni veniva adorato come un dio, quindi era un peccato di idolatria.
Poi si traduce in tanti modi perché appunto era un animale immondo, ma l’ultima radice diciamo più profonda era che erano ritenuti una specie di divinità. Qui Paolo scopre un grande principio: allora mangiamo io e te, uno è ebreo giudeo e io invece sono un cristiano gentile, cioè mi sono convertito dal paganesimo e ci servono la carne di maiale o altre cose. Non lo mangiare! Ma io la mangio, no non la mangiare e lì cominciano i litigi e Paolo dice principio importante: se c’è da rinunciare rinuncerò volentieri, importante lui dice sul problema dei cibi impuri, importante che in tutto ci sia la carità. Per la carità se non dovrò mangiare la carne, non la mangerò, ma se io devo scandalizzare, ecco lo scandalo.
Come potrò evitare lo scandalo di una persona più debole che crede che quella sia, ecco laddove io vivo in questa situazione il dono della carità, il dono della comprensione, allora qui Paolo dà un grande principio, pensate il problema per i giudei cristiani della circoncisione e i gentili che non si lasciavano circoncidere. Quello era il segno del popolo di Dio che Mosè aveva dato, la nostra nuova identità di popolo, per gli ebrei era proprio la circoncisione, assieme alle leggi, ma noi abbiamo Cristo, chi è in Cristo dice ha il cuore circonciso.
La circoncisione è quella del cuore, è quella di liberare il mio cuore dalle impurità, dall’avarizia, dall’orgoglio, dal male, quella è la vera circoncisione. Però pensate Paolo ha dovuto soffrire veramente, più e più volte ha dovuto soffrire con i suoi ex fratelli ebrei perché dovunque andava, lui che predicava la libertà in Cristo, è stato continuamente perseguitato.
Badate non l’hanno perseguitato i pagani o gli atei: Paolo è stato perseguitato dai giudei convertiti al cristianesimo, dai cristiani, perché tu sei un rivoluzionario, stai portando una regola che noi non, ma le genti, i gentili, quelli di Atene, di Roma, quelli di Corinto non hanno bisogno della nostra regola. La nuova regola è Cristo che ha portato la libertà, che ha portato l’amore.
“Colui che mangia non disprezzi che non mangia, colui che non mangia non giudichi chi mangia, infatti Dio ha accolto anche lui.
Chi sei tu che giudichi un servo che non è tuo. Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone, ma starà in piedi perché il Signore ha il potere di farcelo stare.
C’è chi distingue il giorno dal giorno, chi invece li giudica tutti uguali, ciascuno però sia fermo nella propria convinzione.
Chi si preoccupa dei giorni lo fa per il Signore, chi mangia di tutto mangia per il Signore, è un momento che rende grazie a Dio.
Chi non mangia di tutto non mangia per il Signore e rende grazie a Dio. Nessuno di noi infatti vive in se stesso, nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo viviamo per il Signore, se noi moriamo moriamo per il Signore.”
Ecco vedete il principio generale è questo in Paolo: allora nella prassi concreta come devo fare? E Paolo dice: se tu mangi, se tu dormi, se tu non mangi, se tu non dormi, se tu giochi al pallone, se tu vai a fare il Giro d’Italia, se tu corri con la Ferrari, quello che facciamo sia fatto nel nome di Gesù Cristo.
E allora vedete non c’è più la preoccupazione, sbaglio o non sbaglio, faccio bene o non faccio bene? Attenti bene, una prassi importante che poi verrà dalla morale cristiana è questa da ricordare: non bisogna mai prendere una posizione se la mia coscienza è dubbia.
Pensate un medico che deve operare e dice: ma, faccio bene o faccio male. Ecco non si può decidere con la coscienza dubbia: debbo avere moralmente la certezza che quello che io faccio sia buono, perché altrimenti se ho la morale coscienza che può essere anche non buono, agisco male.
Paolo dice chiaramente bisogna sempre avere la coscienza, questa coscienza Paolo dove la fonda? Nella carità, nell’amore. Se tu mangi, se tu non mangi, se è giorno, se è notte, quello che conta è vivere nella carità perché la carità è essere nel Regno di Dio.
Qui vedete quanti principi Paolo ci viene a dare: bisogna operare nella luce e non nelle tenebre, bisogna far sì che sia rispettata la coscienza di chi è più debole in modo che anche lui si senta amato. Quello che è importante è che quando io agisco nella mia coscienza abbia una certezza di fare il bene e d’altra parte se nella mia coscienza se io voglio ammazzare una persona ma al momento il grilletto non scatta, il peccato c’è stato ugualmente, non ho commesso omicidio, però nella mia coscienza il male l’ho fatto.
E allora Paolo dice come dobbiamo agire in questa incertezza, in queste cose non chiare? Dobbiamo agire in modo che l’atto che io compio nasce dall’amore e dalla carità, non nasce da un qualunque altro pregiudizio. Perché qualunque cosa faccia, mangiamo, dormiamo, tutto sia fatto nel nome del Signore, in modo che la vita concreta, la vita di una famiglia, dove ci sono i bambini, gli anziani, i malati, quello che facciamo con amore verso i più deboli, verso chi ha bisogno, è un senso di grande comunione, di grande espressione di carità che ci rende un po’ più tranquilli, un po’ più felici, perché solo facendo il bene siamo felici, solo donando amore agli altri noi possiamo trovare in qualche modo il compimento della bellezza della parola di Dio.
Molte volte il mondo attuale va come va, proprio perché non sappiamo godere di quello che facciamo, non sappiamo godere delle cose piccole quotidiane, portare a scuola i bambini, andare a prenderli, come fanno oggi i nonni, ecco saper godere delle cose piccole perché qui c’è la presenza del Signore, è la carità quotidiana che ci manca per avere un mondo un po’ più felice e un po’ più sereno.
Siamo arrivati al Cap. XV che praticamente è un capitolo che ci parla proprio ancora della vita pratica, dice la nostra vita sia basata sulla Scrittura e sia basata sulla speranza.
Tutti abbiamo dei giorni un po’ negativi, un po’ ottenebrati, però se noi riusciamo a far nascere la nostra giornata quotidiana, per esempio prendete le beatitudini, al cap. 5 di Matteo, beati i miti, i puri di cuore, i misericordiosi, ecc., se noi riusciamo a vivere un po’ di questa beatitudine quotidiana, ecco riusciamo a vivere nella speranza. Molte volte siamo disperati proprio perché la nostra vita non affonda in questo dono che abbiamo in mano, che è la Scrittura del Signore, chi affonda la sua vita lì riesce a trovare una grande forza, una grande capacità di andare avanti, anche nei pericoli e nelle grandi difficoltà.
“Noi che siamo i forti abbiamo il dovere di portare le infermità dei deboli ”, non è che chi ha la salute in genere prega, quante volte avviene questo. Chi è nella salute pensi a chi è nell’infermità: vedete questo principio profondo di solidarietà, gli anziani, gli handicappati, le persone che sono escluse, ma se tutti ci mettessimo un po’ di carità, come sarebbe più bello questo mondo, come vivremmo tutti nella luce della grande speranza, Paolo lo dice.
“Ciascuno di noi cerchi di piacere al prossimo nel bene per edificarlo, anche Cristo infatti non cercò di piacere a se stesso, ma come sta scritto, gli insulti di chi ti insulta ricadono su di me. Tutto ciò che è stato scritto prima di noi è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della perseveranza e della consolazione che provengono dalle scritture, teniamo viva la speranza. Il Dio della perseveranza e della consolazione vi conceda…”
Guardate noi cristiani dovremmo essere veramente una chiesa, un popolo di speranza. Tante volte si sente dire che tutto va male, i ragazzi sono cattivi, il mondo è cambiato: è cambiato, ma il Dio della speranza rimane sempre, perchè la Scrittura, la parola di Dio è sempre lì, noi siamo i fautori della speranza, noi siamo capaci di affondare la nostra vita in questa luce dell’amore di Dio e allora siamo capaci di donare davvero in un mondo che è così difficile tanta speranza.
Certo se il nostro cuore viene ubriacato, come dicevo prima, le orge dell’ubriachezza del danaro, del potere, di tutto quello che alle volte ci coinvolge e allora no, allora certo è difficile, ma se abbiamo un po’ di speranza, ecco perché poi ritorna il giorno del Signore, la messa, l’ascolto della parola di Dio, l’eucaristia, le opere della carità. Se queste entrano e formano le nostre famiglie, formano le nostre parrocchie, invece di tanti santi e di tante devozioni, ritorniamo al Cristo, la Scrittura.
Qui non dice Santa Rita, che era una grande Santa, Santa Rita è datrice di speranza: la Scrittura è fonte della speranza. Cioè i santi hanno vissuto di questo, Padre Pio, ci sono milioni di persone che vanno a trovare Padre Pio tre volte l’anno, e in chiesa non ci vanno mai: questo è bello, come vai a trovare il santo e la chiesa, la messa domenicale? Ma vedete che cristianesimo abbiamo costruito? Perché? Perché ci siamo allontanati, la Scrittura fonte della speranza.
“Fratelli miei sono anch’io convinto, per quel che mi riguarda, che voi pure siete pieni di bontà, colmi di ogni conoscenza e capaci di proteggervi l’un l’altro. Tuttavia su alcuni punti vi ho scritto con un po’ di audacia, come per ricordarvi quello che già sapete a motivo della grazia che mi è stata data da Dio, per esser ministro di Cristo Gesù tra le genti adempiendo il sacro ministero di annunciare il vangelo di Dio perché le genti gli rendano l’offerta gradita santificata dallo Spirito”.
Allora Paolo dice: voi sapete già tante cose, gli apostoli annunciano, a me il Signore ha fatto una grazia: di essere l’annunciatore del Vangelo non ai giudei miei fratelli, ma alle genti, ai gentili. Questa è la grazia che Cristo mi ha dato e quindi di portare le genti all’obbedienza della fede.
Cosa vuol dire l’obbedienza della fede? Ad una capacità di ascolto, di accoglienza di questo nuovo annuncio che ha riempito il mondo con Cristo, Figlio di Dio, morto e risorto, che accogliendolo, ecco qui, noi prestiamo la nostra obbedienza, il nostro sì non ai comandi di Dio, ma al comando di Dio che è l’amore, che è la solidarietà, che è la carità, essere figli della luce, saper vivere l’amore ai propri fratelli. Questo è il grande compito di Paolo: essere l’annunciatore. E così praticamente conclude il Cap. XV
“Appunto per questo fui impedito due volte di venire da voi, ora però non trovando più un campo di azione in queste regioni, avendo già da parecchi anni un mio desiderio di venire da voi, spero di vedervi di passaggio, quando andrò in Spagna e di essere da voi aiutato a recarmi in quella regione.”
Poi Paolo vi racconto ormai il finale, qui poi la storia dice che Paolo, fino a poco tempo fa si credeva che Paolo fosse venuto una sola volta verso l’anno 60 qui a Roma, sia stato due anni anche qui in prigione ma poteva parlare a Roma e molti mettevano la morte nel 63 d. C. Quest’anno avendo fatto il centenario si mette che Paolo è nato nell’8 d. C. e sia morto forse verso il 67-68.
Qui dice voglio andare in Spagna, però non lo sappiamo se poi Paolo arriverà in Spagna, certo che lui arriva avendo mandato ai Romani questo grande bagaglio della teologia, dalla creazione alla storia dell’Antico Testamento che si realizza il Messia incarnato, Gesù nuovo Adamo, e qui c’è tutta l’umanità, questa visione, si era precipitata nel peccato con Adamo ed Eva, in Cristo, nuovo Adamo, l’umanità risorge. E’ il cammino che Paolo spiega dal cap. V fino a questi ultimi capitoli, in Cristo tutto viene fatto nuovo, tutto viene portato verso la sua evoluzione, verso il suo grande rinnovamento, verso la sua risurrezione, quando anche noi risorgeremo in Cristo e ci sono poi questi ultimi capitoli.
Il Cap. XVI è molto interessante anche se non lo ha scritto forse Paolo. Guardate questo proprio secondo me è interessante: prima di tutto ci sono tutti i collaboratori, saluto, saluto, saluto:
“Vi raccomando Febe, nostra sorella, che è al servizio della Chiesa di Cencre: accoglietela nel Signore, come si addice ai santi, e assistetela in qualunque cosa abbia bisogno, anch’essa infatti ha protetto molti e anche me stesso. Salutate Prisca e Aquila miei collaboratori in Cristo Gesù; essi per salvarmi la vita hanno rischiato la loro testa.
… Salutate il mio amatissimo Epeneto che è stato il primo a credere in Cristo nella provincia dell’Asia, salutate Maria, che ha faticato molto per voi. Salutate Andronico e Giunia, miei parenti e compagni di prigionia, sono insigni apostoli ed erano in Cristo già prima di me Salutate Ampliato che mi è stato molto caro nel Signore, salutate Urbano nostro collaboratore in Cristo, il mio carissimo Stachi, salutate Apelle.”
Guardate la prima cosa da notare è questa: si è parlato molto se queste donne, questa Febe per esempio non siano state addirittura delle diaconesse, questo ordine che poi scomparirà nella chiesa cattolica, ma guardate come Paolo ha saputo usare nel suo apostolato il grande ministero delle donne. Più e più volte le donne appaiono, quindi abbiamo proprio qui una pagina dei primi catechisti, coloro che assieme al grande apostolo che era Paolo nel mondo, in tutto il mondo, lo avevano aiutato ad annunciare il Vangelo.
Se uno ci pensa, ogni cristiano nella chiesa delle origini si sentiva incaricato di essere apostolo, di annunciare Gesù. E’ avvenuta qualche distorsione radicale che poi nei secoli è stato lasciato tutto al prete: terrificante quello che è avvenuto nella chiesa. Solo il prete e anche voi pensate che è il prete che deve fare tutto… no, qui Paolo dice che c’è una comunità di catechisti, di uomini e di donne, mariti e moglie, che sono incaricati nelle grandi città dove era passato, a Corinto, Efeso, qui a Roma, dove era andato, aveva lasciato dei catechisti che continuavano la sua opera.
Guardate che il cristianesimo, è vero che è stato iniziato dagli apostoli, ma è stato continuato da queste comunità di catechisti: i primi cristiani si sentivano incaricati, non come noi che stiamo lì ad accettare tutto dagli altri, ma si sentivano incaricati di dovere loro stessi annunciare la parola di Dio.
E’ lì che si è formato un cristianesimo pieno di vita, pieno di luce, Barnaba e poi Marco e tutti i grandi, annunciavano Gesù Cristo. Vedete, ripetono le parole di Gesù, andate nel mondo e battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Ma non solo gli apostoli, era la comunità che era chiamata ad annunciare. Pensate oggi le nostre comunità sui nostri territori: già abbiamo le famiglie chiuse nella loro casa, e anche la chiesa, perché i nostri cristiani no, per carità, abbiamo paura di dire, abbiamo paura di testimoniare.
Guardate che la testimonianza non è fanatismo, non bisogna andare in giro con la croce, no, l’annuncio viene fatto nella parola, nella comunicazione, nel saper ascoltare i problemi degli altri, nel saper far capire che Gesù è la luce, Gesù è la speranza, nella Scrittura tu hai tutto il conforto che stai cercando nella tua vita di sofferenza, alle volte di inquietudine.
Sapere che Gesù è la luce, che la Scrittura è la fonte della nostra speranza e questo non lo ha fatto solo Paolo ma in questo lungo elenco che Paolo fa è veramente un grandissimo esempio, un grandissimo stimolo per noi.
Non facciamo delle nostre parrocchie i luoghi dove andiamo a ricevere i sacramenti. No, i sacramenti ti importano, ricevi il dono dello Spirito Santo, lo devi portare nella tua famiglia, presso i tuoi figli, presso i malati, nel tuo ufficio, senza forme di bigottismo, ma con grande semplicità e lealtà, sapere che qui facendo così noi annunciamo a questo mondo attuale un po’ di quella speranza di cui Paolo parla continuamente e di cui tutti sappiamo che c’è una grande necessità.
Come possiamo oggi far rivivere in noi questo entusiasmo di Paolo? Come possiamo noi oggi far rivivere questa figura? C’è la possibilità? Possiamo noi vivere un po’ la passione di Paolo: Paolo aveva questa grande passione di annunciare Gesù Cristo.
Ma state bene attenti, perché aveva questa passione di annunciare Gesù Cristo? Perché aveva capito che il disegno di Dio eterno, e questo dobbiamo leggerlo, la dossologia, l’inno di ringraziamento, guardate il disegno che Paolo conosceva dell’Antico Testamento, che gli ebrei attendevano da millenni, come Messia, il disegno eterno di Dio di salvare gli uomini, si è rivelato in Gesù, e allora Paolo dice : Gesù mi ha scelto di essere apostolo, io brucio di dover annunciare a tutti che il mondo è salvato, è liberato da quelle potenze, i principati, che stavano sopra agli uomini e li mettevano in una grande condizione di sofferenza, ma Cristo ha portato a ciascuno di noi, personalmente, la certezza che Dio è nostro padre e che il nostro destino, il disegno della nostra vita non è quella di scomparire e basta, ma il disegno di Dio che Paolo vuol rivelare in Gesù Cristo è quello di essere partecipi della vita eterna. Questo è il grande disegno di Paolo.
Ma pensate cosa c’è di più bisognoso oggi al nostro uomo moderno, ai nostri ragazzi, ai nostri giovani, di far capire che non vivono una morte, la droga, adesso il bere, l’andare in giro con i motorini in un modo spaventoso quasi da suicidio, tutte le cose così gravi che ogni giorno sentiamo. Questo mondo ha bisogno di sentire questa comunicazione profonda, interiore, appassionata che questo Dio ci vuole bene e guardate come Paolo conclude la lettera.
“A colui che ha il potere di confermarmi nel mio vangelo che annuncia Gesù Cristo, secondo la rivelazione del mistero avvolto nel silenzio per secoli eterni ma ora manifestato mediante le scritture dei profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede, a Dio che solo è sapiente, per mezzo di Gesù Cristo la gloria nei secoli dei secoli. Amen.”
Allora fatevi questa domanda: se Gesù non fosse venuto, se qualcuno non ci avesse annunciato Gesù Cristo, il mondo sarebbe più felice, noi saremmo più felici? Questa è una grande domanda. Perché Dio ha voluto, io lo dico sempre, ma Dio poteva benissimo andare avanti con il Dio dell’Antico Testamento, con Jahvè, ma come mai gli è venuto il pallino di mandare Gesù, suo Figlio?
Perché in Gesù suo Figlio, l’amore che non ha segreto in Dio, mistero nel silenzio dell’eternità, ad un certo momento si fosse rivelato.
Allora la domanda che dovete portare a casa questa sera nel vostro cuore: ecco se Gesù non c’era io sarei più felice, la mia famiglia, che speranza, che gioia, che prospettive darei ai miei figli e alla mia famiglia, non è allora così grande la gloria, questa gloria di Dio che si è rivelata in Gesù che è risorto e che Paolo ha voluto comunicarci? Non è forse questa stata la grande passione di Paolo? Perché Paolo amava Gesù Cristo ma da quello che ha scritto amava ancora di più l’umanità si può dire, perché è per l’umanità che si è messo a fare tre viaggi allora, in mille difficoltà, minacce di morte, di pestilenze, ha voluto che questa umanità, questi uomini sentissero sulla loro pelle l’amore di Dio.
Allora stasera nell’andare a casa davvero chiedetevi:
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cosa devo fare per sentire più profondo in me l’amore che Paolo ha portato nel mondo?
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Come faccio a comunicare nella mia vita, nella mia famiglia questo amore verso Gesù Cristo che mi ha dato tutto, che mi ha aperto il destino della vita eterna?
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Non sarò da questa sera più forte, più sereno, perché sento che c’è qualcuno che mi accompagna in ogni momento, la speranza che è in Gesù Cristo e che ci è stata donata?
Domanda
Lei prima ha accennato che all’origine, parlava dei catechisti delle catechiste, poi ha detto nei secoli le donne sono scomparse … poi ha concluso che oggi c’è tanto bisogno di parlare di nuovo di solidarietà verso il prossimo. Come si fa a sbloccare la situazione e a tornare … Come ritornare un po’ alle origini?
Risposta
Io ho un mio concetto che non vi voglio dire perché vi scandalizzo. Ma vedete il problema di tutti i grandi messaggi: quando il messaggio si traduce in religione perde il 70%. Avete capito questo concetto?
Madre Teresa di Calcutta, Don Orione, San Camillo de Lellis, fuochi di amore per il prossimo… Quanto tempo dura? I loro confratelli, le loro consorelle, devono cominciare a pensare alla casa, all’istituzione e si perde il carisma. Quando – questo purtroppo credo che sia una condizione dell’uomo – quando noi trasformiamo il messaggio primitivo in regola e in legge, in religione, lì incomincia ed è per quello che già nel 200 d. C. Sant’Ireneo diceva “ecclesia sancta et amen semper reformata”. Nella chiesa, corpo di Cristo come abbiamo visto, ognuno ha le sue missioni, la chiesa è santa e tuttavia pensate eravamo ancora all’inizio del cristianesimo, la chiesa deve continuamente rinnovarsi… il Concilio Vaticano II voleva rinnovare la chiesa e bisogna cominciare sempre da capo perché gli uomini sono portati a cadere, sono portati alla stanchezza, a mancanza di entusiasmo, l’uomo fondamentalmente è tradizionalista e non vuole impegnare… questo per me è il grande problema, se troveremo un grande papa, un nuovo papa Giovanni che ci darà questo impulso, speriamo che i nostri figli possano vedere questo rinnovamento della chiesa.
Domanda
Penso che bisogna in qualche modo ritrovare il senso anche della Messa, perché la Messa è il centro della spiritualità. Molto spesso assisto, vedo gente distratta, gente che parla, gente che pensa a tutt’altro quando lì presente c’è Gesù Cristo, vivo e vero, che ci guarda, che ci osserva, che vuole parlare ai nostri cuori. Noi penso che abbiamo perso questo senso. Mi ha fatto molto riflettere una frase che ha detto Don Francesco: quando si alza l’ostia consacrata tutti dovremmo essere in ginocchio perché è Gesù che si innalza e noi stiamo in ginocchio. Dobbiamo riscoprire questo senso di lode, … essere veramente una comunità tutta assorta a lodare Dio dall’inizio alla fine, dall’ascolto della parola alla fine. Questo penso che si è perso nella chiesa, non capendo neanche quale sia il senso della messa, cosa succede nella messa, chi è presente nella messa.
Risposta
Mi diceva ieri una persona ucraina che suo marito, bravissimo, un ragazzo d’oro, lei molto religiosa, sta qui presso una persona malata, il marito è là con una figlia che adesso ha 18 anni, lei mantiene il marito che sta sempre molto male, gli ho chiesto ma tuo marito ci va in chiesa, visto che sei così religiosa? Dice: da noi la Messe durano quattro ore, incominciano alle nove e finiscono all’una!!! Adesso io sto in questa chiesa in Trastevere, sapete che persone più autenticamente pie sono ragazze ucraine che studiano al biblico, e non perdono una Messa, con le bambine piccoline, le uniche in tutto il quartiere. Trovo una fede in queste ragazze ucraine e donne e uomini rumeni, straordinaria, perché loro hanno, mi diceva questa ragazza, noi siamo uscite da una situazione, i nostri genitori erano atei, per noi la fede è una cosa di grande gioia e di grande pace.
Domanda
Vorrei fare una domanda sulla comunicazione, sul fatto che il prete è ormai isolato rispetto agli altri che ormai non comunicano più il cristianesimo. Una delle colpe secondo me viene proprio dalla chiesa, cioè la comunicazione che negli anni la chiesa ha fatto, ha posto un muro tra il credente e il modo in cui la chiesa si pone verso il credente. E vorrei fare una domanda, però prima voglio dire il mio pensiero: il cristianesimo ha una novità rispetto alle altre religioni, che il cristianesimo è Cristo, su questo non ci sono dubbi, però la percezione della comunicazione che arriva a tutti è che il cristianesimo sia l’etica.
Se io faccio una domanda, su dieci persone penso che cinque mi rispondono che il cristianesimo è un’etica, perché così è percepita. Questo è il problema fondamentale oggi, i messaggi che arrivano quello che arriva alla massa, vanno sempre in questa direzione. A me sinceramente non stupisce il fatto che ci sia idolatria, perché se ci guardiamo intorno anche la chiesa compie idolatria. Negli ultimi dieci anni le manifestazioni più importanti sono state le beatificazioni e le santificazioni. Quindi noi la colpa noi giovani la riversiamo verso il prete tra virgolette perché è lui comunque che ormai è isolato, il mondo lo ha isolato.
Risposta
A queste domande aveva risposto bene il Concilio Vaticano II. Il Concilio Vaticano II che io ho vissuto tutto nella mia giovinezza qui a Roma quando studiavo alla Gregoriana, dal ’61-’62, il Concilio Vaticano II, ideato da Papa Giovanni e Papa Paolo VI, aveva questa idea:
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la chiesa deve parlare con il mondo;
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la chiesa deve parlare con gli uomini, gli operai, allora era molto forte l’idea degli operai, l’America Latina, tutti i grandi temi dell’Africa, dell’Asia, la chiesa deve parlare agli uomini.
Tenere viva questa passione è molto arduo. Io l’ho provato sulla mia pelle quando facevo il parroco, dopo i primi dieci anni di vice parroco, sono stato quindici anni a Labaro a fare il parroco, io che arrivavo fresco di teologia. La gente è conservatrice, le processioni, la gente vuole questo.
Allora la grande tensione del Concilio a poco a poco si è frenata, perché occorre una grande passione per tenere alto un grande, ed è subentrato, allora noi eravamo tutti per gli uomini, io insegnavo, facevo il parroco al Labaro e insegnavo a un liceo dei Parioli quindi avevo in mano le due immagini… Poi ci sono state le famose lotte del ’78. Cosa è successo con i cambiamenti dei papi?
Che la chiesa ha fatto quello che dici tu: ha avuto paura del mondo, e si è ritirata. Quello che io sento oggi non è più una chiesa che va verso il mondo, anzi è una chiesa, ecco lì l’etica, che ha posto dei paletti: tu entri soltanto se la pensi come me. Allora ci sono degli atei che entrano perché la pensano come loro, ma questa propulsione verso il mondo… Tu pensa per noi preti, per me cosa è stato dover accettare queste nuove condizioni.
Infatti io dico, adesso sto scrivendo un libro sui sacramenti e in più punti dico che la chiesa del futuro se va avanti così fra venti anni si troverà con le chiese piene, perché ricordati che la gente con le devozioni va in chiesa, se gli parli di Gesù Cristo che fa fatica, se gli parli della Bibbia che ha problemi.
E’ sorta una tale forma di devozionalismo che non so che cosa trasmetterà alle nuove generazioni: ai tuoi figli che gli dirai di Santa Rita? Ma no bisogna parlargli di Gesù Cristo, come ha fatto Paolo, Paolo ci trasmette la passione di Gesù, poi viene anche Santa Rita.
Ma se noi non accettiamo la passione che ha avuto Gesù, avendo amato i suoi li amò fino alla fine, se non viviamo la passione di Gesù, la passione di Paolo, la passione di Francesco, di Madre Teresa, è chiaro che poi il mondo è quello che dici tu e secondo me la Chiesa qui dovrà fare una grande riflessione anche sul sacerdozio, non ci sono più preti.
I più scalmanati vanno a farsi preti, sono quattro o cinque scalmanati in tutta Roma all’anno, scalmanati che non hanno niente da fare, non sanno come sbarcare il lunario del loro futuro, ma l’entusiasmo, la gioia dov’è. Questo è un grandissimo problema. Spero che la chiesa, – questo papa, a me piacciono molto i suoi discorsi,- ma il papa dovrebbe stare tranquillamente tre mesi in Africa, tre mesi in Asia e tre mesi in America Latina poi a fare le vacanze viene qui a Castel Gandolfo e poi basta. E’ vero che oggi abbiamo i mezzi di comunicazione, ma internet non ti comunica la passione, ti comunica la lettera, è questo il grande problema. La parola nella chiesa non può venire meno, non può venire solo dalla lettera scritta, ma la lettera scritta deve essere una lettera infuocata, che trovi delle persone che l’annuncino e questo è secondo me il grande problema che stiamo vivendo.
Sito gestito dalla Parrocchia Santa Melania.
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