FRA RAIMONDO FABELLO – Per la morte – Angelo Nocent

MONDO fratello mio carissimo,

non solo il tuo Ordine Religioso ma anche il Friuli  sente di aver perso un caro figlio. E perfino noi della COMPAGNIA…, pur così insignificanti, avvertiamo di non avere più in terra il riferimento di un caro fratello che ci ha compresi ed ha voluto condividere comuni ideali.

Un dolore così forte per la perdita di un amico non lo ricordavo. Lo è per tante ragioni ma mi limito a ricordarne due sole:

  • la prima è che la nostra fede affonda le sue radici, appartiene al ceppo del Patriarcato di Aquileia, la Chiesa dei Santi Martiri Ermacora, Fortunato, Crisogono, dei fratelli Canziani, del vescovo Cromazio…;
  • la seconda è che ho seguito con trepidazione la lunga preparazione al trapianto, la tua dieta ferrea, le lunghe pedalate sulla ciclette per perdere chili di troppo, l’ansiosa preoccupazione del quando e da chi, l’attesa di un donatore del tuo gruppo, non facile da reperire, il lavorio interiore della Grazia per sostenerti nell’ora della prova e conservarti la fede, quel mettere in conto che potrebbero anche essere gli ultimi giorni…

Dalle telefonate mi accorgevo che, mentre ti alleggerivi fisicamente, guadagnavi in spessore spirituale. Era nel tuo temperamento di frate “friulano” quel pudore dei sentimenti e quella riservatezza, coperti di una scorza di timidezza, capace di mettere in rispettosa ma involontaria soggezione, tipica dei nostri uomini tutti d’un pezzo. Epperò non mi impedivano di intravedere dagli spiragli della finestra dell’anima la fisionomia dell’atleta spirituale.

Permettimi di entrare in punta di piedi nel chiostro della tua esistenza e dei tuoi sentimenti, per ricordare…

Ricordo che fin da ragazzo eri intelligente, sapiente, buono, studioso, attento, riflessivo, severo con te stesso, cocciuto, rigoroso…(Povero il mio vocabolario traditore e presuntuoso che si permette di qualificarti!)

Amavi l’altare e Padre Tarcisio Morini ti aveva affidato l’incarico di “cerimoniere” nelle funzioni religiose del collegio. Spesso avevi tra le mani il testo delle “norme”, tantissime, che studiavi e facevi scrupolosamente osservare. Talvolta poteva sembrare che il rubricismo avesse il sopravvento sul senso della liturgia. Ma poi è arrivata  la “Sacrosantum Concilium” e la costituzione  sulla Sacra Liturgia ha cambiato la tua e la nostra mentalità.  Il “Culmen et fons” ha influito radicalmente sulla tua persona, costretta a fare i conti, nei ruoli di superiore, con una realtà non sempre ricettiva del fondamentale substrato teologico contenuto nel documento conciliare più lungamente dibattuto dai Padri.

Eri portato per le scelte audaci, non retoriche. Eri una presenza attiva ma senza rumore. Solo che le opzioni difficili corrono il rischio di essere maledettamente incomprese perché esigono fondamenta stabili e viaggiano sui tempi lunghi della gestazione: un paziente maturare insieme.

Come l’incontro con Don Giussani al quale ti sei rivolto nell’ora storica più propizia. Vi siete parlati, vi siete capiti, avete cominciato a collaborare in sintonia per introdurre in sanità laici preparati non solo professionalmente ma anche spiritualmente. Eri consapevole che il tutto e subito non paga ma presume la metànoia, il cambiamento di mentalità che non è mai facile per nessuno.

Quando ne abbiamo parlato, ho capito che sarebbe stato necessario sintonizzarsi sulla stessa frequenza, possedere un lessico comune, condividere un progetto obiettivo, frequentare la “scuola di comunità” seguire il “per-corso” che ha forgiato migliaia di giovani, attuare un mirabile scambio di doni e carismi per trasmettere e con-dividere il carisma dell’ospitalità, termine abusato e inflazionato che può risultare obsoleto, incomprensibile e frainteso se ci si ferma al significato più superficiale.

Hai tentato una cura di ringiovanimento al tuo Ordine. Gli ingredienti c’erano ma, per tante ragioni, la ciambella non è riiuscita col buco. Ho avuto l’impressione che ti siano arrivate più delusioni che consolazioni che  però hai saputo sopportare nell’ottica della fede evangelica:

  • Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto.
  • Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
  • Se uno mi vuol servire mi segua…” (Gv 12, 20-33)

T’ho perso di vista per almeno trent’anni per un salto nel buio. Sono proprio quelli che ti hanno visto in posti di responsabilità: priore, superiore provinciale, definitore generale, ecc. Nulla so di quegli anni né mi compete indagare. Altri sapranno dire più e meglio di me.

Poi t’ho ritrovato ed eri l’amico di sempre. E sei stato il primo discepolo di san Giovanni di Dio che ha compreso il senso un po’ colorito della COMPAGNIA DEI GLOBULI ROSSI ed hai voluto dare la tua adesione, arruolandoti in un progetto ideale che già vivevi e che  vorrebbe radicare e diffondere nella Chiesa locale, nella sanità pubblica,  il carisma dell’Hospitalitas, lo spiritum hospitalitatis,  in sintonia con il Magistero Pontificio e le Conferenze Episcopali.

Avevi fatto la tua iscrizione al sito il 1 Aprile 2006 perché condividevi l’idea di uno sforzo per aprire un varco, creare uno spazio, indicare un itinerario evangelico, nello spirito di una tradizione monastica, la tua, condivisibile anche dai laici, perché segno dei tempi.

Ricordo quel 1 Aprile.

Sembrava trattarsi di uno scherzo, di un vero “pesce d’Aprile” .

Ma in quell’ acrostico che ti avevo affibbiato nel darti il benvenuto, (un enorme pesce),

precisavo che nella rete non era finita una comune sardina ma un bel tonno.

L’immagine o il nome del pesce (ychthus) è sempre stato usato dai primi cristiani per identificarsi.

Perché in questa parola si trovano le iniziali di Yesus Christos Theou Uios Soter cioè Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore.

Tutto mi faceva pensare che dietro quella tua apertura espressa con la tua adesione, si celasse il Signore Gesù, in vesti dimesse, senza paroloni e senza frastuono. Speravo, ma non hai voluto metterti in mostra. Ma eri sempre in prima fila per non perdere nessuna battuta. C’eri ma più semplicemente più per condividere che per insegnare, come mi sarei aspettato. . .

Alle espressioni dei testi liturgici che ascolteremo all’Eucaristia esequiale di mercoledì 5 Settembre, ore 15.30 nel Duomo di Brescia, vorrei che risuonassero nei nostri cuori le parole rivolte da san Paolo al discepolo Timoteo, dopo aver combattuto la buona battaglia della fede.

Sei stato un uomo di Dio, impegnato a “conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento” e a diffondere la dottrina salvifica del Signore Gesù, in attesa della sua definitiva manifestazione. Hai vissuto anche un’esistenza operosa, che fu una continua ascensione alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza.

Negli anni giovanili abbiamo vissuto insieme, con grande trepidazione, il Concilio Vaticano II:

  • Cristo! Cristo nostro principio, Cristo nostra vita e nostra guida! Cristo nostra speranza e nostro termine!…
  • Nessun’altra luce sia librata su questa adunanza, che non sia Cristo, luce del mondo; . . .
  • Nessun’altra aspirazione ci guidi, che non sia il desiderio d’essere a Cristo assolutamente fedeli”. (Insegnamenti di Paolo VI, I [1963] 170)

È qui la radice degli atti e dei gesti di cui hai cercato di riempire le tue giornate di servizio alla Chiesa e al tuo Ordine. Da Cristo parte e a Cristo conduce quell’umanesimo plenario che  il nostro indimenticabile Pontefice ci ha iniettato nelle vene, lui che  fu intrepido assertore:

  • Se nel volto d’ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo . . .
  • e se nel volto di Cristo possiamo e dobbiamo ravvisare il volto del Padre celeste . . .
  • il nostro umanesimo si fa cristianesimo e il nostro cristianesimo si fa teocentrico, tanto che possiamo enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo” (Ivi, III [1965] 731).

In quegl’anni abbiamo respirato quest’aria e, nell’ampiezza di tale cornice, siamo stati segnati da un nuovo ordine sociale che il Papa andava delineando, generatore di quella pace fondata sulla giustizia, che gli uomini non possono dare: “La civiltà dell’amore prevarrà sull’affanno delle implacabili lotte sociali, e darà al mondo la sognata trasfigurazione dell’umanità finalmente cristiana” (Ivi, XIII [1975] 1568).

Oggi mi sento di poter attribuire anche a te, nel tuo piccolo, l’elogio alla tua fedeltà. Ai “Pilastroni”, in  quella Brescia che ti ha accolto dodicenne, sei stato coltivato come un pulcino, innaffiato come un tenero alberello, avviato incontro alla vita, per ritrovarti nuovamente, alla fine di molteplici incarichi, a chiudere i tuoi giorni tra i malati di alzahimer del prestigioso Istituto che hai diretto e portato a significativi primati di ricerca scientifica in tal campo.

Non credo tu abbia fatto testamento spirituale. Ne dubito. Proprio per quella tua ritrosia a metterti in mostra. In attesa di essere smentito, provo io a tessere l’elogio della tua fedeltà. Lo attingo dall’umiltà di Papa Montini. Infatti da una sua testimonianza sulla verità della fede ne è scaturita come una confessione testamentaria che che ritengo ti si addica benissimo, ora che stanno per spegnersi i riflettori della tua scena pubblica:

  • Ci sentiamo, a questa soglia estrema, confortati e sorretti dalla coscienza di aver instancabilmente ripetuto davanti alla Chiesa e al mondo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»;
  • Anche noi, come Paolo, sentiamo di poter dire: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede» . . . Ecco, fratelli e figli, l’intento instancabile, vigile, assillante che ci ha mossi in questi quindici anni di pontificato. «Fidem servavi» possiamo dire oggi, con la umile e ferma coscienza di non aver mai tradito il «santo vero» . . .
  • In questo impegno offerto e sofferto di magistero a servizio e a difesa della verità, noi consideriamo imprescindibile la difesa della vita umana
  • Abbiamo fatto programma del nostro pontificato la difesa della vita, in tutte le forme in cui essa può esser minacciata, turbata o addirittura soppressa” (Insegnamenti di Paolo VI, XVI [1978], 322-523).

Sai, mi sovvengono in questo momento anche le accalorate esortazioni al presbiterio romano di Giovanni Paolo I, il papa dei 33 giorni: “La grande disciplina esiste soltanto se l’osservanza esterna è frutto di convinzioni profonde e proiezione libera e gioiosa di una vita vissuta intimamente con Dio”.

Da questa finestra intravedo, come attraverso uno spiraglio, il fondamento e la ricchezza della tua vita interiore. La fase terrena del tuo viaggio si è conclusa rapidamente, contro le fervide speranze e gli unanimi auspici con i quali ti abbiamo accompagnato prima e dopo il trapianto del fegato .

In tanti abbiamo pregato per te in questi giorni. Chiedevamo poco, una cosa ovvia: un corpo ristabilito, una buona riparazione meccanica al fegato e che fosse rimandata la tua “partenza”.A conti fatti, quel “qualche anno in più” della nostra supplica, al buon Dio è parso inutile ed ha ritenuto di mutarlo subito in qualcosa di eterno: ”vita mutatur, non tollitur”. Così ti ha trasformato la vita che può agire ancor più e meglio per noi e con noi, povera Chiesa pellegrina sulla terra .

E ora, col capo chino dinanzi alla imperscrutabile volontà della Provvidenza, a nomi di tutti gli amici mi rivolgo a te per implorare che voglia intercedere presso Dio per ottenere alla Chiesa, al tuo Ordine, alla Compagnia…le grazie di cui ognuno ha bisogno nel difficile passaggio del momento presente.

Ma permetti al mio cuore di piangere l’amico e di guardare a Cristo che è risurrezione e vita.

Sono qui a parlare di te, uomo di Dio, solo ieri dal Signore Gesù chiamato a sé. Sono qui a parlare con te, alla vigilia della tua sepoltura.

Tu, Adolfo, sotto il nome di Fra Raimondo sei stato servo di Dio, consacrato per il ministero dell’hospitalitas nella Chiesa e nell’Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio; tu, secondo le parole dell’Apostolo, hai teso alla giustizia, alla pietà, alla carità, alla pazienza, alla mitezza (1 Tm 6, 11).

O amico di Dio! Davanti al tuo feretro, ringrazio Colui che si è degnato di chiamarti dopo averti permesso “di conservare senza macchia e irreprensibile il comandamento, fino alla manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo” (1 Tm 6, 14).

Quello del tuo ministero fu un tempo salutare, un tempo utile, complesso; non sempre sei riuscito a farti comprendere, ma hai lasciato tracce sulle quali sarà utile RI-FLETTERE. Non solo io, ma anche tanti altri non dimenticheremo, raccomandando all’eterno Padre il frutto della tua vita.

O uomo di Dio: a te, sotto il nome di frate Raimondo, è stato dato di combattere “la buona battaglia della fede”. Oggi diciamo: raggiungi “la vita eterna alla quale sei stato chiamato e per la quale hai fatto la tua bella professione di fede davanti a molti testimoni” (cf. 1 Tm 6, 11-12): la Chiesa e i tuoi Fratelli.

Oggi noi tutti, a diverso titolo, sentiamo il bisogno di chiedere

  • a Colui che è “il Re dei regnanti e Signore dei signori”,
  • a Colui che solo “possiede l’immortalità”,
  • a Colui che “abita una luce inaccessibile: che nessuno fra gli uomini ha mai visto né può vedere” (cf. 1 Tm 6, 15-16),
  • a Lui chiediamo di invitare te, servo fedele, all’eterna comunione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Beati . . . i morti che muoiono nel Signore” (Ap 14, 13). Beato te che ci hai lasciato, perché ci hai lasciato morendo nel Signore. “Sì, dice il Signore, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono” (Ap 14, 13). Amen!

E’ l’ora delle confidenze. Non osavi dirlo perché speravi nel miracolo di San Riccardo Pampuri e più ancora di Don Giussani,  ma tu, Fra Raimondo,  presagivi la fine. Mentre eri in lista d’attesa, alla mia richiesta di qualche tuo scritto da pubblicare, di qualche foto da mettere in circolazione su internet hai semplicemente risposto con un sorriso disincantato che stavi alleggerendo la tua cella, riducendo i bagagli all’essenziale. Così il 10 Giugno u.s. mi hai scritto:

Dal giorno 5 u.s. sono entrato il lista per il trapianto.
Aspettiamo che il nostro “Dottore”, [s.Riccardo Pampuri] anche con l’aiuto di qualche Altro, mi trovi un ricambio di buona qualità e quando sarà il momento dia una mano al chirurgo.

Il Signore ha dato ……………….”

Nel tuo riferimento a Giobbe è chiarissima la professione di fede nella adorabile Volontà di Dio:

  • Allora Giobbe si alzò, si stracciò il mantello, si rase il capo, si prostrò a terra e adorò dicendo: “Nudo sono uscito dal grembo di mia madre, e nudi tornerò in grembo alla terra;
  • il Signore ha dato, il Signore ha tolto; sia benedetto il nome del Signore’.
  • In tutto questo Giobbe non peccò e non attribuì a Dio nessuna colpa”, (Giobbe 1).

Se devo essere sincero, non mi sento di augurarti il “Requiescat in pace”, per il semplice motivo che non ti vedo chiamato a riposare in pace ma piuttosto ad essere attivo nella Pace di Dio. E se vorrai, stanne certo, non ti faremo mancare il lavoro.

In questa tragica circostanza del cuore agitato e della mente confusa, il nostro Santo Padre Agostino, Vescovo d’Ippona che  ci ha insegnato a volare alto, mi offre consolanti spunti di riflessione che vorrei mettere sulle tue labbra di uomo di fede perché le ripeta a ciascuno di noi ( e siamo tanti) come sgorgate dal tuo cuore:

Se mi ami non piangere!

Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo,
se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento
in questi orizzonti senza fine,
e in questa luce che tutto investe e penetra,
tu non piangeresti se mi ami.

Qui si è ormai assorbiti dall’incanto di Dio, dalle sue espressioni di infinità bontà e dai riflessi della sua sconfinata bellezza.
Le cose di un tempo sono così piccole e fuggevoli al confronto.

 

Mi è rimasto l’affetto per te:
una tenerezza che non ho mai conosciuto.
Sono felice di averti incontrato nel tempo,
anche se tutto era allora così fugace e limitato.

Ora l’amore che mi stringe profondamente a te,
è gioia pura e senza tramonto.
Mentre io vivo nella serena ed esaltante attesa del tuo arrivo tra noi,
tu pensami così!
Nelle tue battaglie,
nei tuoi momenti di sconforto e di solitudine,
pensa a questa meravigliosa casa,
dove non esiste la morte, dove ci disseteremo insieme,
nel trasporto più intenso alla fonte inesauribile dell’amore e della felicità.

Non piangere più, se veramente mi ami! “

 

Il Santo Vescovo ci aiuta anche a capire il senso di ciò che sta avvenendo, commentandoci il Vangelo di Giovanni:

Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me anche se è morto vivrà (Gv 1,25)

Chi crede in me anche se è morto vivrà, e chiunque vive e crede in me non morirà in eterno”. Che vuol dire questo?

Chi crede in me, anche se è morto come è morto Lazzaro,vivrà, perché egli non è Dio dei morti ma dei viventi. Cosí rispose ai Giudei, riferendosi ai patriarchi morti da tanto tempo, cioè ad Abramo, Isacco e Giacobbe: Io sono il Dio di Abramo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe, non sono Dio dei morti ma dei viventi: essi infatti sono tutti vivi.

  • Credi dunque, e anche se sei morto, vivrai; se non credi, sei morto anche se vivi. Proviamolo. Ad un tale che indugiava a seguirlo: Permettimi prima di andare a seppellire mio padre, il Signore rispose: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu vieni e seguimi. Vi era là un morto da seppellire, e vi erano dei morti intenti a seppellirlo: questi era morto nel corpo, quelli nell’anima.
  • Quando è che muore l’anima? Quando manca la fede.
  • Quando è che muore il corpo?
  • Quando viene a mancare l’anima. La fede è l’anima della tua anima. Chi crede in me – egli dice anche se è mortonel corpo, vivrà nell’anima, finché anche il corpo risorgerà per non più morire. Cioè: chi crede in me, anche se moriràvivrà. E chiunque vive nel corpo e crede in me, anche se temporaneamente muore per la morte del corpo, non morirà in eterno per la vita dello spirito e per l’immortalità della risurrezione.

Questo è il senso delle sue parole: E chiunque vive e crede in me non morirà in eterno. Lo credi tu? – domanda Gesù a Marta -; ed essa risponde:

  • Si, Signore, io ho creduto che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, che sei venuto in questo mondo. E credendo questo, ho con ciò creduto che tu sei la risurrezione, che tu sei la vita;
  • ho creduto che chi crede in te, anche se muore, vivrà, e che chi vive e crede in te, non morirà in eterno.

(S. Agostino, Comm. al Vangelo di Giovanni 49, 15)

R a y m u n d u m,

fratello ed amico carissimo

dal Cielo infinito di Dio,

ricordati anche di noi “globuli rossi”

e continua a far parte della Compagnia…

Mandi, frari. A riviodisi!

PER LA MORTE DELL’AMICO FRA RAIMONDO FABELLO – Angelo Nocent – SAN RICCARDO PAMPURI MEDICO INTERCESSORE – PRONTO SOCCORSO (laporta.altervista.org)

 

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