Testo Ufficiale approvato nel 1984
Capitolo primo
COSTITUZIONE FONDAMENTALE
Atto di fondazione
1. Noi Fatebenefratelli
rendiamo grazie al Signore
per il dono che ha fatto alla sua Chiesa
in San Giovanni di Dio.
Egli, sotto l’impulso dello Spirito Santo
e trasformato interiormente
dall’amore misericordioso del Padre,
visse in perfetta unità
l’amore a Dio e al prossimo.[1]
Si dedicò completamente
alla salvezza dei suoi fratelli
e imitò fedelmente il Salvatore
nei suoi atteggiamenti e gesti di misericordia.
Assillato da debiti,
preoccupazioni e sollecitudini,
confidò totalmente in Gesù Cristo
e si donò interamente
al servizio dei poveri e dei malati
nella città di Granada, in Spagna,
da dove ritornò al Padre nell’anno 1550.
Il nostro Ordine Ospedaliero
nasce perciò dal vangelo della misericordia,[2]
quale lo visse in pienezza San Giovanni di Dio,
che proprio per questa sua caratteristica
riteniamo giustamente come nostro Fondatore.
Egli effettivamente comprese
che il segno più evidente
del passaggio dalla morte alla vita
è l’amore ai fratelli
esercitato non solo a parole,
ma coi fatti e nella verità.[3]
La famiglia religiosa alla quale apparteniamo
fu approvata, su richiesta dei Confratelli,
dal Papa San Pio V il 1° gennaio 1572
ed è conosciuta nella Chiesa
con la denominazione di
ORDINE OSPEDALIERO
DI SAN GIOVANNI DI DIO.
Questa denominazione
esprime la nostra identità,
poiché il motivo della nostra esistenza nella Chiesa
è vivere e manifestare
il carisma dell’ospitalità
secondo lo stile di San Giovanni di Dio.
Consacrati al Padre dallo Spirito,
seguiamo più da vicino Cristo casto,
povero, obbediente e misericordioso.
In questo modo
cooperiamo alla edificazione della Chiesa,
servendo Dio nell’uomo sofferente.
Il nostro Ordine è un istituto laicale;
tuttavia, fin dalla sua approvazione,
fu concesso che alcuni Confratelli
potessero accedere al sacerdozio
per provvedere all’esercizio del sacro ministero tra gli ammalati
e nelle nostre comunità e opere ospedaliere.
Carisma del nostro Ordine
2. Il nostro carisma nella Chiesa
è un dono dello Spirito,
che porta a configurarci
con il Cristo compassionevole e misericordioso del Vangelo,
il quale passò per questo mondo
facendo il bene a tutti[4]
«e curando ogni sorta di malattie e di infermità».[5]
In virtù di questo dono,
siamo consacrati dall’azione dello Spirito Santo,[6]
che ci rende partecipi, in modo singolare,
dell’amore misericordioso del Padre.
Questa esperienza ci comunica
atteggiamenti di benevolenza e di donazione,
ci rende capaci di compiere la missione
di annunciare e di realizzare il Regno
tra i poveri e gli ammalati;[7]
essa trasforma la nostra esistenza
e fa sì che attraverso la nostra vita
si renda manifesto l’amore speciale del Padre
verso i più deboli,
che noi cerchiamo di salvare
secondo lo stile di Gesù.
Mediante questo carisma,
manteniamo viva nel tempo
la presenza misericordiosa di Gesù di Nazareth:
Egli, accettando la volontà del Padre,
con l’incarnazione si fa simile agli uomini, suoi fratelli;[8]
assume la condizione di servo;[9]
si identifica con i poveri,
gli ammalati e i bisognosi;[10]
si dedica al loro servizio
e dona la sua vita in riscatto per tutti.[11]
La nostra spiritualità peculiare
3. Come Fatebenefratelli,
aspiriamo a incarnare
con sempre maggiore profondità
i sentimenti di Cristo[12]
verso l’uomo ammalato e bisognoso
e a manifestarli con gesti di misericordia:
ci facciamo deboli con il debole[13]
e lo assistiamo come prediletto del Regno;
gli annunciamo l’amore del Padre
e il mistero della sua salvezza integrale;
difendiamo i suoi diritti
e offriamo la vita per lui.
Ci dedichiamo con gioia
all’assistenza di chi soffre,[14]
con gli atteggiamenti e i gesti
caratteristici del Fatebenefratello:
servizio umile, paziente e responsabile;
rispetto e fedeltà alla persona;
comprensione, benevolenza e abnegazione;
partecipazione alle sue angosce e alle sue speranze.
La nostra vita è per lui segno e annuncio
della venuta del regno di Dio.[15]
4. Rinnoviamo la coscienza della nostra vocazione
nella celebrazione e nella contemplazione
del mistero di Cristo.
La Parola di Dio e l’Eucaristia
occupano un posto centrale nella nostra vita;
contempliamo Gesù
nel suo modo di trattare con gli ammalati
e principalmente nella sua passione e morte,
suprema manifestazione del suo amore all’uomo.
Questo ci rinvigorisce nella carità
e ci stimola a realizzare la nostra missione
imitando la vita del nostro Salvatore.[16]
Seguire e servire nostro Signore Gesù Cristo
è la maggiore preoccupazione della nostra vita;
desideriamo amarlo
al di sopra di tutte le cose del mondo
e per amore suo e bontà
vogliamo fare il bene e la carità
ai poveri e ai bisognosi.
Accogliamo e compiamo la volontà di Dio
imitando semplicità, disponibilità,
dedizione e fedeltà di nostra Signora
la Vergine Maria, [17] “sempre intatta”;
cerchiamo di riflettere il suo amore materno[18]
nel nostro apostolato verso i sofferenti.
La ringraziamo
per il suo speciale patrocinio su di noi
e sulle persone che assistiamo;
ci rallegriamo del posto che occupa nella Chiesa
e la veneriamo con affetto di pietà filiale.
La nostra missione nella Chiesa
5. Incoraggiati dal dono ricevuto,
ci consacriamo a Dio
e ci dedichiamo al servizio della Chiesa
nell’assistenza agli ammalati e ai bisognosi,
con preferenza per i più poveri.
In questo modo manifestiamo
che il Cristo compassionevole
e misericordioso del Vangelo
rimane vivo tra gli uomini
e collaboriamo con Lui alla loro salvezza.
Chiamandoci ad essere Fatebenefratelli,
Dio ci ha eletti
per formare una comunità di vita apostolica:[19]
vogliamo vivere in comunione
l’amore a Dio e al prossimo.
Ci sentiamo fratelli di tutti gli uomini
e ci dedichiamo al servizio principalmente
dei deboli e degli ammalati:
le loro necessità e le loro sofferenze
commuovono il nostro cuore,[20]
ci spingono a offrire loro rimedio
e ci stimolano a favorirne la promozione personale.
Come membra viventi della Chiesa,
aspiriamo a manifestare
la supremazia dell’amore di Dio
e desideriamo raggiungere
la perfezione della carità
verso Dio e verso il prossimo,
mediante l’esercizio costante di tutte le virtù,
la professione pubblica dei voti
di castità, povertà, obbedienza e ospitalità,
l’adesione allo spirito
della Regola di Sant’Agostino
e l’osservanza delle Costituzioni dell’Ordine.
Attuazione del nostro carisma
6. Ci sentiamo depositari e responsabili
del dono dell’ospitalità,
che definisce l’identità del nostro Ordine.
Questo ci impegna a vivere in fedeltà
il nostro carisma,
a custodirlo, ad approfondirlo
e a svilupparlo costantemente nella Chiesa.
La nostra apertura allo Spirito,
ai segni dei tempi e alle necessità degli uomini,
ci indicherà
come dobbiamo incarnarlo creativamente
in ogni momento e situazione.
La ricchezza stessa del carisma ricevuto
suppone la possibilità
di esprimerlo in forme diverse,
in armonia con le circostanze di tempo e di luogo.
Appunto per questo viviamo
in atteggiamento
di discernimento e di conversione,
affinché la nostra missione nella Chiesa
risponda sempre alla volontà di Dio su di noi
ed esprima il nostro senso di unità.
I Confratelli che esercitano
il servizio di governo
hanno una speciale responsabilità
nella custodia e nello sviluppo del carisma:
spetta a loro,
in comunione con gli altri Confratelli,
determinare le opere
che rientrano realmente nella missione dell’Ordine
e decidere quali siano le attività caritatevoli
più urgenti o più convenienti
nelle quali potremo o dovremo esprimere
il dono dell’ospitalità.
Nell’attuazione del nostro carisma
ci sentiamo particolarmente uniti
agli istituti, alle associazioni e ai movimenti
che hanno una missione simile alla nostra.
Una speciale comunione spirituale
ci unisce a quelli che,
avendo avuto origine in qualche modo
dal nostro Ordine,
sono manifestazione della vitalità
del nostro carisma ospedaliero.
Capitolo secondo
LA NOSTRA CONSACRAZIONE NELL’ORDINE
Donazione totale a dio
7. Il Padre ci ha amati ed eletti
«prima della creazione del mondo»,[21]
destinandoci a riprodurre
«l’immagine del Figlio suo».[22]
Nel battesimo,
Cristo ci ha associati
alla sua morte e alla sua risurrezione[23]
e ci ha segnati con lo Spirito Santo
per essere un inno alla sua gloria[24]
e fecondi per Dio[25]
nel servire ed edificare
il Corpo di Cristo.[26]
Lo Spirito che abbiamo ricevuto nel battesimo
e nel quale siamo stati confermati nella cresima,
ci invita a vivere in comunità
la nostra filiazione divina.
Per questo siamo stati nuovamente consacrati,
con un dono speciale,
per vivere nella castità, povertà,
obbedienza e ospitalità,
allo scopo di rappresentare nella Chiesa
il genere di vita che Cristo scelse per sé
durante la sua vita terrena.
E così, offrendo la nostra esistenza
come Sacrificio vivo e consacrato,[27]
ci uniamo al culto autentico
offerto da Cristo nella Chiesa
e partecipiamo al suo ufficio sacerdotale[28]
nel disimpegno della nostra missione ospedaliera.
8. Con la nostra donazione
libera e totale a Dio,
accettiamo di essere inviati al mondo
come segni del suo amore Misericordioso.
La semplicità della nostra vita annuncia
che la trasformazione delle realtà umane
è possibile solo
con lo spirito delle beatitudini.
Siamo testimoni che Cristo
è il signore della storia;[29]
proclamiamo la grandezza dell’amore di Dio
e mostriamo agli uomini
che Lui continua a interessarsi
della loro vita e delle loro necessità.
9. Mediante i voti di castità,
povertà, obbedienza e ospitalità,
manifestiamo pubblicamente
la nostra donazione totale a Dio.
La Chiesa riceve la nostra oblazione
e l’associa al mistero pasquale di Cristo;
l’Ordine ci lega a sé
e ci procura i mezzi
per vivere la nostra vocazione;
noi ci impegniamo
a rispondere fedelmente alla chiamata di Dio,
sforzandoci sempre
di essere membra vive e creative
della Chiesa e dell’Ordine.
La professione solenne,
con la quale ci consacriamo definitivamente
a Dio, alla Chiesa e all’Ordine,
nel servizio degli ammalati e dei bisognosi,
dev’essere preceduta
dalla professione temporanea,
emessa per il periodo di un anno
e rinnovata di anno in anno
fino a un minimo di cinque anni
e a un massimo di sei anni continui.
A richiesta del Provinciale
col consenso del suo Consiglio,
il Generale può dispensare,
in casi speciali,
dal tempo minimo dei voti temporanei,
purché durino almeno tre anni continui.
In casi particolari,
il Generale può permettere
la rinnovazione dei voti temporanei
fino a un massimo di nove anni continui.
L’ammissione alla prima professione
e alla professione solenne
viene fatta dal Provinciale
con il consenso del suo Consiglio
e il permesso del Generale.
È competenza del Provinciale,
con il consenso del suo Consiglio,
l’ammissione alla rinnovazione
della professione temporanea.
Sia la professione solenne
che quella temporanea
si fanno a norma del diritto universale
e del nostro diritto proprio,
secondo la formula seguente:
Nel nome di nostro Signore
Gesù Cristo benedetto. Amen.
Io,…, nato il…, a…,
parrocchia di…, diocesi di….,
a maggior gloria di Dio,
mosso da ferma volontà
di consacrarmi più intimamente a Lui
e seguire Cristo più da vicino,
oggi…, a…,
dinanzi ai Confratelli qui Presenti,
nelle tue mani, …,
faccio i voti (semplici) solenni
di castità, povertà, obbedienza e ospitalità,
nel servizio dei poveri e degli infermi,
(per un anno) per tutta la vita,
secondo la Regola di Sant’Agostino
e le Costituzioni del nostro Ordine,
donandomi con tutto il cuore
a questa famiglia religiosa,
perché, con la grazia dello Spirito Santo,
l’aiuto della beata Vergine Maria
e l’intercessione dei Padri nostri
santi Agostino e Giovanni di Dio,
possa conseguire la carità perfetta
nel servizio di Dio e della Chiesa.
Ed in fede di quanto sopra,
mi sottoscrivo di propria mano…
Castità per il regno dei cieli
10. La castità consacrata
è un dono insigne della grazia.
L’amore di Dio, «diffuso nei nostri cuori
dallo Spirito Santo che ci è stato dato»,[30]
ci spinge a consacrare al Padre,
sull’esempio e sulla parola di Gesù,[31]
tutta la nostra persona
e la nostra capacità di amare.
Con il voto di castità
ci impegniamo a vivere
la continenza perfetta
nel celibato;
in questo modo richiamiamo immediatamente
l’unione di amore tra Cristo e la Chiesa
e ci sentiamo più liberi e capaci
di amare tutti gli uomini.[32]
La sequela di Cristo vergine,
nella sua totale donazione di amore
al Padre e ai fratelli,
è sorgente e alimento della nostra comunità,
che ha origine,
non da sangue né da volere di carne,
ma dall’amore di Dio.[33]
Per mezzo della castità,
vissuta come Fatebenefratelli,
sperimentiamo e manifestiamo
la fecondità della nostra vita
nell’apostolato di carità,
poiché con esso adempiamo la missione
di servire e promuovere la vita[34]
e affermiamo la dignità e il valore del corpo.[35]
11. La castità per il regno dei cieli,
oltre che chiamata e dono di Dio,
è anche risposta libera
che possiamo dare e mantenere
solamente con la forza dello Spirito.
Questo ci invita a coltivare il dono ricevuto,
mediante il nostro rapporto di intimità con Cristo
nella preghiera
e nella celebrazione dei sacramenti;
e ci invita a vivere la nostra fraternità,
con semplicità e gioia,
dando importanza alle relazioni di amicizia
che il Signore ha stabilito tra di noi.[36]
Inoltre consideriamo importante
l’uso dei mezzi naturali e ascetici
comprovati dall’esperienza
e la conoscenza delle realtà umane
per camminare sempre
verso l’equilibrio e la maturità
che sorreggono la fedeltà a questo voto.
Povertà evangelica
12. Pienamente fiduciosi in Gesù Cristo,
ci impegniamo a seguirlo e a imitarlo
nella povertà evangelica.
Rendiamo visibile nella Chiesa
il suo annientamento salvatore;[37]
confessiamo con lui
la nostra piena fiducia nel Padre;
proclamiamo la precarietà dei beni
di questo mondo
e annunciamo quelli definitivi.
Con la professione della povertà,
ci distacchiamo dai beni terreni
per essere più disponibili nel seguire Gesù
che, essendo ricco,
si fece povero per noi.[38]
Egli, mediante la sua incarnazione,
è divenuto solidale con noi uomini,
sperimentando la nostra debolezza[39]
e le nostre privazioni.[40]
Ci insegnò così
il cammino dell’autentica libertà.
Come Gesù, ci dedichiamo
ad annunciare il Regno ai poveri;[41]
sorretti dalla nostra povertà,
possiamo entrare in comunione con i deboli
e comprendere esistenzialmente
la loro situazione;
lavoriamo per la loro promozione,
impegnandoci evangelicamente
contro ogni forma di ingiustizia
e manipolazione umana;
collaboriamo al dovere di risvegliare le coscienze
di fronte al dramma della miseria.
13. Chiamati per vocazione speciale
a realizzare la nostra missione
in ambienti nei quali l’uomo soffre
per malattia o per altre forme di emarginazione,
ci sentiamo stimolati a vivere
e a manifestare con chiarezza
la povertà che abbiamo professato.
Questo comporta:
– evitare che nelle nostre opere
esista la ricerca di lucro;
– adempiere scrupolosamente
i principi della giustizia sociale
che derivano dal Vangelo,
dalla dottrina della Chiesa
e dalle leggi giuste di ogni paese;
– organizzare le strutture
in funzione della nostra missione,
utilizzando i beni,
non come strumento di potere,
ma di servizio;
– vivere la nostra condizione di poveri,
accettando in libertà di spirito
l’obbligo comune del lavoro,
come mezzo di sostentamento
e di apostolato.[42]
14. Come nella primitiva comunità cristiana,
mettiamo in comune i beni personali;[43]
rendiamo partecipi i Confratelli della comunità
di ciò che siamo e abbiamo:
il frutto del nostro lavoro
contribuisce ad alleviare le necessità comuni;
viviamo in disponibilità,
apertura e servizio,
come testimonianza
della comunione spirituale che ci unisce
e del carattere di dipendenza
inerente alla povertà;
tutto ciò permette di accettare
con semplicità e gratitudine
quanto riceviamo dagli altri.
Manifestiamo la povertà
superando la mentalità del consumismo
nella vita personale e comunitaria,[44]
con uno stile di vita semplice
e avendo cura dei beni della comunità.
In solidarietà con i Confratelli,
superiamo l’affanno di accumulare
e pratichiamo la comunicazione dei beni
tra le comunità e le province dell’Ordine.
Parimenti, per non cadere nel pericolo
di rinchiuderci nelle nostre opere
e nelle nostre strutture,
ci manteniamo sensibili alle necessità
di chi vive accanto a noi
e collaboriamo a risolverle.
15. In tal modo ricordiamo agli uomini
la vera finalità dei beni temporali
e diamo senso al nostro voto di povertà,
in virtù del quale ci obblighiamo
a usarli e disporne
in dipendenza dai superiori legittimi,
a norma del diritto universale
e del nostro diritto proprio.
I professi di voti temporanei,
benché conservino la proprietà dei loro beni
e la capacità di acquistarne altri,
prima della professione
devono cedere la loro amministrazione
a chi preferiscono
e disporre liberamente
del loro uso e usufrutto.
I professi di voti solenni
rinunciano al diritto di proprietà
e non possono perciò
acquistare né possedere
cosa alcuna come propria.
Tutto ciò che i Confratelli acquistano
con la propria industria
o a motivo dell’Istituto
e quanto può loro pervenire
a titolo di pensione, sussidio o assicurazione,
rimane acquisito dall’Ordine,
a norma del nostro diritto.
Nella pratica della povertà
non ci accontentiamo
di essere soggetti ai superiori
nell’uso e disposizione dei beni,
ma ci sforziamo anche di viverla
realmente e interiormente
con l’impegno personale e comunitario.
Obbedienza nella libertà dei figli di Dio
16. La nostra obbedienza si fonda
sull’aspirazione di identificarci a Cristo,
che con la sua obbedienza compì la redenzione:
venne nel mondo
per fare la volontà del Padre
e la adempì a servizio degli uomini;[45]
si offrì senza riserve
ai disegni divini[46]
e, «pur essendo Figlio,
mediante la sofferenza imparò a obbedire»[47]
fino alla morte.[48]
Mediante l’obbedienza
offriamo a Dio tutta la nostra volontà,
come sacrificio di noi stessi.
In questo modo ci uniamo più intimamente
alla volontà salvifica di Dio,
che si manifesta a noi
attraverso la sua Parola,
il Magistero della Chiesa,
la Regola, le Costituzioni,
il diritto particolare dell’Ordine,
le disposizioni dei superiori,
il dialogo con i nostri Confratelli
la lettura dei segni dei tempi.
Così annunciamo
che la libertà che ci ha conquistato Cristo
e alla quale ci sentiamo chiamati,
ci permette di vivere al servizio degli altri,
superando il servilismo[49]
l’autoritarismo,[50] l’egoismo,
la mancanza di solidarietà con la comunità
e tutte quelle situazioni
in cui sia compromessa la dignità dell’uomo.
17. La nostra obbedienza è un atto personale,
radicato nella fede e nell’amore,
che ci aiuta a conseguire
la libertà dei figli di Dio[51]
e che favorisce la nostra maturità integrale,
poiché sia l’autorità come l’obbedienza
sono al servizio della persona,
della comunità e della missione.
Esercitiamo la nostra obbedienza,
anzitutto con la fedeltà al nostro carisma
e con la sincera ricerca in comune
della volontà di Dio sull’Ordine,
sulle nostre comunità e su ognuno dei Confratelli.
Dalla nostra disponibilità nasce lo spirito
che ci mantiene liberi
di rispondere con prontezza
alle necessità dell’uomo sofferente,
al cui servizio consacriamo la nostra vita,
accettando di essere inviati ovunque
e di compiere la missione che l’Ordine ci affida.
18. Con il voto di obbedienza
accettiamo liberamente e incondizionatamente
la volontà di Dio su di noi,
impegnandoci a compiere
ciò che i nostri legittimi superiori dispongono
in conformità con le Costituzioni dell’Ordine.
Poiché con il nostro carisma
e con il nostro apostolato
partecipiamo in modo speciale
alla vita e alla missione della Chiesa,
obbediamo al Papa,
anche in virtù del voto,
come al nostro superiore supremo.
Egli è colui che presiede
la comunità universale della carità,
perciò l’amore e l’obbedienza che a lui prestiamo,
ci uniscono in modo speciale
al mistero della Chiesa.
La nostra presenza nella chiesa locale
ci porta anche a seguire con fedeltà
gli orientamenti e le disposizioni
dei suoi Pastori.
A imitazione di Gesù,[52]
i Confratelli esercitano il servizio di governo
con lo stimolare
la nostra crescita personale e comunitaria,
aiutando a discernere la volontà del Signore;
col garantire, mediante la fedeltà al carisma,
l’unità nel pluralismo;
col promuovere
l’obbedienza attiva e responsabile;
col prendere, all’occorrenza,
le necessarie decisioni.
19. Illuminati e fortificati dalla fede,
l’obbedienza ci conduce,
mediante un aperto e fraterno dialogo,
a scoprire i carismi apostolici
della comunità e dei suoi membri,
con i quali lo Spirito Santo
aiuta l’Ordine a realizzare la sua missione.
Lo stesso clima di dialogo e comprensione,
ci consente di sviluppare in comunità
il senso della corresponsabilità,
che favorisce la mutua unione nel servizio a Dio
e ai nostri fratelli poveri e ammalati.
Ospitalità secondo lo stile
del nostro Fondatore
20. La nostra ospitalità ha la sua origine
nella vita di Gesù di Nazareth:
unto e inviato dallo Spirito
a recare la Buona Novella ai poveri
e a curare gli ammalati,[53]
Egli opera e presenta le sue guarigioni
come segno messianico
della venuta del Regno di Dio.[54]
Nel suo messaggio ci rivela
l’amore misericordioso, la fedeltà,
la fiducia e la benevolenza
di Dio Padre per l’uomo;[55]
proclama che è stato inviato da Lui
per comunicare la vita;[56]
consapevole della sua missione,[57]
si dedica con predilezione ai deboli,
agli ammalati e ai peccatori,[58]
che riceve e accoglie con parole e gesti
di profonda comprensione e umanità;[59]
soffre con chi soffre;[60]
si identifica con il povero,
l’ammalato e il bisognoso,
elevandoli alla categoria
di segni viventi della sua presenza,
per cui, quanto noi facciamo ad uno di essi,
Egli lo accoglie come fatto a se stesso.[61]
21. Attratti dalla sua persona
e soprattutto dagli atteggiamenti
che Gesù aveva con i più deboli,
noi, unti con lo stesso Spirito,
ci consacriamo nell’Ospitalità
per compiere il mandato di Cristo
di curare gli infermi.[62]
Con la nostra vita, donata all’amore di Dio
nel servizio dei poveri e dei bisognosi,
annunciamo il Regno secondo lo stile di Gesù.
Egli non ha soppresso la sofferenza,
né ha voluto svelarne completamente il mistero;
però l’uomo che soffre,
illuminato dalla fede
e unito a Cristo sofferente,
sa che può contribuire con il suo dolore
alla salvezza del mondo.
Perciò viviamo la nostra assistenza agli ammalati
e il nostro servizio in favore dei bisognosi,
come annuncio e segno
della vita nuova ed eterna
conquistata dalla redenzione di Cristo.
22. Con il voto di ospitalità ci dedichiamo,
sotto l’obbedienza dei superiori,
all’assistenza degli ammalati e dei bisognosi,
impegnandoci a prestare loro
tutti i servizi necessari,
anche i più umili e con pericolo della propria vita,
a imitazione di Cristo,
che ci amò fino a morire per la nostra salvezza.[63]
La maggiore nostra felicità
consiste nel vivere a contatto con i destinatari
della nostra missione:
li accogliamo e li serviamo
con l’amabilità, la comprensione
e lo spirito di fede,
che essi meritano
come persone e come figli di Dio;
e mettiamo a loro disposizione
tutte le nostre energie
e tutte le nostre capacità,
nei vari uffici che ci vengono affidati.
23. L’ospitalità che abbiamo professato
ci impegna a difendere e vegliare
sui diritti della persona a nascere,
a vivere decorosamente,
a essere assistita nelle infermità
e a morire con dignità.
Ci sforziamo affinché,
nel nostro apostolato ospedaliero,
appaia con chiarezza in ogni momento
che il centro di interesse
è la persona bisognosa o ammalata
e viviamo così compenetrati con la nostra missione
che i nostri collaboratori
si sentono spinti ad agire nello stesso modo.
Il nostro spirito ospedaliero
non lo manifestiamo solo nelle istituzioni dove operiamo,
ma lo estendiamo anche
a tutti coloro che mancano di cibo e di bevanda,
di vestiti, di casa, di medicine,
o si trovano afflitti da tribolazioni
o da malferma salute.
Il nostro cuore soffre
di non poterli assistere e accogliere tutti;
essi perciò hanno un posto privilegiato
nella nostra preghiera
e ci sentiamo uniti a tutti coloro che operano
per realizzare un mondo più umano e più cristiano.
24. La nostra consacrazione a Dio
nel servizio ai bisognosi
è il frutto più prezioso
della nostra sequela del Signore
nella via dei consigli evangelici,
poiché la castità, la povertà e l’obbedienza
rafforzano la nostra capacità di amare
e ci rendono più disponibili
per servire gli ammalati e i poveri
nell’apostolato ospedaliero.
La Vergine Maria modello
della nostra consacrazione
25. La Vergine Maria è per noi
modello singolare di consacrazione.
Ella, infatti, accettando la Parola divina,
si consacrò totalmente alla persona e all’opera di Gesù.
È parimenti la Vergine «sempre intatta»[64]
e l’umile e povera[65] ancella del Signore[66]
che ci stimola col suo esempio
alla fedeltà ai disegni dello Spirito Santo.
È inoltre la «Madre di misericordia»
e la salute degli infermi»,
che ci insegna a compatire il dolore umano
e ad alleviare
i patimenti e le tribolazioni dei sofferenti.[67]
Capitolo terzo
LA NOSTRA COMUNITÀ OSPEDALIERA
26. La nostra comunità ospedaliera
nasce e cresce dall’amore
che lo Spirito Santo
diffonde nei nostri cuori;[68]
il suo centro è il Signore risorto,
nel cui nome ci riuniamo
per camminare insieme incontro al Padre
e per comunicare agli uomini
la buona novella della salvezza.
Seguendo l’esempio della Chiesa primitiva,
nella quale «la moltitudine dei credenti
aveva un cuore solo e un’anima sola»[69]
e metteva in comune tutto ciò che possedeva,[70]
la nostra vita dimostra al mondo
la possibilità della convivenza umana
e della realizzazione in comune
dei valori del Regno;
è segno della presenza del Signore
e invita gli uomini ad avere fede in Cristo.[71]
La partecipazione allo stesso carisma
ci costituisce in una famiglia
nella quale celebriamo la fede,
ci sentiamo e viviamo come fratelli
e compiamo la comune missione
di servire gli ammalati e i bisognosi.
I. Comunità di fede e di preghiera
27. Come famiglia riunita
nel nome del Signore,[72]
la nostra comunità, per sua natura,
è il luogo privilegiato dove l’esperienza di Dio
deve potersi raggiungere nella sua pienezza
ed essere comunicata agli altri.
In essa viviamo la nostra fede
come risposta personale di amore a Dio,
che ci ha amato per primo,[73]
e la esprimiamo accettando con semplicità
la sua salvezza,
che trasforma gradualmente la nostra vita
ed esige che la manifestiamo
nel nostro modo di agire.
La nostra vita di credenti,
aperta alla rivelazione del Padre
e alla comunione con Lui,
mediante Cristo, nello Spirito Santo,[74]
ci permette di partecipare al mistero trinitario[75]
nella fede, nella speranza e nell’amore.
Questa partecipazione è la sorgente
dell’atteggiamento contemplativo della nostra vita.
28. La fonte prima
della nostra missione caritativa
è l’amore misericordioso del Padre.[76]
Questo esige che noi favoriamo,
personalmente e comunitariamente,
nel dialogo della preghiera,
l’integrazione tra la vita interiore
e l’attività apostolica,
per renderci capaci di vivere l’amore a Dio
in sintonia col servizio ai fratelli.[77]
Ogni giorno perciò dedichiamo almeno un’ora
all’adorazione mentale e alla lettura spirituale.
L’orientamento fondamentale
della nostra comunità verso Dio
si esprime nella lettura e nella meditazione
della Sacra Scrittura;
nella partecipazione alla vita divina
che ci viene trasmessa dai sacramenti;
nella preghiera comunitaria e personale;
nel desiderio e nella ricerca costante di Dio,
la cui presenza riconosciamo
e umilmente adoriamo nel prossimo,
in modo particolare nei nostri Confratelli
e negli ammalati.
29. La Parola di Dio,
che è per noi l’incontro quotidiano
con la «conoscenza sublime di Cristo Gesù»,[78]
illumina la nostra vita:
è fonte di ispirazione per la nostra preghiera;
orienta il nostro rinnovamento
personale e comunitario
e guida la nostra riflessione
sul mistero di Dio e della Chiesa
e sulle realtà dell’uomo e della società.
30. La nostra comunità ospedaliera
riceve la sua vita dall’Eucaristia;
pertanto:
– la celebriamo e vi partecipiamo attivamente
tutti i giorni.
Essendo fonte e apice di tutta la vita cristiana,
forma il centro insostituibile e animatore
della dimensione contemplativa della nostra vita.
In essa esercitiamo, in modo speciale,
il nostro sacerdozio ospedaliero:
rinnoviamo l’offerta del nostro essere al Padre
e, con noi, presentiamo
il dolore e la speranza degli uomini che serviamo
e ai quali dedichiamo la nostra esistenza.
La partecipazione comune
alla mensa della Parola
e del Corpo e del Sangue del Signore,
ravviva la nostra comunione con Cristo
e l’unione con i Confratelli;
l’esempio del nostro Salvatore
che si immola per darei la vita,
rinnova il nostro spirito ospedaliero
e ci aiuta a fare come Lui
nel servizio agli ammalati e ai bisognosi.
– viviamo visibilmente intorno ad un oratorio,
nel quale la presenza reale di Gesù nell’Eucaristia
esprime e realizza la nostra missione
come famiglia ospedaliera;
contempliamo, adoriamo
e benediciamo il Signore
per il suo amore verso di noi;
la sua permanente disponibilità
ad essere fortezza, consolazione
e viatico degli ammalati,
ci stimola a perseverare
accanto all’uomo che soffre,
accompagnandolo nel suo dolore
e nella sua solitudine.
31. Siamo consapevoli di essere peccatori[79]
e che il nostro orientamento verso Dio
e la vera fraternità
non possono mantenersi
senza un atteggiamento costante,
personale e comunitario, di conversione.
Perciò esaminiamo ogni giorno la coscienza
e ci accostiamo frequentemente
al sacramento della penitenza.
In tal modo ravviviamo
in noi la grazia del battesimo,
ci riconciliamo con i nostri Confratelli
e celebriamo la gioia della salvezza nel perdono.
32. Celebriamo quotidianamente in comune
la liturgia delle Lodi e dei Vespri,
nella quale prolunghiamo
il ringraziamento dell’Eucaristia
e santifichiamo il corso della giornata,
il lavoro e ogni nostro sforzo.
Ci uniamo così a Cristo e alla Chiesa
nel culto al Padre
rafforzando la comunione con i Confratelli
e con tutti gli uomini;
presentando al Signore con particolare interesse
le angosce e le speranze
di quanti vivono afflitti dalla malattia
o da qualsiasi necessità.
33. La nostra missione
ci mette costantemente in contatto
con la sofferenza degli uomini;
perciò la contemplazione della Passione di Cristo,
«Uomo dei dolori»,[80]
occupa un posto di rilievo
nella nostra spiritualità:
in essa, infatti, scopriamo
il senso salvifico del dolore;
da essa riceviamo forza e consolazione
nelle prove e nelle debolezze;
con essa, infine, impariamo il modo
di presentare il Signore ai sofferenti,
come segno di speranza e di vita.
34. Maria, la Donna fedele, la Vergine orante,
si offre a noi
come modello sovreminente della Chiesa
nell’ordine della fede, della carità
e della perfetta unione con Cristo.
Ella, in piedi, vicino alla croce del Signore,[81]
ci insegna ad associarci al sacrificio del suo Figlio
che si prolunga nel dolore dell’umanità.
Nostra Signora, come «Salute degli infermi»,
ha sempre avuto un posto singolare
nella vita della nostra comunità ospedaliera.
Manifestiamo a Lei il nostro amore,
soprattutto, imitandola nelle sue virtù;
celebriamo le sue feste,
in particolare quella del suo Patrocinio;
e la onoriamo con le nostre preghiere,
specialmente con il Rosario.
35. Tra i santi, veneriamo principalmente
il nostro Padre San Giovanni di Dio
e i Confratelli dell’Ordine
che la Chiesa ci propone
come esempio di vita e di apostolato,
perché ci sforziamo di seguirli e di imitarli.
II. Comunità di amore fraterno
36. Chiamati da Gesù
per vivere con Lui come amici,[82]
ci stimoliamo vicendevolmente
a compiere il comandamento del Signore
di amarci come Lui ci ama[83]
e ci sforziamo di mantenere l’unità
che lo Spirito crea
nel vincolo della pace.[84]
L’ospitalità che abbiamo ricevuto come dono,
ci impegna a vivere la fraternità con semplicità:
ci aiutiamo perciò scambievolmente
e ci perdoniamo nelle nostre debolezze;[85]
gareggiamo nella stima reciproca,
siamo riconoscenti tra di noi
e ci sentiamo solidali con i Confratelli
nelle loro necessità,
nelle loro afflizioni e nelle loro gioie.[86]
37. In forza dei suddetti atteggiamenti,
la nostra comunità,
nonostante la diversità delle persone:
– accetta e stima i giovani
che hanno abbracciato da poco
la nostra vita ospedaliera
e ci arricchiscono con il loro entusiasmo
e con la loro creatività;
– cura e ama i Confratelli ammalati e anziani
che, con la loro esperienza,
con il loro sacrificio e con la loro preghiera,
sono membra feconde
sia per la Chiesa che per l’Ordine;
– ricorda i Confratelli defunti,
che ci hanno preceduto con il segno della fede,
e prega per loro offrendo i dovuti suffragi.
38. La nostra comunità si realizza e cresce
quando:
– ognuno di noi si adopera
per ottenere la propria integrazione personale,
che ci permette di vivere rapporti equilibrati
e di dedicare al bene comune
le qualità e le capacità che abbiamo;
– viviamo coscientemente la gioia
e la responsabilità di essere comunità,
partecipando alle sue manifestazioni;[87]
– esistono momenti di dialogo,
di revisione e di valutazione,
in cui poniamo Cristo al centro,[88]
e ci lasciamo guidare dallo Spirito
per discernere la volontà del Padre
sulla comunità e su ogni persona;
– il Confratello che esercita
il servizio di governo
è segno di unione e vincolo di carità,
anima la vita spirituale,
aiuta a vivere il progetto comunitario,
coordina e armonizza
i piani personali dei Confratelli
con quelli della comunità,
dedica tempo a ogni Confratello
e sa consigliarsi prima di prendere decisioni
riguardanti la vita comune;
– accettiamo nella vita comunitaria
e nella missione
la diversità dei doni
con i quali lo Spirito Santo
arricchisce ogni Confratello;[89]
– creiamo un ambiente nel quale sia possibile
la preghiera, lo studio e il riposo personale;
– adoperiamo la necessaria discrezione
nell’uso degli strumenti
della comunicazione sociale,
evitando quanto può ostacolare
la vita spirituale,
le relazioni comunitarie e l’apostolato;
– facciamo nostro il progetto di vita
espresso nelle Costituzioni, vivendo
in costante atteggiamento di conversione.
39. Siamo accoglienti con le persone
che giungono nelle nostre case
e le riceviamo con bontà e semplicità,
praticando l’ospitalità.
Tuttavia, una parte della casa
è sempre riservata ai Confratelli
per favorire e assicurare
la vita propria della famiglia religiosa.
40. Il nostro inserimento nell’ambiente dei poveri,
degli ammalati e dei bisognosi,
e la nostra convivenza con loro
sono un segno di salvezza e di vita nuova.
Allo stesso tempo la loro realtà ci interpella
e ci stimola a rivedere costantemente
il nostro stile di vita,
per verificare se risponde realmente
al carisma e alla missione che abbiamo ricevuto.
III. Comunità di servizio apostolico
41. La nostra comunità
raggiunge il suo pieno significato
nella missione per la quale
lo Spirito Santo l’ha suscitata nella Chiesa.
Essa, quale continuatrice
del mistero salvifico di Cristo,
ci affida il compito di farlo presente
nel nostro apostolato di carità.
La nostra vita ospedaliera nella Chiesa
si fonda sulla persona e sui gesti di Gesù
che, durante la sua vita terrena,
predilesse in modo speciale
gli ammalati, i poveri e gli umili.[90]
Nei suoi gesti di bontà[91]
e nelle sue parole di conforto e di speranza,[92]
scopriamo i sentimenti che dobbiamo assumere
per far trasparire l’amore di Dio
nel nostro apostolato ospedaliero;
la sua identificazione
con il debole e l’indigente,[93]
ci invita a impegnare la nostra vita
nell’evangelizzazione
dei poveri e degli ammalati.[94]
42. Rafforziamo la fecondità
del nostro servizio apostolico:
– nell’intima unione con Cristo,
che ci fa partecipi
dell’amore misericordioso del Padre[95]
affinché lo manifestiamo con gesti d’amore
verso gli ammalati e verso i bisognosi;[96]
– con il nostro inserimento nella Chiesa
che ci mette in comunione
con quanti sono stati inviati da Gesù
a proclamare il Regno
curando gli ammalati:[97]
ci uniamo così, in modo speciale,
alla Vergine Maria,
membro sovraeminente della Chiesa
e profondamente ospitale nella vita
come appare nella sua visita a Elisabetta,[98]
nelle nozze di Cana,[99] e soprattutto
nell’intimo e fedele amore a suo Figlio,
da Nazareth al calvario;[100]
– nella comunione con quelli che soffrono,
consapevoli
che il nostro amore misericordioso per loro
non è mai un atto unilaterale:
anche noi, infatti, quando serviamo gli ammalati,
siamo sempre beneficati.
La fecondità del nostro apostolato si rafforza
nella misura in cui cerchiamo di stabilire
un rapporto reciproco di amore
con le persone che assistiamo.
43. Con la nostra missione ospedaliera,
realizziamo e sviluppiamo
il meglio del nostro essere
e sentiamo l’esigenza di vivere coerentemente
la nostra identità.
Questo suppone:
– una profonda vita di fede,
che dobbiamo alimentare costantemente
nell’intimità della preghiera,
per poter vivere in armonia
l’amore a Dio e al prossimo,
offrendo agli ammalati e ai bisognosi
la presenza amabile di Cristo
che, mediante il nostro servizio,
comunica loro la speranza e la salvezza;
– il senso di appartenenza alla comunità,
che ci invia e che rappresentiamo:
essa sostiene il nostro apostolato
ed è luogo privilegiato
dove possiamo condividere le gioie
e il peso del nostro lavoro;
questa esperienza di amore fraterno
ci rinnova interiormente
e ci stimola a continuare nell’amore gratuito;[101]
– la preparazione umana,
teologica e professionale,
come requisiti indispensabili,
per offrire agli ammalati
e a ogni persona bisognosa
il servizio efficiente
che meritano e giustamente attendono da noi.
Senso del nostro apostolato
Nell’ambiente tecnicizzato e consumista
della società moderna,
nella quale si scoprono ogni giorno
nuove forme di emarginazione e di sofferenza,
il nostro apostolato ospedaliero
è pienamente attuale.
In questa situazione,
noi siamo chiamati
– a realizzare la nostra missione
con atteggiamenti e modi umanizzanti;
– a proclamare, come Gesù,
che i deboli e gli emarginati
sono i nostri prediletti;[102]
– a vivere il nostro servizio
come espressione del valore escatologico
della vita umana.
Destinatari della nostra missione
45. Come Fatebenefratelli,
siamo stati chiamati a realizzare nella Chiesa
la missione di annunciare il Vangelo
agli ammalati ed ai poveri,[103]
curando le loro sofferenze
e assistendoli integralmente.
In ogni uomo vediamo un nostro fratello;
accogliamo e serviamo,
senza alcuna discriminazione,
chi si trova nel bisogno.
La nostra fedeltà alla Chiesa,
all’uomo che soffre e allo spirito dell’Ordine,
ci impegna alla opportuna revisione
delle nostre opere,
affinché rispondano sempre
al nostro carisma e alla nostra missione.
Affinché il nostro apostolato ospedaliero
resti in consonanza
con i valori e le esigenze del Regno,
ci manteniamo attenti ai segni dei tempi,
interpretandoli sempre alla luce del Vangelo.
Gli atteggiamenti di servizio e di apertura
propri della nostra missione,
ci muovono a cooperare con altri organismi,
della Chiesa o della società,
nel campo del nostro apostolato specifico.
Stile e forme di apostolato
46. La nostra presenza
tra gli infermi e coloro che soffrono
risponde alle esigenze del nostro carisma,
quando:
– stiamo con loro come fratelli e amici,
gioiendo con chi gioisce
e soffrendo con chi soffre,[104]
facilitando quanto contribuisce
alla loro guarigione
e al loro benessere integrale;
– consapevoli dei nostri limiti,
ricerchiamo e accettiamo
la collaborazione di altre persone,
professionisti o no, volontari o collaboratori,
ai quali ci sforziamo
di partecipare il nostro spirito
nella realizzazione della nostra missione;
– viviamo la nostra consacrazione
con semplicità evangelica,
fedeli al dono ricevuto.
47. Le esigenze del nostro apostolato ci portano
a impegnarci a favore delle persone che soffrono,
in forme concrete di azione,
come espressione
dell’amore misericordioso del Padre.
Pertanto:
– lavoriamo in ospedali propri,
collaborando all’assistenza del paese
e prestando i servizi necessari ai cittadini;
– accettiamo i centri che ci affidano,
quando sono in consonanza con il nostro carisma
e vi possiamo esercitare l’apostolato ospedaliero
secondo i principi della nostra identità;
– ci inseriamo,
individualmente o come comunità,
nei centri o negli organismi
della Chiesa o dello Stato,
per svolgervi una missione di evangelizzazione
e di servizio nel mondo della salute;
– creiamo centri e organismi
a favore degli emarginati della società
che non sono tutelati dalla legislazione;
– ci inseriamo nei luoghi in cui
la povertà e l’emarginazione sono evidenti,
come ad esempio i quartieri poveri
o le zone rurali,
facendo fronte alle loro necessità
nel campo del nostro carisma.
48. Il mandato di annunciare il Vangelo
a tutte le genti,
che la Chiesa ha ricevuto dal suo Signore,[105]
riguarda anche noi come Fatebenefratelli.
Consapevoli della nostra responsabilità
nella diffusione della Buona Novella,
manteniamo sempre vivo lo spirito missionario.
Esercitiamo l’apostolato ospedaliero
potenziando costantemente la nostra presenza
in terra di missione,
particolarmente nei paesi meno favoriti,
nei quali cerchiamo di distinguerci:
– per lo spirito apostolico,
che ci incita non solo a disporre gli animi,
mediante la testimonianza della nostra carità,
ad accogliere l’annuncio del Vangelo,
ma anche a collaborare attivamente,
quando se ne presenta l’occasione,
nel far conoscere il mistero di Cristo
a coloro che lo ignorano;
– per la disponibilità a collaborare
con le istituzioni ecclesiali e civili
interessate alla promozione
di una vita più umana e più dignitosa
e a partecipare, soprattutto,
al miglioramento della salute pubblica;
– per la valorizzazione e l’accoglienza
delle tradizioni autoctone
procurando il nostro inserimento
nelle culture dei rispettivi paesi.
49. La Sacra Scrittura esorta
coloro che possiedono i beni della terra
a condividerli con i poveri[106]
per alleviare le loro necessità.
Fedeli al nostro spirito,
promuoviamo l’esercizio dell’elemosina
come forma di apostolato.
La consideriamo non soltanto
come opera di misericordia
che ci dà la possibilità
di aver i mezzi per aiutare i bisognosi,
ma anche come un bene che fa a se stesso
chi la pratica;[107]
inoltre come annuncio della giustizia e della carità,
per contribuire ad abbattere
le barriere esistenti tra le classi sociali.
Pastorale ospedaliera
50. Il dono dell’ospitalità che abbiamo ricevuto
ci impegna in modo speciale
nella pastorale ospedaliera.
La pratichiamo, soprattutto:
– con la nostra testimonianza evangelica
tra i malati e i bisognosi;
– con l’annuncio della Parola
che dà senso alla vita del credente;
– con la celebrazione dei sacramenti
che liberano l’uomo dal peccato
e lo fortificano nella fede.
51. Nella pastorale ospedaliera
siamo chiamati a collaborare
tutti noi credenti che lavoriamo
nell’assistenza agli ammalati e ai bisognosi.
Quindi:
– la nostra presenza tra loro
si distingue per l’impegno pastorale
e per lo zelo con cui poniamo in risalto
i valori dell’etica cristiana e professionale;
– agiamo con il massimo rispetto
delle convinzioni e delle credenze delle persone;
però tenendo presente che gli uomini
provati dalla sofferenza e dalla malattia
sentono più profondamente i propri limiti
e sperimentano la necessità
di un sostegno maggiore,
li aiutiamo a scoprire la bontà del Signore
e il vero senso della vita umana,
principalmente
con la testimonianza della nostra carità;
– indirizziamo la nostra pastorale
anche verso i familiari degli ammalati,
animandoli affinché valorizzino
il mistero cristiano del dolore
e collaborino positivamente
durante la malattia dei loro cari;
– sensibilizziamo i nostri collaboratori
affinché, esercitando le loro capacità
umane e professionali,
agiscano sempre con il massimo rispetto
per i diritti dei malati;
invitiamo a partecipare
direttamente alla pastorale
coloro che si sentono motivati dalla fede;
– facilitiamo l’assistenza religiosa
a coloro che professano altre credenze;
– in accordo con il nostro carisma,
ci impegniamo attivamente
a promuovere la pastorale ospedaliera
nella Chiesa locale.
Confratelli sacerdoti
52. I nostri Confratelli sacerdoti,
in virtù della loro ordinazione a titolo di ospitalità,
sono chiamati nell’Ordine
principalmente all’esercizio del sacro ministero
e all’animazione del servizio pastorale.
Perciò, senza la dispensa della Sede Apostolica,
non possono essere eletti alle cariche
di Generale, Provinciale o Superiore locale.
A loro spetta, soprattutto:
– annunciare la Parola di Dio,
celebrare l’Eucaristia
e i sacramenti della riconciliazione
e dell’unzione degli infermi;
– confortare con la loro presenza,
la loro dottrina e la loro preghiera,
gli ammalati, in modo speciale
coloro che si trovano in pericolo di morte
o in agonia,
offrendo loro il conforto della fede
e della speranza cristiana;
– animare la vita spirituale e pastorale
nelle nostre comunità e opere apostoliche;
– collaborare nella Chiesa locale,
in consonanza con la loro identità ospedaliera.
Capitolo quarto
FORMAZIONE ALLA NOSTRA VITA OSPEDALIERA
La vocazione ospedaliera
53. La vocazione ospedaliera
che abbiamo ricevuto,
è un dono che si sviluppa in noi
nella misura in cui rispondiamo ogni giorno
all’invito di Dio
che ci chiama a identificarci con Cristo
nell’amore verso gli uomini
e specialmente nel servizio
agli ammalati e ai bisognosi.
La gioia che sperimentiamo
nella fedele sequela di Gesù,
ci spinge a offrire agli altri
la possibilità di condividere la nostra vita.[108]
Consapevoli che Dio sceglie mediazioni umane
per manifestare a ogni persona
la sua vocazione,[109]
ci sentiamo responsabili di collaborare con Lui
affinché coloro che hanno ricevuto
il nostro stesso dono
abbiano la possibilità di scoprirlo
e di ascoltare la voce del Signore.
Nel vedere tanti uomini, nostri fratelli,
sommersi nel dolore e nella necessità,
e nel verificare le nostre insufficienze
per poter far giungere il nostro aiuto a tutti,
innalziamo la nostra preghiera,
personale e comunitaria,
al Padre della messe,
affinché mandi nuovi operai alla sua Chiesa,[110]
disposti a imitare Cristo
nella sua missione salvifica,
mediante il servizio apostolico ospedaliero.
Secondo gli orientamenti della Chiesa,
abbiamo Confratelli che organizzano
e coordinano la pastorale vocazionale
per presentare al popolo di Dio
la missione caritatevole del nostro Ordine.
54. Le nostre comunità sono aperte per ricevere
coloro che desiderano vedere come viviamo;[111]
offriamo loro la possibilità di condividere,
in qualche modo,
la realtà della nostra missione
e di sperimentare la felicità di donarsi a Dio
nel servizio del prossimo.[112]
Elementi costitutivi della formazione nell’ordine
Principi generali
55. La fedeltà alla nostra identità ospedaliera
richiede da ogni Confratello
una formazione integrale, solida e permanente,
in accordo con le attitudini delle persone
e con le condizioni di ogni tempo e luogo,
affinché possa rispondere
alle esigenze della propria vocazione.
Finalità della formazione nel nostro Ordine
56. Tutto il processo formativo è indirizzato
verso lo sviluppo armonico
e coerente della persona,
affinché sia capace di assimilare
e di vivere con profondo spirito evangelico
il nostro carisma.
La formazione deve favorire,
promuovere e sviluppare
i valori umani, cristiani e religiosi
in consonanza con la nostra identità ospedaliera.
Responsabili della formazione
57. L’agente principale della formazione
è lo Spirito Santo che, progressivamente,
ci conduce alla piena conoscenza di Cristo;[113]
primo responsabile
nell’assecondare questa azione
è lo stesso candidato.
I superiori maggiori,
per quanto riguarda la formazione,
hanno la responsabilità di:
– provvedere alla preparazione, alla nomina
e all’aggiornamento dei formatori,
poiché dalla loro idoneità e dalla loro azione
dipende in gran parte
la vitalità religiosa e lo sviluppo dell’Ordine;
– vegliare affinché i programmi di formazione
e il dovuto coordinamento tra i diversi centri
rispondano sempre
agli orientamenti della Chiesa e dell’Ordine
e alle diverse circostanze di tempo e di luogo;
– procurare agli interessati
il tempo e i mezzi necessari
perché la formazione raggiunga i suoi obiettivi.
Discernimento e orientamento delle vocazioni
58. La migliore scuola
di orientamento vocazionale
è offrire ai candidati
la nostra testimonianza di fede,
di fraternità e di servizio apostolico.
Il discernimento sulle capacità
e sulla determinazione del candidato
di rispondere alla chiamata di Dio,
si attuerà in un clima di preghiera e di dialogo,
verificando inoltre se possiede:
– buona salute fisica e psichica;
– idoneità intellettuale, morale e spirituale;
– attitudine a vivere in comunità;
– atteggiamento di apertura e di servizio
dinanzi al dolore ed alle necessità del prossimo;
– capacità di prendere decisioni coerenti;
– un livello adeguato di educazione nella fede
e di apertura all’azione di Dio nella sua vita.
59. La formazione
stimola le attitudini dei candidati
e li aiuta a integrarle armonicamente nella vita.
È suo compito promuovere:
– nel campo umano:
- la capacità riflessiva e critica;
- il senso di responsabilità nella libertà;
- l’idoneità a vivere relazioni interpersonali autentiche;
– nel campo soprannaturale:
- la crescita nella fede,
manifestata come accettazione di Dio
nella propria esistenza
e come impegno a vivere in armonia
con i valori del Vangelo;[114]
- la crescita nella speranza,
vissuta come modo abituale
di essere e di agire,
nell’attesa della venuta del Signore;[115]
- la crescita nella carità, che si traduce:
in spirito di pietà filiale verso Dio[116]
e verso la Vergine Maria;[117]
in atteggiamento di comunione con la Chiesa;
in spirito di fraternità, frutto dell’amore di Dio per noi;[118]
– nel campo della vita consacrata:
- la sequela di Cristo
che ci richiede l’impegno
di configurarci progressivamente a Lui
nelle dimensioni essenziali della sua vita
quali la verginità, la povertà, l’obbedienza
e l’amore misericordioso verso gli ammalati;
- le qualità umane e cristiane,
che favoriscono la vita comunitaria,
educando allo spirito di fraternità e di servizio;
– nel campo della nostra vita ospedaliera:
i valori umani, cristiani ed evangelici
che permettono di realizzarci
in armonia con lo stile di vita
e con le finalità dell’Ordine.
Inserimento progressivo
60. I candidati si inseriranno progressivamente
nella vita della nostra comunità,
secondo le tappe e i momenti
della loro formazione.
Parteciperanno alla vita di preghiera,
di fraternità e di servizio apostolico
nella misura in cui ciò possa favorire
l’esperienza e l’assimilazione
dei valori evangelici della vita comune.
61. I programmi di formazione saranno elaborati
tenendo conto delle persone
e delle finalità delle tappe rispettive,
armonizzando i contenuti teorici
con lo sviluppo, con le espressioni
e con la comunicazione dei sentimenti del candidato.
62. Il luogo dove si stabilisce
un centro di formazione
deve essere adeguato per raggiungere
gli obiettivi del rispettivo periodo;
perciò sussisterà un clima che favorisca
il silenzio, la preghiera, lo studio
e la possibilità di un’esperienza graduale
della nostra vita comunitaria
nelle sue varie manifestazioni.
Formazione iniziale
63. La formazione iniziale nel nostro Ordine
è orientata a che i candidati
raggiungano quella maturità umana e di fede
che permetta loro di vivere responsabilmente,
in libertà e fedeltà, la sequela di Cristo
secondo il nostro carisma e stile di vita.
Le tappe che in modo organico e progressivo
conducono a questo fine sono:
il prenoviziato, il noviziato e lo scolasticato.
Maestri e comunità dei centri di formazione
64. I superiori maggiori
affidano l’orientamento e l’animazione
di ognuna di queste tappe formative
a un Confratello che dovrà:
– possedere l’equilibrio personale
e la preparazione umanistica
e teologica sufficiente
per svolgere adeguatamente
il compito affidatogli;
– mantenersi aperto all’azione di Dio
nella propria vita,
manifestando nel suo modo abituale di agire
la maturità nella fede,
propria di una persona adulta;
– stimolare l’amore e la fedeltà
al nostro carisma e alla nostra missione
nella fedeltà agli orientamenti
della Chiesa e dell’Ordine;
– assecondare l’azione dello Spirito Santo
sui candidati avendo con loro
lo stesso atteggiamento di Gesù
con i suoi discepoli:
fiducia nei loro sforzi,
comprensione nelle loro debolezze
e sempre spirito di servizio.[119]
Perché un Confratello possa essere nominato
maestro dei novizi o degli scolastici,
oltre a possedere le qualità precedenti
e una buona esperienza nell’apostolato ospedaliero,
è necessario che sia professo solenne.
65. I Confratelli che compongono la comunità
dove si trova un centro di formazione,
coscienti della loro responsabilità
e dell’importanza della loro testimonianza
per la crescita dei candidati:
– si sforzano di vivere saldi
nella loro vocazione e nel loro apostolato;
– sono aperti ai segni dei tempi,
alla gioventù e al dialogo
con i formatori e i candidati;
– stimolano costantemente lo spirito di unità,
affinché i candidati e i nuovi Confratelli
imparino attraverso l’esperienza
il valore dell’aiuto fraterno
come elemento di crescita e di perseveranza
nella propria vocazione.
Prenoviziato
66. Affinché i futuri candidati al nostro Ordine
possano realizzare un primo discernimento
della propria vocazione,
le Province dispongono
di centri di orientamento vocazionale,
organizzati secondo le diverse circostanze.
Durante il postulantato, che è il periodo
di preparazione immediata al noviziato
e deve durare almeno sei mesi,
il candidato approfondisce
il discernimento della propria vocazione:
– con la preghiera e la riflessione;
– con il dialogo sincero con i formatori;
– con una partecipazione adeguata
alla vita della comunità;
– con lo studio delle materie previste
nel programma formativo dell’Ordine.
Noviziato
67. Il noviziato ha come fine principale
di far vivere ai novizi l’esperienza profonda
dell’incontro personale con Dio,
con la comunità e con l’uomo che soffre.
Questo richiede un clima di silenzio,
di preghiera, di austerità, di gioia e di fraternità,
che metta i novizi in condizione
di crescere nella conoscenza di se stessi,
di interiorizzare il senso di appartenenza all’Ordine
e di discernere la propria vocazione,
per poter rispondere
liberamente e responsabilmente
alla chiamata di Cristo.
In conformità
al programma formativo dell’Ordine,
i novizi devono ricevere una formazione
che li aiuti a integrare
i diversi aspetti della vita del Fatebenefratello:
occorre perciò aiutarli
a coltivare le virtù umane e cristiane;
introdurli
in un più impegnativo cammino di perfezione
mediante l’orazione e il rinnegamento di sé;
guidarli
alla contemplazione del mistero della salvezza
e alla lettura e meditazione delle sacre Scritture;
prepararli a rendere culto a Dio
nella sacra liturgia;
formarli
alle esigenze della vita consacrata a Dio
e agli uomini in Cristo
attraverso la pratica dei consigli evangelici
e dell’ospitalità;
informarli infine sull’indole e lo spirito,
le finalità e la disciplina,
la storia e la vita del nostro Ordine,
ed educarli all’amore verso la Chiesa
e i suoi sacri Pastori.
L’ammissione dei postulanti al noviziato
viene fatta dal Provinciale
con il consenso del suo Consiglio.
Nessun candidato può essere ammesso
nel nostro Ordine
se non ha le qualità necessarie
per assumere il genere di vita
proprio del nostro Istituto.
Il tempo del noviziato nel nostro Ordine
è di due anni.
Per la validità del noviziato si richiede
che il primo anno si compia in una casa
legittimamente designata a questo scopo.
Una assenza, durante questo tempo,
che superi i tre mesi, continui o discontinui,
rende invalido il noviziato;
una assenza che superi i quindici giorni
deve essere ricuperata.
Circa le condizioni previe all’ammissione
e le altre esigenze del noviziato
si osservino le norme del diritto universale
e del nostro diritto proprio.
68. Terminato il periodo del noviziato
e verificata sufficientemente la vocazione
il novizio si dona al Signore
legandosi all’Ordine con i voti temporanei.
Nell’atto della professione
riceve l’abito dell’Ordine
che i Confratelli portano
quale segno della loro consacrazione
e testimonianza di povertà.
Scolasticato
69. Lo scolasticato è il periodo di formazione
tra la prima professione
e la professione solenne.
Ha come fine di aiutare i Confratelli
a progredire nella perfezione della carità
e a raggiungere un grado di maturità
umana e spirituale
che permetta loro di comprendere e vivere
la loro consacrazione nell’Ordine,
come un vero bene per sé e per gli altri.
Durante questo tempo, gli scolastici:
– conseguono la formazione
professionale e pastorale
che dà loro la possibilità di realizzare
la missione apostolica dell’Ordine;
– approfondiscono le motivazioni e le esigenze
della loro consacrazione a Dio
e il senso di appartenenza all’Ordine.
70. Terminato il periodo dei voti temporanei,
i Confratelli che volontariamente lo chiedono
e sono ammessi dai superiori competenti,
si consacrano definitivamente a Dio
con la professione solenne.
Per questa decisiva scelta
c’è un periodo di preparazione,
durante il quale essi
sono liberi da altre preoccupazioni.
In un clima di maggior riflessione e preghiera
confrontano la loro vita con il Vangelo,
approfondiscono il significato
della loro consacrazione,
nonché lo spirito e il carisma dell’Ordine.
71. Tutti ci sentiamo responsabili
della formazione dei giovani,
perciò li accogliamo e li aiutiamo
nel processo della loro maturazione,
soprattutto con la testimonianza
della nostra consacrazione,
gioiosamente vissuta in comunione fraterna.
A loro volta, i Confratelli giovani
devono aprirsi con generosità e semplicità
ai rapporti comunitari, dedicandosi totalmente
al servizio e alla missione dell’Istituto
come espressione di gratitudine
verso i Confratelli che ci hanno preceduti,
dai quali abbiamo ricevuto
il patrimonio spirituale dell’Ordine.
Formazione permanente
72. La formazione permanente
è un’esigenza della stessa vita
e la risposta continua
all’azione rinnovatrice dello Spirito,
che ci invita ad assecondare
i piani di Dio sul mondo
con il dinamismo, l’attualità e la competenza
richiesti dalla nostra consacrazione
nella vita ospedaliera.
È un compito che dura tutta la vita,
il quale ci impegna nell’approfondimento costante
di quanto è stato acquisito
durante la formazione iniziale
e che esige di aggiornarci
nei valori della cultura contemporanea,
per raggiungere il perfezionamento progressivo
della missione specifica
che la Chiesa ci ha affidato.
73. Ci sentiamo tutti responsabili
della nostra formazione
che ci mantiene aperti alla volontà di Dio
in un mondo che cambia;
pertanto tutti contribuiamo,
secondo le nostre possibilità,
affinché nella nostra comunità
si raggiunga questo scopo.
L’ambiente normale dove la nostra vita cresce,
è la comunità locale,
che deve mantenersi
in atteggiamento di costante progresso.
Tuttavia, alcuni momenti
della formazione permanente
li realizziamo anche ad altri livelli,
onde favorire l’arricchimento
e l’unità dell’Ordine.
Capitolo quinto
GOVERNO DEL NOSTRO ORDINE
Principi di governo
74. La Chiesa ha ricevuto dal Signore Gesù,
suo divino fondatore, il potere
che Egli ebbe dal Padre celeste.[120]
Il nostro Ordine,
essendo stato approvato dalla Sede Apostolica,
è un istituto di diritto pontificio
e partecipa di tale potestà
nei superiori legittimamente eletti o nominati.
Questa autorità nell’Ordine
è un vero servizio di amore,
che i superiori esercitano per il bene comune,
a imitazione di Gesù Cristo,[121]
nella ricerca della volontà di Dio
sull’Istituto, sulle comunità e su ogni Confratello.
75. I superiori pertanto
esercitino l’autorità con spirito fraterno,
chiedendo pareri, stimolando iniziative,
e tenendo presente
il diritto universale della Chiesa
e il diritto proprio dell’Ordine.
Si sforzino affinché i Confratelli loro affidati
cerchino sinceramente Dio,
coltivino tra loro la vera comunione fraterna
e aiutino il prossimo
in conformità al nostro carisma ospedaliero.
Seguendo la nostra Regola,
siano per tutti modello di ben operare,
ammoniscano gli inquieti, incoraggino i timidi,
accolgano gli infermi
e siano pazienti con tutti.[122]
76. Il dono della ospitalità,
che abbiamo ricevuto dallo Spirito Santo,
lo viviamo in una istituzione
approvata dalla Chiesa;
per questo il nostro Ordine, come la Chiesa,
è allo stesso tempo
una realtà carismatica e istituzionale.
Una conveniente normativa
favorisce l’esercizio del carisma
e aiuta a viverlo in pienezza,
agevolando la missione
al servizio del popolo di Dio.
Perciò il nostro Ordine è regolato
dal diritto universale della Chiesa
e dal nostro diritto proprio,
contenuto nelle Costituzioni,
negli Statuti Generali
e nei documenti della Santa Sede
riguardanti il nostro Istituto.
Struttura organica del nostro Ordine
77. Il nostro Ordine, nella Chiesa universale,
forma un solo corpo, composto da:
– COMUNITÀ LOCALI,
stabilite in un determinato luogo
per l’esercizio del nostro apostolato
e la partecipazione alla vita fraterna
sotto la responsabilità di un superiore;
– PROVINCE,
costituite da un certo numero di comunità,
che hanno tra loro
uno speciale rapporto di fratellanza
e di servizio apostolico,
sotto la guida di un superiore maggiore;
– VICEPROVINCE,
che sono le Province
in fase di costituzione;
– DELEGAZIONI GENERALI,
costituite da una o più comunità
poste sotto l’immediata dipendenza
del Definitorio Generale;
– DELEGAZIONI PROVINCIALI,
costituite, in casi particolari,
da una o più comunità locali,
dipendenti da una Provincia.
78. L’erezione e la soppressione
delle Province, delle Viceprovince
e delle Delegazioni Generali,
e anche gli eventuali cambiamenti
nelle rispettive delimitazioni,
spettano al Definitorio Generale,
sentito il parere
dei Definitori Provinciali interessati.
L’erezione, la soppressione
e il mutamento di finalità
delle comunità locali e delle opere ospedaliere
spettano al Definitorio Generale
con il consenso del Definitorio Provinciale,
sentite le comunità interessate
e osservando inoltre
quanto prescrive il diritto universale.
L’erezione, la soppressione
e gli eventuali cambiamenti
nella delimitazione delle Delegazioni Provinciali,
spettano al Definitorio Provinciale
con l’approvazione del Generale.
79. Quanto viene stabilito dalle Costituzioni
e dagli Statuti Generali
per le Province e per i Provinciali,
vale anche, se non si dice il contrario,
rispettivamente
per le Viceprovince e per i Viceprovinciali.
Organi di governo
80. a) Esercizio della potestà:
La potestà che il nostro Ordine
ha ricevuto da Dio,
mediante il ministero della Chiesa,
viene esercitata:
– in modo straordinario,
dal Capitolo Generale su tutto l’Ordine,
dal Capitolo Provinciale sulla Provincia
e dal Capitolo locale sulla Comunità;
– in modo ordinario,
dal Generale, dal Provinciale
o dal Superiore locale,
ognuno entro i limiti della propria competenza,
coadiuvati dai rispettivi Consigli.
b) Per quanto concerne i Capitoli:
– Perché possano essere celebrati si richiede
che siano presenti almeno i due terzi
di quelli che devono essere convocati.
– Trattandosi di elezioni,
si procede a voti segreti
e si ritiene eletto colui che avrà riportato
la maggioranza assoluta dei voti
di coloro che sono presenti;
– dopo due scrutini inefficaci,
si procede al terzo,
nel quale godono di voce passiva
solo i due candidati
che nel secondo scrutinio
hanno ottenuto il maggior numero di voti;
– se nel terzo scrutinio vi sarà parità di voti,
si consideri eletto il più anziano
per la professione solenne;
e se i candidati si pareggino anche
nella data della professione,
si ritenga eletto il più anziano per età;
– per l’elezione del Generale,
si procede nel modo sopraindicato,
previa la elezione di un Presidente
per la rispettiva sessione,
eletto dal Capitolo tra i suoi membri;
– tutte le elezioni fatte nei Capitoli
necessitano della conferma del Presidente;
questi, però, non è tenuto a concederla,
eccetto quando si tratta delle elezioni
che si fanno nel Capitolo Generale.
– Negli altri affari,
se il Capitolo stesso non stabilisce
che si faccia in modo diverso,
si decide anche a voti segreti
e con la maggioranza assoluta
di coloro che sono presenti;
però, dopo due scrutini con suffragi uguali,
il Presidente può dirimere la parità
con il suo voto.
c) Temporaneità delle cariche:
Le cariche per il governo dell’Ordine
sono temporanee;
la loro durata è legata
alla celebrazione dei Capitoli,
nei quali ciascuna di esse dev’essere rinnovata.
Tutti i superiori maggiori
e i rispettivi Consiglieri
possono essere rieletti
per un secondo sessennio o triennio,
ma non immediatamente per la terza volta.
La postulazione non può ammettersi
se non in casi straordinari
e perché abbia valore
si richiedono almeno i due terzi dei voti.
81. I Consigli e i Capitoli,
ciascuno nell’ambito delle proprie attribuzioni,
sono l’espressione della partecipazione
e della sollecitudine di tutti al bene comune.
Governo Generale
Capitolo Generale
82. Il Capitolo Generale
è la forma più profonda di comunione
nel carisma dell’Ordine
ed è il momento nel quale si manifesta
in modo speciale la collegialità.
Ha la suprema autorità all’interno dell’Ordine
ed è, pertanto, il principale responsabile
dell’orientamento del nostro Istituto
nell’attuazione della missione
affidatagli dallo Spirito Santo nella Chiesa.
Tutti i Confratelli, perciò,
ciascuno nell’ambito delle sue competenze,
devono contribuire affinché il Capitolo
raggiunga le sue finalità,
sia partecipando come capitolari
alla sua celebrazione,
sia collaborando responsabilmente
alla sua preparazione con l’elezione dei Vocali,
sia presentando i suggerimenti
che ritengono opportuni per il bene dell’Ordine,
sia, soprattutto, chiedendo umilmente
l’aiuto del Signore.
83. Il Capitolo Generale:
– esamina lo stato dell’Ordine
in relazione alle esigenze della vita religiosa,
secondo la dottrina della Chiesa;
– studia, promuove e propone autenticamente
i diversi modi di manifestare il nostro carisma;
– risolve, con una dichiarazione pratica,
i dubbi e le difficoltà che possono presentarsi
circa le Costituzioni;
– elegge il Superiore Generale
e almeno quattro Consiglieri Generali;
– promulga i decreti che ritiene convenienti
per il bene dell’Ordine.
84. Il Capitolo Generale si celebra:
– ogni sei anni;
– alla fine del primo triennio,
se si deve eleggere il Generale
per vacanza dell’ufficio,
avvenuta durante il suddetto primo triennio.
Viene convocato dal Generale
o dal Vicario Generale.
85. Hanno l’obbligo di parteciparvi,
come membri di diritto:
– il Generale o il Vicario Generale,
in qualità di Presidente;
– i Consiglieri Generali;
– i Provinciali
o i Vicari Provinciali;
– i Viceprovinciali
o i Vicari delle Viceprovince;
– i Delegati Generali
che governano le Delegazioni Generali.
Parteciperanno inoltre
i Vocali eletti a norma degli Statuti Generali,
i quali devono essere Confratelli di voti solenni
e in numero non inferiore
ai suddetti partecipanti per diritto.
86. Il Generale,
col consenso del suo Consiglio,
può disporre che,
tra un Capitolo Generale e il seguente,
si celebri una Conferenza Generale dell’ordine,
a norma degli Statuti Generali.
Superiore Generale
87. Il Superiore Generale è anzitutto
il vincolo di unione di tutto l’Ordine;
più di ogni altro ha il dovere
di custodire e promuovere fedelmente,
tra i nostri Confratelli e nelle nostre opere,
lo spirito proprio del nostro Istituto.
Egli, perciò, dovrà riflettere
nella propria persona e nel proprio governo
il genuino carisma dell’Ordine
e il suo apostolico ideale di carità,
tenendo conto delle sane tradizioni
e promuovendo nuove iniziative
adeguate ai tempi e ai luoghi.
Nessun Confratello può essere
Superiore Generale,
se non ha compiuto dodici anni
di professione solenne.
L’autorità del Generale si estende
su tutte le Province, sulle comunità,
sulle opere ospedaliere
e sui Confratelli dell’Ordine,
a norma del diritto universale
e del nostro diritto proprio.
Durante il tempo del suo ufficio,
farà personalmente,
o per mezzo di un delegato,
almeno una volta, la visita canonica
a tutte le comunità e opere dell’Ordine.
Esistendo una causa proporzionata,
riguardante il bene comune,
può rimuovere o trasferire i Confratelli
da qualunque carica o ufficio
a norma degli Statuti Generali.
Consiglieri Generali
88. I Consiglieri Generali
collaborano con il Generale
nel governo dell’Ordine
e così esprimono la fraternità
di tutto il nostro Istituto.
Essi, perciò, danno al Generale,
con fedeltà, sincerità e piena libertà,
il proprio consiglio,
quando ne sono richiesti
e tutte le volte che lo credono utile nel Signore.
I Consiglieri Generali
devono essere Confratelli
con almeno sei anni di professione solenne.
Insieme al Generale
costituiscono il Definitorio Generale.
89. Vacante, per qualunque motivo,
l’ufficio del Generale,
il primo Consigliere governerà l’Ordine
come Vicario Generale
fino alla celebrazione del Capitolo Generale.
Assente o impedito il Generale,
ne farà le veci il primo Consigliere;
nel caso però che anche questi
fosse assente o impedito,
subentrerà il Consigliere più prossimo
non impedito.
Questo vicario occasionale,
tranne speciale mandato,
non può modificare le disposizioni del Generale.
Per aiutare il governo generale dell’Ordine,
esistono anche gli uffici di Procuratore,
di Economo e di Segretario Generale,
i quali non sono necessariamente legati
alla carica di Consigliere Generale.
I Confratelli designati per questi uffici
devono essere professi solenni
da almeno sei anni.
Circa le loro funzioni
e le condizioni per la nomina o l’elezione
si osservino le norme degli Statuti Generali.
Governo provinciale
Capitolo Provinciale
90. Il Capitolo Provinciale,
salvo sempre l’autorità del Capitolo Generale
e del Generale,
è l’organo straordinario
del governo della Provincia;
in esso si manifesta, in modo particolare,
la comunione delle diverse comunità locali
tra loro e con tutto l’Ordine.
I Confratelli della Provincia,
tenuto conto dell’importanza che esso ha
per la vita e per l’apostolato
della Provincia,
parteciperanno responsabilmente
alla sua preparazione o alla sua celebrazione
ciascuno secondo i propri compiti.
91. Nel Capitolo Provinciale:
– si esamina lo stato della Provincia
sotto tutti gli aspetti
della nostra vita religiosa;
– si applicano le decisioni e gli orientamenti
del Capitolo Generale,
tenendo conto delle circostanze
e delle esigenze locali;
– si eleggono o si nominano,
a norma degli Statuti Generali,
il Provinciale,
almeno due Consiglieri Provinciali,
i Delegati Provinciali,
i Superiori locali
e i Maestri dei novizi e degli scolastici;
– si emanano i decreti convenienti
per il bene della Provincia.
92. Il Capitolo Provinciale
si celebra ogni tre anni
e viene convocato dal Generale.
93. Hanno l’obbligo di parteciparvi,
come membri di diritto:
– il Generale o il suo Delegato,
in qualità di Presidente;
– il Provinciale o il Vicario Provinciale;
– i Consiglieri Provinciali;
– i Delegati Provinciali
che governano le Delegazioni Provinciali.
Parteciperanno inoltre
i Vocali designati negli Statuti Generali,
i quali devono essere Confratelli di voti solenni
e in numero non inferiore
ai suddetti partecipanti per diritto.
94. In ogni Provincia,
tra un Capitolo Provinciale e il seguente,
si celebra almeno una volta
la Conferenza Provinciale,
in conformità con gli Statuti Generali.
Superiore Provinciale
95. Il Provinciale, come superiore maggiore,
è il principale responsabile
della promozione della vita religiosa
e di tutte le attività formatile e apostoliche
della Provincia.
Perché un Confratello
possa essere Provinciale
deve aver compiuto sei anni
di professione solenne.
L’autorità del Provinciale si estende
su tutte le comunità e opere
e su tutti i Confratelli della Provincia,
secondo il diritto universale
e il diritto proprio dell’Ordine.
Durante il triennio del suo ufficio,
almeno una volta, farà la visita canonica
in tutte le comunità
e le opere della Provincia.
Consiglieri Provinciali
96. I Consiglieri Provinciali
collaborano fraternamente con il Provinciale
nel governo della Provincia.
Coscienti della propria responsabilità,
danno il loro parere, i loro consigli
e i loro avvisi al Provinciale,
non solo quando sono da lui richiesti,
ma ogni volta che lo credono opportuno
per il bene comune.
Devono essere Confratelli
con almeno tre anni di voti solenni.
Insieme al Provinciale
costituiscono il Definitorio Provinciale.
97. Vacante, per qualsiasi motivo,
l’ufficio del Provinciale,
governerà la Provincia, come Vicario Provinciale,
il primo Consigliere,
a norma degli Statuti Generali.
Assente o impedito il Provinciale,
ne farà le veci il primo Consigliere;
nel caso che anche quest’ultimo
fosse assente o impedito,
subentrerà il Consigliere più prossimo
non impedito.
Questo vicario occasionale non può modificare,
tranne speciale mandato,
le disposizioni del Provinciale.
Per aiutare il governo provinciale
esistono anche gli uffici
di Economo e Segretario.
Circa la nomina e i requisiti
per questi uffici
si stia agli Statuti Generali.
Governo locale
Superiore locale e suo Consiglio
98. Il Superiore locale, in virtù del suo ufficio,
è l’animatore principale della comunità
e gode dell’autorità che gli concedono
il diritto universale
e il diritto proprio dell’Ordine,
Non può essere Superiore locale
il Confratello che non è professo solenne,
a norma degli Statuti Generali.
Essendo il responsabile principale
della famiglia religiosa,
i Confratelli gli dimostrino la dovuta deferenza
e gli siano di valido aiuto
nel disimpegno del suo ufficio.
Osservi e procuri fraternamente
che siano osservate le Costituzioni
e le altre norme dell’Istituto,
mettendo una speciale attenzione
perché si vivano le esigenze
della vita di comunità.
Avvicini spesso i suoi Confratelli
in aperto dialogo e, ascoltandoli cordialmente,
si informi delle loro aspirazioni
e delle loro necessità,
per aiutarli a conseguire lo scopo
della vita religiosa.
Almeno nelle comunità
dove vi è un minimo di sei Confratelli professi,
siano designati, a norma degli Statuti Generali,
un Vicesuperiore e due Consiglieri.
Capitolo locale
99. Il Capitolo locale ha il compito
di esaminare e decidere i temi
che si riferiscono alla vita della comunità,
secondo il nostro diritto proprio
e il diritto universale.
È uno dei momenti principali
durante i quali si esprimono gli atteggiamenti
di dialogo e di corresponsabilità
dei Confratelli che lo compongono.
Il Superiore locale, pertanto,
non modifichi le legittime consuetudini
e non faccia innovazioni,
senza aver prima sentito il Capitolo locale
o, secondo i casi, senza il suo consenso;
inoltre, quando è richiesto,
deve avere anche il permesso del Provinciale.
Amministrazione dei beni temporali
100. Il nostro Ordine come tale,
le sue Province, le sue comunità e le sue Opere,
a norma del diritto universale
e del nostro diritto proprio,
godono di personalità giuridica
e di conseguenza hanno la facoltà di acquistare,
di possedere, di amministrare e di alienare
quanto è conveniente per il sostentamento
e lo sviluppo della nostra vita
e della nostra missione caritativa e ospedaliera.
Spetta ai rispettivi superiori,
da se o per mezzo di altri,
compiere qualunque atto di amministrazione,
come pure accettare donazioni, eredità o legati
per l’Ordine, per la Provincia,
per la comunità locale,
per le opere o per i singoli Confratelli,
fatti a qualsiasi titolo,
e firmare i relativi documenti,
osservate sempre le prescrizioni
del diritto universale e proprio.
I nostri Confratelli abbiano presente
che non sono padroni dei beni temporali,
ma solo rappresentanti e amministratori.
L’amministrazione dei beni
deve essere ordinata
a vantaggio degli infermi e dei bisognosi,
in conformità alle leggi della Chiesa,
alle nostre Costituzioni,
agli Statuti Generali
e alle disposizioni giuste
in vigore nei diversi paesi.
Capitolo sesto
FEDELTÀ ALLA NOSTRA VOCAZIONE OSPEDALIERA
Risposta al dono di Dio
101. La fedeltà alla vocazione
che abbiamo ricevuto,
è possibile
grazie alla fedeltà immutabile di Dio.[123]
Egli, scegliendoci per riprodurre
l’immagine di suo Figlio,[124]
ci arricchì con i doni dello Spirito,[125]
come garanzia della irrevocabilità
del suo amore e della sua chiamata.[126]
Questo atteggiamento di Dio
esige da noi una risposta costante di fedeltà:[127]
– a Dio stesso,
vivendo in comunione con Lui,
compiendo la sua volontà;[128]
– a noi stessi,
coltivando i doni che abbiamo ricevuto;[129]
– ai nostri Confratelli,
aiutandoli nella loro realizzazione personale;[130]
– alla Chiesa,
esercitando la nostra missione
conforme al carisma che ci è stato dato,[131]
– agli ammalati e ai bisognosi,
offrendo loro il nostro servizio
come manifestazione
dell’amore di Dio per loro.[132]
102. Siamo coscienti di vivere il dono ricevuto
condizionati dalla nostra fragilità umana[133]
e da un ambiente che ci spinge continuamente
ad assumere valori estranei al Vangelo.[134]
Questo ci induce a vivere
in atteggiamento di costante umiltà
e di conversione,
accettando la necessità dell’ascesi personale,[135]
come mezzo per conseguire la fedeltà.
Coltiviamo questo atteggiamento:
– nel rapporto con Dio,
in momenti di raccoglimento e di silenzio
nei quali ci incontriamo personalmente con Lui,
rinnoviamo il senso della nostra esistenza
e accogliamo gli altri nella loro realtà;
– nell’incontro fraterno,
dove secondo l’opportunità
le nostre relazioni comunitarie diventano
stimolo, comprensione, semplicità
o correzione fraterna.[136]
Fedeltà alle nostre virtù peculiari
103. La nostra spiritualità si compendia
nel vivere in intima relazione
l’amore verso Dio
e verso il prossimo bisognoso.[137]
Manifestiamo ogni giorno
questo atteggiamento fondamentale
della nostra vita
con gesti di solidarietà, di servizio
e di dedizione ai poveri e agli infermi.
Conserveremo vivo questo spirito
nella misura in cui terremo i sofferenti
al centro di tutta la nostra attività apostolica
e di tutte le nostre preoccupazioni.
Tutto ciò richiede da noi
una particolare attenzione,
sia individualmente sia comunitariamente,
perché tutte le nostre doti
di carattere spirituale, intellettuale e materiale,
siano sempre al servizio dei poveri.
Ugualmente, tutto ciò ci aiuta a restare sempre
nella semplicità e nella austerità
proprie della nostra vocazione,
rinunciando volontariamente a quelle cose che,
quantunque renderebbero più piacevole
la nostra vita,
non contribuiscono ad avvicinarci a Dio.
Senso di appartenenza all’Ordine
104. Essere Fatebenefratelli
è per noi il modo concreto
di vivere come cristiani e come religiosi.
Ci teniamo pertanto
a manifestare la nostra identità.[138]
Questo ci incoraggia a dedicarci completamente
al progresso del nostro Ordine
e alla realizzazione della sua missione
nella Chiesa;
come pure a sentire come proprie
le gioie e le difficoltà
dei nostri Confratelli di tutto il mondo.[139]
Ci interessiamo a conoscere e approfondire
la storia e la spiritualità del nostro Ordine
e ci sforziamo costantemente di vivere
nel rispetto delle sue sane tradizioni.
Separazione dall’ordine
105. Se qualche Confratello, dopo la professione,
trovasse difficoltà a restare nell’Ordine,
anzitutto cercherà la volontà di Dio su di sé
con un serio discernimento.
In tale circostanza, i Confratelli,
in particolare i superiori,
procureranno di stargli vicini
soprattutto con la preghiera e il dialogo fraterno.
Qualora si dovesse arrivare
alla decisione della separazione,
temporanea o definitiva, dall’Ordine,
sia per volontà del Confratello
sia per determinazione dei superiori,
si proceda a norma del diritto proprio
e del diritto universale della Chiesa.
Il Confratello che lascia l’Ordine,
sia volontariamente
sia per legittima dimissione,
non può esigere nulla dall’Istituto
per qualunque attività in esso compiuta;
i superiori, però, procureranno di aiutarlo
secondo l’equità e la carità evangelica.
Costituzioni dell’ordine
106. Per poter introdurre cambiamenti
nel testo delle presenti Costituzioni
si richiede l’approvazione del Capitolo Generale,
espressa con almeno due terzi dei voti,
e il consenso della Santa Sede,
alla quale appartiene pure
la loro autentica interpretazione.
107. Gli Statuti Generali
contengono le norme pratiche più necessarie
per l’applicazione dei principi
contenuti nelle Costituzioni.
I cambiamenti che con il tempo
si riterrà opportuno introdurre,
sono riservati al Capitolo Generale,
che dovrà esprimere la sua volontà, in ogni caso,
con almeno i due terzi dei voti.
108. L’osservanza delle Costituzioni
è una espressione
della nostra comunione con la Chiesa
e un mezzo molto valido
per conservare sempre vivo il nostro carisma;
per questo, ricordando il dovere di osservarle
che abbiamo assunto nella professione,
ci sforziamo costantemente
di scoprire il loro genuino significato
e di adeguare a esse la nostra vita.
[1] Cfr 1Gv 4, 20-21; Mt 22, 36-40
[2] Cfr Mt 8, 17; 25, 34-46
[3] Cfr lGv 3, 14.18
[4] Cfr At 10, 38
[5] Mt 4, 23; 9, 35
[6] Cfr Lc 4, 18
[7] Cfr Lc 4, 18; Mt 11, 5
[8] Cfr Eb 2, 17; 5, 8
[9] Cfr Mt 12, 15-21
[10] Cfr Mt 8, 16-17; 25, 35-40
[11] Cfr Mt 20, 28
[12] Cfr Fil 2, 5.7
[13] Cfr 1Cor 9, 22
[14] Cfr Rm 12, 8
[15] Cfr Lc 10, 9; Mt 10, 7-8
[16] Cfr Rm 8, 29; Lc 4,40; Mc 7,37
[17] Cfr Lc 1, 38.39.56
[18] Cfr Gv 2, 3.5; 19, 25
[19] Cfr Mc 3, 13-14
[20] Cfr Mt 15, 32; 20, 34; Mc 1, 41; Lc 7, 13
[21] Ef 1, 4
[22] Rm 8, 29
[23] Cfr Rm 6, 4; Col 2, 12
[24] Cfr Ef 1, 13-14
[25] Cfr Rm 7, 4
[26] Cfr Ef 4, 12-13
[27] Cfr Rm 12, 1
[28] Cfr 1Pt 2, 5; Ap 1, 6
[29] Cfr Fil 2, 11
[30] Rm 5,5
[31] Cfr Mt 19, 11-12
[32] Cfr 1Cor 7, 32-35
[33] Cfr Gv 1, 13
[34] Cfr Gv 10,10
[35] Cfr 1Cor 6, 19; 3, 16
[36] Cfr Gv 15, 13-17
[37] Cfr Fil 2, 5-6
[38] Cfr 2Cor 8, 9
[39] Cfr Eb 2, 14-18
[40] Cfr Mt 8, 20
[41] Cfr Lc 7, 22
[42] Cfr 2Ts 3, 7 14; At 20, 35
[43] Cfr At 2, 44; 4, 32
[44] Cfr lTm 6, 8-10
[45] Cfr Gv 4, 34; 6, 38-39; 10, 14-18
[46] Cf, Lc 22, 41-42; Gv 12, 27-29
[47] Eb 5, 8
[48] Cfr Fil 2, 8
[49] Cfr Gal 5, 1.13.14
[50] Cfr Mt 20, 25-26
[51] Cfr Rm 8, 2; Gal 5, 1
[52] Cfr Lc 22, 26-27
[53] Cfr Lc 4, 18-19
[54] Cfr Lc 7, 19-23
[55] Cfr Mt 5, 43-48; Lc 6, 36
[56] Cfr Gv 10, 10; lGv 4, 9
[57] Cfr Lc 4, 21
[58] Cfr Mt 9, 12; Lc 18, 15-16; Mt 8, 16-17
[59] Cfr Lc 4, 38-41
[60] Cfr Lc 7, 11-13; Gv 11, 33-36
[61] Cfr Mt 25, 34-45
[62] Cfr Mt 10, 7-8; Lc 9, 2
[63] Cfr Gal 2, 20; Ef 5, 2; lGv 3, 16
[64] Cf, Lc 1, 34-37; Mt 1, 18-20
[65] Cfr Lc 1, 48
[66] Cfr Lc 1, 38
[67] Cfr Gv 2, 3; 19, 26
[68] Cfr Rm 5, 5
[69] At 4, 32
[70] Cfr At 2, 44-45
[71] Cfr Gv 17, 21
[72] Cfr Mt 18, 20
[73] Cfr 1Gv 4, 10.19
[74] Cfr Gv 14, 8; 1Gv 1, 3; Ef 2, 11-13.19-22
[75] Cfr 1Cor 2, 10; Ef 1, 3-12; Gv 14, 23
[76] Cfr 1Gv 4, 10-11
[77] Cfr 1Gv 4, 19-20
[78] Fil 3, 8
[79] Cfr Gc 3, 2
[80] Is 53, 3
[81] Cfr Gv 19, 25
[82] Cfr Gv 15, 14-15
[83] Cfr Gv 13, 34-35; 15, 12-13
[84] Cfr Ef 4, 1-6
[85] Cfr Col 3, 12-13; 1Pt 3, 8-9
[86] Cfr Rm 12, 9-10; Fil 2, 3-4; 1Cor 10, 24
[87] Cfr Eb 10, 24-25
[88] Cfr Mt 18, 20
[89] Cfr 1Cor 12, 4-7. 12 13
[90] Cfr Mc 1, 32 34; Lc 6, 20; 15, 1-10; 18, 15-17
[91] Cfr Lc 4, 40; 5, 13; 19, 1-10
[92] Cfr Lc 7, 13; 8, 48; Gv 8, 10-11
[93] Cfr Mt 25, 34-40
[94] Cfr Lc 9, 1-2; 10, 1-9; Mc 16, 15
[95] Cfr Gv 15, 4-5.9
[96] Cfr Gv 13, 13-15; Mt 10, 8; 1Gv 3, 16-18
[97] Cfr Lc 9, 1-2
[98] Cfr Lc 1, 39-40.56
[99] Cfr Gv 2, 3
[100] Cfr Lc 1, 31-38; 2, 7.48.51; Gv 19, 25
[101] Cfr Mt 10, 8
[102] Cfr Mt 9, 10-13; 11, 28-30; 18, 1-6
[103] Cfr Lc 4, 18
[104] Cfr Mt 8, 17; Lc 7, 13-14; Rm 12, 15
[105] Cfr Mc 16, 15
[106] Cfr Tb 4, 7; 12, 8-10; Mt 6, 2-4; Lc 12, 33
[107] Cfr Prv 11, 17; Dn 4, 24; Sir 3, 30
[108] Cfr 1Gv 1, 1-4
[109] Cfr Gv 1, 41-42.45-46; At 9, 6,17
[110] Cfr Mt 9, 37-38
[111] Cfr Gv 1, 39
[112] Cfr Mc 8, 35; 10, 22; Lc 10, 17.20
[113] Cfr Gv 14, 26; 16, 13
[114] Cfr Rm 1, 16
[115] Cfr 1Pt 1, 3 5.13.21; 2Pt 3, 13-14; Ap 22, 17-20
[116] Cfr 1Gv 3, l; Rm 8, 15 17
[117] Cfr Gv 19, 27
[118] Cfr lGv 4, 7-12
[119] Cfr Mt 10, 5-8.16.26; 26, 40-45; 20, 28
[120] Cfr Mt 28, 18-20; Gv 20, 21
[121] Cfr Mt 20, 28
[122] Cfr 1Ts 5, 14
[123] Cfr Es 34, 6-9; Is 49, 14-16; 1Cor 1, 8-9
[124] Cfr Rm 8, 29; Ef 1, 4
[125] Cfr Rm 3, 24; 8, 14-16; 1Cor 12, 3-11; Gal 5, 22-23
[126] Cfr Rm 8, 35-39; 11, 29
[127] Cfr 2Pt 1, 3-10; 2Ts 1, 11-12
[128] Cfr Mt 7, 21; Gv 15, 10-14
[129] Cfr Mt 25, 14-30; Lc 19, 11-26
[130] Cfr Fil 2, 2-5; Gc 4, 11; 1Pt 4, 8-10
[131] Cfr Ef 4, 1.11-13; Rm 12, 6-8
[132] Cfr lGv 4, 9-12
[133] Cfr Rm 7, 14-25; 2Cor 4, 7; 12, 7
[134] Cfr Mt 18, 7
[135] Cfr Mt 26, 41; Lc 13, 5; 1Cor 9, 24-27; 1Pt 5, 8
[136] Cfr Rm 15, 1-2.7.14; Gal 6, 1-2; Eb 3, 13
[137] Cfr Lc 10, 27; lGv 4, 12
[138] Cfr Mt 10, 32-33; Lc 9, 26
[139] Cfr Rm 12, 15; 1Cor 12, 26
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