Mission
O sole mio
FATE BENE FRATELLI
U.T.A onlus Associazione benefica
ASSOCIAZIONE
BENEFICA
U.T.A.
Uniti per Tanguiéta e Afagnan
nel
decimo anniversario
del riconoscimento come ”ONLUS”
Fra Luca Beato o.h.
Sacerdote dei Fatebenefratelli e vicepresidente dell’UTA Onlus
INTRODUZIONE
Cari lettori, questo dossier sulle missioni africane dei Fatebenefratelli della Provincia Lombardo-Veneta e sull’azione di supporto svolta dall’Associazione benefica “Uniti per Tanguiéta e Afagnan” in sigla UTA viene pubblicato sulla rivista Fatebenefratelli, grazie alla bontà del direttore fra Marco Fabello. L’occasione propizia è la ricorrenza del decimo anniversario del suo riconoscimento come Onlus (organismo non lucrativo di utilità sociale), ma il motivo di fondo è che l’UTA in dodici anni di vita è diventata l’associazione più importante tra quelle che sostengono gli ospedali africani dei Fatebenefratelli.
Fra Marco ha sempre dimostrato una particolare sensibilità verso le nostre missioni: questa Rivista ne è una chiarissima testimonianza. Inoltre da quando è stato fatto direttore dei due ospedali di Brescia, il Sant’Orsola e il San Giovanni di Dio, è nata una più organica collaborazione con l’UTA. Tra l’altro egli ha preso a cuore la valorizzazione della figura carismatica del nostro confratello fra Fiorenzo Priuli, medico missionario di alto livello, consulente dell’O.M.S. (Organizzazione mondiale della sanità) per le malattie tropicali.
Con la collaborazione dell’Ufficio stampa FBF di Roma è riuscito a portare più volte fra Fiorenzo con gli ospedali africani e l’Associazione UTA sul primo e secondo canale della RAI e su Telepace. A fra Marco, quindi, il nostro grazie profondo e sincero.
Il presente dossier è una sintesi del libro “Africa nel cuore” edito nel decimo anniversario della fondazione dell’UTA.Devo, perciò, ricordare e ringraziare le persone che l’hanno scritto: Marisa Bonan Cucchini, Sara Brotto, Federica Carlesso, Silvia Rossi, fra Fiorenzo Priuli e Sergio Carlesso per tante foto.
Il dossier narra la storia di un piccolo “miracolo” che è l’UTA, realizzato grazie all’impegno e alla volontà comune di persone, come me e come voi, che credono nella forza dell’amore e, proprio per questo, nella possibilità di creare un mondo migliore. La forza dell’UTA sono i benefattori grandi e piccoli quindi anche una buona parte di voi.
A tutti e a ciascuno esprimiamo la nostra profonda riconoscenza insieme a quella dei nostri missionari e di tanti ammalati salvati dalla morte e/o curati e assistiti grazie al vostro sostegno economico. Il Signore ricompensi la vostra carità con il dono della vita immortale. Per questo noi religiosi Fatebenefratelli preghiamo tutti i giorni.
Quest’anno ricorre il decimo anniversario del riconoscimento come “ONLUS” dell’associazione benefica “Uniti per Tanguiéta e Afagnan” in sigla = U.T.A. (31 gennaio 1998). Fin dall’origine (1996) essa aiuta in maniera sempre più consistente gli ospedali africani dei Fatebenefratelli di Afagnan nel Togo e di Tanguiéta nel Benin nella cura dei malati poveri dell’Africa, specialmente i bambini.
Storia delle origini
Ero ancora un giovane religioso, postulante-studente a Milano, ospedale San Giuseppe, quando ho visto partire nel 1955 i primi missionari Fatebenefratelli diretti in Somalia a Chisimaio, per gestire l’ospedale statale di quella città: fra Cesare Gnocchi, fra Tommaso Zamborlin e fra Carmelo Gaffo. Era Provinciale fra Natale Paolini.
Qualche tempo dopo, nel 1959, il Padre Generale dell’Ordine dei Fatebenefratelli fra Mosè Bonardi della Provincia religiosa Lombardo-Veneta, fece subentrare un gruppo di nostri confratelli, guidati da fra Eligio De Marchi, ai confratelli della Provincia Austriaca nella gestione dell’ospedale “Holy Family Hospital” di Nazaret in Israele.
Il cambio si era reso necessario perché, dopo la shoah degli Ebrei, la lingua tedesca era diventata invisa alla popolazione. Gli italiani invece erano molto graditi e soprattutto fra Eligio perché all’ospedale Fatebenefratelli di Roma all’Isola Tiberina aveva salvato molti Ebrei dalla deportazione nei campi di concentramento in Germania. Ma nel 1960 per volontà dell’ONU anche le ultime Colonie acquistarono l’indipendenza.
L’orgoglio nazionale all’indomani dell’indipendenza, determinò in Somalia l’esonero dei Fatebenefratelli dalla gestione dell’ospedale di Chisimaio.
I nostri Superiori Maggiori pensarono allora di aprire una Missione in Africa. In vista del Concilio venivano in Italia tanti vescovi del mondo in via di sviluppo e andavano a chiedere aiuto ai nostri Superiori.
Il più fortunato fu il vescovo di Lomé, capitale del Togo, mons. Roberto Casimir Dosseh. Partirono allora nel 1960 fra Pierluigi Marchesi e fra Onorio Tosini alla volta di Lomé per trattare con le autorità religiose e civili. L’anno seguente partirono i primi due missionari: fra Onorio Tosini e fra Aquilino Puppato e diedero inizio al primo lotto della costruzione dell’ospedale “Saint Jean de Dieu” di Afagnan, un villaggio fuori mano vicino al confine con il Dahomey (oggi: Benin) a 90 chilometri da Lomé e a 30 dalla costa oceanica.
L’ospedale fu inaugurato nel 1964.
Il Padre Provinciale fra Mosè Bonardi, con sguardo lungimirante, decise di fare un ospedale anche nel Benin e le autorità religiose e civili gli indicarono il Villaggio di Tanguiéta nel Nord del Paese, quasi al confine con l’Alto Volta (ora: Burkina Faso), a una giornata di macchina da Afagnan: una zona poverissima, dove la popolazione fa fatica a sopravvivere, dato che per influsso del Sahara, la siccità dura otto mesi all’anno e la terra anche nella corta stagione delle piogge è piuttosto avara.
Il pioniere della costruzione di questo ospedale, dedicato a San Giovanni di Dio, fondatore dei Fatebenefratelli, è stato fra Tommaso Zamborlin. Egli partì da Afagnan nel 1967 dove si trovava già da qualche tempo e insieme al geometra Renato Canziani di Milano cominciò la costruzione dell’ospedale che fu inaugurato nel 1970 alla presenza di fra Cesare Gnocchi e di tante autorità religiose e civili.
Di questi avvenimenti sono stato quasi unicamente un ammirato spettatore. Ma nel 1965, terminati gli studi di teologia a Roma, sono stato incaricato di dirigere lo Scolasticato a Milano, ospedale S. Giuseppe, che allora era gremito di giovani religiosi. Ritenni subito mio dovere educare i giovani religiosi allo spirito missionario. Tra gli allievi di allora c’era anche fra Fiorenzo Priuli che per le missioni era un vulcano di idee e di iniziative. Facemmo una mostra missionaria in uno stabile appena acquistato per l’ampliamento dell’ospedale S. Giuseppe, in corrispondenza dell’attuale Pronto soccorso. La mostra in prossimità del Natale, nel periodo della fiera degli “Oh bei! Oh bei!” presso la Chiesa di S.Ambrogio, ci ha portato una marea di gente e ci ha procurato un incasso ingente.
Facemmo poi anche una lotteria con il sostegno di altre Case della Provincia, specialmente di Cernusco sul Naviglio dove si è dimostrato molto attivo il Padre Priore fra Pierluigi Marchesi.
Insomma, ricordo che consegnammo al Padre Provinciale fra Mosè Bonardi la bella somma di lire 11,5 milioni, che sono stati sufficienti per la costruzione del padiglione della pediatria dell’ospedale di Afagnan.
Diventato Consigliere provinciale, nel 1971 e 1972 ho visitato gli ospedali africani per rendermi conto “de visu” dei problemi che essi avevano per poter provvedere in modo mirato agli approvvigionamenti necessari per il buon funzionamento: medici, infermieri professionali, tecnici; medicinali, reagenti di laboratorio analisi, materiale sanitario, eccetera.
Ho avuto modo di vedere all’opera nell’ospedale ancora incompleto di Afagnan, fra Onorio Tosini come Padre Priore, verso il quale la popolazione aveva una grande stima e venerazione per cui lo chiamavano amegan (= grande capo); in reparto fra Emanuele Zanaboni, in farmacia fra Giustino Mariconti e fra Fiorenzo che faceva un po’ di tutto: sala operatoria, laboratorio analisi e radiologia e aveva inoltre una trentina di bambini con flebo e sondino naso-gastrico in una piccola dépendance dell’ospedale degna di un pollaio, in attesa dell’apertura della pediatria.
Quei bambini, mi spiegava, avevano come minimo tre o quattro qualità di parassiti intestinali. Bastava poco per tirali fuori dall’anemia in cui erano caduti. Ma doveva fare di nascosto anche quel poco, perché non si poteva aprire la pediatria, mancando i fondi per gestirla.
A Tanguiéta ho visto il Padre Priore fra Tommaso Zamborlin, pieno di dinamismo: godeva la stima della popolazione per l’impegno straordinario dimostrato nella costruzione dell’ospedale, per cui aveva rischiato anche la vita, quando il camion carico di materiale edilizio aveva rotto i freni sulle colline dell’Atakora; inoltre era considerato un idolo dai ragazzi per le acrobazie che faceva con la moto. Non per nulla l’avevano battezzato: m’en foux la mort (=me n’infischio della morte).
Fra Leonardo Laner, mio carissimo compagno di noviziato anche se più anziano di me, faceva il fac-totum dell’ospedale e fra Clemente Tempella, bravo infermiere professionale, gestiva il reparto. L’ospedale, piccolo e incompleto, non lavorava ancora abbastanza. La gente del posto, legata alla cultura e alla religione del feticismo aveva ancora una grande diffidenza dell’ospedale dei bianchi e si affidava più volentieri allo stregonemedicone.
A dire di fra Fiorenzo, la fiducia della gente verso l’ospedale si è manifestata ampiamente dopo l’epidemia di morbillo del 1989, quando sono morti in tempi rapidissimi 5.000 bambini e di questi, solo un quarto di quelli che i missionari erano riusciti a portare all’ospedale, rimandando per questo anche la S. Messa di mezzanotte di Natale, si erano salvati. Prova ne sia il fatto che fra Fiorenzo cercò aiuti per costruire la pediatria molto capiente. La Provvidenza gli fece conoscere, tramite il Parroco di Meda, il signor Carlo Luigi Giorgetti, che attualmente è presidente dell’associazione “Amici di Tanguiéta”. Egli finanziò la costruzione della pediatria per onorare la memoria del figlio Paolo, di 18 anni, rapito e trovato morto bruciato.
Ambiente dove agisce l’UTA
Siamo tutti vulnerabili, ma abbiamo gli ospedali dove i medici ci curano. In Europa il problema non si pone: le strutture ospedaliere sono lì per noi. In altre parti del mondo, però, non è così: l’ospedale rappresenta la ricchezza, non la cura. Negli Stati Uniti se non sei assicurato, muori. In Africa se sei povero, muori. E questo per la nostra morale cristiana non è giusto; ci hanno insegnato ad amare il prossimo, il fratello, qualunque creatura vivente. È questo senso del dovere e dell’aiuto verso gli altri che ha piantato le basi da cui è nata l’UTA.
A parte l’aspetto fisico, però, sono tante le differenze che ci distinguono dai popoli degli altri Continenti: prima tra tutte, la cultura; seconda (e in parte diretta conseguenza della prima) il diritto alla salute. In Europa prendere un raffreddore è una seccatura, operarsi di appendicite è solo un fastidio doloroso. Negli Stati Uniti invece se hai bisogno di un medico devi prima digitare il numero della tua carta di credito e dimostrare di essere coperto da assicurazione. In Asia e in Africa, il povero che non può pagare non entra in ospedale e per di più gli ospedali sono sovente così lontani che diventano per
il malato una mera utopia.
Gli aiuti internazionali hanno permesso ai Paesi in via di sviluppo la costruzione di un certo numero di ospedali nei Centri più grossi e anche di qualche Università di Medicina. Gli ospedali hanno attrezzature adatte, un organico di medici, infermieri e tecnici adeguato, pagato dallo Stato. Ma per poter accedere all’ospedale il malato deve pagare una serie di medicinali, di materiale di medicazione, eccetera secondo una lista che gli viene presentata. Al cibo ci devono pensare i parenti. Per poter accedere agli ospedali in genere i poveri ricorrono alla colletta tra parenti. Se si tratta di ricoveri brevi o di interventi leggeri la cosa si risolve facilmente, altrimenti bisogna rinunciare. Di fronte all’impossibile, scatta il meccanismo del fatalismo che toglie anche le lacrime da piangere.
Anche gli ospedali dei Fatebenefratelli fanno pagare, però non si respinge nessun malato perché non ha soldi da pagare. La vita umana vale più del denaro. Diciamo questo solo per far capire che chi crede nell’UTA si sente prima di tutto fortunato, e non vuole dimenticare chi lo è meno di lui. L’UTA ha preso a cuore le condizioni dell’Africa, la carenza di cure per i malati africani poveri. Non poteva farlo da sola, certo, così si è appoggiata all’Ordine religioso dei Fatebenefratelli e ai suoi due ospedali a Tanguiéta nel Benin e ad Afagnan nel Togo. Le azioni di questi uomini volenterosi di aiutare chi è meno fortunato di loro hanno trovato fin da subito zone precise su cui operare e problemi concreti da affrontare.
Non è facile lavorare in Africa: lì ogni zona ha le sue tradizioni, ogni popolo ha la sua religione, il sacro si mescola al profano e lo spirito si incarna nello stregone.
Togo
Prendiamo il Togo: un piccolo tratto di terra africana, colonia francese fino al 1960, che in quasi mezzo secolo non è riuscito ad uscire dall’arretratezza economica e sociale che caratterizza praticamente tutti gli Stati del Continente africano. Il regime “presidenziale” che ha portato avanti le cinque repubbliche che si sono succedute, non ha giovato a una crescita uniforme del Paese, anzi ha incentrato le ricchezze nelle mani dei pochi già ricchi e ha prostrato i poveri. Le conseguenze si vedono non solo in un’economia zoppicante, sprovvista di strutture di base che servirebbero per sviluppo armonioso del paese, ma anche, e soprattutto, in settori sociali primari come l’educazione
e la sanità. Il Togo è un paese carente di reti di comunicazione e di mezzi mediatici. L’informazione non arriva in migliaia di villaggi isolati, guidati ancora da stregoni e “preti wudu”. La pratica dell’infibulazione, che rovina per tutta la vita bambine e donne, è praticata sia dai musulmani (che comprendono il 25% della popolazione) sia tra gli animisti
(il 52%). La media è di sei figli per ogni donna e il reddito medio per chi lavora è di $ 400,00.
Benin
Neanche il Benin se la passa bene: l’agricoltura occupa il 60% della popolazione attiva, ma rende assai poco, e il prodotto nazionale lordo si aggira sui 600 euro annui pro capite. Si potrebbero sfruttare a beneficio di più persone i giacimenti di petrolio scoperti nelle acque territoriali e l’importanza commerciale del porto di Cotonou, che serve anche gli stati confinanti. Ma questo non succede e il Benin resta un paese essenzialmente povero. Il 15% della popolazione è musulmana, il 15% cristiana, il resto pratica culti tradizionali, divisa in numerosi gruppi etnici, diversi tra loro sia culturalmente sia linguisticamente. Il 60% della popolazione è analfabeta, e le grandi distanze geografiche, unite alla debolezza fisica dovuta a un’insufficienza alimentare cronica (un bambino su quattro non mangia abbastanza tutti i giorni) fa sì che la maggior parte di loro faccia fatica ad avvalersi del servizio sanitario.
Malattie più diffuse
Le malattie epidemiche sono degli avvenimenti ciclici, che da sempre portano sofferenza e morte nelle regioni più povere. Togo e Benin sono un terreno perfetto di sviluppo di queste malattie. La più diffusa, e la più temibile, perché indebolisce il fisico lasciando la strada libera ad altre malattie, è la malaria. Di malaria non si parla mai, eppure (o forse proprio perché) si sovrappone a tutte le altre malattie che decimano ogni giorno il popolo africano. È una presenza fissa, costante, imbattuta. Le si affiancano periodicamente altri flagelli che danno il colpo di grazia a corpi già martoriati.
Nei suoi quasi quarant’anni di esperienza in terra africana, fra Fiorenzo Priuli ci ha portato testimonianza di numerose epidemie, indelebili nella memoria.
Nel 1970 si sviluppò in Togo una epidemia di rabbia che sopravvisse per un lungo periodo al vaccino messo gratuitamente a disposizione dal governo e alla caccia ai cani randagi portata avanti dall’esercito. La popolazione li nascondeva, e la rabbia continuava!
Nel 1971 arrivò il colera: il governo del Togo e l’OMS inviarono camionate di fleboclisi e soluzioni reidratanti orali. I malati erano così numerosi che l’ospedale di Afagnan dovette utilizzare anche i locali della pediatria.
Nel 1979-1980 fu la volta del morbillo, che in cinque mesi uccise più di 5.000 tra bambini e adolescenti. È la più grave epidemia che si ricordi nelle regioni di Tanguiéta;ovunque attorno ai villaggi si scavavano fosse, molte famiglie rimasero senza figli, i missionari portavano i malati all’ospedale e tornavano con i cadaveri, perfino la notte di Natale!
Nel 1983 fu la meningite a mietere le sue vittime: la meningite appare tutti gli anni, ma in quel caso fu particolarmente violenta. Per lasciare posto agli ammalati furono occupate anche due case dei medici, e per appendere le fleboclisi si arrivò ad utilizzare i fili del telefono urbano!
Nel 1985 toccò alla febbre gialla, male mortale nel 98% dei casi, ma evitabilissimo con la vaccinazione.
Purtroppo da anni non si vaccinavano che i libretti sanitari dei pellegrini che andavano alla
Mecca, e la malattia trovò un fecondo campo d’azione. Solo una grande campagna di vaccinazione riuscì ad arrestarla, dopo una scia incalcolabile di vittime.
Nel 1988 si segnalarono a Tanguiéta i primi due casi di AIDS. Da allora questo male è diventato anche “cosa nostra”, sia perché si propaga a ritmo vertiginoso, sia perché troppo poco si fa per educare, sensibilizzare, prevenire, curare e aiutare.
Nel 2003 l’epidemia fu di febbre tifoide. Anche in questo caso sottosviluppo, ignoranza, mancanza di acqua potabile hanno incrementato a dismisura il numero di vittime, per un male la cui cura precoce è efficace e poco costosa.
Queste sono le epidemie che gli ospedali dei Fatebenefratelli, con l’aiuto di privati e associazioni come la nostra UTA, hanno fronteggiato negli anni. Ma non vanno dimenticati altri tipi di virus, come la tubercolosi, la lebbra, il morbo del Buruli.
Ospedale “Saint Jean de Dieu” di Afagnan
L’ospedale di Afagnan fu fondato nel 1964 da fra Onorio Tosini e fra Aquilino Puppato, mentre era Provinciale fra Mosè Bonardi. Essi erano partiti con una nave dal porto di Marsiglia il 13 marzo 1961 ed avevano iniziato subito la loro attività con un ambulatorio costruito dal governo in attesa della realizzazione del primo lotto di lavori dell’ospedale, costruito su progetto del prof. Ferdinando Michelini, con cortile centrale e padiglioni che si sviluppano in direzione Est-Ovest con muri maestri riparati dal sole per mezzo di una tettoia sporgente. L’inaugurazione del nuovo ospedale avvenne il 5 luglio 1964.
La scelta è ricaduta in una delle zone più povere del Togo e totalmente sguarnita di assistenza medica, che raccoglie una popolazione di oltre 100.000 abitanti. Ma i malati e i bisognosi che sono assistiti giornalmente nell’ospedale provengono anche dai Paesi limitrofi come Benin, Ghana, Nigeria e persino dal Burkina Faso. Inizialmente i posti letto a disposizione nella struttura erano 82.
Man mano la capacità ricettiva si è progressivamente sviluppata. Nel 1969 fu costruita la pediatria con 34 letti. Nel 1986 venne realizzata la clinica e nel 1990 il reparto di isolamento. In tutto oggi si contano più di 270 posti letto, costantemente occupati da malati poveri e spesso in gravi condizioni. Ci sono i reparti di chirurgia, di medicina, di radiologia; c’è il laboratorio analisi, c’è la pediatria e c’è la maternità, tutti perfettamente funzionanti, ma tutti sempre affollati e bisognosi di interventi.
L’ospedale lavora ad alto livello medico scientifico, per cui nel 2005 il Governo del Togo l’ha elevato al grado di ospedale universitario per una collaborazione stretta con l’Università di Lomé.
La pediatria è il reparto più vivace di tutto l’ospedale: i sorrisi si mescolano, a volte, alle lacrime per la gioia di vivere e ricominciare a correre e saltare. I posti letto sono 75 ed è presente all’interno una “piccola scuola” per l’insegnamento ai bambini ricoverati per lungo tempo (riabilitazione dopo la poliomielite, ulcera di Buruli, osteomielite, ecc.). È in questi settori che l’UTA è riuscita più volte a intervenire e a ridare la gioia di vivere a bambini e adulti.
Ospedale “Saint Jean de Dieu” di Tanguiéta
A Tanguiéta, più ancora di Afagnan, il clima non è propizio per la salute dei poveri: la stagione secca dura otto mesi e mette a dura prova la resistenza fisica soprattutto dei bambini, che deperiscono progressivamente fino, certe volte, a morire di fame. Sì, perché se di fame nella vecchia, ricca Europa non si parla quasi più, anzi c’è il problema dell’obesità, in Africa è ancora una realtà che porta alla morte.
Le mamme di solito ricorrono all’ospedale quando i bambini sono moribondi, perché solo allora lo stregone lo permette. Dicono di provare se il feticcio dei bianchi ha dei poteri che i loro feticci non hanno. Ma i bianchi non usano la magia, e non sempre i loro rimedi arrivano in tempo.
L’ospedale di Tanguiéta è stato fondato nel 1970 da fra Tommaso Zamborlin, su un’area che al tempo era stata indicata dal governo beninese come la più povera dello Stato.
I lavori di costruzione, su progetto del prof. Ferdinando Michelini, analogo a quello di Afagnan, erano iniziati tre anni prima con la posa della prima pietra il 14 gennaio 1967. All’inaugurazione, avvenuta il 29 giugno 1970 esso aveva la capacità di 80 posti letto.
Per un po’ di tempo l’ospedale ha lavorato a rilento perché la popolazione era abituata a rivolgersi allo stregone guaritore e aveva pregiudizi e diffidenza verso la novità portata dai bianchi. La cosa è cambiata radicalmente in seguito all’epidemia di morbillo del 1979/80. I pochissimi bambini che si erano salvati dovevano dir grazie all’ospedale.
Gli 80 posti letto iniziali sono diventati insufficienti per una popolazione di oltre 70.000 abitanti. Si è costruita una grande pediatria e si è ingrandita la maternità. Oggi i letti sono più di 230, ma i malati sono sempre troppi. Nell’ultimo decennio l’ospedale è stato incaricato della medicina preventiva sul territorio con campagne di vaccinazioni contro il tetano, la poliomielite, il morbillo e la meningite. È diventato l’ospedale di riferimento dell’O.M.S. (Organizzazione mondiale della sanità) per quella zona dell’Africa. Nel 2005 è stata costruita una “piccola scuola” adiacente alla pediatria per i ragazzi lungodegenti.
Centro sanitario di Porga
Non possiamo dimenticare Porga: uno dei 17 dispensari che circondano l’ospedale di Tanguiéta, mentre nei 600 chilometri che dividono le due strutture ospedaliere di Tanguiéta e di Afagnan se ne contano 23. Porga non è un semplice dispensario, è un vero e proprio “centro sanitario”: la prima pietra è stata posta il 29 novembre 1999, alla presenza di mons. Pascal Nkoue, vescovo di Natitingou.
Il terreno sul quale sorge il complesso è stato donato dalla popolazione di Porga, che si è dimostrata, fin dall’inizio, molto entusiasta dell’iniziativa e ha collaborato nell’estrazione di sabbia e sassi dal fiume Pendjari, grazie soprattutto all’intervento dell’anziano lebbroso capo del villaggio Kah Kiansi, morto nel 2000.
Il progetto di quest’opera comprende: un dispensario (due sale da visita, una sala di prestazioni ambulatoriali e un locale per laboratorio analisi e uno di pronto soccorso) la farmacia, una maternità (una sala travaglio e due sale da otto letti per le madri), una pediatria di sedici letti ed infine 16 letti per i ricoveri di medicina generale per adulti sia uomini che donne. L’edificio ha la forma quadrata.
L’UTA ha finanziato la costruzione di due padiglioni. A questo complesso si aggiungono gli alloggi della comunità dei religiosi che devono gestire il centro. Il centro sanitario con gli aiuti del Padre Generale, raccolti da tutte le case dell’Ordine, è terminato e funzionante.
Centro di salute mentale di Lomé
Nel 2005 il Padre Generale ha promosso una campagna per la raccolta di fondi al fine di costruire un centro di salute mentale presso la sede della Delegazione generale in periferia di Lomé, in località Agoé-Nyivé. Vi presterebbero servizio i Novizi e gli Scolastici. Per il Togo rappresenta una novità assoluta. Mi dicono che nel Togo c’è un unico medico psichiatra e nessuna struttura per i malati di mente.
Nascita dell’associazione
Quando sono andato a Romano d’Ezzelino nel settembre del 1987 non avevo in mente alcuna associazione benefica, ma portavo nel cuore tanto amore alle nostre Missioni, per le quali mi ero adoperato fin dal 1965 a Milano. Sono stati i laici di Romano, specialmente quelli esterni alla nostra casa, che hanno iniziato a frequentare la Messa domenicale a stimolarmi a fare tante cose.
Dapprima l’animazione spirituale della nostra Casa di riposo “San Pio X” con particolare riguardo alla S. Messa nella cappella gentilizia della Villa Ca’ Cornaro, aperta al pubblico di domenica.
Da questa siamo passati alle conferenze di cultura cattolica una volta al mese a livello del Vicariato di Crespano del Grappa. L’occasione è stata la Visita pastorale del Vescovo di Padova, che lamentava la mancanza di cultura religiosa nel Vicariato.
All’inizio del 1995, alcuni amici mi hanno detto: “Fra Luca, van bene le prediche, van bene le conferenze di cultura, però sarebbe ora di fare qualcosa di concreto”. Provvidenzialmente c’era in vacanze in Italia, il compianto fra Piergiorgio Romanelli, medico missionario a Tanguiéta. Il Padre Priore fra Lucio Agostini, suo amico personale, l’ha invitato a Romano una sera a parlarci dei nostri ospedali africani e delle loro necessità. Egli ci parlò soprattutto dei bambini e dei ragazzi rimasti paralizzati alle gambe in seguito alla poliomielite. Anche se era arrivata la vaccinazione, c’era una quantità enorme di questi bambini (una stima sommaria parlava di 4 mila), che provenivano anche da mille chilometri di distanza con la speranza di venire operati all’ospedale dei frati.
Ci siamo attivati immediatamente per raccogliere fondi per questi ragazzi poliomielitici e fra Piergiorgio ha fatto in tempo, prima di morire a Tanguiéta per un incidente stradale (21-12-1995), a mandarci una documentazione fotografica di un certo numero di questi bambini, rimessi in piedi con il nostro sostegno economico.
In seguito è venuto in Italia fra Fiorenzo Priuli, il chirurgo dei poliomielitici. Essendo io, tra l’altro, insegnante di religione nella Scuola superiore New Cambridge Institute, gestita da Giovanni Zanon, che ha sede nella parte artistica di Ca’ Cornaro, sono riuscito a fargli tenere una conferenza con diapositive sulle patologie dei nostri ospedali africani. Per la prima volta nella mia vita di insegnante ho visto un’assemblea di 200 studenti restare ammutoliti per due ore di fronte alle immagini che passavano davanti ai loro occhi increduli e alle parole carismatiche di fra Fiorenzo. È stata un’esperienza veramente toccante e indimenticabile. Ricordo che nel giro di alcuni giorni, grazie soprattutto alla collaborazione dell’insegnante Marisa Bonan Cucchini, mi sono arrivati 15 milioni di lire. La cosa aveva dell’incredibile. L’anno dopo abbiamo ricevuto da fra Fiorenzo una relazione in cui si diceva che nei due ospedali con il nostro aiuto economico erano stati operati complessivamente 365 ragazzi, in media uno al giorno.
A questo punto, i collaboratori laici su menzionati ed io, ci siamo posti la domanda: “Come si può fare per garantire un aiuto continuativo agli ospedali di Afagnan (Togo) e di Tanguiéta ( Benin ) per far camminare i bambini poliomielitici?
Così per la prima volta ci è balenata l’idea di fondare un’Associazione benefica a favore di questi ospedali. A questa decisione ha contribuito il fatto che in Africa c’era un f ate nativo di Romano, fra Taddeo Carlesso. Il parroco, il consiglio pastorale, gli amici e le volontarie della Casa di riposo vedevano volentieri un’iniziativa che valorizzava la missione di un loro compaesano tra i poveri dell’Africa nera.
Intanto, nella primavera del 1995 si era celebrato il Capitolo Provinciale ed il sottoscritto era stato nominato dal Padre Provinciale fra Raimondo Fabello, membro della Commissione di animazione della Provincia Lombardo-Veneta nella sezione delle missioni.
Questo fatto, oltre a farmi fare per un anno delle esperienze nuove di animazione missionaria nelle altre Case insieme con Elvio Basile, mi aveva incoraggiato a lavorare con maggior impegno nella mia. Il Padre Provinciale, messo al corrente nella primavera del 1996 del nostro progetto di creare un’associazione per le missioni, fu largo di consigli e di incoraggiamenti.
Dapprima ci suggerì di contattare l’associazione Amici di Tanguiéta di Milano, presieduta dal dottor Franco Poggio, per vedere se valeva la pena di fare una nuova associazione o era meglio diventare una sezione staccata di quella. Si decise che era meglio fare una nuova associazione autonoma Uniti per Tanguiéta e Afagnan e poi aggregarsi per realizzare meglio dei progetti comuni.
Ho cercato allora di coinvolgere un vecchio amico di Milano, Giorgio Belloni, (purtroppo già deceduto nel 1998) che sapevo sensibile alle necessità dei poveri. Aveva fatto “miracoli” al tempo del terremoto del Friuli, andando personalmente sul posto con operai e volontari a ricostruire Flaipano, piccola frazione di Montenars. Egli aderì con entusiasmo alla nostra iniziativa e convinse a sua volta un amico, abile agente di Borsa, Eros Angelo Mercuriali, a fare altrettanto.
Il 5 settembre 1996 siamo andati a Bassano del Grappa dal notaio Lafasciano in otto persone per firmare tutte insieme l’Atto costitutivo dell’Associazione benefica UNITI PER TANGUIETA E AFAGNAN = U.T.A. I soci fondatori sono: fra Luca Beato Pietro, Giuseppe Andriollo, Fulgenzio Bontorin, Giuseppe Carlesso, Giorgio Maffei, Giovanni Zanon, Giorgio Belloni ed Eros Angelo Mercuriali.
Alla prima assemblea generale del 7 giugno 1997 eravamo in 15 soci ordinari e l’U.T.A. ne è uscita ben costituita con un consiglio di 11 persone: presidente: Eros Angelo Mercuriali, vicepresidente: fra Luca Beato, segretario: Fulgenzio Bontorin, Tesoriere: Remo Facchinello. Consiglieri: Giuseppe Andriollo, Salvatore Carlentini, Giuseppe Carlesso, Ferruccio Lunardon, Marzio Melandri, Fabio Volpato, Giovanni Zanon. Soci ordinari: Giorgio Belloni, Silverio Cerato, Ivano Cavallaro e Don Livio Basso.
Statuto dell’U.T.A.
In base allo Statuto l’U.T.A. è un’associazione benefica senza alcuno scopo di lucro, anche indiretto.
Nessuno dei soci o aderenti ha diritto a compensi per quello che fa a suo favore. Ognuno deve sapere in anticipo che quello che fa lo deve fare per volontariato. L’U.T.A. è apolitica, interconfessionale e interclassista, laica e autonoma nelle decisioni, anche se si adopera di fatto a favore degli ospedali africani dei Fatebenefratelli.
L’U.T.A. viene gestita con la massima chiarezza. Le offerte arrivano sul conto corrente postale o bancario, quindi sono registrate. Il movimento dei fondi raccolti verso gli ospedali africani, prima viene deciso dal consiglio e poi viene effettuato con doppia firma congiunta dal presidente (o vicepresidente) e dal tesoriere. La gestione viene fatta con la massima trasparenza. Il controllo può avvenire in qualsiasi momento da parte del consiglio e una volta l’anno dall’assemblea ordinaria dei soci. Lo studio commercialista del tesoriere Remo Facchinello tiene l’amministrazione dell’U.T.A. a termine di legge.
Tutto questo garantisce all’U.T.A. la massima affidabilità per coloro che intendono aiutare i malati poveri degli ospedali di Afagnan e di Tanguiéta.
A coronamento di ciò l’U.T.A. il 31 gennaio 1998 è andata dal notaio Fietta di Bassano del Grappa per diventare “onlus” cioè un organismo non lucrativo di utilità sociale ed è stata iscritta all’anagrafe delle Onlus (protocollo 42.980: 09-11-2004 ) dalla Direzione regionale delle entrate del Veneto.
Obiettivi principali dell’UTA
L’UTA è sorta per aiutare gli ospedali africani dei Fatebenefratelli a curare i malati poveri, specialmente bambini. In pratica però noi abbiamo chiesto ai nostri missionari quali erano i settori più deboli e bisognosi di aiuto, tenendo conto che le risorse economiche, specialmente all’inizio, erano piuttosto limitate. La prima richiesta che abbiamo ricevuto da fra Piergiorgio Romanelli (1995) è stata a favore dei poliomielitici. La seconda richiesta di aiuto è arrivata da Rosanna Merlo nel 1998 e riguarda i bambini denutriti a rischio di morire di fame. La terza richiesta è venuta pressante da parte di fra Fiorenzo Priuli nel 2004 e riguarda i malati di HIV e AIDS assegnati dall’O.M.S. all’ospedale di Tanguiéta.Contemporaneamente abbiamo realizzato anche altri progetti.
Poliomielitici
Negli ospedali africani di Afagnan e di Tanguiéta un frate medico-chirurgo specializzato, fra Fiorenzo Priuli, può fare il miracolo di “far saltare gli zoppi come cervi” (Isaia), cioè rimettere in piedi i poliomielitici che altrimenti sarebbero condannati a trascinarsi sulle ginocchia. Sono ragazzi rimasti paralizzati alle gambe in seguito alla poliomielite o malformazioni congenite o traumi. Adesso per fortuna questa malattia è quasi debellata, ma di ragazzi in quelle condizioni ce ne sono ancora tanti e arrivano anche da lontano, attratti dalla speranza di poter camminare di nuovo.
Per rimettere in piedi un poliomielitico si richiedono numerosi interventi chirurgici sui tendini con gessi per 20 giorni e poi applicazione di tutori agli arti e ginnastica riabilitativa. Il ricovero in ospedale si prolunga in media per 6/7 mesi ed il costo diventa oneroso.
La spesa media di una giornata di ricovero ospedaliero di un poliomielitico, tutto compreso (vitto, alloggio, medicinali, radiografie, analisi, interventi chirurgici, gessi, attrezzature ortopediche, eccetera), grazie anche allo spirito di intraprendenza dei religiosi, che hanno
creato in loco un laboratorio ortopedico, viene contenuta nella modesta cifra di euro 15,00 al giorno. Rimettere in piedi un poliomielitico costa in media 2.500 euro. Le famiglie sono talmente povere che possono dare al massimo un piccolo contributo pari a 1,50 euro al giorno per la durata di 10-15 giorni e poi basta.
Un ragazzo paralizzato alle gambe non ha i diritti dei coetanei sani: non può andare a scuola e, se diventa adulto, non può sposarsi e farsi una famiglia. La speranza di rimettersi in piedi è promessa di vita e di felicità. Non è raro il caso di ragazzotti rimessi in piedi che prima di lasciare l’ospedale chiedono al chirurgo “la dernière operation” l’ultima operazione, la circoncisione, che li inserisce nel mondo degli adulti e li abilita al matrimonio.
Bambini denutriti
La zona settentrionale del Benin ha un clima che risente l’influsso del Sahara. Mentre la zona del Sud, vicina al mare, gode di due stagioni di pioggia e quindi di due raccolti all’anno, la zona del Nord, dove c’è la cittadina di Tanguiéta, ha una sola stagione di piogge che dura quattro mesi e quindi i contadini portano a casa un solo raccolto. Per di più, se le piogge subiscono delle interruzioni, non tutti i tipi di raccolto arrivano a maturazione e allora comincia anche la carestia più o meno grave. Durante la stagione secca, che dura otto mesi, il caldo diventa torrido, gran parte dei pozzi si secca, tutti si ritrovano nella condizione di lottare per la sopravvivenza, ma quelli che soffrono di più sono i bambini, per diverse ragioni. Anche se il cibo per se non manca, il tipo di alimentazione basilare fatto di riso o mais o miglio con sopra un po’ di sauce è insufficiente a far crescere sano un bambino. I bambini denutriti sono di due tipi: c’è la denutrizione totale per cui il bambino diventa scheletrito e si chiama marasma; poi c’è la denutrizione dovuta a un solo tipo di alimentazione, quindi una malnutrizione, che ingrossa il bambino per trattenimento dei liquidi e si chiama kwashiorkor.
La pediatria di Tanguiéta è stata costruita nel 1980. Essa ha la capacità di 80 letti, ma in Africa i letti non contano, basta una stuoia per terra. In realtà, nella pediatria e nel corridoio antistante ci sono sempre più di 100 mamme con i loro piccoli, sia malati che sani. Le mamme portano all’ospedale i bambini denutriti quando stanno per morire, perché solo allora lo stregone guaritore lo permette, dicendo di provare il fetiche dei bianchi. Questi bambini sono per lo più molto piccoli, uno o due anni. Si tratta di lattanti che le madri non riescono a nutrire a sufficienza perché sono già loro denutrite o perché è cominciata per loro una nuova gravidanza inattesa, che compromette il completamento dell’allattamento del bambino che portano al seno.
Nella pediatria questi bambini vengono sottoposti a terapia intensiva con fleboclisi e nutrizione forzata con sondino naso-gastrico, trasfusioni di sangue, eccetera e si salvano quasi tutti. I costi delle cure in questi 10-15 giorni sono abbastanza alti, almeno 200 euro (15 al giorno). Superata la fase acuta, i bambini, se non hanno altre malattie, vengono trasferiti nel Centro nutrizionale per una lunga convalescenza e ricostituzione fisica.
Il Centro nutrizionale di Tanguiéta si trova di fronte all’ospedale dall’altra parte della strada ed è costituito da quattro abitazioni più un campement che serve ai parenti dei malati per fare da mangiare per sé e per i loro bambini. Il punto di riferimento è sempre la mamma, perciò il Centro nutrizionale si trova nella necessità di provvedere non solo al bambino denutrito, ma anche alla mamma e agli altri bambini che porta con sé.
Esso è anche una scuola di alimentazione. Con i prodotti del suolo locale, che costano poco, si insegna alle mamme a far delle pappe che contengano proteine, vitamine, sali minerali e carboidrati in misura adatta allo sviluppo regolare dei loro bambini. Il latte in polvere di importazione europea, molto costoso, l’ospedale lo riserva ai casi strettamente necessari, ad esempio bambini molto piccoli, rimasti orfani della loro mamma.
Quando i bambini si sono completamente ristabiliti, la mamma riceve un sacco di viveri adatti a far le pappe in modo da favorire il loro reinserimento nel villaggio. La nostra associazione anni fa, su invito della volontaria Rosanna Merlo, ha lanciato l’idea delle adozioni a distanza per il nutrimento e la ricostituzione di questi bambini del Centro nutrizionale: si aderisce con 62 euro l’anno.
Le nostre adozioni sono anonime e collettive, perché i soldi non vanno ai bambini o alle mamme, ma al Centro nutrizionale che garantisce questo tipo di servizio. Su richiesta di fra Fiorenzo, proponiamo le adozioni a distanza anonime e collettive per salvare dalla morte di fame un bambino, sostenendo le cure intensive della pediatria nella fase acuta: servono 200 euro.
Lotta contro l’AIDS
Nella giornata del malato, l’11 febbraio 2005, il Papa ha inviato un messaggio a tutta la cristianità invitandola a farsi carico del grave problema sanitario dell’Africa. “L’Africa è un continente in cui innumerevoli esseri umani – uomini e donne, bambini e giovani – sono distesi, in qualche modo, sul bordo della strada, malati, feriti, impotenti, emarginati e abbandonati. Essi hanno un bisogno estremo di buoni Samaritani che vengano loro in aiuto”. “Tante malattie devastano il Continente, e fra tutte in particolare il flagello dell’AIDS,
che semina dolore e morte in numerose zone dell’Africa”.
Oggi in Africa l’Aids uccide più di qualsiasi guerra. Su circa 40 milioni di malati nel mondo, più di 25 si trovano in Africa. Su 3 milioni di morti, 2,2 sono africani, così come il 75% dei nuovi contagiati. Cifre spaventose, una gravosa ipoteca sul futuro di interi Paesi. Ma qualcosa si può e si deve fare, insieme, per dare una speranza all’Africa.
Il medico chirurgo fra Fiorenzo Priuli, 39 anni di Africa negli ospedali dei Fatebenefratelli, esperto dell’O.M.S. per le malattie tropicali, fin dal 1988 ha ingaggiato la lotta contro l’A.I.D.S. la nuova peste dell’ umanità. Quando gli Africani colpiti dall’AIDS potevano accedere alle cure delle ditte farmaceutiche solo a pagamento, cosa possibile unicamente ai ricchi, fra Fiorenzo ha avuto il merito di scoprire e mettere a disposizione dei malati poveri la kinkéliba (combretum micranthum), un arbusto dalle cui foglie si ricava un decotto, utile per i sieropositivi in quanto rafforza le difese
dell’organismo rallentando il processo di sviluppo della malattia e ridando ai malati la voglia di vivere e di lavorare.
Quando l’O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità) nel 2002 ha prospettato la somministrazione dei medicinali antiretrovirali agli Africani, fra Fiorenzo si è battuto perché gli ospedali incaricati venissero provvisti di apparecchiature e personale specializzato in modo da fare diagnosi certe e controlli sistematici dei malati, come si fa da noi. Questo per evitare sia la faciloneria nella distribuzione, trattandosi di medicinali molto tossici, sia la discontinuità del trattamento che rafforzerebbe il virus invece di combatterlo.
In seguito a ciò, nel 2004, i delegati dell’O.M.S. agenti sul territorio del Togo, del Benin, del Burkina Faso e del Niger hanno individuato quattro ospedali, facenti capo a Tanguiéta e a fra Fiorenzo, forniti di apparecchiature e personale specializzato per stabilire diagnosi certe, gravità della malattia (il famoso T 4), tolleranza dell’organismo, interventi tempestivi nella cura delle malattie opportuniste. Anche questa è una vittoria di fra Fiorenzo, il quale, grazie al dottor Paolo Viganò, aveva da tempo dotato gli ospedali di Afagnan e di Tanguiéta delle attrezzature e del personale tecnico adatto per fare diagnosi certe e controlli periodici rigorosi.
Alla scelta di questo pool di ospedali da parte dell’O.M.S. per la cura di 400 malati di AIDS, ha fatto seguito la decisione dell’associazione benefica Solthis di Parigi di fornire gratuitamente i medicinali antiretrovirali per tre anni. Fra Fiorenzo con l’ospedale St. Jean de Dieu di Tanguiéta si è impegnato a prendere in cura 150 di questi malati, inserendoli gradualmente un po’ al mese per arrivare in tre anni a questa cifra. I malati di AIDS, che presentano le difese dell’organismo inferiori a 200 T4, vengono sottoposti alla triterapia, mentre i malati di HIV, ossia i sieropositivi, si spera non arrivino mai a questa soglia limite, grazie alla kinkéliba il cui impiego è autorizzato dall’O.M.S. per la sua comprovata efficacia nel sostenere le difese dell’organismo.
Ma in Africa i progetti fatti a tavolino vengono normalmente stravolti dalla realtà dei fatti. Appena si è diffusa la voce che a Tanguiéta si curavano i malati di AIDS, una marea di oltre cinquecento malati si è riversata improvvisamente sull’ospedale di Tanguiéta mandando in tilt i servizi ambulatoriali. Fra Fiorenzo ha lanciato un grido di aiuto alla nostra associazione, la quale ha inviato subito un po’ di fondi per affrontare l’emergenza. Così egli ha potuto assumere personale nuovo, organizzare il ciclo mensile delle cure e un sistema di recupero con auto dei malati ritardatari all’appuntamento mensile.
Attualmente (2008) nell’Ospedale di Tanguiéta i malati di AIDS sottoposti ai medicinali antiretrovirali mensili sono quasi 500 e quelli trattati con la kinkéliba sono circa 1.000: complessivamente sono quasi 1.500, ben 10 volte più del previsto!
L’UTA si è fatta promotrice di una raccolta di fondi apposita proponendo la modalità dell’adozione del posto letto, tenendo conto che il costo medio giornaliero è di 15 euro.
Far funzionare nel tempo delle strutture sanitarie in paesi così poveri richiede continui miracoli e l’UTA in questi anni ha cercato di porre le basi perché si realizzino giorno dopo giorno.
L’UTA ha sempre avuto come fine primario assicurare dei fondi agli ospedali dei Fatebenefratelli nel Togo e nel Benin per i ragazzi poliomielitici, per i bambini denutriti, per i malati poveri di AIDS.
Questi tre obiettivi restano i punti principali di riferimento degli aiuti dell’UTA agli ospedali africani pur realizzando altri progetti.
All’inizio della nostra attività ci è stato segnalato il problema del pozzo di Afagnan che dava acqua salata. Abbiamo avuto la fortuna di conoscere il geologo Angelo Bernardi di Castelfranco Veneto, che tanti anni fa per conto dell’ONU ha studiato le mappe sotterranee del Togo e del Benin. Egli ci fece il progetto di una perforazione di 400 metri
nel terreno dell’ospedale di Afagnan, con l’accorgimento di impermeabilizzare le falde superiori che sono salate. Nell’autunno del 2001 la bella notizia: finalmente è sgorgata l’acqua dolce per l’ospedale e per i due villaggi di Afagnan-ga e di Afagnan-bletta.
Nel 1997 l’UTA ha erogato 20 milioni di lire per la ristrutturazione del reparto di radiologia dell’ospedale di Tanguiéta e nel 1999 altri 30 per la ristrutturazione del reparto di radiologia dell’ospedale di Afagnan.
Nel 1998 è stato elargito un contributo 15 milioni di lire per la ristrutturazione dell’ospedale di Lunsar (Sierra Leone) distrutto dai guerriglieri.
Nel 2000 sono stati erogati 70 milioni di lire per costruire una casa per i medici a Tanguiéta.
Nel 2001 l’associazione ha raccolto fondi per costruire la scuola elementare cattolica di Tanguietà, onde poter garantire un’istruzione primaria ai ragazzi, ai figli dei medici e degli infermieri africani che lavorano all’ospedale. Con l’aiuto del Comune di Romano d’Ezzelino abbiamo raccolto 80 milioni di lire per la costruzione di sei aule scolastiche più il bureau delle classi elementari. Da allora l’UTA ha elargito anche diverse Borse di studio.
Nel 2002 abbiamo dato 90 milioni di lire più altri 30 ottenuti dall’Associazione Memorial Marilena di Brescia, per la costruzione di due piccoli padiglioni del Centro sanitario di Porga.
Nel 2004 un altro intervento è stato il finanziamento di 20.000 euro per l’acquisto di un generatore elettrico per l’ospedale di Afagnan. Quello per Tanguiéta ci è stato donato da Andrea Campagnolo. L’intervento si era reso necessario in seguito alla crisi della diga di Akosombo (Ghana). Ciò ha permesso di dare continuità all’alimentazione elettrica delle strutture e quindi di operare nelle giuste condizioni.
Nel 2005/6 sono stati erogati € 20.000 per un’aula di scuola per i ragazzi malati lungodegenti di Tanguiéta ed inoltre € 33.000 per la costruzione di un laboratorio per la lavorazione delle erbe medicinali africane a Tanguiéta.
Nel 2006 è stata finanziata con € 20.000 la trivellazione di un pozzo d’acqua potabile a Porga.
Nel 2007 sono stati elargiti € 20.000 per la ristrutturazione del Centro nutrizionale di Tanguiéta in memoria della dottoressa Giovanna Binda dell’ospedale dei Fatebenefratelli di Erba.
Nel 2008 si sta per procedere ad un grosso finanziamento per il rinnovo dell’impianto elettrico di Tanguiéta e poi si continuerà con la ristrutturazione della pediatria dell’ospedale di Afagnan e con un nuovo pozzo per Tanguiéta.
All’assemblea dei soci dell’UTA Onlus, tenutasi a Romano d’Ezzelino domenica 30 marzo 2008, i soci ordinari, compresi i consiglieri, erano 46 con un incremento di quattro nuovi soci rispetto al periodo precedente. I soci benemeriti erano 182 registrando un incremento di 30 nuovi soci rispetto all’anno precedente.
Gruppi formali e informali che aiutano l’UTA
A Erba (Como) presso l’ospedale dei Fatebenefratelli per iniziativa del primario di Chirurgia dr. Stefano Savio, socio benemerito dell’UTA Onlus, è sorto un gruppo di medici e industriali che raccoglie fondi per la ristrutturazione e l’ampliamento del Centro nutrizionale di Tanguiéta per onorare la memoria della defunta dr.ssa Giovanna Binda. Il progetto è già stato realizzato. Le sorelle della dottoressa Binda, Antonietta e Gioconda, continuano nella raccolta dei fondi per i bambini africani ammalati della pediatria e del Centro nutrizionale.
Sempre a Erba il dottor Giuseppe Perone, che da una decina d’anni va in Africa da fra Fiorenzo per fare operazioni agli occhi di adulti e di bambini altrimenti condannati alla cecità, ha lanciato un’iniziativa per aiutare l’ospedale di Tanguiéta. L’Università di Pavia e i Lions di Milano e della Brianza hanno creato un’Associazione intitolata al cattedratico di Pavia morto di recente prof. Francantonio Bertè con lo scopo di raccogliere fondi in parte per la ricerca scientifica dell’Università di Pavia e in parte all’UTA per i bambini malati poveri di Tanguiéta. Già sono arrivati all’UTA Onlus diversi bonifici.
A Brescia prosegue la sua azione il gruppo informale che da qualche buon frutto, specialmente con tante adozioni a distanza dagli operatori dell’ospedale Sant’Orsola con il Concerto annuale di Gospel e la Lotteria dell’UTA.
Un nuovo gruppo è sorto a Pian di Borno (Brescia), per iniziativa del dottor Roberto Cazzaniga, che va spesso in Africa da fra Fiorenzo. Con il parroco don Giovanni Isonni e Marisa Priuli, sorella di fra Fiorenzo, hanno dato all’UTA ONLUS un buon contributo e intendono continuare.
La Caritas bresciana ha dato nel 2007 un buon contributo grazie ai panificatori bresciani, capeggiati dal signor Dangolini, amico di fra Fiorenzo e questo è migliorato nell’anno in corso: per costruire la nuova cucina di Tanguiéta.
Anche il gruppo di Cervia, guidato dalla signora Fiorella Placucci, ha fatto delle belle iniziative a favore dell’associazione.
Da non dimenticare il gruppo di Fonzaso, stimolato dalla nostra socia Anna Carraro.
Il cantante di Putignano (Bari), Andrea Giglio, con la vendita di un suo CD ha dato, insieme con i suoi amici, un bell’aiuto per fra Fiorenzo.
Don Ilario Cappi, Cappellano dell’Ospedale di Modena, oltre ad avere dato soldi nel 2007 e inviato infermieri in Africa da fra Fiorenzo, con il suo Gruppo missionario di Merano ha dato un forte contributo all’UTA per l’ospedale di Tanguiéta a favore dei bambini della pediatria e per la costruzione di un ambiente murario dove troverà collocazione l’apparecchio che produce ozono, offerto dal dottor Galoforo dell’Associazione O 3 for Africa di Brescia.
Novità
La prima novità assoluta dell’UTA consiste nel fatto che fra Fiorenzo all’inizio del 2007 ha cominciato a indirizzare alla nostra Associazione gli aiuti economici di varie Associazione e Fondazioni nazionali ed internazionali, e precisamente:
- GENEVA FOUNDATION, di Ginevra: aiuti per la sala operatoria;
- UNIDEA, Fondazione di Unicredito, Milano – Ambulanza;
- ASSOCIAZIONE PASSERELLES, Francia, per lavori di sala operatoria;
- FONDAZIONE CHARLEMAGNE, sezione italiana, per laboratorio fitoterapico.
La scelta di fra Fiorenzo è stata determinata dal fatto che per lui era difficile gestire i rapporti con questi Enti; avere sempre sotto mano la situazione per quanto riguarda: i versamenti/contributi ricevuti, l’avanzamento dei lavori, le somme spese.
Da quest’anno l’UTA è in grado di fornire a questi Enti lo stato della situazione con grande precisione e trasparenza.
La seconda novità è che la Provincia Lombardo-
Veneta dei Fatebenefratelli ha scelto la nostra Associazione come unico ufficiale gestore dei pagamenti delle fatture di medicinali e materiale sanitario destinato agli ospedali africani.
Dal 2007 sia la Provincia Lombardo-Veneta sia l’UTA Onlus non accreditano più i versamenti di danaro sulla Banca di Parigi, di Afagnan e di Tanguiéta.
La Banca Popolare di Marostica con cui opera l’UTA Onlus è stata incaricata di pagare le fatture emesse in Italia per acquisto di medicinali, materiale sanitario, materiale edilizio, eccetera per gli ospedali africani. Il Padre Provinciale stesso versa, ogni tanto, dei soldi (offerte ricevute e/o pensioni dei Religiosi anziani) sul conto bancario dell’UTA Onlus per pagamenti da effettuare.
Per il direttivo e i soci dell’UTA Onlus è motivo di grande onore e soddisfazione godere la stima e la fiducia del Padre Provinciale, fra Giampietro Luzzato.
Iniziative dell’UTA ONLUS
La direzione dell’UTA Onlus invia trimestralmente una lettera circolare a circa 1.400 persone selezionate. Questa iniziativa serve a tenere informate le persone a noi affezionate su tutte le nostre iniziative, sulla vita associativa, sulla raccolta e sulla erogazione dei fondi e sulle notizie che ci arrivano dall’Africa. Ad ogni offerente viene inviata una lettera personale di ringraziamento; a richiesta, la direzione rilascia una dichiarazione ai fini della deduzione dalla denuncia dei redditi.
Il calendario delle iniziative stabilito dal consiglio UTA è il seguente:
la cena del radicchio trevisano in febbraio, la cena dell’asparago bianco di Bassano in aprile,
la cena del pesce con l’aiuto della pescheria Luca Bertoncello di Cassola in novembre,
la serata del vino novello a novembre presso le Cantine Dal Bello in Fonte Alto,
la festa dell’UTA alla fine di marzo con la sottoscrizione a premi e l’assemblea annuale dei soci.
A Romano d’Ezzelino ha preso l’avvio con grande successo la “Marcia del sorriso” che coinvolge le scuole medie e si ripeterà ogni anno l’11 novembre.
Anche l’iniziativa di Nicola Farronato & C. “Back 2 Africa”, viaggia di successo in successo convogliando alla festa 5.000 giovani e ci fa ben sperare nel futuro.
Il direttivo dell’UTA è impegnato a promuovere iniziative per valorizzare la figura di fra Fiorenzo Priuli, medico-chirurgo, 39 anni di Africa, consulente dell’O.M.S. per le malattie tropicali e insignito (2002) della “Legion d’Onore” a Lomé dall’Ambasciatore francese per benemerenza del lavoro svolto in Togo e in Benin. Inoltre, gli è stato attribuito il premio
“Cuore Amico” a Brescia nel 2004.
Con lui testimonial si è riusciti a far conoscere e diffondere l’UTA onlus mediante la stampa e la televisione non solo locale ma anche nazionale. Ne parla Telepace; RAI-TV primo canale nella rubrica: Dieci minuti di… RAI-TV secondo canale nella rubrica: Sulla via di Damasco… Tutto questo grazie all’interessamento di fra Marco Fabello, Direttore Generale dei due ospedali Fatebenefratelli di Brescia e Direttore della Rivista Fatebenefratelli.
Mediante le conferenze di fra Fiorenzo, organizzate dall’UTA, nel periodo che passa in Italia, abbiamo fatto conoscere i problemi degli ospedali africani e il sostegno economico
che da loro la nostra Associazione benefica, non solo a Romano Ezzelino e zone limitrofe, ma anche nelle altre case della Provincia Lombardo-Veneta, all’ospedale di Melegnano,
all’istituto del Pime (Milano) e perfino a Roma all’istituto Padre A. Gemelli e in Campidoglio.
Nel decimo anniversario della sua fondazione l’UTA ha provveduto alla pubblicazione di un libro per far conoscere i bisogni della gente africana delle zone di influenza dei nostri due ospedali di Afagnan nel Togo e di Tanguiéta nel Benin ed anc he tutto quello c he ha f atto la nostr a Associazione benefica a favore dei malati di questi ospedali. Siccome 10 di noi nel 2001 sono andati nel cuore dell’Africa per rendersi conto della situazione e dell’opera che svolgono gli ospedali dei Fatebenefratelli e sono tornati sconvolti dalle miserie che hanno visto, ma anche decisi a darsi da fare sul serio per aiutare i malati poveri, specialmente bambini, di comune accordo l’abbiamo intitolato Africa nel cuore. Ne abbiamo fatto una prima presentazione a Romano nel 2006 con il giornalista Elio Cadelo, amico di fra Fiorenzo, che continua a parlare di noi su RAI radio uno nella rubrica “Pianeta
dimenticato”. Con i LIONS della Pedemontana di Asolo siamo riusciti anche a farne una presentazione (2007) a Roma in Campidoglio di fronte al vicesindaco Maria Pia Garavaglia. Questo libro è per noi oggi un significativo biglietto da visita per trovare nuovi aderenti e benefattori.
In conclusione, la nostra associazione è in continua crescita per l’arrivo di nuovi soci ordinari, di nuovi soci benemeriti e di un buon numero di nuovi offerenti.
Nella raccolta e nell’erogazione dei fondi, ogni anno superiamo largamente la quota degli anni precedenti, fino al superamento della soglia dei € 500.000,00. Tutto questo grazie all’impegno dei soci per sostenere le iniziative tradizionali e per crearne sempre di nuove. Di questo ringraziamo il Signore, ma anche tutti coloro che in vario modo ci aiutano nel raggiungimento delle nostre finalità umanitarie.
Ufficio Missioni
La Provincia Lombardo-Veneta dei Fatebenefratelli, che ha fondato gli ospedali di Afagnan nel 1961 e di Tanguiéta nel 1970 ha sempre compiuto un rilevante sforzo per far funzionare questi ospedali e curare davvero i malati poveri. Per il tempo degli inizi posso dare la mia testimonianza diretta in quanto sono stato incaricato di provvedere a inviare medici, infermieri professionali, medicinali, materiale sanitario, eccetera. Ho fatto anche due viaggi e soggiorni in Africa per rendermi conto delle necessità (1971/72 ). Con l’invenzione dei containers la spedizione delle merci è diventata sicura e non si sono più avuti furti o rotture di casse.
Negli anni ottanta la curia provinciale ha visto la necessità di creare un ufficio delle missioni e l’ha affidato al signor Elvio Basile, che aveva maturato precedenti esperienze con i Padri Comboniani.
La Banca dell’UTA, per volere del Padre Provinciale, fra Giampietro Luzzato, paga tutte le fatture di medicinali e materiale sanitario, ma la preparazione dei containers e le pratiche giuridiche e burocratiche delle spedizioni le svolge l’ufficio missionario.
Ospitalità a servizio dell’evangelizzazione
Lo scopo primario dell’azione ospedaliera dei Fatebenefratelli è sempre e dappertutto l’annuncio del Regno di Dio: l’amore misericordioso del Padre che si manifesta nei “segni” di amore dell’ospitalità svolta dal nostro Ordine ospedaliero. Questa testimonianza di amore per i malati, i poveri e i bisognosi l’Ordine ospedaliero attualmente la svolge in circa 300 opere di tutto il mondo, di cui oltre 50 sono nei Paesi in via di sviluppo.
I Fatebenefratelli hanno sempre davanti l’esempio di Gesù nel compimento della sua azione messianica a favore degli oppressi, dei poveri, dei malati, degli emarginati, nonché il carisma dell’ospitalità del loro fondatore San Giovanni di Dio (1495-1550), uomo ricco di umanità, vero discepolo di Gesù e lo propongono come modello da imitare ai loro collaboratori e a tutti i cristiani La cura dei malati è per il Cristianesimo come un biglietto da visita. Essa mostra con i fatti la bontà del Dio dei cristiani. I Fatebenefratelli in Africa curano i malati, specialmente quelli poveri. Questo fatto parla da solo e fa riflettere la gente: “Perché queste persone non lavorano per fare soldi, ma unicamente per fare del bene a gente che ne ha bisogno?”
Il vescovo di Natitingou, mons. Pascal Nkoue, ha riconosciuto ufficialmente che la carità che si esercita nell’ospedale dei Fatebenefratelli di Tanguiéta è alla base di tante con versioni al cattolicesimo nella sua Diocesi.Visitando gli ospedali africani, abbiamo notato che durante le cerimonie religiose la chiesa è sempre gremita di gente. Non sono tutti cristiani, anzi la maggior parte non lo è affatto, ma si tratta di gente che vuole esprimere la propria ammirazione e riconoscenza verso la bontà del Dio dei cristiani.
La scelta degli ultimi
Quando nel 1960 i Fatebenefratelli hanno deciso di andare a curare i malati in Africa, hanno fatto delle scelte ben precise:
- Hanno deciso di fare degli ospedali veri e propri, e non soltanto dei dispensari, perché solo così si possono salvare delle vite umane.
- Hanno costruito gli ospedali nelle zone povere e sguarnite di assistenza, indicate dalle autorità locali e li hanno attrezzati a dovere.
- Hanno deciso di andare a curare i malati poveri, seguendo l’esempio del loro Santo Fondatore Giovanni di Dio. I ricchi potevano farsi curare anche senza l’intervento dei Fatebenefratelli.
La scelta dei Fatebenefratelli è stata coraggiosa ed impegnativa. Curare i malati poveri, infatti, comporta l’impegno a reperire fondi in continuazione, anno per anno per coprirne le spese. E vi assicuro che non è mai stato facile.
Ci sono degli enti (istituti religiosi, fondazioni, ong, onlus, eccetera) che finanziano e/o realizzano progetti di ospedali, di dispensari, ma poi nessuno si prende cura di farli funzionare e così in breve tempo diventano regno delle scimmie e dei topi. Ma i Fatebenefratelli, curano davvero i malati poveri.
Citiamo la testimonianza del nostro missionario fra Gilberto Ugolini, intervistato dalla TV di Bassano del Grappa nel mese di marzo 1998, poco dopo la sua liberazione dalle mani dei guerriglieri della Sierra Leone: “Dai nostri ospedali non è mai stato respinto nessuno perché non aveva soldi da pagare”. Ma qualcuno dirà: “A più di quarant’anni dall’indipendenza, non sono migliorate le condizione di vita della gente del Togo e del Benin?”
Veramente si sono verificati tanti miglioramenti: ci sono religiosi africani in buon numero; ci sono medici e infermieri africani; è in atto una graduale emancipazione dell’Africa dalla Provincia–madre, mediante la creazione della Provincia Africana, guidata da fra Robert Chakana. Ma la situazione economica del Togo e del Benin dall’indipendenza ad oggi è sempre peggiorata. Basti dire che la moneta locale, legata al Franco francese, alla fine degli anni ottanta è stata svalutata del 50%. Questo significa che da un giorno all’altro la gente si è ritrovata il doppio più povera di prima.
Anche attualmente si teme una svalutazione di grosse dimensioni. Fra Fiorenzo ci ha avvertito di non inviare soldi sui conti correnti bancari degli ospedali in Africa, ma di tenerli nella nostra Banca in Italia: ci invierà qui le fatture da pagare, a scanso di brutte sorprese.
Solidarietà umana e carità cristiana
La solidarietà trae le sue origini dal fatto che siamo tutti uguali, tutti della medesima natura con i medesimi diritti e doveri. Nella società civile si è sviluppata molto la filantropia, l’aiuto dei ricchi verso i poveri fatto spontaneamente. Tanti ospedali, orfanotrofi, case di r iposo per anziani de vono la lor o origine alle donazioni di uno o più benefattori. Grazie a questi grandi benefattori, tanti istituti religiosi, hanno potuto curare i malati, assistere i vecchi, gli orfani e dare un’istruzione ai poveri.
L’UTA per statuto è aperta a tutti, basta che siano sensibili alle necessità dei poveri. Di fatto però è costituita per la stragrande maggioranza da gente laica cattolica e nel programma della festa annuale è sempre inserita la S. Messa. Con tutto il rispetto di chi non è praticante, o fa fatica a credere, o crede ma non si identifica tanto con questa Chiesa storica, ritengo opportuno anche dire che cosa aggiunge di significativo lo spirito cristiano nella pratica della solidarietà, qual è il suo valore aggiunto. Cristo ci ha rivelato il vero volto di Dio, che è Padre buono e misericordioso verso tutti gli uomini e chiama tutti a far parte della sua famiglia, a vivere nella fiducia e nella gioia dei figli di Dio. Dal dono della figliolanza divina pervenutaci attraverso la fede, il Battesimo e il dono dello Spirito deriva la fratellanza umana. Tutti i credenti in Dio e in Gesù Cristo costituiscono un solo corpo che è la Chiesa, di cui Cristo è il Capo (1Cor 12, 12 ss).
Come dobbiamo amare i fratelli? Come li ama Dio! Quindi, quanto a estensione, dobbiamo amare tutti, anche quelli che noi definiamo nostri nemici, perché Dio non ha nemici, ma solo figli da salvare. Inoltre, quanto a intensità, dobbiamo amare i fratelli come fa Dio con noi. Dobbiamo, perciò, amare il prossimo con amore gratuito, che non si aspetta ricompensa: aiutare anche economicamente quelli che non hanno la possibilità di restituire, quindi i poveri, i malati, i bisognosi. Noi aspettiamo la nostra ricompensa da Dio,
alla fine dei tempi, perché l’elemosina che facciamo, la facciamo a Cristo presente nei poveri e nei sofferenti (Mt 25, 34-36).
La tradizione cristiana più genuina, per tutti i secoli passati, ha realizzato quello che sinteticamente ha indicato san Giovanni Crisostomo: “Vuoi onorare il Corpo di Cristo? Non trascurarlo quando si trova nudo. Non rendergli onore qui nel tempio con stoffe di seta per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità. Infatti colui che ha detto “questo è il mio corpo” è il medesimo che ha detto “voi mi avete visto affamato e mi avete nutrito”… “A che serve che la tavola eucaristica sia sovraccarica di calici d’oro, quando Lui muore di
fame?”.
Associazioni che aiutano i Fatebenefratelli
A sostegno della Provincia Lombardo-Veneta ci sono quattro associazioni benefiche onlus che aiutano gli ospedali africani. Queste per loro natura e per statuto sono aperte a tutte le persone di buona volontà: quindi non sono politiche, non sono religiose, non hanno il minimo scopo di lucro; sono libere, autonome e si basano sul volontariato; la loro finalità
principale è quella di raccogliere fondi per finanziare progetti di supporto e di aiuto agli ospedali africani di Afagnan e di Tanguiéta.
AMICI DI TANGUIETA,Presidente Carloluigi Giorgetti, fondata il 9 ottobre 1984 con sede in Milano, Via San Vittore, 12. Si occupa principalmente della formazione del personale medico e infermieristico. Ha finanziato progetti significativi: pediatria di Tanguiéta, case per i medici, casa di accoglienza, eccetera.
UNITI PER TANGUIETA E AFAGNAN = U.T.A. Presidente dr. Marzio Melandri, fondata a Bassano del Grappa (Vicenza) il 5 settembre 1996 con sede in Via Ca’ Cornaro, 5 a Romano d’Ezzelino. Si occupa principalmente del recupero dei bambini poliomielitici,
dei bambini che rischiano di morire di fame e dei malati di A.I.D.S.
GRUPPO VOLONTARI OSPEDALIERI PER L’AFRICA = G.V.O. Presidente Mauro Rosa, fondata nel 1997 con sede in Ponti sul Mincio (Mantova). Un gruppo di ortopedici che spesso vanno ad aiutare fra Fiorenzo Priuli specie per i poliomielitici.
GRUPPO SOLIDARIETÀ AFRICA = G.S.O. Presidente dr. Paolo Viganò, costituita nel 1997, anche se operante da tempo, con sede a Seregno (Milano). Un gruppo di medici che ogni tanto va ad aiutare fra Fiorenzo Priuli. Come virologi hanno fatto ricerche sull’A.I.D.S. in Africa, fornito attrezzature di laboratorio analisi e formato personale tecnico.
Queste quattro Associazioni benefiche, diventate poi onlus nel 1998, ossia organizzazioni non lucrative di utilità sociale, si sono federate tra di loro per finanziare progetti in comune a favore degli ospedali africani, perciò il 27 ottobre 1997 hanno costituito la FAMAF = Federazione Associazioni missioni africane Fatebenefratelli con sede a Milano,Via San Vittore, 12 con presidente il dr. Franco Poggio.
Al convegno di Monguzzo (Como), 11-13 giugno 1999, ci siamo resi conto “de visu” che ci sono altri gruppi che aiutano gli ospedali africani: in Svizzera, in Francia e in Olanda. La Provvidenza è veramente grande!
Storia del pozzo di Afagnan (Togo)
La storia del pozzo di Afagnan assomiglia un po’ ai fioretti di San Francesco: una serie di vicissitudini, che aggravano sempre più la situazione, e finalmente un finale in gloria per l’intervento inaspettato e provvidenziale di un “deus ex machina” che risolve il problema quasi con la bacchetta magica. Mi riferisco unicamente alle mie conoscenze, altri magari potrebbero aggiungere tante altre cose. Quando sono andato in Africa la prima volta nel 1971 il Padre Priore di Afagnan, fra Onorio Tosini, mi ha portato a visitare il pozzo. Nella zona bassa del paese, verso il fiume Mono, era stata effettuata molti anni prima dai francesi una trivellazione di alcune centinaia di metri che faceva sgorgare acqua in abbondanza. Ho visto all’esterno del pozzo una grossa pozza dove molte mamme lavavano i loro bambini e tanti ragazzetti facevano il bagno. Mi fu detto che gli africani non usavano lavarsi ogni giorno solo la faccia come fanno tanti di noi, ma: o tutto o niente! E là, avendone la possibilità, si lavavano abbondantemente ed era una gioia vederli perché si divertivano come ad una festa.
Per portare l’acqua all’ospedale c’era una pompa e una conduttura abbastanza lunga. L’ospedale comunque era ben rifornito. Veniva riempito il chateaux d’aux e tanti serbatoi sul tetto, per cui aveva anche una certa autonomia in caso di guasto alla pompa.
Il pozzo dei francesi un triste giorno franò e di acqua non ne uscì più neanche una goccia.
Le autorità civili si mossero e fecero fare un’altra perforazione, ma la malasorte volle che uscisse acqua salata. Diciamo malasorte, ma poi vedremo che fu ignoranza e presunzione di sapere le cose senza documentarsi.
L’acqua salata creò problemi sanitari nei due villaggi di Afagnan-ga e Afagnan Bletta, primo fra tutti la pressione alta. L’acqua salata usata in ospedale per le pulizie del pavimento corrodeva i piedi dei letti dei malati. Sia l’ospedale che la popolazione dovevano andarsi a rifornire di acqua potabile più lontano con grave disagio. Presso l’ospedale trovarono facile mercato i venditori di acqua potabile. Tramite la Croce Rossa Italiana arrivò ad Afagnan un impianto di desalinizzazione che, alla prova dei fatti, si rivelò troppo sproporzionato per le esigenze idriche da soddisfare e così oneroso che ogni litro d’acqua costava come una bottiglia di champagne. Così, nel 1997 arrivò a Romano d’Ezzelino fra Fiorenzo Priuli e sottopose alla neonata UTA il progetto di un pozzo a 11 chilometri di distanza, più conduttura d’acqua e rete elettrica dal costo di un miliardo di lire.
Dopo un primo impatto scioccante, ci siamo dati da fare.
Tramite l’amico comune ing. Giuseppe Mozzi, riuscimmo a portare da noi a Romano il geologo Angelo Bernardi di Castefranco, che molti anni addietro aveva studiato le mappe sotterranee delle falde acquifere del Togo e del Benin. Appena gli abbiamo spiegato il problema, gli venne in mente di essere stato all’ospedale di Afagnan e di essere stato ben accolto da un frate, che gli aveva offerto perfino uno spuntino di pane e soppressa. Noi in quel frate così ospitale abbiamo ravvisato subito la figura del Priore, l’amegan fra Onorio Tosini.
Poi ci disse, quasi meravigliato: “Perché volete andare a cercare l’acqua così lontano, quando ce n’è in sovrabbondanza proprio sotto l’ospedale?”.“Ma è salata!” – gli rispondemmo in coro.“No! – disse – è salata solo la falda superiore, ma se si va giù fino a tre-quattro cento metri, si trova l’acqua del mestriziano, l’acqua che scendendo dai monti verso il mare lungo la roccia sotterranea, si è accumulata sotto la sabbia ed ha una forte pressione per cui facendo una perforazione essa sale fino a 50 metri dal livello del terreno. Per cui le pompe basta metterle poco più giù di quel livello. Il vero problema era quello di impermeabilizzare le falde superiori durante la perforazione in modo che non inquinassero l’acqua della falda inferiore. Se sgorgava acqua salata dalla perforazione in attività, era perché la ditta che aveva eseguito i lavori non aveva usato questo accorgimento.
Nel parlare delle pompe fra Fiorenzo disse che ce ne volevano due per dare l’acqua non solo all’ospedale ma anche ai due villaggi. Sentendo questo Angelo si illuminò in volto e disse: “Voi sì che lavorate bene! Ho fatto tanti pozzi per i musulmani quand’ero in Africa, ma essi non hanno mai dato una goccia d’acqua a nessuno che non fosse dei loro. Perciò il progetto ve lo faccio gratis.
Finalmente la “Cooperation Francese”, vedendo che il progetto riguardava non solo un ospedale privato, ma anche due villaggi del Togo, lo considerò un’opera sociale di sviluppo che rientrava nelle sue competenze. E fece tutto a sue spese.
Così, finalmente, verso la fine del 2001, fra Fiorenzo ci comunica la bella notizia che il pozzo di oltre 300 metri di profondità, scavato nel terreno dell’ospedale, ha cominciato a sgorgare. La sua acqua dolce, senza traccia alcuna di sale, è migliore di quella minerale, se ne può pompare quanta se ne vuole, perché la sorgente è praticamente inesauribile.
Scuola elementare di Tanguiéta (Benin)
Negli anni ‘80 nel Benin le scuole cattoliche erano state chiuse perché lo Stato con gli aiuti della Russia aveva reso obbligatoria a tutti la scuola pubblica. Nel 1989 con la caduta del muro di Berlino, la Russia cessò di dare aiuti ai Paesi africani e le scuole morirono perché gli insegnanti non pagati smisero di insegnare.
Fra Léopold Gnami ci ha fatto presente la richiesta del vescovo di Natitingou, mons. Pascal Nkoue, che oltre a rispondere a un’esigenza dei cattolici, soddisfaceva a un diritto fondamentale della popolazione e favoriva la continuità della presenza di medici e infermieri nell’ospedale di Tanguiéta perché offriva l’istruzione dell’obbligo ai loro bambini.
Questo fatto ha convinto l’U.T.A. a realizzare il progetto della Scuola elementare di Tanguiéta con un finanziamento di £ 80 milioni.
Il Comune di Romano d’Ezzelino, usufruendo della Legge dell’8 per mille riguardante gli Enti locali, ha finanziato la costruzione di un’aula (su sei) di detta scuola. Ma la cosa più bella e sorprendente l’hanno compiuta i ragazzi delle scuole elementari e medie di Romano. Sotto Natale hanno fatto le loro mostre-mercato ed hanno raccolto una considerevole somma per la scuola elementare.
Da lì poi è sorta l’idea dei nostri ragazzi di continuare ad aiutare i loro coetanei africani con l’invio di materiale scolastico ed anche giocattoli. Da diversi anni, infatti, dietro indicazione di fra Fiorenzo, i ragazzi forniscono i soldi per pagare il maestro che coadiuva con suor Carmen all’insegnamento nella piccola scuola, finanziata dall’UTA e situata accanto alla pediatria dell’ospedale, a favore dei ragazzi malati lungodegenti.
Padiglioni del Centro sanitario di Porga (Benin)
Sulle ali dell’entusiasmo per il successo ottenuto con la scuola elementare, l’U.T.A. ha accolto la richiesta di fra Léopold Gnami di finanziare la costruzione di due piccoli padiglioni del centro sanitario di Porga per la somma di € 60.000 nell’arco di due anni. Porga è un villaggio che sorge a 65 chilometri a Nord-Ovest di Tanguiéta, al confine con il Burkina-Faso.
Questo nuovo centro sanitario farà da filtro all’ospedale di Tanguiéta per i casi più leggeri di malati del Nord del Benin e del vicino Burkina Faso. Il progetto nasce dalla storia commovente dell’anziano Capo villaggio di Porga, di nome Kah Kiansi, un lebbroso curato e tenuto in vita a lungo da fra Fiorenzo. Questo capo villaggio ha concesso un grande appezzamento di terreno all’ospedale di Tanguiéta perché i Fatebenefratelli facessero un piccolo ospedale al suo paese. Siccome poi in quella zona si faceva il mercato, cosa importantissima per il villaggio, ma di grande disturbo per un ospedale, egli è riuscito a convincere la popolazione a spostare il mercato dalla parte opposta.
Verso la fine del 2003 il suo sogno è stato realizzato. Peccato che non sia riuscito a vederlo con i suoi occhi essendo nel frattempo deceduto. Ma il suo merito rimane comunque. A Porga all’inizio funzionava un dispensario che lavorava principalmente per le mamme. Così abbiamo visto Porga nel mese di agosto 2001. Era in costruzione la maternità con un finanziamento dell’associazione svizzera “Frères des nos frères”.
Con l’intervento dell’UTA, aiutata dall’associazione bresciana “Memorial Marilena” si è poi costruita la pediatria e il reparto di degenze per adulti.
Volontariato gratuito o retribuito
Gli Italiani sono molto sensibili e generosi, ma poi si chiede preoccupata: Questi soldi arriveranno a destinazione? E poi, quanti ne arriveranno davvero?
La maggiore preoccupazione riguarda proprio la gestione di questi fondi. Infatti i nostri missionari ci riferiscono che i funzionari della FAO e dell’UNICEF ricevono stipendi da nababbi, viaggiano con macchine di lusso, alloggiano in alberghi di cinque stelle, hanno insomma un tenore di vita lussuoso che stride enormemente con la miseria delle popolazioni tra le quali vengono mandati. È uno scandalo che fa ricordare il ricco epulone e il povero Lazzaro del Vangelo!
La conclusione è tremenda ed è documentata dai bilanci annuali di queste organizzazioni: l’UNICEF divora per l’apparato organizzativo il 60% delle risorse stanziate dall’O.N.U. e la FAO, peggio ancora, se ne mangia l’80%! L’anno scorso la FAO ha minacciato di dichiarare fallimento!
In questi giorni è contestata dai poveri del terzo mondo, perché non fa nulla per loro (aprile 2008). I funzionari di queste grandi organizzazioni si godono la vita alle spalle della povera gente!
Cari lettori, notate bene la differenza tra gli organismi basati sulla professionalità stipendiata e quelli basati sul volontariato, come la nostra associazione onlus U.T.A.
La nostra associazione è giovane e piccola, ma i fondi che raccoglie li invia interamente alla destinazione prefissata. I bambini malati sono al centro della nostra attenzione, noi non teniamo niente per l’organizzazione, non abbiamo segretarie stipendiate, non ci sono gettoni di presenza per i Consiglieri, non ci sono premi di produzione per i Soci più attivi. Se qualcuno di noi va in Africa a visitare gli ospedali si paga il viaggio e si sdebita dell’ospitalità dei Frati lasciando in Africa anche il guardaroba leggero che si era comprato per l’occasione.
Piccola scuola adiacente alla pediatria di Tanguiéta
Terminata la scuola cattolica elementare di Tanguiéta, ci siamo resi conto che l’ospedale aveva esigenza di un’altra scuola per i ragazzi lungodegenti della pediatria dell’ospedale di Tanguiéta. Nel mese di giugno del 2003 sono passato da Tanguiéta con fra Luigi Galatà le Suore che gestiscono la scuola elementare, che è stata intitolata a un missionario importante della zona: Père Chazal ci hanno invitato a pranzo e ci hanno fatto una bella festa.
Tornati all’ospedale abbiamo visto nella pediatria suor Carmen che, nelle prime ore del pomeriggio, insegnava a diversi gruppetti di ragazzi, in gran parte con le gambe ingessate: e tutti scrivevano su un foglio di carta, ma per terra. Abbiamo ammirato l’impegno con cui allievi e insegnante svolgevano il loro lavoro. Nessuno ci ha detto nulla, ma ci è apparsa evidente la necessità di un’aula scolastica per questi ragazzi.
Nel frattempo a Riese Pio X (Treviso), un giovane diciassettenne mentre rincasava con la sua moto perde la vita in un incidente stradale, lasciando i genitori e la sorella nella costernazione. Dopo un po’ di tempo, passata la rabbia e la disperazione, i genitori pensano di fare qualcosa di buono per onorare la memoria del loro figliolo Stefano.
I coniugi Trevellin si incontrano a Romano d’Ezzelino con fra Fiorenzo e, dietro suo suggerimento, decidono di finanziare con € 20.000 la costruzione di una grande aula scolastica adiacente alla pediatria di Tanguiéta, che è entrata in funzione nel 2006.
Medicina tradizionale africana
Qui conviene sentire la testimonianza diretta di fra Fiorenzo dr. Priuli. Malgrado le nuove possibilità di cure offerte dai nostri ospedali fin dalla loro apertura, più del 90% degli ammalati continuarono ed in parte continuano a ricorrere prima di tutto alle cure indigene più o meno enfatizzate da cerimonie animiste.
I nostri primi approcci alla medicina praticata dai guaritori, risalgono all’inizio degli anni ‘80. In effetti, non ci volle molto per renderci conto che, malgrado molte cure fossero deleterie e pregiudicassero gravemente la nostre possibilità di curare, alcune erano a volte incredibilmente efficaci, quasi miracolose ed ottenevano risultati in malattie per noi praticamente incurabili.
Alcune malattie erano ed in parte restano con l’etichetta “non da ospedale” e tra queste gli itteri (le epatiti) al punto che se un paziente contraeva un ittero durante il ricovero, la famiglia domandava di lasciarlo uscire per continuare le cure a casa… ed effettivamente nel giro di pochi giorni l’ittero spariva ed il paziente ritornava a stare bene!
A poco a poco, l’amicizia con qualche guaritore ed i legami specialmente con le monache cistercensi del monastero de l’Etoile (Parakou) che già coltivavano certe piante, ci portarono a proporre ai malati sofferenti di malattie epatiche anche senza ittero prima la tisana del kinkueliba (o kinkéliba) e poi la famosa polvere gialla i cui nomi scientifici sono: combretum micranthum e cochlospermum tinctorium.
Combretum micranthum (C.M.)
Si tratta di un arbusto che cresce spontaneamente nella savana soprattutto dell’Africa occidentale. Nella stagione delle piogge dà foglie e frutti che diventano poi rossicci e seccano al sopraggiungere della stagione secca. Ma più sovente sono distrutte dai fuochi della savana che divampano spesso appena arriva l’Armatan.
Benché anche le radici del combretum abbiamo proprietà terapeutiche, noi fin dell’inizio utilizziamo solo le foglie sia verdi e fresche che essiccate all’ombra o nella macchina di disidratazione in modo che non perdano nessuna delle proprietà terapeutiche.
Il Combretum Micranthum è una pianta che è stata assai studiata dai farmacologi specialmente francesi che con vari metodi sono arrivati ad estrarre vari principi attivi interessanti. Inoltre non è stata messa in evidenza tossicità alcuna.
Usato dai guaritori soprattutto per curare le crisi di malaria e per la cura dell’“ittero” in generale, nei nostri ospedali è stato per vari anni “la tisana per le malattie del fegato” e questo con molto successo fino ad oggi… comprovato da risultati biochimici che mostrano la quasi costante normalizzazione della bilirubinemia e della transaminasi (SGPT).
Fin dal 1990 noi abbiamo associato l’uso della tisana di C.M. nelle terapie volte a curare gli ammalati di AIDS in ragione del fatto che l’infezione HIV è spesso associata è Epatiti B e/o C. Ma è grazie alle ricerche del dr. Pino Ferrea, infettivologo e ricercatore genovese, medico volontario a Tanguiéta con la moglie pediatra all’inizio degli anni ‘80, che avendo sperimentato nella propria famiglia (moglie e figlioletto) i benefici effetti della tisana di C.M. rientrato in Italia ha iniziato delle ricerche sulle proprietà terapeutiche della pianta.
Nel corso di queste ricerche è stato scoperto e confermato che, in vitro, l’estratto delle foglie del C.M. è molto attivo contro i virus dell’epatite B, dell’erpes simplex ed infine del virus HIV.
È dunque a partire da questa scoperta che il C.M sotto forma di tisana è utilizzato non solo per le epatiti ma anche nei pazienti sia semplicemente HIV positivi che per gli ammalati che non rientrano nei parametri che impongono l’introduzione degli antiretrovirali oppure di pazienti che per questioni diverse non possono avervi accesso. Grazie al dr. Paolo Viganò, collega ed amico del dr P. Ferrea, ed al G.S.A (Gruppo solidarietà Africa) cui fanno capo un gruppo di esperti, tecnici e volenterosi, in questi ultimi cinque anni un laboratorio ben attrezzato sta monitorando i risultati di questa terapia che sta suscitando interesse e speranza specie nei colpiti dall’infezione di HIV. Spesso possono loro stessi reperire la pianta poco lontano da casa. (Il rimedio di molte malattie è spesso vicino ai malati ma non è conosciuto).
Cochlospermum tinctorium (C.T.) + cochlospermum planchoni (C.P.)
Si tratta di due piante molto vicine per morfologia, per struttura e che hanno in comune un bellissimo fiore giallo. Sono delle piante della regione delle savane e del Sahel. Il Cochlospermum Tinctorium ha la caratteristica di dare un fiore o dei mazzetti di fiori a raso del suolo, proprio quando la savana è completamente disseccata e spesso dopo che è passato quello che chiamano “le feu de brousse”. Su una terra fissurata dalla siccità, questo fiore giallo continua a fiorire per circa due mesi e poi dà luogo ad un piccolissimo arbusto che non oltrepassa 30 centimetri, che poi viene a sua volta bruciato con l’arrivo della siccità.
Il Cochlospermum Planchoni invece, è una pianta a morfologia molto simile, ma che nasce come piantina che cresce fino a quasi un metro di altezza all’inizio della stagione delle piogge e che all’inizio del mese di agosto fino all’arrivo della stagione secca, continua a dare un fiore molto simile a quello del Cochlospermum Tinctorium ma sulla cima di ogni stelo.
Il principio medicinale che utilizziamo è tratto dalle radici di queste due piante, le cui radici sono alquanto profonde, spesso molto voluminose e praticamente costituiscono il serbatoio d’acqua che permette ai fiori di fiorire come proprio se fossero in un vaso di acqua quando nell’ambiente ci sono temperature di oltre 40 gradi e un tasso di umidità che a volte scende fino al 15%.
Le radici, una volta estratte dalla terra, se sono tagliate hanno un colore bianco che immediatamente diventa color rosso d’uovo. Ripulite della corteccia, le radici sono messe a seccare all’ombra, poi sono triturate e la polvere che ne esce costituisce il medicinale che noi utilizziamo.
La preparazione di questa polvere, viene realizzata con non poca fatica durante la stagione secca, in quanto il suolo è difficile da scavare per poter estrarre le radici. Però il clima secco favorisce una rapida essiccazione delle radici ed evita che, durante il periodo di essiccazione, delle muffe possano contaminarla. La polvere è poi conservata in contenitori ermetici e messa nei sacchetti o nei flaconcini quando vuole essere messa alla disposizione dei malati. Tanto il C.M. che il C.T. non hanno assolutamente bisogno di essere conservati in frigo o al fresco! Qui sono conservati a temperature che frequentemente superno i 40°. Evitare solo l’umidità! Sono ormai una ventina di anni che noi utilizziamo regolarmente la polvere di queste due piante per la cura delle epatiti, sia da sole che in associazione con la tisana del Combretum Micranthum.
Degli studi sono stati condotti su questa sostanza e soprattutto nell’istituto di farmacologia di Milano sono state tirate delle conclusioni che praticamente lo danno come un’eccellente sostanza per curare gli effetti dell’epatite B e dell’epatite C in particolare. Sappiamo da ricerche fatte in internet su questa pianta, che ha anche un’azione molto importante nella cura della malaria e di malattie virali. Nei nostri ospedali Saint Jean de Dieu di Afagnan e di Tanguiéta, l’utilizzo di questa polvere, è stato più volte preceduto e seguito da controlli in modo particolare delle transaminasi e della bilirubinemia. I risultati sono stati costantemente buoni e questo anche dopo brevi cicli di terapia di 10-15 giorni. Numerosi pazienti anche europei hanno avuto lo stesso riscontro quando hanno utilizzato la polvere del Cochlospermum Tinctorium e/o del Cochlospermum Planchoni per la cura di epatiti che non rispondevano ad altre terapie.
Oggi, negli ospedali di Saint Jean de Dieu di Tanguiéta e di Afagnan, praticamente le sole sostanze utilizzate per la cura delle epatiti, restano il Combretum Micranthum, il Cochlospermum Tinctorium e il Cochlospermum Planchoni ! ( Fra Fiorenzo dr. Priuli )
Oltre a queste medicine per le epatiti, fra Fiorenzo ha messo a disposizione dei malati italiani anche: Platanus senegalensis per la cura dell’asma. Guiera senegalensis per la cura delle ulceri esterne ed interne.
RIEPILOGO FONDI RACCOLTI – RIEPILOGO FONDI EROGATI
1996 31-12 £ 58.855.300 1996 £ 20.000.000
1997 31-12 £ 136.401.845 1997 £ 143.000.000
1998 31-12 £ 137.962.995 1998 £ 95.000.000
1999 31-12 £ 165.820.234 1999 £ 185.000.000
2000 31-12 £ 165.396.612 2000 £ 144.000.000
2001 31-12 € 108.817,34 2001 € 76.435,63
2002 31-12 € 197.572,73 2002 € 181.500,00
2003 31-12 € 141.446,92 2003 € 124.000,00
2004 31-12 € 242.105,20 2004 € 215.000,00
2005 31-12 € 204.478,57 2005 € 240.000,00
2006 31-12 € 378.011,54 2006 € 248.480,10
2007 31-12 € 519.176,28 2007 € 444.454,15
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