SAN RICCARDO PAMPURI – (2) Nelle lettere la ricerca di un volto umano e l’esperienza del TU – Angelo Nocent
IL MODO DI PREGARE DEL PAMPURI
Le lettere che ho trasformato in preghiera non sono fatte per essere semplicemente recitare. Non si possono nemmeno leggere davanti a Dio così come sono. Proprio per la loro natura, esse risultano più un invito a cogliere in maniera più chiara i fondamenti della carità Riccardiana, la determinazione con cui egli procede su tale strada, la tensione cui sottopone costantemente il suo uomo interiore che accusa spesso di muoversi con pigrizia, accidia, o di far posto all’orgoglio più che all’umiltà.
Nel saggio “Teologia e santità”, scritto nel 1948, ma pur sempre di attualità, il teologo Hans Urs Von Bathasar metteva in luce lo scollamento tra il lavoro teologico, condotto con metodo scientifico, e la spiritualità della fede cristiana. Tale divaricazione, iniziata già nel medioevo, consisteva in questo: che la teologia dogmatica tradizionale sembrava uno scheletro senza carne, e la letteratura ascetica un ammasso di carne senza scheletro. Già negli anni ’30 3 ’40 si fecero diversi tentativi per ricucire tale scissione, ma la distanza tra spirito e vita, tra ragione teoretica e ragione pratica, verrà colmata grazie all’influsso del pensiero dialogico del personalismo e del pensiero filosofico esistenziale, per non parlare degli influssi della visuale storico-salvifica della Bibbia.
Se è vero che la preghiera rivela l’intimo, sarebbe assurdo cercare in queste lettere trasformate in forma di preghiera ciò che a priori non c’è: una spiritualità sistematica. Tuttavia, mi piace qui ricordare la concezione molto più ampia della preghiera che ha il teologo Karl Rhaner. Per lui ogni esperienza umana – quella della gioia o quella del dolore – ci invia al di là di se stessa nella terra di una speranza illimitata dove dimora Dio.
Ad un intervistatore che gli chiedeva “Lei prega?”, Rhaner rispose in questo modo: “Io spero di pregare. Vede, quando nella mia vita – nelle ore grandi e nelle ore piccole – mi rendo conto di essere confinante con il mistero ineffabile, santo ed amante che noi chiamiamo Dio, quando quando mi pongo davanti a questo mistero, allora io prego – spero di pregare – “. La preghiera è dunque una multiforme attenzione della fede che sa tradursi in parola. Se è così, allora è più che giustificato il tentativo di trasformare in forma di preghiera le riflessioni spirituali di Riccardo Pampuri. Ciò permette di accorgersi che i confini tra riflessione personale e preghiera sono così fluidi da confondersi.
Dalle sue riflessioni epistolari prodotte nel corso degli anni, traspare il cammino cristiano di questo giovane, si possono cogliere grida che salgono dal profondo. Per quanto sommesse e controllate, lasciano trasparire l’animo sconvolto e sconvolgente. Non mancano gli sfoghi di un cuore ferito.
Le parole, anche quelle teologiche, rischierebbero di girare a vuoto se non si traducessero in preghiera. Perché è proprio in essa che potrebbe accadere ciò di cui si stava proprio parlando. Mi ha spinto a tentare questo esperimento l’aver constatato la veridicità di un’affermazione di Rhaner che mi sembra interpretare bebe l’esistenza solo apparentemente lineare, normale, di san Riccardo Pampuri: “Dimorare nell’incomprensibilità di Dio fattasi vicina, essere amati da Dio stesso fino al punto che il primo e l’ultimo sia l’infinità e l’incomprensibilità stessa, è una realtà tremenda e beata ad un tempo. Ma non abbiamo altra scelta. Dio è con noi”.
San Riccardo nella sua breve esistenza terrena ha scelto la sua libertà nella Carità del suo Creatore: Tuus sum ego. In Te ho posto la mia fiducia. I testi che seguono ne danno testimonianza.
Come pregava Riccardo?
Indubbiamente è influenzato dalla nuova teologia messa in circolazione dalla giovane Carmelita assorta alla gloria degli altari: Teresa di Gesù Bambino che in temporecord (1923-1925) viene proclamata beata e santa. Le cronache del tempo parlano di “un uragano di gloria”.
Teologi insigni scoprono nella sua autobiografia consistenti verità teologiche e correttivi per il cammino dello spirito. Questa ragazza di 24 anni non fa che ricordare al mondo intero che davvero Dio è nostro padre, così come Cristo ce l’ha rivelato e ce lo rivela. Riccardo non può non avere attinto a queta fonte.
Un anno dopo la sua morte (1897), lo stesso anno in cui nasce Erminio Pampuri, compare “Storia di un’Anima”, un libro composto dai suoi scritti. Un semplice ed umile libro (erano modestissimi quadernetti di scuola pieni zeppi di appunti!) che in breve conquista il mondo e divulga in tutta la Chiesa il forte messaggio di questa monaca sconosciuta, che subito diventa “la ragazza più amata dal mondo”. Decine di edizioni, milioni di esemplari, traduzioni in più di 60 lingue.
La piccola Teresa agli inizi del nuovo secolo ventesimo attira folle di pellegrini alla sua tomba e al suo monastero. Guarigioni interiori, conversioni, vocazioni, miracoli, un benefico influsso denunciato ovunque sul fronte missionario. Teresa fa parlare di sé ormai il mondo intero. Dalle lettere del Pampuri e dalle testimonianze di chi l’ha conosciuto, emerge una figura molto simile alla Carmelitana. Non trovo parole riassuntive più efficaci per definirlo se non quelle della stessa Carmelitana di Lisieux: “Per me la preghiera ( io oserei dire: per me Riccardo) è uno slancio del cuore, un semplice sguardo gettato verso il cielo, un grido di gratitudine e d’AMORE, nella prova come nella gioia, insomma, è qualche cosa di grande, di soprannaturale, che mi dilata l’anima e mi unisce a Gesù” (MA 317).
Anche per Riccardo, come per Teresa, la preghiera, più che come “elevazione dell’anima a Dio”, è percepita quale “incontro della sete di Dio con la nostra sete” (S. AGOSTNO). L’esperienza di preghiera riccardiana, che è poi la stessa accessibile alla maggior parte di noi, è “mistica”, non tanto per gli eventuali effetti straordinari che potrebbe produrre, ma per Chi li produce.
Poiché Dio è sempre straordinario, la preghiera mistica nel significato reale della parola, altro non è che una preghiera in cui l’azione di Dio prende il sopravvento sull’attività dell’uomo. Bisogna sgomberare subito il campo dagli equivoci: il mistico non vede nulla, non ode alcuna parola. Dio lo conduce, misteriosamente, nell’abisso inaccessibile della Sua essenza a godere del Puro Amore. Là Egli sarà luce abbagliante che acceca ogni nostra capacità sensoriale, oscurerà il nostro intendimento.
Qualcuno potrà obiettare che la mistica spazia nel campo dell’irrazionalità, della non conoscenza, dell’indistinto. Manon è così. Dio non ci toglie nulla, né può mortificare le facoltà di cui ci ha arricchiti. Egli piuttosto, nel fondo assoluto dell’anima, ci attirerà, facendoci scoprire la Sua presenza, offrendoci il Suo lume soprannaturale, il Suo intendimento e, come ripeterà San Giovanni della Croce nel Cantico spirituale e nella Fiamma d’Amor viva, fornendoci addirittura del Suo modo di sentire. In questo incontro unitivo, Dio, per il mistero dell’Incarnazione, si spoglierà della Sua divinità, rivestendoci di Sè, divinizzandoci.
Il nostro amore e la nostra conoscenza allora, lungi dall’essere annullate, saranno potenziate, fino a divenire veramente perfette in Lui, secondo la misura della grazia. “L’ESPERIENZA DIRETTA E PASSIVA DELLA PRESENZA DI DIO”. L’imperativo del Cardinal Martini nella lettera pastorale: “Ripartiamo da Dio!”, è sempre di attualità e conditio sine qua non per coloro che vogliono riconoscerlo poi nei fratelli e portarlo loro: “Chi non conosce il volto di Dio attraverso la contemplazione, non lo potrà riconoscere nell’azione, sebbene risplenda sul volto degli umiliati e oppressi”.
Questa è la strada percorsa ed ora indicata anche a noi da San Riccardo. Parlando dell’esperienza di Cristo, ci si riferisce non ad esperienze o momenti speciali di presenza avvertita, ma ad una maturazione crescente in noi di tutta la vita cristiana, centrata sulla persona di Cristo. E’ un percorso lento e graduale che converte la conoscenza in incontro, l’incontro in amicizia, l’amicizia in trasformazione.
È la “mistica dell’ordinario”, è la religiosità dei poveri, è la santità di tutti e per tutti, come la “piccola via” di santa Teresa di Gesù Bambino e di Charles de Foucauld quella che ci propone San Riccardo Pampuri “LA PRESENZA DI DIO” Dicono gli esperti che ciò che si avverte immediatamente nella prima grazia mistica è proprio una vivissima sensazione, o invasione, della presenza di Dio in noi.
Ciò non è minimamente paragonabile alle facili suggestioni di coloro che dicono di pensarlo, di immaginarlo o di sentirlo presente nella preghiera o al di fuori di essa.Afferma San Francesco di Sales: “Or, quand je parle du sacré sentiment de la présence de Dieu, en cet endroit, je n’entends pas parler du sentiment sensible, mais de celui qui réside en la cime et suprême pointe de l’esprit“.
L’effetto di questa invasione non si riduce a emozioni più o meno tenui, è una vera e propria folgorazione, per la quale non si può rivendicare alcun merito, in quando Dio, nella Sua sovrana libertà, la dà a chi vuole, quando vuole e come vuole. Non che Dio faccia delle preferenze o abbia delle simpatie. Egli riserva però certi doni a quanti devono compiere una determinata missione utile al bene dell’umanità. E’ propriamente questo il fine della grazia gratis data.
Viene subito da chiedersi: come è possibile che Dio sia presente dentro di noi? Come può il Creatore dell’universo trovare spazio in una sua creatura e, proprio perché tale, così piccola in confronto a Lui? Purtroppo noi moderni non siamo più capaci di ragionare in termini spirituali; siamo tutti materialisti. Eppure, il nostro essere proprio è spirituale e infinito. Dio è Amore – dice la Bibbia – cioè un essere in perenne ex-stasis, cioè tutto fuori di sé, rivolto verso l’oggetto del suo amore, che siamo noi. E poiché Egli, che è l’Amore, ama perfettamente, allora si può dire senza timore di esagerare che Dio è più in noi che in se stesso, ama più noi che se stesso. Ecco perché noi siamo il luogo della Sua presenza.
Può sembrare inaudito che Dio dentro di noi non stia stretto, ma è proprio così. Quest’ultime non son altro che epifenomeni, cioè fenomeni secondari, marginali, in cui, si, è possibile l’intervento divino, ma a cui si aggiunge sempre il concorso dell’uomo; la nostra natura vi partecipa considerevolmente. In genere queste apparizioni o rivelazioni, sono facili da descrivere. I veggenti si intratterranno a precisare quanto hanno visto o udito, ma la grazia dell’unione con Dio, nell’esperienza di cui stiamo trattando, è qualcosa di molto più spirituale e ben più difficile da descrivere; non si potrà darla in pasto ai giornalisti o ai telespettatori, con grande stizza da parte dei mass media. Il mistico non vede nulla, non ode alcuna parola. Dio lo conduce, misteriosamente, nell’abisso inaccessibile della Sua essenza a godere del Puro Amore. Là Egli sarà luce abbagliante che acceca ogni nostra capacità sensoriale, oscurerà il nostro intendimento.
A chi sostiene che la mistica spazia nel campo dell’irrazionalità, della non conoscenza, dell’indistinto, va detto che Dio non toglie assolutamente nulla, né può mortificare le facoltà di cui ci ha arricchiti. Egli piuttosto, nel fondo assoluto dell’anima, ci attirerà, facendoci scoprire la Sua presenza, offrendoci il Suo lume soprannaturale, il Suo intendimento e, come ripeterà San Giovanni della Croce nel Cantico spirituale e nella Fiamma d’Amor viva, fornendoci addirittura del Suo modo di sentire.
In questo incontro unitivo, Dio, per il mistero dell’Incarnazione, si spoglierà della Sua divinità, rivestendoci di Sè, divinizzandoci. Il nostro amore e la nostra conoscenza allora, lungi dall’essere annullate, saranno potenziate, fino a divenire veramente perfette in Lui, secondo la misura della grazia. Teresa nel capitolo 10 della Storia di un’anima ricorda i primi doni celesti, ricevuti agli inizi della sua vita religiosa.
Le considerazioni che suscita il primo paragrafo sono illuminanti per cogliere la somiglianza mistica del Pampuri con la santa francese: La persona che sperimenta il dono mistico della “presenza di Dio”, dice Teresa, “è presa”, senza preavviso, mentre agisce come di consueto, pregando o leggendo, o semplicemente operando. Quando Teresa usa l’espressione “mi sembra” è assolutamente certa di quel che dice. Dio le fa sentire la Sua presenza non attraverso una visione, ma “direttamente”, senza la formazione di immagini.
A tal proposito la santa scrive:
“(Un’ anima)…può rappresentarsi il Cristo innanzi a sé e imparare ad innamorarsi della sua sacra umanità, tenendola sempre presente, parlando con Lui, implorandolo nelle necessità, affliggendosi nelle sofferenze e rallegrandosi con Lui per le gioie, senza dimenticarlo mai a causa di esse e senza andare in cerca di orazioni studiate, ma servendosi di parole che rispondano ai suoi desideri e alle sue necessità. E’ un metodo eccellente di far profitto in brevissimo tempo.
Chi si adopera a vivere in così preziosa compagnia e ad avvantaggiarsene il più possibile, amando veramente questo nostro Signore, a cui tanto dobbiamo, costui, a mio parere, è già molto progredito”.
Dunque, la connotazione specifica del cristianesimo in genere e del Pampuri nel nostro caso, non è tanto l’unione mistica, l’illuminazione, la pace interiore, o il distacco dai beni terreni, ma la “sequela di Cristo”, l’ “imitazione di Lui”. Ciò non toglie però che Riccardo sia un mistico, un contemplativo, o meglio, per giocare sui termini, un contempl-attivo.
La contemplazione è un dono immeritato, che neanche dobbiamo richiedere, perché non costituisce il fine della nostra vita. Il Signore dà le grazie mistiche a chi vuole, come vuole e quando vuole. Epperò Riccardo ha fatto ciò che era in suo potere: meditare le Scritture, uniformarsi all’umanità di Cristo che per tutti è Via, Verità e Vita.
Studiando pazientemente il Pampuri, personalmente ne ho ricavato una ri-velazione: uno svelarsi della sua ricchezza interiore che, proprio per tale ragione, non è così facilmente raccontabile, come solitamente ci si aspetta quando si parla di santi. “ESPERIENZA” L’uomo moderno, quando parla di “esperienza”, si riferisce a emozioni epidermiche, a tenui tentativi, a scoperte esigue che non hanno niente a che vedere con quello che in realtà si deve intendere con tale termine.
L’esperienza mistica è qualcosa che ha a che fare con la complessa totalità della vita dell’uomo. Supponiamo che due innamorati decidano di convivere per un limitato periodo di tempo: questa breve convivenza prematrimoniale non può essere chiamata esperienza, è solo un assaggio di vita a due. Nella mistica si verifica il contrario. Chi la sperimenta si trova inspiegabilmente cambiato e non può che sentirsi un “uomo nuovo”, violentemente attirato da Dio come da una calamita interiore e divenire ebbro, pazzo d’amore.
“DIRETTA”
“Diretto” è tutto ciò che non fa ricorso a “intermediari” e proprio per questo è im-mediato, cioè senza mediazione, non fa uso di immagini, di affetti, di prese di coscienza, di ricordi memorizzati nel corso degli anni. La filosofia ci dice che lo stesso soggetto pensante è a sua volta medium nell’azione conoscitiva, perché ha impresse in sé le immagini di ogni oggetto di conoscenza e se ne serve.
Anche il linguaggio, espressione delle innumerevoli immagini che abbiamo catalogato nel fondo della memoria, diviene mediazione dialogica. Cosa avviene allora quando Dio si comunica “direttamente” all’uomo? Egli produce una realtà interiore assolutamente “nuova” e il mistico, così si chiama colui che riceve questa autodonazione divina, vede in qualche modo svanire, scomparire, tutti gli archetipi psicologici, e non può fare riferimento ad alcuna immagine o stato d’animo, non può esprimere tale realtà interiore con un linguaggio umano, perché le parole non si adattano al divino.
Le sue descrizioni letterarie o semplicemente verbali vengono allora differite, cronologicamente, al “dopo”, a quando l’esperienza dell’unione con lo Sposo divino è terminata. Solo allora si andrà in cerca di espressioni linguistiche per descriverla. Esse saranno concettualizzazioni operate “a posteriori” da coloro che ricordano un fatto assolutamente “nuovo” e “irricostruibile”, “passato” eppure “vivissimo”, “cessato” eppure “incancellabile”.
Una similitudine può certamente aiutare a capire il concetto: il Petrarca non scrive “su Laura”; se l’avesse fatto, Laura si sarebbe dovuta lavare per ripulirsi dell’inchiostro del Petrarca. Il Petrarca scrive “di Laura” quando Laura è assente. Quando era presente i due amanti facevano di sicuro qualcos’altro. Così i mistici: non scrivono mai durante l’unione… sempre dopo.
“PASSIVA”
Essere passivi sotto l’energica azione di Dio non significa diventare degli inattivi. Purtroppo oggi si considera impropriamente il mistico, lo si immagina come un inoperoso tutto preso dalla contemplazione delle cose del cielo, nient’affatto attento e dedito ai bisogni degli uomini. Ma è falso. Bisogna sfatare questo pregiudizio. Questa azione di Dio si potrebbe paradossalmente definire come una “riattivazione passiva”. Sembra un nonsenso, ma è proprio così; ci si accorge di ricevere tutto da un Altro e questa passività genera un’attività incontenibile.
La storia ci documenta le riforme, le fondazioni e tutta l’azione di vasto ed efficace rinnovamento che i grandi mistici hanno operato nel mondo, in ogni epoca storica. Dice Bergson che i santi hanno sempre avuto un gran numero di imitatori. I propagatori di bene hanno trascinato dietro di sé folle immense e, pur non domandando nulla, hanno ottenuto. Non è necessario per loro esortare, non hanno che da esistere, la loro esistenza è un richiamo insopprimibile. Man mano che passano gli anni, ci si accorge che una folla sempre più consistente sta mettendosi sulla scia di San Riccardo Pampuri. Si comincia con il chiedere una grazia, un’intercessione…e poi succede di tutto.
PREGARE
Pregare è per Teresa come per Riccardo, porsi davanti a Dio nella sua e nostra verità, per percepirlo come MISERICORDIA e percepirsi oggetto di questa misericordia gratuita. La stessa adorazione non è più lo stupore atterrito di Giobbe (Gb 42,1s) che si mette la mano sulla bocca, ma l’atteggiamento di chi volutamente e amorosamente volge il suo sguardo verso il Volto di Dio, per adorarlo.
Riccardo, è profondamente influenzato dalla spiritualità della giovane santa, pur se mai citata, perché posta dai Pontefici del tempo all’attenzione della Chiesa Universale proprio negli anni della sua adolescenza e maturità. Il futuro Dottore della Chiesa, è portatrice di una dottrina che è una vera rivoluzione copernicana: “Non si arriva all’amore attraverso lo spirito di sacrificio, ma si arriva allo spirito di sacrificio attraverso l’AMORE”. Da chi l’ha saputo? Semplicemente dall’ aver fatto nel monastero la scoperta della MISERICORDIA quale essenza stessa di Dio che altro non è se non il “Vangelo della grazia” espresso dall’Apostolo.
Alla scuola di Teresa, Riccardo scopre che la preghiera è “Uno sguardo pieno d’amore”, con cui deve rivolgersi a Gesù, il quale – sponsalmente – “gli dilata l’anima (cioè la rende capace di ricevere e corrispondere all’AMORE divino) e la unisce a sé”. Ma poiché è “Dio che ci ha amato per primo” (Gv 4,10), anche lo sguardo di Riccardo non è che una risposta a quello di Dio.
L’esperienza della santa è coinvolgente: “Quando Gesù ha guardato un’anima, subito le dà la sua divina somiglianza, ma bisogna che quest’anima non cessi di fissare gli sguardi su di Lui” (Lettera a Celina). La “divina somiglianza”, nel contesto teresiano, non è la “deificazione” di cui parlano i Padri orientali, ma è comunque l’esperienza di sentirsi “figli nel Figlio” e poter chiamare, dal profondo dell’anima Dio: “Abba, Padre!”, meglio ancora Papà (Rm 8,15).
Conseguentemente, anche nel momento dell’aridità, Riccardo come Teresa riuscirà a farsi “rapire” e a “nutrire l’anima” sua ogni volta che reciterà il Padre nostro” (MA 318). L’esperienza di essere amati è fondamentale perché finisce per rendere “necessario” lo stesso sacrificio quale suprema prova d’amore: “Non ho altro modo di provarti il mio amore che spargere fiori, cioè non lasciarmi sfuggire nessun piccolo sacrificio, nessuno sguardo, nessuna parola, approfittare di tutte le più piccole cose e farle per amore” (MA 318).
Quando Riccardo intuisce che l’amore trasforma tutto, tutto diventa sacrificio, cioè offerta sacra a Dio. E in questo tutto ci sono, non soltanto le cose che pesano, ma anche quelle che danno gioia, perché se fatte con amore, “se sono compiute nello Spirito… “ dirà il Concilio Vaticano secondo, “diventano spirituali sacrifici graditi a Dio” (Lumen Gentium 34).
L’umiltà che personifica Riccardo, è sì convinzione del proprio nulla, ma è accompagnata da un abbandono fiducioso nelle mani del Padre. La fiducia nell’Altro prende il sopravvento su quella disistima che porta alla pusillanimità e non all’umiltà cristiana. A guardar bene, il vero modo di umiliarsi sta proprio nel sopportare consapevolmente le imperfezioni, rimanendo nella pace, perché amati da Dio, nonostante debolezze e miserie.
Dunque una SPERANZA cieca nella sua misericordia, percepita come il solo vero tesoro. Anche la fede di Riccardo, come quella d’Abramo, dovette passare attraverso la prova, “Sperando contro ogni speranza” (Rm 4,18) fino ad affrontare quella che s. Giovanni della Croce chiama la “NOTTE della fede”.
E’ soprattutto all’interno della Chiesa, nelle comunità religiose, nei gruppi ecclesiali, spesso tentati di scoraggiamento, che lo spirito di Riccardo può avere un ruolo provvidenziale. Quante volte gli evangelizzatori si adirano con se stessi a causa dei propri limiti, perché confondono l’efficienza del proprio ministero con l’efficacia di esso.
Riccardo insegna a rendere attiva la virtù teologale della SPERANZA. Sperare, infatti, è andare oltre i propri limiti, non spaventarsi di essi, anzi scoprirne la provvidenzialità. Per noi indecisi, il segreto della santità di Riccardo, imitabilissima, è così sintetizzabile:
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Una volta capito che Dio è Padre, non possiamo che abbandonarci a Lui, senza avere più alcuna paura, neanche quella di noi stessi e della nostra miseria.
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Questo è il solo modo per scoprire che Dio ama le mani vuote.
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Se dovesse venire la “notte”, non mancherà il coraggio di avere paura, fino a gridare: pietà, Signore!
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Perfino una pagina come quella che descrive l’agonia del Cristo nel Getsemani è possibile chiamarla “evangelo”, cioè annuncio di gioia.
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La tentazione viene scoperta e vissuta come valore provvidenziale: in un certo senso, facendoci gridare verso Dio, ci unisce a Lui, e ci permette di seguire l’esortazione di Gesù a pregare sempre, senza stancarsi (cf. Lc 18,1).
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La speranza è la fede declinata al futuro: la fede in un Dio-AMORE diventa abbandono e fiducia da viversi radicalmente nel momento presente.
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Il passato non può essere che lasciato alla misericordia di Dio.
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L’avvenire non può essere affidato che alla sua Provvidenza.
Le lettere che conosciamo diventano significative a partire dal 1918, anno in cui Riccardo, non ancora laureato in medicina, si troverà sul fronte, preceduto due anni prima dal fratello che cadrà sul campo di battaglia, provocandogli un grande dolore.
1910 ( A 13 ANNI) (inediti 1-2-3) Tanti saluti Affettuosi saluti Cara zia, bisogna che tu venga a intenderti col sarto. La stoffa del mantello l’ha già bagnata.
1911 (a 14 anni) (inediti 4-5-6) Scusami se sono stato un po’ impertinente con te e con gli zii. Di salute sto bene…Quanto ai miei studi veda lei dai punti che ho presi in questo trimestre… Abbiamo incominciato questa settimana (19 dic.) a fare gli esami…abbastanza bene…Vacanze Venerdì alle 12.
1912 (a 15 anni) (inediti 7-8) · Greco, storia , geografia orali, abbastanza beme, gli altri bene. Se desidera che venga a casa per le vacanze (di Pasqua), mandi l’Achille perché il biglietto non arriverebbe in tempo. · Affettuosi e sinceri saluti.
1914 (A 17 anni – Pima Liceo) (1 – 1 inedita) · (alla sorella ) Ti chiedo le più vive scuse per la mia eccessiva negligenza…Prego perché il Signore abbia a illuminarti in occasione della tua Professione. Faccio la prima liceo… Primo trimestre: esito abbastanza soddisfacente…cercherò di migliorare…Abbiamo il regalo insperato del tuo ritratto… “Quanto avrei desiderato di poter teco ammirare quelle famose piramidi (d’Egitto) che attraverso ai secoli ci fanno conoscere la grandezza e la potenza di quei Faraoni che si facevano chiamare “figli del sole” e che pur dovettero piegare la loro fronte ai voleri del Dio d’Israele, quando ad essi comandò per bocca di Mosè la liberazione del popolo ebreo…” · Sto bene… Gli studi vanno abbastanza bene…latino e greco 7. Prima di Pasqua saprò le medie trimestrali.
1915 (a 18 anni – Seconda liceo) ) (2 – 2 inedita) · (13 marzo) La ricorrenza della Pasqua mi ha spinto a superare l’indolenza (di scrivere)…Giustamente ti lamenti del mio lungo silenzio…non mi sono dimenticato di te, della mia carissima sorella. “No, io sempre ti ricordo, ti ricordo specialmente nelle mie poche preghiere, quando m’accosto a ricevere la SS. Comunione, quando mi sento debole, debole nell’adempiere ai miei doveri,debole nel superare gli innumerevoli pericoli, nel resistere alle tentazioni, alle passioni; e sento il bisogno di qualcuno che preghi, continuamente preghi il Signore per me, che ne ho tanto, tanto bisogno, per mantenermi buono, per non scostarmi dal retto sentiero”
….Gli studi proseguono in modo soddisfacente “grazie a Dio che mi ha dato un po’ di buona volontà, e voglio sperare me la manterrà anche per l’avvenire”….Il terribile terremoto che distruggendo interi paesi ha cagionato migliaia e migliaia di vittime nell’Italia centrale…
L’Italia è minacciata da un pericolo più grande: “d’essere travolta nell’immane conflitto che da ben sette mesi strazia le altre nazioni europee: prega che Iddio tenga lontano sì terribile flagello che porterebbe il dolore in tutte le famiglie, in molte la desolazione e la rovina”… “ Abbondanti benedizioni da Gesù Cristo Risorto”.
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2 Agosto) Siamo arrivati felicemente ad Erte (m.500)…paesaggio magnifico, aria salubrissima che taglia ogni stanchezza e ravviva l’appetito. Dal Resegone un saluto con i miei amici.
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(15 Agosto) Non ho potuto scrivere perché non ho trovato francobolli…Ieri abbiamo dato la scalata alla cima del Resegone (1813 m)…Oggi siamo a Lecco per provviste…A Erte una stanzetta per cica 1 Lira al giorno tra io e Benedetto (carissimo amico medico chirurgo, compagno di collegio e università).
1916 (Morte in guerra del fratello Achille il 1° luglio )
1917 (9 indite- 4-5-6-7)
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· (21 Aprile) …Domenica se potrò avere il permesso (militare) verrò a casa…non pensate male, poiché mi trovo sempre assai bene.
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· Maggio) Con grande sorpresa e piacere sono stato mandato qui a Vittorio Veneto per trasporti con la Croce Rossa…
Dalla lettera n.10 (1918)
Signore, concedimi la grazia di essere a Te strettamente unito: comprendo bene come solamente nel Tuo fedele servizio, stia la mia piena felicità, ma sovente la forza dello spirito mi viene a mancare e mi addormento nella tanto pericolosa tiepidezza.
Dalla lettera n. 14 (1918)
Signore, godo sempre buona salute, ed ora mi trovo in una posizione così comoda e lontana da ogni pericolo che non potrei desiderare di meglio. In questo paesetto tranquillo (Malanno) di una graziosissima valle dove tutto è bello e dove ogni cosa, dai verdi e folti castagni lungo i fianchi dei monti, ai paesetti appesi agli erti pendii, sotto la dolce protezione di bianche chiesette, alle ardite cime indorate dagli ultimi raggi del sole morente, tutto mi parla della potenza infinita di Te, divino Creatore, della tua infinita bontà. Quante volte in mezzo a questa tranquillità serena penso al doloroso turbine che ha travolto il mio caro fratello Achille! La sua immagine buona sempre mi sta dinanzi, e il dolce ricordo dei suoi buoni consigli, del suo esempio, mi è di grande conforto, Anche alla mia cara sorella penso sempre; faccio grande affidamento sulle sue preghiere che sono certo non verranno mai meno.
Dalla lettera n. 15 (31 dic. 1918)
Signore, sono le ultime ore di questo anno e volgendomi indietro a questo anno morente, agli altri già trascorsi, molti, troppi rimorsi sento salirmi dalla coscienza, per la poca, per la mala corrispondenza alle grazie infinite elargitemi dalla Tua Divina Misericordia, per le molte, troppe ingratitudini ad esse contrapposte.
E pur tutt’ora, quanta indifferenza e quanta freddezza nella via del bene! Sento la vacuità di tante cose, comprendo il male di tante altre, ma alla pratica, ogni minimo sacrificio mi pesa, l’adempimento del dovere mi torna gravoso e non sempre mi basta la forza di volontà per compierlo. Signore, ti prego, e nella preghiera e nei SS. Sacramenti trovo grande conforto e vera pace, ma dopo poco le forze vengono meno e torna la lotta dolorosa fra la coscienza del dovere da compiere ed il rimorso di non averlo compiuto.
Il rimorso… Dammi forza di volontà, Signore, fammi riacquistare a due mani la perduta pace.
Divina Provvidenza, Infinita Bontà, concedimi la pace nella tua Santa Grazia per il nuovo anno e per tutti i restanti della mia vita.
Dalla lettera n.16
Signore, i miei studi fin’ora mi sono andati sempre bene. Solo mi addolora molto la mancanza di alcuna costanza nei buoni proponimenti che, fatti sovente, più sovente ancora sono trasgrediti.
Mi sembra di essere quel terreno della parabola Evangelica, in cui la buona semente, attecchita e cresciuta, viene poi soffocata dagli sterpi e dalle erbe selvatiche.
Buon Dio, concedimi la forza e la grazia di estirpare le erbacce e di poter coltivare e difendere nel mio cuore la Parola e la Grazia Divina con fedeltà e costanza.
Dalla Lettera 17 (29 Marzo 1920)
Signore, devo riprendere il servizio militare in qualche ospedale di Milano, quale aspirante medico. Ti mi scruti e mi conosci. La mia vita è sempre la stessa: ad un periodo di buona volontà e di vita attiva nello studio e nella pietà, di quando in quando subentra un fosco momento di completa abulia, di mancanza di ogni buona volontà che all’improvviso mi riporta al punto di partenza, quando non più in giù.
Divina Misericordia, concedimi un po’ più di forza, di costanza, per proseguire sulla buona via. O Divina Provvidenza, che in questa Settimana Santa ti mostri nella tua incomprensibile, infinita immensità, per grazia sì tanto necessaria, confido in Te, spero.
Dalla lettera 18 (31 Dicembre 1920)
Buon Dio, giunto ormai alla fine dell’anno, sento forte il rimorso per le offese e le ingratitudini rese anche in quest’ultimo tratto della vita trascorsa, in cambio delle Tue tante grazie e del Tuo infinito amore.
Mio Divino Redentore, se lo sguardo al passato mi rattrista e mi scoraggia la debolezza tanto grande di questo povero mio spirito, una fede più viva in Te, un desiderio più forte della tua santa Amicizia, mi fa ancora, anzi più che mai, sperare in un anno migliore.
In quest’anno, che dovrebbe essere l’ultimo dei miei studi e il primo della mia vita professionale, ti prego, Signore, fa che possa attingere tanta forza dalla Fede in Te, così bella e santa. Aiutami ad uscire da una vita di sterili desideri e di vane aspirazioni per cominciarne una nuova, veramente feconda di opere. Mio Dio, io so bene che, se ti rendo la lode dovuta ed il ringraziamento, nella pace serena della tua santa Amicizia sarò più lieto e felice.
Dalla lettera 19 (5 Agosto 1921)
Signore, oggi, con piacere vivissimo ho potuto parlare con due consorelle di mia sorella Mariuccia che hai chiamato alla Missione in Egitto. Nel loro volto buono e sereno, mi è sembrati di veder rispecchiare il suo, sempre amatissimo. Esse mi hanno parlato talmente bene della loro vita di lavoro e di carità, che ora mi sembra di poterla meglio raffigurare nell’adempimento dei suoi vari doveri. Signore, l’orologio l’ho comperato io a nome della zia Maria che vuol fargliene un dono tutto suo.
Fa che si ricordi di noi quando lo guarda e preghi perché ogni istante da lui segnato non passi inutile per noi, ma ben speso per la Tua gloria e a salute delle nostre anime.
Mio Dio, mettendomi sotto la protezione del Serafico padre San Francesco ed iscrivendomi al suo terz’ordine, quantunque indegno e nella speranza di diventare migliore, ora sono diventato un po’ suo fratello anche nell’ordine spirituale.
Con il tuo aiuto, il 6 luglio ho fatto la laurea di medicina e chirurgia con un buon esito, terminando così il corso degli studi universitari. Concedi a Mariuccia di godere sempre di buona salute. Spero che fra qualche anno possa lei pure fare una scappata tra noi. Ricolmala di grazie perché preghi anche per me ora che ne ho più bisogno che mai.
Dalla lettera 20 (17 Gennaio 1922)
Signore, non è ancora giunta la solita lettera Natalizia della nostra sorella missionaria. Speriamo che goda buona salute e non abbia riportato alcun danno dalle agitazioni che hanno nuovamente travagliato la Regione in questi mesi. Vorrei sapesse che mi trovo con la sorella Margherita nella condotta medica presso Abbiategrasso dove, con l’aiuto della Tua Provvidenza, finora mi sono trovato bene.
Ho bisogno di raccomandarmi vivamente alle sue preghiere, tanto per noi che per o miei malati ai quali ben poco potrei fare senza il Tuo aiuto, Mio Dio.
Dalla lettera 21 (20 Aprile 1922)
O Signore, ti ringrazio per l’inestimabile dono della Santa Croce col legno del Getsemani che mi ha mandato Mariuccia. Molto a proposito Lei m’incoraggia a portare con rassegnazione ed affetto la croce che a Te piacerà di assegnarmi per rendermi partecipe dei meriti infiniti della Tua SS. Passione e degno del premio finale.
Purtroppo io sono sempre assai incostante e molto facilmente mi lascio vincere da una malaugurata neghittosa inerzia che mi fa tralasciare spesse volte il bene e perdere tanto bel tempo che potrebbe essere preziosamente impiegato. Ti prego affinché io abbia a risorgere una buona volta e per sempre, soprattutto col costante e solerte adempimento dei miei doveri quotidiani.
Ti chiedo uno spirito di pietà sempre più vivo, un amore a Te, Crocifiso, sempre più ardente. Fa che sopporti con pazienza, meglio, con gioia, le piccole continue croci d’ogni giorno perché mi abituino ad una padronanza sempre maggiore delle mie passioni e mi prepari a sacrifici anche più grandi.
Concedimi il tuo aiuto, mio Dio, perché possa tornare di reale giovamento ai miei malati. Ti ricordo anche la carissima Rita Cui debbo mota riconoscenza Per l’opera sua affettuosa e solerte E per i suoi non lievi sacrifici.
Ricordati, Signore, di Agostino: fagli trovare, in una Fede sempre più viva, quello spirito di prudente accondiscendenza e di rispettosa sottomissione, di cui maggiormente abbisogna nella sua posizione.
Ricordati anche di Fernando e della sua Famiglia, degli zii amatissimi, di Mariuccia, insomma, di tutti i miei cari. Rendici sempre uniti nel tuo amore E nella vicendevole carità sopra questa terra Per poter sperare di restare sempre uniti un giorno In una carità perfetta in Cielo. Con questa speranza io t’invoco e ti supplico.
Dalla lettera 22 (23 maggio 1922)
O signore, sono a ringraziarti vivamente per il prezioso ed inaspettato dono del ritratto di nostra sorella Mariuccia. Confesso che non l’avrei riconosciuta: non è più l’antica sorella nella carne, pur già tanto buona ed affettuosa; è una sorella nuova, una sorella nello spirito, una sorella in Gesù, ancor più buona e santamente affettuosa.
Fammi credere, Signore, che questo ritratto Sia un preannuncio, una sua avanguardia , alla quale seguirà una sua venuta, fra breve, tra di noi. Ad ogni modo, che esso mi sia sempre un richiamo del suo grande affetto, del suo desiderio vivissimo che io abbia a diventare un po’ meno cattivo, meno sordo e meno ribelle alla Tua Divina violenza.
Gesù, nel Tuo infinito Amore, ci vuoi salvi, ci vuoi Santi. Soprattutto per la santa Umiltà e la santa Carità.
Dalla lettera n. 23 (1 Dicembre 1922)
Redentore Divino, quanto fortemente dovrebbe ravvivarsi l’amore nostro riconoscente per Te che, nella Tua infinita bontà, hai voluto abbassarti, umiliarti, fino alla nostra miseria, per innalzarci fino a Te.
Purtroppo la mia anima che naturalmente aspirerebbe verso il suo Creatore, troppo risente dei legami con cui una materia fredda e greve ci tiene legati a questa miserabile terra. Invece d’infiammarsi di un amore ardente Verso il Divino Infante, il Bambino Gesù, a malapena debolmente si intiepidisce.
Ti prego, Signore, che il mio animo abbia a prepararsi, spianando i monti della superbia e riempiendo le valli delle troppe colpevoli manchevolezze. Concedimi fecondi propositi di bene, per meritare quella sola pace che gl’Angeli promisero dall’alto della capanna ai pastori semplici dal cuore umile e puro, ai Santi Magi desiderosi di verità ed assetati della scienza che conduce a Dio, a tutti gli uomini di buona volontà.
Dalla Lettera n. 24 (26 Gennaio 1923)
Signore, non sarà mai sufficiente la mia riconoscenza verso di Te per le persone amiche e buone che , a conforto ed aiuto , mi hai fatto incontrare lungo il cammino di una vita tanto insidiata dai continui pericoli!
Sto pensando alle signorine sorelle Moro. Rammento sovente le numerose discussioni, ove loro sapevano benevolmente indulgere alla buona intenzione, la mia poca discrezione.
Fra le tante, di alcune però non ho mai avuto da rammaricarmi per la mia ostinata intransigenza, e sono quelle in cui con affetto incondizionato, cercavo di difendere il nostro dolce Cristo in terra, il Sommo Pontefice, dalle farisaiche insinuazioni della stampa liberale.
Infatuata dalle false massime del mondo, troppo urtava la bianca figura del padre che dalla Roma dei martiri di Cristo, chiamava con voce accorata i figli, immersi in sanguinosa lotta fratricida, al bene rifiutato della pace. Signore, ormai quelle nebbie irose si sono disperse, ed il Papa brilla più che mai di insperato splendore.
Anche in questo breve corso di tempo, ho potuto sperimentare di quanto aiuto sia una stampa francamente cattolica, capace di indicare, fra la vertiginosa successione delle umane vicende , la via sicura, al lume della fede e della Parola di Gesù che non potrà mai fallire.
Fra tanto rimescolio di passioni politiche e di quotidiane preoccupazioni, fa che non perdiamo mai di vista il vero grande scopo della nostra vita.
Dalla Lettera N. 26 ( 28 Aprile 1923)
Signore, ho ricevuto per Pasqua la carissima lettera di mia sorella Suor Longina. Lei manifesta molta fiducia nell’opera mia di propaganda religiosa presso i miei ammalati, ma purtroppo la fiamma della mia carità è sempre troppo languida per poter comunicare agli altri il proprio calore.
Io mi sento sempre molto freddo e gravosamente attratto verso le preoccupazioni materiali delle quali pure comprendo la inutile vanità. Tu lo sai che solo con sforzo e con passo molto tardo mi volgo a quei sommi beni spirituali, ai quali, come ai soli necessari, dovrei attendere con invincibile ardore.
Gesù, com’è bello amarti ed amare il prossimo! E’ così grande la ricompensa, che anche quaggiù ne ricaviamo pace dell’anima e spirituali consolazioni! Ma la corrotta nostra natura che tanto mi si fa sentire e le continue opposizioni del demonio e del mondo, mi rendono troppo poco sensibile verso tesori così inestimabili, troppo poco attivo nel farne il doveroso e fortunato acquisto.
Concedimi la grazia Di sempre più avvicinarmi a Te, più chiaramente conoscerTi, più ardentemente amarTi, più fedelmente servirTi, e meritare così il premio promessoci di goderTi eternamente in Paradiso.
Dalla Lettera n. 27 (6 Luglio 1923)
Ti chiedo un grandissimo favore: mostrami, Signore, le tue vie! So che mi hai sempre amato tanto e le infinite grazie finora ricevute, ed alle quali purtroppo ho così poco corrisposto, sono dovute, almeno in parte, anche alle preghiere di mia sorella Mariuccia e di quanti mi vogliono bene.
Gesù, sei tu che ci hai detto: “Picchiate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà dato”. Sei Tu che hai provato tutta la verità di questa promessa versando per noi il Tuo sangue fino all’ultima goccia. Ma io mi sento troppo debole e troppo indegno di picchiare, di chiedere da solo al Tuo Cuore Sacratissimo.
Ebbene, Signore, sono qui a supplicarti ricorrendo al fraterno e caritatevole aiuto di con coloro che per me pregano perché io possa ben conoscere la Tua volontà a mio riguardo, e, conosciutala, possa seguirla prontamente, gettandomi fidente fra le Tue braccia misericordiose.
Ti ricordo i miei cari: Mariuccia, la carissima sorella Margherita. Soprattutto la zia Maria, tanto buona, affinché adattandosi cristianamente alla volontà della Divina Provvidenza, qualunque possa essere, comprenda che tende solo, oltre che alla Sua maggior gloria, al nostro miglior bene, per farci meritare le più abbondanti e preziose ricompense.
Dalla Lettera 28 ( 14 Agosto 1923)
Signore, grazie per la visita di suor Maria Vincenzina che ha passato tanti giorni in mezzo a noi e ci ha parlato tanto e tanto bene della nostra carissima Mariuccia. Ci sembrava quasi di vederla attendere con santo zelo alle sue quotidiane occupazioni.
Ho compreso al confronto quanto purtroppo sia grande la mia pigrizia, la mia freddezza. Spero con il tuo aiuto Che il suo esempio mi sia di sprone. Tu sai, e lo sa anche Mariuccia, come, nel cercare la via per la quale il Signore vuole che lo serva, non poche volte mi si è affacciata quella tanto gloriosa del Missionario. Ma troppo spesso mi appariva la pochezza fisica E più ancora morale a dissuadermene.
Eppure, quanto volentieri abbraccerei questo stato, se Tu, Divina Provvidenza, me lo indicassi come a me conveniente! Signore, fammi conoscere la Tua Volontà, perché non tenti di chiederTi ciò che a me non conviene, né diffidi dell’infinito Tuo misericordioso aiuto.
Ti prego concedermi di adempiere in modo completo e generoso ai doveri che m’incombono l’attuale mio stato, non trascurando le occasioni di bene che tanto sovente mi mandi, per meritare di conoscere sempre meglio la Tua Volontà a mio riguardo.
Fa che una Fede viva, ardente, una carità sempre più perfetta, abbia tutti a riunirci nel Tuo Amore, sola felicità e pace. Che Tu sia al di sopra di ogni umano interesse e di materiali preoccupazioni le quali altro non fanno che indurirci il cuore ed amareggiarci l’animo.
Come sarebbe bello, mio Dio, se noi tutti vivessimo sempre per Te, con Te, in Te; come unirci più strettamente fra di noi, di quello che potremo fare riunendoci in Te?
Non è Gesù che ti ha pregato, Divin Padre, “ut unum sint”, affinché abbiamo a formare una sola cosa, un’anima sola, come Lui forma una sola cosa con Te?
Come non amarci, infatti, quando amiamo Te, Signore?
E non siamo allora riuniti nel raggiungimento di uno stesso scopo: conoscerTi, amarTi e servirTi in questa vita. Per goderti eternamente nell’altra? Diretti alla stessa meta: il Cielo?
Armati degli stessi mezzi, quelli insegnatici da Gesù prima con l’esempio e poi con la parola?
Signore, ti prego con e per mia sorella Mariuccia: facci sempre più accendere del Tuo Divino amore e così verremo ad amarci sempre più e meglio fra di noi; attraici sempre più vicino a Te, ed in Te ci troveremo sempre più intimamente ed indissolubilmente uniti.
Dinnanzi a Te, mio Dio, che cosa è mai il tempo e lo spazio?
Se dunque siamo uniti in Te, che cosa ci separa se non un’ombra passeggera?
Dalla lettera n. 29 ( 5 Settembre 1923 – Dopo essere stato respinto dai Gesuiti)
Signore, ripeto anche a te ciò che ho scritto a mia sorella Mariuccia. Tu lo sai che ho ricevuto con la più viva gioia la sua lettera con la promessa di buone preghiere e consigli a mio conforto, per conoscere la via per la quale vuoi che io Ti abbia a servire.
Come vi sento palpitare il suo fraterno affetto, tanto ingrandito e santificato nell’amore Tuo! Serberò sempre riconoscenza a lei, come pure alla sua Madre Superiora e alle buone Consorelle che così vivamente e santamente si sono prese a cuore la mia causa.
Mio Dio, Tu sai bene che verso la fine dello scorso mese, dopo una settimana di Santi Esercizi, mi ero confermato nella decisione di entrare nell’Ordine dei Padri Gesuiti, quando il responso medico sfavorevole, come fortemente ne avevo prima dubitato, me ne precluse la via.
Anche con l’appoggio dei saggi consigli di Mariuccia, interpretando ora tale ostacolo, come una chiara manifestazione della Tua Volontà, e non desiderando di meglio che abbandonarmi sempre con fiducia alla Divina Volontà, penso che mi convenga ormai proseguire in pace sulla via già intrapresa.
Gesù, che io possa sempre meglio percorrerla con quel profondo e costante spirito di carità col quale solo potrò pervenire al certo conseguimento del mio ultimo fine.
Che la superbia, l’egoismo o qualsiasi altra mala passione Non abbiano ad impedirmi di vedere sempre Te nei miei ammalati, Te curare, Te confortare, Te sofferente per l’espiazione delle mie colpe, per il tuo amore infinito per me.
Con questo pensiero sempre vivo nella mente, quanto soave e quanto fecondo dovrebbe apparirmi l’esercizio della mia professione! Ma purtroppo la carne è debole, e non di rado anche lo spirito, ed invece di vigilare ed orare come Tu ci raccomandi, mi addormento spesso in un sonno profondo: per la fervida preghiera di Mariuccia, so che verrai a scuotermi, e come già Elia nel deserto, mi farai proseguire con Te per l’ardua via con rinnovato ardore.
Signore, fa’ che ricordandoci ed aiutandoci nella reciproca preghiera, incontrandosi i nostri sguardi, i nostri cuori nell’amore della Tua Eucaristia, uniti nell’unione più intima e santa, sotto la guida della buona e santa madre, e più ancora della Madre Celeste, potremo proseguire fidenti nella conoscenza, nell’amore, nella imitazione di Gesù, dolcissima speranza.
Dalla Lettera n. 30 ( 6 Ottobre 1923)
Signore, ho avuto la grazia inestimabile di partecipare alla chiusura del Congresso Eucaristico nazionale di Genova. Quali tesori, quali torrenti di grazie hai riversato Tu, Divina Eucaristia, durante quel tuo gloriosissimo trionfo!
Le nostre anime ne sono state ricolme, e solo la piccolezza del nostro povero cuore poteva mettere un limite alla Tua generosità infinita. Tu avresti voluto che noi avessimo infinitamente dilatato il nostro cuore Per poterlo infinitamente arricchire dei Tuoi doni .
Dal gaudio di questi felici momenti di amore eucaristico Ben si può comprendere, per quanto lo permetta la nostra mente limitata, qual gaudio infinito di perfetta felicità ci compenetrerà nella Tua beatifica visione diretta in Cielo.
Ma tu ben conosci la mia miseria, la mia debolezza ed incostanza, per cui solo nell’unione continua con Te, col Tuo Cuore Sacratissimo, fornace ardente di carità, abisso infinito do ogni virtù, posso trovare la grazia di corrisponderTi il meno indegnamente possibile a tanto Tuo amore.
Fa che io non abbia, con ulteriori ingratitudini, a volgere in ira terribile di giustizia la Tua misericordia ed il Tuo amore disprezzato, ma bensì, con una corrispondenza più pronta e generosa , con un abbandono sempre più completo, sempre più perfetto nel Tuo Cuore Sacratissimo – vita et ressurrectio nostra – abbia da crescerne il torrente di grazia, così che, vivendo sempre per in Te e per Te, nella mia comprensione, nel disprezzo del superbo mio nulla, nell’amore di Te che sei tutto, meriti di poterTi lodare e ringraziare per tutta l’eternità in compagnia della miriade di Angeli e di Santi , di tutti i miei cari e della mia sopra tutti carissima sorella.
“Mio Gesù, mi hai chiamato a Genova credente, fammi ritornare apostolo! Amarti e farti amare”. Non è vero che più deve amare, a cui più è stato perdonato? Che io non possa mai mettere limiti al Tuo amore, come Tu non ne hai messo alcuno nell’oblio delle mie iniquità.
Dalla Lettera n. 32 (9 Novembre 1923)
Bambino Gesù, con l’approssimarsi del santo Natale dovrei rivolgere ogni mio sforzo, preparare l’animo, il mio cuore affinché in essi Tu abbia a rinascere con una più abbondante copia delle tue grazie , con una più ardente carità verso Te e verso il prossimo.
Dovrei quindi, come predica San Giovani Battista, preparare le Tue vie riempiendo le valli dell’accidia, della tiepidezza, ed appianando i colli della vanità, della superbia, della ribellione, che tanto grave si manifesta anche con ogni peccato veniale. Per questa opera tanto necessaria chiedo il Tuo aiuto, Signore, e sono certo che non mi potrà mancare, anche per ottenere e far nascere in me quella buona volontà in premio alla quale gli Angeli hanno promesso la pace, quella sola e vera pace che è riposo dell’anima nostra in Te.
Infatti: il mio cuore è inquieto Finché non riposa in Te. Questo ti chiedo, mio Dio: “adveniat regnum tuum, fiat voluntas tua”.
Bambino Gesù, regna incontrastatto nel nostro animo, così che uniti in un solo desiderio, in una sola preghiera, io, i miei cari, tutti gli uomini della terra: Su noi regna, perciò deh c’infondi Quella fede che passa ogni velo, Quella speme che more nel cielo, Quell’amor che s’eterna con Te. (A.Manzoni)
Divino Infante, ti chiedo per i carissimi giovani del circolo giovanile della nostra parrocchia, che abbia a porre anche nei loro cuori il Tuo stabile regno che già con la Tua nascita ci mostri la tua predilezione per i poveri, per gli umili, per i diseredati della terra.
Tu che sei venuto per evangelizzare i poveri Ai quali in modo speciale hai promesso il Tuo regno celeste, non permettere che essi abbiano da ricadere sotto il pesante giogo del padre della menzogna, ma nelle fulgide verità della Fede possano conquistare per sempre la vera libertà.
Sei Tu infatti che hai detto: “Veritas liberavit vos”. Con una piena, incrollabile fiducia Nella infinita bontà e misericordiosa provvidenza Del Padre Celeste, possano sempre godere di quella pace Che gli Angeli annunziarono prima di tutto a i buoni, semplici ed umili pastori.
Dalla Lettera n. ( IN COSTRUZIONE …
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