«Caritas in veritate» Il miglior libro del 2009

 

Vatican Pope Encyclica

«Caritas in veritate»

 

Il miglior libro del 2009

 

Come di consueto in questa stagione, “Il Sole 24 Ore” – nell’influente supplemento culturale “Domenica”, che da una settimana è diretto da Giovanni Santambrogio – si è occupato ieri del iglior ibro ell’anno. E per questo si è rivolto “a trentaquattro intellettuali, economisti, studiosi”. Gli interpellati sono tutti italiani, eccetto lo storico britannico Simon Schama, e il risultato finale, oltre ventisette titoli in italiano, include sette libri pubblicati in inglese, prevalentemente di argomento economico, ma non solo. Molto diverse sono ovviamente le risposte raccolte dal giornale, tutte comunque interessanti.


Tra queste spicca quella di Mario Deaglio, uno dei più autorevoli economisti italiani, ordinario all’università di Torino, che ha diretto “Il Sole 24 Ore” dal 1980 al 1983 ed è ora editorialista de “La Stampa”. Per l’intellettuale il miglior libro del 2009 è la Caritas in veritate di Benedetto XVI, perché – sottolinea – l’enciclica “propone uno sguardo globale sui problemi del pianeta che nessun leader politico è riuscito a fornire”.


E continua: “Il pontefice, definito da alcuni reazionario, ha redatto un’opera di innovazione che è anche un aiuto effettivo per inquadrare con originalità i temi caldi del presente: la redistribuzione dei redditi, l’esigenza di trovare un modo per ridurre il divario tra le classi sociali, il ruolo del mercato e la questione dell’ambiente. Un inventario completo e ampio dei problemi del mondo, logico e rigoroso. Non un facile indicatore di soluzioni bensì un indicatore delle strade dove le soluzioni si possono trovare”.

 

Alla scelta di Deaglio si può aggiungere che meno di un mese fa la rivista statunitense di economia e finanza “Forbes” – nota per diverse classifiche (www.forbes.com/lists), tra le quali quella dei più ricchi – ha diffuso l’elenco delle cento “persone più potenti del mondo” (The World’s Most Powerful People). E all’undicesimo posto, dopo i principali leader politici internazionali e alcuni esponenti dell’economia e della finanza mondiali, ha collocato Benedetto XVI.

 

In un commento sul sito della rivista americana il Papa è definito “la più alta autorità terrena per un miliardo di anime, cioè circa un sesto della popolazione del pianeta”, mentre la Chiesa cattolica è descritta, con linguaggio economico ma non privo di suggestione, come “la più antica e vasta multinazionale al mondo”. Alla luce di queste frasi va compresa l’applicazione della categoria di “potenza” – anche se sarebbe più aderente alla realtà parlare di influenza – a un leader spirituale come Benedetto XVI, che viene tratteggiato come tradizionalista e conservatore senza coglierne l’anticonformismo. E in ogni modo ci si può rallegrare di questi riconoscimenti, del tutto laici, della presenza e dell’influsso di un uomo mite e gentile che alla predicazione cristiana unisce sempre il richiamo alla ragione, comune a tutti gli esseri umani. (g.m.v.)

 

 

LA SINTESI DELL’ENCICLICA

 

“La Carità nella verità, di cui Gesù s’è fatto testimone” è “la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera”: inizia così Caritas in Veritate, enciclica indirizzata al mondo cattolico e “a tutti gli uomini di buona volontà”. Nell’Introduzione, il Papa ricorda che “la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa”. D’altro canto, dato “il rischio di fraintenderla, di estrometterla dal vissuto etico”, va coniugata con la verità.


E avverte: “Un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali”. (1-4)

 

Lo sviluppo ha bisogno della verità. Senza di essa, afferma il Pontefice, “l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società”. (5)

 

Benedetto XVI si sofferma su due “criteri orientativi dell’azione morale” che derivano dal principio “carità nella verità”; la giustizia e il bene comune. Ogni cristiano è chiamato alla carità anche attraverso una ”via istituzionale” che incida nella vita della polis, del vivere sociale. (6-7)

 

La Chiesa, ribadisce, “non ha soluzioni tecniche da offrire”, ha però “una missione di verità da compiere” per “una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione”. (8-9)

 

Il primo capitolo del documento è dedicato al Messaggio della Populorum Progressio di Paolo VI. “Senza la prospettiva di una vita eterna – avverte il Papa – il progresso umano in questo mondo rimane privo di respiro”. Senza Dio, lo sviluppo viene negato, “disumanizzato”.(10-12)

 

Paolo VI, si legge, ribadì “l’imprescindibile importanza del Vangelo per la costruzione della società secondo libertà e giustizia”.(13)

 

Nell’Enciclica Humanae Vitae, Papa Montini “indica i forti legami esistenti tra etica della vita ed etica sociale”. Anche oggi, “la Chiesa propone con forza questo collegamento”. (14-15)

 

Il Papa spiega il concetto di vocazione presente nella Populorum Progressio. “Lo sviluppo è vocazione” giacché “nasce da un appello trascendente”. Ed è davvero “integrale”, sottolinea, quando è “volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo”. “La fede cristiana – soggiunge – si occupa dello sviluppo non contando su privilegi o su posizioni di potere”, “ma solo su Cristo”. (16-18)

 

Il Pontefice evidenzia che “le cause del sottosviluppo non sono primariamente di ordine materiale”. Sono innanzitutto nella volontà, nel pensiero e ancor più “nella mancanza di fraternità tra gli uomini e i popoli”. “La società sempre più globalizzata – rileva – ci rende vicini, ma non ci rende fratelli”. Bisogna allora mobilitarsi. affinchè l’economia evolva “verso esiti pienamente umani”. (19-20)

 

Nel secondo capitolo, il Papa entra nel vivo dello Sviluppo umano nel nostro tempo. L’esclusivo obiettivo del profitto “senza il bene comune come fine ultimo – osserva – rischia di distruggere ricchezza e creare povertà”. Ed enumera alcune distorsioni dello sviluppo: un’attività finanziaria “per lo più speculativa”, i flussi migratori “spesso solo provocati” e poi mal gestiti e, ancora, “lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra”. Dinnanzi a tali problemi interconnessi, il Papa invoca “una nuova sintesi umanistica”. La crisi “ci obbliga a riprogettare il nostro cammino”. (21)

 

Lo sviluppo, constata il Papa, è oggi “policentrico”. “Cresce la ricchezza mondiale in termini assoluti, ma aumentano le disparità” e nascono nuove povertà. La corruzione, è il suo rammarico, è presente in Paesi ricchi e poveri; a volte grandi imprese transnazionali non rispettano i diritti dei lavoratori. D’altronde, “gli aiuti internazionali sono stati spesso distolti dalle loro finalità, per irresponsabilità” dei donatori e dei fruitori. Al contempo, denuncia il Pontefice, “ci sono forme eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo sanitario”. (22)

 

Dopo la fine dei “blocchi”, viene ricordato, Giovanni Paolo II aveva chiesto “una riprogettazione globale dello sviluppo”, ma questo “è avvenuto solo in parte”. C’è oggi “una rinnovata valutazione’” del ruolo dei “pubblici poteri dello Stato”, ed è auspicabile una partecipazione della società civile alla politica nazionale e internazionale. Rivolge poi l’attenzione alla delocalizzazione di produzioni di basso costo da parte dei Paesi ricchi. “Questi processi – è il suo monito – hanno comportato la riduzione delle reti di sicurezza sociale” con “grave pericolo per i diritti dei lavoratori”. A ciò si aggiunge che “i tagli alla spesa sociale, spesso anche promossi dalle istituzioni finanziarie internazionali, possono lasciare i cittadini impotenti di fronte a rischi vecchi e nuovi”. D’altronde, si verifica anche che “i governi, per ragioni di utilità economica, limitano spesso le libertà sindacali”. Ricorda perciò ai governanti che “il primo capitale da salvaguardare e: valorizzare è l’uomo, la persona nella sua integrità”. (23-25)

 

Sul piano culturale, prosegue, le possibilità di interazioni aprono nuove prospettive di dialogo, ma vi è un duplice pericolo. In primo luogo, un eclettismo culturale in cui le culture vengono “considerate sostanzialmente equivalenti”. Il pericolo opposto è “l’appiattimento culturale”, “l’omologazione degli stili di vita”. (26)

 

Rivolge così il pensiero allo scandalo della fame. Manca, denuncia il Papa, “un assetto di istituzioni economiche in grado” di fronteggiare tale emergenza. Auspica il ricorso a “nuove frontiere” nelle tecniche di produzione agricola e un’equa riforma agraria nei Paesi in via di Sviluppo. (27)

 

Benedetto XVI tiene a sottolineare che il rispetto per la vita “non può in alcun modo essere disgiunto” dallo sviluppo dei popoli. In varie parti del mondo – avverte -, perdurano pratiche di controllo demografico che “giungono a imporre anche l’aborto”. Nei Paesi sviluppati si è diffusa una “mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale”. Inoltre, prosegue, vi è “il fondato sospetto che a volte gli stessi aiuti allo sviluppo vengano collegati” a “politiche sanitarie implicanti di fatto l’imposizione” del controllo delle nascite. Preoccupanti sono pure le “legislazioni che prevedono l’eutanasia”. “Quando una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita – avverte – finisce per non trovare più” motivazioni ed energie “per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo” (28).

 

Altro aspetto legato allo sviluppo è il diritto alla libertà religiosa. Le violenze, scrive il Papa, “frenano lo sviluppo autentico”, ciò “si applica specialmente al terrorismo a sfondo fondamentalista”. Al tempo stesso, la promozione dell’ateismo da parte di molti Paesi “contrasta con le necessità dello sviluppo dei popoli, sottraendo loro risorse spirituali e umane”. (29)

 

Per lo sviluppo, prosegue, serve l’interazione dei diversi livelli del sapere armonizzati dalla carità. (30-31)

 

Il Papa auspica, quindi, che le scelte economiche attuali continuino “a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso al lavoro” per tutti. Benedetto XVI mette in guardia da un’economia “del breve e talvolta brevissimo termine” che determina “l’abbassamento del livello di tutela dei diritti dei lavoratori” per far acquisire ad un Paese “maggiore competitività internazionale”. Per questo, esorta una correzione delle disfunzioni del modello di sviluppo come richiede oggi anche lo “stato di salute ecologica del pianeta”. E conclude sulla globalizzazione: “Senza la guida della carità nella verità, questa spinta planetaria può concorrere a creare rischi di danni sconosciuti finora e di nuove divisioni”. È necessario, perciò, “un impegno inedito e creativo”. (32-33)

 

Fraternità, Sviluppo economico e società civile è il tema del terzo capitolo dell’Enciclica, che si apre con un elogio dell’esperienza del dono, spesso non riconosciuta “a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza”. La convinzione di autonomia dell’economia dalle “influenze di carattere morale – rileva il Papa – ha spinto l’uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo”. Lo sviluppo, “se vuole essere autenticamente umano”, deve invece “fare spazio al principio di gratuità”. (34)

 

Ciò vale in particolare per il mercato. “Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca – è il suo monito – il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica”, Il mercato, ribadisce, “non può contare solo su se stesso”, “deve attingere energie morali da altri soggetti” e non deve considerare i poveri un “fardello, bensì una risorsa”. Il mercato non deve diventare “luogo della sopraffazione del forte sul debole”. E soggiunge: la logica mercantile va “finalizzata al perseguimento del bene comune di cui deve farsi carico anche e soprattutto la comunità politica”. Il Papa precisa che il mercato non è negativo per natura. Dunque, ad essere chiamato in causa è l’uomo, “la sua coscienza morale e la sua responsabilità”. L’attuale crisi, conclude il Papa, mostra che i “tradizionali principi dell’etica sociale” – trasparenza – onestà e responsabilità – “non possono venire trascurati”. Al contempo, ricorda che l’economia non elimina il ruolo degli Stati ed ha bisogno di “leggi giuste”. Riprendendo la Centesimus Annus, indica la “necessità di un sistema a tre soggetti”: mercato, Stato e società civile e incoraggia una “civilizzazione dell’economia”. Servono “forme economiche solidali”. Mercato e politica necessitano “di persone aperte al dono reciproco”. (35-39)

 

La crisi attuale, annota, richiede anche dei “profondi cambiamenti” per l’impresa. La sua gestione “non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari”, ma “deve anche farsi carico” della comunità locale. Il Papa fa riferimento ai manager che spesso «rispondono solo alle indicazioni degli azionisti” ed invita ad evitare un impiego “speculativo” delle risorse finanziarie. (40-41)

 

Il capitolo si chiude con una nuova valutazione del fenomeno globalizzazione, da non intendere solo come “processo socio-economico”, “Non dobbiamo esserne vittime, ma protagonisti – esorta – procedendo con ragionevolezza, guidati dalla carità e dalla verità”. Alla globalizzazione serve “un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza” capace di “correggerne le disfunzioni”. C’è, aggiunge, “la possibilità di una grande ridistribuzione della ricchezza”, ma la diffusione del benessere non va frenata “con progetti egoistici protezionistici”. (42)

 

Nel quarto capitolo, l’Enciclica sviluppa il tema dello Sviluppo dei popoli, diritti e doveri, ambiente. Si nota, osserva, “la rivendicazione del diritto al superfluo” nelle società opulente, mentre mancano cibo e acqua in certe regioni sottosviluppate. “I diritti individuali svincolati da un quadro di doveri”, rileva, “impazziscono”. Diritti e doveri, precisa, rimandano ad un quadro etico. Se invece “trovano il proprio fondamento solo nelle deliberazioni di un’assemblea di cittadini” possono essere “cambiati in ogni momento”. Governi e organismi internazionali non possono dimenticare “l’oggettività e l’indisponibilità” dei diritti. (43)

 

Al riguardo, si sofferma sulle “problematiche connesse con la crescita demografica”. È “scorretto”, afferma, “considerare l’aumento della popolazione come causa prima del sottosviluppo”. Riafferma che la sessualità non si può “ridurre a mero fatto edonistico e ludico”. Né si può regolare la sessualità con politiche materialistiche di forzata pianificazione delle nascite”. Sottolinea poi che “l’apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica”. Gli Stati, scrive, “sono chiamati a varare politiche che promuovano la centralità della famiglia”. (44)

 

L’economia – ribadisce ancora – ha bisogno dell’etica per il suo collettivo funzionamento; non di un’etica qualsiasi bensì di un’etica amica della persona”. La stessa centralità della persona, afferma, deve essere il principio guida “negli interventi per lo sviluppo” della cooperazione internazionale, che devono sempre coinvolgere i beneficiari. “Gli organismi internazionali – esorta il Papa – dovrebbero interrogarsi sulla reale efficacia dei loro apparati burocratici”, “spesso troppo costosi”. Capita a volte, constata, che “i poveri servano a mantenere in vita dispendiose organizzazioni burocratiche”. Di qui l’invito ad una “piena trasparenza” sui fondi ricevuti. (45-47)

 

Gli ultimi paragrafi del capitolo sono dedicati all’ambiente. Per il credente, la natura è un dono di Dio da usare responsabilmente. In tale contesto, si sofferma sulle problematiche energetiche. “L’accaparramento delle risorse” da parte di Stati e gruppi di potere, denuncia il Pontefice, costituisce “un grave impedimento per lo sviluppo dei Paesi poveri”. La comunità internazionale deve perciò “trovare le strade istituzionali per disciplinare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili”. “Le società tecnologicamente avanzate – aggiunge – possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico”, mentre deve “avanzare la ricerca di energie alternative”.

In fondo, esorta il Papa, ”è necessario un effettivo cambiamento di mentalità che ci induca ad adottare nuovi stili di vita’”. Uno stile che oggi, in molte parti del mondo “è incline all’edonismo e al consumismo”. Il problema decisivo, prosegue, “è la complessiva tenuta morale della società”. E avverte: “Se non si rispetta il diritto alla vita e alla morte naturale” la “coscienza umana finisce per perdere il concetto di ecologia :umana” e quello di ecologia ambientale. (48-52)

 

La collaborazione della famiglia umana è il cuore del quinto capitolo, in cui Benedetto XVI evidenzia che “lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia”, D’altronde, si legge, la religione cristiana può con.!!ibuire ailo sviluppo “solo se Dio trova un posto anche nella sfera pubblica”. Con “la negazione del diritto a professare pubblicamente la propria religione”, la politica “assume un volto opprimente e aggressivo”. E avverte: “Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo” tra la ragione e la fede. Rottura che “comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo dell’umanità”. (53-56)

 

Il Papa fa quindi riferimento al principio di sussidiarietà, che offre un aiuto alla persona “attraverso l’autonomia dei corpi intermedi”. La sussidiaretà, spiega, “è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista” ed è adatta ad umanizzare la globalizzazione. Gli aiuti internazionali, constata, “possono a volte mantenere un popolo in uno stato di dipendenza”, per questo vanno erogati coinvolgendo i soggetti della società civile e non solo i governi. “Troppo spesso” infatti, “gli aiuti sono valsi a creare soltanto mercati marginali per i prodotti” dei Paesi in via di sviluppo. (57-58)

 

Esorta poi gli Stati ricchi a “destinare maggiori quote” del Pil per lo sviluppo, rispettando gli impegni presi. ed auspica un maggiore accesso all’educazione e ancor più alla “formazione completa della persona” rilevando che, cedendo al relativismo, si diventa più poveri. Un esempio, scrive, ci è offerto dal fenomeno perverso del turismo sessuale. “è doloroso constatare – osserva – che ciò si svolge spesso con l’avallo dei governi locali, con il silenzio di quelli da cui provengono i turisti e con la complicità di tanti operatori del settore”. (59-61)

 

Affronta poi il fenomeno “epocale” delle migrazioni. “Nessun Paese da solo – è il suo monito – può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori”. Ogni migrante, soggiunge, “è una persona umana” che “possiede diritti che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione”. Il Papa chiede che i lavoratori stranieri non siano considerati come una merce ed evidenzia il “nesso diretto tra povertà e disoccupazione”. Invoca un lavoro decente per tutti e invita i sindacati, distinti dalla politica, a volgere lo sguardo verso i lavoratori dei Paesi dove i diritti sociali vengono violati. (62-64)

 

La finanza, ripete, “dopo il suo cattivo utilizzo che ha danneggiato l’economia reale, ritorni ad essere uno strumento finalizzato” allo sviluppo. E aggiunge: “Gli operatori della finanza devono riscoprire il fondamento propriamente etico della loro attività”. Il Papa chiede inoltre “una regolamentazione del settore” per garantire i soggetti più deboli. (65-66).

 

L’ultimo paragrafo del capitolo il Pontefice lo dedica “all’urgenza della riforma” dell’Onu e “dell’architettura economica e finanziaria internazionale”. Urge “la presenza di una vera autorità politica mondiale” che si attenga “in modo coerente ai principi di sussidiarietà e di solidarietà”. Un’autorità, afferma, che goda di “potere effettivo”. e conclude con l’appello ad istituire “un grado superiore di ordinamento internazionale” per governare la globalizzazione. (67)

 

Il sesto ed ultimo capitolo è incentrato sul tema dello Sviluppo dei popoli e la tecnica. Il Papa mette in guardia dalla “pretesa prometeica” secondo cui “l’umanità ritiene di potersi ricreare avvalendosi dei ‘prodigi’ della tecnologia”. La tecnica, è il suo monito, non può avere una “libertà assoluta”. Rileva come “il processo di globalizzazione potrebbe sostituire le ideologie con la tecnica”. (68 – 72)

 

Connessi con lo sviluppo tecnologico sono i mezzi di comunicazione soçjale chiamati a promuovere “la dignità della persona e dei popoli”. (73)

 

Campo primario “della lotta culturale tra l’assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell’uomo è oggi quello della bioetica”, spiega il Papa che aggiunge: “La ragione senza la fede è destinata a perdersi nell’illusione della propria onnipotenza”. La questione sociale diventa “questione antropologica”. La ricerca sugli embrioni, la clonazione, è il rammarico del Pontefice, “sono promosse dall’attuale cultura” che “crede di aver svelato ogni mistero”. Il Papa paventa “una sistematica pianificazione eugenetica delle nascite”. (74-75)

 

Viene quindi ribadito che “lo sviluppo deve comprendere una crescita spirituale oltre che materiale” Infine, l’ esortazione del Papa ad avere un “cuore nuovo” per “superare la visione materialistica degli avvenimenti umani”. (76-77)

 

Nella Conclusione dell’Enciclica, il Papa sottolinea che lo sviluppo “ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera” di “amore e di perdono, di rinuncia a se stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace”. (78-79)

 

IL TESTO INTEGRALE DELL’ENCICLICA

http://www.avvenireonline.it/shared/caritas.pdf

 

© Copyright 2009 – Libreria Editrice Vaticana

Pubblicato da Raffaella a 20.46

A Omar la Sla non impedisce di cantare per la vita – Luisa BOVE

Martini con Omar Turati afflitto da sclerosi laterale amiotrofica

Il Card. Carlo Maria Martini con Omar Turati

 

A OMAR

LA SCLEROSI LATERALE AMIOTROFICA

NON IMPEDISCE DI CANTARE LA VITA

  

Luisa BOVE

 

A casa Turati il clima è sereno, quasi allegro. Omar è nella sua stanza circondato da macchinari, libri e cd. Per entrare in camera sua la mascherina è d’obbligo, ma questo non impedisce la comunicazione, anzi, forse costringe a guardarsi negli occhi. I suoi sono azzurri, vivaci come il suo carattere, pronto alla battuta e al sorriso aperto. Ha compiuto da poco 36 anni e ha sempre fatto una vita normale: nel 1997 si è diplomato in chitarra classica e ha iniziato a insegnare musica, cinque anni dopo si è laureato in Scienze politiche con una tesi in sociologia. «Vivevo una vita serena, caratterizzata da tanto studio, musica, viaggi e qualche bella soddisfazione». Finché nel luglio 2003 «tutta la mia esistenza è stata sconvolta», gli è stata infatti diagnosticata «una brutta patologia neurodegenerativa chiamata Sla, Sclerosi laterale amiotrofica». In realtà la sigla “Sla” «per me ha assunto subito un nuovo significato: Solo libera l’anima».

 

Nonostante Omar abbia perso negli ultimi anni la capacità di quasi tutti i movimenti del corpo, «l’anima e il cervello hanno cominciato a correre all’impazzata, incontrandosi e scontrandosi dolorosamente». Dal luglio 2007, quando ha subìto la tracheotomia, è bloccato a letto o su una sedia a rotelle: «Sono strettamente legato, giorno e notte, a un respiratore e da quel momento la mia vita è cambiata completamente. Il grande prezzo da pagare per continuare a vivere è stata la dipendenza dalle macchine». E aggiunge: «Non è stato facile abituarmi a questa nuova condizione d’immobilità, ma strada facendo ho cominciato a rendermi conto delle tante risorse a mia disposizione, delle molte cose che ancora potevo fare per me e per gli altri». Intanto qualche amico si è perso per strada, ma tanti altri si sono affacciati nella stanza e nella vita di Omar. Sono molte le persone che ora frequentano la famiglia Turati: la madre li chiama «angeli della casa, perché ci danno energia per affrontare un nuovo giorno».

 

«Una delle fasi più difficili – continua Omar – nell’affrontare una malattia devastante come questa è proprio quella dell’accettazione», si tratta di un processo «lungo e doloroso». Ma è importante «dare un senso alla sofferenza» anche se è «difficilissimo e probabilmente il percorso non termina mai». Nel caso di Omar «l’accettazione sta andando di pari passo con un tortuoso cammino di fede». Di fronte alle domande “Che senso ha la malattia?” e “Che senso ha che io sia malato?”, Omar ha trovato come «risposta più accettabile» quella di «considerare la mia vita parte di un disegno divino più grande e di difficile comprensione». È questo ora «il mio pass-partout», come dice lui, «la chiave di lettura e di interpretazione degli eventi che si svolgono intorno a me. In questo modo riesco davvero a dare un senso a quasi tutte le cose che mi succedono o che vivo, dagli incontri alle azioni che compio e che ricevo».

 

«Nonostante la malattia mi abbia lasciato solo libera l’anima», assicura, «per me vale comunque la pena vivere e godere quel che mi resta, fino all’ultima goccia». Omar non ha dubbi: «Qualunque sia la condizione fisica, la qualità della vita dipende dalla qualità dell’amore che si dà, da quello che si riceve e dalla possibilità di vivere una straordinaria libertà dell’anima».
Certo non è sempre facile essere ottimisti in certe condizioni ma, come gli ha scritto il cardinale Dionigi Tettamanzi, «sperimentare dentro la contraddizione di una “croce di legno, che tanto pesa”» sta «il miracolo di un’anima libera capace di librarsi sempre più in alto».

 

Dopo un incontro inatteso e familiare nell’agosto 2008 in piazza Fontana tra Omar e l’Arcivescovo è nato «un legame che va oltre la formalità». Infatti Tettamanzi «inaspettatamente ha iniziato a scrivermi e abbiamo avuto uno scambio di doni: lui mi ha regalato il suo libro “Non c’è futuro senza solidarietà” e io gli ho fatto avere le varie versioni del mio pezzo “Solo libera l’anima” e lui ha colto perfettamente il senso di questa canzone e lo sento davvero molto vicino». Omar ha conosciuto anche il cardinal Martini. Nonostante la sua notorietà, spiega, il primo approccio con l’Arcivescovo emerito è avvenuto attraverso la lettura del suo libro “Conversazioni notturne a Gerusalemme”. Poi i due si sono incontrati a Gallarate alla fine di settembre e «abbiamo parlato soprattutto del nostro rapporto con la malattia e con Dio». Ora continuano a scriversi via mail, Martini ha fatto una promessa al suo nuovo amico, di andare a trovarlo a casa ad Assago. E Omar spera «che riuscirà a mantenerla».

Fonte: www.chiesadimilano.it

LA PASTORALE DELLA SALUTE E SOCIALE DELL’ORDINE FATEBENEFRATELLI

 

Melograno-stella

Pastorale della Salute e Sociale

Commissione Generale

di Pastorale della salute

 

 

I. MOTIVAZIONI E ATTIVITÀ

Il messaggio evangelico d’amore, di salvezza e di speranza predicato e testimoniato da Gesù si concretizza nella Chiesa in modo particolare attraverso il ministero terapeutico di quanti operano in ambito sanitario, assistenziale e pastorale.

La pastorale della salute che nasce dalla carità e dalla sollecitudine della Chiesa verso i poveri e i sofferenti, trova attuazione nella cura e nell’assistenza integrale degli ammalati ed è testimoniata lungo i secoli in modo eminente da innumerevoli uomini e donne, tra cui un posto di rilievo occupa il nostro santo fondatore Giovanni di Dio il quale ha servito Cristo povero e sofferente nella persona del malato e del bisognoso.

Per questa ragione i nostri Centri sanitari ed assistenziali, essendo opere della Chiesa, hanno la missione di evangelizzare, mentre si prendono cura dei malati e dei bisognosi, secondo lo stile di san Giovanni di Dio e di trasmetterne il carisma. Ogni nostra iniziativa deve far riferimento alla sequela di Cristo, medico delle anime e dei corpi, e alla Chiesa che ha ricevuto dal suo Fondatore il mandato di continuare la sua missione, cioè quella di annunciare la Buona Novella del Regno e di curare gli ammalati, prolungando la sua opera terapeutica nel mondo.

“Il nostro Ordine Ospedaliero che nasce dal vangelo della misericordia quale lo visse in pienezza San Giovanni di Dio” (Cost lb) è particolarmente impegnato nella Chiesa a compiere la missione di annunciare il Regno di Dio e di cooperare alla sua realizzazione tra i poveri e i malati con uno stile di pastorale ecumenica ed aperta al pluralismo‑religioso.

La Carta d’Identità dell’Ordine ‑ che ne dà anche il significato e l’estensione ‑ afferma che “Il servizio pastorale ha come missione prioritaria di occuparsi delle necessità spirituali dei malati e dei bisognosi, delle loro famiglie e degli operatori sanitari. Ciò richiede una struttura adeguata che include personale, mezzi e un piano che garantisca il compimento della sua missione” (5.1.3.2.m). Occorrono, quindi, persone preparate, formate in modo adeguato e a tempo pieno nel lavoro pastorale, un piano di azione, elaborazione di linee guida che riguardano contenuti filosofici, teologici e pastorali e i mezzi materiali che permettano di attuarli per garantire una buona evangelizzazione.

“La Pastorale della Salute e Pastorale sociale ‑ afferma il Superiore Generale Fra Donatus Forkan nella “Lettera di presentazione della programmazione del sessennio” – è un campo che sentiamo nostro, che abbiamo sempre curato e del quale siamo promotori in molti luoghi del mondo. L’attenzione spirituale e religiosa riservata ai malati, ai loro familiari e ai Collaboratori, costituiscono lo spazio fondamentale della pastorale nelle nostre opere”.

Egli ricorda, inoltre, l’importanza del lavoro di equipe e la condivisione con i professionisti sanitari e sociali di “strumenti di lavoro, come i protocolli assistenziali e la storia clinica dei pazienti, l’accompagnamento spirituale e religioso per essere accettati e dialogare con gli operatori professionali e loro stessi usufruire di questa cultura. “.

 

Per quanto si riferisce all’attività futura del servizio di pastorale le Dichiarazioni del Capitolo Generale del 2006 ricordano che occorre:

1. Organizzare la pastorale della salute e la pastorale sociale nei nostri Centri, rimanendo nell’ambito della pastorale locale e diocesana.

2. Potenziare e creare, laddove non esistano, gruppi di pastorale e/o di accompagnamento spirituale e religioso, in modo che il loro operato possa integrarsi nell’ambito dei modelli e dei gruppi assistenziali che operano nei Centri.

3. Diffondere il concetto di accompagnamento spirituale per designare tutto ciò che si riferisce alle necessità spirituali di ogni persona, indipendentemente dal suo credo o dalle sue convinzioni religiose.

Per promuovere e animare la pastorale della salute a livello di Governo Generale è stata nominata una Commissione Generale di Pastorale.

Coerentemente con quanto viene vissuto nelle nostre comunità, alla luce degli insegnamenti del Magistero della Chiesa e dei documenti dell’Ordine, la Commissione Generale di Pastorale della salute (CGP) si muoverà per sostenere, sviluppare, incrementare, sollecitare l’accompagnamento spirituale di tutte le persone che entrano in contatto con il nostro Ordine Ospedaliero.

II. OBIETTIVI

Compito fondamentale della CGP è quello di valutare, orientare e promuovere l’azione pastorale delle nostre Province e dei nostri Centri, offrendo un supporto più deciso nelle situazioni di maggiore difficoltà. In concreto la CGP si propone di:

1. Illuminare con la fede i problemi del mondo della salute.

2. Conoscere le forme concrete in cui si realizza il servizio pastorale nei nostri centri, per valutare la loro portata, per promuovere lo scambio di esperienze al fine di una crescita più armoniosa della pastorale nell’Ordine.

3. Sostenere le attività pastorali dei nostri centri.

4. Promuovere il servizio pastorale laddove non è presente in maniera adeguata.

5. Promuovere la formazione pastorale dei confratelli e dei collaboratori in tutto l’Ordine.

6. Promuovere la diffusione dei principi pastorali con riferimento ad una completa gestione carismatica dei nostri centri.

7. Incoraggiare la riflessione e lo studio di temi pastorali e spirituali che servano da orientamento e da guida per tutto l’Ordine.

8. Presentare informazioni sulle realtà pastorali e consigliare il Governo Generale su iniziative da intraprendere.

9. Favorire l’accessibilità alla CGP, attraverso il responsabile della Commissione e i Consiglieri Generali responsabili per le Regioni dell’Ordine.

10. Realizzare punti di contatto tra i diversi centri di pastorale nell’Ordine.

11. Promuovere la collaborazione dei nostri servizi di pastorale con la pastorale delle chiese locali e la collaborazione con istituzioni di altri ordini religiosi.

12. Partecipare alle iniziative ecclesiali di formazione e promozione della pastorale della salute.

III. COMPOSIZIONE

1. Fra Elia Tripaldi – Consigliere Generale (Responsabile)

2. Fra Jesùs Etayo – Consigliere Generale

3. Fra Benigno Ramos (Spagna)

4. Sig. Gianni Cervellera (Italia)

5. Sig. Ulrich Doblinger (Germania)

6. Sig.ra Maureen Mc Cabe (Irlanda)

7. Fra Giancarlo Lapic’ (Segretario della Commissione)

La composizione della Commissione potrà essere allargata per favorire una maggiore rappresentanza e articolazione.

La CGP potrà avvalersi della collaborazione di altri confratelli e collaboratori come persone esperte su alcuni argomenti specifici.

La CGP potrà avvalersi di consulenti esterni come esperti di questioni specifiche.

IV. FUNZIONAMENTO E METODOLOGIA

1. La CGP si riunirà ordinariamente una volta l’anno, normalmente presso la sede della Curia Generalizia, a Roma.

2. Potranno essere convocate riunioni straordinarie, se ritenuto opportuno e necessario, data la possibile esistenza di consultazioni e tematiche che potrebbero emergere. Il Responsabile della Commissione ha facoltà di convocare per consultazione, alcuni membri della GP, generalmente le persone più vicine a Roma.

3. Per comunicazioni e consultazioni rapide, la Segreteria permanente si metterà in contatto con i membri della CGP attraverso la posta elettronica (e-mail).

4. Le decisioni della CGP saranno assunte possibilmente con il consenso unanime, cercando di armonizzare le eventuali diverse posizioni. Il riferimento ultimo saranno i principi e i valori fondamentali espressi nei documenti dell’Ordine.

5. La CGP ha una Segreteria Permanente presso la Curia Generalizia, che riceverà, risponderà e archivierà tutta la documentazione che sarà inviata dalle Province. Elaborerà inoltre l’ordine del giorno delle riunioni che convocherà almeno con 30 giorni di anticipo, redigerà gli atti delle stesse.

6. Per l’elaborazione di riflessioni e documenti si potranno formare commissioni di lavoro con altri esperti, coordinati almeno da un membro della CGP. Presenteranno poi alla CGP il risultato del loro lavoro, affinché possa essere studiato ed eventualmente approvato.

7. La CGP, attraverso la Segreteria informerà sui Congressi e gli incontri relativi alla Pastorale della Salute che vengono organizzati nell’Ordine e sugli altri che si tengono fuori dalla nostra Istituzione. Si farà in modo che uno o più componenti della CGP vi partecipino.

8. Si realizzerà un archivio informatico di dati riguardanti la pastorale della salute, al fine di conoscere la realtà dell’Ordine in questo campo e poter condividere riflessioni, linee guida e proposte.

 

Fra Elia Tripaldi

Responsabile Commissione Generale

Pastorale della salute

 

PRENDERSI CURA DEI SOFFERENTI – Guido Davanzo m.i.

State assieme - Mosaico

 

dossier su Pastorale degli infermi e dei morenti

PRENDERSI CURA DEI SOFFERENTI

 

La missione della Chiesa verso il mondo della salute

di GUIDO DAVANZO  

Il lieto annunzio del vangelo viene confermato, nel ministero di Gesù di Nazaret, dalla liberazione anche fisica che Egli opera, e di sabato. La storia della Chiesa è caratterizzata da sensibilità operosa verso i più sofferenti, in specie i morenti. Il sacramento dell’Unzione degli infermi: un modo provvidenziale e concreto di andare incontro a chi si trova in una malattia seria.

Ha dichiarato Gesù: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). Gesù, come Dio, è fonte della vita, e come Dio-Uomo ha redento la nostra vita perché sia realizzata in pienezza. Ma di quale vita-salute parla? Di quella spirituale o anche di quella fisica? E di quale pienezza? Nella Sinagoga di Nazaret, quando Gesù si è presentato ai suoi compaesani, si è rifatto al profeta Isaia per specificare la sua missione: annunzierà “un lieto messaggio” soprattutto ai poveri, ai prigionieri, ai ciechi, cioè ai sofferenti (cf Mt 13,54-58; Mc 6,1-6; Lc 4,16-19).

Era la sintesi del suo ministero messianico, che si rivolge alla totalità della persona umana, spirituale, psicologica, morale, fisica. L’evangelista san Marco descrive una tipica giornata ministeriale di Gesù. Lui si trova a Cafarnao, di sabato. Inizia la giornata nella sinagoga per la lettura della Bibbia e «si mise a insegnare» (Mc 1,22). Gesù viene interrotto da «un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo» ed egli subito lo guarisce (1,23-28). L’accostamento è significativo: il lieto annunzio del vangelo viene confermato dalla liberazione anche fisica di quell’uomo. Gesù si interessa della vita umana nella sua totalità.

Spesso Gesù compie i suoi miracoli di guarigione proprio di sabato, causando la rabbiosa reazione dei giudei, tanto che dovrà ricordare loro: «Il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» ( Mc 2,27). I miracoli, inseriti nel giorno particolarmente dedicato al Signore, non costituivano solamente una provocazione contro il soffocante rigorismo giudaico. Erano la conferma del suo “vangelo”, che sintetizza e caratterizza il culto a Dio nell’amore verso Dio e verso il prossimo, perché: «Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,40).

Un amore che si estende verso chiunque si trovi in difficoltà e al quale possiamo renderci “prossimo”, come ha precisato Gesù nella parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37), un amore che deve imitare la sua infinita bontà, «come io vi ho amati» (Gv 15,12), perché il giudizio finale verterà principalmente sulle opere di misericordia: Cristo ci attende nel bisognoso (Mt 25,31-46).

Un altro significato nelle guarigioni operate da Gesù nel giorno sacro del sabato: il culto a Dio va dimostrato nella riflessione sulla sua Parola e nella concretezza dei gesti di bontà verso coloro che soffrono. Possiamo ritornare alla giornata tipica di Gesù. «Usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli» (Mc 1,29-31).

Una corsia dell'ospedale Fatebenefratelli di Milano

Una corsia dell’ospedale Fatebenefratelli di Milano

Ma il ministero pastorale di Gesù non è terminato: «Venuta la sera, dopo il tramonto del sole», quando era cessato l’obbligo del riposo del sabato, «gli portavano tutti i malati…; guarì molti che erano afflitti da varie malattie» (1,32-34). I miracoli, anche se particolarmente frequenti, non erano fine a sé stessi. Gesù non intendeva affatto apparire come “guaritore fisico”. Essi costituivano un segno di una esistenza rinnovata nello spirito, tramite la ripresa fisica, in una dinamica che va oltre l’esistenza terrena.

La vita che vuole donarci il Signore non è una vita facile, illusoria. Anzi lui avverte: «In verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,24-25). L’esempio del chicco di grano è particolarmente significativo: il chicco di grano sembra marcire nella terra, ma non muore, infatti germoglia in una nuova vitalità. Così il credente in Cristo deve amare l’esistenza, dono di Dio, deve valorizzarla. Ma si valorizza la vita quando non ci si chiude in sé stessi, quando si accetta di “perderla”, cioè di donarla a Cristo, alla famiglia, alla società ecclesiale e civile. È questa la prospettiva di vita-salute che Cristo ha realizzato nel mistero pasquale, mistero di donazione affettiva, sofferta, redentiva verso una nuova vita, «perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

Gesù non è venuto per risolvere magicamente le nostre difficoltà, ma per condividere la condizione umana, rendersi compagno e redentore del nostro pellegrinaggio terreno, «come era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie» (Mt 8,17). È una prospettiva di vita-salute che si inserisce nella dimensione biblica della salvezza, verso quella pienezza di vita, promessa da Gesù (Gv 10,10).

Il ministero pastorale della Chiesa. Gesù ha affidato agli apostoli la continuazione della sua missione: «Li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi» (Lc 9,2), ossia a prendersi cura dei sofferenti. Il mandato del Signore viene vissuto dalla comunità cristiana: la carità diventa forma della Chiesa. Dall’inizio della sua propagazione e nel suo espandersi missionario, la storia della Chiesa è caratterizzata da sensibilità operosa verso i più sofferenti.

Si deve al cristianesimo l’aver introdotto un nuovo spirito nella cura dei poveri e dei malati e di aver inaugurato un’assistenza, ricca di bontà e di pietà religiosa, fino ad allora sconosciuta. I primi ospizi, come ricovero dei malati poveri, risalgono al 437 a.C., nel clima di altruismo suscitato nell’India dalla predicazione di Budda, ma non ebbero seguito. Invece, l’iniziativa cristiana degli ospedali per i malati-poveri arriverà fino all’epoca contemporanea.

Al di là dell’istituzione ospedaliera, si sono moltiplicate le iniziative cristiane per i bambini più abbandonati, per i carcerati, per i più poveri. Si richiamino i “santi della carità”: san Giovanni di Dio, san Camillo de Lellis, san Vincenzo de’ Paoli, per limitarci ai pionieri più prestigiosi. Dal secolo XVI inizia l’epoca missionaria, che, nonostante mentalità culturali difettose e talvolta lesive della dignità degli indigeni, è stata una storia ricca di donazioni caritatevoli. Quando non era ancora di moda parlare dei poveri e degli emarginati, molti cristiani hanno dato l’esempio di donazioni generose, di iniziative coraggiose, offrendo una testimonianza unica per la continuità nei secoli, per la vastità di diffusione in ogni continente, per la molteplicità di iniziative umili ed eroiche, spesso sconosciute anche agli annali ecclesiastici, note solamente a Dio.

Le “nuove povertà”, ossia le riconosciute povertà dei disoccupati, degli emigranti, dei portatori di handicap, dei malati psichici, dei tossicomani, dei perseguitati politici, dei malati di Aids, dei carcerati, dei nomadi, delle prostitute trovano soprattutto nei centri cristiani di assistenza risposte concrete, anche se insufficienti. Si pensi alla Piccola casa della Divina Provvidenza di san Giuseppe Benedetto Cottolengo fino alle numerose iniziative di Madre Teresa di Calcutta. Il martirologio delle persone che hanno donato tutto sé stesse, fino a sacrificare la propria esistenza per contagio, per una donazione che ha logorato la loro esistenza, per aver pagato con la vita la loro presenza presso i più deboli, anche nelle zone più rischiose, è particolarmente voluminoso, anche se i loro nomi sono ignorati dai mass media.

La Chiesa continua la sua missione a difesa della vita umana, impegnandosi maggiormente per una cultura di vita, dei valori della vita e di una solidarietà organizzata a livello mondiale. Si richiami l’accorato appello di Giovanni Paolo II nella enciclica Evangelium vitae del 25.3.1995. Occorre, specifica il Papa, «decidere tra la “cultura della vita” e la “cultura della morte”…» (n. 28). A tale scopo ha indetto una Giornata annuale per la vita (n. 85) per «prendersi cura di tutta la vita e della vita di tutti» (n. 87).

Madre Teresa di Calcutta visita un centro ciechi e invalidi

Madre Teresa di Calcutta
visita un centro
ciechi e invalidi

La Consulta nazionale della Cei per la pastorale della sanità, preso atto che i concetti di salute e di malattia hanno preso «nuove e importanti connotazioni», avverte (cf La pastorale della salute nella Chiesa italiana: linee di pastorale sanitaria, del 30.3.1989, nn. 6-7) che «l’attività svolta dalla Chiesa nel settore della sanità è espressione specifica della sua missione e manifesta la tenerezza di Dio verso l’umanità sofferente» (Ivi, n. 13). Soggetto primario della pastorale sanitaria è la comunità cristiana, popolo santo di Dio, adunato nell’unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo sotto la guida dei pastori» (Ivi, n. 23, citando la Lumen gentium, n. 1).

Sono sottolineature da tenere presenti perché l’ampiezza variegata della pastorale ecclesiale rischia di lasciare agli “addetti ai lavori”, cioè ai cristiani che, a vario titolo, si impegnano nel mondo socio-sanitario, la pastorale verso i malati e i moribondi, pastorale che deve invece cointeressare tutti i cristiani sia come singoli che come comunità ecclesiali.

Il sacramento dei malati. Dal concilio Vaticano II è iniziata una rivalutazione teologica e pastorale dell’Unzione degli infermi, che non va relegata ai momenti estremi della vita del malato. Questo sacramento tipico per il malato rientra in quella evangelizzazione della vita, della malattia e della morte che va recuperata nella catechesi, a tutte le età, e costituisce l’originale risposta cristiana alla problematica della sofferenza, che va anzitutto alleviata, ma poi va anche orientata. Occorre dare un senso alla vita, nelle sue molteplici difficoltà, alla salute che va vissuta nella sua vulnerabilità, alla morte perché sia avvertita come tappa per una nuova vita.

La preparazione remota al sacramento dei malati consiste nella catechesi sul senso cristiano della vita, della sofferenza e della morte. Purtroppo oggi si sorvola sulla riflessione della morte, quasi la vita cristiana possa concepirsi al di fuori del mistero pasquale, mistero di vita, di sofferenza, di morte e di risurrezione. La preparazione specifica consiste nella catechesi sul sacramento dei malati. Non è sacramento per ben morire, salvo nel senso che ogni sacramento aiuta a morire perché aiuta a ben morire; non è il sacramento della guarigione, perché Cristo non offre una soluzione magica per sfuggire da ogni sofferenza e dalla morte; bensì rientra nei “sacramenti della vita” nel senso che ogni sacramento aiuta la vita del credente nella sua realtà umana, che non è solamente spirituale.

Ogni sacramento ha una sua particolarità: il battesimo innesta la vita umana in Cristo; la comunione dà vigore alla nostra esistenza, nelle sue molteplici difficoltà; la confermazione rinnova in noi la presenza vitale dello Spirito Santo; il sacramento della riconciliazione sana le ferite spirituali; il sacramento dell’Unzione ridona coraggio e forza al malato per affrontare cristianamente il suo periodo di malattia e prepararsi gradualmente e serenamente al passaggio verso la casa del Padre.

Il Codice di Diritto Canonico specifica: «Si conferisca il sacramento a quegli infermi che, mentre erano nel possesso delle proprie facoltà mentali, lo abbiano chiesto almeno implicitamente» (can. 1006). L’unzione sacra non va conferita come rito magico di salvezza, ma presuppone e aiuta la fede del ricevente (cf Sacrosanctum concilium, dove si precisa che i riti sacramentali per gli adulti devono essere realizzati come “sacramenti della fede”, n. 59). Soggetto di questo sacramento è il malato, nel senso più estensivo del termine. L’anziano, come tale, non è soggetto valido per questo sacramento, salvo per il suo stato di generale debolezza, si ritenga lui stesso malato. Non basta una leggera indisposizione o una fase provvisoria di malattia e il convalescente non va trattato da malato. Si eviti il termine di “malattia grave”, perché viene facilmente inteso come situazione di pericolo prossimo di morte. Si può accennare a “malattia grave” o, meglio ancora, a situazione di malattia.

Come i farmaci non vanno riservati alla fase estrema del malato, anche se può usufruirne anche allora, così l’Unzione dei malati non va rinviata alla fase ultima, anche se può essere rinnovata in quella situazione. Questo sacramento va ricevuto come aiuto per tutto il tempo della malattia.

Il sacramento dell’Unzione, come tale, può essere sempre rinnovato, ma, essendo un sacramento dato non per quella “giornata” del malato ma per la sua situazione di infermità, si rinnovi solamente dopo qualche mese o all’aggravarsi della malattia.

Nella Lettera di Giacomo si precisa: «Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati» (5,13-15). Il Rituale così esplicita il testo scritturistico: «Questo sacramento conferisce al malato la grazia dello Spirito Santo; tutto l’uomo ne riceve aiuto per la sua salvezza, si sente rinfrancato dalla fiducia in Dio e ottiene forze nuove contro le tentazioni del maligno e l’ansietà della morte; egli può così non solo sopportare validamente il male, ma anche combatterlo, e conseguire anche la salute, qualora ne derivasse un vantaggio per la sua salvezza spirituale; il sacramento dona inoltre, se necessario, il perdono dei peccati e porta a termine il cammino penitenziale del cristiano» (Rituale Sacramento dell’Unzione e cura pastorale degli infermi. Premesse n. 6. La precisazione del Rituale che il malato, con l’unzione, può «conseguire anche la salute, qualora ne derivasse un vantaggio per la sua salvezza spirituale» è stata meglio chiarita nel Catechismo della Chiesa Cattolica con questa frase più sintetica, ma più conforme alla misteriosa libertà di Dio: il malato può conseguire con l’unzione la salute, se tale è la volontà di Dio, n. 1520. Senza provocare false speranze, si precisi che con l’Unzione il Signore si rende sacramentalmente vicino al malato).

L’espressione più significativa del Rituale è che «tutto l’uomo ne riceve aiuto per la salvezza». Le modalità di questo aiuto anche psicologico e fisico, detto effetto taumaturgico, rientrano nella misteriosa libertà di Dio. L’eventuale ripresa fisica del malato non dipende dalla sua fede. Fede non è la pretesa del miracolo ma l’abbandono fiducioso in Dio, comunque si evolva la situazione. Le Unzioni comunitarie sono il metodo più efficace per superare la paura di questo sacramento, perché la liturgia, da sempre, costituisce la catechesi più immediata.

Le Unzioni comunitarie vanno preparate da una catechesi sul senso cristiano della sofferenza e della morte, sull’impegno della comunità ecclesiale verso i sofferenti, sia per la loro cura fisica sia per far riemergere in essi il coraggio della vita e il senso religioso, nel rispetto delle diverse concezioni religiose. Inoltre le Unzioni comunitarie servono per ringraziare i sofferenti del “servizio insostituibile” che offrono alla Chiesa (cf Giovanni Paolo II, Salvifici doloris, Lettera Apostolica sul senso cristiano della sofferenza umana dell’11.2.1984, n. 27). Essi costituiscono una testimonianza vissuta ai valori della vita e della fede, ossia alla possibilità di vita, di tensione alla salute-salvezza anche nelle situazioni umanamente più assurde e perfino ingiuste.

Guido Davanzo

LA PASTORALE SANITARIA – Sergio Pintor

Pintor Sergio vescovo 02 

LA PASTORALE SANITARIA: UN BANCO DI PROVA DELLA FEDELTA’ DELLA CHIESA

di SERGIO PINTOR

 

Pintor Sergio vescovo 01Da sempre la Chiesa, lungo i secoli, ha accolto e praticato, anche se in forme diversificate, il mandato del suo Signore: «Andate, annunciate il regno di Dio, curate gli infermi». Nel Vangelo, infatti, appare esplicitamente collegato il compito di evangelizzazione affidato alla Chiesa con la missione di prendersi cura e di guarire i malati (cf Mt 10,1; Mc 6,3; Lc 9,1-6.10-9). Nel compiere questa sua missione la Chiesa si è sempre ispirata al modello di Gesù Cristo, divino samaritano, impegnandosi ad attualizzarne la prassi evangelizzatrice e risanatrice (A. Brusco – S. Pintor, Sulle orme di Cristo medico. Manuale di Teologia pastorale sanitaria, EDB 1999, p. 15 ss.).

Gli Atti degli Apostoli testimoniano, come fin dagli inizi, la comunità cristiana si adoperi a favore dei malati (cf At 3,1-11; 9,32ss.; 14,8ss.; 19,11ss.), dei poveri e dei più bisognosi di cure. Un’attenzione particolare viene posta verso i malati e i sofferenti nella consapevolezza che in essi si è identificato lo stesso Gesù Cristo (cf Mt 25). Ad essi la comunità dei discepoli offre solidarietà, cura e consolazione (cf D. Casera, Chiesa e salute: l’azione della Chiesa a favore della salute, Ed. Ancora 1991), senza distinzione alcuna, anche al di fuori dei membri della comunità cristiana.

È evidente come la comunità cristiana delle origini continui la stessa prassi di Gesù, manifestando la forza liberatrice del Regno attraverso segni visibili della misericordia di Dio, quali la guarigione di persone malate. In questo contesto si comprende meglio l’istituzione e il ruolo dei diaconi, e perché l’apostolo Paolo annoveri il carisma della guarigione tra quelli della Chiesa primitiva (cf 1Cor 12,29-30).

Nella storia della comunità ecclesiale

«”Se qualcuno – scrive Cirillo d’Alessandria – ha l’anima malata per i peccati, ha il medico, e se c’è qui qualcuno di poca fede, gli dica: Aiuta la mia incredulità. Se qualcuno è anche affetto da infermità del corpo, non sia incredulo, ma si avvicini (egli infatti cura anche queste) e riconosca che Gesù è il Cristo”. L’opera guaritrice del Salvatore deve tradursi, attraverso la mediazione dei credenti, in opere di solidarietà verso coloro che si trovano in situazione di necessità fisica e spirituale: “Quando vi riunite qua in chiesa – si legge in Cesario di Arles – ciascuno presenti quello che può da distribuire ai poveri; accogliete i pellegrini e gli ospiti nelle vostre case con grande umanità; offrite loro quanto potete, lavate loro i piedi. Prima di ogni altra cosa, visitate i malati”. Ogni gesto di amore solidale verso chi soffre è sostenuto dalla consapevolezza che Cristo è presente non solo nel malato ma anche in chi lo serve. Così rimprovera Antonio abate un infermo che si ribella alle cure: “Non sai che è Cristo colui che ti serve?”» (A. Brusco – S. Pintor, o. c., p. 17).

Questa presenza e vicinanza della Chiesa come carità diffusa, nei confronti delle persone malate e sofferenti, con la pace costantiniana, avrà modo di esprimersi, sia in Oriente che in Occidente, attraverso svariate iniziative. Un decreto del concilio di Nicea (325) richiede che in ogni città vengano costruiti asili o ricoveri per pellegrini, infermi e poveri. Molti vescovi, vicino alle cattedrali e agli episcopi, fanno costruire case di accoglienza per poveri e infermi. Significativa è la costruzione, promossa da san Basilio Magno, di una cittadella della carità, chiamata “Basiliade”, presso i sobborghi di Cesarea di Cappadocia a partire dal 373. La “Basiliade” è quasi l’anticipo di un vero e proprio complesso ospedaliero: con una chiesa, un monastero, un ospizio e un ospedale, e con personale sanitario preparato.

Il secolo IV vede uno sviluppo particolare di istituzioni di assistenza e di cura, che potrebbero essere considerate quasi pre-ospedaliere: sorgono alberghi per accogliere pellegrini, viaggiatori ed esiliati; “nosocomi” o case per malati; “orfanotrofi” per bambini privi di genitori; “gerontocomi” o case per anziani. Il primo ospedale costruito a Parigi nel secolo VII viene chiamato dal vescovo Landrio, in termini quanto mai significativi e interpellanti anche per noi oggi: Hotel Dieu (cf Celam, Pastoral de la salud, Santa Fe de Bogotà, 1999, pp. 147-148). Insieme ai vescovi, sono i monaci, sia in Oriente come in Occidente, a promuovere nella Chiesa un’azione di assistenza e di cura sanitaria. La tradizione ospedaliera dei monaci viene, in un certo senso, consacrata dalla regola di san Benedetto, quando ordina di costruire insieme a ogni monastero un ospedale ed esorta i suoi monaci a prendersi cura dei malati e dei pellegrini vedendo in essi la stessa persona di Cristo (San Benedetto, Regula monachorum, C. 31, 42-53).

A uno sviluppo di numerose istituzioni di assistenza sanitaria nel Medioevo – con il sorgere di ordini ospedalieri e confraternite – segue un periodo di crisi in epoca rinascimentale, con una forte caduta di motivazioni e di valori nell’assistenza dei malati. A tale crisi reagiscono molte forze cristiane, come le Compagnie del divino amore e i nuovi ordini ospedalieri, tra cui i Fatebenefratelli, fondati da san Giovanni di Dio (1537) e i Ministri degli infermi, fondati da san Camillo de Lellis (1548). I fondatori di questi due ordini possono essere considerati dei veri e propri riformatori dell’assistenza sanitaria del tempo. San Giovanni di Dio ha sottolineato e praticato il valore dell’accoglienza e della “ospitalità” offerta ai poveri e ai malati più poveri, come veicolo dell’amore redentivo di Cristo.

San Camillo de Lellis

Così come non si può ignorare il contributo di san Vincenzo de’ Paoli con la fondazione delle Figlie della carità: esse hanno reso più visibile nella cura dei malati e dei poveri il volto femminile dell’amore. Su questa scia si andranno moltiplicando gli istituti religiosi impegnati nella cura della salute e della vita. Testimonianze tutte che continuano a interpellare la pastorale sanitaria oggi nelle nostre comunità e a denunciare tante carenze di umanità.

A partire dalla Rivoluzione francese e, soprattutto, con l’avvento dell’Illuminismo, in campo di assistenza sanitaria avvengono profondi mutamenti e un progressivo processo di laicizzazione degli ospedali, con la spinta a un’assunzione delle responsabilità sanitarie da parte dello Stato. Con gli innegabili progressi sociali e scientifici connessi a tali cambiamenti, non si possono ignorare anche i limiti e i rischi: una caduta di attenzione all’assistenza e alla cura dei più poveri; spesso la riduzione dei fenomeni umani e relazionali a fenomeni puramente tecnici; una diminuzione di motivazioni valoriali umanizzanti…

Nei nuovi scenari in cui la Chiesa

In questo contesto, si può affermare che «se l’evoluzione dell’assistenza sanitaria e delle sue strutture ha ridotto decisamente il protagonismo della comunità ecclesiale in questo settore, essa però non ne ha spento lo slancio. Viene meno l’opera di supplenza in determinate aree ma cresce in altre – malati cronici, tossicodipendenze, vittime dell’Aids, pazienti in fase terminale… –, dove lo Stato è meno attivo. Stuoli di religiose si inseriscono nell’assistenza dei malati negli ospedali pubblici.

Pur cercando di evitare forme di competizione con le istituzioni governative, la Chiesa sottolinea il diritto ad averne di proprie che, modellate sui valori della carità evangelica, svolgano una funzione di esemplarità. Inoltre, il processo di espansione missionaria, reso più facile dai mezzi di comunicazione, apre alla Chiesa i vasti territori del terzo mondo, dove l’assistenza sanitaria diventa uno dei mezzi privilegiati di evangelizzazione. La gestione di opere sanitarie proprie non è l’unica modalità adottata dalla Chiesa per rispondere ai bisogni dei malati. La storia, infatti, registra tutta una fioritura d’iniziative assistenziali; molte di esse ben strutturate, altre più informali. L’attuale volontariato sanitario, un autentico segno dei tempi, pur avendo connotazioni originali, affonda le sue radici in una lunga tradizione. Infine, come dimenticare la quotidiana storia di gesti di carità verso gli infermi, cioè il feriale, il vissuto anonimo della carità, quello che i cristiani comuni hanno fatto per amore del proprio prossimo infermo?» (A. Brusco – S. Pintor, o. c., pp. 22-23).

In definitiva, penso si possa affermare che la Chiesa ha sempre manifestato la sua fedeltà all’insegnamento e al mandato di Gesù Cristo con la sua prossimità alle persone malate e sofferenti, con istituzioni dedicate a tale scopo, con opere di assistenza nelle aree più difficili e di frontiera della Sanità, con significativi contributi nella stessa promozione legislativa degli Stati, con una tenace attenzione e cura verso i più poveri ed emarginati. Anche perché la sua presenza e azione è costantemente motivata, sorretta e purificata dalla consapevolezza di essere sacramento, segno e strumento universale dell’amore gratuito, misericordioso e risanante di Dio verso ogni persona umana.

Quale pastorale sanitaria oggi?

a) L’evangelizzazione:

  • interpretare alla luce della fede cristiana i problemi inerenti al mondo della salute, a livello di ricerca scientifica, di tecniche di intervento, di relazione terapeutica, di utilizzazione di risorse;

  • promuovere una cultura della vita e una nuova cultura della salute;

  • aiutare la persona malata, portando la luce della Pasqua di Gesù Cristo e la forza della fede nella situazione di sofferenza che essa vive;

  • sostenere la persona malata con la grazia dei sacramenti, la forza della preghiera, la vicinanza della solidarietà e della carità;

  • aiutare la famiglia e i familiari del malato a vivere nella fede e nella speranza la prova della malattia;

  • aiutare le persone che vivono situazioni anche gravi di disabilità, a ritrovare il senso della vita e la superiore dignità dell’”essere”;

  • illuminare e sostenere con la luce della fede il servizio dei diversi operatori sanitari, favorendo una loro formazione professionale ed etica, aperta ai valori fondamentali della persona, della vita, della solidarietà.

b) L’umanizzazione: contribuire a una effettiva umanizzazione del mondo sanitario a tutti i livelli:

  • promuovendo un discernimento cristiano delle situazioni e delle cause di disumanizzazione esistenti;

  • impegnandosi a rendere più umane le relazioni tra personale socio-sanitario e utenti o malati, le strutture ospedaliere o di cura, le istituzioni erogatrici di servizi sanitari, le relazioni tra operatori sanitari, i progetti gestionali-economici-politici…

c) La formazione:

  • formare le comunità, i responsabili e gli organismi di comunione pastorale, e tutti i battezzati al significato della pastorale sanitaria;

  • formare operatori di pastorale sanitaria ai vari livelli nel territorio e nelle strutture sanitarie; formare gli operatori sanitari;

  • formare il volontariato;

  • curare la formazione nelle diverse associazioni di operatori sanitari, di malati o per i malati;

  • promuovere una autentica e solida spiritualità pasquale, una spiritualità del servizio e della speranza;

  • formare cappellani e assistenti spirituali per le strutture sanitarie.

L’opzione preferenziale per i poveri: una sfida permanente e un criterio evangelico

I vescovi italiani, richiamando un testo dell’enciclica Laborem exercens, affermavano: «L’amore preferenziale per i poveri costituisce un’esigenza intrinseca del Vangelo della carità e un criterio di discernimento pastorale nella prassi della Chiesa. Esso richiede alle nostre comunità di prendere puntualmente in considerazione le antiche e nuove povertà che sono presenti nel nostro Paese o che si profilano nel prossimo futuro…

Il Vangelo della carità deve dare profondità e senso cristiano al doveroso servizio ai poveri delle nostre Chiese, risvegliando la consapevolezza che questo servizio è “verifica della fedeltà della Chiesa a Cristo, onde essere veramente la Chiesa dei poveri” (Laborem exercens, 8) che nella sua opera evangelizzatrice fa proprio lo stile di umiltà e abnegazione del Signore e riconosce nei poveri e nei sofferenti la sua immagine.

Contemporaneamente, alla luce del mistero della redenzione, occorre sempre di nuovo riscoprire il valore attivo e “creativo” di ogni tipo di sofferenza umana e il contributo decisivo che ne scaturisce per la missione della Chiesa e il progresso stesso dell’umanità. Solo la croce di Cristo, senza distogliere dall’impegno a rimuovere le cause della povertà e ad alleviare le sofferenze dei fratelli, può dare risposta e speranza definitive alle povertà e alle sofferenze più radicali dell’uomo» (Cei, ETC 47: Ecei 4/2777 s.).

In un contesto in cui, anche nel mondo della salute, l’economia di mercato sembra dire l’ultima parola, e le persone più povere e fragili rischiano di essere lasciate sole nel territorio e nella loro condizione, è urgente assumere nella pastorale sanitaria della Chiesa, come criterio evangelico, l’opzione preferenziale per i poveri in una cultura di autentica e nuova solidarietà. Solo partendo dagli ultimi e dai più poveri, anche in ambito sanitario, si potrà dire di tendere realisticamente al bene comune e di prendersi cura della salute e della vita di tutti. È importante promuovere, oggi, un’assunzione comunitaria dell’opzione dei più poveri, con un respiro e orizzonte universale, in modo da sviluppare una nuova cultura della salute più solidale e ispirata da una civiltà dell’amore.

Giovanni Paolo II:

: «Oggi poi, attesa la dimensione mondiale che la questione sociale ha assunto, questo amore preferenziale, con le decisioni che esso ci ispira, non può non abbracciare le immense moltitudini di affamati, di mendicanti, di senza tetto, senza assistenza medica e, soprattutto, senza speranza di un futuro migliore: non si può non prendere atto di queste realtà» (Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, 42, EV 10/2673).

Tutto questo richiede un profondo cambiamento di mentalità in termini di nuova solidarietà, come «determinazione ferma e permanente di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti» (Giovanni Paolo II, o. c., 38, EV 10/2650).

Una delle priorità, nelle attuali situazioni di cambiamento nel mondo e nella cura della salute – sia a livello planetario che in ogni Paese – è data da un’effettiva opzione preferenziale per i poveri nel suo pieno significato evangelico. È una priorità che va affrontata e attuata con molta umiltà, senza parole retoriche o affermazioni astratte, in un cammino di costante conversione al Vangelo.

Se la pastorale sanitaria, è l’attualizzazione della prassi evangelizzatrice di Gesù, essa non può non essere rivolta anzitutto ai poveri, destinatari privilegiati della “buona notizia” di salvezza-salute. Non si tratta di scelta ideologica, di parte o di classe sociale, ma di autentica sacramentalità della carità di Dio. Anche se, come si è visto, l’azione pastorale della Chiesa nel mondo della salute è stata variamente intesa e interpretata lungo i secoli, essa è stata sempre caratterizzata da una motivazione fondamentale: dire l’amore di Dio “buon samaritano”, in ogni direzione e senza confini, nella prossimità e nella reciprocità di dono con le persone malate e sofferenti.

Alla luce di quanto fin qui esposto, la pastorale sanitaria può essere definita come «la presenza e l’azione della Chiesa per recare la luce e la grazia del Signore a coloro che soffrono e a quanti se ne prendono cura. Non viene rivolta solo ai malati, ma anche ai sani, ispirando una cultura più sensibile alla sofferenza, all’emarginazione e ai valori della vita e della salute» (Consulta nazionale per la pastorale della sanità – Cei, La pastorale della salute nella Chiesa italiana).

Da questa definizione descrittiva dell’azione della Chiesa nel mondo della salute, derivano anche i suoi obiettivi generali e i suoi principali compiti, che possono essere schematicamente richiamati nei termini seguenti:è chiamata oggi a essere presente e agire, si deve affermare con chiarezza e forza che il suo non è stato e non sarà mai «un servizio sanitario di parte», di semplice supplenza allo Stato e, tanto meno, di concorrenza con altre istituzioni pubbliche o private.

La sua è azione “pastorale”, cioè attualizzazione dell’agire di Gesù Cristo “buon pastore” venuto a dare vita piena agli uomini, di Gesù Cristo “buon samaritano” venuto a sollevare, con la misericordia e la tenerezza di cui solo Dio è capace, ogni persona umana in condizione di sofferenza.è stato definito da Benedetto XIV come il fondatore di una nuova scuola di carità. Egli nella cura verso i malati chiedeva al personale sanitario un atteggiamento materno: «Prima di tutto ognuno domandi grazia al Signore che gli dia un affetto materno verso il prossimo, affinché possa servirlo con ogni carità, così nell’anima come nel corpo, perché desideriamo con la grazia di Dio assistere tutti gli infermi con quell’affetto che suole un’amorevole madre verso il suo unico figlio infermo» (M. Vanti, Gli scritti di san Camillo, Coletti 1952).

Appare costante il riferimento alla persona e all’agire di Gesù Cristo, come manifestazione piena della carità e della tenerezza di Dio, con il richiamo al comandamento nuovo dell’amore nel contesto della lavanda dei piedi e al modello del “buon samaritano”, con una conseguente azione educativa alla pratica della carità verso i malati e i sofferenti, a partire dai più poveri e deboli. Significativo al riguardo è lo sviluppo dato dai Padri della Chiesa al tema del “Cristo medico”, salute dei corpi e salvezza delle anime. Al centro dell’assistenza e della cura del malato vi è la persona umana nella sua totalità-integralità.

LA PASTORALE DELLA SALUTE NELLA REALTA’ ITALIANA

LA PASTORALE DELLA SALUTE

NELLA REALTA’ ITALIANA

 

  

Novembre 2005

 

1. Una coincidenza provvidenziale
Questo Convegno Internazionale Camilliano è stato organizzato provvidenzialmente negli stessi giorni in cui si sta svolgendo la 55a Assemblea Generale della CEI ad Assisi (14-18 novembre 2005), durante la quale i vescovi stanno affrontando in modo particolare i temi della formazione al ministero presbiterale e quelli della pastorale nel mondo della sanità.

Secondo il comunicato finale del Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza
Episcopale Italiana, riunito a Roma dal 19 al 22 settembre u. s., “il secondo tema
impegnerà i vescovi nella riflessione su ‘La Chiesa e il mondo della salute: nuovi scenari
e comunicazione del Vangelo’. Sarà occasione per approfondire le numerose
problematiche che emergono oggi nel campo della sanità, in considerazione dei
cambiamenti socio-culturali e dei progressi scientifici e tecnologici, e per ribadire
l’impegno della Chiesa, all’interno di una precisa prospettiva educativa ed etica,
nell’ottica della prevenzione e della promozione della salute integrale della persona.
Sarà anche l’occasione per avviare un rilancio della pastorale della salute nel contesto
della pastorale ordinaria e per manifestare vicinanza e sostegno agli operatori e alle
tante istituzioni sanitarie cattoliche che operano in questo campo”1.
E’ la prima volta nella storia della Chiesa italiana che l’intero episcopato affronta il
tema della pastorale della salute, dedicandole una giornata intera di studio. Tale
avvenimento può essere considerato un grande dono dello Spirito, un punto di arrivo di
un lungo e lento cammino iniziato oltre quarant’anni or sono, con la nascita dell’Ufficio
nazionale per l’assistenza spirituale ospedaliera nel 1962, affiancato da una
Commissione episcopale ed in seguito da una Consulta nazionale2.


1 AVVENIRE, Comunicato – Il testo finale sui lavori del Consiglio permanente CEI: “In ascolto della verità di Cristo
per capire il nostro tempo”, mercoledì 28 settembre 2005, p.15 ( I Documenti).
2 Cfr SANTORO G., La Consulta della CEI per la pastorale della sanità, in Insieme per servire, Rivista
dell’Associazione Nazionale Cappellani e Religiosi Ospedalieri (ANCRO), anno 2, 5, n. 2 – settembre 1988, pp. 10-13;
GHILARDI G., La Consulta nazionale per la pastorale della Sanità, in Insieme per servire, Rivista dell’Associazione
Italiana di Pastorale Sanitaria (AIPAS, già ANCRO), 27, anno X n. 1 – gennaio – marzo 1996, pp. 55-62 .
2
2. Non una riflessione teologica, ma una testimonianza di vita
Di questo cammino ho avuto la grazia speciale di essere soggetto attivo come
assistente spirituale e religioso in una struttura sanitaria pubblica di una grande città
del Sud. Inoltre la grazia divina ha “sovrabbondato in me”, perché mi ha fatto
incontrare religiosi carismatici della Famiglia Camilliana che mi hanno arricchito
spiritualmente e mi hanno permesso di aprirmi ai nuovi orizzonti della pastorale
sanitaria.
Il mio intervento, che ha la finalità di presentare un quadro panoramico della
pastorale della salute oggi in Italia, si qualificherà non tanto come analisi e riflessione
teologica dello studioso quanto come testimonianza appassionata di un pastore che è
stato provocato da molteplici fattori alla conversione interiore personale e al
cambiamento radicale del servizio pastorale nella metodologia e nei contenuti3. Infatti
da trent’anni io lavoro nella vigna del Signore non come operaio specializzato, ma
semplicemente come un manovale che attraverso l’esperienza sul campo e lo studio
informale si sforza di coniugare contemporaneamente sia l’una che l’altro.
Questi i punti salienti che svilupperò:
• le fonti ispirative del cammino della Chiesa italiana nella pastorale sanitaria,
• le vie d’incarnazione della rinnovata pastorale della salute,
• le lentezze ed i ritardi che generano preoccupazione,
• gli orizzonti di speranza del prossimo futuro.

3. Le fonti ispirative

 
Il cammino della Chiesa italiana nelle ultime quattro decadi, anche nel campo della
pastorale della salute, è stato segnato in modo determinante dalla forza propulsiva del
Concilio Vaticano II e dall’azione pastorale di Giovanni Paolo II nel lungo periodo del
suo pontificato. Questi due fattori costituiscono i punti di riferimento essenziali per una
giusta valutazione e comprensione di quanto avvenuto nel cambiamento della vita
3 DI TARANTO L. N., La Chiesa nel mondo della sanità che cambia, Camilliane, Torino 2002, pp. 73-91. Comunque
non mancano analisi teologiche su questo ambito: cfr BRUSCO A., La pastorale sanitaria nell’attuale contesto
sociale, in AA. VV., Progettualità ecclesiale nel mondo della salute, Atti del 3° Convegno della Consulta Nazionale
della Pastorale della Sanità della C.E.I., 23-25 aprile 1995 (a cura di Mons. Italo Monticelli), Salcom, Brezzo di Bedero,
1995, pp. 17-46; SANDRIN L., La pastorale sanitaria in Italia: analisi e prospettive, in Insieme per servire, o.c., 27 –
anno X – n. 1 – gennaio marzo 1996, pp. 38 – 53.
3
cristiana e nell’evoluzione della pastorale in genere e della pastorale sanitaria in
particolare.

3.1 – L’evento del Concilio Vaticano II, “novella Pentecoste”
La grande assise ecclesiale, voluta da Giovanni XXIII perché si potessero rinnovare
“nella nostra epoca i prodigi come di una novella pentecoste”4, non ha affrontato in
modo sistematico e con un documento specifico le problematiche connesse con la salute
e la malattia, ma non ha dimenticato sia i malati che le problematiche della salute -
salvezza.
In diversi documenti approvati essa ha fatto riferimento al dovere di tutta la
comunità cristiana di preoccuparsi dei malati. La Nota CEI ha così sintetizzato i
contributi dei documenti conciliari riguardanti l’attenzione amorevole verso i malati:
“Nell’attenzione ai problemi del mondo della salute e nella cura amorevole verso i
malati, la comunità ecclesiale è coinvolta in tutte le sue componenti. Il concilio Vaticano
II raccomanda ai vescovi di circondare «di una carità paterna gli ammalati» (CD 30); ai
sacerdoti di avere «cura dei malati e dei moribondi, visitandoli e confortandoli nel
Signore» (PO 6); ai religiosi di esercitare «al massimo grado» il ministero della
riconciliazione in loro favore e di mantenere la fedeltà al carisma della misericordia
verso gli ammalati (cf PC 10); ai laici di praticare «la misericordia verso i poveri e gli
infermi», ricordando che la «carità cristiana deve cercarli e trovarli, consolarli con
premurosa cura e sollevarli porgendo aiuto» (AA 8)”5.
Ma il Concilio Vaticano II ha posto soprattutto preziosi semi a livello teologico nella
Lumen Gentium con la proposizione di una ecclesiologia di comunione e di
corresponsabilità che negli anni postconciliari ha portato a positive conseguenze e a
frutti concreti. A modo di esempio è sufficiente ricordare i paragrafi riguardanti la
Chiesa come mistero (nn.1-8); il popolo di Dio: sacerdozio comune, carismi e unità
(nn.9-13); i laici nella Chiesa (nn.30-38); la vocazione universale alla santità nella
Chiesa (nn.39-42).
A livello pastorale poi con la Gaudium et spes lo stesso Concilio ha fatto la scelta di
solidarietà profonda col mondo in un rapporto di reciproco arricchimento. Il notissimo
incipit sinfonico della costituzione pastorale “Le gioie e le speranze, le tristezze e le
angosce…” può essere letto non solo nell’ottica generale di una comunità cristiana che
4 ENCHIRIDION VATICANUM, EDB, Bologna (edizione 16a: novembre 1997), 1 , 23*
5 CONSULTA NAZIONALE CEI PER LA PASTORALE DELLA SANITA’, La pastorale della salute nella chiesa
italiana, 30 marzo 1989, Paoline, Milano 1989, Magistero 144, n.23.
4
vuole vivere i valori dell’incarnazione di Cristo con tutto l’uomo e tutti gli uomini, ma
anche nell’orizzonte specifico di un impegno di essere “buona samaritana” di una
umanità segnata dalla sofferenza, dalle malattie e da angoscianti interrogativi, ma
redenta dal Cristo, l’uomo nuovo, che con la sua risurrezione ha indicato ed inaugurato
“la terra nuova e il cielo nuovo” (nn. 11.18.22.39).
Tra i messaggi finali dei padri conciliari all’umanità, quello “Ai poveri, ai malati, a
tutti quelli che soffrono” può essere considerato quasi un programma ed una consegna
a tutti i battezzati: “Sappiate che voi non siete soli, né separati, né abbandonati, né
inutili: voi siete chiamati da Cristo, la sua vivente e trasparente immagine. In suo nome,
il concilio vi saluta con amore, vi assicura l’amicizia e l’assistenza della Chiesa e vi
benedice”6.
3.2 – Il notevole contributo di Giovanni Paolo II
Di quanto il compianto papa ha lasciato ai malati e ai sofferenti, agli operatori
pastorali e sanitari, alla Chiesa intera, possiamo individuare tre vie significative: la via
delle “parole” intesa come documenti magisteriali di varia natura, la via delle “opere”
comprendente la costituzione di organismi giuridici insieme ad iniziative pastorali, la
via della “testimonianza di vita” attraverso la salute e la malattia.
a) L’insegnamento – Vasto si presenta l’orizzonte degli interventi magisteriali di
Giovanni Paolo II riguardanti gli incontri con i malati nelle numerosissime occasioni
della sua azione pastorale: qualche rivista da anni ha una rubrica apposita dove riporta
tutto quello che il papa ha detto negli incontri pubblici con i malati e i sofferenti7. Non
mancano i discorsi pronunciati in occasione di convegni medico-scientifici e pastorali o
su problematiche di specifiche aree sanitarie ed etiche.
In questa sede ci interessa ricordare in modo particolare la lettera apostolica sul
significato cristiano della sofferenza umana (Salvifici doloris, 1984), l’esortazione
apostolica postsinodale sulla “vocazione e missione dei laici nella chiesa e nel mondo”
(Christifideles laici, 1988), la lettera enciclica sul valore e l’inviolabilità della vita
umana (Evangelium vitae,1995). Questi tre documenti possono essere considerati
altrettante tappe del cammino del rinnovamento della pastorale della salute.
6 ENCHIRIDION VATICANUM, o.c., 524*.
7 Per esempio L’Ancora nell’Unità di Salute, rivista bimestrale a cura del Centro psicopedagogico etico spirituale dei Silenziosi Operai della Croce, Roma.
5
b) Gli organismi e le iniziative pastorali – Nel suo lungo pontificato Giovanni
Paolo II ha offerto alla Chiesa anche le fondamenta solide e gli strumenti efficaci di un
rinnovato slancio della pastorale della salute attraverso organismi e iniziative pastorali.
Già un anno dopo la Salvifici doloris istituiva col “motu proprio” Dolentium hominum
(11 febbraio 1985)8 quello che oggi ha assunto il nome di Pontificio Consiglio per la
pastorale della salute9.
Non va dimenticata la proposta della celebrazione annuale della Giornata mondiale
del malato, richiesta dal Presidente del Pontificio Consiglio e accettata da Giovanni
Paolo II, con una lettera del 13 maggio 1992. Né va sottaciuta la visibilità che il papa ha
dato ai malati nelle occasioni di particolare significatività della Chiesa, come il grande
Giubileo della Redenzione celebrato nel Duemila con liturgie particolari o gli imput che
egli ha dato alla pastorale sanitaria vista in orizzonti a cerchi concentrici sempre più
estesi, come per esempio in Vita Consecrata, Ecclesia in Europa, Pastores gregis.
c) La testimonianza di vita – Leggendo la vita di Giovanni Paolo II tutti sono
concordi nell’affermare che egli ha guidato la Chiesa per oltre un quarto di secolo non
solo con la sua parola, ma anche e soprattutto con la sua vita, con gesti particolarmente
eloquenti e con iniziative originali che hanno sorpreso l’intera umanità.
Il suo contributo al rinnovamento della pastorale della salute è stato importante
anche con la sua salute e la sua malattia. Possiamo veramente affermare che egli nella
prima parte del suo pontificato ha evangelizzato la salute con la sua “giovane” età,
mentre nella seconda parte ha parlato attraverso la sofferenza e la morte.
Sorge spontanea una proposta: non si potrebbe avviare nelle sedi formative più
opportune una seria ricerca teologica sull’influenza avuta da parte del Concilio
Ecumenico Vaticano II e del papa Giovanni Paolo II nello sviluppo e nella promozione
della pastorale della salute? Sembra che manchino studi a tale riguardo e sono sicuro
che i risultati che ne deriverebbero sarebbero certamente sorprendenti.
8 Questo organismo prima era stato denominato “Pontificia Commissione per la pastorale degli operatori sanitari”, era
collegata col Pontificio Consiglio per i Laici e si prevedeva un Pro-presidente ed un Segretario. Dopo alcuni anni essa
diveniva “Pontificio Consiglio” col motu proprio “Pastor Bonus” del 1988.
9 Questo Pontificio Consiglio per la pastorale della salute ha prodotto i seguenti documenti:

I laici nel mondo della sofferenza e della salute (1987),

 I religiosi nel mondo della sofferenza e della salute (15 settembre 1987),

Formazione sacerdotale e pastorale sanitaria (1990).

Inoltre sin dalla sua nascita si è fatto promotore di una conferenza internazionale su temi che interessano il mondo della sanità e della pastorale della salute. I relativi Atti si trovano sulla rivista quadrimestrale che porta lo stesso nome del Pontificio Consiglio. Non possiamo dimenticare anche la pubblicazione della Carta degli operatori sanitari (1995), in cui sono raccolti i documenti del magistero della Chiesa per le problematiche che riguardano il mondo della salute e della Sanità.
6
4. Le vie d’incarnazione
Chi guarda all’evoluzione avvenuto nel campo della pastorale della salute nella
nostra nazione non può non notare il grande cambiamento che ne è derivato grazie ad
una vasta serie di interventi, che possiamo distinguere in quattro grandi aree.

 

4.1 – Magistero
Nell’ambito magisteriale la Chiesa italiana ha prodotto un serie di interventi che
stanno a significare l’attenzione concreta dei nostri pastori verso i malati e il tema della
salute – salvezza. Possiamo distinguerne due tipologie: quelli di documenti totalmente
dedicati a specifiche tematiche di pastorale della salute e quelli di paragrafi specifici di
altri documenti di interesse generale o programmatico.
Nella prima tipologia possiamo inserire: Evangelizzazione e sacramenti della
Penitenza e dell’Unzione dei malati (1973), Sacramento dell’unzione e cura pastorale
degli infermi (1975), La pastorale della salute nella chiesa italiana (1989), Problemi e
prospettive pastorali degli anziani non autosufficienti (1989), Indicazioni pastorali su
I malati mentali (1989), Evangelizzazione e cultura della vita umana (1989), Nota sui
risvolti pastorali del problema delle tossicodipendenze (1990), Riflessioni pastorali
sulle condizioni di vita dei portatori di handicap (1991), Le istituzioni sanitarie
cattoliche in Italia – Identità e ruolo (2000), Un dolore disabitato – Sofferenza
mentale e comunità cristiana (2003).
Nella seconda tipologia possiamo inserire gli Orientamenti pastorali degli ultimi due
decenni: Evangelizzazione e testimonianza della carità, 8 dicembre 1990, nn.39.47.48;
Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 29 giugno 2001, nn.61.62; la Nota
pastorale Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, 30 maggio
2004, dove sono indicati alcuni spazi concreti per vivere la pastorale della salute nel
territorio. Né possiamo dimenticare gli interventi dei singoli vescovi o degli organismi
pastorali delle chiese locali10 ed i messaggi della Consulta o dell’Ufficio nazionale per la
pastorale della Sanità in occasione della Giornata del malato11.
10 Cfr BIFFI G., I malati nella comunità ecclesiale – Nota pastorale, EDB, Bologna 1987; MAGRASSI M., Diamo vita
alla vita – La realtà sanitaria in terra di Bari, messaggio pasquale 1991; PATRIARCATO DI VENEZIA,
COMMISSIONE DIOCESANA PER LA PASTORALE DELLA SANITA’, Va’ e anche tu fa’ lo stesso . La pastorale
della salute nella comunità, Edizioni CID del Patriarcato di Venezia, 11 febbraio 1997; ARCIDIOCESI DI BARIBITONTO,
UFFICIO PER LA PASTORALE DELLA SALUTE, Siate sempre lieti il Giorno di Domenica – Lettera
degli operatori pastorali delle Cappellanie ospedaliere alle comunità cristiane, Proposte pastorali, Ecumenica Editrice,
Bari, settembre 2004.
11 Fino all’anno corrente 2005 sono state celebrate 13 Giornate Mondiali del Malato.
7
Da questa variegata realtà nasce una seconda proposta: non sarebbe opportuno
raccogliere tutti questi documenti in un Enchiridion della pastorale della salute, ove si
potrebbero inserire sia gli interventi magisteriali di Giovanni Paolo II che quelli della
Chiesa italiana? In altri ambiti pastorali questo è stato già realizzato, come quelli
dell’Ecumenismo e quelli della famiglia.

4.2 – Organismi di animazione e di comunione
Un ambito pastorale è fiorente ed efficace, radicato nel territorio e nella vita delle
comunità ecclesiali, se si dota di specifici organismi di animazione e di comunione:
negli ultimi trent’anni la pastorale della salute gradualmente si è dotata di un
organigramma, che abbraccia l’intera vita della Chiesa a vari livelli.
E’ doveroso ricordare anzitutto la nascita, lo sviluppo e la riorganizzazione
realizzatisi nel corso dei decenni della Consulta nazionale per la pastorale della Sanità:
è stata lei la prima artefice di animazione alle problematiche del mondo sanitario. Il
frutto più bello e più maturo è stato la pubblicazione della Nota La pastorale della
salute nella chiesa italiana nel 1989: è un documento armonico, completo, semplice,
propositivo in cui si approfondisce il discorso di questa pastorale presentandone il
fondamento cristologico, la definizione e gli obiettivi, i soggetti e le strutture12. Essa
rimane attuale ancora oggi.

La stessa Consulta si è fatta promotrice di tre convegni nazionali nel 1980, 1981,
1995: i relativi Atti13 costituiscono uno specchio della realtà nazionale di quegli anni ed
un patrimonio culturale prezioso di un cammino fatto, che ha avuto il merito di
affrettare la nascita dell’Ufficio nazionale per la pastorale della Sanità da parte della CEI
nel 199614.
L’impegno di questo organismo nazionale ha fatto maturare la diffusione della
nascita e delle attività degli Uffici e delle Consulte a livello regionale e

diocesano: esse si
sono sviluppate a macchia di leopardo, secondo ritmi diversi dipendenti dalla
12 E’ giusto riconoscere il merito ai Ministri degli Infermi, che sono stati gli unici a preparare tempestivamente un
commento qualificato della Nota: cfr BRUSCO A. (A cura di), Curate gli infermi- La pastorale della salute nella
chiesa italiana, Camilliane, Torino 1990.
13 Cfr AA. VV., Chiesa e riforma sanitaria – Atti del 1° Convegno della Consulta Nazionale della Pastorale sanitaria
della CEI, 24-26 ottobre 1980, a cura di P. Giuseppe Santoro, o.p., Salcom, Brezzo di Bedero (VA), 1981; AA:VV., La
pastorale della salute nel territorio, Atti del 2° Convegno della Consulta Nazionale della Pastorale sanitaria della CEI,
ottobre 1981, a cura di P. Giuseppe Santoro, o.p., Salcom, Brezzo di Bedero (VA), 1982; AA. VV., Progettualità
ecclesiale nel mondo della salute – Atti del 3° Convegno della Consulta Nazionale della Pastorale della Sanità della
CEI, 23-25 aprile 1995, a cura di mons. Italo Monticelli, Salcom, Brezzo di Bedero (VA), 1995
14 Cfr DI TARANTO L. N., L’Ufficio nazionale per la pastorale della Sanità: identità e compiti, in IDEM, La Chiesa nel mondo della sanità che cambia, o.c., pp. 11-19.
8
sollecitudine dei pastori delle Chiese locali e delle Conferenze episcopali regionali. A
tutt’oggi, nel 2005, ci sono Uffici e Consulte che vivono e sono attivi da oltre vent’anni,
altri che stentano ad avviarsi concretamente pur essendo stati costituiti, altri ancora che
non sono ancora nati. Comunque possiamo affermare che nelle realtà diocesane gli
Uffici per la pastorale della salute per la maggior parte hanno assunto una loro
fisionomia, preparano programmi annuali dei loro servizi, sono inseriti a tutti gli effetti
nella vita delle Chiese locali. Il convegno annuale organizzato dall’Ufficio nazionale ha il
grande merito di riunire tutti i direttori degli Uffici diocesani per la riflessione, il
confronto e l’aggiornamento.
In questa area posso portare la mia testimonianza avendo avuto la grazia di
ricevere il mandato di far nascere l’Ufficio per la pastorale della salute nell’arcidiocesi di
Bari/Bitonto nell’anno pastorale 1985/86: è stata una esperienza pionieristica, perché
non avendo modelli di riferimento il cammino è stato “inventato” e sperimentato con la
creatività dello Spirito. Tutto è stato realizzato su due binari: quello del coinvolgimento
delle persone e delle associazioni impegnate nel campo dei malati e della sanità e quello
della politica dei piccoli passi. Tre sono state le scelte che hanno accompagnato questo
lungo periodo di vent’anni: la costituzione e l’attività della Consulta, la preoccupazione
costante della formazione, il camminare insieme alla Chiesa locale e agli organismi
regionali e nazionali.
Noi religiosi, quando siamo chiamati a responsabilità di guida di organismi
diocesani, dobbiamo renderci disponibili, perché può essere un dono e una chiamata
dello Spirito, che ci permettono di arricchirci della vita e del cammino della Chiesa
locale ma ci danno anche l’opportunità di offrire la nostra esperienza qualificata e il
nostro contributo alla crescita della pastorale della salute.
4.3 – Cultura e formazione
Anche nel campo culturale e formativo la Chiesa italiana ha compiuto un notevole
avanzamento nella riflessione sulla pastorale della salute. La nascita dei centri formativi
manifestano con chiarezza l’attenzione concreta della comunità ecclesiale verso un
ambito pastorale in significativa espansione.
Per primo è sorto a Roma nel 1987 l’Istituto internazionale di teologia pastorale
sanitaria “Camillianum”, incorporato alla Pontificia Facoltà Teologica del Teresianum
come corso di specializzazione, con facoltà di conferire i gradi accademici. La
preparazione del sacerdote e dell’operatore pastorale diventa la premessa essenziale per
9
un lavoro apostolico fecondo: la presenza efficace della comunità cristiana nel mondo
della sanità oggi dipende moltissimo anche dalle persone qualitativamente formate e
dagli interventi qualificati. “Il Camillianum oggi è un centro di ricerca, di formazione
teologica e prassi pastorale attuati con l’approfondimento specifico delle tematiche
della salute e della sofferenza dell’uomo nei suoi diversi aspetti, biblici, teologici,
pastorali, spirituali, etici, psicologici, sociologici e storici… è uno strumento efficace
nella preparazione di operatori sanitari; ci prepara ad entrare in un vero dialogo con il
mondo scientifico della salute”15.

Ma non dobbiamo dimenticare l’istituzione del primo Centro di bioetica presso
l’Università del Sacro Cuore “A. Gemelli” a Roma, avvenuta qualche anno prima nel
1985. Gradualmente sonno sorti in alcune diocesi i Centri di pastorale della salute e le
Scuole di pastorale sanitaria16. Di conseguenza la teologia pastorale sanitaria ha
cominciato a compiere i primi passi attraverso la docenza dei professori, la
pubblicazione delle riflessioni maturate, le iniziative di confronto e di dibattito, le
riviste specializzate, la preparazione del primo manuale di teologia pastorale sanitaria17.
A tale proposito è bene ricordare che la relazione tra teologia e cura pastorale della
salute non è occasionale né estrinseca, come afferma un grande teologo: “Senza
teologia la diaconia si appiattisce e si riduce alla dimensione di un qualsiasi intervento
sociale condotto da gruppi impegnati e da singoli esperti; perde cioè la certezza della
propria origine e prospettiva, e diviene dipendente dalle concezioni antropologiche del
momento. Senza la diaconia la teologia si priva della testimonianza vivente della
trasmissione coerente dell’amore di Dio al mondo per mezzo della comunità”18.
La letteratura di settore nel corso di questi decenni si è ampliata: fra i numerosi
lavori editoriali, è bene ricordare il Dizionario di teologia pastorale sanitaria, cui
hanno partecipato i maggiori esperti del settore, e l’impegno delle Edizioni Camilliane
15 MONKS F., San Camillo – Gigante della Carità, relazione tenuta dal P. Generale al “Meeting” di Rimini, agosto
2005: “la libertà è il bene più grande che i cieli abbiano donato agli uomini”, in CAMILLIANI CAMILLIANS, 3/2005, n.
161 – XIX, p. 253 – 259.
16 Il primo in assoluto è stato senz’altro il Centro Camilliano di pastorale, sorto a Verona nel 1983, grazie al carisma dei
Ministri degli infermi e all’esperienza pastorale accumulata nel mondo nordamericano che ha permesso loro di proporre
a livello nazionale i Corsi di Educazione Pastorale Clinica (EPC). Sono sorti in seguito nelle diocesi le Scuole di
pastorale sanitaria, tra le quali anche quella dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto (1996).
17 E’ bene ricordare la pubblicazione del primo manuale di teologia pastorale sanitaria: BRUSCO A. – PINTOR S., Sulle orme di Cristo medico – Manuale di teologia pastorale sanitaria, EDB Bologna 1999.
18 MOLTMANN J., Diaconia. Il servizio cristiano nella prospettiva del Regno di Dio, Claudiana Editrice, Torino 1986,
p.11, citato da LANZA S., Indicazioni pastorali – Criteri per l’agire, p. 85, in CINA’ G. (A cura di), Il dolore tra resistenza e resa, Camilliane, Torino 2004.
10
di Torino19. Anche le grandi Case editrici hanno inserito tra i loro interessi lavori
riguardanti il mondo della salute e della sofferenza.

Dinanzi a questo ampliamento di orizzonti un pastoralista ha affermato: “Mai come
oggi la pastorale sanitaria aveva acquistato una rilevanza e un interesse così generali.
Da esercizio di carità accanto al letto dell’ammalato, essa ha ampliato i suoi orizzonti ai
problemi dell’etica medica, a quelli dell’ambiente, della qualità di vita,
dell’organizzazione del servizio sanitario”20.
Nuove tematiche o aree di interesse pastorale sono state evidenziate in questi anni:
l’ipotesi della “Chiesa comunità sanante”, la necessità della collaborazione degli
operatori della salute riuniti nell’icona del “mosaico terapeutico” o “alleanza
terapeutica”, la strada della riflessione sulla “rilevanza” della pastorale della salute o del
contributo alle èquipe delle Cure palliative, l’importanza del discorso della Relazione di
aiuto nelle professioni sanitarie, il contributo della donna alla pastorale della salute, gli
interrogativi e le risposte della Bioetica, l’elaborazione del lutto, l’attenzione
all’enneagramma.
4.4 – Area pastorale
Anche nell’area dell’esperienza pastorale la Chiesa italiana è stata protagonista di
visibili passi in avanti: lentamente crescono i sacerdoti, i diaconi, i religiosi e le
religiose, i laici che assicurano un pregevole servizio di evangelizzazione e di
umanizzazione nelle strutture sanitarie.
Prima di tutto si va delineando l’identità dell’assistente spirituale e religioso (o
cappellano), con i requisiti necessari ed i numerosi ruoli che è chiamato a svolgere: la
Nota CEI del 1989 ha offerto un piccolo ma prezioso contributo nei nn. 38-41. Sono
seguiti anche utili pubblicazioni agli inizi degli anni novanta che hanno messo a fuoco
sia la sua figura pastorale e le funzioni, che i mezzi per superare i disagi della sua
situazione quali l’emarginazione e la frustrazione21. Sono aumentate le opportunità
formative per un ministero svolto con professionalità.
A supporto di queste affermazioni posso portare la testimonianza personale di un
cammino umano e spirituale trentennale, che mi ha visto passare da una azione
19 Attualmente questa Casa editrice può essere orgogliosa di un catalogo corposo con interessanti pubblicazioni.
20 LANZA S., Indicazioni pastorali – Criteri per l’agire, p. 86, in CINA’ G. (A cura di), Il dolore tra resistenza e resa,
Camilliane, Torino 2004.
21 Cfr BRUSCO A. – SANDRIN L., Il Cappellano d’ospedale. Disagi e nuove opportunità, Camilliane, Torino 1993;
MARINELLI S., Il Cappellano ospedaliero. Identità e funzioni, Camilliane, Torino 1993. A questi è utile aggiungere il
libro di CASERA D., L’assistente religioso nel mondo della sanità, Camilliane, Torino 1991.
11
pastorale basata semplicemente sulla buona volontà, sostenuta dalle risorse
psicologiche e caratteriali ad un impegno fondato su motivazioni teologiche e spirituali
e sulla formazione specifica, sia pure non accademica22.
Un’altra risorsa ha contributo a rinnovare la pastorale della salute negli ospedali: la
proposta dei due organismi di comunione e di partecipazione, che sono il Consiglio
pastorale e la Cappellania. Pur tra ritardi e difficoltà, la loro sperimentazione trasforma
in modo positivo il servizio pastorale nella metodologia di programmazione e di
progettualità, nella ricchezza dei contributi derivanti dalla varietà dei soggetti pastorali,
nelle risposte ai moltiplicati bisogni del malato e del mondo sanitario. Ambedue gli
organismi offrono la possibilità di tracciare nuovi sentieri di presenza e di azione nel
mondo della sofferenza e di sperimentare la ricchezza delle nuove figure pastorali quali
quella del diacono, della religiosa, dei laici e delle donne col loro specifico carisma23.
Della Cappellania ospedaliera potrei dare una testimonianza diretta, giacché da 8 anni
sono il coordinatore di quella del Policlinico di Bari. Aggiungo soltanto che
recentemente ho individuato otto elementi che possono caratterizzare una Cappellania
ospedaliera, intesa come una comunità dell’impegno stabile, della comunione fraterna,
della formazione permanente, della programmazione e della progettualità, della
umanizzazione e della evangelizzazione, della ricerca e della creatività, della costruzione
dei ponti24.

 
Non va sottaciuto anche il “fenomeno” positivo del ministero straordinario della
Santa Comunione, che ha trovato un ampio radicamento nelle comunità parrocchiali.
Certo è necessario assicurare loro una solida formazione di base e permanente, perché
non si riducano a semplici distributori del SS. Sacramento, ma siano capaci di
rispondere ai bisogni dei malati e dei loro familiari, oltre che essere promotori di salute,
nel territorio. Si inizia pertanto a ipotizzare l’istituzione di un nuovo ministero, quello
della Consolazione, che permetterà agli operatori pastorali sanitari di crescere nella
propria identità in seno alla comunità cristiana e di svolgere servizi consoni al mandato
ricevuto, secondo le indicazioni del papa Giovanni Paolo II e dei nostri vescovi25.
22 Cfr DI TARANTO N. L., La Chiesa nel mondo della sanità che cambia, o.c., pp. 73-91.
23 Cfr DI TARANTO N. L., La Cappellania ospedaliera mista – Una novità ecclesiale nelle istituzioni sanitarie,
Camilliane, Torino 1999.
24 Cfr DI TARANTO N. L., La cappellania ospedaliera – modello di collaborazione tra cappellani e volontari
pastorali (testo policopiato del novembre 2005).
25 GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio Ineunte; CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Il volto missionario
delle parrocchie in un mondo che cambia, Nota pastorale, Roma, 30 maggio 2004, Paoline, Milano 2004, n.12, pag.55.
12
Merita almeno un cenno l’Associazione Italiana di Pastorale Sanitaria (A.I.Pa.S.),
nata a metà degli anni ottanta (precisamente il 13 novembre 1986), grazie alla
collaborazione di quattro Famiglie Religiose impegnate nell’ambito ospedaliero: i
Fatebenefratelli, i Ministri degli Infermi (meglio conosciuti come Camilliani), i Frati
Minori e i Frati Minori Cappuccini. Partita come Associazione Nazionale Cappellani e
Religiosi Ospedalieri (A.N.C.R.O.), nel corso degli anni si è aperta a tutte le componenti
del popolo di Dio ed ha offerto e continua ad offrire un prezioso servizio di animazione
e di formazione attraverso i convegni annuali, la propria rivista “Insieme per servire” e,
recentemente, l’impegno di coordinamento nazionale per aree pastorali.

5. Le lentezze ed i ritardi che generano preoccupazione
Nonostante l’evidente cammino percorso dalla Chiesa italiana nel periodo postconciliare, come abbiamo tentato di fare a volo di uccello, possiamo affermare che la situazione della pastorale della salute a livello nazionale non è affatto rosea, anzi è costellata da molte ombre. Diversi fattori sono espressione di lentezze e di ritardi in questo settore.
Si avverte ancora una evidente resistenza ad affrontare le problematiche della pastorale della salute da parte dei vescovi.

Come ebbe ad affermare L. Sandrin, dieci anni or sono: “La Chiesa italiana è una Chiesa ancora giovane, con tutti i pro e i contro di questa situazione: una Chiesa che preferisce il Cantico dei Cantici al libro di Giobbe, una Chiesa che non accetta in pieno la dimensione notturna della vita, parti meno piacevoli della propria esperienza di vita, e non esprime quindi, ancora, la piena saggezza della maturità”26. La giornata di studio dell’intera CEI riservata ai problemi del mondo sanitario sarà un segnale di inversione di tendenza ed un segno di inizio di maturità?

Non mancano giovani sacerdoti che vengono destinati dai superiori al servizio nella
pastorale della salute o che scelgono di impegnarsi nella pastorale sanitaria, ma la
stragrande maggioranza dei cappellani ospedalieri hanno una età media molto elevata.
Già nel 1990 i dati di un’inchiesta nazionale erano preoccupanti; presumibilmente oggi
la situazione dovrebbe essere peggiorata27!
26 SANDRIN L., La pastorale sanitaria in Italia: analisi e prospettive, in Insieme per servire, o.c., 27 – anno X – n. 1 –
gennaio marzo 1996, pp. 38 – 53.
27Cfr FASANELLA G., SGRECCIA E., Indagine sui cappellani ospedalieri, in <Medicina e Morale>, 5 (1991), p.
864.
13
Un altro segno preoccupante è il ritiro lento ma progressivo dei religiosi e delle
religiose dagli ospedali, dovuto senz’altro al calo del numero delle vocazioni. Però non
riesco a comprendere come alcuni ordini religiosi, come quello dei Frati Minori
Cappuccini, preferisce conservare il ministero pastorale della responsabilità delle
comunità parrocchiali e abbandonare le presenze pastorali tradizionalmente più
consone al carisma francescano. Evidentemente ci sono alla base altre e più complesse
ragioni che andrebbero analizzate più a fondo.
Poco conosciuto nella comunità cristiana risulta il nuovo volto della pastorale della
salute con gli svariati ambiti in cui essa può essere incarnata. I cappellani ospedalieri
non riescono a scrollarsi di dosso una patina di vecchiume e di vecchiaia: ai sacerdoti
giovani in genere non appare per nulla appetibile il ministero pastorale nel campo della
salute. Il Camillianum non registra un numero soddisfacente di alunni, provenienti
dalle diverse diocesi italiane.
Anche l’esperienza delle Cappellanie ospedaliere, nonostante le affermazioni di
principio nei documenti ecclesiali ed il plauso esplicito di Giovanni Paolo II, sta
trovando resistenza sia da parte dei vescovi che da parte degli stessi cappellani: sarebbe
interessante conoscerne e analizzarne le cause. Eppure i frutti positivi sono evidenti nei
casi della loro attuazione. Si fa fatica infine a dare spazio alla presenza e all’azione della
donna nell’ambito della pastorale della salute: le esperienze pastorali in atto sono
incoraggianti, ma hanno bisogno di una riflessione teologica più sistematica e più
approfondita.
6. Gli orizzonti della speranza del prossimo futuro
Quali possono essere i possibili e nuovi sentieri della pastorale della salute per i
prossimi anni?
Al termine del convegno nazionale di Fiuggi nel 2001 il direttore dell’Ufficio CEI per
la pastorale della Sanità così sintetizzava le prospettive di una pastorale sanitaria
rinnovata e progettuale: “superamento di una pastorale di semplice conservazione, per
una pastorale missionaria e di evangelizzazione, che tenga conto del clima religioso
cambiato; una pastorale non isolata o episodica, ma integrata e centro evangelizzante
della pastorale ordinaria nelle nostre comunità; una pastorale più progettuale che
prenda coscienza e interpreti la realtà, individui esigenze, stabilisca mete e obiettivi,
passi da compiere e strategie, coordinamenti necessari; un piano diocesano di pastorale
14
sanitaria; un referente diocesano o delegato e un gruppo di riferimento, di animazione,
di coordinamento diocesano”28.
A me sembra che tra questi notevoli impegni le esigenze prioritarie per “una ripresa e
un rilancio” della pastorale della salute possano essere: a) la definizione dei requisiti
standard dei cappellani ospedalieri e la promozione concreta delle Cappellanie
ospedaliere; b) l’elaborazione di progetti di pastorale della salute nelle comunità
parrocchiali sia a livello di catechesi che a livello di liturgia e di carità; c) la promozione
della formazione di tutti gli operatori pastorali di pastorale sanitaria a vari livelli
(parroci, cappellani ospedalieri, volontari pastorali, ministri straordinari della Santa
Comunione, associazioni ecclesiali di e per i malati,…) e della riflessione teologica
accompagnata dalla ricerca scientifica.
7. Abbiamo bisogno di persone contempl-attive!
Narra un’antica leggenda che, durante la creazione del mondo, si avvicinarono a Dio
quattro angeli. Il primo chiese: “Come lo fai?” Il secondo: “Perché lo fai?” Il terzo: “Ti
posso aiutare?” Il quarto: “Quanto vale?” Il primo era uno scienziato; il secondo un
filosofo; il terzo un altruista e il quarto un agente immobiliare. Un quinto angelo stava a
guardare, colmo di meraviglia, e si mise ad applaudire estasiato. Costui era un
mistico29.
Oggi la pastorale sanitaria ha bisogno certamente di persone che abbiano intelletto,
ragione, generosità e risorse. Ma soprattutto ha bisogno di persone mistiche, che
sappiano contemplare con gratitudine la meraviglia della vita che è stata donata da Dio
e guardare con stupore l’Uomo della Croce, che ha saputo ricreare l’uomo, dando un
nuovo significato alla salute e alla malattia, alla gioia e alla sofferenza con la luce della
risurrezione. Queste persone possiamo anche chiamarle con un neologismo “contemplattive”,
coniato dal compianto vescovo don Tonino Bello, perché sanno coniugare
contemporaneamente l’azione e la contemplazione.
Roma, 15 novembre ’05
Leonardo N. DI TARANTO
28 PINTOR S., Come tradurre il Convegno nella vita delle notte Chiese, in CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
– UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DELLA SANITA’, La Chiesa italiana nel mondo della salute –
Identità e percorsi, Atti del convegno nazionale, Fiuggi, 10-12 maggio 2001, Notiziario dell’Ufficio Nazionale per la
pastorale della Sanità, 1 novembre 2001, Quaderni della Segreteria Generale della CEI, anno V – n. 29, novembre 2001,
p. 133.
29 DE MELLO A., La preghiera della rana – Saggezza popolare dell’Oriente, volume II, Paoline, Milano 1990, pag. 17.

 

 

 

 

 

  
  
 
 
 
LA PASTORALE DELLA
 
SALUTE NELLA CHIESA ITALIANA

Consulta nazionale per la pastorale della sanità – Roma, 30/03/1989

 

 

INDICE

 

PRESENTAZIONE pag. 1

PREMESSA pag. 2

 

I. FONDAMENTO E MOTIVAZIONE

DELLA PASTORALE SANITARIA

Persona – salute &emdash; malattia pag. 3

Rilevanza della pastorale sanitaria pag. 4

La pastorale della sanità pag. 5

 

II. I SOGGETTI DELLA PASTORALE SANITARIA

La comunità cristiana pag. 7

L’ammalato pag. 7

La famiglia pag. 9

L’assistente religioso delle istituzioni sanitarie pag. 9

I religiosi pag. 10

Le associazioni professionali sanitarie cattoliche pag. 11

Le istituzioni sanitarie cattoliche pag. 12

Il volontariato sanitario pag. 13

 

III. LE STRUTTURE DELLA PASTORALE DELLA SANITÀ

La consulta nazionale pag. 14

La consulta regionale pag. 14

La consulta diocesana pag. 15

La cappellania ospedaliera pag. 15

CONCLUSIONE pag. 16  

 

PRESENTAZIONE  

1480

La consulta nazionale per la pastorale della sanità fin dai suoi primi incontri ha ritenuto opportuno stendere una nota con delle linee operative per un cammino. I contributi sono venuti dai suoi membri, anche tramite le consulte regionali. Dico grazie a quanti hanno collaborato in spirito di servizio. Due motivazioni sono state alla base degli orientamenti: ricordare all’intera Chiesa italiana la sua missione verso chi è nel dolore e dare umile testimonianza del valore della vita anche quando è provata dalla sofferenza.

Nella lettera sul dolore il Papa afferma che “Cristo allo stesso tempo ha insegnato all’uomo a fare del bene con la sofferenza e a fare del bene a chi soffre” (SD 30) (V9/683). E nel motu proprio Dolentium hominum (V9/1410-1418), con il quale istituisce la Commissione pontificia per la pastorale degli operatori sanitari – ora, in virtù della costituzione apostolica Pastor bonus, Pontificio consiglio – ricorda che la Chiesa, sull’esempio di Cristo, “nel corso dei secoli, ha fortemente avvertito il servizio ai malati come parte integrante della sua missione” (n. 1) (V9/1410). 

1481

Chiamata e mandata a servire l’uomo, la Chiesa lo incontra in modo particolare nella via del dolore, e questa è “una delle vie più importanti” (SD 3) (V9/622). Ma non solo per fare del bene, anche per riceverne! La sofferenza nasconde e svela una vocazione e una missione di amore, per quanto difficile e misteriosa: “completa la passione di Cristo” e partecipa della sua redenzione fino a condurre alla gioia (Col 1,24).

In questa luce la pastorale della Chiesa deve rinnovarsi e prendere nuovo slancio, perché va fatta “con e per i malati e i sofferenti”, riscoprendo con verità che il malato non va considerato “semplicemente come termine dell’amore e del servizio della Chiesa, bensì come soggetto attivo e responsabile dell’opera di evangelizzazione e di salvezza” (CfL 54) (V11/1846). 

1482

Questa missione che la Chiesa ha sempre cercato di vivere pare ancor più urgente e significativa in questo nostro tempo nel quale la mentalità secolarizzata non valorizza la vita e ne ha come paura, avendone perduto il senso. Molto sembra dovuto al timore della malattia e della morte. Lo stesso progresso medico, scientifico e tecnico, staccato da una morale e da una sapienza, rischia di porsi contro l’uomo e il suo valore. Così anche le riforme sanitarie, che pur contengono aspetti positivi, hanno bisogno di una “umanizzazione” che metta al centro l’uomo, la sua integrità. Più la Chiesa annuncia e testimonia il Vangelo della sofferenza e della speranza e più favorisce la promozione umana, diventa servizio alla vita e collaborazione alla pace.  

1483

La nota, semplice e breve, intende essere un punto di riferimento per la pastorale della Chiesa: può diventare anche invito e richiamo a chiunque serve l’uomo nella stagione del dolore, perché mai venga meno il rispetto alla dignità umana. È anche proposta di collaborazione tra quanti hanno buona volontà, perché il dolore ha sempre la forza di sprigionare amore e unire le forze per difendere e sostenere la vita.

La consegna della nota alle comunità cristiane, ai malati, alle famiglie, a quanti per consacrazione, per professione, per volontariato e per solidarietà si dedicano al servizio della salute è atto di profonda fiducia e invito a rinnovata responsabilità e generosità.  

1484

È risposta all’impegno che la Chiesa si è più volte assunto in questi anni di mettere al centro i poveri: a Loreto in particolare, riscoprendosi Chiesa in comunione e missione, la nostra comunità ecclesiale ha fatto sua l’icona del buon samaritano nel “chinarsi sulle piaghe di questa umanità e nel far dono dell’eterna riconciliazione del Padre a tutti gli uomini, soprattutto ai più poveri, agli abbandonati, agli oppressi” (CdL 59) (C3/2703).

Un giorno va ricordato come giorno che testimonia questa solidarietà e illumina gli altri giorni della settimana: quello della domenica: l’incontro con Gesù nella Parola e nell’eucaristia non può staccarsi dalla testimonianza di carità verso l’uomo che attende: per accompagnarlo in Chiesa, se è possibile, per portargli la comunione, per visitarlo e renderlo partecipe della festa e della speranza…  

1485

È certo che dal mistero del dolore viene saggezza e amore: c’è da ravvivare questa convinzione e renderla operativa.

Accanto alla croce di Gesù la Chiesa ricorda e trova Maria che è madre di misericordia: accanto alle tante croci umane non possono mancare cuori che sanno essere materni per chiedere che coloro che soffrono diventino “sorgente di forza per la Chiesa e per l’umanità” (CfL 54) (V11/1846).  

Roma, 30 marzo 1989.

 

mons. Ugo Donato Bianchipresidente della Consulta nazionale per la pastorale della sanità.  

 

PREMESSA  

1486

1. Numerosi sono i motivi che consigliano di offrire alla comunità cristiana, agli operatori e alle istituzioni sanitarie cattoliche alcune considerazioni e orientamenti sulla pastorale nel mondo della sanità. I profondi cambiamenti avvenuti in questo settore della vita sociale, in cui si riflettono le speranze e le contraddizioni del mondo contemporaneo, sollecitano nuove risposte da parte della comunità ecclesiale per un servizio efficace agli uomini con i quali essa è intimamente solidale (cf. GS 1) (V1/1319).  

1487

2. È vero che la Chiesa non ha l’esclusiva dei problemi della salute; essa però è chiamata a offrire il suo specifico contributo perché le trasformazioni in atto nel mondo della sanità si risolvano in autentico progresso, nel rispetto della dignità dell’uomo “prima e fondamentale via della Chiesa” (RH 14) (V6/1209).

Alla comunità ecclesiale, infatti, spetta il compito d’impegnarsi affinché i valori della vita e della salute siano rispettati e orientati verso la salvezza e il momento della malattia e della morte possano ricevere oltre il sostegno della scienza e della solidarietà umana anche quello della grazia del Signore.  

1488

3. Se i problemi del mondo sanitario sono vasti e complessi, insufficienti si dimostrano risposte parziali e disarticolate. Come ha affermato il Santo Padre, “è necessario delineare un progetto unitario di pastorale della salute, disponendo l’intera comunità cristiana a tale tipo di apostolato” (OR 29.11.1981, p. 2).  

1489

4. Ancor dall’inizio di questa nota pastorale, desideriamo esprimere sincero apprezzamento a quanti operano nel mondo della sanità – siano essi sacerdoti, diaconi, religiosi o laici -, invitandoli a continuare con impegno nella loro opera, verso la quale il Signore ha mostrato una predilezione particolare e che sta tanto a cuore alla Chiesa.  

I. FONDAMENTO E MOTIVAZIONE

DELLA PASTORALE SANITARIA  

Persona – salute – malattia  

1490

5. Nel mondo sanitario italiano è in corso una profonda evoluzione, dovuta a fattori culturali e al progresso della scienza e tecnologia medica. Notevoli conquiste e forti squilibri caratterizzano questo periodo di trasformazioni.  

1491

6. Il concetto di salute ha acquistato nuove e importanti connotazioni. Non si rapporta, infatti, unicamente a fattori fisici e organici, ma coinvolge le dimensioni psichiche e spirituali della persona, estendendosi all’ambiente fisico, affettivo, sociale e morale in cui la persona vive e opera. Un rapporto profondo viene avvertito tra salute, qualità della vita e benessere dell’uomo.  

1492

7. In corrispondenza a quello di salute, anche il concetto di malattia è cambiato. Non più configurabile come semplice patologia, rilevabile attraverso analisi di laboratorio, la malattia è intesa anche come malessere esistenziale, conseguenza di determinate scelte di vita, di spostamenti di valori e di errate gestioni dell’ambiente materiale umano.  

1493

8. Il binomio salute-malattia si configura in maniera diversa dal passato. Grazie alle acquisizioni delle scienze biologiche o mediche e alla tecnica applicata alla medicina, la malattia non viene più accolta come una calamità da accettarsi quasi passivamente o come una fatalità che porta alla morte. Molte malattie una volta fatali possono essere ora guarite; ad ogni malessere, la medicina può offrire cura o sollievo.

L’ospedale, a sua volta, tende ad essere considerato non come “il luogo della morte”, ma come luogo di speranza e di vita.  

1494

9. Alla luce di queste mutate maniere di pensare la malattia e la salute, prende risalto il momento preventivo degli interventi sanitari, e appare evidente che alla tutela della salute debbano contribuire tutte le forze operanti nella società, dalla famiglia alla scuola, dalla politica alla religione.  

1495

10. Se, da un lato, è cresciuto l’impegno dello stato verso la salute, attraverso numerosi interventi legislativi e grandi investimenti di risorse, dall’altro è aumentata nei cittadini la consapevolezza del proprio diritto alla difesa e promozione della salute, bene da assicurare a tutti attraverso strutture territorialmente vicine alla popolazione.

Accanto ai diritti emergono anche le responsabilità dei cittadini nel campo sanitario; in modo particolare si fa luce il dovere della partecipazione attiva all’elaborazione delle leggi, dei programmi e delle strategie concernenti la tutela e la promozione della salute. È in questa linea di partecipazione che s’inserisce il volontariato.  

1496

11. Gli aspetti positivi indicati non nascondono le carenze presenti nel mondo sanitario.

I principi che stanno alla base delle riforme sono spesso mortificati dalle lentezze burocratiche, i contrasti politici e l’inefficienza organizzativa, causando una diffusa insoddisfazione tra i cittadini.

I criteri che guidano le scelte assistenziali rischiano di emarginare i malati più poveri e bisognosi: gli anziani disabili, gli handicappati fisici gravi e psichici, i morenti… I fenomeni della disumanizzazione della medicina e dell’assistenza sanitaria e le sue implicanze etiche derivanti dalla scienza e dalle sue applicazioni suscitano gravi interrogativi sul destino della persona e sulla salvaguardia della sua dignità.  

1497

12. È a questo mondo della sanità che la Chiesa, in forza della sua missione, è chiamata ad aprirsi, animata da speranza, da spirito di collaborazione e dalla volontà di rendere un contributo essenziale alla salvezza dell’uomo. 

Rilevanza della pastorale sanitaria  

1498

13. L’attività svolta dalla Chiesa nel settore della sanità è espressione specifica della sua missione e manifesta la tenerezza di Dio verso l’umanità sofferente.  

1499

14. Nella persona e nell’azione di Cristo, Dio si avvicina a chi soffre e ne redime la sofferenza.

Tale movimento dell’iniziativa di Gesù rivive nella Chiesa, nel compito affidatole di evangelizzazione, santificazione e servizio fraterno prestato ai sofferenti.

Nel Vangelo, infatti, è posto espressamente in luce il rapporto tra il compito missionario di evangelizzazione e il potere di guarire i malati (Mt 10,1; Mc 6,13; Lc 9,1-6; 10,9).  

1500

15. Gli Atti degli apostoli, poi riferiscono l’azione di questi a favore dei malati (3, 1-11; 9, 32ss; 14, 8ss; 19, 11ss), e Paolo annovera il carisma della guarigione tra quelli della Chiesa primitiva (1Cor 12,28-30).  

1501

16. Lungo tutto il cammino, la Chiesa ha manifestato la sua fedeltà all’insegnamento di Cristo e degli apostoli, garantendo una presenza significativa nel mondo della sofferenza, con istituzioni religiose dedicate a questo scopo, con opere di assistenza nelle aree più difficili e delicate della sanità, con significativi apporti nella stessa promozione legislativa dello Stato (cf. Pontificio consiglio “Cor unum”, Le attività della Chiesa nell’ambito della sanità 1.2) (V7/970).  

1502

17. Il Santo Padre, nei suoi viaggi pastorali, richiama frequentemente questa verità: “L’assistenza agli infermi fa parte della missione della Chiesa… La Chiesa, come Gesù suo redentore, vuol essere sempre vicina a coloro che soffrono. Essa li eleva al Signore con la preghiera. Offre loro consolazione e speranza. Li aiuta a trovare un senso nelle apprensioni e nel dolore, insegnando loro che la sofferenza non è una punizione divina…” (OR 9.5.1984, p. 3).  

  1503

18. Il cristianesimo ha un messaggio di vita da annunciare non solo a coloro che soffrono, ma anche a quanti scelgono di assistere e accompagnare i malati. Il loro servizio prestato con spirito di fede assume un valore autenticamente evangelico; la solidarietà umana e l’altruismo sociale si trasformano in espressione di religiosità. Il Signore, infatti, ha voluto costituire quasi un’identità morale e spirituale tra la persona che soffre e lui stesso, quando ha asserito: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).  

La pastorale della sanità  

1504

19. La pastorale della sanità è stata variamente intesa e realizzata dalla comunità cristiana lungo i secoli, in sintonia con l’evoluzione della cultura e della medicina e lo sviluppo della riflessione teologica sulla prassi ecclesiale.

Essa può essere descritta come la presenza e l’azione della Chiesa per recare la luce e la grazia del Signore a coloro che soffrono e a quanti ne prendono cura.

Non viene rivolta solo ai malati, ma anche ai sani, ispirando una cultura più sensibile alla sofferenza, all’emarginazione e ai valori della vita e della salute.  

1505

20. La pastorale della sanità persegue i seguenti obiettivi generali:

- illuminare con la fede i problemi del mondo della sanità, sottesi alla ricerca, alle acquisizioni scientifiche e alle tecniche di intervento, e in cui sono implicate la natura e la dignità della persona umana;

- svolgere opera di educazione sanitaria e morale nella prospettiva del valore inestimabile e sacro della vita, per promuovere e costruire nella società “una cultura della vita”, dalla nascita alla morte;

- contribuire all’umanizzazione delle strutture ospedaliere, delle istituzioni erogatrici di servizi socio-sanitari, delle prestazioni sanitarie e dei rapporti interpersonali tra utenti e personale socio-sanitario;

- sollevare moralmente il malato, aiutandolo ad accettare e valorizzare la situazione di sofferenza in cui versa e accompagnandolo con la forza della preghiera e la grazia dei sacramenti;

- aiutare coloro che si trovano in una situazione di disabilità e di handicap a recuperare il senso della vita anche in condizioni di minorazione, scoprendo il superiore valore dell’”essere” rispetto a quello del “fare”;

- aiutare la famiglia e i familiari a vivere senza traumi e con spirito di fede la prova della malattia dei propri cari;

- favorire la formazione degli operatori sanitari ad un senso di professionalità basato sulla competenza, sul servizio e sui valori fondamentali della persona del sofferente;

- sensibilizzare le istituzioni e gli organismi pastorali presenti nel territorio (parrocchie, consigli pastorali) alle problematiche della salute e dell’assistenza agli infermi, indicando piste operative per un responsabile coinvolgimento nei progetti socio-sanitari.  

1506

21. Nella pastorale della sanità emergono alcune esigenze di fondo che meritano particolare attenzione:

- Priorità dell’evangelizzazione e della catechesi. La frattura fra Vangelo e cultura esistente nella società italiana si riflette anche nel mondo della sanità. Il processo di secolarizzazione ha attutito la sensibilità spirituale e morale anche di non pochi credenti, ponendoli in atteggiamento di difesa se non di rifiuto verso la trascendenza e i valori spirituali e morali. Ne sono state investite alcune realtà tipiche del mondo sanitario: la presenza e la finalità del dolore nella vita umana, il significato della morte, il valore del servizio verso chi soffre.

“Occorre, quindi, por mano ad un’opera d’inculturazione che raggiunga e trasformi, mediante la forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, le linee di pensiero, i modelli di vita, in modo che il cristianesimo continui ad offrire, anche all’uomo della società industriale avanzata, il senso e l’orientamento dell’esistenza” (AcL, 4:).

La preoccupazione della comunità ecclesiale d’immettere elementi evangelici nel vasto settore della sanità e dell’assistenza deve tradursi in progetti di catechesi e di formazione, raggiungendo non solo gli ammalati e gli operatori sanitari, ma anche le famiglie e le istituzioni educative.  

1507

- La celebrazione dei sacramenti. La pastorale sanitaria, sia nelle parrocchie come nelle strutture di ricovero, trova uno dei suoi cardini fondamentali nella celebrazione dei sacramenti. Il nuovo rituale romano Sacramento dell’unzione e cura pastorale degli infermi (V4/1858-1901) e il documento della Conferenza episcopale italiana: Evangelizzazione e sacramenti della penitenza e dell’unzione degli infermiC2/1351-1550) hanno sapientemente illustrato l’importanza dell’incontro dei malati con Cristo nei sacramenti e nella preghiera, offrendo preziose indicazioni pastorali. (

Il sacramento della riconciliazione libera il malato dai peccati e lo rende disponibile ad unire le sue pene alla passione di Cristo (cf. EvSPU 107) (C2/1479).

Memoriale della passione del Signore, l’eucaristia è il centro del ministero pastorale e della vita spirituale del sofferente. Partecipando alla celebrazione eucaristica o nutrendosi del corpo di Cristo portato dal sacerdote, dal diacono o dai ministri straordinari dell’eucaristia nelle corsie delle istituzioni sanitarie o nelle abitazioni domestiche o ricevendo la comunione sotto forma di viatico, il malato è fortificato e munito del pegno della risurrezione (cf. Sacramento dell’unzione e cura pastorale degli infermi, 26) (V4/1885).  

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L’unzione degli infermi è la “forma propria e più tipica dell’attenzione del Cristo totale (di Cristo e della Chiesa)” verso la difficile e fondamentale esperienza umana della sofferenza (Giacomo card. Biffi, I malati nella comunità ecclesiale, nota pastorale, Bologna 1987, n. 25). Dalla riscoperta di questo sacramento – attraverso un’opportuna catechesi e significative celebrazioni individuali e comunitarie, atte a creare una nuova mentalità – conseguiranno grandi vantaggi spirituali, consolazione e conforto per coloro il cui stato di salute è gravemente compromesso dalla malattia o dalla vecchiaia (cf. EvSPU 137-140) (C2/1511-1514).

È attraverso un’illuminata celebrazione che i segni sacramentali possono essere compresi e vissuti in tutto il loro senso profondo. Molti sono i fattori che contribuiscono a rendere significativa la celebrazione dei sacramenti nelle famiglie e nelle istituzioni sanitarie: le condizioni ambientali favorevoli, il sereno rapporto tra malati e quanti li assistono, la partecipazione dei familiari, degli operatori sanitari e dei volontari, la scelta di testi liturgici appropriati e di riflessioni adatte alla situazione vissuta dal malato.  

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- L’umanizzazione della medicina e dell’assistenza ai malati. La denuncia d’un degrado d’umanità nel mondo sanitario raccoglie consensi generali e trova espressione in un diffuso disagio da parte dei malati e degli stessi operatori sanitari. Le cause invocate per spiegare tale fenomeno sono molteplici: interessi politici ed economici, eccessiva burocratizzazione del sistema assistenziale, inadeguata efficienza amministrativa, conflitti contrattuali, deterioramento della scala dei valori che rende più ardua la considerazione del malato come persona…

Per la sua valenza evangelizzatrice, l’umanizzazione entra tra le sue funzioni specifiche della pastorale. Promuovendo progetti intesi a rendere più umani gli ambienti di salute o cooperando a quelli già in atto, gli operatori sanitari e pastorali sono chiamati a offrirvi il contributo specifico della loro visione cristiana dell’uomo.  

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- Rilevanza dei problemi morali. Il progresso scientifico e tecnico verificatosi nel mondo della sanità ha sollevato gravi problemi di ordine morale, che riguardano il rispetto della vita umana in tutte le sue fasi: fecondazione in vitro, manipolazioni genetiche, nuove pratiche abortive, sterilizzazione, sperimentazione clinica e trapianti, “accanimento terapeutico” e eutanasia… Anche l’insorgere di nuove malattie (alcoolismo, tossicodipendenza, AIDS…), la cui propagazione è collegata con il comportamento e la cultura dominante, pone delicati interrogativi morali.

Per un’efficace proposta di valori nel mondo sanitario, è necessario che la comunità cristiana si doti di strumenti idonei a formare eticamente gli operatori sanitari (scuole di etica, centri di ricerca…) e partecipi, con competenza e responsabilità, a quelle iniziative o strutture già presenti e operanti nel settore della sanità (insegnamento dell’etica nelle scuole per operatori sanitari, comitati etici…).  

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- L’estensione della pastorale dell’ospedale al territorio. Il raggio di azione della pastorale sanitaria non può esaurirsi nell’area delle strutture di ricovero, ma deve estendersi a tutto il territorio nel quale si svolge la vita del cittadino, riscoprendo il rapporto naturale tra ammalato e famiglia, famiglia e comunità civile ed ecclesiale.

L’ospedale infatti si configura ormai come un servizio integrato con altre strutture sanitarie e aperte alla partecipazione dei cittadini e non più l’unico punto di riferimento per essere curati e guariti.

Le concrete implicazioni pastorali di questo spostamento d’accento dall’ospedale al territorio sono numerose e investono di nuove responsabilità sia gli operatori pastorali impegnati nelle strutture di ricovero che quelli operanti nelle comunità parrocchiali. È esigito un modo nuovo di impostare la pastorale sanitaria, che domanda rinnovamento tempestivo e creativo.  

II. I SOGGETTI DELLA PASTORALE SANITARIA  

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22. Gli sviluppi ecclesiologici conseguenti al concilio Vaticano II hanno precisato e arricchito l’identità e i compiti dei soggetti della pastorale sanitaria.  

La comunità cristiana  

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23. Soggetto primario della pastorale sanitaria è la comunità cristiana, popolo santo di Dio, adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo sotto la guida dei pastori (cf. LG 1) (V1/284).

Nell’attenzione ai problemi del mondo della salute e nella cura amorevole verso i malati, la comunità ecclesiale è coinvolta in tutte le sue componenti. Il concilio Vaticano II raccomanda ai vescovi di circondare “di una carità paterna gli ammalati” (CD 30) (V1/658); ai sacerdoti di avere “cura dei malati e dei moribondi, visitandoli a confortandoli nel Signore” (PO 6) (V1/1259); ai religiosi di esercitare “al massimo grado” il ministero della riconciliazione in loro favore e di mantenere la fedeltà al carisma della misericordia verso gli ammalati (cf. PO 10) (V1/1279); ai laici di praticare “la misericordia verso i poveri e gli infermi”, ricordando che la “carità cristiana deve cercarli e trovarli, consolarli con premurosa cura e sollevarli porgendo aiuto” (AA 8) (V1/945).  

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24. Pertanto, è compito della comunità cristiana – da quella universale a quella particolare – prendere coscienza dei problemi della sanità, della grazia e della responsabilità che riceve dal Signore nei riguardi degli ammalati e della loro assistenza, offrendo loro ogni aiuto e conforto – dalla parola di Dio, ai sacramenti e all’interessamento fraterno.

L’assistenza amorevole agli ammalati raggiungerà più efficacemente il suo scopo, se si eviteranno facili deleghe a pochi individui o gruppi e se si organizzeranno sapientemente gli interventi della comunità.

 

 

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25. Rivolta a tutti i sofferenti, la sollecitudine pastorale della comunità cristiana si dirige con particolare predilezione verso i più poveri, gli ultimi, per farsi loro voce e difenderne la dignità e i diritti.  

L’ammalato  

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26. L’uomo sofferente è “soggetto attivo e responsabile dell’opera di evangelizzazione e di salvezza” (CfLV11/1846). Questa affermazione del Santo Padre indica il riconoscimento del carisma dei sofferenti, del loro apporto creativo nella Chiesa e nel mondo. “Anche i malati sono mandati (dal Signore) come operai nella sua vigna” (CfL 53) (V11/1842). Il cristiano, infatti, attraverso la viva partecipazione al mistero pasquale di Cristo, può trasformare la sua condizione di sofferente in un momento di grazia per sé e per gli altri, trovando nel dolore e nella malattia “una vocazione ad amare di più, una chiamata a partecipare all’infinito amore di Dio per l’umanità” (OR 24.5.1987, p. 4). 54) (

Gli eventi negativi della vita – non esclusi la malattia, l’handicap, la morte – sono “realtà redenta” da Cristo (SD 19) (V9/653) e da lui assunta come “mezzo di redenzione” (SD 26) (V9/671).  

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Spetta alla comunità cristiana valorizzare la presenza dei malati, la loro testimonianza nella Chiesa e il contributo specifico che essi possono dare alla salvezza del mondo. Il concilio raccomanda ai vescovi di “suscitare tra gli infermi… la coscienza di offrire a Dio preghiere e opere di penitenza con cuore generoso per l’evangelizzazione del mondo” (AG 38) (V1/1222).

A questo scopo possono offrire un valido contributo le associazioni di malati, per le risorse di mutuo aiuto che sono in grado di sviluppare. È bene anche che i malati vengano inseriti negli organismi ecclesiali e che siano promosse iniziative specialmente rivolte a loro: esercizi spirituali, incontri formativi, stampa, audiovisivi…  

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27. Difficilmente però l’ammalato potrà svolgere il suo ruolo di soggetto attivo nella comunità ecclesiale se non sarà prima “termine dell’amore e del servizio della Chiesa” (CfL 54) (V11/1846), trovando in essa sostegno umano, spirituale e morale.

La malattia, infatti, è un’esperienza traumatica che attenta l’integrità fisica e psichica dell’uomo; comporta un brusco arresto d’interessi; fa percepire esistenzialmente la fragilità della natura umana; determina una diversa immagine di se stessi e del mondo circostante. Chi soffre è facilmente soggetto a sentimenti di timore, di dipendenza e di scoraggiamento. “A causa della malattia e della sofferenza sono messe a dura prova non solo la sua fiducia nella vita ma anche la sua stessa fede in Dio e nel suo amore di Padre” (CfLV11/1845). 54) ( 

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28. Primo impegno della comunità sociale e cristiana è quello di lottare con il malato contro la malattia “senza tralasciare nulla di quanto può essere fatto, tentato, sperimentato per recare sollievo al corpo e allo spirito di chi soffre” (Sacramento dell’unzione e cura pastorale degli infermi, Premesse, 4) (V4/1862).

Sia nelle situazioni in cui è possibile il ricupero come in quelle in cui non si è in grado di arrestare il male, è di vitale importanza che il malato non si senta emarginato dalla famiglia e dalla comunità. Malgrado la devastazione del male fisico e psichico, l’handicap e le minorazioni, il malato in quanto “icona di Dio” resta un essere umano nella pienezza della sua dignità e dei suoi diritti, degno di ogni rispetto e considerazione.  

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29. È soprattutto in occasione del ricovero nelle istituzioni sanitarie che i diritti dell’ammalato devono essere salvaguardati. L’ammalato, infatti, è la ragion d’essere dell’ordinamento sanitario, il primo destinatario dei suoi servizi e il motivo centrale delle prestazioni. L’attenzione che gli è dovuta non è benevola concessione, ma un suo diritto inalienabile.

Persona la cui dignità non è scalfita dal male di cui è vittima, l’ammalato non deve soffrire di discriminazioni, né essere privato della sua autonomia e del diritto di partecipare responsabilmente alle cure che gli sono somministrate; egli infatti non è mai solo oggetto delle prestazioni sanitarie. Il suo “consenso informato” è necessario prima di ogni intervento e sperimentazione. Per questo egli deve ricevere una sufficiente informazione su quanto lo riguarda: sul suo stato di salute, sulle cure che gli vengono somministrate e sui relativi effetti.  

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30. La comunicazione della verità al malato grave o morente pone problemi difficili a quanti lo assistono, dai familiari agli operatori sanitari e pastorali.

Se non vi sono dubbi sull’inderogabilità del diritto del malato a sapere, le modalità di risposta a tale diritto devono però tenere in considerazione numerose variabili, tra cui le esigenze emotive, spirituali e morali dell’infermo.  

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Inadeguate, quindi, si rivelano sia la “falsificazione sistematica della verità”, sia il “dire la verità ad ogni costo” (cf. Problemi etici posti oggi dalla morte e dal morire, Documento del segretariato della Conferenza episcopale francese, in Umanizzare la malattia e la morte, Roma 1980, pp. 37ss). Solo una relazione amorevole e attenta può permettere al malato di poter esprimere liberamente le proprie domande e a coloro che lo assistono di rispondervi appropriatamente, garantendo un accompagnamento adeguato.

L’esperienza e la ricerca testimoniano che una comunicazione “personalizzata” della verità è fonte di notevoli vantaggi sia per i malati che per coloro che li assistono, liberando la comunicazione da incresciose reticenze e menzogne.  

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31. Una particolare attenzione va rivolta agli ammalati in fase terminale, creando intorno ad essi un clima di solidarietà, di fiducia e di speranza. Da questo clima, infatti, l’accompagnamento spirituale del morente, che raggiunge la sua espressione più significativa nella preghiera e nei sacramenti, trae credibilità ed efficacia.  

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32. La comunità cristiana è chiamata ad offrire appoggio anche ai familiari del morente sia prima che dopo la morte del loro congiunto, aiutandoli nel difficile periodo del lutto.  

La famiglia  

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33. Il comando del Signore di visitare gli infermi (cf. Mt 25,26) è da ritenersi rivolto innanzitutto ai membri della famiglia dell’ammalato.

Entro le mura domestiche come nelle istituzioni sanitarie, la loro presenza riveste importanza particolare.  

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34. È necessario che la famiglia si educhi a tenere presso di sé i congiunti in difficoltà, collaborando ai progetti elaborati dai vari organismi sanitari nazionali e regionali. Il calore dell’ambiente familiare, potenziato dai sussidi della comunità è, infatti, strumento terapeutico insostituibile.  

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35. Nei casi in cui il malato debba essere ricoverato nelle istituzioni socio-sanitarie, il contributo dei familiari è indispensabile per ridurre il senso di estraneità e di solitudine vissuto dall’infermo e per mediare i rapporti con i sanitari e la comunità.  

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36. Anche l’accompagnamento spirituale del malato entra tra le responsabilità dei familiari, come espressione profonda del loro amore verso il congiunto che soffre. Alla preghiera assidua deve accompagnarsi la sollecita richiesta del ministro di Dio e la partecipazione attiva alla celebrazione dei sacramenti dell’eucaristia e dell’unzione degli infermi (cf. Sacramento dell’unzione e cura pastorale degli infermi, Premesse 34) (V4/1893). 

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37. A loro volta, i familiari hanno bisogno di sostegno per vivere, senza smarrirsi, il peso imposto dalla malattia di un loro congiunto. Un accompagnamento premuroso, che trova uno dei luoghi più propizi nella visita a domicilio o all’ospedale, può aiutarli a scoprire nella dolorosa stagione della sofferenza, preziosi valori umani e spirituali.  

L’assistente religioso delle istituzioni sanitarie  

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38. Tra i sacerdoti che, a nome del vescovo, hanno il compito di guidare la comunità cristiana ad aprirsi a forme creative di pastorale sanitaria, occupa un posto speciale l’assistente religioso o cappellano delle istituzioni sanitarie.

A lui viene affidato in modo stabile la cura pastorale di quel particolare gruppo di fedeli, costituito dai malati e loro familiari e dagli operatori sanitari.

Il suo compito principale è di annunciare la buona novella e di comunicare l’amore redentivo di Cristo a quanti soffrono nel corpo e nello spirito le conseguenze della condizione finita dell’uomo, accompagnandoli con amore solidale.  

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39. La presenza e l’azione del cappellano s’iscrivono in quella visione globale dell’uomo che caratterizza significative correnti della moderna medicina. In tale prospettiva la dimensione spirituale e morale della persona umana ha un ruolo insostituibile nella conservazione e nel ricupero della salute.

Ne consegue che l’intervento dell’operatore pastorale risponde a dei bisogni specifici del malato e s’inserisce, così, legittimamente nell’orchestrazione delle cure prestate ai pazienti.

In questa linea si muove il riconoscimento giuridico dell’assistente religioso da parte dello Stato.  

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40. Per uno svolgimento adeguato della sua missione accanto ai malati, oltre a una profonda spiritualità il cappellano deve possedere una competenza e preparazione professionali che gli permettano sia di conoscere adeguatamente la psicologia del malato e di stabilire con lui una relazione significativa, sia di praticare una valida collaborazione interdisciplinare.

È sulla base di una calda umanità che trova il suo primo appoggio l’accompagnamento pastorale del malato. Rispettando i bisogni e i tempi del paziente, il cappellano saprà anche essere propositivo di un conforto e di una speranza che vengono dalla parola di Dio, la preghiera e i sacramenti.  

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41. Per raggiungere lo scopo primario della sua presenza nell’istituzione sanitaria – l’assistenza pastorale ai malati – il cappellano deve farsi centro e propulsore di un’azione tesa a risvegliare e sintonizzare tutte le forze cristiane presenti nell’ospedale, anche quelle potenziali e latenti.

Assumono grande importanza, in quest’ottica, la cura pastorale del personale, il coinvolgimento nei progetti tesi a rendere più umano il clima dell’istituzione (comitato etico…), l’insegnamento dell’etica professionale, l’animazione della pastorale sanitaria nel territorio, la promozione e formazione del volontariato.  

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42. Uno degli strumenti più efficaci per esprimere la comune responsabilità nella pastorale di un’istituzione sanitaria è il “consiglio pastorale ospedaliero”.

Le finalità generali del consiglio possono essere così sintetizzate:

- programmare un’efficace evangelizzazione e umanizzazione a tutti i livelli;

- promuovere un’accurata preparazione della vita sacramentale e liturgica;

- favorire la formazione di una fraternità cristiana nella vita ospedaliera;

- collaborare con le vicarie e i consigli pastorali parrocchiali.  

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Fanno parte del consiglio rappresentanti di tutte le categorie operanti in ospedale: oltre i cappellani, saranno rappresentate le suore, i medici, gli infermieri, personale della scuola, tecnici, rappresentanti delle associazioni di volontariato e di categoria (ACOS, AMCI, …). Non mancheranno alcuni rappresentanti dei malati. La presenza, anche se non stabile, di questi ultimi, mette in rilievo il ruolo di “soggetti attivi” nel campo della pastorale sanitaria.  

I religiosi

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43. Numerose e varie sono le famiglie religiose maschili e femminili: ordini, congregazioni, istituti secolari che, lungo l’arco della storia della Chiesa italiana, hanno ricevuto da Dio il dono di testimoniare la compassione di Cristo verso gli infermi e i sofferenti.

Svolgendo spesso una preziosa opera di supplenza nella società quando l’intervento pubblico era inadeguato, hanno aperto nuove strade all’assistenza dei malati e nel ricupero degli handicappati, educando il popolo di Dio a una evangelica sensibilità verso nuovi e disattesi bisogni sociali.  

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44. Le profonde trasformazioni avvenute nel mondo socio-sanitario e nella cultura che l’orienta domandano ai religiosi una vigile attenzione e un’adeguata capacità di adattamento affinché la loro presenza sia sempre “una testimonianza di fede e di speranza in un mondo sempre più tecnicista e materialista” (Sacramento dell’unzione e cura pastorale degli infermi, 37).  

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45. Nella linea della tradizione e di un costante aggiornamento, i religiosi sono chiamati a far beneficiare del loro carisma di misericordia verso gli infermi tutta la comunità ecclesiale, in uno spirito di apertura e di collaborazione con le Chiese particolari.  

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46. Attenti alle mutate condizioni socio-culturali del mondo contemporaneo, sappiano privilegiare, nelle loro scelte, i settori e le categorie di malati maggiormente trascurati dall’assistenza pubblica, tenendo in particolare considerazione le nuove malattie sociali, quali la tossicodipendenza, l’AIDS… (cf. Pontificio consiglio per la pastorale degli operatori sanitari, I religiosi nel mondo della sofferenza e della salute, Roma 1987).  

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47. L’impegno dei religiosi trovi sbocchi creativi anche nel delicato campo della formazione sanitaria e pastorale, potenziando le preziose iniziative già in atto e creandone di nuove.  

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48. Alle religiose che, prestando il loro servizio negli ospedali e nelle case di riposo, hanno contribuito a sostanziare di spirito evangelico la cura degli infermi, rivolgiamo un invito a rimanere fedeli a questa presenza accanto a chi soffre, nonostante le gravi difficoltà dovute sia alla decrescita numerica sia ai cambiamenti avvenuti nel settore socio-sanitario.  

Le associazioni professionali sanitarie cattoliche  

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49. Il laico cristiano impegnato nel settore della sanità partecipa all’edificazione della Chiesa e alla santificazione del mondo individualmente o in forma associata (cf. AA 16) (V1/970ss).

Infatti, “la comunione ecclesiale già presente e operante nell’azione della singola persona, trova una specifica espressione nell’operare associato dei laici, ossia nell’azione solidale da essi svolta nel partecipare responsabilmente alla vita e missione della Chiesa” (CfL 29) (V11/1720).  

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50. Vari sono i gruppi, le associazioni e i movimenti che operano nel settore della sanità. Accanto alle associazioni di ammalati (a titolo esemplificativo ricordiamo: Movimento apostolico ciechi, Unione cattolica malati, Centro volontari della sofferenza…), che danno un notevole contributo e una pastorale che vede l’ammalato animatore del mondo della sofferenza, vi sono associazioni per i malati. Di queste alcune sono costituite da volontari (per esempio: UNITALSI, OFTAL, UAL…), altre invece da operatori sanitari (per esempio: ACOS, AMCI…). A queste ultime si riferisce il presente paragrafo.  

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51. L’apostolato associato dei laici nel mondo della salute, “esercitato sempre e solo nella comunione della Chiesa” (CfL 29) (V11/1725), riveste una particolare importanza. Esso, infatti, permette la realizzazione di obiettivi in cui non è sufficiente l’azione individuale, ma “si richiede un lavoro d’insieme, intelligente, programmato, costante e generoso” (CfL 29) (V11/1722).

In forza della loro condizione di battezzati che li rende partecipi della stessa missione di Cristo, gli operatori sanitari cattolici sono chiamati a cooperare alla promozione del Regno attraverso l’esercizio della loro professione.

In particolare è loro compito promuovere il rispetto dei valori fondamentali dell’uomo – la sua dignità, i suoi diritti, la sua trascendenza – sia nella ricerca scientifica sia nella prassi terapeutica, imprimendo al rapporto con il paziente quell’attenzione e calore umano che riflettono l’atteggiamento di Cristo verso i malati.  

1545

52. Se ogni operatore sanitario deve considerare l’esercizio della professione come un “servizio” prestato alla persona che soffre, a maggior ragione sono chiamati a fare propria questa convinzione coloro che sono mossi nel loro operare dall’esempio di Cristo (cf. Pontificio Consiglio per la pastorale degli operatori sanitari, I laici nel mondo della sofferenza e della salute, Roma 1987).  

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53. È compito, quindi, delle associazioni professionali cattoliche, operanti nel mondo della sanità, aiutare i propri associati:

- a riscoprire, gustare e vivere il senso umano, sociale e cristiano della professione, che ha per centro la persona nel difficile momento della sofferenza;

- a vivere la professione come “vocazione” e “missione”, riservata ad essi dalla benevolenza del Padre, nel settore della sanità e nell’assistenza dei malati;

- a fare della deontologia professionale e dell’etica, ispirata ai valori autentici dell’uomo e nella fedeltà al magistero della Chiesa, un punto costante di riferimento;

- ad acquisire la più ampia e profonda capacità professionale, nella convinzione che “l’onestà e la competenza professionale (…) difficilmente possono essere sostituite da un altro tipo di zelo apostolico” (EvSPU 57);

- a cooperare con gli assistenti religiosi per assicurare un cammino di fede ai malati che lo richiedono;

- a collaborare con le altre associazioni professionali sanitarie.  

Le istituzioni sanitarie cattoliche  

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54. Le istituzioni sanitarie cattoliche costituiscono una specifica modalità con cui la comunità ecclesiale mette in pratica il mandato di “curare gli infermi”.

Esse, pertanto, sono da considerarsi non solo utili ma necessarie alla missione della Chiesa, dando consistenza e continuità all’azione caritativa e di promozione umana della comunità cristiana.  

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55. Opere di Chiesa, le istituzioni sanitarie cattoliche, hanno il dovere di lasciarsi guidare dalla loro finalità evangelizzatrice, evitando di porsi in concorrenza o in contrapposizione a quelle pubbliche. Inserendosi, nella misura del possibile, nella programmazione sanitaria del territorio, scelgano di rispondere con preferenza ai bisogni ancora disattesi dall’intervento pubblico.

Quando non corrispondano più alle finalità sociali per cui sono sorte, vengano abbandonate o riconvertite.  

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56. Per la loro finalità e i valori cui si ispirano, le istituzioni sanitarie cattoliche sono chiamate a distinguersi per alcune connotazioni che ne configurano l’identità e lo stile di servizio:

- assistenza integrale all’ammalato, con attenzione a tutte le dimensioni della persona: fisica, psicologica, sociale, spirituale e trascendente, creata a immagine di Dio, redenta da Cristo e chiamata all’eternità;

- difesa e promozione della vita nascente, impegno per la riabilitazione dei disabili, assistenza qualificata degli ammalati morenti;

- formazione del personale, a livello umano, cristiano e professionale;

- presenza profetica nelle aree più difficili e nuove della medicina;

- qualità ed efficienza del ministero dell’accompagnamento spirituale e religioso del malato e dei suoi familiari;

- salvaguardia dell’umanità delle cure e delle prestazioni, umanizzando la tecnica e garantendo un clima nel quale gli ammalati si sentano accettati e tutelati nei loro diritti;

- promozione, nelle aree in cui operano, di una cultura sanitaria ispirata ad autentici valori umani e cristiani;

- sana trasparenza amministrativa.  

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57. È opportuno che nelle istituzioni sanitarie cattoliche vengano istituiti dei comitati etici finalizzati ad affrontare le complesse questioni morali che caratterizzano il mondo della salute.  

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58. Riunite in associazioni, le istituzioni sanitarie cattoliche possono svolgere con più efficacia il loro ruolo di esemplarità e di evangelizzazione, offrendo significativi contributi alla filosofia che guida la sanità a livello nazionale e regionale.

L’associazione delle opere sanitarie cattoliche non deve mai, però, trasformarsi in un’assemblea a carattere prettamente sindacale, come se gli associati fossero solo dei datori di lavoro e le loro istituzioni imprese a scopo di lucro: ne soffrirebbero la loro identità e i motivi per cui sono nate.  

Il volontariato sanitario  

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59. Il fenomeno del volontariato, che tanta affermazione ha avuto in questi anni nel nostro Paese, può essere considerato un vero e proprio “segno dei tempi”, indice di una presa di coscienza più profonda e viva della solidarietà che lega reciprocamente gli esseri umani.

Sul piano sociale e civico, il volontariato realizza l’esigenza di partecipazione dei cittadini alla gestione dei servizi dei quali sono i destinatari; attenua il distacco dalle istituzioni e conferisce spazio al primato della componente sociale nell’organizzazione della società in un momento di crisi dei servizi e delle prestazioni sociali; offre quel “supplemento d’anima” che contribuisce a mantenere umane le istituzioni.

Svolto nelle famiglie o nelle istituzioni per i malati, anziani, handicappati, tossicodipendenti e ammalati di AIDS il volontariato risponde ad un bisogno profondo di “attivo scambio tra la comunità dei sani e comunità dei malati” che “non potrà mancare di dimostrarsi un potente incentivo ad una generale crescita nella carità” (Giovanni Paolo II, in OR 4-5.10.1982, p. 3).  

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60. La solidarietà umana, iscritta nella vita e nel destino degli esseri umani, diviene più evidente ed assume un maggiore spessore in una visione di fede (cf. GS 32) (V1/1418ss).

Alla luce della rivelazione, infatti, emerge evidente il compito dei cristiani a farsi carico dei fratelli, ritrascrivendo la parabola del buon samaritano nella comunicazione ai sofferenti dell’”amore di guarigione e di consolazione di Gesù Cristo” (CfL 53) (V11/1844).

Oltre ad inserire più direttamente i cristiani nel contesto sociale, il volontariato svolge implicitamente opera di preevangelizzazione e di evangelizzazione.  

1554

61. Note distintive del volontariato sono: la gratuità nelle prestazioni, la disponibilità verso gli ammalati, lo spirito di servizio, il rispetto della professionalità, l’inserimento armonico nell’organizzazione dei servizi sanitari con l’esclusione di ogni concorrenza nei riguardi dei ruoli professionali, la continuità nelle prestazioni. Queste caratteristiche che contribuiscono a fare del volontario un “esperto in umanità” vanno potenziate da una valida formazione a livello di “sapere” e “saper fare”.  

1555

62. La comunità cristiana, i sacerdoti, l’assistente religioso e le istituzioni ospedaliere hanno il compito di scoprire ed educare vocazioni di servizio per gli ammalati e per gli handicappati, aiutando i volontari ad approfondire le motivazioni del loro impegno.

Non si deve però dimenticare che lo spirito del volontariato non è prerogativa di alcuni individui o gruppi, ma deve pervadere tutta la comunità, contribuendo a promuovere una cultura basata sui valori della solidarietà e fraternità.  

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63. Se è opportuno che i volontari si uniscano in gruppi, è bene però che il volontariato non associativo trovi stimoli e incoraggiamenti (cf. SD 29) (V9/679ss).  

1557

64. Il collegamento dei gruppi e delle associazioni dei volontari d’ispirazione cattolica da parte di vescovi o dei loro delegati non solo favorisce la comunione ecclesiale ma è anche garanzia di continuità ed efficacia.  

III. LE STRUTTURE DELLA PASTORALE DELLA SANITÀ  

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65. Le strutture principali della pastorale sanitaria sono: la consulta nazionale, la consulta regionale, la consulta diocesana e la cappellania ospedaliera. Esse sono a servizio degli operatori pastorali, delle associazioni e delle istituzioni, quale strumento di comunione e di animazione per il proseguimento delle comuni finalità pastorali nel mondo della salute.  

La consulta nazionale  

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66. È l’organismo che esprime la sollecitudine della Chiesa italiana verso i sofferenti e quanti li assistono, e costituisce lo strumento operativo per la realizzazione di una pastorale d’insieme da parte di tutte le forze cristiane impegnate nel settore sanitario della penisola.  

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67. Le finalità, l’organizzazione e l’attività della consulta nazionale sono indicate in un regolamento approvato dalla CEI (V4/318-334).  

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68. È presieduta da tre vescovi, designati dal consiglio permanente della CEI, uno dei quali funge da presidente nell’intento di assicurare un rapporto organico e diretto con la segreteria della CEI.  

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69. Fanno parte della consulta nazionale: gli incaricati regionali della pastorale sanitaria, i rappresentanti degli ordini religiosi ospedalieri, dei cappellani degli ospedali, delle associazioni cattoliche del settore e alcuni esperti.  

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70. Il lavoro della consulta nazionale si articola in un insieme di progetti e di iniziative che hanno i seguenti scopi:

- approfondire la conoscenza dei problemi che agitano il mondo della sanità;

- concordare proposte cristiane sull’erogazione dell’assistenza sanitaria ai cittadini, sul funzionamento dei servizi sanitari e sulle scelte legislative più opportune;

- favorire un dialogo e uno scambio di esperienze con altri organismi pubblici o ecclesiali impegnati nel campo dell’assistenza e della carità;

- stimolare e coordinare le attività delle consulte regionali.  

La consulta regionale  

1564

71. È l’espressione della conferenza episcopale regionale e fa da collegamento tra le consulte nazionale e diocesane.  

1565

72. È guidata da un incaricato regionale, designato dalla conferenza episcopale della regione. Egli opera d’intesa con il vescovo delegato alla pastorale della stessa conferenza episcopale.  

1566

73. Fanno parte della consulta: i delegati diocesani della pastorale sanitaria, i rappresentanti di organismi e gruppi implicati nel settore (cappellani, associazioni, movimenti) e alcuni esperti.  

1567

74. I compiti della consulta regionale possono essere così sintetizzati:

- promuovere e coordinare le attività delle consulte diocesane;

- favorire iniziative a livello regionale (convegni, discorsi…) tese a sensibilizzare la popolazione ai problemi della salute e dell’assistenza e a formare gli operatori sanitari e pastorali;

- operare opportuni collegamenti con gli organismi regionali civili preposti all’assistenza sanitaria, contribuendo a rendere più consoni ai valori umani e cristiani gli eventuali interventi legislativi regionali.  

La consulta diocesana  

1568

75. È l’organismo che esprime l’impegno della Chiesa particolare nella pastorale sanitaria; opera in sintonia con le consulte regionali e nazionale.  

1569

76. È presieduta da un incaricato, designato dal vescovo.  

1570

77. Fanno parte della consulta diocesana i rappresentanti delle parrocchie, degli organismi ecclesiali e delle associazioni operanti nel mondo della sanità.

Qualora, per esigenze operative, la competenza del settore pastorale della sanità fosse demandata ad altri uffici diocesani di pastorale, è necessario salvaguardare, nei modi più opportuni, l’identità e specificità del settore.  

1571

78. I compiti della consulta diocesana sono i seguenti:

- animare e coordinare la pastorale sanitaria delle vicarie e delle parrocchie, favorendo un’azione comune e condivisa fra le varie associazioni, gruppi e organismi caritativi operanti nella diocesi (Caritas, cappellani, volontari…);

- favorire la presenza di ammalati e operatori sanitari negli organismi ecclesiali diocesani;

- assumere iniziative di formazione e di aggiornamento nel settore.

 

 

La cappellania ospedaliera 

 

1572

79. La cappellania ospedaliera è espressione del servizio religioso prestato dalla comunità cristiana nelle istituzioni sanitarie.

 

 

1573

80. È composta da uno o più sacerdoti cui possono essere aggregati anche diaconi, religiosi e laici.

 

 

1574

81. Gli obiettivi principali della cappellania ospedaliera sono i seguenti:

- fare esistere nell’istituzione sanitaria un segno ecclesiale reperibile, che renda possibile un’azione missionaria;

- essere un luogo dove, attraverso delle persone, delle attitudini e dei gesti, compresi quelli sacramentali, Dio rivela la sua tenerezza e si mette al servizio dell’uomo per accompagnarlo nella prova, aiutandolo a vivere fino alla fine;

- promuovere e coordinare tutte le forze presenti nella comunità ospedaliera, attraverso idonei strumenti e iniziative (consiglio pastorale…);

- contribuire al coinvolgimento dei cristiani, presenti nel territorio, nella promozione della salute e nell’assistenza dei malati.

  CONCLUSIONE

  1575

82. Al termine di questa nota, amiamo rivolgere il pensiero alla vergine Maria. A lei, “madre di misericordia”, “salute degli infermi”, “consolatrice degli afflitti”, in ogni tempo si sono rivolti i cristiani con incessante e fiduciosa preghiera. In lei, quanti assistono gli ammalati trovano un modello di premurosa attenzione e di amore materno.

La sua protezione accompagni il difficile cammino di quanti portano il peso della sofferenza e faccia crescere nella comunità cristiana quella sensibilità per cui “se un membro soffre, tutte le altre membra soffrono con lui” (1Cor 12,26).

  Roma, 30 marzo 1989. 


 LORENZO CANTONI, Cristianità n. 239 (1995)

 

La “Carta degli Operatori sanitari”.

Una presentazione

 

Il contesto culturale

Le nuove possibilità d’intervento offerte dalle conoscenze tecnico-scientifiche alla medicina contemporanea hanno creato — e stanno creando — condizioni per un grande disorientamento fra gli operatori sanitari, che sono chiamati a discernere e a decidere, a volta a volta, quali interventi praticare e quali no. Tale disorientamento riguarda però anche i ricercatori, chiamati ad aprire, ad approfondire o ad abbandonare vaste aree di ricerca; i politici, chiamati a distribuire le risorse fra le diverse attività “sanitarie” — interventi e ricerche —, e ciascuna persona che — come paziente o prossimo a un paziente o semplice curioso — si accosta alla medicina con pregiudizi, aspettative e timori nuovi.

La ricerca delle cause culturali che hanno predisposto a questo disorientamento incontra, come nodo cruciale di un itinerario invero assai complesso, un duplice riduzionismo: della persona al suo corpo e del corpo a una semplice cosa-macchina; si tratta di un cammino che ha, fra le sue tappe principali, la scissione operata da Cartesio all’interno dell’uomo, come composto di res cogitans e di res extensa, di pensiero e di estensione radicalmente separati, e la lettura materialistica di questo homo duplex, che ha ridotto il pensiero ad attività del corpo, guardando poi all’uomo come a una macchina, anche se altamente sofisticata. Non è difficile intravedere, in questo secondo passaggio, sia l’opera dell’illuminismo — L’Homme machine è il titolo di un testo di Julien Offroy de La Mettrie, pubblicato nel 1748 —, sia l’itinerario dell’ideologia evoluzionistica, secondo cui quella umana sarebbe semplicemente — non sarebbe null’altro che — una specie animale (1).

In questo contesto culturale la conoscenza medica non può che essere pensata sull’esempio delle scienze naturali, che hanno avuto come proprio modello epistemologico la fisica newtoniana, e l’attività sanitaria sull’esempio della tecnica, che ha come propri “attori” tipici l’ingegnere e il meccanico (2). E come i tecnici — ingegneri e meccanici — costruiscono, aggiustano, migliorano e distruggono, così gli operatori sanitari devono fare altrettanto rispetto alla macchina-uomo: questa è la coscienza di sé consentita da un tale contesto culturale, così come l’aspettativa sociale che si è venuta a creare. Quest’aspettativa sociale, poi, ha caricato gli operatori sanitari di pesi veramente gravosi, fino a teorizzare un “diritto alla salute”, che essi avrebbero il dovere di garantire. In una società secolarizzata, che considera la macchina-corpo come il tutto della persona umana, chi si interessa della sua efficienza — costruzione, riparazione, miglioramento ed eventuale distruzione — non può che vestire i panni di sommo e unico sacerdote.

La concettualizzazione di cui ho detto e le pratiche che ne conseguono si scontrano direttamente con l’esperienza degli operatori sanitari, che vivono la loro attività — conoscenza e pratica terapeutica — come servizio alla persona nascente, malata e morente; essi incontrano e sperimentano in questa loro vocazione molto più che una semplice attività scientifica e tecnica. Di fronte al mistero della vita, della sofferenza e della morte il medico è chiamato a diventare egli stesso un grande problema a cui una cultura secolarizzata non può che offrire risposte monche, una magna quaestio (3) a cui solo la verità totale sull’uomo può rispondere. Solo Dio può rispondere pienamente a questa domanda: l’uomo — anche l’operatore sanitario — è sempre e solo un “chirurgo ferito” (4).

 

Gli interventi del Magistero della Chiesa cattolica

Come è chiaro anche dai rapidi cenni precedenti, la posizione della Chiesa cattolica — il suo Magistero e la prassi che da essa è stata promossa e sviluppata — è in netto contrasto con le coordinate ideologiche di cui la società secolarizzata si è servita e si serve per pensare le attività connesse con la salute e con la malattia. Non è un caso che un’istituzione ora così “ovvia” come quella ospedaliera sia nata e si sia sviluppata in ambito cristiano (5); per una facile verifica empirica si possono leggere gli elenchi telefonici e le Pagine Gialle alle voci Ospedale, Casa di Cura e Casa di Riposo: i nomi non saranno avari di suggerimenti in tal senso.

Se dunque la Chiesa, sposa di Colui che si è chiamato medico (6), ha da sempre risposto con i fatti e con le parole alle sfide costituite da modelli culturali incompatibili con il cattolicesimo, negli ultimi anni — e proprio in presenza di un accrescersi quantitativo e di un approfondirsi qualitativo di tali sfide — ha dedicato un’attenzione crescente del suo Magistero all’ambito biomedico.

Le nuove tecniche analgesiche e rianimatorie, il settore della trapiantologia, contraccezione, metodiche di pianificazione familiare, aborto, fecondazione artificiale, ingegneria genetica ed eutanasia hanno, a volta a volta, suscitato negli operatori sanitari nuovi interrogativi sulla loro valutazione morale alla luce della verità integrale sull’uomo, interrogativi cui il Magistero cattolico non ha mai tardato a rispondere autorevolmente, riannodando ogni volta la risposta a tutto l’insegnamento della fede (7). A questi insegnamenti si è accompagnata una ricca riflessione filosofica e teologica, intesa a indagare l’eticità delle varie attività sanitarie in generale, e di quelle consentite dalle nuove tecnologie in particolare, costituendo così un ampio corpus di bioetica cattolica (8).

Papa Giovanni Paolo II ha dedicato un’attenzione tutta particolare al mondo della sanità (9), pubblicando sul tema della sofferenza la lettera apostolica Salvifici doloris sul senso cristiano della sofferenza umana, dell’11 febbraio 1984 (10), istituendo il Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari con il motu proprio “Dolentium hominum”, dell’11 febbraio 1985, e — l’11 febbraio 1994 — la Pontificia Accademia Pro Vita con il motu proprio “Vitae mysterium”. Il ricorrere della stessa data, l’11 febbraio, non è casuale: vi si celebra la memoria liturgica della Beata Vergine Maria di Lourdes e, dal 1993, è la Giornata Mondiale del Malato.

A questi interventi straordinari vanno aggiunti numerosi discorsi dedicati al tema della sofferenza e delle pratiche sanitarie, gli interventi di Congregazioni e di organismi vaticani su temi specifici e, di fondamentale importanza per chi voglia ricostruire l’insegnamento della Chiesa su questo ambito, la promulgazione del Catechismo della Chiesa Cattolica, in cui, anche se non compare mai il termine “bioetica”, ne vengono affrontati partitamente i temi principali (11).

L’ampiezza e la vastità dei testi magisteriali a disposizione degli operatori sanitari ha fatto sentire a molti l’utilità — se non la necessità — di poter disporre di un’esposizione del Magistero cattolico che presentasse, oltre a quella dell’autorevolezza, le caratteristiche della completezza e della brevità, offrendo così insieme una sintesi della posizione della Chiesa e indicazioni per eventuali percorsi di approfondimento. Per corrispondere a tale esigenza, alla fine del 1994 il Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari ha pubblicato la Carta degli Operatori sanitari (12).

 

La “Carta degli Operatori sanitari”

Nella Prefazione (pp. 5-6) S. Em. il card. Fiorenzo Angelini — presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari —, dopo aver segnalato che “[...] non può che considerarsi lusinghiero che la Congregazione per la Dottrina della Fede abbia approvato e confermato integralmente e tempestivamente il testo della Carta ad essa sottoposto: una ragione di più per riconoscere ad essa piena validità e sicura autorevolezza” (p. 5), indica nella Carta una risposta all’esigenza “di offrire una sintesi organica ed esauriente della posizione della Chiesa su tutto quanto attiene all’affermazione, in campo sanitario, del valore primario ed assoluto della vita: di tutta la vita e della vita di ciascun essere umano” (p. 5). Da qui l’organizzazione stessa del testo: “Perciò, premessa una introduzione sulla figura e sui compiti essenziali degli operatori sanitari, o meglio, dei “ministri della vita”, la Carta riunisce le sue direttive intorno al triplice tema del generare, del vivere e del morire” (p. 6). Il metodo scelto per la redazione di questo “codice deontologico” (p. 5) è quasi sempre quello di “cedere direttamente la parola agli interventi dei sommi pontefici o di testi autorevoli pubblicati dai Dicasteri della Curia Romana” (p. 6).

L’Introduzione, dal significativo titolo Ministri della vita (nn. 1-10, pp. 7-18), indica nel servizio alla vita umana la natura dell’attività degli operatori sanitari, esso costituisce una forma di testimonianza cristiana: “Modalità primaria ed emblematica di “questo prendersi cura” è la loro presenza vigile e premurosa accanto agli ammalati. In essa l’attività medica e infermieristica esprime il suo alto valore umano e cristiano” (n. 1). L’attività dell’operatore sanitario si fonda su una relazione interpersonale, egli “[...] è il buon samaritano della parabola, che si ferma accanto all’uomo ferito, facendosi suo “prossimo” nella carità (cf. Lc 10, 29-37)” (n. 3).

Viene poi rilevato che “il servizio alla vita è tale solo nella fedeltà alla legge morale, che ne esprime esigentemente il valore e i compiti” (n. 6); l’operatore sanitario “[...] attinge le sue direttive di comportamento a quel particolare campo dell’etica normativa che oggi viene denominato bioetica. In esso, con vigile e premurosa attenzione, si è pronunciato il magistero della Chiesa, in riferimento a questioni e conflitti sollevati dal progresso biomedico e dal mutevole ethos culturale. Questo magistero bioetico costituisce per l’operatore sanitario, cattolico e non, una fonte di principi e norme di comportamento che ne illumina la coscienza e la orienta — specialmente nella complessità delle odierne possibilità biotecnologiche — a scelte sempre rispettose della vita e della sua dignità” (n. 6).

Il primo capitolo, Il generare (nn. 11-34, pp. 19-33), analizza partitamente La manipolazione genetica (nn. 12-14), La regolazione della fertilità (nn. 15-20) e La procreazione artificiale (pp. 21-34).

Relativamente al tema della manipolazione genetica vengono distinti con precisione gli interventi veramente e direttamente curativi, moralmente leciti, da quelli alterativi del patrimonio genetico, che “[...] sono contrari alla dignità personale dell’essere umano, alla sua integrità e alla sua identità” (n. 13). Dopo aver richiamato i criteri per una valutazione morale dei metodi di regolazione della fertilità, e in particolare la natura insieme e inscindibilmente unitiva e procreativa dell’atto coniugale, il documento afferma che “[...] mentre è lecito, per gravi motivi, avvalersi delle conoscenze della fertilità della donna, rinunciando all’uso del matrimonio nei periodi di fecondità, risulta illecito il ricorso ai mezzi contraccettivi” (n. 17). Il problema non è tanto quello di “[...] una distinzione a livello semplicemente di tecniche o di metodi, in cui l’elemento decisivo sarebbe costituito dal carattere artificiale o naturale del procedimento. [...]

“[...] la ragione ultima di ogni metodo naturale non è semplicemente la sua efficacia o attendibilità biologica, ma la sua coerenza con la visione cristiana della sessualità espressiva dell’amore coniugale” (n. 18).

Quanto alla procreazione artificiale, la Carta sottolinea che “il desiderio del figlio, per quanto sincero e intenso, da parte dei coniugi, non legittima il ricorso a tecniche contrarie alla verità del generare umano e alla dignità del nuovo essere umano” (n. 25). In particolare, sono moralmente leciti esclusivamente quei “mezzi artificiali destinati unicamente sia a facilitare l’atto naturale, sia a procurare il raggiungimento del proprio fine all’atto naturale normalmente compiuto” (n. 23): è il caso dell’inseminazione artificiale omologa.

Il vivere è il tema del secondo capitolo (nn. 35-113, pp. 35-83), a sua volta articolato in sedici paragrafi (13) che affrontano le molteplici questioni legate alla prevenzione, alla cura e alla riabilitazione. Si tratta, come è chiaro, di un’area tematica che non consente alcuna prospettazione riassuntiva, ma che trova i suoi momenti unificatori nella dichiarazione che “dal momento in cui l’ovulo è fecondato si inaugura una nuova vita che non è quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto” (n. 35), e nell’affermazione che “ogni intervento sul corpo umano “non raggiunge soltanto i tessuti, gli organi e le loro funzioni, ma coinvolge anche a livelli diversi la stessa persona”.

“L’attività sanitaria non deve mai perdere di vista “l’unità profonda dell’essere umano, nell’evidente interazione di tutte le sue funzioni corporali, ma anche nell’unità delle sue dimensioni corporale, affettiva, intellettuale e spirituale”. Non si può isolare “il problema tecnico posto dal trattamento di una determinata malattia dall’attenzione che deve essere offerta alla persona del malato in tutte le sue dimensioni. È bene ricordarlo, proprio quando la scienza medica tende alla specializzazione di ciascuna disciplina”" (n. 40).

Il terzo e ultimo capitolo, Il morire (nn. 114-150, pp. 85-111) (14), richiama con forza che “servire la vita significa per l’operatore sanitario assisterla fino al compimento naturale.

“La vita è nelle mani di Dio: Lui ne è il Signore, Lui solo stabilisce il momento finale. Ogni fedele servitore vigila su questo compiersi della volontà di Dio nella vita di ogni uomo affidato alle sue cure. Egli non si ritiene arbitro della morte, come e perché non si ritiene arbitro della vita di alcuno” (n. 114).

Si tratta di un tema — quello dell’assistenza al morente — che richiede un’attenzione rinnovata e costante (15): il contesto culturale sopra tratteggiato, infatti, tende a rifuggire la morte e il morente perché questi pongono alla medicina e agli operatori sanitari domande cui essi — se sono semplici tecnici della salute — non sanno affatto rispondere. Il morente è allora illuso sulla gravità del suo stato, o emarginato, oppure si cerca di far rientrare la morte nell’ambito degli eventi che si determinano tecnicamente, producendoli: è il caso dell’eutanasia, o rimandandoli: è il caso dell’accanimento terapeutico; “per il medico e i suoi collaboratori non si tratta di decidere della vita o della morte di un individuo. Si tratta semplicemente di essere medico, ossia d’interrogarsi e decidere in scienza e coscienza, la cura rispettosa del vivere e morire dell’ammalato a lui affidato” (n. 121).

Bisogna, in particolare, “[...] evangelizzare la morte: annunciare il Vangelo al morente” (n. 131), evangelizzazione che ha “[...] nella carità, nella preghiera e nei sacramenti le forme espressive e attuative privilegiate” (n. 131).

La Carta si chiude con un prezioso Indice analitico delle materie (pp. 115-119) e con l’Indice generale (pp. 121-122).

 

La “Carta degli Operatori Sanitari” e la “nuova evangelizzazione”

Compito dei pochi cenni fatti è stato quello di indicare la vastità e la completezza di questo prezioso documento, proponendo piuttosto un invito alla lettura che un impossibile riassunto. Si tratta certamente di un documento fondamentale per quella formazione “[...] in materia morale e nella bioetica” di “tutti gli operatori sanitari” (n. 7) invocata dall’Assemblea speciale per l’Europa del Sinodo dei Vescovi nel 1991 (16), e di una pietra miliare nel cammino della nuova evangelizzazione.

Nelle parole del card. Fiorenzo Angelini: “In apertura della Carta è detto che l’attività dell’operatore sanitario è “una forma di testimonianza cristiana”.

“Con umiltà, ma anche con fierezza, possiamo quindi ritenere che questa Carta degli Operatori sanitari si iscrive nell’impegno della “nuova evangelizzazione” che, nel servizio alla vita, particolarmente in coloro che soffrono, ha, sull’esempio del ministero di Cristo, il suo momento qualificante.

“L’auspicio, quindi, è che questo strumento di lavoro diventi parte integrante della formazione iniziale e permanente degli operatori sanitari, così che la loro testimonianza sia dimostrazione che la Chiesa, nella difesa della vita, apre il suo cuore e le sue braccia a tutti gli uomini, perché a tutti gli uomini si rivolge il messaggio di Cristo” (p. 6).

Lorenzo Cantoni

***

(1) Cfr. Ermanno Pavesi (a cura di), Salute e salvezza. Prospettive interdisciplinari, Di Giovanni, San Giuliano Milanese (Milano) 1994.

(2) Cfr. Hans-Georg Gadamer, Apologia dell’arte medica, in Idem, Dove si nasconde la salute, trad. it., Cortina, Milano 1994, p. 47: “L’immagine primaria che la moderna scienza naturale possiede della natura non è quella di una totalità che si autoequilibra. Alla sua base non si trovano né l’esperienza della vita, né quella dell’equilibrio, bensì quella della produzione e della costruzione pianificata. La scienza moderna, ben al di là del suo valore specifico, nella sua essenza è meccanica pura, mechané, ossia creazione artificiale di effetti che non sopraggiungono da soli. [...] Le nostre riflessioni dimostrano tuttavia che la situazione della medicina resta inevitabilmente legata al presupposto dell’antica idea di natura. Tra le scienze che studiano la natura la medicina è l’unica che non va mai interamente concepita come tecnica, poiché identifica sempre la sua capacità pratica con il ripristino di quanto è naturale. Nell’ambito delle scienze moderne la medicina rappresenta una singolare unità di conoscenza teoretica e di sapere pratico, una coesione che non può essere intesa come applicazione della scienza alla prassi. Dunque consiste in un genere speciale di scienza pratica di cui nel pensiero moderno si è smarrito il concetto”. Cfr. anche il mio Il segno del corpo. Alcuni appunti fra semeiotica medica, polizia scientifica e semiotica linguistica, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, n. 3, luglio-settembre 1994, pp. 92-99.

(3) Cfr. Stanis~aw Grygiel, La salvezza e la salute, in E. Pavesi (a cura di), Salute e salvezza. Prospettive interdisciplinari, cit., p. 23: “In linea di massima al medico viene affidato l’uomo [...] che sta affrontando lo sfacelo del corpo e la propria morte. Il medico, quindi, affronta il dramma [...] dell’essere dell’uomo.

“Ed è proprio ciò che viene spesso purtroppo dimenticato e trascurato dal medico. In tal caso egli limita la cura del malato al funzionamento del suo corpo, cercando di aiutare l’uomo che è diventato magna quaestio a ricuperare la salute intesa in termini del possesso”; e p. 28: “La magna quaestio alla quale l’uomo non è capace di rispondere è lanciata verso l’aldilà. Solo Dio può dire la Parola che è un’adeguata Risposta all’uomo che è diventato tale quaestio”.

(4) Cfr. Thomas S. Eliot, Quattro quartetti, trad. it., Garzanti, Milano 1989, East Coker, IV: “Il chirurgo ferito maneggia l’acciaio / Che indaga la parte malata; / Sotto le mani insanguinate sentiamo / L’arte pungente e pietosa di chi guarisce / E scioglie l’enigma del diagramma della febbre”.

(5) Cfr. Heinrich Schipperges, Il giardino della salute. La medicina nel medioevo, trad. it., Garzanti, Milano 1988; cfr. anche Luciano Sterpellone, I santi e la medicina. Medici, taumaturghi, protettori, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1994.

(6) Cfr. Mc. 2, 17; e Lc. 5, 31.

(7) Cfr. un’antologia di interventi a partire dal 1949 in Patrick Verspieren S.J. (a cura di), Biologia, medicina ed etica. Testi del Magistero cattolico raccolti e presentati da Patrick Verspieren S.J., trad. it., Queriniana, Brescia 1990.

(8) Non è possibile indicare neppure per sommi capi l’estensione di tale corpus: cfr. — per tutti — Elio Sgreccia, Manuale di Bioetica, Vita e Pensiero, Milano 1994, 3a ed., in 2 voll., e la bibliografia ivi indicata.

(9) Cfr. Dionigi Tettamanzi (a cura di), Chiesa e bioetica. Giovanni Paolo II ai medici e agli operatori sanitari, Massimo, Milano 1988.

(10) Cfr. Il Nuovo Areopago, anno 4, n. 1 (13), primavera 1985, numero monografico sul tema L’uomo e il dolore pubblicato in occasione della promulgazione di tale documento.

(11) Cfr. un’analisi del Catechismo della Chiesa Cattolica da questa prospettiva, in Giovanni Russo, La bioetica nel nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica, in Medicina e Morale. Rivista Internazionale bimestrale di Bioetica, Deontologia e Morale Medica, nuova serie, anno XLIV, gennaio-febbraio 1994, pp. 91-120.

(12) Cfr. Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, Carta degli Operatori sanitari, Città del Vaticano 1994. Il documento, pubblicato in prima edizione nell’ottobre del 1994, è giunto alla terza nel dicembre dello stesso anno. Tutti i riferimenti nel testo senza diversa indicazione rimandano a questo documento; là dove — come perlopiù accade — esso cita altri testi, questi non saranno espressamente indicati.

(13) Origine e nascita della vita (nn. 35-37), Il valore della vita: unità di corpo ed anima (nn. 38-41), Indisponibilità e inviolabilità della vita (nn. 42-45), Il diritto alla vita (nn. 46-49), La prevenzione (nn. 50-52), La malattia (nn. 53-55), La diagnosi (nn. 56-58), La diagnosi prenatale (nn. 59-61), Terapia e riabilitazione (nn. 62-67), Analgesia e Anestesia (nn. 68-71), Il consenso informato del paziente (nn. 72-74), Ricerca e sperimentazione (nn. 75-82), Donazione e trapianto di organi (nn. 83-91), Le dipendenze (nn. 92-103), Psicologia e psicoterapia (nn. 104-107), Cura pastorale e sacramento dell’Unzione degli infermi (nn. 108-113).

(14) È articolato nei seguenti paragrafi: I malati terminali (nn. 115-118), Morire con dignità (nn. 119-121), L’uso degli analgesici nei malati terminali (nn. 122-124), La verità al morente (nn. 125-127), Il momento della morte (nn. 128-129), L’assistenza religiosa al morente (nn. 130-135), La soppressione della vita (nn. 136-138), L’aborto (nn. 139-146), L’eutanasia (nn. 147-150).

(15) Cfr. Elio Sgreccia, Antonio G. Spagnolo e Maria Luisa Di Pietro, L’assistenza al morente. Aspetti socio-culturali, medico-assistenziali e pastorali. Atti del Congresso Internazionale. Roma, 15-18 marzo 1992, Vita e Pensiero, Milano 1994.

(16) Cfr. Sinodo dei Vescovi. Assemblea Speciale per l’Europa, Dichiarazione conclusiva, in L’Osservatore Romano, 20-12-1991, n. 10.

LA COMUNITA’ CRISTIANA E LA PASTORALE DELLA SALUTE

Centro Pastorale Provinciale
  Programma della consulta
 
 
2007 – 2010
 

LA PASTORALE DELLA SALUTE ALLA LUCE DEL NUOVO DOCUMENTO: “PREDICATE IL VANGELO E CURATE I MALATI”.

 

LA COMUNITA’ CRISTIANA

E LA PASTORALE DELLA SALUTE

 

Lungo i secoli la chiesa ha privilegiato l’attenzione al malato, traducendo questa sensibilità in progetti di carità, nella costruzione di ospedali e centri di cura per raccogliere poveri, emarginati e sofferenti. Oggi si ha la consapevolezza che è compito prioritario della chiesa adoperarsi per la salvaguardare la salute delle persone, prima ancora di intervenire nella fase curativa e riabilitativa.

La chiesa è comunità portatrice di salute nella misura in cui educa a prevenire la malattia e guida l’uomo a sviluppare un sano rapporto con Dio, con gli altri, con se stesso con il creato, Si sviluppa la salute aiutando le persone a volersi bene e a rispettare se stessi, valorizzando i doni ricevuti e mettendoli a servizio del bene comune.

Molti soni gli aspetti del mondo sanitario che hanno subito una notevole evoluzione per fattori culturali e per il progresso della scienza come: il concetto di salute, il concetto di malattia, un modo nuovo gestire le strutture ospedaliere. E’ a questo mondo della sanità che la chiesa in forza della sua missione, è chiamata ad aprirsi, animata da speranza, da spirito di collaborazione e dalla volontà di rendere un contributo essenziale alla salvezza dell’uomo.[1]

Una pastorale di comunione e di collaborazione

Come negli altri campi pastorali, anche quello della pastorale della salute si potrà rinnovare se lo si realizzerà nella comunione e nella collaborazione: non è un cammino facile né naturale sia per i preti, abituati nel passato a lavorare da soli, sia per le altre componenti ecclesiali, educate all’obbedienza all’autorità e, a volte alla passività

La comunione e la collaborazione non potranno essere efficacemente promosse senza il passaggio dall’agire improvvisato alla progettualità e senza un coordinamento intelligente delle risorse presenti nella comunità: i ministri straordinari della Comunione, gli operatori pastorali e sanitari, i volontari delle diverse associazioni, i familiari dei malati, i malati stessi.

Ciò si rende tanto più necessario se si considera che il sistema sanitario esce progressivamente dagli ambiti delle sole strutture ospedaliere per radicarsi su tutto il territorio, con la conseguenza che un numero sempre più consistente di malati si trova nelle famiglie, soprattutto nella fase dell’assistenza e della riabilitazione[2].

L’organizzazione a diversi livelli

Per un coinvolgimento creativo di tutta la comunità ecclesiale nella pastorale della salute si richiede la presenza di strutture di comunione operanti a livello nazionale, regionale, diocesano, parrocchiale e ospedaliero. Alcune di esse sono in funzione da tempo, altre sono sorte in questi ultimi anni[3].

A livello nazionale

Due sono le strutture di riferimento istituite dalla Conferenza Episcopale Italiana: l’Ufficio Nazionale e la Consulta Nazionale per la pastorale della sanità.

L’Ufficio Nazionale è la struttura che anima la pastorale della salute su tutto il territorio nazionale.

La Consulta Nazionale, composta dai rappresentanti delle principali realtà cristiane operanti, a livello nazionale, nell’ambito della sanità, ha come compito specifico la promozione di una pastorale d’insieme e l’offerta di un contributo di riflessione sugli orientamenti generali della pastorale della salute in Italia[4].

Accanto a queste due strutture, si è costituito il Tavolo nazionale delle istituzioni sanitarie di ispirazione cristiana[5].

A livello regionale

La sanità sta assumendo particolare importanza e rilevanza autonoma nelle singole regioni, per cui s’impone la necessità di istituzione o potenziare la Consulta regionale per la pastorale della salute, diretta da un responsabile designato dalla Conferenza Episcopale Regionale. Spetta anche alla Conferenza Episcopale Regionale designare al proprio interno un vescovo con l’incarico di seguire la pastorale sanitaria[6].

A livello diocesano

Una pastorale organica nell’ambito diocesano trova il suo punto di riferimento nella persona del vescovo che esercita il ministero di governo nella Chiesa particolare mediante organismi e uffici pastorali.

Particolare rilievo per la promozione di una pastorale sanitaria organica assume l’Ufficio diocesano, cui è bene sia aggiunta una Consulta diocesana, composta, oltre che dal responsabile dell’Ufficio, da soggetti attivi nell’azione pastorale: parroci, cappellani, rappresentanti di associazioni ecclesiali, di associazioni professionali cristiane e del volontariato.

L’Ufficio diocesano per la pastorale della salute ha il compito di studiare le linee pastorali diocesane nel campo della sanità, di sensibilizzare le comunità cristiane a tali problemi, di coordinare le iniziative riguardanti la formazione e l’aggiornamento delle persone che operano nel settore, di seguire i vari progetti locali in materia sanitaria.

Le principali attività della Consulta diocesana sono:

  • la sensibilizzazione delle comunità ecclesiali, mettendo in rilievo il fatto che esse costituiscono il soggetto primario della pastorale sanitaria;

  • la formazione degli operatori sanitari, con particolare attenzione ai cappellani, ai medici, agli infermieri e ai volontari. L’attività formativa può avvenire attraverso l’apporto e la collaborazione delle associazioni professionali e di volontariato. Pur lasciando a ogni associazione la realizzazione dei propri specifici programmi, è opportuno fissare alcune iniziative annuali da svolgere insieme;

  • la promozione di iniziative finalizzate a migliorare l’assistenza ai malati, con particolare attenzione alle persone sole, emarginate, con patologie che richiedono cure particolari, come i malati oncologici, gli anziani non autosufficienti, le persone affette da AIDS e i malati psichiatrici[7].

A livello parrocchiale

La continua evoluzione della sanità, sempre più articolata sul territorio, interpella le comunità parrocchiali, chiamate a farsi carico della cura e assistenza dei malati, dell’educazione dei fedeli ai valori cristiani della vita e della loro sensibilizzazione ai problemi della salute, della sofferenza e della morte[8].

PROGRAMMA TRIENNALE DELLA CONSULTA 2007 – 20010 

La Consulta della pastorale della salute ha riflettuto su alcune tematiche che ha ritenuto fondamentali e necessarie per la pastorale della salute nella Diocesi di Padova:

  1. Una pastorale della salute integrata nella pastorale sanitaria

  2. La formazione

  3. La parrocchia, il territorio e la pastorale sanitaria

  4. La testimonianza della carità

  5. La sanità, intesa come servizio al cittadino è cambiata negli ultimi decenni ed avrà ulteriori modifiche. L’invecchiamento della popolazione, i costi sempre più alti ha modificato l’assistenza ospedaliera (sempre più contenuto il numero delle giornate di presenza; sempre più malati nel territorio).

A queste tematiche poi corrispondono adeguati progetti, alcuni sono già in via di attuazione altri attendono una maggiore ed adeguata riflessione da sottoporre all’attenzione e verifica dei componenti della Consulta stessa .

Riconoscendo la vastità e l’impegno di questi anni di un percorso innovativo di tutta l’azione pastorale della diocesi tutta, la Consulta della pastorale della salute sente l’urgenza e la necessità che anche la pastorale della salute sia parte integrante di questo percoso innovativo e sia tenuta in debita considerazione per l’apporto arricchente cui può contribuire sia per le urgenze che sempre più si manifestano in questo settore, quello della salute, e per quello che si va delineando nelle nostre comunità cristiane che sempre più devono farsi carico di situazioni nuove verso il mondo della sofferenza, dei disabili, degli anziani, e malati cronici.

Due sono gli aspetti che la Consulta desidera siano presa in considerazione: quello di una pastorale della salute sempre più integrata nella pastorale ordinaria ed di una visibilità maggiore e concreta nei piani programmatici della diocesi.

Si auspica quindi che questi temi e progetti siano fatte oggetto di attenta diligente riflessione da sottoporre alla valutazione e riflessione DEI COMPONENTI DELLA CONSULTA STESSA.

1. DA UNA PASTORALE SACRAMENTALE A UNA PASTORALE DI UMANIZZAZIONE ED EVANGELIZZAZIONE

Occorre prendere atto che le vie maestre per incontrare il malato sono l’umanizzazione e l’evangelizzazione. I sacramenti sono e rivestono un ruolo terapeutico e sanante quando sono in quadrati in una percorso razionale e spirituale e sono un punto d’arrivo più che di partenza nella pastorale.

Il primo requisito nella pastorale è quello di trasmettere umanità per essere presenza umana ed umanizzante.

Le linee di forza di un’azione evangelizzatrice consiste nel contribuire all’affermarsi di una cultura che promuova i valori della vita e nel catechizzare i sani aiutandoli a riflettere sul dono della salute e della realtà della sofferenza e della morte, parlandone nelle catechesi familiari; nei programmi formativi parrocchiali e diocesani e nei criteri socio sanitari per anziani e disabili.

La sfida sta nella formazione attraverso corsi, convegni, conferenze in vista di un accompagnamento più umano ed una adeguata informazione sul territorio e strutture ecclesiali e civili.

Oggi la pastorale della salute è chiamata a dare un contributo concreto sia all’evangelizzazione della cultura, perché sia sempre più intrisa di valori evangelici, sia alla formazione degli operatori sanitari perché nell’esercizio della propria professione, siano guidati da un etica che onora la dignità umana e la responsabilità.

2. DA UNA PASTORALE AUTONOMA AD UNA PASTORALE COORDINATA E ARMONIZZATA

La prassi di una pastorale isolata produce frammentazione e disgregazione con persone che di solito svolgono iniziative parallele senza comunicare tra di loro e competono per l’attenzione, il riconoscimento e il protagonismo. La Consulta desidera tanto che tutto questo veramente finisca una volta per sempre.

Oggi è prioritario educarsi a collaborare insieme per meglio servire il mondo della salute.

Vari sono gli organismi che intendono e lo fanno mettere in atto questo modo di fare pastorale:

  • Il Consiglio pastorale ospedaliero

  • La Cappellania mista

  • Le varie forme di coordinamento diocesano

La consulta stessa funge da organismo di raccordo e operatività dei rappresentanti delle diverse realtà che costituiscono la diocesi: volontariato, associazioni professionali cattoliche….associazioni di malati….istituzioni religiose….

Nella misura in cui queste diverse forze sono amalgamate creativamente la testimonianza della chiesa guadagna spessore e diventa profezia all’interno del mondo della salute.

La Consulta intende proporre iniziative che debbano trovare uniti per intenti e sforzi comuni le associazioni professionali cattoliche ed ecclesiali ed il volontariato, per il bene del mondo della salute.

3. DA UNA PASTORALE OSPEDALIERA AD UNA PASTORALE DELLA COMUNITA’

La situazione attuale del sistema sanitario sembra coinvolgere molto di più la comunità cristiana. L’ospedale si assumerà sempre più solo la fase critica o curativa, mentre i territorio la parte preventiva e riabilitativa.

La nuova situazione sta riversando sul territorio sempre più anziani, malati terminali e mentali con tutte le conseguenze .

Il coinvolgimento della comunità cristiana non viene attivato solo nel momento della crisi, ma attraverso un opera di educazione a monte che deve tradursi in progetti di catechesi e di formazione, che deve raggiungere non solo gli ammalati, gli operatori ma anche le famiglie, le istituzioni educative.

Un momento privilegiato per sensibilizzare la comunità cristiana oltre a quelli ordinari già accennati possono essere quella di organizzare dei Convegni diocesani su vasti temi della salute e della sanità aperti alla cittadinanza in occasioni particolari: giornata mondiale del malato…

4. DA UNA PASTORALE DELLA “COMPASSIONE” ALLA PASTORALE DELLA GIUSTIZIA

Senza nulla togliere al valore fondamentale e propulsore che riveste il termine evangelico della comprensione, posto nel testo del buon Samaritano, oggi appare più urgente che la chiesa si schieri con maggiore convinzione sul fronte profetico della giustizia.

La chiesa richiede lo sviluppo di un concetto globale di salute in stretto rapporto con la qualità della vita. Oggi, il desiderio di salute è al centro di complessi interessi economici e di vitale importanza che la giustizia si manifesti in un’equa distribuzione delle risorse disponibili evitando lo sperpero e l’idolatria dello stare bene nelle società opulenti, mentre si ignorano le necessità fondamentali delle nazioni che vivono nella miseria.

La Chiesa ha un ruolo profetico da svolgere e può diventare coscienza critica risvegliando le autorità sui problemi disattesi, sapendo incidere sulle legislazioni sanitarie, proponendo programmi concernenti l’etica e la salute.Alle numerose sfide presenti nel mondo della salute, la Chiesa risponde anzitutto con un messaggio di gioiosa speranza…di tale speranza vuole rendere ragione (1 Pt3,15) attraverso un dialogo rispettoso, un confronto onesto e una fattiva collaborazione…(Nota pastorale CEI, n.19).

5. DA UNA PASTORALE D’IMPROVVISAZIONE AD UNA PASTORALE DI PROGETTI

La Consulta è luogo di studio, di scambio di esperienze e di idee che favoriscono l’elaborazione e l’aggiornamento di progetti… Art.2…. per l’attuazione di specifici progetti che debbono rientrare nell’ambito della pastorale della salute diocesana.

Per passare da una pastorale d’improvvisazione ad una pastorale di progetti non è sufficiente affidarsi all’estro e buona volontà del soggetto. La chiesa oggi ha più bisogno della testimonianza di progetti che non di individui.

La complessità del mondo sanitario richiede risposte che si traducano in progetti: “Se i problemi del mondo sanitario sono vasti e complessi, insufficienti si dimostrano risposte parziali e disarticolate ed è necessario delineare un progetto unitario di pastorale della salute, disponendo l’intera comunità cristiana a tale tipo di rapporto (NOTA CEI, n.3).

Il progetto crea comunione, corresponsabilità dei credenti, stimola la creatività e il rinnovamento della comunità cristiana e si vive la missione rispondendo concretamente alle sfide del mondo della sanità.

Ricordiamo che i progetti, per essere efficaci devono incarnarsi nella realtà, offrire risposte realistiche ed innovative alla situazione presa in esame e seguire un impostazione valida dal punto di vista metodologico: dalla estemporaneità alla continuità e stabilità di presenza e proposte.

Per approfondire questa parte confronta: Pangrazzi A., Le sette vie, in “Il Regno”10 (1998), pp.351 – 360.

PROPOSTE PROGRAMMATE SUI CINQUE PUNTI DELLA RIFLESSIONE

La pastorale della salute sta movendosi verso impegni che richiedono appropriata preparazione per fare fronte alle sfide che sono poste alla coscienza dell’umanità e dei cristiani. Nell’intento di dare risposte ai nuovi bisogni che sorgono dal mondo della sofferenza e dal cuore dell’uomo contemporaneo; sono indicati alcuni in termini di FORMAZIONE.

FORMAZIONE – INFORMAZIONE

Tra le indicazioni di percorsi formativi alcune sono già operative o in fase di operatività.

  • Corso di Teologia Pastorale Sanitaria (Camillianum)

  • Corsi di formazione presso il Centro Camilliano Formazione a verona

  • Il corso annuale di Collevalenza per operatori pastorali (A.I. Pa. S).

  • Laboratorio sulla pastorale d’aiuto ed esperienze pastorali in ospedale della durata di un quadrimestre scolastico con i diaconi della diocesi

Un attività da riprendere in considerazione è il corso di “Umanizzazione della salute” iniziato in collaborazione con la Facoltà Teologica del triveneto e poi terminato per le poche adesioni. Sarebbe opportuno riprendere e ripensare questa importante esperienza formativa in un contesto di attività e proposte formative della facoltà del triveneto…

A livello cittadino o diocesano, comunque Convegni molto aperti su specifiche tematiche a livello universitario, zonale, vicariale.

  • Continuare l’esperienza del convegno di Novembre “La famiglia nell’esperienza della sofferenza”. Da riproporre in occasioni particolari: La Giornata del malato… Art.2 e Art.8.

  • Questi Convegni, oggetti della nostra riflessione, di quello che abbiamo da dire, insieme ad eventuali altre riflessioni e documenti possono diventare delle proposte per i Consigli Pastorali diocesani e presbiteriali; suggerimenti, indicazioni, attività da dovere inserire e tenere presente nel piano pastorale.

  • Incontri e corsi formativi a livello vicariale o di zona. Per creare una cultura e sensibilità nelle nostre comunità cristiane sui temi tanto importanti riguardanti la pastorale della salute

MINISTRI STRAORDINARI DELLA COMUNIONE

E’ un servizio che riveste un’importanza rilevante nella pastorale delle nostre parrocchie. Si auspica, in collaborazione con l’ufficio Liturgico una formazione e preparazione più completa ed attenta non solo all’aspetto liturgico ma anche alla capacità di avvicinare le persone sofferenti, in collaborazione con l’Ufficio Liturgico.

QUALI SONO I MEZZZI DI COMUNICAZIONE DA USARE

  • Mass- Media; Internet; Sito. In allestimento il nuovo sito

  • I Giornali; La difesa del Popolo…

  • Le Schede per raggiungere parrocchie, vicariati su progetti elaborati dalla Consulta

RIVEDERE IL LIBRETTTO “LA PASTORALE DELLA SALUTE IN PARROCCHIA

Cercando di inserire alcune schede aggiornate, lo statuto; anche questo rivisto, snellito di ripetizioni.

NB. Per evitare quello che è avvenuto con l’altra edizione è necessario prima di dare questo sussidio incontrare i vicariati e presentarlo.

FORMAZIONE DEGLI OPERATORI

All’interno dell’ospedale di Padova con il servizio di formazione ed ad all’ospedale di Este con la collaborazione dell’ACOS si sta lavorando per la formazione del personale in modo egregio con innumerevoli corsi di DRA (Dialogo e relazione di aiuto) ed anche per il volontariato.

Si stanno progettando dei gruppi di mutuo – aiuto, per persone che desidereranno elaborare i loro lutti….e per il sostegno al superamento del burnout

Si vogliono attivare CENTRI DI ASCOLTO.

  • Nelle parrocchie centri di ascolto che possono essere legati al gruppo salute della parrocchia…. da pensare….

  • Nell’ospedale invece CENTRI DI ASCOLTO, gestiti dal C.P.O. per vari settori e luoghi particolarmente delicati per le problematiche che possono avere…. Dovranno essere composti da esperti del settore (psicologi, assistente spirituale, volontari…) in stretta collaborazione con l’URP…

FORMAZIONE PERSONALE DEI COMPONENTI LA CONSULTA

Quelli già visti:

  • Il Camillianum e

  • Master Couseling professionale

  • Corso di umanizzazione della salute

  • Convegno di Collevalenza per operatori pastorali

  • Lettura: “Comunicare il vangelo in un mondo che cambia; la famosa NOTA CEI sulla pastorale della salute in italia; salvifici doloris; Novo millennio ineunte.La nuova nota Cei: “Predicate il vangelo e curate i malati”.

PUNTO 2

ASSOCIAZIONI ED AGGREGAZIONI ECCLESIALI

Nel più grande ed ampio rispetto dell’autonomia proponiamo momenti di condivisione ed auto – formazione, di incontri (uno o due al massimo all’anno) tra le varie associazioni presenti nella Consulta su temi ed interessi comuni .Uniti per elaborare e realizzare progetti comuni.

NON RIVENDICARE SPAZI MA OFFRIRE SERVIZI

PUNTO 3

GRUPPO SALUTE IN PARROCCHIA

“Ogni parrocchia, oltre ai sacerdoti dovrebbe avere un gruppo di operatori pastorali della salute in grado di promuovere un’attività concreta per i sofferenti. Tale gruppo non solo integra l’azione del parroco, ma può avvolte essere anche un canale di penetrazione in ambienti refrattari alla chiesa, una via di contatto con persone che altrimenti sarebbero escluse o dimenticate dalla comunità. Per questi operatori pastorali occorre prevedere una buona formazione umana e spirituale ed una specifica preparazione al ministero da farsi con corsi specifici da predisporre in sede vicariale o diocesana”. (Cfr; La pastorale della salute in parrocchia, Padova, 1995, 11 febbraio…)

 

CAPPELLANI E CAPPELLANIE

Ai nostri cappellani quali REFERENTI VICARIALI, è sempre più che mai necessario fornire in questo specifico settore pastorale (preti, diaconi, religiose, laici), adeguata e permanente formazione, individuando a tal fine mezzi e persone.

Alcuni elementi fondamentali per la qualifica di questo settore:

  • Formazione permanente

  • Creazione del C.P.O.

  • Sapere collaborare con i laici

  • Creare una cappellania mista

  • La collaborazione con i diaconi che nel loro ministero sono preposti alla carità.

  • E’ importante la presenza di tale ministero nell’assistenza ai fratelli malati nelle strutture ospedaliere e nelle parrocchie. Individuare con il rettore e il vicario generale una loro attiva collocazione in questo settore.

E’ necessario pensare ad un ordinamento per le cappellanie diocesane in cui questi aspetti pastorali ed altre più attinenti ad un servizio diocesano siano presi in seria considerazione per migliorare il servizio ai malati e la dignità e preparazione stessa dei cappellani.

(Perché in alcune o più situazione la residenza del cappellano ospedaliero non può trovare posto nella parrocchia stessa).

I vicariati

E’ fondamentale lavorare con i vicariati per le varie iniziative.

E’ stato fatta un’analisi della situazione nella nostra diocesi per quanto riguarda la pastorale della salute nelle nostre parrocchie. Da questa analisi trarremmo spunti per programmare:

  • Corsi formativi in loco

  • Convegni di zona

  • Individuare modalità varie per animare, stimolare e suscitare interesse, diminuendo timori e pregiudizi di un impegno delle comunità cristiane su progetti di una pastorale della salute.

  • Individuare, animare e formare dei referenti vicariale che tengano il collegamento tra la consulta e le varie realtà vicariali

PUNTO 4

La chiesa ha un ruolo profetico da svolgere e può diventare coscienza critica, risvegliando le autorità sui problemi disattesi, sapendo incidere sulle legislazione sanitarie, proponendo programmi concernenti l’etica e la salute.

Un impegno di questa consulta potrebbe essere quello di produrre un documento, una informazione periodica o meglio ancora un progetto in questo settore socio assistenziale in rapporto con gli orientamenti della Dottrina Sociale della chiesa in riferimento alla situazione di Padova, con le istanze e i bisogni sociali più rilevanti, per offrire un contributo di positiva critica e fattiva risposta della salvaguardia della tutela sanitaria nel segno della solidarietà.

Un impostazione di una riflessione mirata sul nuovo ruolo del territorio e delle cure assistenziali domiciliari e sulle possibili forme di coinvolgimento in essa della comunità ecclesiale.

PUNTO 5

Se tutto quello che è stato proposto e quello che si riuscirà a realizzare attraverso l’impegno di tutti e non rimarranno solo delle belle idee, ma si trasformeranno in veri e propri progetti è chiaro allora che sarà necessario per razionalizzare le forze e imparare a concretizzare la comunione tra di noi una certa organizzazione della consulta perché si possa svolgere un servizio adeguato alla nostra comunità diocesana. Dovrebbe in questo modo essere la consulta un momento di coagulo per le nuove iniziative, un punto di riferimento per i cappellani e le comunità cristiane, un motore per le innumerevoli attività di animazione pastorale in campo sanitario.

SUGGERIMENTI PER UNA ORGANIZZAZIONE DELLA CONSULTA

  • Tre o quattro incontri all’anno di organizzazione generale per un confronto e riscontro formativo ed organizzativo dei componenti le consulta

  • Vedere la possibilità ed l’utilità di costituire ancora delle commissioni all’interno della consulta

  • Funzionalità della segreteria. E’ questo un nodo importante se vogliamo che tutte le iniziative della consulta funzionino bene in modo efficace ed agevolmente. Il buon funzionamento della segreteria è fondamentale. Per questo oltre a coloro che hanno dato la loro disponibilità è necessaria sia un coordinatore generale ed un gruppo di persone tre o quattro disponibile a organizzare questo aspetto che a tutt’oggi è quasi inesistente. La segreteria è fondamentale.

  • Il sito della pastorale già in allestimento. Necessita di un coordinatore responsabile del sito, di un responsabile per il continuo aggiornamento e della collaborazione di tutti per l’invio di notizie documenti, corsi….

  • Un aiuto al delegato nel lavoro di coordinamento

  • Informazione costante dei rapporti istituzioni sanitarie e cittadino perché le nostre comunità possano essere adeguatamente informate.

  • Partecipazione e comunicazioni di esperienze, iniziative, durante le riunioni della consulta per una maggiore attenzione e sensibilità a tutte le realtà e bisogni del mondo della salute.

  • Collegamenti con i coordinamenti vicariali. Un responsabile

 


[1] COMMISSIONE EPISCOPALE DELLA CEI PER IL SERVIZIO DELLA CARITA’ E LA SALUTE, “Predicate il vangelo e curate i malati”.

[2] Idem, n. 59

[3] Idem, n. 60

[4] Idem, n. 61

[5] idem, n. 62

[6] Idem, n. 63

[7] Idem, n. 64

[8] «Nell’attenzione ai problemi del mondo della salute e nella cura ammirevole verso i malati, la comunità ecclesiale è coinvolta in tutte le sue componenti» (Consulta Nazionale della CEI per la pastorale della sanità, La pastorale della salute nella Chiesa italiana. Linee di pastorale sanitaria, 23: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 103). «L’assistenza amorevole agli ammalati raggiungerà più efficacemente il suo scopo, se si eviteranno facili deleghe a pochi individui o gruppi e se si organizzeranno sapientemente interventi della comunità» (Ibid., 24: “Notiziario della Conferenza Episcopale Italiana” 1989, 103). 

QUANDO LA SOFFERENZA BUSSA ALLA PORTA -

Sant'Ambrogio - La Basilica di Milano 

 La Basilica di Sant’Ambrogio – Milano

QUANDO LA SOFFERENZA BUSSA ALLA PORTA

  

A volte le famiglie sono messe a dura prova quando vengono colpite dalla malattia di un proprio caro.

I ritmi di vita subiscono stravolgimenti e le relazioni sono più tese

 Intervista a Mons. Piero  Cresseri, responsaile Caritas Diocesi di Milano

Luisa Bove

 

Come Pastorale della salute vi siete dati delle priorità?

Cresseri Mons. PieroSì, quest’anno vogliamo seguire il malato dimesso dall’ospedale che ritorna in famiglia. Questo infatti è un grande problema e stiamo valutando di promuovere una sinergia tra l’ospedale, le istituzioni pubbliche (assistenti sociali dei Comuni) e le parrocchie perché ci sembra urgente. Concretamente l’ospedale dovrebbe comunicare che un malato solo e anziano viene dimesso e farà ritorno a casa. Quando arriva la notizia l’assistente sociale del Comune dovrebbe attivarsi subito per le prime necessità e poi anche la parrocchia, in particolare una “rete” di volontari. Una volta questo non era necessario perché c’erano i vicini del cortile, ma ora occorre avere persone che vadano in casa, perché il malato potrebbe avere bisogno del pasto o di medicinali prescritti dall’ospedale e magari abita al quinto piano senza ascensore.In diocesi esistono anche esperienze per sostenere le famiglie?

Certo. Per esempio nella parrocchia di S. Ambrogio c’è una casa di accoglienza (tel. 02.72023315; www.casasantambrogio.it) per dare sollievo ai familiari ospitando in comunità per un soggiorno temporaneo gli anziani che di solito vengono seguiti dai loro cari. A volte infatti i parenti non ce la fanno a reggere. Inoltre viene offerta ospitalità anche a persone anziane sole che necessitano di un periodo di convalescenza protetta. Anche a Legnano esiste un’altra esperienza interessante: l’amministrazione ha messo a disposizione una casa che per accogliere persone per periodi brevi o a medio termine. Infine l’associazione “Seneca”, apartitica e aconfessionale, gestita da volontari offre assistenza domiciliare gratuita ad anziani e bisognosi che risiedono a Milano.

Se da una parte la medicina sta facendo passi da gigante, dall’altra l’Arcivescovo auspica «autentiche politiche della salute» cioè «non prigioniere di una prospettiva individualistica e con la preoccupazione prima del profitto»…

Intanto bisognerebbe cambiare il nome alle aziende ospedaliere, perché è improprio, se non uno scandalo. Di fronte ai problemi dell’economia nazionale si riducono al minimo le spese. Per l’esperienza che ho avuto ho notato che c’è difficoltà a mettere d’accordo il profitto dell’azienda ospedale con l’umanizzazione. La persona tante volte non viene messa al primo posto nonostante tutti i proclami, onestamente non ci siamo ancora arrivati. In questo momento storico gli ospedali si barcamenano per uscire il meno possibile dal budget che lo Stato o la Regione assegnano.

Il problema è serio, anche se dobbiamo dire che in Italia, rispetto ad altri Paesi, il sistema nazionale sanitario, che ha compiuto 30 anni, è sicuramente uno dei migliori. Però non si è ancora arrivati negli ospedali ad accogliere e ad avere un’attenzione adeguata alla dignità della persona. Siamo ancora lontani. Posso dire però che se nelle degenze la carenza è più forte, negli ambulatori e nei day hospital si sono fatti passi notevoli, non solo da parte del personale, ma anche di volontari. Una persona che deve sottoporsi alle chemioterapie riceve un’accoglienza dignitosa per il suo breve ricovero. Diventano importanti anche le piccole attenzioni come il tè, la musica per rasserenare, la stessa disposizione dei locali e delle suppellettili… su questi aspetti abbiamo insistito molto anche in ospedale.

A sostenere la fede e a garantire l’Eucaristia agli ammalati che lo richiedono, oltre ai sacerdoti ci sono anche i ministri straordinari, tanto raccomandati anche dall’Arcivescovo…

Come Servizio di pastorale sanitaria puntiamo molto sulla costituzione delle cappellanie composte non solo dal sacerdote, ma anche da religiose, diaconi e volontari. Questo permette di avere una comunità ospedaliera capace di affrontare tutti i problemi che sorgono. In particolare i ministri straordinari sono preziosissimi, specie per la difficoltà dei cappellani soli a raggiungere tutti i reparti, senza contare che molti non sono in ospedale a tempo pieno.

Il ministro straordinario che va tutti i giorni oppure il sabato, la domenica e durante le feste per incontrare il malato, fa anche da “ponte” con il sacerdote. E questo vale anche per il servizio nelle case. Io dico infatti ai parroci che devono aumentare il numero di questi ministri straordinari della Comunione ai malati. Poi è significativo farli andare dagli ammalati subito dopo la Comunione e non quando è finita la messa. È un segno bellissimo perché per loro la messa continua nelle case leggendo la Parola di Dio, recitando una preghiera, dando la Comunione e ascoltando il malato.

Luisa Bove

La malattia in famiglia

Medici al capezzale 01La famiglia ama e serve la vita anche nel promuovere la cura della salute e nel sostenere la prova della sofferenza. Considerando l’importanza della salute nella vita concreta di una famiglia, penso immediatamente alle innumerevoli situazioni di malattia e di sofferenza che incontro tra la gente. […]

Il bene della salute è prezioso e la sofferenza coinvolge subito, immediatamente, tutti coloro che vivono accanto al malato. A volte questo parlare è spontaneo, quasi un bisogno irresistibile del cuore; altre volte già l’affrontare la “questione malattia” costituisce una difficoltà, comporta una fatica, suscita un non lieve imbarazzo. È quanto normalmente avviene nelle nostre famiglie. […]

Medici al capezzale 02Quando è raggiunta dalla fragilità e dalla sofferenza, la famiglia in forza della sua soggettività sociale ha il diritto e il dovere, certo di portare il proprio necessario contributo, ma insieme anche di esigere dalla società delle autentiche politiche della salute, che pongano al primo posto il benessere della persona nel suo contesto familiare, non dunque politiche prigioniere di una prospettiva individualistica e con la preoccupazione prima del profitto. […] La famiglia quando incontra la realtà dolorosa della malattia viene messa duramente alla prova. È costretta a cambiare ritmi di vita e ad assumere nuove e gravi responsabilità. Muta la qualità delle relazioni, al suo interno anzitutto, e verso l’esterno. Penso in particolare ai molti modi con cui la sofferenza bussa alla porta di una famiglia e insieme dell’intera società. Anzitutto, la sofferenza di tanti anziani, spesso vissuta con grande dignità e con preoccupazione per non essere di peso agli altri; la malattia inattesa e grave, che in breve o brevissimo tempo rapisce alla vita e agli affetti un familiare, spesso giovane; la sofferenza di natura psichica, tutt’altro che rara nei nostri contesti che sottopongono le persone a stress, ad un vissuto che logora e non concede tregua; la sofferenza del diversamente abile e del lungodegente; quella dei piccoli, dei bambini, che in massimo grado ci interpellano sul “perché” e sul “senso” del dolore innocente.

 

Un corso in decanato

L’Ufficio diocesano di Pastorale sanitaria organizza nei decanati che lo richiedono il corso intitolato “La relazione, pastorale d’aiuto”. L’itinerario formativo prevede 10 serate oppure incontri il sabato con tempi e orari da concordare.

Il numero dei corsisti non dovrebbe superare le 20 unità anche per permettere di lavorare in gruppo. L’iniziativa è rivolta a operatori pastorali, ministri dell’Eucaristia, operatori sanitari e volontari.

Ogni decanato concorderà con gli organizzatori le modalità di svolgimento in base alle proprie esigenze. Per info: don Gian Maria Comolli (tel. 02.92416338 oppure gimacomo@msn.com).

Da www.chiesadimilano.it

03 – MALATTIA COME PROVA IN SANT’AMBROGIO – Luca Beato o.h.

Sant'Ambrogio vescovo

 

MALATTIA COME PROVA

IN SANT’AMBROGIO

 

Luca Beato o.h.

 

Fra Luca Beato o.h. teologoSant’Ambrogio paragona sovente la vita umana a una lotta. Bisogna lottare contro i nemici interni e contro i nemici esterni. I nemici interni all’uomo sono la carne e il sangue, cioè le sue passioni, come l’avarizia, la libidine, il timore, l’iracondia e l’ambizione, che tentano di smuovere il cristiano dal proposito del bene.

Nemico esterno all’uomo è il mondo. Il cristiano ha rinunciato ad esso e contro di lui deve lottare. Nostri avversari sono i piaceri di questo mondo con tutti i loro stimoli alla lussuria. Nemico dell’uomo è il principe di questo mondo e i suoi satelliti che hanno perseguitato Gesù Cristo fino alla croce.

 

LA VITA È UNA LOTTA CONTINUA

 

La lotta che il giusto deve sostenere contro l’avversario del genere umano consiste in definitiva nel superare le tentazioni. Ora il diavolo tenta l’uomo in due modi diversi: o mediante l’elargizione dei beni di questo mondo per spingerlo alla superbia, o mediante la sofferenza e la malattia per spingerlo alla ribellione contro Dio. La sopportazione della sofferenza e della malattia è vista da Ambrogio come una lotta in cui il giusto è impegnato contro il diavolo. La malattia, infatti, può essere considerata un assalto che il diavolo opera contro di noi con l’intenzione di rovinarci spiritualmente e di farci perdere la nostra anima.

 

Il pensiero di Sant’Ambrogio a questo riguardo va inquadrato nella spiritualità della “fuga dal mondo, la lotta condotta direttamente contro il diavolo, per riuscire a tornare al paradiso di Adamo”. Dice infatti che i quattro fiumi del Paradiso, che noi dobbiamo attraversare se vogliamo riuscire a ritornare in esso, sono la carne e il sangue, i principati e le potestà, i rettori delle tenebre di questo mondo, gli esseri spirituali e malvagi, che scorrazzano per l’aria, contro i quali noi dobbiamo combattere.

 

L’atleta di Cristo

Il giusto di fronte alla sofferenza deve essere come il soldato che affronta intrepido gli assalti del nemico; o come l’esperto nocchiero che nella tempesta affronta direttamente le onde, perché è il modo migliore per evitare il naufragio; o come il valoroso atleta che impegna nella lotta l’avversario, incurante della sua sofferenza.

 

Il cristiano è un atleta e Dio è il suo manager. È Dio, infatti, che pone i suoi atleti, cioè i giusti, nella lotta contro il diavolo e i demoni; è Lui che regola la difficoltà e il numero degli scontri adattandoli alla loro capacità; è Lui che dirige il combattimento; è Lui che alla fine premia i vincitori. Noi dobbiamo affrontare con fiducia questa lotta, perché anche se da soli siamo più deboli del diavolo, di fatto, dopo la redenzione operata da Gesù Cristo, siamo più forti di lui. Dio mobilita i suoi angeli in nostra difesa e Cristo stesso combatte con noi. L’atleta vibra i colpi, ma chi gli dà la capacità di colpire il bersaglio, che è invisibile, è solo Cristo.

 

La fortezza

L’atleta di Cristo deve mostrarsi forte in qualsiasi genere di afflizione. Nel suo amore totale a Cristo è capace di affrontare la persecuzione e la morte. Certo, ci sono diversi generi di fortezza. C’è la fortezza di carattere militare, del corpo e del braccio, che ha una grande importanza quando è unita alla giustizia: Sansone, Davide, Giuda e Gionata Maccabeo. C’è la fortezza dell’anima, la fortezza di coloro che per la fede affrontarono le fiere, il fuoco e la spada, e trionfarono su di esse. E qui egli cita i fratelli Maccabei e la loro madre, la vergine Agnese e il diacono Lorenzo. Ma accanto alla fortezza dei martiri, alla quale Ambrogio riserva un posto di grandissimo onore, c’è la fortezza di chi sa vincere se stesso; di chi per amore di Cristo raffrena l’ira, non si piega né cede agli allettamenti, non si turba nell’avversità, né si innalza nella prosperità, non è una banderuola che cambia direzione ad ogni soffiar di vento.

 

È la fortezza di chi sopporta le avversità, la sofferenza e la malattia, e non differisce affatto dalla fortezza dei martiri. Se, infatti, si vuole avere l’idea di una gradualità nei vari generi di sofferenza, si pensi a come il diavolo ha tentato Giobbe: prima con la perdita dei beni terreni, poi con la perdita dei figli e infine con la malattia.

 

La vittoria

La vittoria si può ottenere in due modi diversi: o con la guarigione, o con la sopportazione. La mentalità diffusa al tempo di Sant’Ambrogio era che tutte le malattie sono inflitte dal diavolo e dai demoni. Cristo nel Vangelo guarisce un vasto numero di malati. In alcuni si fa riferimento al diavolo espressamente, in altri non se ne parla, ma resta sottinteso. Cristo che con la sua potenza guarisce i malati, compie una vittoria sul diavolo che opprime l’uomo con la malattia.

 

Ma Gesù ha conferito ai suoi discepoli, continuatori della sua opera redentrice sulla terra, la pienezza dei suoi poteri. Così anch’essi possono scacciare i demoni e guarire le infermità mediante l’imposizione delle mani e l’invocazione del nome di Gesù. Questo complesso di poteri che Gesù Cristo ha conferito ai suoi discepoli è ordinato a scacciare il diavolo e i suoi satelliti non solo dall’anima, ma anche dal corpo dell’uomo redento: nel primo caso si tratta della remissione dei peccati mediante il Battesimo o la Penitenza.

 

Nel secondo caso si tratta di liberare il corpo dell’uomo da qualsiasi influsso diabolico: santificarlo con gli esorcismi e, quando è malato, ricorrere alle benedizioni e all’imposizione delle mani, al fine di ottenerne la guarigione. Il fatto che nella Chiesa primitiva si facesse largo uso di esorcismi sui malati, non significa che i cristiani misconoscessero il valore della medicina. Secondo Sant’Ambrogio è Dio stesso che ha dato alle erbe le qualità terapeutiche che posseggono. All’uomo spetta il compito di scoprire queste qualità e di metterle a profitto dell’umanità. Ambrogio stesso era un conoscitore di erbe mediche e le consigliava ai suoi fedeli al punto che qualcuno lo considerava un medico.

 

La vittoria si può riportare anche mediante la sopportazione. Non sempre è concesso al malato il recupero della salute, anche se non trascura alcun mezzo spirituale che la Chiesa gli offre. Dovrà dunque in questo caso ritenersi uno sconfitto dal diavolo? Il giusto, dice Ambrogio, per ottenere la vittoria non è necessario che recuperi la salute; se infatti sopporta la malattia con pazienza, ottiene una vittoria ancor più strepitosa, una vittoria di carattere spirituale. Infatti, il fine per cui il diavolo ci manda le malattie è quello di rovinarci spiritualmente. Perciò una vittoria spirituale sul maligno è molto più importante di una vittoria di carattere fisico. È anche più strepitosa in quanto la si coglie là dove lui meno se l’aspetta.

 

La prova

Dio sottopone il giusto alla prova allo scopo di poterlo approvare. La parola stessa “prova” per Ambrogio ha un senso pregnante, perché include l’approvazione da parte di Dio. Il giusto può sentirsi sicuro nella prova a cui Dio lo sottopone, prima di tutto perché Cristo, con la sua passione-morte e risurrezione ha vinto il diavolo e così ha dimostrato di essere superiore a tutte le forze celesti che potrebbero danneggiare l’uomo. Cristo le ha messe tutte sotto lo sgabello dei suoi piedi. Inoltre perché Dio ha messo a disposizione dell’uomo le schiere degli Angeli. Quindi l’uomo nella lotta si trova da una parte il diavolo e i demoni che lo stimolano a ribellarsi a Dio; e dall’altra parte si trova sorretto dagli angeli di Dio per restare fedele al Signore anche nella tribolazione, sapendo che è una prova che prelude alla premiazione.

 

Qualsiasi genere di tribolazione costituisce per l’uomo una tentazione, perché allora nel suo cuore si scatena la burrasca. In particolare sono tentazioni le persecuzioni, la sofferenza e la malattia. Queste tentazioni però mettono l’uomo nella condizione di diventare meritevole dell’approvazione di Dio. Che merito c’è ad essere fedeli a Dio nella prosperità e nella salute? Nulla di straordinario è lodare Dio quando tutto va bene; cosa veramente mirabile è lodare il Signore nelle avversità e nella malattia. Come è detto negli Atti degli Apostoli, al Regno di Dio si arriva attraverso molte tribolazioni. Stretta, infatti, è la via che conduce al Regno di Dio; larga invece è quella che conduce all’inferno.

 

È attraverso le sofferenze che arriviamo a conseguire il frutto della Redenzione: “Perché attraverso fatiche, tribolazioni e afflizioni si giunge al premio celeste; il pianto delle cose presenti viene compensato dalle cose future”. Ambrogio porta diversi esempi: il grano deve essere liberato dalla pula, l’oro deve essere purificato e liberato dal piombo. Giobbe e il povero Lazzaro che quaggiù hanno sofferto, hanno ricevuto in premio la corona dell’eterna gloria, mentre il ricco epulone è finito all’inferno. Quanto più grandi saranno le tribolazioni che avremo da sopportare quaggiù, tanto più grande sarà la nostra futura consolazione. Viene citata l’Apocalisse (21, 4): “Allora il Signore tergerà ogni lacrima dal volto dei suoi eletti, non ci sarà più morte, né lutto, né pianto, né dolore”.

 

Ambrogio, poi, riassume la dottrina di S. Paolo. Tutta la creazione è ora nel dolore e aspetta di conseguire quella letizia e quella gioia che seguirà alla redenzione dell’uomo (Rom 8, 20s). Anche noi gemiamo in attesa della redenzione del nostro corpo e sappiamo che “le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura”. Anche nel dolore, nella sofferenza e nella malattia, si manifesta la misericordia del Signore: se entriamo nel Regno dei Cieli non lo dobbiamo a noi stessi, ma alla bontà di Dio, il quale ci dà un premio di gran lunga superiore al nostro merito.

 

La speranza del premio

 

Ciò che sostiene l’uomo nella sofferenza e nella malattia è la speranza del premio, la speranza nella felicità eterna che si avrà quando sarà completata la redenzione del nostro corpo, cioè quando, all’avvento della redenzione finale, saremo gloriosi e immortali, e contempleremo Dio a faccia a faccia. Noi infatti attendiamo la vita eterna, il Regno di Dio, il consorzio con gli angeli. “Chi vuole superare le avversità come la persecuzione, il pericolo, la morte, la grave malattia, l’assalto dei ladroni, la confisca delle sue sostanze, tutto ciò che in questo mondo si considera avversità, deve tenere presente che queste cose si superano con facilità se si possiede la speranza che consola”. Se gli uomini si turbano in mezzo ai dolori di questo mondo, è perché le cose future vengono a tedio, quando le presenti fanno soffrire.

 

Chi poi non sa che Dio riserva un premio ai giusti, lungi dal trovare conforto nel dolore, ne rimane come oppresso e schiacciato. La speranza è la sola cosa capace di sollevare il nostro animo. Questa speranza di fatto esiste, ma perché possa operare in noi la consolazione, occorre che noi acquistiamo la sapienza, una conoscenza profonda delle cose sacre e specialmente di ciò che forma l’oggetto della nostra attesa. A questo scopo occorre meditare la legge del Signore.

La pazienza

 

La consapevolezza che esistono dei beni futuri, destinati a formare la nostra eterna consolazione, deve spingerci a portare pazienza nelle tribolazioni. Anche qui è Giobbe che ci viene proposto come esempio da imitare: “Considera ancora il Santo Giobbe, che era coperto di piaghe, era scosso in tutte le membra, era pieno di dolori in tutto il corpo, dissolveva le zolle della terra con il pus e l’umore delle sue piaghe… Egli nella sua malattia non rimase scosso né vacillò incerto nelle sue parole, perché in tutte quelle circostanze, non peccò con le sue labbra; anzi trovò in esse il sostegno della sua sofferenza, in forza della quale fu confermato in Cristo (Gb 2, 10).

 

Lungi da noi il pensiero che la sofferenza e la malattia siano un segno che Dio ci ha abbandonato o che noi ci siamo allontanati da Lui. Né la morte, né la spada, né la tribolazione ci possono separare dell’amore di Cristo (Rom 8, 35). Come Gesù Cristo, quando è venuto sulla terra per essere crocifisso, non ha cessato di essere unito al Padre celeste, così chi soffre non cessa per questo di mantenere la sua amicizia con Dio. Il saggio possiede forza d’animo e costanza, perciò, come non si inorgoglisce nella prosperità, così non si abbatte nelle avversità. Ma rimane perfettamente unito a Cristo, data la sua fermezza nella carità e nella fede. Questo è l’insegnamento di Gesù.

 

Purtroppo però sono pochi sulla terra a seguire l’insegnamento di Giobbe che, nella perdita dei beni e dei figlioli e poi nella grave malattia non si separò dalla carità di Cristo. È chiaro, quindi, che la sofferenza e la malattia hanno la possibilità di separarci dalla carità di Cristo: tutto dipende dal nostro atteggiamento. Dobbiamo dunque armarci di pazienza e pregare il Signore che ci aiuti perché non abbiamo a soccombere miseramente nelle tentazioni, nelle infermità e nelle tempeste che ci assalgono in questa vita, ma anzi abbiamo a uscirne vincitori.

 

L’approvazione

 

La tribolazione non colpisce tutti indistintamente, ma solo coloro che sono ritenuti capaci di sostenerla. Se, quindi, siamo colpiti da sofferenza o malattia, invece di scoraggiarci per il timore di non riuscire a sostenerla, dobbiamo disporre il nostro animo ad abbracciarla volentieri in vista dei grandi benefici che ci può procurare.

 

Riprendendo il pensiero di San Paolo, Ambrogio afferma che la tribolazione costituisce per l’uomo la sorgente di molte virtù. “Dalle tribolazioni deriva la pazienza, la pazienza produce l’approvazione nella quale si trova la speranza, della quale non restiamo confusi (Rom 5, 3-4). Altrove la disposizione progressiva di queste virtù è più minuta: alla tribolazione fa seguito l’umiltà, all’umiltà la pazienza, alla pazienza l’approvazione di Dio e all’approvazione di Dio la nostra consolazione.

 

La beatitudine

 

Poiché la sofferenza e la malattia, sopportate con pazienza, ci ottengono l’approvazione del Signore, il giusto trae motivo di gioia spirituale nella tribolazione che lo fa fisicamente soffrire. San Paolo, al quale Ambrogio attinge per intero il suo insegnamento su questo punto, era contento quando soffriva qualcosa per amore di Cristo (2Cor 12, 10). Imitano davvero San Paolo quelli che hanno scelto Gesù Cristo per la vita e per la morte. I giusti trovano motivo di gioia anche nella sofferenza, perché il loro modo di pensare è conforme a quello di Dio, e secondo il giudizio di Dio la beatitudine comincia là, dove secondo il giudizio degli uomini comuni, comincia l’infelicità. Non è di tutti, ma soltanto dei perfetti, non affliggersi nel dolore: questo è un dono che Gesù Cristo concede ai suoi fedeli. Egli infonde nella nostra anima la pace interiore, che supera ogni umano intendimento (Fil 4, 7), affinché non si turbi il nostro cuore e non si agiti il nostro animo. Perciò la vita del giusto non è mai inquieta come quella del malvagio, ma spiritualmente tranquilla. Egli è suo affectu beatus, cioè felice in forza del suo amore.

 

Secondo la Sacra scrittura, la beatitudine consiste nell’esser puri dal peccato, ripieni di innocenza e di grazia di Dio; consiste ancora nel possesso della sapienza, nel raggiungimento delle vette della virtù, nella gioia che deriva dalla retta coscienza, nella vittoria sulle passioni, nella sopportazione del dolore, e non nella salute fisica. L’uomo virtuoso è sempre felice, in qualunque situazione si venga a trovare. Dal momento che la sua felicità deriva dalla virtù, non aumenta con i beni del corpo e con i beni esterni, né diminuisce nell’avversità. Ma la beatitudine, la gioia dello spirito, fiorisce preferibilmente in mezzo al dolore. Basti pensare alle Beatitudini evangeliche, dove sono detti beati quelli che piangono. In esse è contenuta la parte più sublime della spiritualità del Cristianesimo.

 

Angeli e Demoni

Nella lotta per ottenere la beatitudine eterna, l’uomo ha come nemici il diavolo e i demoni, che fanno di tutto per farlo cadere; ma ha anche tanti amici: sono gli Angeli che Dio gli pone accanto per aiutarlo a superare la prova, ottenere l’approvazione e meritare il premio eterno.

 

Al tempo di Sant’Ambrogio l’angelologia e le demonologia erano molto sviluppate. Partono dalla Sacra Scrittura del Vecchio testamento, sono fortemente radicate nei Vangeli con Gesù che scaccia i demoni oppure è circondato dagli angeli, trovano una celebrazione epica nell’Apocalisse di San Giovanni e dei grandi propugnatori in Clemente Alessandrino e Origene e poi in Basilio, maestro di Ambrogio e via di seguito.

 

Questa pletora di angeli e demoni, all’indomani del Concilio Vaticano II, è stata messa in discussione. Diversi teologi hanno cominciato a parlare di “genere letterario” cioè a dire che questi esseri spirituali esistono solo nella mentalità della gente dei tempi passati. Gesù stesso si sarebbe adeguato alla mentalità popolare… Ma adesso è ora che la nostra mentalità moderna sgombri il terreno da questi esseri inventati dalla fantasia della gente ignorante.

 

Ricordiamo, anche per prendere coscienza che il problema è serio, che il Papa Paolo VI ha sentito il dovere di intervenire per affermare: “Il diavolo esiste”. Ed io stesso quando ho letto da qualche parte che non bisogna più pregare l’angelo custode, mi sono interiormente ribellato. La discussione è però aperta.

 

La Madonna e i Santi

 

Riguardo alla Madonna bisogna riconoscere che la dottrina di Sant’Ambrogio è genuina. Riconosce in Maria quello che le era stato attribuito nel Concilio di Efeso. Essa non solo è la Madre del Cristo (Christotokos), ma Madre del Verbo di Dio e quindi Madre di Dio (Theotokos). In Maria egli esalta la prontezza con cui ha detto sì all’angelo; ammira la sua maternità straordinaria e chiama in rassegna tutti i portenti operati da Dio nell’Antico testamento per dire che era nelle possibilità concrete di Dio realizzare una maternità verginale.

 

I Santi (allora erano solo i martiri) vengono ammirati ed esaltati per il loro eroismo nel versare il sangue per la fede in Cristo. Grandi elogi e lunghi discorsi ha fatto per la vergine e martire Agnese che ha dato la vita per Cristo in tenerissima età. Ma nel problema della sofferenza e malattia non sono mai chiamati in causa. Il malato nella lotta gode dell’aiuto di Dio e dei suoi angeli e basta.

 

Notiamo che diversi Padri Conciliari del Vaticano II e poi tanti teologi ci mettono in guardia dalle esagerazioni nella diffusione della devozione alla Madonna e ai Santi. Alla frase dei fanatici della devozione mariana: “De Maria nunquam satis = di Maria non si dice mai abbastanza” si risponde oggi con quella di un Padre Conciliare: “De Maria nunc est satis = di Maria adesso basta”. La Madonna e i Santi, dicono certi teologi, hanno sostituito nel Cristianesimo le varie divinità del paganesimo, reintroducendo l’Idolatria. Ciò sia detto solo come spunto di riflessione sulla spazzatura di certa religione devozionale. Con tutto il rispetto della dottrina della Chiesa.

02 – LA SOFFERENZA DEL GIUSTO – Luca Beato o.h.

  

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LA SOFFERENZA DEL GIUSTO

IN SANT’ AMBROGIO

 

Luca Beato o.h.

 

Fra Luca Beato o.h.-1La sofferenza, in qualunque forma colpisca l’essere umano, è già di per se uno scandalo. Sono molti i filosofi che si sono posti questo problema:

  • Perché Dio nella sua sapienza e potenza infinita ha creato un mondo in cui esiste il male e la sofferenza per l’uomo?

  • Non poteva creare un mondo migliore di questo?

  • E perché poi la vita umana è destinata alla morte?

  • Perché “nihil durare potest tempore perpetuo” come è scritto su una casa di Pompei dissepolta dalla cenere del Vesuvio?

 

Per i filosofi le risposte sono varie: c’è chi nega l’esistenza di Dio e attribuisce tutto al caso; chi concepisce Dio come un essere totalmente spirituale che non si mescola con le cose materiali, altrimenti sarebbe compromessa la sua felicità. Egli non ha creato il mondo e l’uomo direttamente, ma mediante un essere intermediario (il demiurgo secondo Platone). Ma poi ha abbandonato il mondo e l’uomo al loro destino e non si cura più di loro.

 

Nell’Antico Testamento, prime pagine della Genesi, c’è la narrazione della creazione del mondo e dell’uomo da parte di Dio, fatta così naturalmente e semplicemente, senza polemiche con altre religioni e correnti filosofiche che la pensano diversamente o che ricorrono a narrazioni mitologiche per spiegare l’origine del mondo e dell’uomo. Inoltre si fa una teodicea, cioè una difesa di Dio: Egli ha creato il mondo e l’uomo in condizioni ottimali. La sofferenza e la morte sono entrate nel mondo a causa dell’uomo perchè ha voluto emanciparsi da Dio. Solo in seguito al Concilio Vaticano II, gli esegeti, esperti della Bibbia, sono venuti a dirci che il mito di Adamo ed Eva è eziologico, ossia esplicativo della situazione esistenziale: vedendo la situazione di sofferenza in cui versa l’umanità, la Bibbia cerca di darne una spiegazione, assolvendo completamente Dio e gettando la colpa sul comportamento sbagliato dell’uomo.

 

Inoltre, aggiungono, il mito di Adamo ed Eva non riguarda solo loro due, intesi come persone singole, capostipiti di tutta l’umanità, ma riguarda ciascuno di noi, che siamo chiamati come loro, all’età della ragione, a fare la scelta del bene o del male. Nei libri dell’Esodo e del Deuteronomio si narra che Dio ha stretto un’Alleanza con il popolo ebreo, appena liberato dalla schiavitù dell’Egitto. Dio promette la sua protezione perché il popolo possieda una terra in cui vivere libero e felice. Però chiede al popolo l’impegno di osservare la Legge. Si stabilisce quindi la triade: Dio, il Popolo e la Terra. La protezione di Dio riguarda la vita presente. Solo tardivamente si apre la prospettiva chiara della vita futura (Libro dei Maccabei).

 

L’Alleanza-impegno sottende la convinzione che Dio premia i buoni e castiga i cattivi e per fare questo non aspetta il giorno del giudizio finale. Questa mentalità soggiace a qualsiasi religione, anche a quella cristiana: era viva al tempo di Sant’Ambrogio e resiste ancora adesso. Per questo motivo quando la gente vede un malvagio che viene punito o cade in disgrazia, o è vittima di un incidente, o è colpito da un brutto male, dice in cuor suo: “Ben gli sta”. Se invece qualche credente in Dio è colpito da disgrazie, malattie o è vittima di soprusi o di incidenti, eccetera gli viene spontaneo sbottare: “Che cosa ho fatto io di male perché Dio mi abbia a colpire così?” E le persone che lo conoscono e lo stimano per la vita impegnata che ha condotto, per le iniziative benefiche che ha realizzato, pensano che Dio sia ingiusto e ne restano scandalizzate.

 

La sofferenza del giusto

Se già la sofferenza esistente nel mondo fa scandalo, ancor più fa scandalo la sofferenza del giusto, sia essa dovuta a cause naturali, incontrollabili da parte dell’uomo, sia ancor più se è procurata dai malvagi nei confronti dei giusti. In questo caso poi grida vendetta al cospetto di Dio. Nel libro dell’Apocalisse i cristiani perseguitati invocano l’intervento di Dio che vendichi il sangue dei martiri versato per la fede in Cristo e giudichi l’umanità premiando i buoni e castigando i cattivi. E pregano Dio di fare in fretta perché non ne ce la fanno più a tollerare la situazione della prosperità dei persecutori

iniqui e la sofferenza dei giusti perseguitati.

 

Ma Dio dimostra di non avere alcuna fretta, la venuta di Cristo, quando già sembra imminente, viene rimandata un’infinità di volte… però alla fine Egli arriva con la sua potenza e la sua gloria a fare giustizia, sbaragliando i propri nemici e coinvolgendo i martiri nella sua gloria per sempre.

 

Al tempo di Sant’Ambrogio la medicina era quasi inesistente. Bisogna aspettare il 1800 per avere le prime scoperte scientifiche e quindi sapere che le malattie sono causate dai germi patogeni. A quei tempi si attribuiva la causa a Dio o, meglio ancora, agli spiriti malvagi. La cura delle malattie, per conseguenza, consisteva in una benedizione del Signore con invocazione di aiuto o, meglio e più di frequente, si praticava un esorcismo contro lo spirito maligno che si riteneva responsabile della malattia. Fino al Concilio Vaticano II tutte le benedizioni, contemplate nel Rituale in latino, per il pane, per la frutta, eccetera consistevano in un esorcismo volto a scacciare gli spiriti maligni capaci di procurare il mal di pancia o qualcosa di peggio.

 

Questa mentalità persiste nelle religioni animiste e feticiste esistenti, ancora adesso, in tante parti del mondo. I nostri missionari in Africa ne danno testimonianza: quando una persona si ammala si rivolge allo stregone guaritore. Quando però lo stregone si accorge che il malato sta per morire, solo allora permette che vada all’ospedale dei Fatebenefratelli, dicendo: “Prova i fetiches dei bianchi se magari hanno qualche potere superiore ai nostri fetiches”. Nelle malattie e nelle tribolazioni della vita si pensava subito a Dio, al diavolo, ai demoni, al peccato originale e

personale.

 

Sant’Ambrogio affronta direttamente il problema della sofferenza e malattia del giusto in diversi contesti: nella Expostio in Lucam; nel De officiis ministrorum; nella Interpellatio S.Iob II; nella Interpellatio David I. Per brevità ci limitiamo a considerare l’Interpellatio S.Iob II e l’Interpellatio David I. La sofferenza del giusto Giobbe Dio ha colpito Giobbe con molte disgrazie: la perdita degli averi, dei figlioli e della salute.

 

I tre amici che erano andati a consolarlo, interpretano questo fatto nel modo più ovvio e naturale: si tratta di un castigo di Dio. Giobbe non era un vero giusto; certamente doveva avere commesso qualche peccato nascosto; ma Dio, che vede tutto, l’aveva raggiunto con la sua vendetta e aveva fatto giustizia. (Notiamo che a quei tempi si dava molta importanza alle infrazioni dei tabù.

 

Per esempio, i sacerdoti che hanno toccato l’Arca, quando Davide ha tentato di portarla a Gerusalemme, volevano impedire che cadesse, ma siccome era loro proibito toccarla sono stati fulminati). Ma la realtà era diversa. Giobbe era davvero innocente, nei limiti, ben inteso, consentiti alla condizione umana, che è inferma e sotto il dominio del peccato.

 

  • Ma se Giobbe è innocente perché Dio gli ha mandato la malattia e la sofferenza?

  • Perché invece di mandare sofferenze e disgrazie ai peccatori, concede loro ogni sorta di beni?

 

È un dato di fatto che gli empi possiedono beni terreni. Ora – ci dice Ambrogio – il possesso di questi beni non è per se stesso un segno di benedizione da parte di Dio. Essi infatti sono beni soltanto apparenti, procurano affanni alla vita presente, terminano con la morte, non giovano a nulla per la vita futura. Non solo, ma si risolvono in male per chi li possiede. Le ricchezze infatti conducono alla superbia e alla dimenticanza di Dio. Ne abbiamo un classico esempio nella parabola del ricco epulone. Ciò si verifica perché gli empi, vedendosi impuniti, si convincono che Dio non veda le loro scelleratezze. Ma la prosperità degli empi durerà poco: ben presto arriverà il giudizio di Dio! E allora all’abbondanza farà seguito la miseria, alla gioia subentrerà il dolore. Dio infatti, cui nulla sfugge, non può ignorare i delitti commessi dagli empi.

 

Ai giusti invece il Signore riserva un altro trattamento: in questa vita li fa soffrire e poi nell’altra vita li premia. Così è stato per Giobbe. Una triplice lotta egli ha dovuto sostenere: la perdita del beni e dei figlioli, la dolorosa malattia e l’accusa ingiusta da parte degli amici. Ma il Signore l’ha aiutato nella lotta, l’ha dichiarato vincitore e l’ha premiato.

 

  • Ma perché il Signore riserva ai giusti la lotta?

  • Non farebbe meglio a premiarli anche quaggiù per la loro fedeltà?

 

La ragione sta nel fatto che Dio non premia se non colui che ha combattuto e vinto. La nostra vita terrena è il tempo della lotta: il giorno del giudizio il Signore dichiarerà i vincitori e li premierà. La soluzione dunque del problema della sofferenza del giusto sta nel fatto che il piano ordinato da Dio per la nostra salvezza è diverso dal nostro modo di pensare: noi guardiamo soltanto alla vita presente, mentre Dio guarda anche, anzi principalmente, alla vita futura. Alla luce dell’insegnamento divino

abbiamo:

 

La vita presente è un periodo di lotta: alla fine c’è il premio o il castigo.

I beni di questo mondo non sono veri beni, anzi finiscono col danneggiare chi li possiede.

Non si possono considerare felici gli empi, anche se godono grande prosperità, perché alla fine saranno puniti.

Non si deve considerare infelice il giusto che soffre, perché alla fine di questa vita sarà coronato.

 

Interpellatio David I

La vita di David, splendida nel suo insieme, ebbe diverse fasi di tribolazione: Saul cercava di ucciderlo per invidia e suo figlio Assalonne si era impadronito del regno e attentava alla sua vita. Davide si contristò – ci dice Ambrogio – al

vedere come i peccatori in questo mondo erano ricchi e fortunati, mentre egli, che aveva giustificato il suo cuore, si trovava immerso nell’afflizione e nel dolore.

 

In un primo tempo rimase scandalizzato per questo fatto e gli scappò detto: “Dunque invano io tenni puro il mio cuore e lavai tra gli innocenti le mie mani” (Sal 72,13). Ma poi, castigato e illuminato da Dio, capì come stavano la cose. Dio ha ordinato al bene di tutta l’umanità tutte le cose, anche quelle tristi e spiacevoli. Perciò egli esclama: “Quanto è buono il Dio d’Israele per i retti di cuore” (Sal72,2). Ma la bontà di Dio non va misurata in base ai successi che ci fa ottenere quaggiù, bensì in relazione ai beni futuri che tiene preparati per noi. Onde bisogna tenere presenti due principi:

 

  1. Chi riceve dei beni in questa vita, ha già la sua ricompensa”;

  2. Non può sperare il premio futuro se non chi ha lottato e fu provato da numerose ed aspre battaglie.

Le ricchezze che l’empio possiede quaggiù – afferma Ambrogio – sono dovute al caso. Ma questo modo di agire di Dio non è contro la divina Provvidenza. Dio elargisce la ricchezza, gli onori, i successi e le comodità del secolo agli empi perché non abbiano alcun motivo di scusa: non potranno dire di avere rubato per necessità o di essere stati meno devoti a causa di qualche acerbo dolore o lutto che li ha colpiti. Proprio mentre sono esaltati, vengono da Dio rigettati; viene tolta ogni scusa e preparata la pena. Nella prospertà essi dovrebbero riconoscere l’Autore e a Lui sottomettersi, invece lo abbandonano.

 

Ma la vendetta di Dio è severa e grande è la sua giustizia: raggiunge l’empio con una celerità incredibile. Con il sopraggiungere della morte gli empi si trovano spogli di tutto, perché nulla possono ottenere di nuovo e nulla possono portare con se delle cose di quaggiù. Con il giusto, invece, il Signore si dimostra sempre buono. Naturalmente Dio è buono con tutti. Gesù Cristo è il Salvatore di tutti, è venuto a salvare ciò che era perduto. Gesù infatti è venuto a guarire le nostre ferite, ma non tutti si lasciano curare. Perciò Gesù è buon medico soltanto per coloro che accettano le sue cure. Il giusto è colui che si lascia curare da Dio: se è colpito dalla sofferenza in questa vita, ne trae motivo di gioia interiore, sia che soffra giustamente, perché allora sconta la pena delle colpe commesse, sia che soffra ingiustamente, perché in tal caso sa di essere maggiormente gradito a Dio. La ricompensa futura, la gloria che Dio ci darà, è enormemente superiore in confronto alle sofferenze della vita presente. Ed è proprio attraverso la sofferenza che Dio ci rende degni di Lui, degni di essere annoverati tra i suoi figli. Così è stato anche per Giobbe e Davide.

 

In definitiva ciò che dà significato alla sofferenza del giusto è il fatto che Dio tiene preparato un premio di valore inestimabile; chi non considerasse il premio futuro, si sentirebbe affranto sotto il peso dei suoi dolori. Fu appunto considerando il premio della vita futura che David passò dal turbamento alla

gioia.

 

Osservazioni

 

Il modo di leggere la scrittura e di interpretarla, usato dai Padri della Chiesa è diversoda quello che usiamo noi. Essi trascuravano il senso letterale a vantaggio di quello spirituale. Per esempio, la soluzione del problema della sofferenza di Giobbe e di Davide si verifica nella vita presente, secondo la mentalità ebraica di quell’epoca. Ma per Ambrogio interessa che sia la soluzione finale, non importa se avviene quaggiù in terra o lassù nel cielo. Noi invece diamo importanza fondamentale al senso letterale, contestuale, vogliamo sapere come si sono svolti storicamente i fatti. Solo dopo, facciamo considerazioni spirituali. Non vogliamo castelli in aria.

 

Ci sorprende e ci disturba anche l’affermazione che “la distribuzione delle ricchezze è affidata al caso”. E la Provvidenza di Dio dove è andata a finire? Ambrogio dice che si concilia con essa. Noi pensiamo che le due cose sono irriducibili. Difatti, abbiamo detto all’inizio, che i filosofi che ammettono il caso affermano che Dio, geloso della sua felicità, si disinteressa della vita dell’uomo perché altrimenti soffrirebbe anche Lui.

Ambrogio afferma che è la grandezza del premio futuro, il motivo che sorregge i giusti nel sopportare la sofferenza e la malattia che li colpisce. Attualmente la Teologia rimprovera i cristiani che agiscono in questo modo, in

quanto sono ancora legati al calcolo giuridico del do ut des (ti do una cosa per ottenerne un’altra, magari guadagnandoci su qualcosa).

 

Qui viene ignorata completamente la dinamica dell’amore che agisce e da on gioia, senza aspettarsi un benchè minimo ritorno. Il cristiano è chiamato ad amare Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, anzi a ricambiare l’amore di Dio che ci precede, ci accompagna e ci attira verso di sé. Il vero cristiano, quindi, eviterebbe il male anche se l’Inferno non esistesse e fa il bene a prescindere dal premio, ma come una esigenza profonda della sua natura di figlio di Dio inserito nella grande famiglia degli uomini, chiamati ad essere figli nel Figlio.

 

 

Teologia della Malattia in S.Ambrogio - Luca Beato o.h.Fra Luca Beato o.h.

TEOLOGIA

DELLA MALATTIA

IN S.AMBROGIO, Torino, Marietti,

1968 (parte seconda).

 

 

Da “FATEBENEFRATELLI”  APRILE/GIUGNO 2009

PERCORSI DI PASTORALE SANITARIA – Luca Beato o.h.

 

MADONNA DELLA MISERICORDIA SAN GIOVANNI DI DIO E SAN GIACOMO APOSTOLO (DI GIOVANNI GOTTARDI).

 

Percorsi di pastorale sanitaria

 

 

Fra Luca Beato o.h.

Cappellano Centro S. Giovanni di Dio – IRCCS di Brescia

 

Fra Luca Beato o.h. teologoChi lavora in strutture sanitarie ed assistenziali sa quanto sia difficile coniugare il desiderio di realizzare una presenza pastorale che risponda alle esigenze globali della persona malata e l’effettiva possibilità di attuare nel quotidiano, con gesti e parole adeguate, un servizio di accompagnamento spirituale che sia di sostegno e speranza.

 

Le difficoltà sono di varia natura: il tempo che si rivela essere una risorsa sempre più limitata, la difficoltà a trovare persone interessate ad avere una formazione umanistica e valoriale, un’organizzazione del lavoro che privilegia attività tecniche ed assistenziali a scapito di momenti, pur brevi, per le relazioni interpersonali.

 

Nei centri ospedalieri ed assistenziali dei Fatebenefratelli, da anni, si tenta di ovviare a queste limitazioni con l’elaborazione di progetti pastorali, sia generali che per unità operativa, nella speranza che, col tempo, questa attenzione a tutti i bisogni del paziente si integri nelle pianificazioni e negli interventi di cura.

 

In questa rubrica, di volta in volta, presenteremo i progetti pastorali elaborati dai cappellani con i loro collaboratori sanitari che, motivati dalla fede, intendono offrire al paziente, anche un’assistenza spirituale. Sono progetti, a volte ben articolati, a volte più semplici, che partono dal valore di fede e del carisma dell’Ospitalità per formulare obiettivi, elaborare strategie e programmare attività che rendano tangibile il significato ed il servizio che il valore vuol richiamare.

 

In questo numero presentiamo il progetto pastorale del Centro S. Giovanni di Dio, IRCCS, di Brescia, elaborato per l’anno sociale 2003-2004.

 

PREMESSA

Il carattere confessionale cattolico dei centri dell’Ordine ospedaliero di S. Giovanni di Dio ha la sua ragion d’essere in sanità nel sia salute che salvezza ai loro assistiti.

 

“I nostri centri, sanitari e sociali, sono opera della Chiesa e pertanto la loro missione è di evangelizzare partendo dalla cura e dall’attenzione integrale ai malati e ai bisognosi, secondo lo stile di San Giovanni di Dio. Parlare di attenzione integrale implica l’occuparsi e il curare la dimensione spirituale della persona come una realtà essenziale, organicamente correlata con altre dimensioni dell’essere umano: biologica, psicologica e sociale (…). A tutti i malati e gli emarginati, nel rispetto e nella libertà, dobbiamo accostarci e occuparci delle loro necessità spirituali, senza alcun protagonismo e recando

loro ciò di cui hanno bisogno nella misura in cui possiamo farlo” (dalla Carta di Identità dell’Ordine, pagg. 95-96).

 

I principi ispiratori di questa attività pastorale, sia in ambito formativo che operativo, sono e restano i seguenti:

“Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi colpiti da mali di ogni genere li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva”(Lc 4,40).

In particolare, l’attenzione formativa ha cercato di rispondere al dettato del Vescovo di Brescia: “Il primo compito della nostra pastorale rimane perciò quello di preparare una comunità in grado di comunicare la fede in modo affascinante, quasi per contagio, e degli adulti capaci di rendere ragione della speranza che li abita” (Giulio Sanguineti, vescovo di Brescia, 4 luglio 2003).

 

FINALITÀ DEL PROGETTO PASTORALE

 

Il progetto pastorale di quest’anno vuole dare più spazio alla consapevolezza che ad ogni battezzato è richiesto di impegnarsi per servire e non per supplire.

 

La formazione di quest’anno punta su un aspetto particolare della pastorale sanitaria: la pastorale di guarigione. Essa si ispira al Vangelo di San Luca: Gesù Buon Samaritano chiama ognuno di noi ad essere come Lui con chi è nella sofferenza; instaurando il Regno di Dio a favore dei poveri e degli oppressi (vedi Beatitudini), vuole che ci impegniamo a favore dei tribolati; con la sua Risurrezione accende nel nostro cuore una speranza irriducibile (discepoli di Emmaus) capace di dare senso anche alla notte più buia del dolore e della morte per noi e per le persone affidate alle nostre cure.

 

Il progetto, che vuole inserirsi in un percorso istituzionale e diocesano, è presentato a:

 

  1. Segretario della pastorale sanitaria diocesana,

  2. Padre Provinciale,

  3. Definitore Provinciale della pastorale,

  4. Padre Priore,

  5. Coordinatore amministrativo,

  6. Referenti pastorali,

  7. Direttore sanitario, Primari, Coordinatori di reparto/comunità,

  8. Direttore scientifico e Segretario generale – IRCCS-Brescia,

 nell’intento di informare le figure apicali e gli interessati di quale servizio religioso si intende attuare per il paziente e di quale formazione necessita il collaboratore sanitario che lo intende svolgere.

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PRESENTAZIONE DEL CENTRO

 

Il Centro San Giovanni di Dio è un Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico che opera, in regime di accreditamento con il Servizio sanitario nazionale, nel rispetto dei principi e della filosofia che animano l’attività dei Fatebenefratelli incentrate sul carisma dell’Ospitalità. Oltre agli aspetti legati alla diagnosi, alla cura e alla riabilitazione delle persone con disturbi psichici e con demenza l’ospedale svolge attività di ricerca clinica in questi due settori specifici.

 

La missione del centro è sostanzialmente rappresentata dal curare non solo la malattia nel miglior modo possibile, ma tutta la persona malata nella sua globalità.

 

Organizzazione: il centro si articola nei settori assistenziali-riabilitativi sotto riportati:

 

01 – Unità operativa di riabilitazione psichiatrica:tre comunità protette da 20 posti ciascuna denominate Residence Pampuri; una Unità ospedaliera di recupero e rieducazione da 20 posti denominata Residence M. Bonari; una Unità operativa IDR da 20 posti denominata S. Raffaele.

 

02 – Unità operativa di riabilitazione per la malattia di Alzheimer: due Unità ospedaliere di recupero e rieducazione funzionale da 20 posti ciascuna; un Day Hospital – Centro per la memoria da 15 posti.

 

03 – Unità operativa di riabilitazione per disabili psichici – IDR: due Comunità protette per il ritardo mentale e sindrome da alterazione globale dello sviluppo psichico da 20 posti ciascuna denominate S. Giovanni Grande maschile e femminile; una Unità geriatrica per disabilità psicofisiche da 32 posti denominata San Benedetti Menni.

 

Fanno parte dell’istituto: un Centro diurno psichiatrico da 15 posti denominato l’Incontro; un Centro diurno geriatrico per 25 utenti denominato Fra Pietro Ghidini; un Centro diurno geriatrico per 15 utenti denominato Maria Cavalli Bendiscioli (Passirano – BS); un Servizio dedicato alle attività ambulatoriali per visite neurologiche, psichiatriche ed esecuzione di elettroencefalogrammi.

 

Il centro è anche la sede di numerosi gruppi di volontariato e di associazioni, del Comitato Etico delle Istituzioni Cattoliche – CEIOC, dell’Asilo notturno S.R. Pampuri per l’accoglienza di persone senza fissa dimora – 35 posti.

 

Queste le presenze presso il centro: 282 ospiti (212 degenti, 70 nei Centri diurni e Day Hospital); 376 collaboratori (326 operatori, 12 borsisti, 38 consulenti); 6 religiosi Fatebenefratelli; 4 suore; 3 gruppi di volontari con un totale di circa 80 persone compreso l’Asilo notturno; i famigliari, tranne rare eccezioni, ogni ospite ha un famigliare o una persona di riferimento.

 

Altre presenze: tirocinanti corso di laurea infermieri, psicologi, educatori, Stage formativi per OTA, OSS e studenti per visite didattiche/

documentative.

 

EQUIPE PASTORALE

 

È formata da:

 

Superiore locale

Cappellano

Comunità religiosa maschile

Comunità religiosa femminile

 

Vi sono poi i referenti di tutte le Unità Operative. Il servizio è completato e coadiuvato dai membri dell’ufficio della Pastorale provinciale.

 

SITUAZIONE RELIGIOSA

 

L’Istituto ha una pluriennale esperienza ed attività in campo ad iniziative pastorali e religiose, favorito dalla comunità religiosa dei Fatebenefratelli, dalla Congregazione delle Suore Francescane dei Sacri Cuori e dai vari collaboratori sensibili ai bisogni religiosi propri e degli ospiti.

 

Negli ultimi anni è emersa sempre più l’esigenza di passare da una pastorale per gli ospiti ad una pastorale con gli ospiti. Pertanto lo sforzo

graduale e faticoso è di realizzare iniziative di vario genere condivise il più possibile con i pazienti, nonché offrire ai collaboratori interni ed esterni quei sostegni spirituali, catechetici e liturgici atti a rendere portatore dei valori cristiani l’essere con gli ospiti.

 

Gli sforzi maggiori sono rivolti a:

- offrire opportunità formative agli operatori a livello relazionale, valoriale e religioso;

- offrire un accompagnamento pastorale adeguato agli ospiti del Centro;

- rendere i momenti di culto più vicini al vissuto ed al sentire degli ospiti.

LETTERA AL DIRETTORE su “EXTRA-Sanità in Lombardia n° 42 “ – Angelo Nocent

 

TEMPI - 16 OTTOBRE 2008

TEMPI – 16 Ottobre 2008

AL DIRETTORE RIVISTA “FATEBENEFRATELLI”

 

Caro Direttore,

questa volta sono costretto a scriverti a titolo strettamente personale, giacché non intendo coinvolgere l’Istituzione che rappresenti. Mi limiterò a riportare notizie che sono di cronaca, convinto che non è tempo perso fermarsi a riflettere. Avrai modo di verificare che, volutamente, al di là di qualche sottolineatura più marcata, mi limito alla constatazione, astenendomi dal prendere posizione. Tutto vorrei meno che far correre il rischio di essere frainteso difensore, “portavoce” di un incarico che nessuno mi ha affidato.

So di essermi dilungato oltre misura e perciò, se deciderai di pubblicare questa lettera aperta, affido alle tue forbici, ove occorresse per ragioni di spazio, di sfoltire sostituendo il testo mancante con i puntini di sospensione, nella speranza che l’operazione non produca un mutilato di guerra senza volto, ma un ponticello, ossia una provocazione di dialogo tra Chiesa e Istituzioni, più che uno sgradevole braccio di ferro fra le parti. Del resto, proprio CEI, Università Cattolica, Aris, Luiss Business School, hanno sentito l’esigenza di trovarsi a convegno il giugno scorso sul “No-profit dell’assistenza ospedaliera in Italia: riflessioni a trent’anni dalla legge 833/78”.

Si trattasse di un articolo, ti proporrei di titolarlo così: L’ Hospitalitas istituzionale a un bivio. ”Io speriamo che me la cavo”.

Scrivere di Ospitalità a te che hai appena pubblicato un libro, è come portare vasi a Samo. A me l’ “Ospitalità” suona sempre come concetto astratto che si materializza, per così dire, nel momento in cui me la sento scorrere nelle vene come carisma, dono “per l’utilità comune” (1 Cor 12,7), non tanto destinato alla santificazione della persona, ma al “servizio della comunità” (1Pt 4,10). E’ donato ad alcuni il carisma e non a tutti allo stesso modo. Lo scopo non è di dare lustro o prestigio o fama a chicchessia ma per la varietà e vitalità della Chiesa. E’ anche mia convinzione che, se il carisma viene istituzionalizzato, inaridisce. Perché non è il reparto di cura che è carismatico, ma lo sono io nel reparto.

Ironia della sorte! A restarne affascinato di tale carisma piovuto dal cielo è stato proprio lui, il Don Giussani, che nella vita si è occupato più di giovani e di università che di ospedali e malati. Solo che, improvvisamente, ha scoperto l’evolversi del carisma dell’ hospitalitas proprio nel movimento che ha animato, senza che lo avesse provocato con riflessioni che svilupperà solo successivamente e che ora sono raccolte nel volume: “Il miracolo dell’Ospitalita’”, Ed. Piemme, al quale rimando. Ma, si sa, non tutti credono ai miracoli ed anche i discepoli non sempre hanno la fede del fondatore e, quindi la capacità di leggere i contesti. Fa un certo effetto constatare che avvenga proprio nella politica sanitaria della Lombardia dove sono all’opera persone raggiunte e segnate dal quel grande educatore del nostro tempo che è stato il “ Don Gius”. Credimi: leggendo la programmazione sanitaria talvolta sono tentato di credere che vi sia in corso il perdurare di un “malinteso culturale” più che una volontà della politica di sopprimere e penalizzare le istituzioni religiose. In tal caso, andrebbe fatto ogni sforzo per dissipare le nubi che nocciono ad entrambi. Ma, per non inventarmi nulla o eccedere nel dire, è meglio che parlino i fatti.

La parola alla politica

TEMPI - 16 OTTOBRE 2008E’ il 16 Ottobre 2008. Passo dal giornalaio di Palazzo Pignano dove solitamente lascio la bicicletta. Acquisto Il Giornale perché di giovedì c’è TEMPI come allegato. Prendo la corriera, mi sistemo comodamente per la lettura, apro il n° 42 , più voluminoso perché accompagnato da un altro allegato: EXTRA-Sanità in Lombardia “. E’ su questo che mi concentro in prima battuta e, cosa insolita, non mi addormento. Sfoglio, divoro e, man mano che procedo, resto sempre più coinvolto.

L’Editoriale è del Presidente Roberto Formigoni. Un titolo suggestivo: “Più libertà di scelta. Più sicurezza sanitaria”. Al centro dell’argomentare – come sempre – c’è la “persona”. Sfoglio con interesse: “Ripensare la sanità a distanza di trent’anni dall’introduzione del Sistema Sanitario Nazionale significa pensare a un modello culturale nuovo, capace di rispondere alle mutate condizioni di vita che caratterizzano la società contemporanea e che ci impongono di guardare alla spesa sanitaria non più come a un costo da contenere, ma come a un investimento, oltre che per la salute, anche per lo sviluppo del nostro Paese”

Poi l’enunciazione di due principi irrevocabili:

  1. Libertà di scelta, innanzitutto.

  2. E il principio secondo cui un servizio di natura pubblica può essere garantito anche da un soggetto di diritto privato, oltre che dagli irrinunciabili meccanismi di controllo del sistema.

Fin qui tutto bene. Altri punti forza:

  1. Separazione tra enti che forniscono (le aziende ospedaliere) ed enti che acquistano (aziende sanitarie locali) le prestazioni sanitarie.

  2. Valorizzazione della professionalità degli operatori del settore

  3. Una sfida: “E’ questo il momento di gettare le fondamenta per un nuovo Welfare, realizzando appieno una logica di sussidiarietà che veda il contributo di soggetti responsabilmente attivi e garantisca pari opportunità durante l’intero ciclo di vita a tutti i componenti della società”.

Nelle pagine seguenti gli argomenti vengono ripresi e sviluppati. Ma cambia l’antifona e sono costretto a rileggermi più volte le opinioni sostenute che mi lasciano sempre più allibito. A pagina 8 un titolone ad effetto: “Il bilancio di una novità”. Prima di proseguire mi soffermo sulla foto di una bella suora “cappellona”, dalla divisa preconciliare. Quelli della mia età ricordano benissimo le suore di San Vincenzo, presenti in sanità, nelle carceri, nelle infermerie dell’esercito… Sulla foto, del viso, spuntano soltanto il naso e la bocca; il resto è nascosto dall’enorme copricapo. La suora, un pezzo di consacrata che nessuno oserebbe chiamare “suorina”, com’è di moda dopo il caso Eluana, accudisce una bambina che ha vicino a lei una grossa bambola con i boccoli d’oro. La microscopica didascalia della foto recita: “Anche nella sanità negli ultimi anni si è assistito a un fenomeno di concentrazione economica. I principali concorrenti del servizio pubblico ora sono i gruppi privati nazionali e le grandi fondazioni”.

Sulla destra della foto invece, virgolettato ed a caratteri cubitali il messaggio: “Fino a 10 anni fa, esistevano i centri di cura religiosi. Oggi [maggiormente evidenziato] NON PIU’”. L’articolista è Francesco Beretta che riferisce di una tavola rotonda costituita da

  • Luigi AMICONE (Direttore e Moderatore)

  • Carlo LUCCHINA (Direttore Generale Sanità Regione Lombardia)

  • Francesco BERETTA (Dir. Gen. A.O. Istituti Clinici di Perfezionamento)

  • Pasquale CANNATELLI (Dir.Gen. A.O. Niguarda)

  • Gabriele PELISSERO (Direttore Scientifico Irccs Policlinico San Matteo)

  • Costantino PASSERINO (Direttore Centrale Fondazione Maugeri).

Introduce il direttore di Tempi, Luigi Amicone, che spiega: “Da sempre il nostro giornale è molto attento a temi come l’educazione e la sanità. In genere il tema sanità risente purtroppo di un ritorno di ideologia, per cui il privato sembra “il male”.

Mentre leggo, mi si fa presente, visivo, il mendicante di Granada. Nella mente rivedo la figura di San Giovanni di Dio che sta sullo sfondo degli ultimi cinque secoli di storia, con i suoi discepoli sopravissuti a tante intemperie. Quella storia che conosco abbastanza, mi appare sempre più come una bella fiaba grottesca, da non raccontare più neppure ai nipotini perché parla di sofferenze patite e lenite, di frati questuanti, soccorritori di appestati, di feriti sui campi di battaglia, di malati psichici abbandonati ai loro destini. Chi sarà mai il Beato Olallo, di cui in questi giorni si è dovuta occupare perfino la stampa? E’ roba del passato il frate Cubano rimasto da solo sul campo, medicina dei poveri, a condividere lo stipendio d’infermiere, “facendosi tutto a tutti” ?

E visivo mi si fa pure il Giussani. L’espressione è quella di una foto che ne ritrae solo lo sguardo. Un Giussani pensoso…A meno che non si tratti di una proiezione della mia mente malata.

Ma riprendiamo la tavola rotonda. Com’è cambiato il settore sanitario? La risposta la fornisce il Direttore Generale degli Istituti Clinici di Perfezionamento, Dott. Francesco BERETTA: Dieci anni fa la realtà lombarda era diversa. Esisteva il settore pubblico e i privati convenzionati. Questi ultimi si dividevano essenzialmente fra istituzioni religiose, alcune fondazioni pubbliche, altre private e tante altre piccole realtà private”. Poi il cambiamento radicale. Oggi le istituzioni religiose sono quasi del tutto scomparse o svolgono attività marginale perché sono strutture che non riescono gestire al meglio le proprie realtà  sia per le dimensioni (piccole) che per mancanza di una vera mentalità e capacità imprenditoriale e manageriale e quindi sono spesso realtà economiche in perdita.

Anche le piccole strutture private sono pressoché scomparse, quasi sempre assorbite dai grandi gruppi privati. Restano così il pubblico, alcune grandi Fondazioni, per esempio il San Raffaele e la Fondazione Clinica del Lavoro, la Don Gnocchi e, appunto, i grandi gruppi privati (in Lombardia soprattutto il gruppo Rotelli e Humanitas), che sono in crescita.

La sanità privata oggi è anche un grande business coinvolto nel processo della globalizzazione. Questo elemento ha sicuramente modificato la modalità di erogazione e di gestione di queste strutture, ed esige una riflessione. Per esempio, sul fatto che un gruppo privato di livello nazionale non solo compra meglio, ma acquisisce meglio professionisti di elevata qualità nazionale e imposta l’organizzazione delle proprie strutture in modo moderno e con elevate tecnologie. Il sistema lombardo appare come  principio buono, tanto che altre regioni lo vogliono copiare. Penso che si possa lavorare su alcuni provvedimenti correttivi della Legge 31, senza però stravolgere la norma. Anzitutto perché la Lombardia è la Regione dove gli ospedali hanno i bilanci migliori e dove le persone si sentono assistite meglio. Un’osservazione, su cui chiedo una riflessione.

La realtà pubblica soffre del problema di non poter valorizzare al meglio i professionisti degli ospedali. Ce ne sono molti e bravissimi, ma non possiamo permetterci adeguate retribuzioni, così speso vediamo questi professionisti dover lasciare spesso l’ospedale per svolgere attività nel loro studio privato. D’altronde le varie riforme della sanità non consentono a noi direttori generali di premiare adeguatamente i nostri professionisti più bravi. Ci sono molti vincoli sulle assunzioni di personale, sulle remunerazioni differenziate anche per tutto il personale assistenziale che necessita di un ampio approfondimento“.

Tutto qui? Sì, tutto qui. Ma è sintomatico. E’ un bene che la sanità evolva. Non sarà certo una mia lettera a rallentarne il decorso. Ma s’accorgeranno “i poveri ricchi” del “nuovo Welfare”. Bisognerà dare molto peso ai propositi. Perché non basta la buona fede. La politica è sempre pronta a dichiarare la persona malata al centro dei suoi disegni. Scoccerebbe però che fosse semplicemente “l’oggetto del desiderio” di chi ha il fiuto degli affari. Perché, nei fatti, rischiamo un po’ tutti di finire nell’occhio del ciclone, travolti dalle esigenze del mercato, sul fronte del bussines. America docet. Sarò anche portatore di iella; epperò nelle cinquanta pagine di Tempi EXTRA, scritte da cattolici, non ho trovato la parola Dio. E passi. Ma nemmeno “viscere di misericordia”, o il termine “compassione”, modi diversi per dire hospitalitas. Perciò mi sia concessa almeno una perplessità: dove vogliono arrivare? Napoleone, la Massoneria, gli Anticlericali, ecc. s’incaricavano loro di centrifugare i religiosi dal mondo sanitario. Oggi che non è più necessario temere i discendenti di un passato, suonerebbe imbarazzante doversi guardare da quei cattolici che trovano le buone ragioni per far piazza pulita di una ingombrante “Chiesa del grembiule”. Non so se lo pensano. O se ho frainteso. Ma lo affermano senza mezzi termini: quelle dei frati e delle suore sono strutture che non riescono gestire al meglio le proprie realtà  sia per le dimensioni (piccole) che per mancanza di una vera mentalità e capacità imprenditoriale e manageriale e quindi sono spesso realtà economiche in perdita” (Francesco Beretta). Se rimango di stucco per simili affermazioni è perché gli istituti religiosi maschili e femminili, consapevoli dei limiti, da almeno vent’anni a questa parte, si sono circondati di laici, hanno chiamato ad amministrare proprio fior di professionisti supertitolati, il più delle volte cattolici. Mi domando: il carisma istituzionale è passato agli imprenditori? Me lo auguro.

Rinascenze – Rampollamenti – Dissecamenti

A ripetersi con una certa apprensione quell’ormai famoso ”io speriamo che me la cavo”, sono un po’ tutti gli istituti religiosi implicati nel socio-sanitario.

Mi sentirei di dire: “niente paura“. Che non significa subire gli eventi passivamente, delegando di buon grado allo Spirito Santo ma semplicemente che bisogna rimboccarsi le maniche e dialogare con Dio e con gli uomini. L’ho appreso tanti anni fa e mi torna sempre in mente quel motto molto energico di Don Primo Mazzolari che vorrei essere capace di mettere in pratica: “un uomo d’onore non lascia agli altri la pesante eredità dei suoi “adesso” traditi”.

 Nel lontano 1949 il compianto P. Gabriele Russotto o.h. nel volume “L’ORDINE OSPEDALIERO DI S. GIOVANNI DI DIO ” riportava e commentava un passo del Papini:

A tutte le decadenze corrispondono rinascenze; tutti i disseccamenti sono accompagnati da speranzosi rampollamenti“. (Giovanni Papini: Storia della Letteratura italiana (Firenze, 1937),vol.I, pag.121)

E aggiungeva: “Nel secolo XVI  germogliarono molte “rinascenze” e molti “speranzosi rampollamenti” nel campo teologico, morale e caritativo, come corrispondenze ad altrettante “decadenze” e “dissecamenti”.

Giovanni di Dio e il suo Ordine sono una di queste provvidenziali “rinascenze” e uno di questi vigorosi “rampollamenti” nel campo dell’assistenza sociale e della carità ospedaliera.

In questa modesta sintesi storica, rievocando la grande figura di Giovanni di Dio e l’opera caritativa svolta da lui e dal suo Ordine, sarà facile poter constatare che le “rinascenze” e i “rampollamenti”, suscitati dal “pazzo di Granata”, non finirono con lui e nei limiti, pur vasti, di un secolo, ma continuano ancora al ritmo progredito del nostro secolo, conciliando  sapientemente nova et vetera in caritate Christi“.

Quella del Russotto è un’autorevole voce ottimistica della tradizione che va ad aggiungersi al “niente paura” o al più colorito “io speriamo che me la cavo”. Di mezzo vi è una certezza assoluta che viene dal sigillo, che il segno sacramentale della cresima imprime indelebilmente:

 Ricevi il sigillo dello Spirito che ti è dato in dono” (Rituale Cresima).

 Nei testi biblici e nella letteratura patristica il sostantivo “sigillo” e il verbo sigillare sono connessi con il mistero dello Spirito Santo. Così le espressioni “donare lo Spirito” e “dono dello Spirito” si rifanno a testi biblici ai quali dobbiamo continuamente rifarci se non vogliamo che l’Ospitalità si trasformi in panacéa che si sposa con tutti i piatti come il prezzemolo. Alle tante possibili citazioni bibliche, mi limito a riferirne qualcuna: 

  • Alla conclusione del discorso di Pentecoste, Pietro, rispondendo alla domanda degli ascoltatori, dice: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo” (At 2,38).

  • Simon mago voleva comperare il “dono di Dio” con denaro (At 8,19-20) e Pietro lo minaccia di perdizione.

  • Di fronte alla discesa dello Spirito Santo sui pagani in casa di Cornelio, i fedeli circoncisi che erano venuti con Pietro si meravigliavano che anche sopra quelli “si effondesse il dono dello Spirito Santo” (At 10,45; 11,17).

  • A coloro che hanno ricevuto l’iniziazione cristiana, la lettera agli Ebrei dice: “Quelli che sono stati una volta illuminati (battezzati), che hanno gustato il dono celeste, sono diventati partecipi dello Spirito Santo” (Eb 6,4).

 

Nel colloquio con la Samaritana Gesù le dice: “Se tu conoscessi il dono di Dio” (Gv 4,10);questo dono viene poi espresso con l’immagine dell’acqua viva. Il significato dell’acqua viva è la rivelazione: lo Spirito mi fa penetrare la rivelazione nella coscienza di credente (Gv 7,37-39). Così è accaduto alla donna, miracolata da Gesù in modo inconsueto: le ha inculcato il desiderio: “Se tu conoscessi il dono di Dio”. E lei, progressivamente, si è aperta alla fede.

 

Noi la parola fede l’abbiamo sempre sulle labbra. Il Card. Martini, nel rammentarci che credere è una parola-chiave dell’esperienza cristiana, ci ricorda che spesso è parola abusata. Il Vangelo di Marco ci riferisce che “Gesù predicava il Vangelo di Dio e diceva: il tempo è  compiuto e il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al vangelo” (1,15).

L’Arcivescovo dice che il termine greco usato da Marco e tenendo presente anche il vocabolo ebraico che vi sottostà, andrebbe tradotto così: “Appoggiatevi al Vangelo, affidatevi al Vangelo“. E’ l’esperienza di Israele: di chi si affida , si appoggia su una roccia, di chi si sente saldo perché è appoggiato a qualcuno molto più forte di lui. Sembra facile ma è difficilissimi fidarsi veramente di qualcuno”.

 A me che scrivo, a te Direttore che leggi, la fede che qui, adesso, viene proposta è proprio questa: fidati del Vangelo! Affìdati, abbandònati, appòggiati all’iniziativa di Dio che  ti viene incontro nella persona di Gesù, il vivente nella Chiesa e nella storia. 

 

La politica? Non ci spaventi. Siamo chiamati a credere alla possibilità impossibile. Nei momenti in cui si sperimenta un senso d’impotenza, non va dimenticato l’atteggiamento che fu dei padri. Ma i religiosi, i laici, con i politici devono dialogare. Anch’essi hanno una mente, un cuore. E magari anche una proposta, solo apparentemente scomoda. L’essere indirizzati su una diversa rotta può anche voler dire “segno dei tempi”. Il rifiuto pregiudiziale non è nelle indicazioni dell’Apostolo Paolo che scrive: “Non ostacolate l’azione dello Spirito Santo. Non disprezzate chi profetizza: esaminate ogni cosa e tenete ciò che è buono”. 1Tess 5,19-20 . 

 Le parole che il teologo Won Balthasar ha rivolto a CL, nel richiamare il movimento, ha messo in guardia un po’ tutti: “Se il movimento [l’Ordine, la Congregazione n.d.r.] dovesse chiudersi in sé, contento di se stesso e dei suoi successi, si allontanerebbe dal suo programma, perderebbe anche ogni drammaticità che risulta proprio dal continuo, nostalgico sforzo di andare oltre se stesso. Accontentarsi significherebbe essere arrivati, significherebbe riposo; ma questo riposo equivarrebbe alla morte“.

 

Per ora, a dar man forte è giunto l’ appello di Mons. Giuseppe Bertori, Segretario Generale della CEI: “Sanità cattolica: un patrimonio che va tutelato… E’ apprezzata dai cittadini, ma non ha i giusti riconoscimenti delle Regioni”. E’ già qualcosa. Poi si vedrà. Auspico che la Comunità Ospedaliera cui appartieni, assuma un impegno: “aiutare la politica ad aiutare”, conciliando “nova et vetera in caritate Christi”, come suggeriva il Padre Russotto.

 

Tuo affezionatissimo

Angelo Nocent

Da “Fatebenefratelli” - Genn/Mar 2009 

 

01 – SOFFERENZA E MALATTIA IN SANT’AMBROGIO – Luca Beato o.h.

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SOFFERENZA E MALATTIA

 

IN SANT’AMBROGIO

 

 

Luca Beato o.h.

 

Fra Luca Beato o.h.-1Per er un approccio valido ed appropriato al pensiero di S. Ambrogio, come pure degli altri Padri della Chiesa sulla sofferenza e la malattia, occorre fare alcune considerazioni previe. A questo proposito dobbiamo ringraziare “l’aggiornamento” del pensiero cristiano operato dal Concilio Vaticano II. Questo aggiornamento, è cosa risaputa, fu eseguito con il criterio del “ritorno

alle origini del Cristianesimo” per liberare l’insegnamento della Chiesa da tutte le incrostazioni che l’avevano deteriorato nei secoli precedenti. Queste incrostazioni non si sono verificate soltanto nel Medioevo, come pensano tanti, ma sono cominciate quasi subito nel processo di inculturazione del pensiero cristiano, proveniente dall’Ebraismo, con la cultura e la filosofia dominate nell’Impero Romano, di estrazione greca.

 

Questo processo è avvenuto in buona fede, come tentativo ritenuto non soltanto utile ma necessario per far accettare il cristianesimo alle persone intellettuali di quel tempo. L’impiego della filosofia greca venne iniziato ad Alessandria d’Egitto, divenuta la capitale della cultura greca, dopo la conquista della Grecia da parte dei Romani, per opera di due grandi intellettuali cristiani Clemente e Origene.

 

Essi vedevano che molte cose, specialmente nel campo della morale, erano comuni sia ai Greci che ai Cristiani. Essi davano la spiegazione di ciò dicendo che i Filosofi dipendevano dalla Sacra Scrittura. Tra le varie correnti filosofiche ha prevalso il Neoplatonismo e lo Stoicismo. Il pensiero dei Padri Alessandrini passa ai Padri greci e arriva a Basilio Magno. Con Ambrogio, che fa da ponte tra l’Oriente e l’Occidente, il pensiero di Basilio arriva anche ad Agostino e ai Padri posteriori.

 

Dio e mondo materiale

Sia nell’Ebraismo, che nella Chiesa primitiva, si afferma che Dio ha creato il mondo, che il mondo è buono, altrimenti Dio non l’avrebbe creato; che l’incarnazione di Cristo è vera e non apparente. Nella Filosofia Neoplatonica il contrasto irriducibile tra Spirito e Materia rende impossibile che Dio crei il mondo materiale. Si introduce un Essere intermediario, detto Demiurgo.

 

L’evangelista Giovanni introduce nel pensiero cristiano una novità. Egli afferma che la creazione è opera del Logos, il Verbo di Dio. Partendo da qui, i Padri alessandrini trovano una consonanza tra la Filosofia Neoplatonica e il Cristianesimo. Così portano avanti il discorso dell’opposizione tra Spirito e Materia, tra Dio e il mondo, tra i beni spirituali e quelli materiali, introducendo una svalutazione dei beni terreni e vedendo in essi addirittura un ostacolo terribile al raggiungimento dei beni celesti. Dietro i beni terreni, infatti, fa sempre capolino il Diavolo con le sue tentazioni per far cadere l’uomo nel peccato. Viene coniata una serie di coppie di termini opposti presi dalla natura delle cose e li si carica di un significato morale positivo o negativo in se stessi: Dio- mondo, Cielo – terra, Spirito – materia, Divino – umano, eterno – temporale, carne – spirito, razionale – irrazionale, interiore – esteriore, corruttibile – incorruttibile…

 

Anima e corpo

 

Nei tempi recenti è entrato in uso il termine “olistico” per indicare l’unità del composto umano. La Redenzione di Cristo è olistica nel senso che non riguarda solo l’anima, ma anche il corpo. L’Ospitalità, ossia la cura dei malati, deve essere olistica cioè non limitarsi solo al corpo, perché la persona malata porta dentro di sé una grande sofferenza per i problemi che le si parano davanti riguardo la salute, la vita, il lavoro, la famiglia, il futuro…

 

Anche il pensiero ebraico-cristiano era così. Il “corpo” esprime tutta la persona sottolineando l’aspetto esteriore, visibile; “l’anima” esprime tutta la persona sottolineando l’aspetto spirituale e invisibile. Ma nei Padri della Chiesa non è così. La filosofia neoplatonica, di cui è imbevuto il loro pensiero, li porta a sottolineare l’antitesi che c’è nell’uomo tra i due elementi che lo compongono: il corpo e l’anima. Tra di loro c’è una lotta continua ed irriducibile. L’elemento carnale cerca di portare l’anima a peccare, con l’ambizione del potere, con la cupidigia, ossia la ricerca smodata dei beni terreni e l’attaccamento al denaro e con l’appetito insaziabile del piacere, specialmente quello sessuale. “Ecco quali sono le fragilità della carne: si lascia vincere dal timore, infiammare dalle cupidigie, rammollire dalla lussuria, snervare dai piaceri, infuocare dalle febbri, affliggere dal dolore, costernare dalle difficoltà”.

 

Per di più in questi settori interviene il Diavolo a tentare l’uomo per farlo cadere nel peccato, come ha fatto con i nostri progenitori. L’anima, detta anche “mens” nella parte superiore, per se è buona, ma può essere trascinata al male dal corpo con i suoi istinti peccaminosi. Il corpo, quindi, è un peso per l’anima, un carcere, da cui essa cerca di liberarsi.

 

Il corpo non è soltanto il vestito dell’anima, ma è un peso sotto il quale l’anima geme, un ergastolo, qualcosa che tiene l’anima prigioniera e la rende facile preda delle tentazioni, è un gurgustium luxuriae, è fango che lorda l’anima; è il nemico dal quale l’anima deve stare in guardia”.

 

La Redenzione di Cristo ha procurato ai credenti il dono dello Spirito Santo, il quale con la sua forza spirituale viene a rafforzare l’anima per il dominio del corpo. Ci sono dei passi, un po’ pochi, per la verità, in cui in cui si parla della lotta dell’anima contro il corpo non per distruggerlo ma per elevarlo. “Venne il Figlio di Dio, mise il suo spirito nei nostri cuori, siamo divenuti spirituali”.

 

L’anima del giusto usa del suo corpo come di uno strumento per compiere il bene, per praticare la virtù”. Ma anche nei credenti non cessa questa tensioni tra l’anima con le sue aspirazioni spirituali e il corpo con i suoi appetiti peccaminosi.

 

La vera liberazione dell’anima dal corpo avviene solo con la morte. Nella resurrezione finale l’anima riprenderà il suo corpo purificato e glorificato e vivrà con esso in armonia perfetta.

 

Fuga del mondo e ritorno in Paradiso

 

Il Concilio Vaticano II, rifacendosi al Cristianesimo originario, ha valorizzato la figura di Gesù Cristo in quanto uomo, impegnato nella predicazione del Regno di Dio ed nella liberazione dell’uomo da ogni forma di schiavitù e di sofferenza. Ed ha aggiunto che i Cristiani devono continuare nel mondo l’opera iniziata da Gesù per la trasformazione del mondo. Essi, resi nuove creature dallo Spirito Santo, costituiscono il nuovo popolo di Dio che deve dar vita a un mondo nuovo mediante la pratica della giustizia, dell’amore fraterno e della solidarietà verso i poveri, i malati e gli oppressi. Ha anche rimproverato i cristiani come colpevoli del “peccato di omissione” e ha detto ai monaci e monache di Clausura che non devono pensare solo alla salvezza delle loro anime, ma devono dedicarsi ai laici secondo il proprio carisma: insegnare a pregare: fare orsi di esercizi, conferenze, raduni di carattere spirituale, scrivere libri per loro, ecc.

 

Invece, Sant’Ambrogio, come gli altri Padri della Chiesa, sotto l’influsso della Filosofia neoplatonica, esaspera la tensione del dualismo: spirito – materia e arriva al disprezzo di questo mondo materiale. Ambrogio ha scritto anche un libro sulla fuga del mondo “De fuga saeculi”. Il pensiero a questo riguardo ha influito in maniera determinante sullo stile di vita dei cristiani fino al Concilio Vaticano II, per cui merita un approfondimento. La fuga dal mondo è la via della redenzione fatta a ritroso del cammino fatto da Adamo a causa del peccato. Adamo prima del peccato era una creatura celeste e quindi abitava nel Paradiso celeste, al terzo cielo, luogo adatto per le persone sante e gli angeli fedeli a Dio. In seguito al peccato fu fatto precipitare sulla terra che è un luogo materiale, degna abitazione degli uomini terrestri e del diavolo con i suoi demoni, che stimolano continuamente gli uomini, mediante le tentazioni, a compiere il male. La fuga dal mondo avviene mediante la lotta contro il diavolo ed ha come traguardo il ritorno al Paradiso di Adamo.

Il luogo più datto per lottare contro il diavolo direttamente ed uscirne vittoriosi è il deserto. Anche Gesù nel deserto ha affrontato il diavolo direttamente e l’ha sconfitto. Per i cristiani il deserto è il monastero. Mentre l’ideale di vita cristiana all’inizio del cristianesimo era il martire che dava la vita per la fedeltà a Cristo, ora è il monaco. Chi tirerà le estreme conseguenze negative, specialmente riguardo l’esercizio della sessualità tra i coniugi,sarà Sant’Agostino, che risente della dottrina eretica dei Manichei, tra i quali aveva militato dieci anni. Al tempo di Sant’Ambrogio il monachesimo si era ben organizzato in Oriente per opera di S. Basilio.

 Esso era diffuso anche in Occidente, però bisognerà aspettare S. Benedetto per avere un monachesimo ben ordinato sotto una buona regola. La lotta contro il diavolo, specialmente nel monastero, si fa mediante l’ascetica, ossia le opere di penitenza, in particolare l’astinenza dalle carni e il digiuno. L’ascetica favorisce la mistica in base al principio che tutto ciò che diminuisce le forze del corpo aumenta le forze dell’anima, favorendo la preghiera, la meditazione e la contemplazione. In questa maniera avviene una elevazione mistica (spirituale, misteriosa, ma reale) che ci porta a vivere nella fedeltà al Signore come i nostri progenitori, una specie di ritorno alle origini, al Paradiso di Adamo.

 

Anche riguardo al Paradiso il nostro pensiero non è quello di Sant’Ambrogio e dei Padri. Il nostro Paradiso corrisponde non al terzo cielo, ma al Regno dei cieli, che si trova collocato nella zona che va dal quarto al settimo cielo. Dio non abita nel Regno dei cieli, ma sopra la volta del cielo, al di sopra di tutto e di tutti. I primi due cieli sono corruttibili. Tra questi e il terzo cielo c’è una barriera di fuoco, che tutti gli uomini devono attraversare per passare al terzo cielo e oltre, anche il Cristo uomo. La rapidità o lentezza del passaggio è legata al grado di santità. Si va dall’attimo infinitesimale di Gesù al tempo quasi interminabile dei grandi peccatori pentiti all’ultimo minuto.

 

Salute e salvezza

 

L’uomo possiede tre categorie di beni: beni dell’anima, beni del corpo e beni esterni. La salute, come la forza e la bellezza appartiene ai beni del corpo. Essa è dunque, più preziosa delle ricchezza, dei poteri, della Patria, dell’amicizia e della gloria, che sono beni esterni. La salute, la giovinezza e il dono dei figli costituiscono per l’uomo un motivo di gioia vera e profonda, e fanno da contrappeso alla tristezza che la malattia, la perdita prematura dei figli e la vecchiaia comportano. La salute, come la ricchezza, è un bene che ci proviene da Dio: dobbiamo dunque ringraziarlo di questi doni. La salute, la bellezza, l’agilità, le ricchezze, la gloria e la nobiltà della stirpe sono dei beni importanti che mostrano la bontà della natura umana. La salute è il più importante di questi beni e il giusto gode di essa. Per riacquistare la salute perduta l’uomo è disposto a fare qualsiasi sacrificio. Ne abbiamo un esempio nella emorroissa, di cui si parla nel Vangelo di S. Luca, che spese tutti i suoi beni in medici e medicine.

 

Ma al di sopra dei beni esterni e di quelli del corpo, stanno i beni dell’anima. Il giusto, infatti, è pronto a rinunciare alla salute ed anche alla vita per Cristo. Ma anche al di fuori del martirio, cioè nella sua vita quotidiana, il giusto ha sempre di mira il raggiungimento della perfezione spirituale e giudica il valore delle cose terrene in relazione alla vita futura. Ora, in questa prospettiva, i beni di questa terra presentano più svantaggi che vantaggi; essi sono laccio, visco, nodo, chiodo per le nostre anime. Le ricchezze finiscono col danneggiare chi le possiede; la prosperità materiale conduce alla superbia e alla dimenticanza di Dio. La bellezza e la grazia del corpo traggono al peccato più della deformità. La giovinezza è l’età in cui gli uomini più facilmente peccano e se ne vantano. Quando il corpo è ben pasciuto, più facilmente sentiamo gli stimoli della carne.

 

La salute fa parte di quel complesso di beni che concorrono a formare la prosperità che porta facilmente al peccato e perciò rappresenta un costante pericolo per l’anima nostra. Nella parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, da una parte abbiamo ricchezza, salute e malvagità e dall’altra povertà, malattia e vita virtuosa. Ambrogio, quindi, è perfettamente convinto che la felicità vera si trova soprattutto nei dolori.

 

Sofferenza e salvezza

S. Ambrogio non è così fanatico da dimenticare che la sofferenza, la malattia e la vecchiaia, dal punto di vista naturale, sono un male e costituiscono un impaccio, un impedimento per lo svolgimento di una vita normale. Bisogna tenere conto, però, che gli scritti che abbiamo sulla salute e sulla malattia non sono trattati neutri e obbiettivi, ma sono il risultato scritto di esortazioni spirituali fatte ai suoi fedeli per aiutarli a vincere le tentazioni del peccato e progredire nella via della perfezione evangelica. Lo scopo che si prefigge di raggiungere condiziona la sua valutazione dei beni e dei mali che accompagnano la vita umana. Sia nel Vecchio che nel Nuovo testamento si parla di malati e di guarigioni, specialmente nel Vangelo di San Luca, che egli ha commentato egregiamente.

Ma egli non si ferma mai a considerare le guarigioni operate da Gesù come risposta della bontà di Gesù a un bisogno dell’uomo, un rimedio a una malattia e a una sofferenza naturale. Egli passa subito alla interpretazione di carattere allegorico-spirituale del Vangelo secondo l’usanza del suo tempo. Ed allora gli viene buona l’affermazione di San Paolo (2 Cor 12,9 ) “Virus in infirmitate perficitur” e ne fa un principio fondamentale della vita spirituale. Cristo non volle liberare Paolo, che amava grandemente, dall’infermità della carne e gli disse: “Ti basta la mia grazia perché la virtù siperfeziona nell’infermità”. E Paolo si compiace nelle sue infermità perché è convinto di questo: “Quando sono infermo, allora sono forte”.

 Ad avvalorare la sua tesi Ambrogio fa rilevare che esiste la legge del contrappasso: chi gode in questa vita soffrirà nella vita futura e chi invece soffre nella vita presente godrà con il Signore nella vita eterna. E porta porta l’esempio del ricco gaudente e del povero Lazzaro. Il ricco gode, si compiace di ciò che possiede, insolentisce contro il povero e si dimentica di Dio: sarà giustamente punito nel fuoco eterno. Il povero Lazzaro, con la sua povertà, con le sue piaghe, si mantiene nell’umiltà e nella fiducia nel Signore, il quale lo ricompensa con la felicità eterna. E così sia arriva a certe affermazioni, che ci lasciano stupiti se non inorriditi: 

  • È meglio essere poveri che ricchi.

  • È meglio essere brutti che belli.

  • È meglio essere malati che sani. 

                              Fra Luca Beato, o.h.

Teologia della Malattia in S.Ambrogio - Luca Beato o.h.TEOLOGIA DELLA MALATTIA

IN S. AMBROGIO

 

Torino, Marietti, 1968

 

 

Da “FATEBENEFRATELLI” – GEN/MAR 2009

 

 

 

DON CALABRIA CI PARLA

Don Calabria ci parla

Pagina in costruzione

In questa pagina, quanto prima, sarà collocata la possibilità di ascoltare on-line la viva voce di San Giovanni Calabria. Durante gli ultimi anni della sua vita furono registrate alcune esortazioni che lui era solito tenere all’apertura degli Esercizi Spirituali dei suoi religiosi. In questa pagina trovate già, per intanto, il testo scritto delle registrazioni. In un prossimo futuro ci sarà anche la possibilità di ascoltarle. Nella pagina “Download” sarà invece collocata l’opzione di scaricare i files delle registrazioni, in formato .mp3.

“VOCE CHE GRIDA”

REGISTRAZIONE DELLE ESORTAZIONI DEL PADRE

P R E S E N T A Z I O N E
In questa cassetta “Voce che grida…” sono registrate le esortazioni che il Ven. Padre Don Giovanni Calabria ha rivolto ai Poveri Servi dal 1951 al 1953. Certamente non ci sono tutte, ma unicamente quelle che abbiamo potuto ricuperare.
C’è anche un’esortazione rivolta alle Sorelle raccolte in esercizi spirituali a S. Toscana, una agli allievi di S. Zeno in Monte che, con alcuni fratelli, stavano facendo gli esercizi spirituali nel 50° di Sacerdozio del Padre, una agli allievi del Patronato, e una agli exallievi di S. Zeno in Monte.
La qualità della registrazione è scadente: sia perché il registratore allora usato era un rudimentale registratore a filo, sia perché, per registrare, ci si doveva mettere ad una certa distanza dal padre, perché non se ne accorgesse. C’è poi il fattore “velocità” che altera un po’ la voce del ven. padre. Qualche parola, forse, non è stata ripresa fedelmente. Pensiamo però che si possa sufficientemente cogliere la sostanza delle preziose esortazioni del Padre.
Il periodo che va dal 1951 al 1953 è stato per Lui di grandi e misteriose sofferenze. E questo fatto dà maggior valore alla sua parola. Il Padre morirà il 4-12-1954. Queste esortazioni sono come il suo testamento e nello stesso tempo ce lo fanno rivivere.
“Voce che grida…” abbiamo intitolato questa registrazione. Ma chi l’ha conosciuto lo ricorda anche come il Padre tenero, affettuoso, delicatamente interessato della salute fisica e dello stato morale e spirituale dei suoi “fratelli” e “figli dilettissimi”. Era anche faceto, e sempre preoccupato che i suoi fratelli scoprissero e sperimentassero la gioia della loro Consacrazione.
Chi l’ha conosciuto, in questa registrazione rivivrà tutta la passione del padre, perché i suoi figli fossero come li voleva il Signore.
E’ commovente il fatto che appena il ven. padre s’accorge di pronunciare “voi”, si corregge subito e completa aggiungendo “noi”, “io, per il primo”, “io, il più miserabile”. Pur nella sofferenza, non si sentiva esonerato dalla fedeltà radicale al vangelo, ma, per amore al suo Signore e ai suoi fratelli, per primo si sottometteva al giudizio della “parola di Dio per i Poveri Servi”.

* 1° settembre 1951
AI POVERI SERVI IN ESERCIZI SPIRITUALI
Ho fatto una preghiera perché sia lo Spirito Santo che in questo momento deva dire a me e a voi, quello che più torna a vantaggio, delle vostre, delle nostre anime, e a incremento e a vita di questa grande Opera dei Poveri Servi, specialmente in quest’ora tanto e tanto grave.
La parola che mi nasce è questa intanto: A grandi mali, grandi rimedi! E Gesù in quest’ora, in questo momento, mette per la povera umanità un grande rimedio: guarda a quest’Opera dei Poveri Servi che Lui stesso ha fondato.
Quando, la vigilia, la sera dell’introduzione di questi santi esercizi, ho sentito nel mio cuore una sensazione tutta quanta speciale, particolare, e il mio caro don Rossi e don Luigi [mi dissero] che la dica a voi e anche a me stesso.
E la sensazione è questa: Mi pareva che fosse proprio Gesù che mi dicesse: questi santi esercizi devono essere per l’Opera dei Poveri Servi una novella Pentecoste. Tutti coloro che fanno i santi esercizi sono come gli Apostoli nel cenacolo. Io farò discendere grazie particolarissime per mezzo del mio apostolo, per mezzo del mio ministro, per mezzo del Sacerdote venuto nel nome di Dio a fare questi santi spirituali esercizi.
Miei cari fratelli, per amor di Dio, per amor di Dio, fate, facciamo tutti grande tesoro di questo santo corso di santi esercizi.
Sento che Gesù è passato vicino a tutti in un modo particolare, e a tutti ha fatto sentire la sua voce paterna, la sua voce divina.
Guardate di corrispondere, guardiamo di corrispondere e uscire da questo santo ritiro come sono usciti gli Apostoli, pieni dello Spirito Santo.
Dobbiamo santificarci. Il mondo ha bisogno di santità. Dobbiamo santificarci per santificare, ma se noi non tendiamo alla santità, se noi non ci santifichiamo, siamo responsabili di quello che potrebbe avvenire.
Per amor di Dio, io per il primo, guardiamo di corrispondere, vivendo lo spirito puro e genuino di quest’Opera che – fin dai primi anni, ho sempre detto, – è nata nel S. Cuore di Gesù.
Abbiamo sentito, avete sentito la parola infuocata del padre predicatore che, sotto l’influsso dello Spirito Santo, ha fatto sentire ai nostri cuori, alle nostre anime, alle vostre anime. Guardiamo di far tesoro. E che non siano soltanto i proponimenti scritti sulla carta, ma che siano, che siano scritti nella nostra mente, nella vostra mente e nel nostro cuore.
Uscire da questo santo ritiro, fratelli dilettissimi, come sono usciti gli Apostoli, o cari.
Vangeli viventi! Il mondo non ci crede più, perché vede, in tanti e tanti, che diciamo tante belle cose, scriviamo tante belle cose, facciamo tanti bei progetti in teoria, ma, in pratica, quanto siamo lontani dall’essere veramente cristiani, dall’essere veramente religiosi nel pieno senso della parola.
Spirito puro e genuino! In tutte le nostre azioni e missioni, dire: “Cosa farebbe nostro Signor Gesù Cristo?”. Io dico sempre ai sacerdoti, agli studenti, ai religiosi: “Va bene studiare tante cose, ma guardiamo di studiare e di praticare le lezioni continuate del divino Maestro, di nostro Signor Gesù Cristo”.
Cari i miei fratelli: in questo momento ringraziamo il Signore!
Ringrazio il Signore dei doni e delle grazie che ha versato nei nostri cuori.
Guardiamo, per amor di Dio, di non venir mai meno ai proponimenti e alle grazie che il Signore ci ha fatto in questi santi giorni e teniamoci bene a mente – è questa la parola che ho sentito in questo momento, per me e per voi e per l’Opera – noi potremo essere responsabili di quello che potrebbe avvenire, se noi non viviamo secondo vuole nostro Signore in quest’Opera che è tutta quanta sua nel vero senso della parola.
Facciamo conoscere Gesù Cristo praticamente, il vangelo, nel vero senso della parola, sine glossa [senza interpretazioni]. Vangelo vivente, o miei cari! E allora, beati noi! In mezzo alle prove e alle battaglie della vita, saremo gli angeli della Congregazione, gli angeli e i messaggieri, a nome di Dio, a tutto quanto il mondo, a tutta quanta l’umanità che sta per affogare e che, solamente ritornando a Cristo e al santo vangelo, potrà avere la vera pace, la vera serenità, la vera tranquillità nel tempo presente che passa così presto e poi, tutti quanti arrivare alla vita eterna per la quale siamo al mondo e per la quale N. S. Gesù Cristo è disceso dal cielo in terra, ha patito ed è morto sopra la croce. “Quid prodest homini, si mundum universum lucretur, animae suae detrimentum patiatur? [Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?" (Mc 8, 36)].
Ho tanto bisogno della carità delle vostre preghiere, per fare fino alla fine la divina volontà e per prepararmi meno indegnamente al divinissimo rapporto al quale sono chiamato, per poter trovare misericordia in quel momento, per trovare la grazia di vivere in pratica queste parole: Ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem te in saecula saeculorum. Amen [Che con i miei fratelli e i tuoi ragazzi possa lodarti per tutti i secoli dei secoli. Amen].
Fratelli, facciamoci santi, vangeli viventi! E meditiamo queste parole: Siamo responsabili nell’ora presente di quello che potrebbe avvenire se non viviamo santamente.
Nos cum Prole pia…
Benedictio Dei Omnipotentis, Patris, et Filii et Spiritus Sancti descendat super vos et super nos et maneat semper…
Sia lodato Gesù Cristo…

* 8 settembre 1952
AI POVERI SERVI IN ESERCIZI SPIRITUALI
Ho detto tre “Gloria Patri” allo Spirito Santo, perché Lui mi dica quello che devo dire a voi in questi santi giorni, in questo ultimo giorno di questi santi esercizi.
I santi esercizi! Che grazia grande, o cari, fare i santi, spirituali esercizi! E noi Poveri Servi… è tanti anni che ogni anno abbiamo questa grazia.
Gesù ci chiama nel raccoglimento e nel silenzio e ci parla e ci dice di quelle parole, tutte dedite per la vostra personale santificazione.
Quante volte avete fatto, abbiamo fatto i santi spirituali esercizi!
E’ una grazia grande, non è vero? I santi spirituali esercizi, ogni anno, hanno grande importanza.
I santi esercizi di quest’anno 1952, fratelli, sento che hanno una grande importanza, tutta quanta speciale, tutta quanta particolare.
Sento che il Signore, in questi giorni, ha parlato a tutti e a ciascheduno in modo particolare e ha detto di quelle cose… unicamente per la nostra personale santificazione. Perché… è inutile, o cari: se non ci santifichiamo non possiamo far niente. Oh, son certo e son sicuro che voi l’avete ascoltata questa voce del Signore. Son certo e son sicuro che sempre, ma in questi santi esercizi, la cara Madonna, la Mamma, ha forzato il suo divin Figliolo perché voi, tutti quanti, abbiate ad uscire da questo cenacolo, vangeli veramente viventi.
Cari i miei fratelli, per amor di Dio, per amor di Dio, vi raccomando di far tesoro di questi santi esercizi, perché devono segnare una tappa nuova della vostra vita, per l’Opera, per la salute del mondo.
Cari i miei fratelli: che ora mai è questa!
A grandi mali grandi rimedi.
Fa bisogno che io vi dica che il male è grande nel mondo? Fa bisogno che vi dica che Satana è capitato e capita con tutti quanti i suoi soldati e muove una guerra accanita contro la santa nostra religione?
Quanti mali, o cari, quanti mali che vi è nel mondo! Che guerra, che spostamento della povera umanità, che è scardinata, la povera umanità, dal Signore.
Quanti mali, quanti disordini. Che guerra! E voi lo sapete, non è vero? e lo vediamo tutti, e tutti quanti sentiamo quest’ora. Ma teniamoci bene a mente che fra tutti i mali che vi sono nel mondo, il male più grande e quello che addolora il Cuore Santissimo di Gesù e la Vergine santa, è vedere dopo 20 secoli di cristianesimo, come siamo ridotti!…
A grandi mali grandi rimedi!
E il rimedio è certo, o cari. Il rimedio è infallibile, è sicuro, se noi Poveri Servi vivremo con lo spirito puro e genuino che il Signore ha messo in quest’Opera, e che il demonio non la vorrebbe come la vuole Gesù, come la vuole la Madonna; e cerca ogni mezzo e ogni via, anche sotto pretesto di altre opere buone, perché non sia come vuole Gesù, come vuole la Madonna.
A grandi mali, grandi rimedi!
Spirito puro e genuino dell’Opera! Hai inteso mio caro fratello?
Mi par di vedere l’angelo di Dio, l’angelo della giustizia con la bilancia, là, che sta per traboccare: o la giustizia o la misericordia.
Se noi, Poveri Servi, viviamo il nostro spirito, voglio sperare che traboccherà non la giustizia di Dio, ma la misericordia. Per noi, per la patria nostra, per il mondo tutto. Che grande responsabilità, o mio caro fratello! Che grande responsabilità per me, che grande responsabilità per voi!
Spirito puro e genuino, ma non a parole, ma a fatti. Spirito puro e genuino.
Dunque: disposti a tutto, perché tutto è grande nella Casa di Dio. Grande è il sacerdote, grande il fratello, perché anche il fratello e il sacerdote sono tutti quanti un “cor unum et anima una [un cuor solo e un'anima sola"] nel diffondere il santo regno di Dio e la sua giustizia.
Disposti a tutto: cenci, creta, cercare solo il santo Regno di Dio, ma non a parole, ma a fatti.
Il mondo, o cari, i nostri avversari, i nostri nemici, hanno bisogno di vedere in noi sacerdoti, in noi religiosi, in noi Poveri Servi, quelle ricchezze soprannaturali che [Dio] ha messo in noi e per l’Ordine sacerdotale e per la vocazione religiosa e per i santi voti.
E con noi ha bisogno di vedere tutti quanti i sacerdoti, tutto quanto il popolo cristiano. E… ditemi, o cari, in pratica: come siamo? I nostri avversari, quelli che ci combattono, come ci vedono? come loro, e forse, forse, alle volte… peggio di loro; perché loro non hanno avuto quelle grazie che abbiamo noi, perché loro sono stati forse istruiti nel male. Ci penserà il Signore per loro, ma per noi Poveri Servi, per me, Povero Servo, se non siamo in efficienza, la colpa è nostra! Per amor di Dio!…
Santifichiamo le nostre anime. Mi ricordo le parole, sempre, che mi diceva il mio indimenticabile p. Natale, padre spirituale: “Si ricordi: santifichi la sua anima e poi santificherà le altre anime”.
Siete Poveri Servi per le vostre anime, prima di tutto, e poi, per salvare le altre anime. E le anime, come si salvano? Con i mezzi umani? Col denaro? Con le protezioni umane? Non ha detto così Cristo! Ha detto: “Sine me nihil potestis facere! Sine me nihil potestis facere! [Senza di me non potete far niente! Senza di me non potete far niente!" (Gv 11, 5)].
Fratelli, guardiamo di avere sempre con noi Gesù: nel chiaro e nell’oscurità, nella prova, nell’osanna e nel crucifige [crucifiggilo]! Sempre con Gesù! Gloria di Dio e bene delle anime!
Disposti a tutto, o miei cari. Vi raccomando tanto la vita interiore. Nessuna preferenza! Tutti quanti fratelli in Cristo, ma, se vi è una preferenza, sia per i più poveri, i più abbandonati, i più disprezzati. Sono queste le nostre gemme e le nostre ricchezze.
Fratelli miei cari: Gesù è in mezzo a voi. La Madonna continuamente prega per voi, prega per noi.
Oh, guardate, guardate di uscire come sono usciti gli Apostoli dal cenacolo: Vangeli viventi! Tutti quanti siete adesso lampade accese dall’onnipotenza e dalla misericordia del Signore. Sta a voi custodire le vostre lampade accese, con la vita veramente cristiana.
Nascosti. Non cercare le protezioni umane. Cercare il santo regno di Dio e la sua giustizia. In quanto al resto, verrà. Verranno, verranno i mezzi umani! Verranno le protezioni umane, perché ci vogliono, ma a queste penserà il Signore! Per noi non c’è altro che questo: cercare il santo regno di Dio, santificare le nostre anime.
Quante cose vi vorrei dire, o cari i miei fratelli. Per amor di Dio, per amor di Dio, per amor di Dio: guardate di corrispondere! Guardate di corrispondere ed essere veramente Poveri Servi! Ma non a parole, ma a fatti.
Tutto è grande nella Casa di Dio. Disposti a tutto, perché fino che siamo nel nostro… breve posto, in quell’occasione siamo contenti. Quando siamo trasportati, cambiati, si comincia a dire: Ma… ma qui… ma là… no! Disposti a tutto! In qualunque parte che siamo, guardiamo il cielo: “Padre nostro, che sei nei Cieli”.
Quante altre cose… ma ho finito, ma termino. E termino con una calda preghiera: quanto so e posso, guardate di far tesoro di questi santi esercizi del 1952.
La Madonna santissima, la cara Madonna, la regina dei cuori, vi tenga tutti quanti sotto il suo manto, sotto la sua protezione.
L’aver fatto i santi spirituali esercizi a Nazareth, deve essere anche questo un monito tutto quanto speciale, tutto quanto particolare. “Cosa può venire di buono da Nazareth?”, dicevano. Cosa è venuto da Nazareth? Cristo, la Redenzione!
E così anche da Nazareth dei Poveri Servi. Cosa può venire di buono? Verrà quello che è venuto da Nazareth, se noi vivremo con lo spirito puro e genuino dell’Opera. E’ una grande grazia e una grande responsabilità. La vita passa presto. Ci troveremo al punto della morte. Oh… dico quello che tante volte ho detto ai miei fratelli. Io credo che il Povero Servo, al punto della sua morte, che sarà stato fedele alle sue regole, ancora in terra gusterà le gioie del cielo. Ma se per somma disgrazia – che Dio non permetta per nessuno – non avesse corrisposto, Dio mio, Dio mio, in che stato si trova. Per amor di Dio, fratelli!…
Povero Servo, nel vero senso della parola. Per poter meritare dal Signore al termine della nostra vita quella bella parola: “Euge, serve bone et fidelis. Intra in gaudium Domini tui! [Bene, servo buono e fedele. Prendi parte alla gioia del tuo Signore." (Mt 25, 21)]. Son certo e son sicuro – non è vero? – che voi pregherete più del solito per me. Ne ho tanto e tanto di bisogno, perché cosi vicino alla grande chiamata. Per amor di Dio, che io non sia, e neanche voi, come chi segna strada, chi insegna la strada agli altri, e loro stanno fermi.
Fratelli: Poveri Servi, nel vero senso della parola.
La giornata di oggi in modo particolare per voi, per il rev.mo padre monfortano che con tanto zelo e a nome della Madonna parlò a voi, e a voi ha dato questi santi spirituali esercizi.
Che tutti quanti, usciti da questo cenacolo, possiate dire:
Signore, per intercessione della mia cara Madre, la Vergine Santa, la Madonna, voglio essere un altro Cristo, un altro Gesù, un vangelo veramente vivente, per la mia anima e per la mia santificazione e per santificare l’Opera e per santificare il mondo.
Siamo niente, ma siamo tutto! Ferri arrugginiti: ma il ferro arrugginito non fa niente, ma arroventato… quanti lavori non fa un ferro arroventato! Quando si ha l’amore di Dio, l’amore di Dio, allora si va avanti. Domandiamolo sempre, questo, al Signore: Datemi il vostro santo amore! Mettiamo di mezzo l’intercessione della Vergine Santa.
Fratelli, perdonate le parole, che mi sono nate così dal cuore.
Fate tesoro e che, terminata la nostra vita, tutti quanti possiamo dire: ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem te in saecula saeculorum. Amen. [Che con i miei fratelli e i tuoi ragazzi possa lodarti per tutti i secoli dei secoli. Amen].
Teniamoci bene a mente la grande responsabilità perché, dal corrispondere o non corrispondere alla nostra vocazione , potrebbe dipendere la salute o la rovina della patria e anche del mondo.
Che grande responsabilità!
Sia lodato Gesù Cristo.

* 1951
AI POVERI SERVI IN ESERCIZI NEL 50° DEL SUO SACERDOZIO
Sia lodato Gesù Cristo…
Prego lo Spirito Santo che in questo grande e in questo solenne momento mi dica quella parola che fa bene alla mia povera anima e che fa bene alle vostre anime.
Voi fortunati che siete raccolti in questo santo cenacolo.
Questa parola [parole incomprensibili]
Quante volte avete fatto, abbiamo fatto i santi spirituali esercizi, ma io mi sento che gli esercizi di quest’anno santo, di quest’anno che ricorda le mie giornate del giubileo sacerdotale, di quest’anno che è ricco di tante chiamate, di continue chiamate da parte del Signore a ritornare tutti alla vita del Vangelo, non soltanto a parole, ma in pratica.
Quest’anno, insomma, ha preparato il terreno delle nostre anime, delle vostre anime, per ricevere la semente divina che vi è passata in questi santi esercizi. Quante grazie avete ricevuto.
Fratelli cari, dilettissimi: vi è bisogno di santità. L’ora attuale è un’ora terribile, ma è l’ora di Gesù. E chi è che deve portare Gesù, chi è che deve far conoscere Gesù? Noi religiosi, noi sacerdoti, sempre, ma specialmente in quest’ora. E’ l’ora della santità, questa. Non è l’ora delle discussioni, delle teorie; è l’ora della pratica, o miei cari. E questo voi l’avete sentito in questi santi spirituali esercizi. Fatene tesoro, o miei cari, facciamone tesoro, specialmente noi Poveri Servi.
Mi scriveva uno dei miei fratelli: “Oh, l’Opera dei Poveri Servi deve essere un [alto]parlante, un telefono, telegrafo, un apparecchio per il quale viene Gesù a parlare e a far conoscere quello che vuole”.
Miei cari fratelli, per amor di Dio, facciamoci santi, con lo spirito puro e genuino dell’Opera dei Poveri Servi.
Il demonio freme e basta un’onda piccola per cambiare [la trasmissione della] radio. Basta una piccola cosa, perché quest’Opera non sia come la vuole Gesù.
Quello che Gesù vuol fare sono cose grandi in mezzo a noi, ma se noi saremo Poveri Servi nel vero senso della parola.
Disposti a tutto. Tutto è grande nella Casa di Dio. Non tutti i sacerdoti sono santi, ma tutti i santi sono sacerdoti. Miei cari fratelli! Guardate che, usciti da questi santi esercizi, voi uscite come gli Apostoli dal cenacolo. Tanti fari; tanti fari, per le vostre anime, per le nostre anime. Santifichiamoci noi nel vero senso della parola, e allora santificheremo quest’Opera dei Poveri Servi, che nessuna forza umana la può distruggere. Solamente io, solamente voi, noi, se non viviamo con lo spirito che il Signore stesso, Divin fondatore ha messo.
Santificando quest’Opera, santificheremo la nostra città, santificheremo il mondo, o miei cari fratelli, o dilettissimi figlioli. Santifichiamoci nel vero senso della parola.
Quanto so e posso diamo importanza alla vita interiore. “Sine me nihil potestis facere [Senza di me non potete far niente" (Gv 11, 5)]. Noi siamo niente ma con Cristo siamo tutto. E Cristo sarà con noi se noi saremo con Lui con la vita pratica del S. Vangelo, la vita interiore. Lasciate tutto, ma non lasciate le pratiche di pietà, non lasciamo le pratiche di pietà.
Vi raccomando lo spirito di abbandono: Quello che è buono per Gesù è buono anche per me. Ma se non siamo noi che amiamo il Signore, chi sarà che lo ama il Signore?
Il mondo ha bisogno di conoscere il Vangelo, di conoscere Cristo, di conoscere i doni che Cristo, il Signore, ha versato in noi sacerdoti, in noi religiosi, nel popolo cristiano. Ma il mondo vede che siamo come gli altri, che non c’è nessuna differenza. Non conosce i doni di Dio, le grazie del Signore, i carismi che abbiamo noi e in conseguenza il mondo verrà scusato, ma noi miei cari fratelli, noi, miei cari fratelli!…
Oh, ringraziate e ringraziamo il Signore di questi santi giorni nei quali il Signore ha parlato per mezzo dell’apostolo, per mezzo del sacerdote che nel nome di Cristo è venuto ed è in mezzo a noi per portarvi, per segnarvi la strada sicura della nostra santificazione.
Mi diceva sempre il mio povero Padre Spirituale, P. Natale: Guardi di santificare lei, santifichi lei, santifichi i membri, e se santificherà i membri, sarà salvata l’Opera e farà cose di tanta gloria del Signore.
Le cose grandi, son fatte di piccole cose, o miei cari fratelli.
Ecco le parole che mi sono nate nel cuore.
La giornata di domani sarà tutta quanta per voi: la santa messa, le sofferenze, quello che il Signore mi manderà, perché abbiate ad essere costanti e fermi nei proponimenti fatti in questi santi spirituali esercizi.
Siate tanti fari. Che tutti quanti,… tanta oscurità, venga illuminata dalla vostra vita.
Gesù è in mezzo a noi. Guarda la sua Chiesa! “La mia Chiesa! La mia Chiesa!”. Ecco quello che domanda il Signore: Santifichiamoci.
Santa messa, sofferenze… tutto quanto per voi, e voi, tanto pregate per me, perché le anime e le opere di Dio, costano.
Pregate la misericordia del Signore che mi perdoni tutte quante le deficienze, i miei peccati. E che si possa avverare quella preghiera che faccio da tanti anni: Ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem te in saecula saeculorum. Amen. [Che con i miei fratelli e i tuoi ragazzi possa lodarti per tutti i secoli dei secoli. Amen].
Facciamo conoscere al mondo che la vita presente è niente. E’ tutto in relazione con la vita futura. Si fanno tanti progetti, tante cose, ma… l’altro giorno anzi, in modo speciale, avevo queste parole in mente: “pietas utilis ad omnia! [La pietà è utile a tutto!" (1 Tm 4, 8)]. Io vorrei che specialmente coloro che [si] sentono, sviscerassero bene queste parole: “Pietas utilis est ad omnia! [La pietà è utile a tutto!" (1 Tm 4, 8)]. Per la nostra santificazione e anche per concorrere a dare la vita a tutti quanti gli argomenti, i lavori dell’ora attuale, materiali, politici eccetera, perché il Signore li abbia a benedire. “Pietas utilis ad omnia [La pietà è utile a tutto" (1 Tm 4, 8)].
Cari fratelli, pregate tanto per me, perché tutti possiamo sentire quella parola di nostro Signore al termine della nostra vita: “Euge serve bone et fidelis! Intra in gaudium Domini tui! [Bene, servo buono e fedele. Prendi parte alla gioia del tuo Signore." (Mt 25, 21)] Che tutti quanti ci troviamo nel santo Paradiso.
E adesso, in questo momento, vi do la mia povera e santa benedizione.
Ave, Maria…
Maria, auxilium Christianorum…
Nos cum prole pia…
Benedictio Dei omnipotentis…
Sia lodato Gesù Cristo…

* 1951
A UN GRUPPO DI RAGAZZI DI SAN ZENO IN MONTE
IN ESERCIZI NEL SUO 50° DI SACERDOZIO
Preghiamo lo Spirito Santo che in questo momento ispiri a me poverello, custode di questa grande Opera del Signore, quella parola che più deve giovare per le vostre anime.
In questo grande, in questo momento solenne voi, quasi come gli Apostoli, siete radunati in questo cenacolo per sentire la parola del Signore: non soltanto sentirla, ascoltarla, ma metterla in pratica.
Miei cari figlioli e diletti fratelli: l’ora attuale è un’ora terribile, è un’ora tanto oscura, è un’ora di tante incognite, ma è l’ora dove Gesù continuamente, continuamente, continuamente chiama la povera umanità in generale, e in modo speciale noi sacerdoti, noi religiosi, popolo cristiano, ad essere veramente tale.
Cari i miei figlioli e diletti fratelli, fate tesoro di questi santi giorni. Ascoltate la parola del ministro di Gesù, che in questo momento è proprio una parola specialissima, efficacissima, per le grazie e per i doni speciali che lo Spirito Santo da a chi parla nel suo nome.
Facciamoci santi, facciamoci santi. L’ora attuale è un’ora di tanto lavoro, di tanti interessi, di tante questioni, per arrivare a dare la pace al mondo.
Miei cari fratelli, figlioli dilettissimi, preghiamo anche per coloro che sono interessati in questo lavoro temporale e materiale; che vi è tanto e tanto di bisogno, per coloro che reggono le sorti della nostra cara patria e del mondo tutto.
Ed è alcuni giorni che io penso e medito queste parole, che io prego di meditare anche voi, o fratelli, anche voi figlioli, nella vostra età.
Pietas utilis est ad omnia! La pietà giova per tutto. prima per la nostra santificazione personale, poi per le nostre opere, per la Chiesa e anche per il mondo, che senza la pietà non può arrivare ad avere quella direzione che il Signore vuole dare nell’ora attuale alla povera umanità.
Miei cari figlioli, ecco la parola che io vi dico in questo momento. Sempre mi raccomando tanto e tanto alle orazioni, perché le anime e le Opere di Dio costano tanto e tanto e io ho bisogno di essere aiutato, di essere assistito per fare la volontà di Dio fino al vicino e grande e divino rapporto che è per me, ma che è per voi, ma che è per tutti, perché siamo al mondo unicamente per questo: per conoscere, servire e amare Dio in questa vita e poi arrivare al santo Paradiso.
I nostri nemici, i nostri avversari hanno bisogno di conoscere chi siamo noi sacerdoti, chi siamo noi religiosi, hanno bisogno di conoscere i doni e le grazie particolari che il Signore ci ha dato e non li conoscono, perché alle volte dicono: “Ah, i preti, i religiosi, sono come noi, e qualche volta anche peggio di noi”.
Figlioli, fratelli carissimi, siamo santi, domandiamo al Signore la santità. Dobbiamo combattere le nostre passioni perché la vita presente è vita di prova. Dobbiamo combattere le nostre passioni. Umiliamoci delle nostre miserie, ma combattere il male di sistema, perché questo male di sistema è quello che rovina l’umanità, i mali di sistema sono la porta dell’inferno.
Miei cari figlioli, vi lascio in questo momento. Vi do una grande benedizione, perché siamo sempre uniti in cielo e qui in terra.
Pregate tanto per me e per l’Opera del Signore e che Iddio dia valore a quella preghiera che io faccio da tanti e tanti anni dopo la santa messa: “Ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem te in saecula saeculorum. Amen [Che con i miei fratelli e i tuoi ragazzi possa lodarti per tutti i secoli dei secoli. Amen].”
Nos cum Prole pia…
Benedictio Dei Omnipotentis, Patris, et Filii et Spiritus Sancti descendat super vos et super nos et maneat semper. Amen.

* 11 agosto 1951
ALLA FINE DELLA FUNZIONE DI RINGRAZIAMENTO
DEL 50° DEL SUO SACERDOZIO
A SAN ZENO IN MONTE
Insieme ringraziamo il Signore per le grazie grandi e misericordie che ha fatto per me poveretto e preghiamolo il Signore, che mi dia la grazia di fare fino alla fine la sua santa volontà, in questa sua Opera che è proprio sua, nel vero senso pieno della parola.
Noi siamo figli di Dio, fratelli, noi siamo gli angeli di Dio in terra, in questa Casa per compiere i sui dini disegni. Per amor di Dio, guardiamo di corrispondere, di corrispondere, di corrispondere, vivendo noi, o fratelli, lo spirito puro e genuino dell’Opera che il Signore ha fondato, vivendo voi, o miei cari figlioli, come deve essere un figlio di questo grande Padre.
Tante e tante volte ho detto e lo ripeto: Io non ho paura di nessuno. Nessuna forza può distruggere, può fermare quest’Opera, solamente io, solamente noi se per somma disgrazia non dovessimo corrispondere, non vivendo come vuole il Signore.
E voi fratelli cari, riuniti insieme, di nuovo ringraziate il Signore, e pregate per me, perché quando il Signore mi chiama possa trovare misericordia in quel grande momento, e che possa essere avverata la preghiera: Signore, ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem te in saecula saeculorum. Amen. [che con i miei fratelli e i tuoi ragazzi possa lodarti per tutti i secoli dei secoli. Amen]. Figlioli cari, noi non siamo fatti per la terra, ma siamo fatti per il cielo, e queste grandi e semplici parole dobbiamo ricordarle noi, ricordarle a tutti. E fosse vero che tutto il mondo pensasse a questa grande verità: non siamo fatti per la terra, ma siamo fatti per il cielo, per Iddio, per il Paradiso.

* 25 luglio 1954, ore 12,20
DALLA LOGGETTA CHE GUARDA LA TERRAZZA
AGLI EX ALLIEVI DI SAN ZENO
Ringrazio e benedico il Signore che mi ha concesso questa grande grazia di vedervi e di invocarvi dal fondo del cuore una fitta pioggia di grazie, prima spirituali per le vostre anime, e poi, per i vostri bisogni temporali e materiali.
E’ stata una grazia grande che il Signore vi ha fatto, di raccogliervi qui in questa sua Casa che è Casa di Dio nel vero senso della parola. E voi siatene sempre riconoscenti, e anche fuori in mezzo al mondo, che corre molte volte tante strade opposte alla vera strada, guardate di essere guida, via, pace e benedizione.
In questo momento io prego per voi, vi benedico, e con voi i vostri cari, i vostri figlioli, i vostri parenti. Questa benedizione sia pegno e caparra dell’eterna benedizione che un giorno, tutti quanti, dobbiamo ricevere là, dal Signore nel santo Paradiso. Iddio vi benedica.
Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui Jesus. Sancta Maria, Mater Dei, ora pro nobis peccatoribus, nunc et in hora mortis nostrae.
Amen.
Maria, auxilium christianorum, ora pro nobis.
E poi fatemi questa grande carità: di pregare per me, perché possa intendere e perché possa capire la grazia di poter soffrire in espiazione prima delle mie miserie, e poi per compiere i grandi disegni del Signore, disegni che Cristo ha compito sempre con la sua croce.
Nos, cum prole pia, benedicat Virgo Maria.
Benedictio Dei omnipotentis, Patris, et Filii et Spiritus Sancti descendat super vos et super nos et maneat semper. Amen.
Sia lodato Gesù Cristo.
Sempre sia lodato.

* 1952
AI POVERI SERVI IN ESERCIZI SPIRITUALI
Che grandi sofferenze, miei cari fratelli.
La sofferenza, specialmente nell’ora attuale, entra nel piano di Dio, perché le sofferenze, unite alle sofferenze di Cristo che non può più soffrire, ma soffre immensamente nel suo corpo mistico, possono salvare la povera umanità.
Pregate tanto per il vostro padre, che in questo momento… non so io quello che vi dirò.
Sento… ho fatto uno sforzo particolare per venirvi a dire qualche parola, ma proprio perché è volontà di Gesù. Ma questa parola detta a voi Poveri Servi, è anche per me, prima di tutto, perché anch’io sono Povero Servo. E questa parola di “Povero Servo della Divina Provvidenza” è scritta in cielo e quando Dio ci chiamerà ci farà vedere se questo scritto è conforme a quello che abbiamo praticato in terra.
Cosa vi dirò? Diciamo insieme un Gloria Patri allo Spirito Santo perché mi illumini e mi dica quello che è per la mia povera anima e per voi, miei cari fratelli Poveri Servi.
Potrebbe essere l’ultima volta che io vi parlo: sia come il mio testamento!
Gloria Patri, et Filii et Spiritui Sancto
Emitte Spiritum tuum et creabuntur…
Cosa dirò?
Ho davanti la scena di Balsassare: “Mane, thecel, phares!” Da ieri questa scena l’ho davanti.
Si gozzoviglia, si profana! “Mane, thecel, phares!” Voi siete sacerdoti e fratelli e conoscete la spiegazione di queste parole ["Questa ne è l'interpretazione. Mane: Dio ha computato il tuo regno e vi ha posto fine. Thecel: Tu sei stato pesato sulle bilance e sei stato trovato mancante. Phares: Il tuo regno è diviso e dato ai Medi e ai Persiani" (Dn 5, 25-28)].
L’ora attuale è un’ora terribilissima per la S. Chiesa, per la povera umanità, per il mondo. Dopo 20 secoli di cristianesimo, come siamo? Mane, thecel, phares!
Quante grazie, quante misericordie il Signore ci ha fatto. Ma io, in questo momento prescindo dall’umanità in generale. Sento quello che sempre vado più sentendo di noi sacerdoti, di noi religiosi, del popolo cristiano. Mane, thecel, phares!
Quante grazie, specialmente in questi ultimi anni. Santi Pontefici che parlano nel nome del Signore. La Madonna pellegrina che viene in mezzo a noi. Santuari illegittimi riprovati dalla santa Chiesa. False devozioni. Satana che vuol scimmiottare le opere di Cristo e della Chiesa.
Come è ridotto il popolo cristiano! Divertimenti! Godere la vita, la vita dei sensi! Dio è spirito e fugge dalla carne, specialmente dopo l’incarnazione e la redenzione. La festa non è santificata per niente.
Un’ora terribile, o miei cari fratelli! Io la sento nel cuore come povero ed ultimo Casante di quest’Opera grande di Dio che è l’Opera dei Poveri Servi.
Mi pare in questo momento di vedere un angelo con la bilancia in mano. Sta a noi di far sì che il piatto della bilancia posi sulla misericordia e non sulla giustizia, perché… sarebbe sempre anche misericordia. Ma però guai chi provoca la giustizia di Dio in quest’ora. E questo piatto che deve far traboccare la misericordia è affidato a me, a noi, a voi Poveri Servi. E come? col vivere lo spirito puro e genuino di quest’Opera che il demonio, Satana, “il nemico”, cerca tutti i mezzi possibili e immaginabili per far sì che non sia come Gesù la vuole, sotto falsi pretesti, sotto apparenze anche di bene.
Miei cari fratelli, per amor di Dio, viviamo lo spirito puro e genuino di quest’Opera.
Voglio io vedere se io sarò salvo, se andrò in Paradiso? La tessera è bella firmata! Se io vivrò lo spirito puro e genuino dell’Opera ho la tessera firmata per essere in Paradiso. Se non vivo lo spirito puro e genuino dell’Opera, è meglio andarsene. Non è firmata certo la tessera per arrivare alla vita eterna.
Queste parole mi nascono dal cuore in questo momento e prima di tutto le dico a me stesso.
Spirito puro e genuino nel vero senso della parola.
Poveri Servi! Avrete ricevuto l’ultima mia povera lettera che ho scritto ai piedi del Crocifisso, come mio testamento, dove esortavo tutti, in modo speciale, di fare anche una giornata di espiazione, di propiziazione per la povera umanità.
E tra le tante lettere che ho ricevuto dai miei sacerdoti ex allievi, ne ho ricevuta una che mi è giunta l’altro giorno – posso dirvi anche il nome – il nostro caro ex allievo Don Marini che mi scriveva: “Ho letto la sua lettera, e col pensiero sono andato indietro 30 e più anni e mi pareva di sentire le stesse parole che aveva scritto in quella lettera”. Di fatto è così.
Buseta e taneta! Nascosti. Allora il Signore ci adopererà. Cenci, e creta, disposti a tutto! Tutto è grande nella Casa di Dio, specialmente dei Poveri Servi. Poveri Servi nel vero senso della parola! Che grande dignità è questa. Non tutti i sacerdoti sono santi, ma tutti i santi sono sacerdoti. E questo vale in modo speciale per noi, Poveri Servi. Per voi, o Fratelli, che se il sacerdote è sacerdote per l’Ordine Sacro, voi siete sacerdoti se sarete santi, per il battesimo, per la cresima, per la vocazione religiosa, per i voti che avete fatto: santità. Il demonio ha solo paura della santità.
Viviamo, vivete, vivo io lo spirito puro dei Poveri Servi? Se in questo momento Dio mi chiamasse, cosa direi al Signore? Si sta per rinnovare i santi voti. Con Dio non si scherza. Mi par di averlo scritto in una lettera. Si fa sul serio, specialmente in quest’ora. Pensateci bene, pensiamoci bene! Dio non ha bisogno di nessuno e in quest’Opera qui, l’ho sempre veduto per tanti e tanti anni, sia nei fratelli sia anche nei ragazzi: quando un ragazzo, uno, due, tre, non corrispondono, si ribellano, ecc., così… Dio stesso lo manda via. E così anche nel campo nostro. Se non si corrisponde, pensa Iddio, perché l’Opera è sua. Quest’Opera è di Gesù. Guai chi la tocca.
Fratelli, per amor di Dio, viviamo lo spirito puro e genuino dell’Opera dei Poveri Servi.
Quest’Opera – capite – dei Poveri Servi, ha maturato disegni nuovi da 10 anni in qua, che mai più avrei pensato, e specialmente per l’ora attuale.
Vedete, o miei cari, il telefono!… Il telefono, che è il progresso della scienza! Si parla, si comunica in un momento. Ma quando? Quando l’apparecchio è perfetto. La più piccola cosa lo guasta e lo interrompe. Sia scienziato, dotto, sapiente chi vuol telefonare, non telefona, perché l’apparecchio non funziona. L’apparecchio dei Poveri Servi è lo spirito puro e genuino. Se noi lo teniamo in efficienza, Dio stesso, Gesù verrà a telefonare, a parlare, a manifestare la sua volontà, specialmente in quest’ora terribile per la povera umanità, ma in modo speciale per il popolo cristiano.
Tutto il mondo guarda a noi, sapete. Tutto il mondo guarda a noi ed è stanco di chiacchiere, di discussioni, di “se” e di “ma”… Vuol vedere i fatti. E i fatti, purtroppo, non li vedono. Gesù piange sopra me, sopra noi sacerdoti e religiosi che non siamo come Gesù ci vuole.
L’ora attuale è un’ora terribile. Sta a noi, miei cari fratelli, tenere l’apparecchio in efficienza, perché Gesù possa parlare.
Io mai avrei pensato, per esempio, che 7 dei nostri sacerdoti fossero eletti parroci: 4 a Roma e 3 qua nella nostra diocesi. Non a caso questo. Questi parroci hanno una paternità e una missione particolare. Devono vivere con le loro anime lo spirito puro e genuino dell’Opera. Devono essere differenti anche dalle altre Parrocchie? Sicuro! perché questa è la volontà di Gesù: Il nostro spirito è questo… è questo… Se ci vogliono, ci terranno , se non ci vogliono, tutto il mondo grande è di Dio! Il Signore ha bisogno dello spirito puro e genuino, miei cari fratelli!
Grande responsabilità. Può dipendere da noi Poveri Servi la salute dell’umanità. Facciamo tutti un esame di coscienza, io per il primo. Ciascuno faccia i suoi programmi e i suoi proponimenti. E’ Gesù che parla a me. E’ lo Spirito Santo che parla a me e parlerà anche a voi. Siamo cor unum et anima una [un cuor solo e un'anima sola], nello spirito puro e genuino dell’Opera.
Vi sono più di 50 ex allievi sacerdoti che sono fuori nel mondo e anche questi hanno il loro redde rationem [rendiconto], perché sono grandi i benefici che hanno ricevuto nella casa del Signore e devono nel loro stato, nella loro professione, far conoscere lo spirito che hanno avuto.
Ma noi Poveri Servi, dobbiamo essere rigorosissimi di questo spirito puro e genuino, perché in questo sta il segreto di Dio, specialmente in quest’ora.
Le anime si salvano non con le Istituzioni, con le cose grandi, con le cose esterne, con le chiacchiere, con i réclam. No, no!… Le anime si salvano vivendo lo spirito nostro puro e genuino, perché è Gesù con noi.
Vi dico quello che mi sento, con confidenza, sapete. Otto giorni, quindici giorni fa, venti giorni fa… mi fu presentato un sacerdote di una diocesi, Vicario generale mi ha detto che è anche, di questa diocesi… e… mi ha fatto una grande, una bella impressione. E poi, quello che me lo presenta, mi dice: Eh – dice – questo è eletto Vescovo! – Ah, Eccellenza!… – E allora questo sacerdote si è aperto un pochetin… Si parlava dell’ora attuale, del mondo… “Eh!… – dico – E’ proprio così, sa; è proprio così! E Gesù piange sopra di noi. Ma lei ha un segreto, sa, per far bene la sua missione di apostolo. – E quale? – Non rimanga mai solo, sia sempre insieme con Gesù e vedrà che trionferà, e passerà ogni ostacolo e Gesù sarà con lei e con la sua diocesi e col suo clero”. E mi ringraziava!
Le cose grandi sono fatte di piccole cose. Miei cari fratelli: come vivo io? Che conto faccio della vita interiore?
Quaerite primum Regnum Dei [Cercate prima il Regno di Dio (Mt 6, 33)]. Tutte le parole del S. Vangelo sono consacratorie, e anche questa: Quaerite primum Regnum Dei! [Cercate prima il Regno di Dio (Mt 6, 33)]. Si cerca la scienza, il tal sapiente, il tal dotto, il tal scienziato fa delle opere speciali. Fratelli, gli Apostoli sono i laureati nel Vangelo da Cristo. E che cosa hanno fatto gli Apostoli? Vediamo di avere la laurea e la patente di N. S. Gesù Cristo. Vangeli viventi! Ecco il segreto.
Vita interiore. Non cercate le protezioni umane. Sono necessarie! Ma sicuro che sono necessarie! E io, quando viene qualche persona autorevole, per es. il Prefetto, qualche volta gli dico così: Eccellenza, io ho paura delle protezioni umane. Non le cerco; ma lei viene a trovarmi. E l’Opera è del Signore; io sono zero e miseria. Ma lei viene. Dunque, lei viene mandato dal Signore. E lei è dal Signore benedetto, prediletto… [parole incomprensibili].
Le nostre massime sono opposte alle massime del mondo.
Fratelli, mano all’opera! Usciamo da questi santi esercizi rinnovellati come i santi Apostoli.
Pregate per la santificazione della santa Chiesa, per il popolo cristiano e per il mondo.
Cari fratelli: Ruit hora! Ultima latet! [Il tempo scorre veloce! L'ultima ora ci è nascosta!].
Continuamente il Signore ci chiama. Anche ieri sera, questa notte, sapete, non è vero, anche l’anno scorso… [allude alla morte improvvisa di alcuni confratelli]. Sono segni anche questi. Voce di Dio. Ultima latet! [L'ultima ora ci è nascosta!]. Per me sarà l’ultima volta che vi parlo, l’ultimo mio ricordo. Ma anche per voi, o presto o tardi, verrà la grande chiamata. Ruit hora! E tutti quanti saremo lì al grande rendiconto.
Io son convinto – tante volte l’ho detto – che noi Poveri Servi, prima ancora di morire, se avremo vissuto lo spirito puro e genuino dell’Opera, sul letto dei nostri dolori e ambasce, vedremo gli angeli e il cielo aperto che ci aspetta.
Miei cari fratelli! queste parole sono sconnesse, dette così… ma dette a nome di Gesù, perché io sono il più povero di tutti, il più miserabile dei tutti. Ea quae non sunt… Misterium amoris!… [Ciò che non è... Mistero di amore! (cfr. 1 Cor 1, 27-29)]. Ma finché sono qui rappresento il Signore. Mi dovete ascoltare, perché vi parlo a nome di Dio. non ho nessun interesse. L’anima mia è vicina alla grande chiamata, al grande rendiconto. Le anime vostre e le anime dei vostri parrocchiani… Quando scrivo, per esempio, a Borgata Gordiani, a Primavalle, agli altri di Roma, io dico sempre: “le tue anime”, ma sono anche mie, perché le anime sono affidate alla Congregazione, e la Congregazione è Opera di Gesù.
Fratelli che tutti quanti possiamo trovarci, terminata la nostra giornata, alla sera della nostra vita, in grazia di Dio. Che possiamo vedere Gesù che ci viene incontro e che dice quelle belle parole: “Euge, serve bone et fidelis. Intra in gaudium Domini tui. [Bene, servo buono e fedele. Prendi parte alla gioia del tuo Signore." (Mt 25, 21)]. Ma un povero, o va in Paradiso con tanti, o potrebbe andare anche all’inferno con tanti, se non ha corrisposto se non corrispondiamo.
Fratelli, offro le mie sofferenze. Pregate per me che faccia tesoro, in penitenza dei miei peccati per implorare misericordia per questa povera anima mia, per vincere il nemico che è furibondo. E’ furibondo, lo ripeto. Non vuole che quest’Opera sia come Gesù l’ha fatta. Sotto l’apparenza anche di altre buone opere, cerca di rovinarla, perché non venga Gesù a telefonare, a parlare, a compiere i suoi disegni. Sento che il Signore Gesù ha dei grandi disegni, sopra alcuni, in modo speciale, dei Poveri Servi. Questi disegni, per amor di Dio, siano compiuti a gloria di Dio, a bene della sua anima, a bene delle anime, a bene della S. Chiesa, a bene del mondo.
Fratelli termino. Pregate tanto per me, che possiamo un giorno tutti quanti trovarci uniti nell’eterna famiglia di Dio. Costi qualunque sacrificio, costi qualunque patimento. E non perdiamo mai, mai la vista di nostro Signor Gesù Cristo. Cosa ha fatto Gesù? Com’è vissuto Gesù? Così devo fare io! Vivere con Gesù, in Gesù e per Gesù. Vangeli viventi! Poveri Servi! Vi saranno i giorni tristi, delle prove! Quello che è buono per Gesù, è buono anche per me. Ma il Signore sarà con noi in modo particolare, con voi, in terra, e poi, un giorno, per sempre, nel santo Paradiso.
Pregate la [divina] misericordia per la mia povera anima. E termino con le ultime parole che tante volte ho detto: E’ meglio – e questo vale non soltanto per il Casante presente, ma anche futuro – E’ meglio far niente col Padre, che miracoli di bene senza il Padre. Perché il Casante presente e futuro di quest’Opera avrà lumi e grazie speciali, per le quali il Signore dirige la sua Opera secondo lo spirito che Gesù stesso ha messo in questa sua Opera, Opera tutta quanta di Gesù.
A Dio piacendo… – Ecco, mi viene in mente anche questo – domani mattina la S. Messa sarà per la mia povera anima, sarà per le vostre povere anime, sarà per voi Poveri Servi, sarà Perché il Signore abbia a dare quelle grazie necessarie di bontà, di misericordia, di aiuti, per compiere la sua divina volontà in terra, e poi per trovarci tutti quanti in cielo nel santo Paradiso.
Pregate per me, e adesso vi do la santa benedizione.
Ave Maria, grata plena…
Maria, Auxilium christianorum… Regina sacerdotum…
Nos, cum Prole pia…
Benedictio Dei…

* 1952
AI POVERI SERVI IN ESERCIZI SPIRITUALI
“S. ZENO IN MONTE, TERRA SANTA E BENEDETTA!”
Non era in programma di dire una parola, ma facendo la visita al S.mo Sacramento, mi son sentito dire: “Prima che termini questi santi esercizi, di’ ancora a mio nome, per te e per l’Opera dei Poveri Servi, una parola”. In conseguenza, io, da Povero Servo, devo obbedire.
E la parola è questa: Quante volte il Signore ci ha chiamati ai santi spirituali esercizi. E sempre: grazie, misericordie, i santi spirituali esercizi. Ma… in quest’anno 1952, sento che hanno avuto una specialità, una forma speciale di grazie da parte del Signore. Il Signore ha raddoppiato, direi quasi, i suoi sforzi, le sue grazie, per far sì che io, Povero Servo, che tutti quanti i Poveri Servi, siano veramente tali per compiere i grandi disegni che lui ha sul mondo e che vuole proprio in quest’ora.
E la parola è questa: di ringraziare tanto il Signore. La parola è questa: Io li ho fatti tutti santi i miei cari figlioli!… Tutti siete santi. Guardate di essere sempre santi. Guardate di non peccare mai più, perché non vi succeda qualcosa di peggio.
Fratelli, corrispondiamo a tanta grazia, a tanti doni che ci ha fatto il Signore. Voi pregate per il vostro Padre che tanto e tanto ne ha bisogno, specialmente in questi ultimi giorni della mia povera vita. Ed io quanto penso e prego per voi, come sempre a voi sono vicino.
E poi un’altra parola che forse non ho mai detto in tanti e tanti anni. E la parola è questa: Io una volta mi trovavo al capezzale di un sacerdote quasi moribondo, ammalato molto grave, ed era il mio venerando e caro Padre, parroco dei SS. Apostoli, mons. Giacomelli, in principio dell’Opera.
E… ero lì, vicino al suo fianco, e mi guardava, e poi mi ha detto queste parole: Ah, Don Giovanni! Lei è a S. Zeno in Monte, terra santa e benedetta! e quelle parole mi son sempre rimaste nella mente.
Sempre le ho ricordate. E in questo momento mi pareva che il Signore mi dicesse: Dillo anche ai tuoi confratelli che S. Zeno in Monte è terra santa e benedetta!
Ricordatevi, o miei cari fratelli, di pregare sempre per S. Zeno in Monte. Guai a quei fratelli che fossero… che dimenticassero San Zeno in Monte. Sarebbe dimenticare il proprio padre, la propria madre, sarebbe dimenticare il Signore, perché il Signore a San Zeno in Monte, in questo monte santo, ha fondato la sua Casa, in alto, perché non pensiamo alla terra ma pensiamo sopratutto al cielo, al santo Paradiso.
San Zeno in Monte, terra santa e benedetta, o mio caro fratello! Terra santa e benedetta! Tutti quanti siete passati attraverso S. Zeno in Monte, tutti quanti a S. Zeno in Monte avete ricevuto e tutti quanti adesso: chi a Roma, chi a Maguzzano, chi a Ferrara, chi a Milano, dove siete, non dimenticate mai San Zeno in Monte.
Pensate a San Zeno in Monte, aiutate San Zeno in Monte, pregate per San Zeno in Monte, terra santa e benedetta!
Qualche volta – io – rare volte però – da qualche Borgata ho ricevuto qualche piccolo segno, una piccola anche offertina di niente: “Per Lei, Padre, per S. Zeno in Monte”. E dentro di me mi riempivo di gaudio. Sono segni di grande affetto e di grande amore.
Fratelli, siete a San Zeno in Monte, pensate a San Zeno in Monte, pregate per San Zeno in Monte, terra santa e benedetta. E state sempre uniti a S. Zeno in Monte, come figli al proprio Padre.
Aiutate San Zeno in Monte con la preghiera. Aiutate San Zeno in Monte con la preghiera. Aiutate San Zeno in Monte facendo tesoro di quelle grazie spirituali che il Signore vi ha fatto. State sempre a San Zeno in Monte. Pregate per San Zeno in Monte, terra santa e benedetta, e v’assicuro che tante altre grazie voi avrete, pensando, pregando, aiutando San Zeno in Monte.
Oh, miei cari fratelli! Sono terminati questi santi giorni. Oh, ringraziate, ringraziamo in Signore. guardate di uscire, usciamo tutti quanti come sono usciti gli Apostoli dal cenacolo, pieni di Dio, pieni di Spirito Santo, per le nostre anime, per salvare le anime e per compiere i grandi disegni che il Signore ha verso l’Opera dei Poveri Servi. Guai a noi, se non siamo in efficienza.
Fratelli, il pensiero di questa sera: Pregate, state uniti a San Zeno in Monte, perché da San Zeno in Monte siete partiti, a San Zeno in Monte avete ricevuto tanto, a San Zeno in Monte riceverete grazie e aiuti speciali. San Zeno in Monte è terra santa e benedetta!

* 8-9-1953
AGLI ALLIEVI DEL PATRONATO
Sia lodato Gesù Cristo!
Ringrazio e benedico il Signore, perché è stato Lui che vi ha portato qui a San Zeno in Monte. E’ stato Lui che vuole che in questo momento io povero e ultimo prete vi dica una parola.
E la parola che mi nasce dal cuore e che Gesù vi dice è questa: Per amor di Dio, o miei cari figlioli, guardate di corrispondere a questa grazia di partecipare a quest’Opera, di vivere nel Patronato.
Vivete bene, e Dio spanderà grazie, prima di tutto spirituali, e poi anche materiali. E un giorno sarete all’altezza della vostra vocazione secondo il Signore vi vuole, nello stato di figlioli, di sposi… quello che il Signore vorrà.
Siate buoni, corrispondete, ma corrispondete con i mezzi: vi raccomando tanto la preghiera. Pregate, perché nella nell’orazione vi è la forza e l’aiuto. Se gli uomini pregassero, il mondo sarebbe cambiato.
Vi raccomando tanto di non aver rispetto umano. Guardate di mostrarvi cristiani nel vero senso della parola. Vi raccomando tanto di amare la virtù, perché guardate che Dio è spirito e coloro che vivono e amano nello spirito, ricevono grazie abbondanti e doni particolari e capiscono certe cose, che il materiale e il carnale non è degno di poter capire.
Miei cari figlioli, pregate per me, ché io sono vicino alla grande chiamata. Vi voglio tutti intorno lassù, nel santo Paradiso, perché la vita è un dono di Dio. La vita, che l’ha data Dio, dobbiamo un giorno renderla, la vita, al Signore, secondo le grazie e i doni che vi ha fatto.
Benedico il Patronato.
Benedico i venerandi maestri, i cooperatori che Gesù ha trovato degni di essere aiutato in quest’Opera.
Benedico i vostri genitori.
Benedico i vostri parenti e invoco quelle grazie per il tempo che passa e per l’eternità che resta. Dio vi benedica. E in questo momento ricevete la benedizione del Signore.
Ave Maria…
Maria, auxilium christianorum…
Benedictio Dei…
Sia lodato Gesù Cristo…
Dio vi benedica. Pregate sempre per me, ne ho tanto bisogno.

* Ottobre 1951
ALLE “SORELLE” IN ESERCIZI, A S. TOSCANA
Vengo a nome di Gesù Benedetto a portarvi la sua santa e divina benedizione.
Sono sicuro, sorelle, che in questo momento e in questi giorni non avete dimenticato certo le grazie e i doni che il Signore ha fatto quando gli Apostoli si radunarono nel cenacolo per ricevere lo Spirito Santo.
Anche voi Gesù in questi giorni vi ha messo nel suo cenacolo e qui vi ha parlato, vi ha fatto tanti doni, tante grazie per le vostre anime.
E voi dovete uscire da questo cenacolo di questi santi giorni, come sono usciti gli Apostoli dal cenacolo apostolico: piene di amore di Dio, piene del desiderio e della volontà di essere tutte quante le spose di Gesù. Ma non a parole, ma a fatti! Veramente Povere Serve.
Il Signore quanti doni, quante grazie! Come vi ha parlato ai vostri cuori!
Per amor di Dio, sorelle, fate tesoro di questi doni, di queste grazie, e guardate di essere veramente sorelle povere, nel vero senso della parola. Beate voi, allora, perché le vostre anime cammineranno a passi giganti nella via della vostra santificazione.
Beate voi, o sorelle, perché allora la vostra Casa si ingrandirà e compirà i grandi disegni che il Signore vorrà.
Beate voi, perché anche l’Opera stessa andrà avanti, perché anche voi siete imperniate in quest’Opera grande che è l’Opera dei Poveri Servi.
Beate voi, anche, perché anche il mondo stesso, che va tanto male, si sentirà aiutato, ritornando al Signore per mezzo delle vostre preghiere, della vostra vita santa.
Ecco la parola che mi nasce in questo momento nel cuore per le vostre anime.
Che Dio vi benedica.
Guardate che sempre, ma specialmente ora, vi è bisogno di santi sacerdoti, di santi religiosi, di sante religiose, di popolo veramente cristiano. E solamente così, potrà il mondo trovare la vera pace.
Sorelle, pregate tanto per me, poverello, che né ho tanto e tanto bisogno, per fare la santa volontà di Dio qui in terra, e poi trovarci un giorno, tutti quanti, lassù nel santo Paradiso. Perché, ricordiamolo bene: siamo al mondo per questo: per conoscere, servire, amare Dio in questa vita, e poi goderlo per sempre nel santo Paradiso.
Domani, a Dio piacendo, nel calice santo, metterò nel calice santo, metterò i vostri proponimenti, perché il Signore li abbia ad accettare, a benedire, per le vostre anime, per l’Opera, per tutto quanto il mondo.
Nos cum prole pia…
Benedictio Dei…
Mi pare che in questo momento sorella Maddalena mi dica: Dica alle sue sorelle che facciano tesoro di questa grazia grande in quest’Opera, perché le aspetto con me in Paradiso, se saranno fedeli, per il grande premio riservato alle Povere Serve della Divina Provvidenza.

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DON CALABRIA – LETTERE COLLETTIVE ALLE SORELLE

LETTERE COLLETTIVE DI DON CALABRIA ALLE SORELLE

SORELLE * 5914 [Non datato]

Don Calabria, in un foglietto da lettera intestato “CASA DEL S. CUORE” Negrar (Verona), scrive come il Signore ha fatto nascere le Povere Serve della Divina Provvidenza.

PRO MEMORIA

La prima cellula delle Sorelle dei Poveri Servi venne dalle Suore della Misericordia, allora Superiora Generale Suor Mondin, che a nome mio domandò alle suore chi voleva spontaneamente aiutare la nascente Opera dei Poveri Servi, e molte risposero. Furono scelte una o due e a S. Giovanni in Valle con la Sorella De Battisti, vera Serva di Dio, là le Suore, con il permesso di mons. Ciccarelli loro Superiore, in silenzio lavoravano, quando un giorno venne da me Mons. Ciccarelli e mi disse: “Don Giovanni, con mio dispiacere devo dire che il Cardinale non vuole le Suore così libere e fuori dal loro posto”.

Lo ringraziai e subito sono andato dal Cardinale il quale mi diede lo stesso ordine. Ubbidii, ma subito chiesi a Sua Eminenza: “E se alcune buone donne si unissero insieme per lavorare accanto ai Fratelli, lei sarebbe contento?”.

“Approvo e benedico!”, rispose.

E così nacquero legittimamente, con la santa benedizione del Signore, le Sorelle dei Poveri Servi.

N.B. Sarebbe buona cosa, come esempio, far nota della vita delle prime Sorelle: Angelina, Perez, Fannio, Galbusera, e qualche altra, vere sante.

Pro memoria delle Sorelle.

Le Sorelle dei Poveri Servi abbiano, mutatis mutandis, le stesse Regole o Costituzioni dei Fratelli, lo stesso spirito di abbandono e il fine primo sia in tutto aiutare l’Opera dei Poveri Servi e poi tutte le altre opere di carità che la Provvidenza manifesterà.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S1 [Non datato]

Anche per le Povere Serve, come precedentemente l’aveva fatto per i Poveri Servi, don Calabria scrisse dinanzi al suo Crocifisso la volontà del Signore per esse. Questo prezioso documento non è datato, ma si suppone l’abbia scritto all’inizio dell’Opera. Dopo d’averlo “letto e riletto” lo ratifica l’11-2-1945.

Dinanzi al mio Crocefisso, per trovarmi tranquillo sul letto di morte e dover rendere conto al divin tribunale, mi sento di scrivere alcune cose, per fissare brevemente il piano, lo spirito e il programma delle Sorelle.

1. L’Opera delle Sorelle, sorta di pari passo con quella dei Fratelli, l’ha fatta il Signore, Egli ne è propriamente il divino Fondatore, ed ha per base e fondamento il grande programma: “Cercate in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia e avrete in aggiunta tutte le altre cose”.

2. L’Opera delle Sorelle deve avere per primo e principale scopo quello di coadiuvare il ramo maschile, disimpegnando nelle varie Case gli uffici più propri della donna: cucina, guardaroba, lavanderia.

3. Ne consegue, e mi pare sia questa la precisa volontà di Dio, che l’Opera delle Sorelle, pure conformandosi alle esigenze e prescrizioni dei sacri Canoni, non deve considerarsi del tutto a sé, staccata e diversa dall’Opera dei Fratelli; anche le Sorelle hanno il medesimo Fondatore che è Dio, lo stesso Padre che lo rappresenta quale custode e casante di tutta l’Opera, il medesimo spirito, analoghe finalità e regole di vita, uguale programma.

4. Se le Sorelle saranno fedeli a questo spirito, la divina Provvidenza affiderà ad esse altre opere di carità e di apostolato. specialmente a favore di fanciulle e giovinette povere ed abbandonate o comunque pericolanti, salvo sempre restando lo scopo primario di assistenza nelle Case dei Poveri Servi.

5. Anche le Sorelle come i Fratelli non abbiano nessun abito strettamente religioso; vestano come buone donne di civile condizione. Il loro distintivo sia la virtù, il contegno modesto, espressione di un interiore bene ordinato, di un’anima unita a Dio e piena di Lui.

6. Si chiamino, in analogia dei Fratelli “Povere Serve della Divina Provvidenza”; e procurino che il loro nome sia praticamente vissuto, nell’esercizio delle virtù in esso compendiate: povertà, umiltà, modestia, riservatezza, laboriosità, spirito di sacrificio, come cenci, senza testa, buseta e taneta, spirito di abbandono in Dio e alla sua paterna Provvidenza.

7. Nessuna dote sia richiesta per la loro accettazione; ognuna porti con sé quello che le compete di diritto.

8. Il Noviziato duri due anni, oltre il Postulandato; cominci con la consegna del Crocefisso che le Novizie porteranno fino alla prima Professione; i voti siano temporanei come quelli dei Fratelli; le pratiche di pietà non siano eccessive, dovendo le Sorelle condurre vita laboriosa, come a poveri si conviene.

Non trascurino tuttavia la vita interiore, alla quale anzi daranno grandissima importanza, essendo fulcro e fondamento della perfezione cristiana e religiosa.

9. Caratteristica delle Sorelle sia la carità e l’unione dei cuori. Si amino a vicenda nel Signore, siano una cosa sola fra loro e con i Superiori, così da edificare le anime che avvicinano. meritando la lode che veniva data ai primi cristiani: “Guardate come si amano”!

Quanto so e posso raccomando l’osservanza della clausura e il massimo riserbo nel trattare con i Sacerdoti e i Fratelli, e in generale con le persone d’altro sesso.

10. Sento che lo Spirito Santo darà lumi e grazie tutte particolari alla Superiora Generale delle Povere Serve, e per conseguenza raccomando di tenere in molta considerazione e far molto conto di quanto ella dice e consiglia, non solo nelle ordinarie contingenze della vita quotidiana, ma particolarmente nelle riunioni consiliari, quando ci sono delle decisioni importanti da prendere.

In tali riunioni si invochi fin da principio l’aiuto e l’assistenza dello Spirito Santo affinché, evitando le vane e inutili discussioni, si trattino gli interessi della Congregazione unicamente nella luce divina, senza nessuna preoccupazione che prevalga l’opinione di questa o di quella Sorella Consigliera, ma cercando solo ciò che si crede possa maggiormente piacere al Signore.

11. Quello che non è lecito ai Fratelli, non è lecito alle Sorelle: come promuovere questue, pesche di beneficenza, fare della pubblicità a scopo di qualche materiale vantaggio.

12. Le Sorelle si tengano onorate di servire il Signore nei Sacerdoti e nei Fratelli; indirizzino preghiere e sacrifici per la loro santificazione, e siano disposte di andare dovunque il Signore le chiamerà, in qualunque luogo ed ufficio, umile od alto che sia.

In C. J. Sac. J. Calabria

Verona, 11-2-1945

Letta e riletta la presente, quanto so e posso ne raccomando la esatta osservanza, riflesso della santa volontà di Dio e sicura valvola di salvezza dell’Opera delle Povere Serve. Mi raccomando alla carità delle preghiere.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 56 del Diario 5-5-1915

Fin dall’inizio don Calabria aveva capito che Il Signore voleva che le Povere Serve si dedicassero, come i Poveri Servi, ai più poveri e abbandonati, anche con attività proprie, ed ebbe il coraggio di dire al suo Vescovo che lo dissuadeva: “Eminenza, c’è molto bisogno di salvare queste anime”. Lui stesso ce l’ha confidato nel suo Diario.

Nell’ordine della divina Provvidenza, la presente giornata deve essere di certo grande, perché sarà inizio di altre opere per la maggior gloria di Dio e bene delle anime.

Ieri fui da Sua Eminenza per un affare tutto particolare della Casa. Dopo di avermi ascoltato e di avermi detto quello che in Domino le pareva, mi parlò delle Sorelle, che, secondo il suo permesso, si sono dedicate all’Opera, pronte a fare quello che la divina Provvidenza vorrà.

La divina Provvidenza le ha benedette quelle Sorelle e dopo di essere state in una casetta piccola, piccola, per quasi cinque anni, finalmente diede loro una casa grande, l’attuale S. Benedetto, segno evidente e chiaro che la divina Provvidenza approva quello che il Vescovo aveva approvato facendo perfino dare la chiesa col Santissimo.

Ma ieri Sua Eminenza, certamente mal informato da persone mosse da gelosia, o altro, mi disse: “Che cosa fate delle Sorelle?” Io in Domino risposi: “Quello che la divina Provvidenza vorrà. Per ora lavorano per la Casa, e adesso hanno precisamente una povera anima di 15 anni tolta proprio dalla strada del vizio e da tutti rifiutata”. Sua Eminenza disse: “No, no, è meglio, adesso che è migliorata, ridarla”. Feci osservare che c’è molto bisogno di salvare queste anime. Ma Lui disse: “No!”.

Ed io ho subito obbedito, persuaso che l’ubbidienza porta sollievo e che tutti siamo strumenti nelle mani della divina Provvidenza. Credo che Sua Eminenza sia un mezzo e che da negativo, verrà positivo e si salveranno tante di queste povere anime.

SORELLE * 3905 Verona, 15-2-1911

Sorelle in Gesù Cristo, Povere Serve,

Ho fatto il poltrone e null’altro che il poltrone in questi giorni; anche in questo ho avuto campo di conoscere la mia miseria estrema, e il bisogno che ho di compatimento da tutti, comprese le Sorelle. Raccomando tanto di stare allegre nel Signore.

Oh Sorelle: servite il Signore! Vi par niente? Non dovreste essere sempre contente? Sì, sì, sempre allegre e contente, anche quando il mondo vi correrà dietro e vi prenderà in giro, allora godete di più.

Vi raccomando tanto di essere buone, proprio buone, non a parole, ma a fatti, non solo nel sereno, ma anche nel temporale. Unite sempre con Gesù, avanti in questo modo.

Pregate sempre per il Vostro Padre

Sac. J. Calabria

SORELLE * 3906 S. Vigilio (Brescia), 23-5-1911

Sorelle in Cristo

Vorrei dirvi tante cose, ma lo sapete io sono sempre stato e sono un poveretto, non so altro che dire: “a, a, a”. Quello che sento di dirvi e che il Signore vuole che vi dica è questo: Fatevi Sante; stimate, apprezzate, la grazia grande, anzi grandissima che il Benedetto Gesù vi ha fatto.

Vivete morte a tutto, vive solo a Gesù. Ciò che dico ai Fratelli dico anche a voi: Guardate che Gesù vi guarda con occhi di speciale predilezione, che Gesù ha dei grandi disegni su di voi, per amor di Dio, guardate di non rompere questi disegni.

Siate docili, umili, pazienti, piene di carità, e in modo speciale vivete abbandonate alla divina Provvidenza; non abbiate nessun pensiero, solo Gesù, e l’anima vostra.

Guardate che presto vien sera e quello ch’è fatto è fatto. Sempre prego per voi, ma voi pregate per questo povero prete che di cuore vi benedice.

In C. J.

Sac. J. Calabria

SORELLE * 3907 Venezia, 19-6-1911

Sorelle in Cristo

Prima di scrivere questa mia povera lettera mi sono raccomandato al Benedetto Gesù affinché si degni d’ispirarmi quello che devo dirvi e per il bene dell’anima vostra e per quello della casa ed ecco Sorelle quello che mi sento di darvi: Fortunate Voi che siete chiamate a questo stato che nei disegni di Dio è destinato a cose grandi, basta però che voi cooperiate.

Per amor di Dio, per amor di Dio, stimate tanto questa grazia e fate di tutto per essere degne. Quello che vi raccomando è di avere un grande amore per i consigli Evangelici: Purità, Povertà, Ubbidienza, Carità, e in modo speciale totale abbandono in mano della divina Provvidenza, disposte a tutto, ad essere lo zimbello del mondo.

Se Voi amerete Gesù, veramente, queste cose vi faranno gioconde. No, no, non vi turbino i patimenti, le umiliazioni ecc., non vi spaventi il diavolo, voi siete di Gesù, Gesù vi ha chiamate, con vocazione speciale, e state sicure che nessuno vi può nuocere.

Quando avete qualche ora triste fate così: raccoglietevi in voi stesse, guardate e meditate un po’ il Crocefisso, e tutto sparirà. Vi raccomando tanto una con l’altra datevi buon esempio e animatevi a vita perfetta.

Pregate tanto per questo povero prete affinché cominci una buona volta ad amare davvero Gesù.

Benedicendovi tutte mi dico in Corde Jesu

Sac. J. Calabria

SORELLE * S34 S. Ritiro di-5-1914

Conferenza spirituale per il giorno di S. Ritiro mensile alle Sorelle della Casa.

Sorelle in Gesù Cristo, ringraziate di vero cuore il Signore che alle tante grazie che vi ha fatte e continuamente vi fa, ne aggiunge in questo momento un’altra specialissima: è questa di chiamarvi qui ai suoi piedi. Deh, per amor di Dio, stimatela, apprezzatela questa grande grazia e subito separatevi da tutto e da tutti per non pensare ad altro che a Dio e alla vostra anima e nel silenzio, nel raccoglimento ascoltare, meditare, e mettere in pratica quello che io povero sì, ma pure messo a custode di questa grande Opera della divina Provvidenza, in nome di Dio vi dirò. Non guardate, non, alla persona che vi parla, ma a Gesù che per mezzo di questo poveretto vi parla.

Cosa vuole, o Sorelle, Gesù benedetto da voi? Vuole che siate tutte sue, ma sue nel vero senso della parola. Fino a tanto che non sarete arrivate a questo punto Gesù non sarà contento di voi e questa grande Opera alla quale voi, noi, per puro tratto speciale di Sua bontà ci ha chiamati, non potrà sviluppare i suoi grandi disegni che sono, e si compendiano in questo: diffondere il santo Regno di Dio sulla terra, salvare tante, ma tante anime, e con queste santificare e salvare le anime nostre.

Esaminiamoci un poco, qui davanti a Gesù Sacramentato. Può la vostra coscienza testificare e dire con sicurezza: io sono tutta di Gesù? Da quando ho cominciato a por piede in questa santa Casa mi sono spogliata di tutto, mi sono data e sono tuttora del mio Gesù? Racconta Plutarco che in Roma quando la sposa giungeva in casa dello sposo doveva dirgli queste parole: Ubi tu Caius, ego Caia, che vuol dire: dove sarai tu mio sposo con la tua volontà ivi sarò anch’io con la mia.

Ecco quello che vuole Gesù benedetto da voi, dal momento che siete entrate in questa santa e benedetta Casa. Continuamente Gesù a Voi dimanda il vostro cuore, la vostra volontà, tutte voi stesse; voi avete dato un intero addio al mondo, vi siete scelto Gesù per vostra porzione, per vostra eredità, siete le spose di Gesù, dunque Gesù deve essere tutto vostro, voi tutte di Gesù.

Il nostro cuore non può vivere senza amare, o ama Dio o ama le creature, se non ama le creature, di certo deve amare Dio. Ricordiamoci che fino che il nostro cuore amerà Dio avrà vita, ma se collocherà il suo amore in se stesso, nei suoi comodi, nelle creature, avrà morte. Sorelle ricordatevi che qui vi dovete far sante; essere tutte di Gesù, ma condizione principale per essere tali è il discacciare dal cuore ogni cosa che non è Dio. Oh perché quella Sorella va alla Comunione, fa le sue pratiche di pietà, ma non va mai avanti nella via della sua santificazione, sempre con quel suo temperamento, sempre con quel amor proprio, con quella poca pazienza con quelle mancanze di carità, ecc…? La ragione, il motivo è chiaro, è perché va a Gesù, sta con Gesù con il cuore pieno di terra ossia di affetti di stima di se stessa, di amore alla propria volontà di attacchi alle creature, ai parenti ecc..

Sorelle in Gesù Cristo, tenetevi bene a mente, se volete che Dio sia vostro, e Voi di Dio, andate a Lui con il cuore distaccato, vuoto dalle cose di questa terra, e in tutte le vostre azioni, in tutto il vostro agire, il vostro operare, cercate solamente, unicamente Gesù, ricordatevi che ogni attacco che avete alla terra, per quanto piccolo sia, è un ostacolo che vi impedisce di andare a Gesù.

Tutti quanti gli uomini devono amare il Signore. Iddio stesso ne ha fatto un comando: “Diliges…” Ama il Signore…; ma ricordiamoci che questo precetto è in modo speciale diretto ai religiosi, a coloro che si sono volontariamente dati alla sequela di Gesù, in modo specialissimo è dato per noi che siamo membri di questa Casa tutta di Dio in modo speciale e tutto provvidenziale. Il Venerato Padre Giuseppe della Croce ad uno dei suoi Frati che diceva di essersi fatto religioso per salvarsi l’anima: “No figlio – gli rispose – di’ piuttosto che ti sei fatto religioso per farti santo!”. Sorelle, prima di tutto ricordatevi che siete qui per farvi sante, e guai a voi se non adopererete ogni mezzo per questo fine, meditate, considerate le vie, i mezzi che Gesù benedetto à usato per chiamarvi in questa Casa, le grazie che continuamente vi fa e che come un coro di voci vi dicono e vi ripetono: “Amate, amate Gesù; seguitelo, fatevi sante!”. Un cuore che ama Dio veramente, disprezza tutto e tutto riceve con santa pace, e carità, e nelle cose che più feriscono il suo amor proprio, in quelle più benedice Dio, perché gli danno occasione di mostrare non a parole, ma a fatti il suo amore. Quando la casa brucia dice S. Francesco di Sales, si gettano tutte le robe dalla finestra; e vuol dire che quando un’anima arde dal divino amore, non ha bisogno di nulla, il fuoco dell’amor di Dio la sostiene, la consola, la fa felice in mezzo alla mancanza di tutto.

Ma perché o Sorelle io in questa sera ho dato principio a questo santo ritiro con raccomandarvi di essere tutte di Dio, di amare tanto Gesù? Ah Sorelle, se voi siete tutte di Gesù, allora voi sarete come il fuoco, che non si contiene, ma si dilata, si diffonde; così voi investite dall’amore di Dio tutta quest’Opera, e quando quest’Opera ha Dio, ha tutto, e nessuna cosa, e nessuno ostacolo teme. Sorelle siate tutte di Gesù, siamo tutti di Gesù, ma per essere tutte di Gesù, è necessario, assolutamente necessario, morire al mondo, morire a noi stessi.

Il mondo lo avete lasciato, ne avete dato l’addio, ma ricordatevi che non si muore senza prima patire per amore di Gesù. Ecco che nella Sacra Scrittura il Regno dei Cieli è paragonato ad un tesoro che per acquistarlo è necessario vendere tutto; o ad una città e per entrarvi bisogna faticare essendo la porta stretta; o ad un palazzo, dove le pietre che sono le anime nostre devono essere lavorate a colpi di scalpello; ora ad un convito ove per entrare bisogna lasciare tutti gli altri affari, ora ad una corona per ottenere la quale bisogna combattere; in una parola vuol dire che per morire al mondo e a noi stessi, si deve continuamente combattere l’amor proprio.

Oh sì, Sorelle, tutti i disordini, tutti gli incagli, tutta la tiepidezza di una Comunità, il poco avanzamento spirituale, dipendono dall’amor proprio. Una Sorella che ama Gesù, che ha posto tutto il suo amore nel suo Dio, ogni cosa le riesce facile: è paziente è benigna, è caritatevole, è obbediente, è convinta della santa povertà, della mortificazione, in una parola, gode, e fa godere il Paradiso alla sua Comunità, e a se medesima. Che cosa dovevo fare per te Sorella, mi par che dica in questo momento Gesù, che cosa dovevo fare che non abbia fatto? Sorelle riflettete, ma seriamente, a quello che ha fatto Gesù per voi, e ricordatevi che amore domanda amore; Gesù si è dato ci ha chiamato in modo speciale a Lui. Ah, guardate di essere in modo tutto speciale sue, ma sue non a parole, non a desideri, ma in pratica. L’osservanza scrupolosa, esatta delle vostre sante regole, carità mutua, vicendevole, obbedienza a chi tiene il luogo di Dio, totale assoluto abbandono in Dio e alla sua divina Provvidenza. Disposte a tutto: questa parola ho la coscienza di averla detta a tutte e a ognuna di voi prima di entrare in questa Casa e dopo entrate. Voi avete detto sì, ma questo per qualcuna fu un sì di parola, che se non si rimedia le sarà di eterna condanna.

Sorelle termino questa istruzione e termino con raccomandarvi di scolpirvi ben, ma ben nella mente questi mezzi che vi faranno tutte di Gesù, che deve essere il frutto di questo santo ritiro.

I. Cominciando da questo momento dite e ripetetelo spesso: “voglio farmi santa, voglio essere tutta di Gesù”.

II. Studiate spesso la Vita di Nostro Signore Gesù Cristo e della Sua Santissima Madre la Vergine benedetta.

III. Fuggite qualunque peccato o difetto pienamente volontario, ma se cadete, non agitatevi, non scoraggiatevi, ma umiliatevi, pentitevi e mettetevi subito in pace.

IV. Troncate ogni attacco alle creature, alla vostra volontà, e stima propria.

V. Fate le vostre pratiche di pietà con la massima perfezione.

VI. Preferite sempre quell’azione che sapete più cara a Dio o più contraria all’amor proprio.

VII. Ricevete con santa allegrezza e dalle mani di Dio tutte le contrarietà che vi accadono.

VIII. Protestate di non volere altro che il santo volere di Dio.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S/34/A Verona, 18-8-1920

Sorella M. Fannio,

Una speciale benedizione alle Sorelle della Casa filiale di Costozza, perché con docilità, umiltà, carità cooperino ai disegni di Gesù benedetto e salvino le loro anime. Pregate sempre per il vostro

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S/34/B Verona, 28-2-1921

Sorelle, fatevi gran sante, e subito sante.

Di gran cuore vi benedico e pregate per il povero

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 2409/E Verona, 29-5-1924

Sorella in Gesù Cristo,

Rispondo subito alla sua lettera per ringraziare lei della carità della veste; il pacco spero riceverlo presto, e spero che andrà bene.

Quanto so e posso raccomando a tutte loro di mantenere, non a parole, ma a fatti lo spirito di questa gran Opera nata dal Sacro Costato di Gesù; in modo speciale la carità, tanto voluta da Gesù benedetto, l’intero abbandono in Dio, lo spirito di umiltà. Ora hanno veduto e vedranno cose grandi e ne vedranno anche di maggiori, se saranno docili, umili e ascolteranno, finché la misericordia del Signore mi tiene, questo povero prete.

Le Sorelle furono in questo tempo soggette a prove; beate quelle Sorelle, che senza mormorazioni e critiche hanno baciato la mano di chi in nome di Dio regge questa Casa, queste saranno le elette in Cielo, e serviranno di bene e fondamento per l’Opera di Dio in terra.

Quando verrò? Non lo so neppure io; sempre prego e le benedico; anche loro preghino per me, perché ne ho gran bisogno.

Benedicendo tutte,

in C. J. Sac. J. Calabria

Alla Sorella Gertrude [Meneghetti]

Villa Salute Pilastroni

Diretta dai Fate-Bene-Fratelli – Brescia

SORELLE * S/34/C Verona, 27-6-1922

Alle Sorelle di Costozza,

Fra i tanti miei dolori, nelle prove che sono inerenti a questa gran Opera di Dio, mi è di gran conforto il pensare alla Casa di Costozza.

Prego il benedetto Gesù che infiammi questa Comunità dello spirito di Gesù benedetto, affinché possa compiere i disegni divini, e poi, tutta un giorno nel santo Paradiso.

Pregate tanto per la povera anima mia. Di gran cuore vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE 11/A Terrossa, 7-2-1923

Alle Reverende Sorelle di Costozza.

Benedico tutte le buone Sorelle della cara Casa di Costozza.

Mi raccomando alla carità delle orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S/34/D Verona, 22-8-1923

Sorella in Gesù Cristo,

Quando a Dio piacerà, e spero sia presto, verrò a Brescia. Intanto raccomando che tutto sia fatto in carità.

Dica alle Sorelle la grande responsabilità che hanno davanti a Dio, come le dissi a voce: devono essere la semente dell’Opera. Dio compirà i suoi disegni, se saranno fedeli alla loro vocazione.

V’è tanto bisogno di preghiere, perché il demonio lavora non poco, ma Dio trionferà, se noi vivremo secondo lo spirito di questa gran Casa.

Sempre prego e di gran cuore benedico tutta la Comunità, che spero sarà sempre secondo i desideri del Sacro Cuore di Gesù. Nei miei dolori mi è di sommo conforto sapere che la Comunità di Brescia ama e serve davvero Gesù.

I denari li tenga fino al mio arrivo.

Benedicendo, a tutte mi dico

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S6 Verona, 3-2-1924

Buone Sorelle,

Oh come mi è di sommo conforto in mezzo alle continue prove che ho, il sapere che i Fratelli, le Sorelle fanno bene, amano davvero il Signore, e sono con Lui generose.

Questo spero sarà sempre di loro, con la santa vita, con il buon esempio, con l’abbandono in Dio, in una parola con il “Cercare il Regno di Dio e la Sua giustizia”; oltre che santificare le loro anime, portano un gran contributo a questa gran Opera, e vanno compiendo i disegni di Dio.

Di gran cuore benedico tutte, mi raccomando alle loro orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S6/B Verona, 14-4-1924

Sorelle in Gesù Cristo,

Buona e Santa Pasqua a tutte, augurando che tutte diventino sante, ma proprio sante.

Se loro tenderanno per questa via, beate loro e tutta la Casa Madre che il Signore di certo manderà, ma a patto che loro siano proprio buone.

Ho bisogno tanto di orazioni. Quanto so e posso mi raccomando.

Benedicendo tutte,

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S6/C Costozza, 12-7-1924

Alle Sorelle,

Ai piedi di Gesù Crocifisso.

Regni fra loro la carità che è l’essenza di qualunque Casa religiosa maschile o femminile. In questo conosceranno che siete miei seguaci, se vi amerete gli uni gli altri.

Non vadano cercando altre cose, non pensino che sono senza indirizzo, poiché avendo l’indirizzo della carità, sono sulla via reale che conduce sicurissimamente al Cielo, alle vette della perfezione. Alla fine, come fece Gesù ad arrivare al compimento della sua missione e alla glorificazione da parte del Padre? Ecco: “avendo amati i suoi, sino alla fine li ha amati!” ll resto, le regole, le Costituzioni, le virtù, ecc. ecc., direi che sono di valore secondario. “Se hai la carità, anche se è sola, ti basta”, dice S. Agostino.

Dirò meglio che, tutto dev’essere derivato dalla carità.

Se le Sorelle, sulla traccia di Gesù, che disse: “Amatevi, come io vi ho amati” (ed Egli ci ha amati come il Padre ha amato lui, quindi di un amore infinito, di un amore invitto ed invincibile, che ha saputo arrivare al più intero ed eroico sacrificio di sé: “Nessuno ha carità più grande di colui che pone la sua vita per i suoi amici”!).

Se, dico, le Sorelle si distingueranno nella carità, saranno vere Religiose; se cresceranno nella carità, saranno perfette nella vita religiosa. Se avranno la carità, hanno ragione di essere raccolte in questa Casa. Se ne fossero prive, sarebbe meglio non rimanessero, meglio ancora, non fossero mai venute.

Se avranno la carità, saranno le predilette del buon Dio, e saranno ricolme di benedizioni, loro e quelli per i quali esse servono e lavorano.

Sia la loro carità grande, affettuosa, sincera, disposta al sacrificio; sia una carità umile, non invidiosa, semplice, amabile, veda bene dappertutto, in tutti, non pensi male, interpreti in bene. Beati quelli che seguiranno questa regola: la pace e la benedizione sopra di loro.

SORELLE * S6/D Verona, 14-8-1924

Sorelle in Gesù Cristo,

Si facciano sante, corrispondano alla grande grazia, siano strumenti docili, umili, obbedienti e il Signore, adagio, adagio, compirà i suoi disegni.

Preghino per me. Benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S6/E Verona, 11-10-1924

Sorelle in Gesù Cristo,

Nei santi spirituali esercizi ho pregato per loro, per tutta la nascente Opera. Che in tutto e sempre, nella pazienza, nella umiltà, nell’obbedienza, si compiano i divini voleri e in terra e in Cielo.

Benedico. Preghino per il povero

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S6/F Verona, 22-12-1924

Sorelle in Gesù Cristo,

Buon Santo Natale nel Signore. Che il celeste Bambino ci faccia tutti risorgere ad una vita tutta conforme alla nostra speciale vocazione, piena di umiltà, carità, obbedienza, mortificazione.

Beati noi, beate voi se avrete questo spirito.

Vi raccomando tanto di pregare per chi benedicendo si dice

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S6/G Verona, 31-12-1924

Buone Sorelle,

In questo momento ricevo il pacco che, nella loro carità, hanno mandato. Mi fu gradito, ma mi sarà sempre più gradito, se con la Grazia del Signore, andranno avanti nella loro santificazione e vocazione, per così compiere i disegni di Dio.

Preghino tanto per il povero

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S6/H Verona, 14-1-1925

Sorelle in Gesù Cristo,

La Provvidenza madre amorosa, non ha disposto che possa venire; diciamo il nostro fiat. Ora sto meglio, ma non bene. A Dio piacendo, spero venire quanto prima, loro preghino il Signore e tengano sempre pulita la strada, affinché possa passare la Provvidenza e compiere i suoi disegni.

Raccomando che siano tanti cenci, senza testa, piene di fede e obbedienza in tutto e per tutto a quello che il Signore vorrà; ascoltando questo povero prete. Solamente così si edifica e ci si santifica.

Spero che Don Battisti sarà ancora lì; facciano i miei saluti e tutte preghino per il povero

in C. J. Sac. J. Calabria

Alla Sorella Gertrude

Casa Salute

Fate-Bene-Fratelli

Pilastroni – Brescia

SORELLE * S6/I Verona, 7-2-1925

Sorella in Gesù Cristo,

Scrivo a lei per tutte, dicendo che sono stato contento della visita e del buono spirito che, con la grazia del Signore, informa la Comunità.

Mi raccomando alle preghiere e invoco su tutte ogni bene.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S6/L Verona, 6-4-1925

Sorelle in Gesù Cristo,

Che Gesù risorto porti una fitta pioggia di grazie a tutte loro, e le faccia tutte proprio secondo lo spirito di questa grande Opera, che è spirito di docilità e umiltà, in una parola: essere senza testa. Oh la testa Sorelle, quanta rovina e morte può portare in quest’Opera.

Dobbiamo sempre avere in mente, che se noi questa benedetta testa non la buttiamo via, la butta via, ce la distacca il Signore stesso.

Quanti esempi io ho veduto in quest’Opera, di persone che parevano necessarie, che da principio erano senza testa, ma dopo si ricordarono di averla, l’hanno alzata e Dio stesso gliel’ha staccata.

Per amor di Dio, che non succeda a nessuno di noi e non succederà, se in tutto e per tutto dipenderanno e ascolteranno questo povero casante, che fino che la misericordia di Dio mi tiene, è il solo davanti al Gran Padrone responsabile.

Ho bisogno di tante preghiere e per queste mi raccomando a loro.

Benedicendo a tutte

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S7 Verona, 17-4-1925

Sorelle in Gesù Cristo,

Le Sorelle sono arrivate, e sono stato tanto edificato dello spirito di umiltà e di ubbidienza; ho misurato il loro dolore, ma nel medesimo tempo sono stato contento del loro sacrificio.

Io spero che il Signore avrà accettato e benedetto questi sacrifici. Che l’anno santo sia l’anno delle grazie e che anche le Sorelle trovino il loro terreno per diventare grande pianta.

Dio benedica tutte; preghino per me, si facciano sante, facendo la santa volontà di Dio.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S8 Verona, 1-5-1925

Sorelle in Gesù Cristo,

Spero che tutte staranno bene nel Signore, e che nella virtù vera, nell’abbandono, nella obbedienza compiranno i grandi disegni del Signore, che domandano e vogliono perfetto e intero abbandono in Lui. Siamo nel mese della Madonna. Mese di grazie e di favori, raccomando di farlo bene questo mese; e beate Loro.

Da poveretto, come sono, prego e benedico tutte. Loro preghino per tutta l’Opera e in modo particolare, perché nella prova siamo contenti. Al punto della morte, e in Paradiso, come benediremo il Signore.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE [S8/A Verona, 8-6-1925

[In calce alla lettera di Maria Gagliardo scritta alla Reverenda sorella Gertrude]

Sorella in Gesù Cristo

La croce, la prova è il segno di Dio. Speriamo che presto per mezzo del dolore la Provvidenza ci metta a posto.

Le raccomando di non stancarsi e di curarsi. Facciano quello che possono. Preghino tanto per me.

Benedico tutte,

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S55 Verona, 9-8-1925

Sorelle in Gesù Cristo,

Le croci, le prove, le angosce sono sigillo dell’amore di Dio per noi. Con la fede ringraziamo il Signore, e diciamo: “Tutto quello che è buono per Gesù è buono anche per me”.

Si faccia santa e ami il Signore nella prova; preghi per l’Opera.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S55/A Verona, 21-10-1925

Sorelle in Gesù Cristo,

Ho pregato e prego che Gesù vi sostenga e vi usi la sua misericordia.

Vi benedico, pregate tanto per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 5829/M 24-3-1926

Sorelle in Gesù Cristo,

Continuate la via che Gesù vi ha assegnato, fate tutto per suo amore, pregate tanto, ma tanto per me e non dubitate che Gesù compirà i suoi disegni. Benedicendo

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 2653 Verona, 25-12-1929

Buone Sorelle,

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con tutte le buone sorelle di S. Benedetto.

Il Santo Natale segni per tutte una nuova tappa nella loro santificazione.

Buon Natale.

Benedicendo e raccomandandomi alle preghiere.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S35 Verona, 25-12-1931

[Alla Sorella Natalia Fainelli - Este]

Una fittissima pioggia di grazie spirituali, e in aggiunta anche temporali, discenda in questo santo giorno del Natale in tutte le buone Sorelle della Casa Buoni Fanciulli, con l’augurio e la preghiera, unita alla sofferenza del Padre, che, se a Dio piace, sarà presto compiuto del tutto uno dei grandi disegni che la Provvidenza ha sopra le Sorelle, disegno che darà tanta gloria a Dio e farà del bene alle anime.

Ciascuna Sorella, unita alla Superiora, porti il suo contributo, nella fede, nella generosità, nel pieno abbandono nelle braccia della Provvidenza in tutte le prove, che sono le vere ricchezze del Signore.

Benedico tutte, e tutte preghino per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S35/A Verona 5-1-1932, Vigilia dell’Epifania

Sorelle in Gesù Cristo,

La grazia, la pace di Gesù benedetto sia sempre con tutte le buone Sorelle della Casa Buoni Fanciulli.

Domani è una grande festa per tutta la Chiesa, ma anche una grande festa per noi, o Sorelle, perché avete la grande grazia di fare o rinnovare i santi Voti. Oh qual grazia il buon Dio vi fa, per amor di Dio, guardate di corrispondere e la giornata di domenica, l’Epifania del 1932, segni per tutte e per ciascuna di voi una grade tappa nella vostra santificazione; ma non dimenticate mai e poi mai, che il Signore vi ha chiamate qui nella sua Casa, con un atto di predilezione tutta particolare. Ricordatevi che questa è la Casa di Dio e che qui avete tutti i mezzi per santificarvi e per compiere i divini disegni. Studiate, studiate il grande Modello Gesù e procurate di uniformarvi a Lui, specie nella santa umiltà, nella povertà e nel totale abbandono, specie nelle prove che ci manderà.

Sorelle, il Signore vi ama, il Signore vi predilige, oh, amate, amate e servite il Signore!

Nelle mie prove e sofferenze spero che si matureranno i disegni del Signore, voi pregate e vivete secondo lo spirito particolare della vostra vocazione.

A Dio piacendo la santa Messa di domani sarà per voi, per tutte le vostre intenzioni, perché vi facciate sante. Che il Signore vi benedica tutte e che tutti un giorno ci possiamo trovare in Paradiso.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S36 12-12-1933

Una benedizione tutta particolare alle buone Sorelle, perché amino tanto e seguano Gesù nella via che la Provvidenza ha loro tracciata, con l’augurio che arrivino al monte della santità.

Ringraziando e raccomandandomi alle preghiere.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S36/A Verona, 24-7-1934

Alle Sorelle dei Buoni Fanciulli – Gallio,

Benedico le buone Sorelle e mi raccomando tanto alla carità delle orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 31/A S. Natale 1934

A tutte le buone sorelle del Noviziato.

Grazie e celesti benedizioni per il santo Natale, mentre mi raccomando alla carità delle orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S36/B Roncà, 30-12-1934

Buone Sorelle,

Ringrazio di cuore, benedico raccomandandomi alle vostre preghiere.

Benedico tutte le buone Sorelle della cara Casa di Costozza.

Mi raccomando alla carità delle orazioni.

In C. J: Sac. J. Calabria

Alle Rev. Sorelle

Casa Buoni Fanciulli

Costozza (Vicenza)

SORELLE * S37 24-3-1935

Il Signore che passa sopra questa grande sua Opera, passerà di certo anche sulle Povere Sorelle [Povere Serve] che dal principio dell’Opera lavorano per Lui.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S37/A Verona, 4-4-1935

Alle buone Sorelle Romane,

perché guardando ed imitando Gesù, si facciano sante e perché preghino per il povero

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * A2 Verona, 18-12-1935

Buon Natale, Buon Anno, nella grazia e nella pace di Gesù Bambino, Redentore del mondo.

Sac. Giovanni Calabria

Buone Sorelle

della Casa Buoni Fanciulli

Costozza (Vicenza)

SORELLE * S10 3-10-1936

Buone Sorelle Romane,

La pace del Signore sia sempre con voi. La benedizione del Signore scenda copiosa sulla vostra piccola, ma grande Comunità, se a capo vi sarà sempre Gesù. Vi ricordo sempre e prego; quanto so e posso mi raccomando alla carità delle orazioni vostre, mai come adesso ne sento il bisogno. Pregate anche per vedere cosa vuole Gesù riguardo a Roma e (se devo) venire sì o no.

Fatevi sante per la croce che è luce, gaudio per chi vuol amare Gesù.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S11 31-5-1937

Buone Sorelle,

La pace del Signore sia sempre con noi.

Questa mia povera lettera vi porti la santa benedizione del Signore, che vi sostenga, vi aiuti, vi consoli e vi guidi nella via che ha segnato Gesù, sia di croci, di patimenti, ma poi via che conduce alla gloria eterna del Cielo.

Ringrazio, ringraziamo il Signore per la salute e le grazie che ha concesso alla Sorella Beatrice.

Vi benedico, e usatemi la carità di pregare sempre per me, e per l’Opera di Dio.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S11/A Verona, 4-7-1937

Buone Sorelle,

Celesti grazie, elette benedizioni su tutte le Sorelle e Novizie della Madonna di Campagna, con l’augurio e la preghiera che amino tanto, ma tanto Gesù nel servizio del prossimo, viva sua immagine.

Raccomandandomi alle preghiere, benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S11/AA Roncà, 22-3-1938

[Fainelli]

Prego, benedico lei e tutti della casa di Nazareth, mentre mi raccomando alla carità delle preghiere, avendone estremo bisogno.

In C. J. Sac. J. Calabria

Prego per il caro malato che benedico.

SORELLE * S11/B Verona, 1-12-1938

Buone Sorelle,

La santa benedizione del Signore, pegno di grazie e doni celesti, scenda copiosa sulle buone Sorelle della Casa di Cura di Garda, con l’augurio che santificando le loro anime, sempre più diano gloria a Dio, servendo i poveri e cari malati, viva immagine di Gesù.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S11/C Verona, 21-12-1938

Alle Sorelle di Costozza,

Buon Natale, Buon Anno.

Scendano sulle nostre Case gli Angeli del Signore, come un giorno sulla grotta di Betlem; vi portino abbondanti le grazie del celeste Bambino Gesù, che rendano la vita nostra un inno di gloria a Dio e un efficace contributo alla pace tra gli uomini.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S38 7-9-1939

Sorelle Buoni Fanciulli Campo-Velo,

Che Gesù le faccia sante per mezzo della piena conformità alla divina Volontà.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S39 16-9-1939

La santa benedizione del Signore scenda copiosa, ricca di doni dello Spirito Santo, su tutta la Venerabile Comunità delle Ancelle dei Poveri Servi, vulgo Sorelle Buoni Fanciulli.

Con l’augurio e la preghiera che tutte escano dai Santi Spirituali Esercizi in pace, unite nell’amore di Dio, disposte a tutto, respirando lo spirito puro e genuino dell’Opera di Dio. Oh come sono beate, e spero tutte, quelle Sorelle che nella mente e nel cuore non hanno altro che questo pensiero: Cercare la gloria di Dio, il bene del prossimo e il bene dell’Opera dei Poveri Servi, che ha dato loro la vita.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S58 Maguzzano, 23-11-1939

Alla Sorella Beatrice.

Da leggere alle Sorelle. Dica che preghino tanto per me.

Alle Sorelle dei Poveri Servi,

Pace, grazie e benedizioni. Il vostro Padre si raccomanda tanto e poi tanto alla carità delle vostre preghiere e vi prega e vi scongiura di corrispondere alle grazie grandi che vi ha fatto e vi fa continuamente il Signore.

Vivete lo spirito puro e genuino dell’Opera, che consiste nella gran fede nella divina Provvidenza, profonda umiltà, coscienti del vostro nulla, esatta osservanza delle Vostre Sante Regole; nei Superiori vedere sempre il Signore e non mai tor via lo sguardo da Gesù benedetto, che deve essere il vostro modello in tutto.

Beate voi, Sorelle, se vivrete questo spirito; che pace, che felicità in terra, che premio in Cielo.

Di cuore vi benedico, e di nuovo mi raccomando alle orazioni perché possa portare la croce di Dio fino alla fine.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * A10 4-1-1940

[In questa data il Padre ha mandato ai suoi religiosi una lettera dell'Abate Caronti, Visitatore Apostolico, presentandola con un'esortazione. La stessa lettera il Padre l'ha mandata anche a don Albano Bussinello, responsabile delle Sorelle, con la seguente dicitura]:

Don Albano, da leggere alle Sorelle.

Sorelle in C. J.,

Anche quest’anno l’amatissimo Padre Visitatore che io chiamo sempre “il nostro Angelo”, ha voluto mandarvi il suo augurio natalizio, che io ho pensato di far stampare perché ne possiate avere una copia per ciascuno.

Più che leggere meditate quello che vi dice. Troverete ripetute quasi alla lettera le raccomandazioni che tanto spesso anch’io vi faccio. Ciò significa che il Signore l’ha proprio investito dello spirito della nostra Opera; ah quanto dobbiamo esserne grati alla divina Provvidenza! Ma siate riconoscenti pure al venerato Padre Abate, pregando ogni giorno per lui e secondo le sue sante intenzioni.

Vi raccomando di pregare tanto anche per me, ne ho estremo bisogno. Vi ringrazio dei vostri auguri; vi porto tutti nella mente e nel cuore; ripeto a voi quello che dissi ai fratelli di S. Zeno in refettorio: che l’anno 1940 sia l’anno della nostra personale santificazione, per santificare l’Opera e ottenere al mondo grazie, perdono, pace.

Vostro in C. J.

Sac. J. Calabria

PAX

Subiaco, 30-12-1939

Carissimi nel Signore

Nella pace e nella grazia dello Spirito Santo. La vostra cara lettera così piena del Signore e del suo spirito, mi è giunta tra la valanga della corrispondenza natalizia e non ho potuto rispondervi subito. Però ho cercato di essere con voi la santa Notte, come l’anno scorso, applicando una delle SS. Messe per il nostro caro e venerato Padre Don Giovanni e per tutti i suoi figli. E spero che il Signore si sarà degnato di accettare la preghiera di questo povero e indegno ministro. Oggi sento il bisogno di scrivervi una parola per ringraziarvi di tutto cuore e per ripetervi che il migliore augurio che mi potete fare è quello di farvi sempre vedere fedeli allo spirito della nostra cara Congregazione. Essa, come a Betlemme, come a Nazareth, deve vivere solo con Dio e di Dio, nella semplicità, nella umiltà, nella povertà, nell’abbandono pieno alla divina Provvidenza e alla divina volontà del Padre celeste.

Guardate il vostro Padre, Egli ve ne dà l’esempio vivo, costante; corrispondete alle sue paterne sollecitudini: obbeditegli sempre e dovunque e con intima adesione di animo: con la vostra santa conversazione siate degni di Lui e dei santi ideali di cui Egli dal Signore è stato fatto lo strumento e il ministro. Il segreto del successo non sta nei mezzi che il mondo tanto stima, ma in questo spirito di nascondimento e di abnegazione. Così e solamente così, Gesù Benedetto ha vinto il mondo e redento il genere umano.

E pregate per me perché ho tanto bisogno. Pregate ancora perché possa essere sempre spiritualmente unito a voi e che mi sia data la consolazione di potervi fare un po’ di bene.

Vi abbraccio nella carità del Signore e vi benedico paternamente.

In Christo

Em. Caronti O.S.B.

SORELLE * S58/A Verona, 27-2-1940

La santa benedizione del Signore faccia sante tutte le Sorelle di Costozza.

Prego e benedico e mi raccomando alle orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S58/B Vicenza, 4-7-1940

Buone Sorelle,

La santa letizia inondi i cuori delle Sorelle di Costozza e le renda tutte sante. Quale ricchezza per l’Opera!

Pregate per me tanto, vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S58/C Verona, 4-7-1940

Buone Sorelle,

Una grande benedizione a tutte le buone Sorelle della Casa di Nazareth, perché sempre più crescano nell’amore di Dio e del prossimo, acquistando così tanti meriti per il Paradiso.

Mi raccomando tanto alla carità delle orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S58/D Verona, 4-11-1940

[Alle Sorelle di Costozza]

Ringrazio di cuore, benedico, raccomandandomi alle vostre preghiere.

Fatevi sante!

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S40 28-2-1941

Dal fondo del cuore prego e benedico tutte e ciascheduna delle Sorelle dei Poveri Servi specie in quest’ora. Amate tanto il Signore, vivete nella carità e Gesù sarà con voi.

Mi raccomando tanto alla carità delle orazioni; quanto ne ho bisogno!

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S58/E Verona 2-4-1941

Buone Sorelle,

L’intima unione con Gesù sacramentato apporterà la Buona Pasqua nelle famiglie.

Domando carità di preghiere, benedico le buone Sorelle.

In C. J. Sac. J. Calabria

Sorelle dei Poveri Servi

Presso la Casa di Cura Dott. Bussinello

Garda (Verona)

SORELLE * S6/A Verona, 2-4-1941

Buone Sorelle,

L’intima unione con Gesù sacramentato apporterà la Buona Pasqua nelle famiglie.

Domando carità di preghiere, benedico le buone Sorelle.

In C. J. Sac. J. Calabria

Sorelle dei Poveri Servi

Buoni Fanciulli

Santuario S. Michele (Verona)

SORELLE 51/A Verona, 13-4-1941

[Sorelle dei P.S. in Madonna di Campagna]

Pregate per me, Vi benedico.

[Stampato] L’intima unione con Gesù Sacramentato apporterà la Buona Pasqua nelle famiglie.

Sac. J. Calabria

SORELLE * S58/F Verona, 3-8-1941

[Sorelle P.S. della Parrocchia di S. Filippo - Roma]

Una grande, larga benedizione per le Sorelle Romane, che Gesù le investa e bruci del suo divino amore per le loro anime e per l’Opera santa dei Poveri Servi.

Mi raccomando alle orazioni, a tutte voi per amor di Dio.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE 52/A Verona, 1941

[Sorelle dei Buoni Fanciulli-Costozza]

Ingrazio di tutto cuore per gli auguri e le preghiere fatte per me in questo grande anniversario.

Ricambio con l’augurio di celesti benedizioni per l’anima prima e per il corpo. Che tutti ci possiamo ritrovare nel santo Paradiso. Mi raccomando alle preghiere e di cuore benedico.

Sac. J. Calabria

SORELLE * S58/G Verona, 14-8-1941

[Sorelle P.S. Casa di cura dott. Bussinello-Garda]

Quanto, ma quanto graditi mi furono gli auguri santi in questo grande anniversario. Ricambio con l’augurio di celesti benedizioni per l’anima prima e per il corpo. Che tutti ci possiamo trovare nel santo Paradiso.

Mi raccomando alle preghiere e di gran cuore prego e benedico le buone Sorelle dei Poveri Servi di Garda.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S9 Verona, 2-9-1941

Buone Sorelle,

la grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Nell’accompagnarvi copia delle disposizioni che il Rev.mo Padre Visitatore Apostolico, nostro vero Angelo, mandatoci dalla Divina Provvidenza, ha preso per il bene di tutta l’Opera, vi esorto a riceverle con grande spirito di fede e vedere in esse il Signore.

L’Opera delle Sorelle è nata di pari passo con l’Opera dei Fratelli; deve vivere col medesimo spirito. Benediciamo di cuore il Signore che finalmente anche quest’Opera, per la quale con Voi ho io pure tanto pregato e sofferto, è posta sul suo giusto binario tanto da Voi e da noi desiderato; sta a voi ora di non farla deviare, perché i grandi divini disegni si compiano.

Ma per questo è necessario vivere il primitivo spirito, di umiltà, di semplicità, di sottomissione, di fede e di abbandono; vivere come cenci e creta, nelle mani del Casante presente e futuro, che anche per Voi tiene il posto di Dio: vivere per il Signore, lavorare e soffrire per Lui, disposte a tutto, sollecite di osservare la grande legge della carità e dell’unione vicendevole, che in visceribus Christi tanto e poi tanto vi raccomando.

Come vi dissi, se io sapessi che una Sorella non ha carità, vorrei inginocchiarmi dinanzi ad essa e supplicarla di andarsene, perché non abbia a rovinare i disegni di Dio. Ma io spero che vi metterete con impegno all’opera della vostra santificazione; e io, per quanto poveretto sia, a nome di Gesù benedetto, Padrone assoluto di quest’Opera, vi prometto da parte Sua grazie e benedizioni. L’Opera sarà anche per voi salute e risurrezione, il divino bastimento che vi porterà felicemente al porto dell’eterna salvezza.

Pregate tanto per me, io vi ricordo, prego e soffro per voi; e con questo vi do la mia benedizione.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S9/A Verona, 11-10-1941

[Sorelle dei P.S. di S. Filippo, Roma]

Benedico e auguro gran santità alle Povere Serve Romane. [Stampato] Ringrazio di cuore, raccomandandomi alle vostre preghiere.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S15 Verona, 25-12-1941

Buone Sorelle,

La grazia del Signore vi aiuti a essere fedeli ai buoni propositi. Ecco I’augurio che vi faccio, in ricambio dei vostri graditissimi.

Lavoriamo alacremente nell’Opera del Signore, e ne avremo un grande premio. Pregate per me.

Paternamente vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S15/A Maguzzano, 30-3-1942

[Sorelle Casa di Cura, Garda]

Gesù risorto porti le sue grazie e benedizioni su la Ven. Comunità delle Sorelle di Garda.

Benedico e mi raccomando alla carità delle preghiere.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S15/B Verona, 25-6-1942

[Sorelle casa di cura Dott. Bussinello, Garda]

Prego, benedico, ringrazio di cuore, raccomandandomi alle vostre preghiere. Amate l’amico Gesù e fatevi tutte Sante.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE 58/A Vicenza, 5-8-1942

Benedico le Sorelle della Casa di Garda e prego perché nella carità e nell’amore a Gesù, possano arrivare alla santità. Ho tanto, ma tanto bisogno di preghiere.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S12 18-10-1942

Sorelle in Gesù Cristo,

Che lo Spirito Santo. in questi giorni di grazie e di misericordia per le vostre anime, faccia scendere una fitta pioggia di grazie, perché abbiate tutte, notate la parola: tutte, a corrispondere ed uscire vere e sante Sorelle dei Poveri Servi come Gesù vi vuole per il bene vostro e dell’Opera alla quale avete la grazia grande di essere chiamate, e alla quale avete obbligo sacrosanto di corrispondere, per non demeritare tanta grazia, ed essere abbandonate e costrette ad uscire da questa arca di salute che è S. Toscana.

Quanto so e posso vi raccomando di mettervi tutte all’impegno per studiare e praticare lo spirito puro e genuino della vostra Opera, che è spirito di povertà, di umiltà, di carità, di pieno abbandono nelle braccia amorose della Provvidenza, disposte a tutto, come creta, senza testa; solo così, o Sorelle, il Signore lavorerà e santificherà le vostre anime e farà vivere, e compirà i suoi divini disegni che da tanti anni aspetta.

Raccomando l’unione con Dio, grande amore a Gesù Cristo, sforzandovi di studiare sempre più la sua vita, e imitarlo.

Son certo che voi pregherete più del solito per me, perché più del solito ne ho gran bisogno, e tutte mi farete contento in mezzo alle mie prove, con una vita tutta consacrata al Signore.

In questi santi giorni più del solito pregherò per voi perché tutte abbiate ad uscire dai santi Esercizi degne spose di Gesù, per essere un giorno tutte introdotte, nessuna esclusa, nel santo Paradiso.

Vi benedico,

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S41 Verona, 20-4-1943 – Mercoledì Santo

Alle Buone Sorelle dei Poveri Servi.

Di gran cuore prego e benedico, che Gesù Risorto le renda tutte sue per mezzo dello spirito puro dell’Opera.

Ho estremo bisogno di preghiere. Benedicendo

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S41/A Roncà, 1-7-1943

[Sorelle di Maguzzano]

Ringrazio di cuore, benedico raccomandandomi alle vostre preghiere. Dio vi benedica e vi faccia sante.

Sac. J. Calabria

Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S41/B Roncà, 1-7-1943

[Sorelle Casa Buoni Fanciulli, Quartiere 16 Ottobre Verona]

Ringrazio di cuore, raccomandandomi alle vostre preghiere.

Signore, benedite e fate sante le buone Sorelle di S. Toscana.

Pregate per me, che tutte benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S41/C Roncà, 30-8-1943

[Sorelle Casa Buoni Fanciulli di Gallio]

Ringrazio di cuore, raccomandandomi alle vostre preghiere.

Benedico le buone Sorelle di Gallio. Che siano sempre buone, o, meglio, sante!

Mi raccomando alla carità delle orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S41/D Roncà, 9-10-1943

Rev. Superiora di S. Toscana,

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con voi.

Ringrazio dei vostri auguri, ma soprattutto delle vostre preghiere, avendone tanto bisogno.

Fate tesoro di questi santi giorni degli Esercizi Spirituali, per rivedere la vostra vita e pensate alla grande grazia che vi ha fatto il Signore, di chiamarvi a servirlo in questa Opera che è tutta sua. Guai se noi non corrispondiamo, ma felici noi se cercheremo di corrispondere con tutte le nostre forze, vivendo nella preghiera, nell’unione e nella carità.

Solo in Paradiso comprenderemo abbastanza la grazia della nostra vocazione e ringrazieremo il Signore per tutta l’eternità.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre preghiere.

Invoco per la vostra Comunità le più elette grazie e benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S41/F Verona, 2-1-1944

[Dedica su immagine del Volto Santo]

Una particolare benedizione alle buone Sorelle dei Poveri Servi che si trovano in cucina, (nella Casa di San Zeno in Monte) perché amino tanto il Signore e tutto facciano per amor suo. Così si santificheranno.

Mi raccomando alle orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S13 6-4-1944

Dilette Sorelle

La grazia del Signore sia con voi sempre.

Graditissimi i vostri auguri cristiani e filiali in questa santa solennità di Pasqua; ve li ricambio di tutto cuore, augurandovi e invocandovi dal Signore la grazia di corrispondere fedelmente alla vostra vocazione, che è di privilegio, specialmente in questi tempi tristissimi.

Servite il Signore nell’umiltà e nel nascondimento; Gesù vede tutto, e nella sua Provvidenza pensa a voi con premura particolare.

Siatene riconoscenti a lui, e fatelo contento, vivendo secondo lo spirito genuino dell’Opera.

La pace di Gesù risorto sorrida a voi sulla vostra quotidiana fatica; oh il bel premio che ne avrete in Cielo, in Paradiso, se sarete fedeli.

Pregate per me, sempre.

Vi benedico, con paterno affetto.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S13/A Verona, 9-4-1944 S. Pasqua

Sor. Rosa Madella

Con tutto il cuore ricambio gli auguri, invocando da Gesù risorto l’abbondanza della pace e della grazia.

Tutti ricordo al Signore, invocando protezione, conforto cristiano. Confidiamo nella divina Provvidenza.

Benedico tutte le Sorelle.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 10259 Verona 24-5-1944

Benedico e prego per la piccola, ma grande Comunità di Roverchiaretta.

Che in tutto e sempre il Signore ci doni la grazia di fare la sua divina volontà.

Mi raccomando alla carità delle orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * A1 Verona, 7-8-1944

[Sorelle dei Buoni Fanciulli, Maguzzano]

La grazia, la pace del Signore siano sempre con noi.

State serene, state tranquille, amate il Signore e ricordate che siete sotto le ali della divina Provvidenza.

Pregate per me, per l’Opera. Vi benedico,

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S14 9-10-1944

[Sorelle di Maguzzano]

La grazia del Signore vi aiuti ed illumini a corrispondere fedelmente alla santa vocazione, a vivere secondo lo spirito genuino della nostra Opera. Grazie degli auguri; ricambio con la mia paterna benedizione.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S14/A Verona, 11-12-1944

Buone Sorelle di Roncà,

Grazie, celesti benedizioni e santi auguri per il prossimo Natale, alle buone Sorelle del Noviziato, con l’augurio che crescano sempre più nell’amore di Dio e del prossimo, viva sua immagine.

Mi raccomando alle orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * A11 Verona, 6-3-1946

[E' una lettera indirizzata a don Luigi Pedrollo, ma che interessa la vita delle Sorelle]

Mio caro don Luigi

La grazia, la pace del Signore siano sempre con noi.

Per la maggior gloria di Dio e per il bene e santificazione della Casa di santa Toscana, ove sono le Sorelle dei Poveri Servi, la prego a mio nome di fare una visita e poi mettermi in iscritto: come vige lo spirito puro e genuino dell’Opera delle Povere Serve, e se vi sono deficienze da togliere, e queste al più presto, per chiamare grazie e aiuti particolari su l’Opera delle Sorelle e se a Dio piace, come sembra, meritare la grazia grande dell’Approvazione Ecclesiastica.

Di cuore prego e la benedico e con lei l’Opera di Santa Toscana.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * A3 Verona, Ascensione di N. S. al Cielo 1946

Notificazione alle Sorelle:

Confessore ordinario Don Luigi Adami.

Confessori ai quali le Sorelle possono ricorrere ogni volta lo desiderino: Don Giuseppe Sandri, Don Attilio Rossi.

Confessore straordinario: Don Pietro Murari.

Raccomando alle Sorelle di attenersi fedelmente a queste disposizioni, prese nel Signore, per il bene delle loro anime, a vantaggio della loro Opera e dell’Opera tutta, dovendo anch’esse cooperare al compimento dei divini disegni nell’Opera dei Poveri Servi.

Mi raccomando tanto, ma tanto alla carità delle loro orazioni, benedicendo in C. J.

Sac. J. Calabria

SORELLE * S56 9-6-1946 – Pentecoste

La devozione alla cara Madonna è pegno di vita eterna.

La santa benedizione del Signore sia per tutte fonte di grazie e doni celesti.

Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S56/A Verona, 9-6-1946 – Pentecoste

[Sotto un'immagine del Volto Santo]

Quanto ha fatto e patito Gesù per me. O Gesù fatemi santa.

Gesù, con la vostra grazia, voglio essere tutta tua!

In C. J. Sac. G.. Calabria

SORELLE * 5829/P 26-7-1946

Grandi celesti benedizioni e fervidi auguri per le buone Sorelle che servono il Signore. Mentre mi raccomando alla carità delle preghiere

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S2 Verona, Esercizi Spirituali – Ottobre 1946

Buone Sorelle,

La grazia e la pace di Gesù benedetto, nostro Padrone assoluto, dal quale dobbiamo in ogni cosa dipendere, siano sempre con noi.

Qui ai piedi del mio Crocefisso, per la prima volta mi sono sentito di rivolgervi, espressamente per voi, la mia povera parola, quale mi nasce spontanea nel cuore, approfittando dei santi Spirituali Esercizi, che sono giorni di grazia per tutte in generale e per ciascheduna di voi in particolare.

Ricordatevi che dovete uscire dagli Esercizi come gli Apostoli dal Cenacolo: “trasformate, cioè, in nuove creature” come dice l’Apostolo, ossia purificate e santificate dalla grazia dei Sacramenti, illuminate e accese dal fuoco dello Spirito Santo, che in questi giorni ha parlato in modo specialissimo alle vostre anime, le ha santamente scosse per mezzo dello zelante predicatore, mandatovi dalla divina Provvidenza.

Ma gli Apostoli trasformati dallo Spirito Santo nel Cenacolo, poi cooperarono e perseverarono in questa trasformazione; così anche voi. Non basta che vi sentiate ora piene di fervore, per poi tornare a poco a poco quelle di prima; no, bisogna perseverare nei santi propositi, rinnovarli continuamente, metterli in pratica e così camminare speditamente nella via della virtù e della vostra personale santificazione; perché, come dico spesso anche ai Fratelli, solo santificando voi stesse, le anime vostre, potrete santificare l’Opera del Signore, nata nel sacro Costato di Gesù Crocefisso, alla quale avete, anzi abbiamo, dirò meglio, la grazia e la fortuna di appartenere.

Notate che vi parlo di Opera, non di Opere, come se le Sorelle costituissero un’Opera a parte. Oh questo poi no! Non dimenticate mai le vie misteriose e delicate, attraverso le quali la divina Provvidenza ha fatto sorgere la vostra famiglia religiosa; fu il Signore, senza ch’io vi pensassi, che per mezzo di varie circostanze mi ha spinto, dirò quasi costretto dolcemente, a raccogliere pie donne che si sentissero di coadiuvare i Fratelli nelle mansioni più proprie del vostro sesso, a vantaggio delle povere creature abbandonate, raccolte nei padiglioni della divina Provvidenza.

Così la Provvidenza mandò la prima buona donna, una santa donna posso dire, che si donò tutta all’Opera, di null’altro sollecita che di lavorare e sacrificarsi, dimentica di sé e del suo avvenire, interamente abbandonata in Dio e alle sue divine disposizioni. Ad essa tennero dietro una seconda, una terza, e via via altre, fino a voi; tutte animate da un solo spirito, pendendo al cenno dell’obbedienza e alla parola del loro Padre, con una dedizione assoluta. In questo modo si è formato il ramo delle Sorelle, inserito, ricordatelo bene, nell’unico tronco dell’Opera.

Non dunque due piante, ma ramo della medesima pianta, che cresce e si sviluppa nel medesimo terreno, con gli stessi elementi di fecondazione; voglio dire, con il medesimo spirito puro e genuino, proprio dell’Opera, spirito di filiale abbandono in Dio e alla sua divina Provvidenza, spirito di umiltà e nascondimento, di docilità e obbedienza, spirito di sacrificio e di rinuncia; “senza testa”, come dico spesso ai Fratelli; “buseta e taneta”; come “cenci e creta”. Questo è lo spirito che dovete con ogni cura e diligenza conservare e trasfondere in quelle che vi seguiranno.

Guai se aveste a perdere di vista la finalità e lo scopo primo ed essenziale per cui siete nate nell’Opera: sarebbe la vostra rovina; l’Opera vostra non avrebbe più ragione di essere, cesserebbe di esistere e dovreste cambiare il nome glorioso di “Povere Serve della Divina Provvidenza”.

Guardatevi dunque bene, non solo nel presente ma anche nel futuro, da ogni idea di cambiare, anche sotto pretesto di fare un maggior bene. Il demonio farà di tutto per rovinare o anche solo per spostare l’Opera del Signore: guardate che egli si trasfigura spesso in angelo di luce, per ingannare. Mio Dio, che brutto giorno sarebbe quello in cui le Sorelle, venendo meno a questa finalità e a questo spirito, mirassero a cambiare, a staccarsi, a dividersi. Nella mia povertà prego e supplico la divina misericordia a non permettere questa grande sventura, ma che invece il Signore vi dia la grazia di vivere sempre più fisse al centro, al cuore dell’Opera che, come per i Fratelli, anche per voi, è e dev’essere il vostro Padre, il Casante presente e futuro dell’Opera. Sono vissute così le prime Sorelle: Sorella Angelina De Battisti, Maria Galbusera, Lavinia Perez, Imelda Fannio e le altre, i cui esempi dovete ricopiare e avere sempre presenti nella mente e nel cuore, se volete corrispondere alle grandi grazie che il Signore vi ha fatto e rendervi degne di grazie sempre maggiori, non ultima quella dell’approvazione, per la quale v’assicuro nulla io ho fatto, e che la Provvidenza, con un suo diretto intervento, sembra e spero voglia presto concedervi.

Se starete al vostro spirito, questa medesima Provvidenza, senza che voi vi pensiate, vi adopererà, affidandovi anche altre opere di carità e di zelo; ma, vi ripeto, sta a voi meritare questa grazia, sapendo attendere l’ora di Dio e vivendo lo spirito puro e genuino dell’Opera.

Voglio sperare che darete tutta l’importanza dovuta a queste mie povere parole, che vi lascio come mio testamento. Beate voi se farete così; vi assicuro la piena benedizione di Dio, per compiere i grandi disegni che il Signore ha formato anche su di voi.

Nella mia povertà sempre vi ricordo e prego per voi; ma anche voi fate la carità di pregare tanto per me, per questo vecchio vostro padre. ormai vicino alla grande chiamata. Siate sempre, ricordatevi, come Gesù vi vuole. E che poi un giorno, terminata la nostra giornata, possiamo trovarci uniti nel santo Paradiso, dove soltanto potremo capire la grazia di appartenere a questa grande, grandissima Opera del Signore.

Più con il cuore che con la mano vi benedico nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Cosi sia.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 5829/Q 10-2-1947

Buone Sorelle,

La pace e la grazia di Gesù benedetto siano sempre con noi.

La santa benedizione del Signore scenda su loro e sui cari bambini affidati alle loro cure. Il Signore ricompensi con doni celesti la carità di preghiere che fanno per me. Sempre le ricordo e benedico perché nella mutua carità, nella umiltà e nel sacrificio trovino la santificazione dell’anima.

Preghino per me

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * A6 6-2-1947

Buone Sorelle

Gesù benedetto ricompensi la carità delle loro preghiere e le renda sempre più degne dei suoi speciali doni riservati a quanti lo servono con fedeltà, umiltà e perseveranza. Sempre le ricordo e le benedico tutte assieme ai loro cari.

Preghino tanto, ma tanto per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

Alle Sorelle

della Casa del Noviziato S. Giuseppe

Roncà (Verona)

SORELLE * S16 3-2-1947

Buone Sorelle,

La pace e la grazia di Gesù benedetto siano sempre con noi. Ringrazio ed invoco le più elette benedizioni su tutte e su ciascuna in particolare, pregando il divino Modello a rendere le loro anime sempre più unite nella mutua carità, nella quotidiana fatica per il guadagno dell’eterno premio in Cielo.

Preghino sempre molto per me che le benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S43 Casa di S. Toscana, 19-4-1947

Le Sorelle dei Poveri Servi saranno sempre in prima linea per arrivare alla santità e compiere i divini disegni, se vivranno lo spirito puro e genuino, che il Signore ha messo fin dal principio dell’Opera. Quale grazia, ma quale responsabilità se non si corrisponde!

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S44 Casa di S. Toscana, 20-4-1947

La Divina Provvidenza, Madre amorosa, ha messo in modo tutto particolare la sua materna, protezione sulla benedetta Famiglia delle Sorelle dei Poveri Servi e certamente, gradatamente, andrà compiendo nuovi disegni propri dell’ora attuale, a condizione che vivano, come finora per grazia del Signore sono vissute, nello spirito puro e genuino, che fin da principio il Signore ha messo.

Sorelle, corrispondete, per amor di Dio, a tanta grazia; vivete nel nascondimento e il Signore sarà sempre con voi e nessuna forza potrà muovere contro di voi e dell’Opera.

Vi raccomando di imitare e studiare l’esempio delle prime Sorelle, fondamento dell’Opera: Sorella Angelina, Galbusera, Fannio, Lavinia Perez ecc…

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S45 Casa di S. Toscana, 27-4-1947

Le Sorelle dei Poveri Servi, se, con la grazia di Dio, vivranno lo spirito puro e genuino dell’Opera, santificheranno se stesse e in mano della Divina Provvidenza compiranno disegni di bene e di gloria di Dio e di salute delle anime come li hanno compiuti gli Apostoli e le pie donne del Santo Vangelo.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S17 Verona, 8-7-1947

Buone Sorelle,

La grazia del Signore sia sempre con voi tutte, e vi aiuti a corrispondere fedelmente e generosamente alla vocazione. Ringrazio tanto per gli auguri che mi avete fatti in occasione del mio onomastico, e delle preghiere che son certo li accompagnavano; il Signore ve ne renda il merito con le sue grazie e i suoi favori di predilezione: che tutti nella grande Opera possiamo lavorare alla gloria di Dio e al bene delle anime. Umiltà, nascondimento davanti agli uomini, generosità nel disimpegno degli uffici quotidiani; fervore di vita spirituale e preghiera: ecco le grandi ricchezze che la Provvidenza mette a nostra disposizione per fare il bene e compiere i divini disegni.

La mia preghiera per voi, come per tutti i Poveri Servi, è dunque questa: che sempre ci manteniamo fedeli allo spirito puro e genuino.

Pregate sempre per me, che vi ricordo e vi benedico paternamente, augurandovi pace e santità nell’amore di Gesù.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S18 Verona, 16-4-1941

Alle Sorelle della Casa di Costozza,

che nel silenzio e nella umiltà lavorano a gloria di Dio e a bene delle anime, auguro ed invoco le più belle grazie del Signore per corrispondere fedelmente alla vocazione e farsi sante.

Pregate per me, sempre, che tanto ne ho bisogno.

Siate all’altezza del compito a voi affidato; e sarete contente in vita, in morte, e nella eternità.

In C. J. Sac. J. Calabria

Ringrazio per i graditissimi auguri. Prego Gesù risorto a ricambiarli con il dono della pace. Benedicendo, domando carità di preghiere,

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 5829/H 7-11-1947

Alle buone Sorelle della Casa di Maguzzano, guardando, meditando quello che ha fatto e patito per noi Gesù si possano, con la Divina Grazia, uniformare in tutto e per tutto alla sua Divina Volontà.

Mi raccomanda tanto alla carità delle orazioni.

In Corde Jesu Sac. J. Calabria

SORELLE * 5829/R 28-2-1948

Dal fondo del cuore benedico tutte e ciascheduna delle Sorelle dei Poveri Servi specie in quest’ora. Amate tanto il Signore, vivete nella carità e Gesù sarà con voi.

Mi raccomando tanto alla carità delle orazioni, quanto ne ho bisogno.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S49 Casa di S. Toscana, 2-5-1948

Il Signore, quando vuole compiere grandi cose, prima mette le sue opere nella santa umiltà, nella prova, esercitando le anime nella fede, nel pieno abbandono nella divina Provvidenza.

Le Sorelle dei Poveri Servi, per quanto sento nel Signore, hanno da compiere grandi disegni di bene, propri dell’ora attuale; ma per compiere questi disegni, bisogna che siano esercitate nella fede, nel pieno abbandono in Dio, con la sola mira della propria santificazione, secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera, aspettando, e verrà certo, il momento di vedere grandi frutti.

Prego, benedico e mi raccomando alla carità delle orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S46 Verona, 5-5-1948 – Vigilia dell’Ascensione

Sorelle dei Poveri Servi, sento quanto Gesù benedetto vi predilige.

Il Vostro continuo studio sia conoscere e amare la sua vita, specie il suo nascondimento. Se amerete la sua vita terrena, vi assicuro che allora Gesù continuamente vi cercherà, e vi adopererà per la sua gloria e per il bene delle anime.

Vi raccomando lo spirito puro e genuino dell’Opera; sarà la vostra ricchezza in terra e la vostra felicità in Cielo.

Pregare, pregate, pregate sempre per il vostro Padre che di cuore vi benedice.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S47 Casa di S. Toscana, 11-5-1948

Siamo nella santa Novena in preparazione della grande Festa della Pentecoste; mi pare di sentirmi certo, che, se tutti della piccola ma grande Famiglia dei Poveri Servi, Fratelli e Sorelle, faremo con grande fede e raccoglimento questi grandi e santi giorni, lo Spirito Santo nel suo giorno, domenica 16, ci rinnovellerà tutti nello spirito puro e genuino dell’Opera, e usciremo dal Cenacolo come sono usciti gli Apostoli in quel giorno santo.

Quanto so e posso, vi raccomando di passare santamente questi giorni; e pregate tanto per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S48 Casa di S. Toscana, 15-5-1848 – Vigilia Pentecoste

Che la Festa di domani sia per tutti noi, Poveri Servi e Povere Serve, una vera Pentecoste, che segni la nostra personale santificazione per mezzo dello spirito puro e genuino dell’Opera.

Quali disegni di bene a gloria di Dio e a bene delle anime noi li compiremo; e quale premio, terminata la nostra terrena giornata, ci aspetta in Cielo.

Mi raccomando alla carità delle orazioni. Benedicendo,

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S48/A Verona, 16-5-1948 – Pentecoste

DISPOSIZIONI PRESE NEL SIGNORE

1 La Superiora sia assistita da quattro Consigliere.

2 Una di queste sia la sua Assistente e ne faccia le veci.

3 Le quattro Consigliere siano: Sr. Agnese, Sr. Dolores, Sr. Beatrice, Sr. Oliva.

4 Sorella Assistente sia Suor Dolores.

5 Nel caso che una o l’altra sia impedita dall’intervenire alle riunioni del Consiglio, sia chiamata a sostituirla un’altra Sorella.

Sorella supplente sia Suor Gertrude.

6 ll Consiglio sia convocato almeno quattro volte all’anno, nelle Tempora, e ogni qualvolta la necessità lo richieda.

Le Sorelle Consigliere devono coadiuvare la Superiora nel disimpegno del suo grande e delicato ufficio, per togliere abusi, prendere provvedimenti atti a conservare e ad accrescere lo spirito puro e genuino dell’Opera, condizione indispensabile di vita e di sviluppo anche dell’Opera delle Sorelle.

Benedicendo e raccomandandomi alla carità delle preghiere,

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S48/B Verona, Casa S. Toscana, 29-5-1948

Per amor di Dio, che il caro e benedetto mese di maggio, tutto dedicato e consacrato alla benedetta nostra Mamma la Madonna, non abbia a terminare con il mese, che noi Poveri Servi, e voi Povere Serve, avete, abbiamo fatto, almeno voglio sperare con tanta fede e amore.

No, no! Questi ultimi giorni passiamoli con più fervore, e tutti consacriamoci al Cuore Immacolato di Maria; deve segnare una tappa nella nostra grande donazione alla Madonna, che è, ricordiamo bene, Porta del Cielo.

Sempre pregate per me e per l’Opera.

Tutte benedico e voglio che ci troviamo, per grazia di Dio e intercessione della Madonna, nel santo Paradiso.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S50 Casa S. Toscana, 6-6-1948

Santificando le vostre anime, o Sorelle, santificheremo l’Opera di Dio e compirete i suoi grandi e divini disegni. Pregate, Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S19 2-7-1948

Venerabili Sorelle,

La grazia di Gesù benedetto sia sempre con Voi. Dopo non pochi giorni dal mio onomastico rispondo agli auguri che mi avete fatti in quel giorno solenne.

Vi ringrazio di tutto cuore specialmente perché son sicuro che gli auguri erano accompagnati dalle più fervide vostre preghiere.

Dal fondo del cuore invoco su voi tutte – Sorelle, Novizie, Accolte – la grazia di servire Dio fedelmente secondo il vostro stato e la vostra vocazione, di amare Gesù intensamente, ad ogni costo, a costo di ogni sacrificio, di cercare unicamente la sua gloria e la salvezza delle anime.

Siamo nella Casa del Signore: tante volte l’avete sentito da me. E spero ne siate convinte; spero che vi sforziate sempre più di essere all’altezza dell’onore che la Provvidenza ci ha fatto col metterci nella sua Opera. In Cielo capiremo la grazia grande, che il Signore ci ha fatta; e beate voi, se avrete corrisposto con la massima diligenza ai disegni del Signore: la beatitudine eterna sarà la vostra ricompensa.

Vivete dunque secondo lo spirito puro e genuino; non date retta a suggestioni del diavoletto, a dubbi e perplessità di sorta. Siamo nelle mani di Dio; siamo in buone mani. Lasciamoci guidare da Lui: e arriveremo sicuramente in porto, compiremo i divini disegni.

Santa Toscana, che viene presto con la sua festa a invitarvi, interceda per voi dal Signore la grazia di essere sempre fedeli, di amare Iddio, di servirlo con generosità, e di meritare le sue benedizioni per voi, per le vostre famiglie, per tutta la famiglia religiosa a cui appartenete.

Non vi dico di pregare per me, che so bene come lo fate. Vi raccomando tanto di continuarmi questa carità squisita, che io ricambio con la mia povera preghiera e la paterna benedizione.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S20 2-7-1948

Venerabili Sorelle,

Grazie dei santi auguri e delle preghiere che li accompagnano certamente. Il Signore Gesù vi aiuti a corrispondere fedelmente alla santa vocazione, a vivere secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera: sarà la vostra salvezza, e coopererete allo sviluppo della vostra religiosa famiglia.

Invio la paterna benedizione.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S21 Verona, 2-7-1948

Alle Sorelle di Costozza,

Gli auguri per il mio onomastico mi sono tanto graditi anche perché li so accompagnati dalle preghiere e dalla buona volontà di servire il Signore sempre meglio, secondo il nostro spirito puro e genuino. Vi invoco la grazia di corrispondere e farvi sante. E di cuore benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S21/A Roncà, 2-7-1948

Ven. Sorelle,

Sempre graditi gli auguri, specialmente se accompagnati dalla preghiera, di cui sento tanto il bisogno.

Grazie, continuate per la via tracciata dalla Provvidenza e sarete contente compiendo i disegni di Dio.

Benedicendo

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S51 Verona, Casa di S. Toscana, 21-7-1948

Le Povere Serve dei Buoni Fanciulli le ha volute il Signore, ne sono certo. Lo spirito puro e genuino della vostra Opera, o Sorelle, lo ha messo Lui; conservatevelo questo spirito, che è contenuto nelle vostre Sante Regole e vi assicuro che nessuna forza umana potrà distruggere l’Opera. Solo voi, solo noi possiamo rovinare le nostre opere, se non viviamo lo spirito puro e genuino.

Mi raccomando alla carità delle vostre orazioni; vi benedico tutte e tutte siate serene e tranquille nell’amore; servite il Signore: che bel premio in Paradiso!

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S52 Casa di S. Toscana, 21-8-1948

Che la cara Madonna ci riceva tutti sotto il suo materno manto e ci ottenga la grazia di tanto, ma tanto, amare il suo divin Figlio Gesù, non a parole, ma a fatti.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 2654 Verona, 24-8-1948 – S. Bartolomeo

Sorelle Buoni Fanciulli Gallio (Vicenza)

Buone Sorelle,

La grazia, la benedizione e la pace del Signore, siano sempre nei nostri cuori.

Grazie della loro lettera e delle preghiere, grazie.

Ringrazio con voi il Signore delle grazie che vi ha fatto e che tiene riservate per Voi, se corrisponderete, se sarete fedeli ora, nella gioia e anche quando il Signore permetterà la croce. Ricevere tutto e sempre dalle mani di Dio, convinte che tutto ciò che vi accadrà, nella vita religiosa, tutto è disposto dalla divina provvidenza (dall’Amore di Dio), per il bene delle vostre anime. Servite il Signore in letizia, perché è proprio Lui che servite, ed è Lui che obbedite, e sarà proprio Lui, a darvi il premio.

L’Opera è grande, grandissima: è l’Opera di Dio. Fatevi sante e gran sante: non con il voler fare cose straordinarie, ma facendole con generosità straordinaria.

La cara Madonna si è santificata così, agli occhi dei mondani era una povera donna, trascurata o forse disprezzata; ora è la Regina del Cielo e della terra. Santificatevi e santificherete le case che abitate, il paese, l’Opera e concorrerete a santificare il mondo. Pregate sempre per il Vostro Padre, aiutatelo, il guadagno sarà tutto vostro.

Pregate e santificatevi anche per il reparto sorelle; nessuna cosa vi metta in pensiero; siete sotto la cura diretta del Signore; fatevi sante: è solo la santità che vale al trono di Dio, in cielo ed anche in terra. E’ il Signore che fa il bene, ha i suoi momenti, ma vuole strumenti docili ed umili, che si abbandonano alla sua volontà.

Pregate anche per le sorelle ammalate, per gli ammalati della casa. Non sono lontano da Gallio, sono presente con la preghiera, avvalorata dalla sofferenza. La corrispondenza mi è ossigeno ai polmoni mentre l’ingratitudine mi soffocherebbe. Vi benedico e con voi benedico tutti nella Casa, tutte le anime che aiutano l’Opera e che combattono.

Pregate, pregate per me, vostro.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 2655 Verona, 4-11-1948 – S. Carlo

Buone Sorelle di Ronco,

La grazia, la benedizione e la pace del Signore siano sempre nei nostri cuori.

Le ringrazio degli auguri e delle preghiere per il mio Battesimo. Il Signore Le rimeriti ed esaudisca le vostre preghiere. Ho tanto bisogno di essere aiutato sempre, ma ora in modo particolare, per compiere fino in fondo ed in tutto la divina volontà.

Grazie delle sante promesse, che Gesù ha loro ispirato di manifestarmi; prego e benedico siano efficaci. Quale ricchezza per la casa e per le loro anime, e prego siano fedeli, fino alla fine perché: beata l’anima che sarà trovata fedele quando verrà lo sposo.

Che il Signore, per intercessione della cara Madonna, ci interceda di servirlo fedelmente, per poter per sempre glorificarlo, per tutta l’eternità.

Le benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S42 Festa dell’Immacolata 1948

Ecco la mia povera parola che mi sgorga dal cuore in questa santa vigilia della nostra cara Mamma, la Vergine Immacolata. Festa cara a tutti i cristiani, ma carissima per noi Poveri Servi e Povere Serve.

La parola, o Sorelle, è questa: che la Vergine Benedetta, che mi pare dal Cielo sorridere e benedire tutte voi, tutti noi, sia conferma e generosa promessa di continuare sempre più e sempre meglio a vivere in pratica lo spirito puro e genuino dell’Opera. Quali disegni di bene per le vostre anime, e per l’Opera, e per l’umanità in questi momenti.

Io, a Dio piacendo, domani, nel calice santo metterò tutte le vostre anime, perché tutte possiate con la divina grazia arrivare al monte della santità.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S42/A Verona, 17-1-1949

Buone Sorelle di Maguzzano,

Ricambio di cuore fervidi auguri per il Nuovo Anno.

Gesù Bambino sparga su noi i suoi doni di pace, salute e prosperità nel suo santo amore.

Facciamoci santi, seguendo la Regola, nello spirito puro e genuino. Qui c’è tutto, il resto è niente!

Chiedendo carità di preghiere, paternamente benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S22 30-4-1949 – S. Caterina da Siena

Buone Figliole, Novizie ed Aspiranti,

La grazia, la benedizione e la pace del Signore siano sempre nei nostri cuori.

Grazie degli auguri e più delle preghiere e dei santi propositi di santità.

Corrispondete sempre all’amore che Gesù vi porta, ed alle cure della Mamma celeste, la cara Madonna.

Siamo ormai nel santo mese di Maggio.

Mettetevi alla scuola della Madonna per imparare come si ama e si serve Gesù; per ottenere d’imitare le virtù della Madonna.

Vi benedico, vi raccomando nelle preghiere e prego in particolare perché conosciate la volontà del Signore e la compiate per tutti i giorni della vita per continuare poi a farla in Paradiso per tutta I’eternità.

Tutto passa, il bene resta ed il premio con esso.

Pregate sempre per me, che possa compiere fino in fondo la divina volontà.

Gesù vi ama; amatelo tanto.

Vi benedico,

in C. J. Sac. J. Calabria

Benedico anche i vostri cari.

SORELLE * 1573 12-7-1949

Vi benedico, vi ringrazio degli auguri e delle preghiere e dei propositi di santa vita religiosa.

Fate sempre contento Gesù e state certe che non si lascia mai vincere in generosità. Benedico voi e tutti i bambini e le loro famiglie.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S23 Verona, 13-7-1949 – Vigilia di S. Toscana

Buone Sorelle,

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre nei nostri cuori. Grazie delle preghiere.

Pregate sempre per il vostro Padre, ne ho tanto bisogno per compiere fino in fondo la divina volontà.

Fate sempre volentieri la volontà di Gesù, servitelo fedelmente e state certe che resterete contente del premio che vi darà. Vi benedico e con voi i vostri cari.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * A7 13-7-1949 – Vigilia di S. Toscana

La grazia e la pace di Gesù regni nei nostri cuori.

Anche per iscritto voglio ringraziarvi degli auguri e delle preghiere e dei santi propositi. Il Signore vi ricolmi della sua grazia perché possiate effonderla nelle anime.

La vostra comunità sia come una centrale che spande amore di Dio ed alle anime.

Pregate sempre per me. Vi benedico,

in C. J. Sac. J. Calabria

Buone Sorelle

Casa S. Giuseppe

Roncà (Verona)

SORELLE * S23/A Verona, 13-7-1949

Buone Sorelle di Maguzzano,

Vi benedico e prego Gesù vi rimeriti della carità delle preghiere e della berretta.

Siate fedeli e generose sempre con Gesù e state certe che non si lascia mai vincere in generosità.

La cara Mamma celeste vi dia la grazia di amare e servire Gesù come Essa, per esserle poi vicine in Paradiso.

Vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S23/B Verona, 20-8-1949

Buone Sorelle di Maguzzano,

Nel ringraziare vivamente per i graditissimi auguri, chiedo carità di preghiere per me, invoco abbondanza di benedizioni su tutti.

Fatevi sante.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 1573/A Verona, 30-8-1949

Buone Sorelle,

Benedico di gran cuore augurando buon soggiorno, per il rinvigorimento del corpo e per il progresso dello spirito nell’Anno Santo di Gesù.

Corrispondiamo generosamente allo spirito a aiuteremo il Signore a far grandi cose.

Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S24 30-8-1949

Buona Sorella,

Benedico di gran cuore, augurando buon soggiorno, per il rinvigorimento del corpo e per il progresso dello spirito nell’anno santo di Gesù.

Pregate per me. Corrispondiamo generosamente allo spirito, e aiuteremo il Signore a far grandi cose. Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S25 29-10-1949

Sorelle in Gesù Cristo,

Dio solo sa con qual cuore io vorrei essere in questo momento nella vostra bella chiesetta, davanti a Gesù Sacramentato per dire la mia povera parola a Voi Sorelle che in questi giorni di Santi Spirituali Esercizi Gesù vi ha arricchite di grandi grazie e doni spirituali per la vostra personale santificazione e per l’Opera, alla quale voi avete la grazia di appartenere, ma questo varie ragioni me lo impediscono; vorrà dire che se al Signore piacerà verrò un altro momento.

Però non voglio lasciar passare questo ultimo giorno di grazie e di doni celesti senza raccomandarvi in ginocchio di cominciare tutte una vita santa secondo lo spirito puro genuino dell’Opera, prima per voi, e poi per l’Opera stessa che, ricordatelo, per vivere, per dilatarsi, per compiere i grandi disegni non ha bisogno che di santità, di spirito puro e genuino dell’Opera. Sorelle fatevi sante, ma non a parole ma a fatti. Siate umili, Dio ama, predilige le umili e le mette a parte di grandi cose, la carità regni sovrana in voi tutte e lo spirito di obbedienza. Non parlo dell’angelica virtù, che deve essere in tutte la stella o meglio il sole di Dio, ricordando che Dio alle anime pure rivela segreti divini, e compie miracoli di grazie per salvare le anime.

Sorelle termino con raccomandarmi tanto alle vostre orazioni, ne ho grande bisogno. sempre prego per Voi: perché tutte possiate, con la grazia di Dio, arrivare col fervore della vita di quaggiù, al santo Paradiso.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S53 Casa di S. Toscana, 25-11-1949

Per amor di Dio, per amor di Dio vi prego e vi scongiuro di vivere in pratica lo spirito puro e genuino dell’Opera. Voi beate, e l’Opera delle Povere Serve sarà assicurata, vivrà, e nessuna forza la potrà distruggere. Ma se voi non vivrete con questo spirito, povera Opera delle Sorelle! E che sarà delle vostre anime, Sorelle?

Pregate più del solito per me ché io e tutti, per grazia di Dio, possiamo trovarci in Paradiso.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S53/A Verona, 9-4-1950

Buone Sorelle,

Buona Pasqua nella pace del Signore.

A tutti i nostri cari, dal fondo del cuore, auguriamo pace, salute, prosperità e un grande amor di Dio e dei fratelli.

Pregate per me che vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S53/B Gallio, 5-8-1951

Buone Sorelle,

La santa benedizione del Signore sia per tutte fonte di grazie e di doni celesti.

Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S53/C Verona, 1-10-1951

Alle buone Sorelle dei Poveri Servi, questa significativa chiave, con una particolare benedizione.

Fatevi sante, buone Sorelle e pregate per me che tutte vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S3 8-12-1951 – Festa dell’Immacolata

Alle Sorelle Povere Serve della Divina Provvidenza.

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Qui, ai piedi del mio Crocefisso, penso alla grazia grande che avete avuto di fare anche quest’anno i santi spirituali Esercizi; e, se è giusto e doveroso ringraziarne sempre il Signore, che specialmente in questo santo tempo ci soffoca, per dir così, dei suoi doni e delle sue grazie, tanto più dovete farlo per gli Esercizi di quest’anno, fatti, possiamo ormai dire, alla vigilia della vostra approvazione, tanto desiderata ed attesa. Oh allargate il cuore, gioite nel Signore, buone Sorelle, per questo nuovo grandissimo dono che Egli sta per farvi; ma siate al tempo stesso santamente comprese della nuova responsabilità che vi incombe e dell’impegno che assumete di maggiormente corrispondere alla vostra santa vocazione, per essere non di nome soltanto, ma in pratica vere “Povere Serve della Divina Provvidenza”.

Il nome vi associa all’Opera dei Poveri Servi; e giustamente, perché la vostra e quella dei Poveri Servi non sono due Opere, ma un’Opera sola. Infatti sono nate e sono cresciute di pari passo, si completano a vicenda; entrambe sono scaturite dal sacro Costato di Gesù Crocefisso, ed hanno il medesimo Fondatore, Dio; il medesimo Padre che lo rappresenta, messo dalla divina bontà e misericordia a casante e custode dell’Opera, sebbene tanto povero e meschino, anzi appunto per questo, affinché meglio si manifesti che nell’Opera, chi fa è il Signore. Fratelli e Sorelle devono meglio poi avere il medesimo spirito, come hanno l’identico programma: “Cercate in primo luogo il Regno di Dio e la sua giustizia, ed avrete tutte le altre cose in aggiunta”.

Ma poco importerebbe il nome, se non ne viveste le virtù dal nome stesso indicate, e in esso quasi compendiate. Quindi guanto so e posso vi raccomando la povertà e lo spirito di povertà.

Studiate e imitate la povertà di Gesù a Betlemme, a Nazareth, sul Calvario e nella SS.ma Eucaristia, dove si è spogliato assolutamente di tutto, fino ad apparire non più “qualcuno”, ma semplicemente “qualche cosa”. Gloriatevi di essere povere, e dite a voi stesse: “Quello che è buono per Gesù. è buono anche per me!”. Sopportate quindi volentieri e amate le privazioni della povertà; sarebbe un controsenso professarsi poveri e pretendere che nulla manchi.

Siate povere in tutto: nell’abitazione, nel vitto, nel vestito. Voi non avete un vestito strettamente religioso; ma ricordatevi che non è l’abito, né la corona e il Crocefisso che fanno la buona religiosa, bensì la santità della vita.

Non lasciatevi trasportare dalle esteriorità e dalle apparenze; cercate la sostanza delle sode virtù.

Siate umili; riconoscetevi serve inutili, incapaci di qualsiasi bene con le sole vostre forze, immeritevoli delle grazie del Signore, per la vostra poca corrispondenza, per tante mancanze e miserie. Siate contente di tutto, amate il nascondimento; le vostre preferenze siano per l’ultimo posto, “buseta taneta”, ama nesciri et pro nihilo reputari! Se Gesù vi vedrà così umili e nascoste, si avvicinerà a voi, e vi adopererà, ponendovi anche, se a Lui piace, sul candelabro; ma soprattutto, quale ricompensa in Cielo, dove gli ultimi saranno i primi!

Siate serve; è proprio del servo non fare mai la propria volontà, ma solo e sempre la volontà del padrone. Ora voi sapete a quale munifico Padrone servite, che non lascia senza ricompensa neppure un bicchier d’acqua dato in suo nome a chi ha sete. Servite poi ad un Padrone che è insieme l’ottimo fra tutti i Padri; il vostro, quindi, non è il servizio di un mercenario qualunque, ma quello proprio dei figlioli. Prestate servizio ad un Padre così buono con gioia, con generosità, disposte a tutto, come cenci, come creta, senza testa: ecco il vero spirito delle Povere Serve.

Caratteristica del servo è poi anche la fedeltà.

Siate fedeli, anzi fedelissime a tutti i vostri doveri, grandi e piccoli, se piccoli si possono chiamare, mentre tutto è grande nel servizio di Dio; il valore delle azioni, ricordatelo bene, non dipende dall’apparato esterno più o meno appariscente, ma dallo spirito e dalle interiori disposizioni con cui si fanno.

Né siate fedeli per qualche tempo soltanto, bensì per tutta la vostra vita perché il premio è promesso a coloro che avranno perseverato fino alla fine. Se sarete così, sarà veramente ricca di meriti la vostra vita, preziosa la vostra morte, e meriterete di sentire quelle consolanti parole: “Euge, serve bone et fidelis… Suvvia, serva buona e fedele, perché fosti fedele nel poco, entra nel gaudio del tuo Signore”.

Siete poi le Povere Serve della divina Provvidenza.

Ricordatevi che più con l’esempio che con le parole dovete manifestare al mondo, così ingolfato nelle cose materiali, che non pensa ad altro che alla terra, perdendo di vista il Cielo, non solo che Dio esiste, ma che paternamente soccorre quelli che sperano in Lui e confidano nella sua divina Provvidenza. Egli è Padre, che tutto ordina per il vero bene dei figliuoli, anche le sofferenze, i dolori, le prove più dure, le pubbliche calamità: “diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum”. E quando anche l’umana ragione non arrivasse a comprenderlo, dobbiamo inchinarci e adorare in silenzio gli arcani consigli della sempre amabile, paterna Provvidenza di Dio, memori di quello che dice il Signore: “Le mie vie non sono le vostre vie; viae meae non sunt viae vestrae”.

Anche per voi la Provvidenza potrebbe talvolta nascondersi; allora fate un serio esame di voi stesse, cercate di togliere tutto quello che potrebbe contristare il Cuore di Gesù, umiliatevi, e ravvivate la vostra fede; però non mostratevi mai preoccupate per questo o per quello; vivete il “Non v’angustiate…” voi fate la vostra parte, e state sicure che a tempo opportuno il Signore si manifesterà.

Guardate che fra voi regni sovrana la carità:

“Cor unum et anima una”; unite fra voi e con i vostri Superiori. Ed a proposito dei Superiori, guardate di fare molto conto degli ordini e indirizzi della Superiora, perché sento che il Signore, nell’Opera, darà a chi presiede, chiunque sia, grazie e lumi tutti particolari.

Non guardate le doti puramente naturali; se ci sono, anche queste possono giovare, ma ricordatevi che è il Signore che dispone delle varie mansioni, e rende idonei colla sua grazia a questo e a quell’ufficio. Bisogna ravvivare la fede e vivere lo spirito di fede.

Coltivate la vita interiore: “senza di me non potete far niente”, ha detto Gesù. Bisogna che siate ripiene voi dello spirito di Dio, per poterlo comunicare agli altri; possedere poi le virtù per poterle trasfondere in coloro che la Provvidenza vi farà avvicinare.

Vorrei dirvi ancora tante e tante altre cose; per comprendere tutto in una parola, vi dirò: siate vere Povere Serve della Divina Provvidenza; fatevi sante secondo lo spirito puro a genuino della nostra Opera. Ciascuna Congregazione è come un fiore nel giardino di Gesù; e, come ogni fiore presenta una sua particolare bellezza ed effonde un profumo speciale, così ogni opera possiede uno spirito che la distingue, uno splendore particolare e le sue virtù caratteristiche, che, dovendo essere praticate di preferenza, danno alla santità stessa un’impronta tutta speciale.

Se attenderete con tutto l’impegno alla vostra personale santificazione, se sarete fedeli alla vostra speciale vocazione, la Provvidenza manifesterà dei nuovi disegni, che voi compirete con la divina grazia a gloria di Dio e a grande vantaggio delle anime, e costituirete come un fondo di cassa, di cui sentiranno il beneficio coloro che verranno dopo di voi e se ne avvantaggeranno le Opere stesse che dalla umile e cara vostra Congregazione spunteranno, come frutto che a suo tempo si produce e matura sopra un grande albero.

La Vergine Immacolata, Patrona di tutta la nostra Opera, nella vicina sua festa porti a noi tutti un aumento di spirito puro e genuino, e di santità vera, affinché fra noi il suo Cuore Immacolato e quello dolcissimo del suo Divin Figliuolo Gesù, trovino le loro delizie.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre orazioni; nella mia povertà sempre prego per voi; e ora più con il cuore che con la mano vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S3/A Verona, 1-1-1952

Buone Sorelle,

Il Signore sostenga ed accresca in tutte le Sorelle il buono spirito, puro e genuino che la Provvidenza ha impresso nella Famiglia religiosa.

Ricambio con la paterna benedizione i graditi auguri, invocando i doni di pace, salute e santità, che sono nei desideri comuni, e che tutte possano lavorare al maggior bene delle anime per molti e molti anni.

L’anzianità di Suor Fainelli sia spinta a precedere tutte nel buono spirito. Coraggio, fiducia grande. Ricuperiamo il tempo con intensificare l’amore a Gesù.

Pregate sempre per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S31 10-2-1952

Buona Sorella Fainelli,

La grazia e la pace del Signore siano sempre con noi e con tutti i membri di quest’Opera del Signore.

Benedico Lei, tutte ed ognuna delle Sorelle, che tutte siano sempre oggetto di compiacenza di Gesù e che tutte ascoltino e pratichino le grandi lezioni, che la cara Mamma Immacolata ci ha dato a Lourdes.

La Madonna ha prediletto una povera semplice fanciulla; ha lasciati da parte i grandi nella stima del mondo e di se stessi: ha insegnato la preghiera, la mortificazione, il valore della sofferenza e l’importanza della vita futura “Ti farò felice, non in questa, ma nell’altra vita”. E S. Bernardetta ha creduto ed ha praticato, ed è stata una grande povera serva di Gesù alla scuola della Madonna. Quelle lezioni ascoltiamole, e pratichiamole a bene delle nostre anime, dell’Opera e del mondo: beati noi per il tempo che presto passa; e beati poi per tutta I’eternità.

Mi raccomando tanto alla carità delle preghiere: nelle mie preghiere ho sempre presenti le Sorelle: che siano un cuor solo ed un’anima sola con Lei e Lei con Gesù e con la cara Mamma Immacolata.

Benedico tutte e ciascuna; metto nelle mani della Madonna le vostre intenzioni: una particolare benedizione alla sorella Fainelli; mi raccomando alle preghiere di tutte.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S31/A Verona, 1-3-1952

[Dedica sul libro: "Lo spirito di S. Giovanni della Croce"].

Alla Famiglia Religiosa delle

POVERE SERVE DELLA DIVINA PROVVIDENZA,

perché corrano nella via della santità, a gloria di Dio e a bene delle loro anime e di tante altre anime.

Pregate tanto per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S60 5-3-1952

A tutte le buone Sorelle del guardaroba di S. Zeno in Monte. Grazie e celesti benedizioni. Lavorate per il Signore, e il Signore vi benedirà.

Pregate tutte per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S61 5-3-1952

Alle buone Sorelle di cucina della cara Casa di S. Zeno in Monte una fitta pioggia di grazie e una benedizione. Pregate per me, che tutte vi benedico, con tutta I’Opera delle Povere Serve.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S62 5-3-1952

Una grande benedizione a tutte le buone Sorelle; ma una particolare alle Sorelle della cucina perché portino con fede e pazienza il loro lavoro tanto caro al Signore.

Pregate tutte per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S26 Negrar, 19-3-1952 – S. Giuseppe

Ven. Sorella Agnese

e a tutta la Comunità delle Sorelle,

Grazie e celesti benedizioni a Lei, a tutte le Sorelle della venerabile Congregazione delle Povere Serve.

Le anime e le Opere genuine di Dio costano tanto e poi tanto. Nascono, crescono e si sviluppano nelle prove e nelle contrarietà: segno evidente della predilezione, che Gesù ha sulle sue Opere.

Tra le Opere di Gesù, da Lui predilette, vi è l’Opera delle Povere Serve; e, di questa, Lei è la prima guida messa da Dio Padrone assoluto: quale segno di predestinazione e di predilezione per Lei e per tutte le Consorelle.

Ringrazio il Signore con Lei e con le Consorelle delle grazie e dei doni che vi ha dati nel corso di tanti anni dall’inizio dell’Opera: ed ora vuole coronare il vostro apostolato con l’approvazione da parte della Chiesa, sigillo dell’approvazione del Signore. Quanto è mirabile e paterna la divina Provvidenza: ringraziamola con tutto il cuore: e Vi raccomando tanto di stare e di vivere lo spirito puro e genuino delle Povere Serve: spirito e programma, che vi ha dato il Signore: spirito e programma parallelo ai Poveri Servi, due rami dello stesso albero.

L’Opera delle Sorelle compirà grandi disegni, che il Signore ha anche per l’ora attuale; e questo glielo dico benché tanto povero, ma, Casante di quest’Opera del Signore, sempre a condizione che vivano nello spirito puro e genuino, nel quale sono nate e cresciute.

Non perdete mai di vista che lo scopo primo è la vostra santificazione personale: se sarete sante, farete del gran bene; se sarete sante, sarete strumenti di santificazione nelle mani del Signore. Seguite gli esempi di Gesù, della cara Madonna e del grande S. Giuseppe.

Le prove e le difficoltà vi saranno occasione di dimostrare il vostro amore a Gesù.

Per Lei e per tutte le Sorelle la mia preghiera di ogni giorno dopo la S. Messa: “ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum”.

Mi raccomando tanto e poi tanto alla carità delle preghiere: che possa compiere fino in fondo la divina volontà e possa trovare pietà e misericordia al prossimo divino rendiconto.

Il Signore vi tenga unite nel suo Cuore Sacratissimo e nel Cuore Immacolato della cara Madonna e vi continui l’aiuto della sua santa grazia e ci riunisca tutti lassù nel santo Paradiso, a ringraziarlo di averci tanto amati in questi quattro giorni di vita: e di averli spesi tutti e solo per Lui e per le anime.

Vi benedico, e con Voi benedico le anime che verranno ad attingere lo spirito puro e genuino dell’Opera.

Ricordo a tutte le Sorelle che l’Opera è ciascuna di Voi; se sarete sante, tutta l’Opera sarà santa e compirà i grandi disegni per la terra e per il Cielo.

Pregate tutte per me. Benedicendo,

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S27 Verona, 24-3-1952

Dilette Sorelle nel Signore,

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con voi tutte, specialmente in questo santo e solenne giorno, che segna una data storica di primo ordine per le Povere Serve.

Sa il Signore guanto sarei contento di trovarmi presente a questa vostra festa, che poco fa ho potuto annunciarvi. Ma, quantunque per le condizioni mie tanto precarie sia costretto a non essere presente col corpo, sarò presente con lo spirito a condividere la vostra gioia, che è gioia di tutta l’Opera.

Giorno grande, questo dell’Annunciazione di Maria SS. 1952; giorno desiderato lungamente, e maturato nella preghiera, nella sofferenza, nella pazienza. Ricordate, o Sorelle, che esso deve segnare un inizio di nuova vita, nello spirito puro e genuino dell’Opera. Quando sentirete leggere il Decreto solenne, che vi eresse a Congregazione riconosciuta, pensate che il medesimo Decreto vien letto lassù in Cielo: è il Signore che vi dà questa grazia, che vi infonde nuova vita. E voi dovete quindi corrispondere fedelmente, generosamente a tanta grazia, a tanto dono.

Come corrisponderete? Con la vita buona, con le virtù proprie del vostro stato: umiltà, obbedienza, sacrificio, nascondimento agli occhi del mondo, ricerca del regno di Dio, vita interiore, grande amore a Gesù.

Ricordate, o Sorelle, che il contrassegno delle Opere di Dio è la lentezza e la sofferenza nel loro sviluppo. Il Signore non ha fretta; matura le sue Opere gradatamente, e le feconda con la pazienza cristianamente accettata. Siate dunque all’altezza della dignità a cui vi esalta il Signore; assecondate la sua Provvidenza; e farete cose grandi, farete tanto bene alle anime, ma prima di tutto alla vostra anima, diventando sante.

Andate avanti così, senza fretta di fare molto. Seguite i disegni della Provvidenza, eseguite fedelmente quello che il Signore andrà man mano indicando come sua volontà. Oh, il bel premio che vi preparate in Paradiso!

La Madonna benedetta, in questo suo giorno di festa, vi dice come dovete comportarvi, come vi dovete presentare al Signore. Al grande annuncio, la Madonna si è detta “ancella”, ha proclamato: “Ecce ancilla Domini fiat mihi secundum verbum tuum”.

Mi sembra che sia la parola che dovete sentir nascere spontanea dal vostro cuore in questo giorno, ascoltando il Decreto: Ecco la serva – povera Serva – del Signore: si compia in me quanto vuole il Signore.

Pregate tanto per me: ne ho sempre più bisogno, per compiere la divina volontà fino alla fine.

Io di gran cuore vi benedico, augurandovi dal Signore, e invocandovi con la preghiera, la grazia di corrispondere fedelmente al suo dono.

La S. Messa e tutta la giornata di domani sarà per voi. Metto i vostri desideri nel Calice santo. In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S4 Verona, 13-4-1952 – Pasqua

Buone Sorelle in Gesù

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Sento ancora nel mio cuore come un’onda di santa allegrezza, pensando alla grazia grande che vi ha fatto il Signore, e per la quale siete divenute spettacolo al mondo, agli Angeli e agli uomini.

La vostra approvazione, ricordatevelo bene, segna una data, che rimane scritta in terra e in Cielo. E mi pare che Dio stesso sia venuto a sanzionare il vostro nome, disponendo che I’approvazione avvenisse nella festa dell’Annunciazione, quando cioè la Vergine benedetta si proclamò essa pure l’umile e povera serva del Signore: Ecce ancilla Domini.

Come a lei rassomigliate nel nome, cercate rassomigliarle nella vita, vivendo lo spirito puro e genuino della vostra Opera, che è il medesimo spirito dei Poveri Servi.

Sono due Opere gemelle, come due rami uscenti dal medesimo tronco. Voi avete le vostre Regole, ma siete nate dal medesimo ceppo; avete identiche finalità e lo stesso programma: “Quaerite primum regnum Dei…”.

Per amor di Dio, conservate, custodite con la massima fedeltà questo spirito, che è poi compendiato nello stesso nome con cui vi chiamate: Povere Serve della Divina Provvidenza.

Vi chiamate povere: amate quindi e praticate la santa povertà, accettandone con gioia le privazioni e i disagi; amate il sacrificio, la fatica, il lavoro, come ai poveri si conviene. Siate anche povere di spirito; vi raccomando quindi, l’umiltà: “buseta e taneta”; la semplicità in tutto, nella casa, nel cibo, nel vestito; queste siano le vostre ricchezze. Che cosa può mancare a chi possiede Dio?

Vi chiamate serve: siete al servizio di un Padrone che è insieme Padre, e che non lascia senza ricompensa anche i più umili servigi; siate dunque generose.

Siete serve: il servo non fa quello che gli pare e piace, ma quello che piace al Padrone. Quindi, vi raccomando tanto l’obbedienza alla santa Regola e agli ordini dei Superiori, legittimi rappresentanti di Dio; senza testa, come cenci, come creta. Anche se l’obbedienza vi tiene celate e nascoste in uffici umili; che cosa ha fatto Gesù nei suoi primi trent’anni di vita, Egli che era venuto a salvare il mondo? E allora dite con fede: “Quello che è buono per Gesù è buono anche per me”. Non quello che voglio io, ma quello che vuole Dio.

Anche Maria vi dà la stessa lezione, quando pronuncia il suo “fiat”, nella totale adesione alla volontà di Dio.

Vi chiamate infine serve “della divina Provvidenza”, perché dovete vivere di fede in Dio che è Padre, con illimitata fiducia e filiale abbandono a tutte le disposizioni della sua amabile, paterna Provvidenza, anche quando si incontrano difficoltà, prove, sofferenze, essendo tutto ordinato a vantaggio nostro, per la santificazione nostra e dell’Opera.

Mostrare al mondo di oggi, che vive ingolfato nella materia, e non si preoccupa d’altro che dei beni e piaceri terreni, che non siamo fatti per la terra, ma per il Cielo. Confondere l’incredulità, che dilaga sempre più, con una fede ferma e pratica, con la sicurezza di chi vive sotto la divina protezione: ecco la vostra missione.

Vivete poi lo spirito di fede: sappiate apprezzare come meritano i principi e i valori soprannaturali. Irradiate attorno a voi la vita veramente cristiana; siate anche voi Vangeli viventi. Il mondo attuale è come un grande malato; Gesù vuole usare misericordia e donare al mondo la sua pace. Guai a noi se per colpa nostra Egli non potesse attuare i suoi disegni; guai a noi se dovesse venire il tracollo tremendo, che gli uomini si meritano, per colpa nostra, perché non siamo abbastanza generosi, perché non sentiamo l’anelito per la santità e ci accontentiamo di vivere nella mediocrità.

E ripeto a voi quello che ho detto ai Fratelli: L’Opera nostra è tutta di Gesù, è Lui al timone, è Lui l’anima che dà e conserva la vita all’Opera. Certo vi è anche l’elemento umano: siamo noi, con le nostre miserie e deficienze; noi siamo come il corpo fisico dell’Opera; il corpo può andare soggetto a malanni e difetti; ma l’anima no; essa rimane sempre in piena efficienza.

Voglio dire, come voi comprendete, che nell’Opera potranno essere delle manchevolezze materiali, difetti di qualunque genere; ma finché noi ci teniamo fedeli allo spirito puro e genuino, che Gesù ha messo fin da principio, l’Opera progredisce, va avanti, si sviluppa, allargando la sfera di bene, a gloria di Dio, a vantaggio delle anime, allo stesso modo che si sviluppa ed evolve l’organismo fisico, vivificato dallo spirito.

Nel constatare, quindi, qualche deficienza, non deve la Povera Serva fermarsi a criticare, a dire: ci vorrebbe questo, manca quello e quest’altro, ecc. Sarebbe tempo perduto.

Invece la Povera Serva si ripiega su se stessa e pensa: vivo io lo spirito dell’Opera? come osservo le Regole? come attendo alla mia personale santificazione? Pongo ostacoli allo sviluppo dell’Opera con la mia tiepidezza, con i peccati, colla mia poca virtù nel servizio del Signore?

Oh, se tutte, buone Sorelle, farete così, state pur certe e sicure che l’Opera vostra è assicurata.

Verranno delle prove anche grandi; ma Gesù, che è come l’anima dell’Opera, trovando in voi degli strumenti adatti, saprà trionfare di tutto e di tutti; anzi fortificherà sempre più la sua Opera, come avviene del corpo fisico, che, assuefatto alle fatiche e ai disagi, acquista e accresce energie per reagire vittoriosamente.

Ecco quello che davanti al mio Crocefisso mi sono sentito di scrivervi. Fate tesoro della mia povera parola, che è parola stessa di Gesù.

Ricordatevi che l’Opera è terribile a Satana, se è come Gesù la vuole; quindi fate un serio esame e cominciate una vita nuova, come nuova è la vostra Opera.

Questo sia il migliore augurio Pasquale per voi, che più col cuore che con la mano benedico, mentre, quanto so e posso, mi raccomando alla carità delle orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S28 Verona, 27-5-1952

Buona Sorella,

la grazia, la benedizione e la pace del Signore siano sempre nei nostri cuori.

L’Approvazione è il sigillo della volontà del Signore per la Congregazione delle Povere Serve. Certo che il nemico non è contento; e scatenerà delle prove, me lo sento questo: accenda sempre più la carità, ecco il segreto della vittoria. Si faccia santa, procuri che ognuna si studi di avanzare nella santità: viva e faccia vivere lo spirito puro e genuino dell’Opera e la sua vita. State ben attente al nemico che freme: che, per amore di Dio, non trovi nessun ausiliare.

Stia attenta, state attente allo spirito puro e genuino: l’importante non è fare tante cose, ma, quelle che si fanno, farle con grande ardore. Stia attenta, state attente alla qualità e non alla quantità degli elementi: meglio una buona secolare che una Povera Serva senza spirito.

Si santifichi, e santifichi le Consorelle per poter santificare: vi sono tante anime da portare al Signore, bisogna che tutta la nostra vita sia per il Signore; per noi, per il nemico, nemmeno un istante, nemmeno un respiro.

Quanto mi sta a cuore che le Povere Serve compiano i divini disegni, che il Signore ha sopra la Congregazione e su ciascuna: prego ed offro le mie sofferenze perché tutte siate Serve buone e fedeli, e perché tutte, passata questa breve giornata che è la nostra vita, possiate ricevere il bel invito: Vieni, Serva e Sposa fedele, vieni nel gaudio.

Mi raccomando tanto alla carità delle sue orazioni e di tutte e di ciascuna; mai come adesso sento il bisogno di essere aiutato per fare fino alla fine la divina volontà e per trovare misericordia al prossimo rendiconto.

Con Lei benedico la Sorella Dolores e Novizie e tutte le Povere Serve.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 2842/A 23-6-1952

Alle buone Sorelle Povere Serve di S. Zeno,

Grandi benedizioni, ringraziamenti e fervidi auguri.

Mi raccomando tanto alla carità delle preghiere.

Il vostro Padre

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 2842/C 24-6-1952

Alle buone Sorelle di Maguzzano,

Grandi benedizioni, ringraziamenti e fervidi auguri.

Mi raccomando tanto alla carità delle preghiere.

Fatevi sante, ma sul serio.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S29 10-8-1952 – S. Lorenzo

Reverenda Sorella,

A Lei, Sorella Agnese e con Lei a tutte le Sorelle che hanno la grazia di essere Povere Serve di Gesù: ogni mia benedizione e la mia continua preghiera, perché lo spirito puro e genuino dell’Opera sia in continua efficienza: faro continuo di luce evangelica e via sicura per compiere i divini disegni, e poi tessera certa per entrare in Paradiso.

Dio rimeriti le Sue e le loro preghiere; continui questa grande carità; guanto ne ho bisogno.

Gesù, benedici tutte le Povere Serve con chi dalla Provvidenza è designata a rappresentarti.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S54 S. Agostino 1952

Una particolare benedizione a Lei e a tutte le Novizie: che Gesù trovi le sue compiacenze a S. Toscana. Preghino per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S30 S. Zeno in Monte, 5-12-1952

Buone Sorelle,

La grazia, la benedizione e la pace del Signore siano sempre nei nostri cuori.

Vi mando queste poche parole, che mi sono sgorgate dal cuore, a bene vostro personale e per il bene e la vita dell’Opera tutta e della vostra Congregazione e per la salute di tutto questo povero mondo.

L’Opera vivrà e compirà i grandi disegni, che il Signore vuole compiere per mezzo di essa, se noi ne vivremo lo spirito puro e genuino, non a parole, ma con la pratica costante della nostra vita. Che grande grazia che avete di appartenere a quest’Opera, che è tutta di Gesù.

Ma ricordate bene che alla vostra fedeltà è legata la vostra salvezza eterna e lo sviluppo e la perennità dell’Opera stessa; guai a voi, quindi, se non corrispondete; per parte vostra verreste ad ostruire, ad interrompere la magnifica strada, tracciata dalla divina Provvidenza per arrivare alla santità, e alla eternità beata.

Per compiere i nuovi disegni, tutti propri dell’ora attuale, Gesù ci chiama tutti a rinnovarci in Lui, vivendo, ciascuno nel proprio stato, il Santo Evangelo: che sventura sarebbe non corrispondere, costringere Gesù ad eliminarci da questa grande Opera tutta sua! Pensiamoci bene.

La grande festa e solennità dell’Immacolata di quest’anno segni l’inizio di una vita tutta nuova secondo lo spirito puro e genuino. E’ la Madonna che ci chiama: mettete i vostri santi propositi nelle mani della cara Mamma Immacolata; ed Essa li metterà nel Cuore Sacratissimo del suo Figliolo, e compirete i grandi disegni di bene in quest’ora tanto oscura, che noi religiosi e voi religiose dobbiamo far chiara.

Queste parole mi sono sgorgate dal cuore; accettatele e praticatele. Al tempo stesso vi raccomando tanto di pregare per me e per I’Opera tutta, per i Poveri Servi e le Povere Serve: siano questi come due rami dello stesso albero.

Quest’anno ln cara Festa dell’Immacolata è allietata dalle nozze d’argento della Vostra Superiora: il più bel dono che le potete fare è di stringervi a Lei e dirLe: Noi siamo numericamente molte Sorelle, ma siamo e vogliamo essere una sola con Lei, perché quello che è Lei siamo noi tutte, e perché questa santa unione è il palpito del Cuore di Gesù.

Vi benedico, prego per voi tutte e per ciascuna, in modo tutto particolare per la vostra Madre. Di nuovo mi raccomando tanto alla carità delle vostre preghiere. Per Voi tutte e in particolare per la vostra Madre celebrerò la S. Messa della cara Festa; unitevi tutte a questa S. Messa, e io metterò nel Calice santo i vostri propositi e i vostri santi desideri.

Vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S30/A Verona, 5-4-1953 – S. Pasqua

Buone Sorelle di Maguzzano,

Auguri santi a tutte e a ciascuna. Che Gesù trovi nella vostra Comunità le sue compiacenze e vi ricolmi dei suoi doni.

Fatevi sante nello spirito puro e genuino dell’Opera di Dio: che fortuna per voi, per tutta l’Opera, per il mondo che ha estremo bisogno di santi.

Vi benedico, mi raccomando alle vostre preghiere.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S32 Verona, maggio 1953

Buone Sorelle,

La grazia, la benedizione e la pace del Signore siano sempre nei nostri cuori.

Mentre stavo per dire il santo Ufficio, mi venne un pensiero per voi che mi ha accompagnato nella recita. Credo non sia stata una distrazione. ma un pensiero che farà del bene alle vostre anime.

Pensavo alla vostra grandissima vocazione di appartenere a quest’Opera del Signore; pensavo alle vostre prove e difficoltà presenti; ed ho pregato il Signore di far scendere su tutte e su ciascuna una fitta pioggia di grazie e favori, perché possiate sempre più ravvivare la vostra fede nella divina Provvidenza che tutto dispone per il nostro bene, e perché vi assista a superare ogni prova con un aumento di fede e di amore.

L’umanità sta per passare un’ora di tenebre e di mancanza di amore. Che grande grazia appartenere, essere parte integrante dei Poveri Servi: che privilegio il far conoscere e glorificare la divina Provvidenza, ed approfittare delle prove per dare questo attestato di fede e di amore, allora le prove, anziché abbattere, ci servono per farci correre nella via della santità, alla quale siamo chiamati; servono ad attizzare il fuoco dell’amore, che il demonio vorrebbe spegnere nei nostri cuori e nel mondo.

State sempre serene e tranquille; vi do una particolare benedizione e pregate lo Spirito Santo che ci illumini e che, prima di essere chiamato al grande e divino rapporto, io possa rivolgervi la mia parola e dirvi quanto il Signore vuole da voi.

Pregate sempre per me, vivete sotto il paterno sguardo di Dio, che vi predilige nel tempo, perché siate spose fedeli alle quali prepara un premio particolare per tutta la beata eternità.

Queste mie povere parole accettatele come spontanee mi escono dal cuore! Credo che, ciò che mi ha spinto a scriverle, non sia stata una distrazione, ma il Signore.

Pregate sempre per me: e per l’Opera di Dio.

Vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S32/A Negrar, 15-6-1953

Buone Sorelle di S. Toscana,

Buone Sorelle, ricordatevi che siete Povere Serve.

Pregate per me che vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S33 14-8-1953

Buona Sorella,

Gesù e la cara Mamma celeste le rimeritino delle preghiere, e le consumino tutte nel santo amore di Dio. Che grande grazia essere Povere Serve del Signore nella persona dei suoi (personali) rappresentanti, i poveri: che tutte siano degne delle divine ricompense promesse.

Benedico tutte e ciascuna e chiedo carità di preghiere.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S33/A Verona, 3-3-1954

Buone Sorelle,

La grazia e la pace del Signore siano sempre con voi e con tutti della cara Famiglia di S. Mattia.

Avete pregato per me, continuatemi questa grande carità e state certe delle divine ricompense.

Fatevi sante e santificherete l’Opera.

Aiutatemi a compiere fino alla fine la divina volontà e capire il dono della sofferenza.

Vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S5 Festa dell’Annunciazione, 25-3-1954 A. M.

Alle Sorelle Povere Serve della Divina Provvidenza.

La Grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con voi.

Quando si è chiamati da qualche grande personaggio per un servizio od altro, si è santamente orgogliosi di rispondere prontamente all’invito e di mostrarsi disposti generosamente a qualsiasi ordine. Ora, il Signore, il Dio del Cielo e della terra, in questi giorni di santi Esercizi vi ha chiamate, vi ha invitate ad ascoltare la sua voce, trasmessa per mezzo di chi vi ha predicato; vi ha chiamato Lui stesso, il Signore, a questo Cenacolo di raccoglimento e di ritiro, per effondere su voi con larghezza sovrana il suo Spirito e la sua Grazia.

O Sorelle, per amor di Dio, vi prego e vi scongiuro di corrispondere e di far tesoro di tanto dono, e di essere fedeli sempre a tanta chiamata. Questi santi giorni di Esercizi segnano una tappa importante nella via della santificazione vostra personale; siate consapevoli di questa grazia, e cercate di valorizzarla, a costo di qualunque sacrificio. Costi quello che costi. Voglio corrispondere! dovete dire adesso e sempre.

Giorni importanti, questi degli Esercizi, per voi personalmente, perché vi facciate sante; importanti per la vostra Congregazione, perché vi regni sempre lo spirito puro e genuino, e anzi si sviluppi sempre più e sempre meglio, a gloria di Dio, e a santificazione delle anime.

Giorni importanti anche per tutta l’Opera dei Poveri Servi: voi ne siete un ramo, voi appartenete a quest’albero meraviglioso, che il divino Agricoltore ha piantato per compiere grandi disegni. Sento che il Signore ci domanda qualche cosa; Egli guarda a noi per vedere se siamo pronti, in piena efficienza; oh, guardiamo di corrispondere generosamente, pronti a tutto, come la Madonna quando fu annunciata dall’Angelo: “Ecce ancilla Domini: fiat mihi secundum verbum tuum”. Sia questo anche il vostro programma di vita religiosa, per poter compiere i divini disegni e farvi sante.

Mai come ora sento il bisogno di preghiere per me, per ottenere la divina misericordia, mentre sono così vicino al grande traguardo, e per compiere i disegni che il Signore ha sulla sua Opera. Pregate, pregate per me!…

Un pensiero di grande riconoscenza rivolgo in questo momento all’apostolo mandato dal Signore, che vi ha predicato con tanto zelo e tanta unzione la divina parola. E’ proprio l’angelo del Signore; l’avete ascoltato in questi giorni; pregate per lui, e mettete in pratica quanto egli a nome di Gesù vi ha detto.

Più col cuore che con la mano, vi benedico tutte e ciascuna, augurandovi di essere sempre all’altezza della vostra vocazione e di farvi sante.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * S59 18-4-1954 A. S. – S. Pasqua 1954

Buone Sorelle,

La grazia di Gesù benedetto sia sempre nei vostri cuori, affinché, corrispondendo al dono della vocazione, possiate compiere i divini disegni e farvi sante.

Ricambio di gran cuore gli auguri e vi ringrazio per le preghiere che avete fatte e fate continuamente per me, che ne ho così grande ed urgente bisogno. Il Signore vi ricompensi con l’abbondanza delle sue grazie e dei suoi doni, particolarmente con essere fedeli ai santi e generosi propositi che vi ha ispirato durante gli Esercizi Spirituali. Oh, la bella grazia che avete avuto! Corrispondete fedelmente e sarete contente voi, compirete i disegni della divina Provvidenza, e porterete grande vantaggio anche ai vostri cari.

Il Signore, nonostante il vostro piccolo numero, si è compiaciuto di affidarvi un nuovo campo di lavoro. Siatene grate al Signore, e lasciatevi guidare come cenci nel nuovo lavoro. E’ una missione nobilissima, della quale non siamo degni: lavorare per le anime! E’ il lavoro che ha compiuto il Verbo di Dio, Gesù, fatto Uomo. Ed egli non si è risparmiato per nulla, ha sacrificato la sua vita sulla croce: state unite a Gesù, siate generose con lui, e farete miracoli di bene.

Ma, ve lo raccomando tanto e poi tanto: date il primo posto alla vita interiore; da questa prendete il tono del vostro lavoro quotidiano. Lo diceva recentemente il Santo Padre in una lettera ad alcune Congregazioni laiche addette all’apostolato della gioventù in Francia. Belle cose la scienza, le lettere, le arti; ma soprattutto sia la fede, la religione, che dà valore a queste belle cose.

E pregate per me. Io prego per voi, che siate in efficienza come vi vuole il Signore. La Madonna Immacolata, l’Ancella del Signore, vi protegga, vi assista, perché siate a parole e a fatti “serve dei poveri”, serve del Signore.

Di gran cuore benedicendovi, assieme a quanti vi sono cari,

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 1572 S. Gaetano 1954 A.M.

Buone Sorelle.

Vi ringrazio delle preghiere, vi benedico e vi prego pregare tanto per me: aiutatemi a capire il dono della sofferenza e a valorizzarla per la mia anima e per l’opera di Dio.

Vi benedico, in C. J.

Sac. J. Calabria

SORELLE * 7025 [Non datata]

PER LA RINNOVAZIONE DELLA PROFESSIONE RELIGIOSA

DELLE POVERE SERVE DELLA DIVINA PROVVIDENZA

Sorelle in Gesù Cristo.

La grazia, la pace di Gesù Benedetto sia sempre con voi che dal fondo del cuore benedico implorandovi una fittissima pioggia di grazie spirituali, specie in questo grande giorno nel quale avete la gran fortuna di fare o rinnovare i vostri voti, in questa benedetta Casa del Signore alla quale voi avete la grande fortuna di appartenere: fortuna che solamente potrete capire alla sera della vostra vita tutta spesa per il Signore, e poi nell’eternità dove godrete per sempre il premio che il Signore ha preparato alla buona e fedele Sorella dei Buoni Fanciulli.

Sorelle, in questo momento, io mi congratulo con voi tutte per la grande grazia che il Signore vi concede facendovi fare o rinnovare i santi voti.

Ricordatelo sempre questo giorno e questo momento nel quale, per mezzo dei santi voti voi vi siete totalmente legate a Gesù dando prova del vostro amore per lui, vostro unico Sposo al quale dovete servire per tutta la vita.

Deh, che non avvenga mai questa sventura per voi che abbiate a venir meno alle promesse fatte. Piuttosto mille volte la morte, ditela questa parola: sì, mille volte la morte, piuttosto che venir meno a tanta promessa.

Sorelle, ringraziate il Signore per questa grazia che il Signore oggi vi ha fatto, grazia che completa un’infinità di grazie che Gesù Benedetto vi ha fatto durante il tempo che voi avete avuto la fortuna di abitare in questa sua Casa, che, ricordatelo bene, è la Casa, proprio la Casa del Signore, perché lui l’ha fondata e lui la guiderà con provvidenza tutta particolare, compiendo gradatamente i grandi suoi disegni, a patto che noi viviamo con lo spirito di quest’Opera che consiste in modo tutto particolare nella vita di fede, nel pieno abbandono nelle braccia amorose della Provvidenza, avendo unicamente di mira questo: cercare il santo Regno del Signore nella piena ed esatta osservanza delle sante Regole, piena espressione della santa volontà di Dio.

Sorelle, sorelle, godete in questo santo giorno! Voi siete più grandi delle regine di questa terra, siete le spose predilette di Dio!

Deh, amatelo questo celeste Sposo e siate santamente ambiziose d’interpretare non solo i suoi comandi, ma i suoi desideri.

La vostra vita sia un canto per lui!

Oh, beate e felici, specie nell’ora della grande chiamata.

Come ancora vi dissi, sul letto della vostra agonia, vedrete il grande premio che Gesù vi ha preparato. Ho tanto pregato per voi in questo giorno, voi continuate a pregare per me fino a tanto che la divina misericordia mi avrà chiamato a sé.

Vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 2291 [Non datata]

J.M.J.

Il Signore vi ha fatto una grandissima grazia che unita alle molte altre, accresce in voi l’obbligo di corrispondere santificando le vostre anime, e tutte in una sola sorella preparare la stabilità della vostra opera, che come tante e tante volte vi ho detto è grande nella mente del Signore e che se voi coopererete sarà di gran gloria alla divina Trinità e di gran bene alle anime.

L’opera dei Poveri Servi è grande. L’opera delle Povere Serve, l’opera delle Sorelle è a pari, nei disegni del Signore, e perciò quello che sempre dico ai religiosi lo dico anche a voi.

Carissime Consorelle, vivete dello spirito genuino di quest’Opera che è spirito di fede, di grande fede, di abbandono nelle braccia amorose della divina Provvidenza, nell’esercizio continuo delle virtù della santa umiltà, carità, pazienza. Sono la serva di Dio, ora con la fede, che grande dignità, dunque devo unirmi a Dio, e servirlo nelle sue creature in tutti i rami che la carità di Cristo domanda aiuto, dunque le creature abbandonate, le ammalate, le carcerate, le pentite, le cadute, le pericolanti, in una parola nessun ramo della carità sia a voi escluso, certo la carità prima deve essere di aiutare con la preghiera, con il lavoro con la vita l’Opera dei Poveri Servi.

Sorelle ringraziate e benedite con i vostri Superiori il Signore, per tante grazie e promettete sul serio di cominciare a vivere i santi esercizi che avete fatto.

Vi ho detto in principio: è una grandissima grazia. Sono terminati. Adesso comincia l’esercizio pratico, adesso si vedrà se li avete fatti bene, sorelle.

La vostra opera deve essere come il sole, il sole splende, riscalda, porta immensi vantaggi, così deve essere di voi se sarete fedeli alla vostra santa vocazione. Alle volte il sole non splende, ma di chi è la colpa? Del sole? no! Sono le nuvole che lo nascondono!

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 2568 [Non datata]

Sorelle,

La pace e la grazia di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Oh, come di cuore vi faccio e vi rinnovo questo augurio, perché quando si è ripieni dell’amor di Dio, oh allora ogni cosa diventa leggera, dolce, soave e si cammina, anzi si corre, nella via della nostra santificazione.

Sorelle in Gesù Cristo, ringrazio la provvidenza del Signore, che ogni cosa dispone per il nostro maggior bene, perché vi ha qui raccolte, unite insieme nel dolce vincolo della carità, per sentire ancora una volta la mia povera parola, dico così, perché passa attraverso un misero Casante quale io sono, ma nello stesso tempo parla il Signore; perché come altre volte ho detto e ridetto: finché la divina misericordia mi tiene, tutti, nessuno eccettuato, devono ascoltare e mettere in pratica quello che io vi dico, a bene e santificazione delle vostre anime e a stabilità e diffusione di questa grande Opera del Signore.

Cosa vi dirò io in questo grande e solenne momento?

Vi dico, e a nome stesso di Dio, padrone assoluto di questa grande Opera, che il Signore vi ha amato, vi ama e vi predilige, a patto che voi abbiate a corrispondere come Lui vuole: cenci, creta, senza testa, in tutto e per tutto alle vostre Sante Regole, che sono l’espressione chiara e precisa della divina volontà.

Voi tutte nel Signore siete nate quasi quando è nata quest’Opera dei Poveri Servi della Divina Provvidenza e nei disegni di Dio, ricordatelo bene, voi dovete compiere grandi cose, con lo stesso spirito della nostra Congregazione, che è: spirito di umiltà, di carità, di fede ed intero abbandono nelle braccia della divina Provvidenza.

Fino adesso avete avuto questo spirito? siete state, siete vissute come vuole Gesù? Ciascuna entri in se stessa e veda lo stato della sua anima, quello che in questo momento voi sentite, si è che il Signore vi chiama, vi dice per mio mezzo: “Su, su, siete ancora in tempo, voglio da voi grandi cose. Voi siate generose, generose, generose, e non dubitate del mio aiuto e protezione”.

Date mano all’opera, cominciate sul serio a vivere, ad amare il Signore. Lo avete amato anche nel passato, ma il diavoletto subdorando che il Signore voglia compiere nuove cose, si è infiltrato ed ha tentato una offensiva per distruggere quest’Opera di Dio.

Sia ringraziato il Signore che non è avvenuto così che anzi da questa offensiva, mi pare che il Signore voglia cavare del grande bene. Mano all’opera! Del passato, una bella pulita con scritto sopra: ancora al mio Gesù! E ciascuna al suo posto, nell’obbedienza che sarà loro assegnata, si metta a correre nella via della propria santificazione. Perché come sapete, la santificazione vostra è necessaria, per la santificazione dell’Opera. Io credo che se voi vi mettete presto all’impegno. vedrete il sole delle nuove grazie di Dio sopra la vostra Comunità.

Sorelle, ancora vi parlo nel nome di Gesù, disporrà Lui e vi dirà quello che dovete fare.

Credo che questa sia una prova del Signore che noi abbiamo a soffrire ma che si compiranno i divini disegni.

Mentre vi parlo sento falciare, che è?

Ma niente paura, se il Signore è con noi chi sarà contro di noi?

In C. J.

Sac. J. Calabria

SORELLE * 2568/A [Senza data] q.12 – Festa Annunciazione

Una sola parola, ma una grande parola vi dico, o sorelle in Gesù Cristo, la parola è questa: Voi oggi, festa dell’Annunciazione della Vergine, la nostra cara Madonna, la Madre di quest’opera, avete iniziato ufficialmente una vita tutta nuova, tutta speciale, come la vuole Gesù, come la vuole la Vergine benedetta, oggi come da oggi, voi non siete più vostre, voi siete tutte di Gesù, attraverso, per mezzo della Madonna.

Oh, quale grazia il Signore vi ha fatto, d’ora in avanti tutto quello che voi fate, tutto quello che voi soffrite, tutto quello che voi domandate, lo fate, lo soffrite, [lo] donate per mezzo della Madonna. E, ditemi, che cosa regalerà Gesù alla sua Madre? Siate certe, siate sicure che Gesù esaudirà tutto quello che la Madonna offre, dimanda per voi.

Oh, che fortuna, oh che grazia… ricordatelo bene; voi siete della Madonna. Oh, se sarete perseveranti, se sarete vere schiave di tanta Madre, quali disegni non compirete in questa grande opera, quanta ricchezza ma quanta a questa Casa. Come andate avanti nella vostra santificazione sorelle, nelle prove, nelle sofferenze vostre, in tutta la vostra vita di sorelle di quest’opera?

Deh, ricordatevi della vostra consacrazione che oggi avete fatta alla Madre. Me lo sento, se voi sarete povere serve della Madonna, oh, la Madonna vi farà… vi darà in mano il pegno della vita eterna….

SORELLE * 8910 [Non datata]

Alle Sorelle dei Poveri Servi della divina Provvidenza della Casa di Costozza.

Questa divina immagine di Gesù che ci dice quanto Egli ha fatto per noi sia stimolo ad amarlo e ad aiutarlo.

Pregate per il vostro Padre che vi benedice

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 8910/A [Non datata]

Sacro Cuore di Gesù, fate sante tutte le Sorelle della Comunità Romana.

Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 8910/B [Non datata]

Una grande benedizione alle buone Sorelle di Costozza.

Ringrazio di cuore, raccomandandomi alle vostre preghiere.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 8910/C [Non datata]

Grazie, celesti benedizioni e auguri santi per il Santo Natale a tutte le Sorelle di Costozza.

Le benedico.

In C. J. Sac. G Calabria

SORELLE * 8910/D [Non datata]

Benedico le buone Sorelle dei Poveri Servi della Casa di Nazareth e mi raccomando alla carità delle orazioni.

Buon Natale.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * A8 [Non datata]

Godo dei vostri propositi. Il Signore vi guardi tutte con predilezione. Datevi a Lui senza riserve.

Sac. G. Calabria

Buone Novizie

S. Toscana

SORELLE * 5829/S [Senza data]

(Sorelle di Costozza, auguri pasquali)

Pregate per me che vi benedico

Sac. J. Calabria

SORELLE * 5829/T [Senza data]

(Sorelle di Roncà, auguri pasquali)

Pregate per me che vi benedico

Sac. J. Calabria

SORELLE * 5829/U [Senza data]

(Sorelle di Costozza)

Fatevi Sante.

In C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 5829/V [Senza data]

(Sorelle di S. Zeno)

Siate sempre Povere Serve. Beate voi, l’Opera, il mondo tutto.

Sac. J. Calabria

SORELLE * 5829/Z [Senza data]

(Sorelle di Costozza)

Una grande benedizione alle buone Sorelle

Sac. J. Calabria

SORELLE * 5829/AA [Senza data]

(In calce ad una lettera scritta da don Rossi alla Madre):

Benedico tutte, amate e servite il Signore. Voi beate, fate la carità grande di pregare per me

in C. J. Sac. J. Calabria

SORELLE * 5829/AB [Senza data]

[Sotto il volto di Gesù]

Il nostro pensiero sia sempre rivolto a Gesù, pensando quello che ha fatto e patito per noi. Deh, amiamolo tanto Gesù, cerchiamo di imitarlo e saremo felici in vita e beati in morte.

Mi raccomando alle orazioni

in C. J. Sac. J. Calabria

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DON CALABRIA AGLI INFERMI

TUTTI GLI SCRITTI DI DON CALABRIA AGLI INFERMI

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6241 Novembre 1948

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia di Gesù benedetto e la Sua santa pace siano sempre nei nostri cuori. – E’ la prima volta che vi scrivo direttamente, ma non è la prima volta che io penso a voi. Fin dalla mia ormai così lontana gioventù, i malati sono stati sempre la pupilla dei miei occhi, e la bella provvidenziale opera dell’Apostolato degli Infermi ha occupato sempre un posto di privilegio nel mio cuore.

Ora il primo segretario della sezione italiana dell’Apostolato Infermi, al quale avevo dato l’incarico di organizzare e dirigere questa bella opera, non è più fra noi; egli è tornato alla casa del Padre, da cui tutti veniamo e a cui tutti siamo chiamati e dobbiamo sentire la nostalgia di arrivarvi. Don Albano, tanto caro al mio cuore, era un sacerdote santo, ed è tornato a casa pieno di meriti; e uno dei suoi meriti più grandi siete proprio voi, la bella famiglia dell’Apostolato Infermi, la quale tanto bene ha fatto e farà ancora per la gloria di Dio e la salvezza della povera umanità.

Nella mia povertà, mi sono sentito di prendere il posto di don Albano, per il grande amore che porto a tutti i malati e in modo particolare a voi, ma soprattutto perché confido che il Signore gradirà questa mia piccola fatica e darà Lui l’aiuto per supplire alle mie manchevolezze.

Per questo mi raccomando tanto anche alla carità delle vostre preghiere e dei vostri sacrifici.

Non pensate che io abbia la pretesa o che aspiri a dirvi cose nuove o dotte, tuttavia quelle poche cose che vi dirò, state sicuri che ve le dico col cuore, perché so cosa significhi la malattia e la sofferenza, perché mi sento vostro fratello anche in questo; da molto tempo, infatti, anch’io sono iscritto all’Apostolato Infermi anzi, se guardiamo all’anzianità d’iscrizione, credo di potermi ben chiamare vostro fratello maggiore, perché la prima tessera dell’Apostolato Infermi in Italia è stata proprio la mia, nel maggio del 1930.

Non consideratemi dunque come un nuovo arrivato, ma come il più anziano della vostra famiglia, il quale vi dirà tutti i mesi, fino a che la misericordia divina lo terrà in vita, una parola alla buona, come a una famiglia raccolta presso il focolare: il focolare dell’amore divino, a cui tutti dobbiamo scaldarci e infervorarci.

Questo fuoco di carità, che ci viene dalle fiamme del Cuore divino di Gesù, ci deve far sentire sempre più fortemente la nostra unione fraterna. Siamo fratelli perché figli di un unico Padre; siamo fratelli perché redenti tutti da Gesù, il primogenito di Dio; siamo fratelli anche perché fin ché siamo su questa povera terra, siamo tutti, per la nostra umana natura, soggetti a soffrire. Perciò l’amore nostro non deve limitarsi alla nostra famiglia, ma, come vuole lo statuto della nostra associazione, deve estendersi a tutti i nostri fratelli, a tutta l’umanità dolorante, perché tutti, vedete, soffrono; tutti hanno bisogno del divino aiuto, e certamente ne hanno ancor più bisogno coloro che sembrano privilegiati, in quanto non sono toccati dai grandi dolori.

A questo proposito, mi viene in mente un grazioso episodio della vita di Pio XI. Un giorno passava davanti a Lui, baciandogli la mano, una lunga fila di pellegrini; a un certo punto, un giovane dal passo incerto e dallo sguardo assente, si arrestò titubante davanti al piccolo trono; allora uno dei prelati che assistevano avvisò il Papa: “E’ cieco”. Pio XI ebbe allora un istintivo motto di pietà, si accostò all’orecchio del giovane, e abbracciandolo gli disse con commozione di padre: “Coraggio, figliolo, non sei solo: siamo tutti un poco ciechi”.

E’ proprio così, cari fratelli e sorelle; siamo tutti un poco, o molto ammalati; tutto il mondo è malato, ed è malato soprattutto perché è cieco.

Fortunati, mille volte fortunati noi che, nelle nostre sofferenze, siamo confortati da quel lume divino che è la santa grazia portataci da Gesù col sacrificio della Sua vita e della Sua dolorosa passione!

Oh la grande medicina che è la grazia per le malattie degli uomini!

Se il mondo non fosse così cieco, se il mondo la conoscesse e l’apprezzasse e ne facesse tesoro, quanti mali di meno vi sarebbero per questa povera umanità! Ci rimarrebbero certamente i dolori, perché il dolore è piuttosto un privilegio che un danno, e non è un segno di castigo o di collera, ma è invece quasi sempre una prova di predilezione divina; ci rimarrebbero, dico, dei dolori nel mondo, ma sarebbero dolori dolci e soavi alle anime, e l’umanità, conoscendone il valore inestimabile invece di fuggirli, li cercherebbe a gara.

I santi, che avevano gli occhi della fede bene aperti e ci vedevano chiaro, facevano così: le desideravano e le cercavano le sofferenze.

Cari fratelli e sorelle, guardiamo le cose dall’alto, ascoltiamo, specialmente in questo mese che sta per tramontare, l’insegnamento che viene da coloro che ci hanno lasciati per il grande viaggio dell’eternità; oh come essi vorrebbero aver sofferto di più, non solo in penitenza delle proprie colpe, ma anche per acquistare titoli a una maggior vicinanza ed unione con Dio nella patria beata! Questa sarà certamente una delle pene maggiori per le anime che penano nel Purgatorio: non aver fatto tutto quello che era in proprio potere per assomigliare di più a Gesù in questa terra e quindi essergli più vicino nella gloria; per le anime che hanno già raggiunto il santo Paradiso invece, neppur questo pensiero potrà intaccare la loro gioia perfetta.

Oh eternità beata, dove non avremo più che da godere dando gloria a Dio! Miei cari ammalati, vogliamo arrivarci anche noi? Guardiamo allora all’esempio di Gesù, che ci parla, dalla croce, del Suo amore per noi. Dev’essere, dunque un gran tesoro la sofferenza, se Iddio ne ha riservata tanta al Suo divin Figliolo! E infatti tutte le anime più care al Signore ebbero in sorte le sofferenze più gravi e acute. Pensate ai santi, pensate alla cara Madonna, che fu la creatura prediletta di Dio. Pensiamo spesso alla Madonna e sentiamoci con Lei ai piedi della croce del Suo divin Figliolo.

Oh la nostra cara Madre Celeste! Ella rimane sempre la Madonna della nostra associazione, anche se la sede del segretario non è più presso il suo Santuario: ogni casa dei Poveri Servi è, si può dire, un Santuario della Madonna, perché in ogni casa la Madonna è con devozione tutta particolare onorata, specialmente nel Suo immenso privilegio dell’Immacolata Concezione; tuttavia il Santuario della Madonna di Campagna rimarrà sempre la cara culla della nostra Sezione Italiana, e il nostro cuore deve rimanere sempre vicino al Suo trono; anzi, ciascuno di noi deve fare per Lei un santuario nella propria anima, così che Ella ci sia sempre vicina, insieme con Gesù, a sostenerci e a darci pace, e insieme con il Suo castissimo sposo S. Giuseppe, per assicurarci, alla fine dei nostri giorni quaggiù, un felice ritorno alla casa del Padre che è nei cieli.

Miei cari ammalati, là è il nostro appuntamento, là dobbiamo ritrovarci un giorno tutti insieme a cantare, senza ombre di dolore, le divine misericordie.

Intanto stiamo strettamente uniti nella preghiera. Cominciando dal dicembre prossimo, il primo venerdì di ogni mese io celebrerò la santa messa per voi e per quelli che avete di più caro nel cuore, per i soci defunti e perché il Signore benedica e fecondi sempre più questa Sua opera dell’Apostolato Infermi. Quelli di voi che possono, facciano quel giorno la santa comunione in unione di intenti e di cuori con questo nostro centro dell’associazione; chi non possa far la santa comunione, in quel giorno offra almeno, in un modo particolare, le sue sofferenze al Signore. E Gesù benedetto vi ricompenserà tutti largamente. Vi avviso che il 24 di ogni mese io celebro la santa messa per coloro che pregano per me e secondo le mie intenzioni. Ne ho tanto bisogno, cari ammalati; aiutatemi tanto anche voi con la vostra carità, di preghiera e di sofferenza Vi saluto tutti, tutti vi porto nel cuore, tutti vi benedico. Vostro in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6242 Dicembre 1948

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia di Gesù benedetto e la Sua santa pace siano sempre nei nostri cuori. – Eccomi di nuovo a voi, per dirvi la mia povera parola. Avrei voluto che questa lettera vi giungesse prima del santo Natale, per portarvi i santi auguri natalizi, ma non è stato possibile; e allora ho cercato di rimediare ricordandovi in un modo tutto particolare al Signore, specialmente nelle messe del Santo Natale.

Spero ora che queste mie parole vi giungano per l’anno nuovo, per portarvi i miei fervidi auguri di bene nel Signore, ma soprattutto per eccitarvi a concepire dei grandi e santi propositi per la vostra vita in questo nuovo anno di misericordia. Ricordatevi: anno nuovo, nuovo grazie, nuove responsabilità.

Questo nuovo anno, poi, dobbiamo riguardarlo specialmente come una preparazione e introduzione all’Anno Santo, e io desidero ardentemente che i cari iscritti dell’Apostolato Infermi si impegnino con tutta l’anima a cooperare perché il santo Giubileo del 1950, che la misericordia di Dio sembra volerci elargire e che la paterna bontà del S. Padre ha già indetto, riesca veramente come il Signore vuole, cioè una tappa importante nella nostra santificazione personale e una vittoria del regno di Dio sul regno delle tenebre.

Ci arriveremo noi all’Anno Santo? Potremo noi approfittare delle grandi grazie che, come speriamo, il Signore elargirà, nel santo Giubileo, ai cristiani di tutto il mondo?

Misteri di Dio! Una cosa però è certa: che noi possiamo, fin d’ora, partecipare a quei frutti salutari di grazia, se cooperiamo, già adesso, alla preparazione di questo grandioso avvenimento.

Vedete, cari Fratelli e Sorelle: quando il Signore vuol fare qualche cosa di grande, aspetta che noi, suoi figli, Gli portiamo il materiale, e finché il materiale non è sufficiente, le opere del Signore non procedono. L’economia delle opere divine è così. Il Signore è abbondantissimo nelle sue grazie, ma vuole la nostra cooperazione, vuole che noi le grazie gliele strappiamo con una santa violenza. E qual è questo materiale che vuole da noi? Che cosa possiamo darGli noi, poveri ammalati?

Cari Fratelli e Sorelle, siamo proprio noi che abbiamo a disposizione il materiale più prezioso per la fabbrica del regno di Dio. I malati non sono, no, lo scarto di questa povera umanità, ma ne sono invece la parte più eletta, quella che più piace e più conta agli occhi di Dio, purché naturalmente sia a Lui unita nella santa grazia, cioè nella santità, che consiste essenzialmente nell’accettazione illimitata e perfetta della Sua santa volontà.

Oh quale potere ha sul cuore di Dio la preghiera di un’anima santa! E quando quest’anima può offrire, insieme con l’ardore del suo cuore, la prova, la testimonianza della sua sofferenza, allora diventa quasi onnipotente sul cuore di Dio.

Io l’ho sempre detto ai miei figlioli spirituali: bisogna essere pronti a soffrire, a soffrire tanto, a soffrire come, dove, quando vuole Iddio, perché le anime e le opere del Signore costano tanto, e delle volte si potrebbe dire persino che grondano sangue. E del resto, non grondò forse sangue il nostro Redentore per salvare le anime nostre?

Preghiera e sofferenza. Ecco il materiale che vuole da noi il Signore, come condizione per aprire i tesori dell’Anno Santo. Può darsi che dipenda proprio dalla nostra preghiera, accompagnata dalla sofferenza, non solo da riuscita dell’Anno Santo, ma anche la sua realizzazione. Siamo dunque generosi col Signore e con le anime dei nostri fratelli.

Coloro che hanno l’incarico di organizzare le manifestazioni esterne dell’Anno Santo, stanno già preparando i programmi e pensano a tante belle iniziative di bene. Tutto il mondo dovrà guardare a Roma, e da Roma dovrà partire tanta luce e calore non solo per tutti i cattolici, ma anche per tutti coloro che non sono ancora del santo ovile della Chiesa e specialmente per i Fratelli Separati.

Chi sono questi Fratelli Separati? Don Albano ce ne parlava tutti gli anni proprio in questi giorni invernali, e quelli che sono da qualche tempo nella nostra grande Famiglia dell’Apostolato, sanno bene che vengono chiamati Fratelli Separati specialmente quei cristiani che, pur professandosi seguaci di Cristo, non accettano però l’intera dottrina e la disciplina della santa Chiesa cattolica, e vivono così formalmente separati da noi, come tralci distaccati dalla vera vite, che è Cristo Signore vivente nella Sua Chiesa, fondata su Pietro.

“Tu sei Pietro e su questa pietra io fonderò la mia Chiesa”.

Sono più di trecento milioni di anime, tra cristiani scismatici e protestanti, che sono fuori della vera Chiesa; se poi contiamo gli Ebrei, i Maomettani e tutti gli altri non cristiani, si raggiunge la cifra di oltre un miliardo e mezzo di persone che non godono degli speciali carismi che il Signore elargisce attraverso il magistero e il ministero della Chiesa romana. Se ci pensiamo bene, è una cifra spaventosa. E dire che noi ci culliamo spesso nel beato ottimismo che tutto vada bene e che presto tutto il mondo sarà cattolico!

Certo, se il Signore volesse, questo voto del nostro cuore potrebbe avverarsi prima e meglio di quel che si possa ragionevolmente sperare; ma, come dicevo prima, il Signore vuole la nostra cooperazione.

Per questo la Chiesa raccomanda tanto la preghiera per le missioni, per la conversione dei peccatori, per l’unità delle Chiese. E appunto per l’unità delle Chiese tutti gli anni, nel mese di gennaio, dal 18 – festa della Cattedra di S. Pietro in Roma – al 25 – festa della Conversione di S. Paolo – in tutto il mondo si fa un’ottava di preghiere speciali, per ottenere dal Signore la riunione di tutti i cristiani in una famiglia sola. “Ut unum sint”, perché siano una cosa sola, come il Figlio di Dio, nostro fratello e capo, è un’unica cosa col Padre e con lo Spirito Santo.

A questo nobilissimo scopo dobbiamo cooperare anche noi con tutte le nostre possibilità, non solo in questa solenne ottava, ma in tutto l’anno. Sarà anche un mezzo utilissimo, che piacerà tanto al Signore, per propiziare la Sua misericordia sul mondo, in vista del prossimo Anno Santo.

Perché possiate unirvi, almeno in ispirito, ai milioni di fedeli che durante l’ottava pregano in unione d’intenti, vi metto qui le intenzioni che sono stabilite per i singoli giorni:

18 gennaio – Per il ritorno di tutte le altre pecorelle all’unico ovile di Pietro.

19 – Per il ritorno delle Cristianità Orientali dissidenti.

20 – Per il ritorno degli Anglicani.

21 – Per la conversione dei Luterani e delle comunità protestanti d’Europa.

22 – Per la conversione delle comunità Protestanti d’America.

23 – Per il ritorno dei cattivi cristiani alla pratica dei Sacramenti.

24 – Per la conversione degli Israeliti.

25 – Per la conversione dei Maomettani e dei pagani.

Come vedete non solo per i cristiani, ma anche per tutti gli altri si prega. Sono tutti nostri fratelli, figli di Dio Padre, tutti redenti dal sangue di Cristo.

Oh preghiamolo il Signore, per questo Suo sangue preziosissimo, sparso per tutti noi; preghiamolo che si faccia presto un solo ovile sotto un solo Pastore, in modo che il divin sangue per nessuno sia stato sparso invano! E offriamo quanto abbiamo di meglio: il nostro amore, le nostre sofferenze e, se fosse necessario, il nostro stesso sangue. E facciamo la nostra offerta per le mani purissime della Vergine Immacolata, e così sarà più gradita a Dio, più meritoria per noi, più salutare per i nostri fratelli.

Prima di terminare, voglio ringraziare tutti coloro che in questi giorni mi hanno fatto pervenire parole gentili di carità e di incoraggiamento e soprattutto promesse di preghiere. Che il Signore li ricompensi tutti con le Sue sante grazie.

Continuiamo a vivere uniti nella santa carità di Cristo: un cuor solo e un’anima sola. Tale unità nella carità è già una preghiera preziosa per ottenere l’unità di tutto il mondo in Cristo.

Vi benedico e, augurandovi ogni bene, vi saluto nel Signore.

In C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6243 Gennaio 1949

Miei cari fratelli e sorelle nel Signore,

la grazia e la pace di Gesù Benedetto siano sempre nei nostri cuori. – Ho ricevuto da voi parecchie lettere, che mi hanno consolato, perché hanno fatto vedere con quanta comprensione ascoltate queste mie povere parole e le mettete in pratica. Il Signore, che conosce il vostro patire e le disposizioni del vostro animo, ve ne darà certamente generosa ricompensa.

Quando ricevo le vostre lettere, io mi trasporto col mio pensiero nelle vostre case, negli ospedali, nelle case di cura dove siete ricoverati, vicino ai vostri letti di dolore, e mentre vi benedico ad uno ad uno, mi pare di passare in rivista un esercito: l’esercito più forte che ci sia su questa povera terra, il solo esercito che possa salvare il mondo dalla rovina.

Qualcheduno, quando è ammalato, pensa: se io fossi sano, potrei fare questo e quest’altro per il Signore… ma, poichè sono malato, non potendo offrirgli altro, gli offro solo queste mie sofferenze e il dispiacere che ho di non poter lavorare per Lui. E dice questo col medesimo tono con cui una persona di buon cuore potrebbe dire a un assetato che chiede da bere: ti darei volentieri del vino, anzi, vorrei darti un liquore squisito, ma poiché non ne ho, contentati di un po’ d’acqua. – No, cari fratelli e sorelle, non è proprio così che dobbiamo giudicare il dolore. La sofferenza, sopportata insieme col Signore non è, no, da meno della nostra attività, del nostro lavoro fatto quando stiamo bene. Il dolore non deve essere considerato come un tozzo di pane che rimane alla fine del pasto e che tante volte si disprezza come un rimasuglio: il dolore è il dolce liquore e il pane squisito che saziano più di qualunque cosa la brama d’amore e di giustizia del cuore di Dio.

La sofferenza è il dono più genuino che possiamo offrire in riparazione di tanti mali nostri ed altrui che Dio dovrebbe punire. Infatti nelle nostre iniziative, nei nostri lavori c’è sempre molto di nostra volontà, di nostro gusto, di amor proprio personale; invece il dolore, se lo accettiamo come se ci venisse dalle mani e Dio e lo offriamo a Lui per il santo suo regno, è più puro dai nostri umani attaccamenti, ed è quindi la preghiera più potente presso il cuore offeso del Signore.

I dolori sono veramente il meglio di noi. Basterebbe guardare la vita dei santi: dai più vicini a noi andando su, su nei secoli, sino al protomartire Stefano, agli Apostoli, alla Madonna. E non ha forse tremendamente sofferto Gesù, l’Innocente, per i peccati dei Suoi fratelli? E che grandi benefici ci apportano quei patimenti! E poiché ora, glorioso alla destra del Padre, non può più soffrire, Egli, volendo continuare nella Sua opera di redenzione, si serve di noi Suoi fratelli, membri di questo Suo corpo mistico che è la Chiesa, dove ciascuno di noi, purché sia in grazia di Dio e distaccato dal peccato, è come un tralcio vivo unito e vivente insieme con la vite che è Cristo. Ma il tralcio è anch’esso una parte della vite: ecco perché si dice che il cristiano è un altro Cristo.

San Vincenzo de’ Paoli, il quale di sofferenza se ne intendeva, diceva che è “ben fortunata quella famiglia ove sia un malato”. Sembra un’eresia, ma è proprio così. Anche la grande famiglia dell’umanità, ma specialmente la santa famiglia della Chiesa di Cristo, può vivere e prosperare solamente perché nel suo seno ci sono i malati e i sofferenti. E se qualcosa di bello e di grande avviene in questa grande famiglia, è il Signore che la dona, dopo aver raccolto una vera messe di atti di amore nel campo smisurato della sofferenza.

Voi direte: ma sono sempre le stesse cose che ci vengono dette e ripetute! E’ vero: ma sono proprio le cose più vere e più semplici che bisogna ripetere a noi stessi e agli altri, perché sono queste che ci portano alla pratica di una vita santa e ricca di meriti. La via della santità è una vita difficile, perché richiede appunto dei sacrifici, non già perché richieda una grande scienza.

Ma io oggi vi ripeto queste cose anche per una ragione speciale. Questa povera umanità, questa grande famiglia redenta da Cristo, ma così poco cristiana, così poco grata al Signore, così poco unita alla fonte della vita, questa povera umanità sta attraversando un’ora di crisi tremenda. Anche se avete la fortuna di vivere un po’ isolati dal mondo, arriva certamente anche a voi l’eco di tanti avvenimenti, non tutti brutti per fortuna, ma in gran parte dolorosi, che ogni giorno le cronache ci riferiscono. Conflitti di dottrine, guerre politiche ed economiche, sconvolgimenti e crisi un po’ dappertutto: e poi in molte regioni del mondo persecuzioni feroci anche contro la nostra santa religione e i suoi rappresentanti; persino in questa nostra Italia continui tentativi, specialmente in qualche regione, per togliere dal cuore del nostro buon popolo il suo patrimonio più prezioso: quello della fede.

Proprio in questi giorni ho ricevuto da una città d’Italia una lettera che io avevo mandato alle suore di un ospedale e che mi è stata respinta con questa scritta: “Non più suore all’ospedale civile”. A questo punto s’arriva: di voler togliere persino il conforto e l’assistenza religiosa dal capezzale degli infermi!

Fortunatamente, insieme con questi fatti dolorosi, ci sono anche fatti e sintomi consolanti: il desiderio sempre più sentito della pace, una maggior comprensione almeno tra alcuni popoli, vasti campi scientifici e intellettuali che si volgono a Cristo, nella santa Chiesa un fermento nuovo di vita, una revisione ardita delle istituzioni vigenti per adattarle alle nuove necessità, il movimento consolantissimo per l’unione delle Chiese, la brama di Cristo che certi popoli pagani sentono più che mai: sono tutti segni che il Signore batte alla porta dell’umanità, perché vuole entrarvi come Re e Dominatore.

E qui mi piace riferire una bellissima immagine di S. Paolo, che pare scritta proprio per questi giorni. Nella meravigliosa lettera ai Romani, dopo aver detto che non vi è paragone tra la sofferenza passeggera di quaggiù e la gioia eterna che ci è destinata nel cielo, egli aggiunge che tutto il mondo sta in attesa guardando lontano, aspettando il rinnovamento in Cristo dei figli di Dio; anzi, dice di più: l’insieme delle creature geme e soffre quasi le doglie del parto, e anche noi, che abbiamo la grazia di essere cristiani, andiamo gemendo, in attesa che si sveli l’adozione dei figli di Dio e la glorificazione di questo nostro corpo, che un giorno non sarà più soggetto a patimenti.

Oggi l’umanità sta veramente soffrendo le doglie del parto di un ordine nuovo. Ma come può nascere un mondo migliore, più cristiano e più santo, può anche scaturire un dragone infernale che divora le creature di Dio e porta strage e rovina. E allora? Allora dipende proprio da noi, cari fratelli e sorelle nel Signore, se il mondo si salverà o si perderà. Oh, noi lo sappiamo bene che il trionfo finale sarà di Cristo e della Chiesa, ma attraverso a quanti dolori, lotte e sventure, se noi non riusciamo oggi a sforzare la misericordia di Dio! Solo la preghiera e la sofferenza dei buoni possono costituire la diga che arresti il corso della giustizia divina e cambiare il corso degli avvenimenti. Che grande, che tremenda responsabilità davanti a Dio e davanti ai nostri fratelli se avendo a nostra disposizione questa immensa forza soprannaturale che il Signore ci dà, non vogliamo approfittarne!

Quando la barca è in pericolo, i marinai buttano in mare anche le cose più care, pure di salvare la vita. La grande nave su cui noi pure navighiamo, la santa Chiesa, è nella tempesta. Facciamo come i marinai: lanciamo a mare tutto il nostro amor proprio, accettiamo lo spogliamento delle ricchezze, della salute, degli onori; salviamo una cosa solo e sempre: la vita della nostra anima, tenendoci uniti all’alimento della nostra vita interiore: l’Eucarestia, la preghiera, la sofferenza. La Stella del mare, la Madre nostra Addolorata, ci illumini la rotta verso il porto del cielo. Siamo forti e perseveranti: arriveremo così tutti al porto che ci attende, dove un giorno ci ritroveremo tutti uniti a lodare il Signore per sempre, insieme con tante anime salvate dalla nostra sofferenza.

In questa dolce speranza, vi saluto e vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6244 Febbraio 1949

Miei cari Fratelli Sorelle nel Signore,

la grazia e la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi, e la sua santa gioia sovrabbondi nei nostri cuori. La santa gioia di Cristo, ho detto; non già l’allegria spensierata che in questi ultimi giorni di carnevale abbiamo visto schiamazzare anche nei nostri paesi cristiani.

Poveri uomini, poveri cristiani! Credono di essere oggetto d’invidia e destano invece, in chi abbia appena un poco di vero spirito cristiano, una profonda compassione. Se, invece di far chiasso e di muoversi tanto, si fermassero un pochino e meditassero sulla vanità, e fugacità del piacere che essi rincorrono e che mai li contenta, sentirebbero la voce intima e potente della coscienza che direbbe loro: disgraziato, tu ti diverti, ma non sei contento; sei spensierato, ma non sei tranquillo; sei sazio di piacere, eppure ti senti vuoto e affamato.

- Poveri ciechi! – ci vien fatto di dire, e pensiamo a quel poveretto di cui ci ha parlato il vangelo di questa domenica di quinquagesima. Poveretto, ma fortunato! Infatti ebbe fede in Gesù, e ottenne di vederci. Io son certo che, pensando a quel cieco, tutti voi, domenica scorsa, avete pregato per la guarigione di tanti ciechi spirituali che sono nel mondo. Del resto, questa preghiera ci è stata chiesta, proprio pochi giorni fa, con un appello accorato, dallo stesso Santo Padre, il quale ha disposto che tutta la Chiesa celebri, la domenica di Passione, 3 Aprile, una speciale giornata di riparazione per placare la giustizia di Dio, offesa da colpe sempre più gravi ed insolenti, e per implorare il perdono ai disgraziati colpevoli.

Il primo venerdì d’aprile e la domenica di Passione saremo dunque uniti in modo speciale in questo spirito di riparazione e nell’offerta delle nostre povere preghiere e sofferenze a Dio.

Però… però sarebbe un grave errore pregare per gli altri, senza fare un serio esame su di noi stessi. Nella mia prima lettera, raccontandovi un grazioso aneddoto della vita di Pio XI, vi dicevo che tutti siamo un poco ciechi. Ciechi sono coloro che non vedono; ma ci sono di quelli che sono ancora più ciechi perché, pur essendo immersi nelle tenebre, credono di essere nella luce; peggio ancora: immersi nella luce, non ne sono illuminati, perché mettono degli ostacoli tra i loro occhi e la luce. Chi sono questi disgraziati?

Possiamo essere anche noi, cari fratelli e sorelle, se non corrispondiamo con generosità alla luce che il Signore ci manda per mezzo delle sue grazie, così numerose e così preziose, e poniamo a queste grazie l’ostacolo della nostra cattiva volontà e del peccato. Saremmo ciechi anche noi se, per esempio, non riconoscessimo che anche le tribolazioni sono grazie che il Signore ci ha mandato per il bene nostro e del mondo.

Nel vangelo di domenica scorsa abbiamo anche letto che Gesù chiamò in disparte gli Apostoli e confidò loro che Egli sarebbe caduto in mano ai suoi nemici, che lo avrebbero deriso, oltraggiato, crocifisso. E il vangelo aggiunge che gli Apostoli non capirono nulla di quello che il Signore aveva così chiaramente detto loro. Avevano la stessa luce, Gesù vivente e parlante, quel medesimo Gesù che in tre anni aveva mostrato loro tanti miracoli strepitosi, eppure non vedevano quella luce e non volevano ascoltare quella voce.

A leggere tali cose, noi quasi ci scandalizziamo.

E perché ci scandalizziamo? Perché siamo anche noi dei ciechi che, per guardare le ombre negli altri, non ci accorgiamo delle nostre grosse macchie. Sì, gli Apostoli avevano avuto grandi grazie da Dio; ma forse che noi non dovremmo ringraziare giorno e notte il Signore per le grazie che ha elargito a ciascuno di noi?

Gli Apostoli avevano visto i miracoli di Gesù: e pure noi conosciamo quei miracoli e tanti altri ancora, compresi quelli che la Provvidenza compie anche al presente. E anche noi abbiamo l’insegnamento di Gesù nelle pagine del Nuovo Testamento. E abbiamo anche un cosa che essi non ebbero: la storia meravigliosa e miracolosa della Chiesa e l’esempio di innumerevoli santi. Gli Apostoli avevano Gesù, e anche noi l’abbiamo nella SS. Eucarestia; e l’abbiamo ancora nei suoi rappresentanti, dal Sommo Pontefice all’ultimo sacerdote; essi ebbero la Madonna; e non l’abbiamo anche noi, madre tenera e soave, che sempre ci aiuta e spesso rinnova le sue visite straordinarie alla povera umanità? E i sacramenti? E l’Angelo Custode?

E’ tutta questione di fede: se noi avremo una fede vera e profonda, ci sentiremo avvolti in un’atmosfera soprannaturale e riconosceremo che le grazie a noi date da Dio sono più numerose del pulviscolo atmosferico, che scorgiamo quando un raggio di luce penetra nelle tenebre di una stanza. Abbiamo dunque bisogno anche noi di raccoglierci un poco, in questa santa quaresima, che è fatta specialmente per pensare ai bisogni dell’anima: dobbiamo chiudere la nostra anima al mondo, alle sue passioni, che sono radicate anche in noi per mezzo dell’amor proprio; e aprire bene lo spiraglio della fede, che ci farà vedere attorno a noi quello che forse oggi non vediamo che confusamente: le grazie che il Signore ci ha fatto e la nostra poca corrispondenza alla bontà e generosità del Padre celeste.

Allora vedremo se il nostro cristianesimo lo mettiamo veramente in pratica, o se troppo spesso non si riduce a vane parole: se siamo bravi a predicare agli altri la rassegnazione e l’accettazione della volontà di Dio e poi noi… Forse, prima che la croce venisse, abbiamo detto, nell’entusiasmo del nostro cuore, insieme con l’apostolo Tommaso: andiamo anche noi dietro al Signore e moriamo con Lui! Vengano pure le pene: le accetterò volentieri per il mio Signore… Poi vennero le tribolazioni e ben presto noi ce ne stancammo, perché le avremmo volute in altro tempo, in altro modo, in altre circostanze, perché avremmo voluto scegliere noi la nostra croce, perché insomma, eravamo e forse siamo ancora troppo attaccati al nostro amor proprio.

Ecco la radice di tutti i mali: l’amor proprio: voler più bene alla nostra volontà che alla volontà di Dio.

La quaresima è fatta per la mortificazione. Mortificazioni corporali non mancano a chi è già colpito e piagato in questa povera carne; ma rimane sempre possibile la mortificazione dello spirito, per mezzo della quale dobbiamo vincere la vecchia creature peccatrice per rivestire in noi Gesù Cristo: Gesù Cristo mite ed umile di cuore, Gesù Cristo sofferente e paziente, Gesù Cristo offeso e perdonante, Gesù Cristo crocifisso e Redentore.

Allora saremo anche fatti degni di rivestire in noi Cristo glorioso e trionfante nel seno della SS. Trinità, insieme con la nostra cara Mamma del cielo, nella beata eternità.

Vi ricordo ancora i nostri convegni presso l’altare della preghiera e della sofferenza: il 24 io offro il S. Sacrificio per tutte quelle anime buone che pregano per me; il I° venerdì del mese per tutti gli iscritti vivi e defunti; il 3 aprile tutti i nostri cuori siano vicini al papa, in espiazione per noi e per tutto il mondo peccatore.

Ringrazio di cuore coloro che mi hanno scritto promettendomi preghiere e sacrifici e a tutti mi raccomando nel Signore. Augurando a tutti ogni bene in Cristo Gesù, vi saluto e vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6245 Aprile 1949

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia e la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi. Mi pare ieri quando richiamavo alle vostre menti l’augurio di pace che gli angeli cantarono sulla grotta di Betlemme, e già risuona al nostro orecchio e s’imprime nel nostro cuore il saluto e l’augurio di Gesù ai suoi prediletti, nella Pasqua della Resurrezione: la pace sia con voi.

Sono passati ormai quattro mesi e, anche se sono trascorsi nella sofferenza, ora che sono passati ci sembrano brevi; fors’anche perché l’eternità ogni anno si avvicina e le cose di quaggiù impallidiscono sempre più al nostro sguardo.

Il tempo fugge: e che cosa rimane? Noi lo sappiamo bene, anche se qualche volta ci comportiamo come se non lo sapessimo: rimane solo il merito delle opere buone, del sacrificio sopportato con spirito di fede e con la carità di Cristo e dei nostri fratelli nel cuore; e col merito rimane anche la pace, quella pace appunto per cui Gesù venne nel mondo e per cui affrontò il sacrificio della croce. “Vi lascio la pace, vi dono la pace. Io non ve la do come ve la da il mondo. Non si turbi né si sgomenti il vostro cuore” (Giov, XIV, 27).

La mia pace, Egli disse: per distinguerla da quella falsa, apparente ed ingannevole del mondo e dei suoi seguaci. Noi dobbiamo dunque studiarla questa pace, dono di Cristo, studiarla per riconoscerla da quella falsa, per conquistarcela con l’aiuto della divina grazia e per difenderla da chi ce la volesse rapire o turbare.

Tutti parlano di pace, tutti sospirano la pace, le stesse guerre si fanno generalmente nel nome di una pace da conquistare a qualunque prezzo, e dopo le recenti esperienze, tutti diciamo col cuore sinceramente: oh avessimo un po’ di vera pace! – E’ dunque una gran cosa questa pace di cui tutti parlano e che così difficilmente si raggiunge. Ma la pace che il Signore ci ha portato è una cosa ben più grande di questa di cui parlano i giornali. La pace di Cristo è la pace dei cuori che hanno trovato il loro riposo e conforto in Dio: una pace che può allietare l’anima anche in mezzo all’infuriare di una battaglia o di una persecuzione; una pace anzi che è essa stessa lotta continua e frutto di lotta (sono i violenti – con se stessi – che conquistano il cielo); una pace “che il mondo irride – ma rapir non può”.

E’ questa la pace che sorrise sulla culla di Betlemme, che aleggiò sotto le volte del cenacolo nel discorso dell’ultima Cena, e che fu augurata dal Cristo risorto ai suoi apostoli e discepoli. Questa è la pace che, nei primi secoli della Chiesa, risuona così frequentemente dalla bocca e dagli scritti dei nostri padri nella fede, e particolarmente del grande apostolo delle genti San Paolo, che ai suoi figlioli in Cristo non scriveva una lettera senza augurare almeno una volta la pace di Dio.

Ci sarebbero tante cose da dire, su questo argomento, e se la Provvidenza mi darà tempo e forza, mi piacerebbe di svilupparvelo un po’ ampiamente, trattandosi di un punto fondamentale per la nostra felicità eterna, e anche terrena. Ne riparleremo dunque, a Dio piacendo; per oggi, mi piace darvi alcuni principi, che voi mediterete nel vostro animo, ricavandone certamente frutti di consolazione.

La pace di Cristo non vuol dire pigrizia, neghittosità, riposo inerte e privo di moto, di ardore, di passione; è invece un frutto che si matura e si raccoglie nella lotta, nel sacrificio, nella mortificazione di sé.

La pace di Dio, infatti, è il riposo in Dio: ma non può riposarsi in Dio chi non è unito a Dio; e poiché non può essere unito a Dio chi è ancora attaccato al mondo, così la pace di Dio vuol dire distacco dal mondo e da noi stessi, che è il regno di Dio sull’uomo, come ci viene insegnato da Gesù: “Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra” – “Cercate prima di tutto il Regno di Dio”.

Costa dunque sacrificio la pace di Dio; ma essa in compenso santifica i pochi piaceri e conforta i molti dolori di questa povera vita, e finalmente da ordine e serenità, in una divina armonia regolata dalla grazia, a tutti i nostri pensieri e sentimenti.

Non vi pare un bel programma?

Ebbene, questo è anche il mio augurio e la mia raccomandazione per noi tutti, in questa santa Pasqua 1949. Ascoltiamo dunque insieme le parole bellissime di San Paolo: “Non vi date affanno per qualunque avvenimento vi possa accadere; ma, in ogni circostanza, esponete a Dio i vostri desideri con orazioni e impetrazioni. Così facendo, la pace di Dio, incomprensibile a uomo mortale, monterà per così dire la guardia alla porta dei vostri cuori e delle vostre menti in Cristo Gesù” (Philip. IV, 6-7).

Ricordatemi tanto al Signore, com’io sempre vi ricordo, ma particolarmente il primo venerdì del mese e il giorno 24.

Vi saluto e vi benedico. Vostro,

in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6246 Maggio 1949

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia e la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Siamo vicini alla festa di Pentecoste, la quale, come quasi tutti sapete, da molti anni è la data stabilita per la “Giornata dei Malati” consacrata alle Missioni. Sarà dunque una giornata nostra, nella quale il papa e tutto il mondo cattolico guarderanno a noi con una grande attesa e una fiduciosa speranza. Bisogna che questa attesa e questa speranza non rimangano deluse, e perciò ciascuno di noi deve impegnarsi seriamente a santificare quel giorno, cominciando fin d’ora a prepararsi l’animo.

In che cosa consiste dunque questa “Giornata dei Malati”? Consiste nel riunire le sofferenze dei malati cattolici di tutto il mondo e nell’offrirle al Signore con l’intenzione particolare di ottenere una pioggia di grazie sullo sterminato campo missionario. Pensate quale immenso fascio di fiori sbocciati dal sacrificio manderà in quel giorno il suo profumo verso il trono di Dio! Quale immensa nuvola d’incenso prezioso si leverà da questa povera terra dolorante, per farvi discendere la divina misericordia!

Non sono chiamati all’offerta solo i malati gravi, i cronici, quelli costretti al letto, ma tutti coloro che in quel giorno avranno qualche sofferenza fisica, anche se sarà un malessere passeggero che permetta di stare in piedi. Vi dico questo perché, se potete, dovete estendere il vostro apostolato anche ad altre anime, ad altri sofferenti, che potranno così far aumentare il tesoro spirituale di quella giornata.

E perché, chiederà qualcuno di voi, è stata fissata la domenica di Pentecoste per questa offerta? Perché fu nella domenica di Pentecoste che cominciò ufficialmente la vita della Chiesa e che lo Spirito Santo. scendendo sulla Vergine e sugli Apostoli, diede inizio ufficiale all’apostolato cristiano. La Pentecoste poi è la festa dell’Amore increato che si dona agli uomini, ed è ben giusto che gli uomini in quel giorno corrispondano a tanto amore, offrendo il meglio di sé a Dio. E qual cosa migliore della sofferenza può l’uomo offrire al Signore? Vedete dunque che quella di Pentecoste è in modo tutto particolare la nostra giornata.

La santa Chiesa però, in quel giorno solenne, ci invita a stabilire nella nostra offerta intenzioni ben determinate.

Prima di tutto dobbiamo offrire la nostra preghiera e la nostra sofferenza per il Santo Padre e per le speciali intenzioni ch’egli ha nel cuore; poi per le missioni cattoliche, cioé per tutti i missionari e le missionarie e le loro attività; inoltre per la riunione dei cristiani separati alla Chiesa cattolica; e finalmente per la preservazione della fede là dove la fede può essere insidiata e messa in pericolo.

Come vedete, due delle intenzioni – quelle per il santo padre e per il ritorno dei fratelli separati – sono già tra le intenzioni che l’Apostolato degli Infermi si è proposto in modo particolare in quest’anno di preparazione al quell’Anno Santo che speriamo sia l’anno di un grande ritorno alla santa Chiesa di Roma: e questa è una ragione di più per intensificare in quel giorno la nostra preghiera, sentendoci nella dolce e potente compagnia di milioni di malati sparsi per tutto il mondo.

A voi, già ammaestrati nell’apostolato della sofferenza, non è necessario ch’io aggiunga molte spiegazioni; però mi permetto di farvi una raccomandazione: quelli di voi che possono, si accostino quel giorno ai SS. Sacramenti, e tutti, poi, recitino la bella preghiera indulgenziata che per vostra comodità viene pubblicata anche su questo foglio; infine, vi domanderei una carità personale: pregando per le missioni, ricordatevi anche di una mia intenzione particolare che mi sta molto a cuore.

Questa mia lettera vi giungerà, a Dio piacendo, prima della fine del mese di maggio, e non posso lasciar passare questa circostanza senza dirvi una parola sulla nostra cara Mamma celeste.

Del resto, non vi è nessun argomento caro al cuore dei cristiani, dove la Madonna non abbia una parte importante. Potrebbe dunque non averla nella festa della Pentecoste, Lei, la Sposa dello Spirito Santo? Potrebbe non averla nella giornata delle missioni e dei malati, Lei, la Regina delle missioni e la madre buona di tutti quelli che soffrono?

Il sangue di Cristo fu sparso per tutti, perciò la Madonna si sente di tutti madre. E possiamo noi pensare che Ella non abbia una speciale tenerezza per i figli che sono lontani dalla casa del Padre? Figli meno fortunati, dispersi per le vie fangose e dolorose del mondo, privi del tesoro più prezioso che è la fede e l’abbandono nella divina Provvidenza, privi della consolazione di sapere che vi è in cielo una mamma che a loro pensa, essi non sono certamente dimenticati e abbandonati da Maria, la dispensiera dei tesori di grazie del suo divin figliolo Gesù.

Se Ella ha richiamati tanti peccatori all’ovile della penitenza, se con grazie straordinarie ha chiamato, attraverso i secoli, ebrei ed eretici alla vera fede, Ella non mancherà di far sentire la sua voce anche a tanti infelici per far loro conoscere il suo figliolo. E infatti vi sono oggi intere regioni nell’oriente che chiedono di essere evangelizzate. Chi è che chiama quei popoli e che parla ai loro cuori? Oh, è certamente Lei, la grande Missionaria, a far nascere in quelle anime una così forte nostalgia di un Dio che non conoscono.

Miei cari fratelli e sorelle nel Signore, l’ora che viviamo è molto triste, ma è anche un’ora di misericordia: questo è il tempo di Gesù, come lo chiama il padre Lombardi; è il tempo che lo Spirito Santo ha riservato a nuovi trionfi della sua Chiesa; è il tempo in cui il cuore di Maria vuole darci nuove più meravigliose prove del suo amore e della sua potenza sul cuore di Gesù.

Oh, noi beati se sapremo ascoltare l’invito dello Spirito Santo all’apostolato e se coopereremo con Maria all’avvento del regno di Cristo! Ma dobbiamo cooperare in quella maniera che Maria ci ha insegnato: umiltà, preghiera, penitenza, soprattutto penitenza, penitenza, penitenza!

Cari ammalati, teniamo gli occhi volti al cielo, dove c’è il vero gaudio per noi e per i nostri fratelli; e per noi e per i nostri fratelli sforziamo la misericordia divina con la nostra preghiera, con la nostra sofferenza, con una santa vita.

Vi lascio nei cuori di Gesù e di Maria, raccomandandovi alla carità delle vostre orazioni.

Vostro,

in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6247 Giugno 1949

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. – Oggi, 24 giugno, festa del S. Cuore, il mio pensiero corre specialissimo a voi tutti, che soffrite nel Signore e col Signore. E’ infatti la festa di quel Cuore da cui venne l’invito: “Voi che soffrite, venite a me ed io vi consolerò”; di quel cuore da cui eruppe il sospiro: “Misereor” io ho compassione della turba stanca e affamata; è la festa di quel Cuore che passò per le contrade della Palestina facendo del bene e sanando tutti; di quel Cuore che per amor nostro si lasciò aprire da una lanciata; di quel Cuore finalmente che, per lasciarci un prova perpetua della sua ardente carità, è voluto rimanere con noi nel sacramento eucaristico. – Ecco quel Cuore che ha tanto amato gli uomini! -

Ma se questo Cuore amò tanto gli uomini, amò ed ama soprattutto coloro che soffrono. Se trascorriamo le pagine del vangelo, quante scene di misericordiosa bontà vi troviamo! E non solo per i figli fedeli d’Israele, ma anche per qualche estraneo. Ricordate il servo del centurione romano, ricordate la cananea, ricordate anche la samaritana, che era pur essa malata, di una malattia ben più grave di quelle corporali e più difficile da guarirsi. Poiché Gesù era medico dei corpi e delle anime.

Non si trova nel vangelo neppure accennato che Gesù abbia rifiutato una sola volta il suo conforto a qualche sofferente che glielo avesse chiesto con fiducia.

E’ un fatto importante, e se noi vi mediteremo su bene, ne verrà un gran luce alla nostra mente e un incoraggiamento al nostro cuore forse stanco ed oppresso. Dobbiamo infatti pensare che Gesù è sempre lo stesso di allora e quindi dobbiamo sentirci sicuri che, se allora non mandava via nessuno senza conforto, ancor oggi deve essere così.

E così è, o cari fratelli e sorelle; così è, solo che da parte nostra ci siano quelle disposizioni che Gesù vuole.

Che cosa voleva il Signore per guarire gli ammalati che gli si presentavano?

Prima di tutto una gran fede. Lo disse chiaramente al padre dell’ossesso epilettico: “Credi? Tutto è possibile a chi crede. Ti sarà fatto secondo la tua fede”. E ciò confermò in tante altre occasioni: “Va’ in pace, la tua fede ti ha salvato”.

Ora, questa fede che il Signore ci domanda, noi dobbiamo averla, e sempre, e sempre coltivarla nel nostro cuore; non solo quando chiediamo un intervento straordinario di Dio, ma anche quando ci serviamo dei mezzi naturali, ordinari. Quando un malato prende una medicina, deve pensare che è Dio a dare efficacia a quel rimedio; quando si sottopone a un intervento chirurgico, il suo pensiero deve correre a Gesù, che può guidare la mente e la mano del chirurgo; quando aspetta il sonno ristoratore, quando attende un po’ di sollievo a un troppo acuto dolore, ancora a Gesù deve correre il suo pensiero, così come il pensiero del bimbo, in tutti i suoi bisogni e nei suoi dolori, corre alla mamma. Ancora di più anzi: ché Dio ha detto: “Quando anche la mamma si dimenticasse del suo bambino, io non mi dimenticherò mai dei miei figli”.

Gesù è il re dell’universo: ogni cosa dipende da Lui: Egli lascia agli esseri ragionevoli la libertà della scelta, ma nessuno spirito, nessun uomo, nessuna forza potrebbe agire senza l’intervento della divina potenza.

Tutto dunque dipende da Lui. Ma non basta credere nella sua onnipotenza; Egli è anche tanto buono, infinitamente buono, ed è necessario che per parte nostra noi crediamo a questa sua infinita bontà, a questo suo infinito amore per noi. E’ necessario ed indispensabile, se vogliamo aprire il cuore nostro alla confidenza e il Cuore di Gesù alla misericordia per noi. Che confidenza potrebbe avere un figliolo che non credesse all’amore dei genitori per lui? E come potrebbe ricorrere a loro con fiducia nei suoi bisogni e nelle sue pene?

Noi abbiamo troppo spesso il difetto di ricorrere a Gesù solo nei casi gravi della vita; invece dovremmo essere così confidenzialmente uniti con Lui, che in tutti i momenti e in tutte le circostanze dovremmo sentire vicino a noi, presente e pieno di affettuose attenzioni, questo fratello immensamente buono e amoroso.

Un altro difetto è quello di pensare a Gesù come a un essere buono sì, ma buono verso l’umanità in generale, senza un particolare riguardo alla nostra persona. In tal modo Gesù si presenta alla mente e al cuore come lontano nel tempo e nello spazio, come un essere vago e quasi impersonale che non è strettamente presente all’anima di ciascuno di noi. E invece Egli ama ognuno di noi, cose se ognuno di noi fosse l’unica persona ch’Egli deve e vuole amare. Il sacrificio ch’Egli ha fatto per tutti, lo ha fatto per ciascuno di noi in particolare, e lo avrebbe fatto anche per uno solo di noi.

Questa deve essere la nostra persuasione, il nostro intimo sentimento. E se questa sarà la nostra fede, che cosa ci potrà turbare? Oh, non le angustie della malattia, della povertà, delle nostre stesse miserie spirituali; poiché dove la fede è viva, quindi arde l’amore e domina la confidenza.

Rivolgiamoci dunque con grande fiducia al nostro grande amico, a Gesù: affidiamo a Lui non solo le nostre pene spirituali, ma tutti i nostri pensieri, e anche gli stessi affari materiali non dobbiamo temere di confidarli a Gesù. Abbandoniamoci nelle sue mani, ed Egli ci consolerà ed aiuterà anche nelle malattie e nei nostri dolori fisici.

Certo, non basta, cari fratelli e sorelle, avere la fede: occorrono anche altre buone disposizioni del cuore; occorrono le opere e occorre quel mezzo importantissimo che è la preghiera. Ma di queste cose riparleremo, a Dio piacendo, nelle prossime lettere.

Intanto vi lascio, nel ricordo e nell’amore del Cuore di Gesù, ricordandovi i soliti convegni presso il trono di Dio: il primo venerdì del mese celebrazione della S. Messa per tutti i soci vivi e defunti; il 24 per tutti coloro che si ricordano nelle loro preghiere di questo povero sacerdote, che, augurandovi ogni bene nel Signore, vi benedice di cuore.

In C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6248 Luglio 1949

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. – In questi giorni fra i più caldi dell’anno quanto penso a voi, cari malati! Infatti, se non si ha la fortuna di trovarsi in un clima mite di montagna o di riviera, questi giorni caldi ed afosi mettono a dura prova la pazienza di tutti, ma specialmente degli ammalati. Come diventano pesanti gli abiti e le coperte, difficile la respirazione, cocente la sete, languido l’appetito! E poi ogni posizione diventa insopportabile, qualche volta le mosche noiose non danno tregua e le forze stesse sembra che ci abbandonino.

E purtroppo non tutti i malati possono avere sempre un’assistenza continua ed affettuosa, non tutti hanno le cure necessarie e i conforti che l’arte medica e la carità hanno saputo escogitare per rendere meno insopportabili gli incomodi delle malattie. Specialmente, dunque, a questi poveretti deve correre il pensiero dei buoni, ma soprattutto di coloro che hanno la fortuna di essere sani, o almeno di avere, in mezzo alle loro sofferenze, qualche agio e conforto per il fisico e per lo spirito.

Il pensare a chi sta peggio di noi e tuttavia soffre, assai spesso, con pazienza ammirabile, ci torna molto utile per richiamarci al dovere di essere pazienti, di portare anche noi la nostra croce con rassegnazione, con calma, e col santo desiderio di recare il nostro contributo soprannaturale al rinnovamento della grande famiglia cristiana e all’affratellamento di tutto il mondo sotto il materno manto della Chiesa di Cristo.

Quante occasioni, tutti i giorni, tutte le ore, tutti i minuti, per offrire al Signore la nostra povera moneta, la nostra piccola elemosina per l’umanità!… Il sopportare la sete, il rinunciare a cambiare posizione, l’ingoiare un cibo o una medicina di gusto non gradito, tollerare con pazienza una mosca, un rumore, una luce importuna…; e quanto più preziose, poi, queste mortificazioni, se siano condite dalla santa carità per il nostro prossimo; se, per esempio, rinunciamo a chiamare chi ci assiste, quando il servigio non è proprio urgente ed indispensabile; un ringraziamento cordiale a chi ci fa un piacere, anche se vediamo che ce lo fa a contraggenio; il tacere una sofferenza a cui non si può recar rimedio, mentre, dicendola, non otterremmo altro risultato che affliggere i nostri cari… alle volte un semplice sorriso in mezzo al dolore, può costituire un atto di grande carità per i nostri fratelli e per Gesù, che nei nostri fratelli è rappresentato.

A tutte queste cose io penso, o cari fratelli e sorelle nel Signore, portando a voi la mia mente in questi giorni afosi e pesanti. Ma contemporaneamente penso a un numero troppo grande di persone, che abusano di questi periodi di caldo straordinario per ingolfarsi nella dissipazione e nei piaceri illeciti, con la scusa di ristorare il corpo e lo spirito dalle fatiche del lavoro e dal caldo della stagione, e così, ai monti e al mare, sui laghi e sui fiumi, nei ritrovi mondani e nella stessa vita normale di città, il mondo si permette cose che sono una vera provocazione alle leggi sante di Dio, della morale, della famiglia, della stessa decenza e del rispetto che si deve alla miseria di chi soffre.

Sappiamo bene che, per loro fortuna, costoro non trovano in ciò la vera felicità, poiché la loro è solo una corsa verso la felicità; e neppure li invidiamo questi poveri nostri fratelli; tanto meno però possiamo permetterci di disprezzarli od odiarli.

Dobbiamo pensare che l’uomo non può arrivare alla vera felicità se non attraverso la sofferenza: coloro che godono o che sembrano godere in questa vita, o non arriveranno alla eterna gioia, o vi arriveranno anch’essi attraverso la sofferenza in questa vita o nell’altra. E Dio volesse che vi arrivassero tutti! poiché è indubitato che molte volte le gioie terrene di certa gente sono il premio che Iddio, infinitamente giusto, non manca di dare neppure ai meno buoni, per quel briciolo di bene che anch’essi compiono quaggiù, almeno nell’ordine naturale; ma poi il castigo del male viene rimesso all’altra vita.

La legge della penitenza e della sofferenza è universale, dopo il peccato dei nostri progenitori. Fu questa la paterna condanna nel Paradiso terrestre, fu questo il continuo richiamo dei profeti nell’Antico Testamento, fu ancora questo il contenuto del battesimo di penitenza predicato da Giovanni Battista; fu infine questa la sostanza della dottrina e della vita del Maestro divino, Gesù: la penitenza…

“La vita dell’uomo è una prova”, diceva già il paziente Giobbe; e questa rimane la legge fondamentale della vita umana e in modo particolare dei cristiani, appunto perché sono chiamati a una gioia soprannaturale ed immensa, di cui devono rendersi degni. Ma poiché l’uomo, per l’istinto della felicità che dentro lo preme, vorrebbe sottrarsi a questa legge e anche, se fosse possibile dimenticarsene, il Signore ce lo ricorda, visitandoci con la sua sofferenza.

Ecco un’altra ragione delle nostre malattie: noi siamo chiamati ad essere anche un esempio, il quale deve rammentare ai nostri fratelli che la felicità non si può raggiungere quaggiù, ma si deve invece guadagnarla per una vita più completa e duratura nell’aldilà. Questo esempio sarà tanto più efficace, quanto più noi saremo rassegnati nella nostra sofferenza e lo dimostreremo con l’attitudine, anche esterna, di chi soffre per espiare, soffrire, adorare.

Ma dobbiamo ben guardarci da un atteggiamento di vana superbia. Il veder noi inchiodati alla croce e tanti altri trasportati dal turbine dei piaceri a vivere nella folle dimenticanza di Dio, ci potrebbe far nascere in cuore il pensiero che noi siamo santi; che, se soffriamo, soffriamo per gli altri; che tutti dovrebbero avere per noi ammirazione e venerazione; che noi, insomma, siamo i salvatori indispensabili dell’umanità.

Dobbiamo, invece, essere umili, sentirci piccoli, indegni delle grandi grazie che il Signore ci ha fatto. Senza dubbio, il dolore con cui il Signore ci ha visitati e ci visita, è un privilegio, ma dobbiamo considerarlo come un privilegio che ci permette di scontare su questa terra, prima di tutto, le nostre stesse mancanze, le nostre stesse infedeltà.

Non saremmo stati abbastanza generosi da noi stessi; ed ecco che il Signore vuol farci generosi quasi per forza (una forza d’amore!), mandandoci una sofferenza che non ci è dato di rifiutare. Che se nel nostro sacrificio, unito al sacrificio di tutti i sofferenti, è una specie di valvola di sicurezza di questa povera umanità, ciò è dovuto alla grande misericordia di Dio, che si serve, come di poveri strumenti, di noi, i quali da noi stessi, come dice S. Paolo, non saremmo neppur capaci d’invocare il santo nome di Gesù.

Se poi il nostro povero sacrificio acquista un valore così grande, ciò avviene perché esso è unito, come a formare una cosa sola, col sacrificio dell’Uomo-Dio, Gesù, il quale continua il suo sacrificio in noi, come lo continua – misticamente ma realmente – tutti i giorni sull’Ara Eucaristica.

Che possiamo dunque fare noi, se non confonderci per le nostre miserie, ringraziare Gesù per la nostra vocazione al sacrificio, e poi espiare le nostre infedeltà offrendo a Dio quel poco che abbiamo?

Soprattutto però offriamo a Dio il desiderio, anzi la volontà decisa di farci santi, che il è sacrificio a Lui più gradito e per noi più meritorio.

E se la coscienza ci rimprovera per le nostre mancanze passate, ricordiamoci che il dolore è appunto per purificarci ed elevarci; se ci tormenta il pensiero dei difetti che tutt’ora abbiamo, cerchiamo di ragionare come quella santa anima che diceva: nessuno ha più difetti di me, ma nessuno potrà riportare più vittorie sopra di se medesimo.

Con questi sentimenti affrontiamo, cari fratelli e sorelle, le nostre piccole e grandi prove. Gesù è con noi, e con Gesù la nostra buona Mamma e il nostro vigile angelo custode.

Chi soffre con rassegnazione è spettacolo a Dio, agli Angeli e al mondo stesso. Cerchiamo di essere l’esempio luminoso che riporta, con l’aiuto e per misericordia di Dio, il mondo a Gesù, il re eterno dei secoli.

Mi raccomando sempre alla carità delle vostre preghiere.

Vi saluto e vi auguro ogni bene nel Signore. vostro

in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6249 Settembre 1949

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre nei nostri cuori.

Dopo tanto tempo – non diciamo di separazione, ma in silenzio – riprendiamo finalmente i nostri colloqui, col desiderio e la viva speranza di poter rinfocolare il nostro amore per il Signore, e di rinsaldare la nostra fedeltà allo spirito dell’apostolato di cui facciamo parte.

E allora, prima di tutto, cosa significa e cosa richiede da noi questo apostolato? M’è venuto in mente di parlarvi di questo argomento fondamentale, perché troppo spesso succede che si vada avanti nelle nostre cose, anche le più importanti, senza conoscerne il preciso valore. Abbiamo di una cosa un’idea vaga e crediamo di saperne tutto quel che se ne può sapere, ma se poi ci domandiamo: insomma, che cos’e di preciso? Molte volte non sappiamo neppure rispondere a noi stessi. Vediamo dunque di penetrare nel senso intimo della parola e nella sostanza dell’apostolato.

Quando Gesù, mandato dal Padre, ha preso la natura umana ed è venuto a predicare al mondo la buona novella, non si è già recato, Lui che era il padrone del tempo e dello spazio, in tutte le parti della terra, non ha parlato a tutte le genti, ma ha rivolto la sua divina parola, per tre soli anni, solamente alle piccole folle di un paese piccolo qual è la Palestina.

Noi però sappiamo bene che Egli non era venuto per salvezza della sola Palestina, ma di tutto il mondo. Infatti, prima di salire al cielo, diede agli apostoli la missione di andare per tutta la terra, ad ammaestrare e battezzare tutte le genti. Come mai ciò? Perché Dio ha voluto così? Perché voleva dimostrare agli uomini, più col fatto che con le parole, che la redenzione deve essere il frutto di una stretta cooperazione tra Dio e l’umanità. Non è bastato che l’Uomo-Dio versasse il sangue suo preziosissimo per i suoi fratelli, ma occorre che questi stessi fratelli si facciano suoi cooperatori nella fatica della salvezza, del mondo. Ecco cos’è l’apostolato: una collaborazione con Cristo nell’opera della redenzione.

La parola apostolo indica dunque colui che ha ricevuto questa missione di aiutare Gesù a salvare le anime. Ma chi può dire di avere da Dio questa sublime chiamata? Certamente i vescovi e i sacerdoti; possiamo aggiungere i religiosi e le religiose; anche i laici dell’Azione Cattolica cooperano in forma ben organizzata con l’apostolato gerarchico della Chiesa, come ben sanno coloro di voi che fanno parte di quella bella grande famiglia. Ma, e gli altri? Possono essi pure sperare di essere apostoli? Hanno avuto anch’essi una chiamata all’apostolato?

La risposta a questa domanda viene dal dogma della comunione dei santi. Questo dogma ci dice che vescovi, clero e popolo fedele non sono già parti staccate una dall’altra, ma costituiscono un corpo solo, che si chiama il corpo mistico di Cristo. Di questo corpo mistico, che è la santa Chiesa cattolica, Cristo è il capo e noi tutti siamo le membra. Sentite come S. Paolo parla di questa sublime verità e quali conseguenze pratiche ne ricava.

“Se tutte le membra – dice – fossero un membro unico, dove sarebbe il corpo? Invece sono molte le membra e unico è il corpo. Quindi l’occhio non può dire alla mano: non ho bisogno di te; la testa non può dire ai piedi: non ho bisogno di voi. Succede anzi che le membra apparentemente più deboli son molto più necessarie (I Cor. 19-22) Cristo – dice in un’altra lettera – diede le varie mansioni nella Chiesa, perché questo suo corpo mistico potesse crescere e divenire grande e perfetto. Cerchiamo dunque, per mezzo della carità di realizzare in ciascuno di noi questo ideale di Cristo, che è la sua santa Chiesa, vivente in Lui e per Lui. “Da Lui, infatti, il corpo intiero viene proporzionato e concatenato mediante il servizio delle singole articolazioni e ad ogni parte è assegnata la sua funzione specifica, e così si attua lo sviluppo e la crescita del corpo fino a che esso sia edificato nell’amore (Efesini IV. 11-6).

Dunque, tutte le membra sono necessarie nella Chiesa di Cristo: il papa e i vescovi ne sono il fondamento per la sua organizzazione, la sua continuità e la sua vita feconda; ma tutte le altre membra devono cooperare, proporzionatamente alle proprie funzioni, alla crescita della Chiesa, per mezzo della carità, cioè della santità. E se tutti sono chiamati a cooperare alla crescita della Chiesa vuol dire che tutti sono chiamati all’apostolato. Che cosa, infatti, significa far crescere la Chiesa se non approfondire e dilatare il vangelo tra gli uomini?

Ecco allora che basta essere cristiani per sentirsi chiamati a questa sublime missione di cooperare all’avvento del santo regno di Cristo nel mondo.

E in che modo possiamo dare la nostra collaborazione? Mediante l’amor di Dio, ci dice San Paolo; cioè aumentando il livello, l’intensità della vita di Dio nella nostra anima. Infatti la vita di Dio in noi è l’amore che noi portiamo a Dio e che ci fa esser santi, unendoci a Lui per mezzo della sua santa grazia, la quale ci è data per merito della nostra fraternità con Cristo. (Quando siamo in grazia, siamo fratelli di Cristo, una cosa sola con Lui, viventi in Lui e per Lui: può il divin Padre amarci e non trattarci da figli?)

Ecco come arrivano a noi i doni della grazia e si diffondono in tutta la Chiesa: proprio come vediamo attuarsi la vita in un organismo. Se ogni organo sta bene, tutto l’organismo è sano e prospero; se un organo è malato, tutto l’insieme ne risente. Quante volte non ne abbiamo fatta l’esperienza nel nostro povero corpo! Solo che la digestione sia un po’ difficile e lo stomaco distolga dalla circolazione una maggior quantità di sangue, ecco che la testa ne risente subito e ce ne fa avvertiti col mal di capo; talvolta basta un piccolo foruncolo a comunicare un fastidioso malessere a tutto l’organismo e a dare persino un senso di tristezza…

Così nella Chiesa, quando tutto va bene, la linfa della grazia circola proporzionatamente alle varie esigenze dei singoli membri, portando ovunque attività e benessere; ma se anche un membro solo è malato, tutta la Chiesa ne risente e ne soffre.

Vedete nella Chiesa che l’apostolato consiste sopratutto in questo: nel far vivere Gesù più intimamente nell’anima nostra, mediante il suo santo amore, cioè col corrispondere, vivendo santamente, ai doni che il Signore ci ha elargito. Prima di tutto, perciò, è necessario essere in grazia di Dio. E’ naturale. Come si fa a comunicare agli altri una cosa che non si ha? Vedete: noi siamo come tante braccia, di cui Cristo si serve per trasmettere ai nostri fratelli la sua grazia, me è evidente che, se il braccio non è unito all’organismo, esso stesso è morto e non può trasmettere una corrente vitale. Se il tralcio non è unito alla vite, dice Gesù, non può dar frutto e muore. La vite è Lui: noi i poveri tralci, dai quali però possono spuntare grappoli prodigiosi, frutti cioè di apostolato, di vita eterna. Non nostri, però, i frutti; ma della vite, che è Cristo.

Volete un’altra immagine? Noi siamo come tanti apparecchi radioriceventi, che siamo in contatto d’onda (sintonizzati, dicono i tecnici) con una radio emittente centrale, che è Cristo Gesù. L’apparecchio ricevente ritrasmette e diffonde tutto quanto riceve dalla emittente ma, se si perde il contatto d’onda, addio trasmissione. L’emittente può allora trasmettere della musica meravigliosa, divina, ma l’apparecchio ricevente tacerà o trasmetterà altre cose, per esempio un semplice disco scelto a capriccio, non già trasmesso dalla volontà della centrale emittente.

E’ proprio così. Noi siamo umilissimi apparecchi, ma uniti a Cristo possiamo diffondere attorno a noi le armonie divine del suo amore, della sua grazia, della sua pace. Ma guai se crediamo di essere noi a fare il bene, a convertire le anime… ricordiamoci che noi rimaniamo sempre dei semplici strumenti, e quanto più dimenticheremo noi stessi per far vivere e manifestare Cristo in noi, tanto più il nostro apostolato sarà efficace. Non siamo noi che dobbiamo vincere le menti e i cuori dei peccatori, ma la verità che è Gesù Signore nostro. Se le anime che avviciniamo si accorgono invece che mettiamo in mostra noi stessi, non ci ascolteranno più.

E’ dunque Gesù che deve parlare in noi e per mezzo nostro. Ma in che modo? Oh voi lo sapete bene: quando nei nostri dolori saremo rassegnati, quando riusciamo a resistere alla lunghezza ed acerbità delle sofferenze, quando sapremo dare l’esempio di quella carità di cui parlammo nell’ultima Lettera, allora Gesù trasparirà in noi, poiché chi ci osserverà dovrà dire: qui non è la povera umanità che agisce, ma una forza superiore, infinitamente potente, infinitamente buona.

Così, e solo così, si ravviverà la fede nei nostri fratelli – in tutti i fratelli – anche in quelli che sono più lontani da Dio e che non si convincerebbero neppure coi discorsi più persuasivi. Il discorso più convincente è quello dei fatti, è quello della carità operante, quello di Gesù vivente in noi.

Per questa volta mi par che basti. Nella prossima lettera continueremo, a Dio piacendo, questo argomento così importante, studiando alcuni mezzi particolari di apostolato anche esterno, che sembrano i più adatti per i malati. Intanto voi pregate perché la mia povera parola possa portare qualche frutto di bene, cominciando dalla povera anima mia.

Il nostro convegno mensile presso il divin Cuore rimane sempre fissato al primo venerdì del mese. Che Gesù ci benedica tutti, come io benedico voi di tutto cuore.

Vostro, in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6250 Ottobre 1949

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. – Ricordate di che cosa trattammo l’altra volta? Parlando dell’apostolato, dicemmo che esso consiste nella chiamata da parte di Dio a cooperare alla diffusione del suo santo regno nel mondo: dicemmo che Cristo è il capo e che tutti i cristiani sono le membra di quel gran corpo che è la Chiesa; che se le membra sono sane, tutto il corpo è sano; perciò, se noi saremo uniti a Cristo nella grazia, cioè nella santità della vita, coopereremo efficacemente e nel modo migliore al benessere, all’accrescimento e al perfezionamento della Chiesa.

Dunque la santità è il primo mezzo di apostolato: il primo e il più importante, anzi è l’unico importante e indispensabile, perché senza la santità tutto il resto non conta un bel niente; mentre con la santità, anche senza che ce ne accorgiamo, possiamo fare dei miracoli in tutti i campi.

Guardiamo una quercia colossale. Sotto terra ha delle radici minuscole, grosse quanto un capello, le quali non vedono mai la luce del sole né la bella pianta che esse stesse alimentano. Eppure, la pianta morirebbe se non ci fossero proprio quelle piccole radici, che raccolgono la linfa dal terreno e che mandano sino alle foglioline più lontane.

E’ così anche di noi. Ciascuno di noi e tutti noi insieme, anche se umili e nascosti, trasmettiamo la linfa divina che ci viene dall’unione con Gesù Cristo, a tutto l’organismo della Chiesa sino alle spiagge più remote, sino alle anime più lontane, anime che quaggiù né conosciamo, né immaginiamo, ma che il Signore ci farà un giorno incontrare nella sua gloria. Oh, quale pensiero consolante per la nostra miseria!

Ma veniamo a parlare, come avevo promesso, dei mezzi di apostolato, interni ed esterni, che sono possibili a un malato. Ripetiamo però ancora una volta che questi mezzi, e specialmente gli esterni, non contano proprio niente se manca l’anima dell’apostolato, voglio dire se manca l’amor di Dio, che è il motore che tutto muove. Vedete miei cari fratelli e sorelle nel Signore: si fanno tanti studi e discussioni per trovare nuovi sistemi di apostolato; ed è giusto, perché per i bisogni nuovi occorrono mezzi nuovi: ma se badassimo di più a farci santi ad essere buoni sul serio, a vivere integralmente il santo vangelo, oh allora le soluzioni dei vecchi e nuovi problemi verrebbero fuori da sé: o meglio, scaturirebbero dal Cuore di Gesù stesso, perché è Gesù che indica la via da seguire a coloro che vogliono essere suoi fedeli strumenti di santificazione. Il Signore non ci chiede di esser bravi, ma di essere buoni: se saremo buoni, saremo anche bravi, non già nel senso che intende il mondo, ma nel senso che riusciremo a fare del gran bene alle anime.

Diciamo un’altra cosa: non ci può esser vero apostolato, se l’apostolato non è sentito come un bisogno, cioè se manca quell’interessamento che siam soliti di avere per le cose che ci son più care. Anche qui, però, in fondo, si tratta di amare veramente il Signore, di esser santi insomma. E infatti come si può aver fede in Dio, nella sua grandezza e bellezza infinita, nella sua bontà misericordiosa, nel suo desiderio di comunicarsi all’umanità… come si fa a vedere, a sentire tutto ciò e poi non ardere dal desiderio di consumarsi per far conoscere e gustare questi tesori anche agli altri?

Guardiamo invece quel che succede: in Cina, in Russia, in Romania, Bulgaria, Cecoslovacchia, Albania, Iugoslavia, la persecuzione contro i buoni arde violenta… eppure, chi tra di noi ci pensa seriamente e se ne affligge? Ben pochi. Come! La patria dell’anima nostra, la santa Chiesa è messa a ferro e fuoco e noi rimaniamo indifferenti?

Sapete cosa dicono tanti? – Son cose che interessano i preti… e poi, qui non ci possiamo lamentare (e fosse vero anche questo!…) E perché dicono così? Perché non hanno capito e non sentono nel loro cuore il dogma della Comunione dei Santi.

Son cose da preti…dicono; e in un certo senso è vero. Ma non pensano che Gesù chiama tutti i cristiani all’apostolato e che perciò tutti quanti devono sentirsi apostoli, e quindi, in certo qual modo, sacerdoti.

L’essere cristiani, ha detto un sant’uomo, è già il primo grado di sacerdozio; e infatti ogni cristiano deve imitare e far rivivere in se stesso Gesù Cristo, primo grande sacerdote, e ognuno deve sentirsi responsabile non solo della propria anima, ma anche dell’anima del suo prossimo.

Dobbiamo dunque sentire come cosa nostra tutte le lotte e i dolori, così come tutti i trionfi e le gioie della Chiesa. In tal modo la nostra vita sarà meno isolata, più piena, più cristiana, più cattolica.

E cattolica deve essere in pieno, comprendendo nel suo amore tutto il mondo, perché questo appunto è il senso della parola cattolico: cattolico si dice di ciò che abbraccia tutto e tutti.

Dovremo amare dunque anche coloro che sono fuori della Chiesa e contro la Chiesa? S’intende! Non ha detto Gesù, e non l’ha insegnato con l’esempio, che bisogna amare anche i nemici? La nostra parola d’ordine sia dunque questa: fermezza nel combattere l’errore, ma carità grande con tutti gli erranti “Soffocate l’errore, ma amate colore che sbagliano!” Ecco l’aurea regola di S. Agostino.

Il nostro amore per la Chiesa e per l’umanità non sia però un amore tenuto nelle nuvole, fatto di vuoto sentimentalismo, ma sia un amore profondo e reale, comprovato dallo zelo e dalle opere. E veniamo finalmente a parlare di queste opere di apostolato.

I primi due frutti della santità sono l’adesione alla volontà di Dio – anche nella sofferenza -, e la preghiera. Dell’accettazione della sofferenza si è già parlato a lungo, perché è lo scopo principale della nostra associazione; della preghiera – argomento importantissimo – bisognerà parlarne in una lettera a parte, perché essa è l’alimento indispensabile della vita interiore ed è anche il mezzo più potente per fare del bene alle anime.

Vediamo ora qualche altro mezzo, di cui lo spirito di apostolato si può servire per far del bene. Abbiamo già parlato dell’esempio. Chi predicasse il bene e non lo facesse, a che cosa si potrebbe paragonare? Forse a un fonografo? Oppure ad un pappagallo? Peggio: perché il fonografo e il pappagallo, privi di ragione, non son tenuti a dare nessun buon esempio… Oh che predica efficace è mai l’esempio! – E poi c’è la parola.

Grande mezzo di apostolato è certo la parola; ma non tute le parole, anche se vere, sono adatte per penetrare nelle anime. Perché la nostra parola sia efficace, bisogna che sia viva, cioè che esca, anzi che erompa, da un’anima traboccante di fede e di amore. Non si convince se non si è già convinti.

E’ inoltre necessario, come vi dicevo un’altra volta, che chi ascolta senta che noi non predichiamo noi stessi e non ci affanniamo per il nostro interesse o per aver ragione, ma solo per far conoscere Gesù e farlo amare. Lui deve essere in vista, Lui, l’eterna verità: noi dobbiamo scomparire.

Perciò dobbiamo evitare qualunque discorso che sappia di polemica. Quando è opportuno, si può anche illuminare chi ne ha bisogno, ma sempre con carità e benevolenza: senza darsi l’aria da maestri, ma dimostrandosi amici e fratelli. La discussione vivace, la polemica, invece di aprire le menti, le serrano e, quel che è peggio, inacerbiscono i cuori; e può succedere che, mentre volevamo portare a viva forza la luce e la pace nell’anima di un fratello, si venga a perdere anche la propria pace e vada disperso il profumo della carità. Iddio e la verità penetrano più facilmente con la brezza delicata della carità, piuttosto che con i tuoni ed i fulmini della polemica e della lotta.

Chi vuol essere apostolo, deve sempre sforzarsi di mantenere e di propagare attorno a sé la cordialità e l’amorevolezza, perché solo così si può conquistare e migliorare il prossimo. Dovremo sorridere sempre, con tutti; e se non potremo e non vorremo sorridere, sarà solo per piangere con chi piange, e soprattutto piangere il peccato. Il sorriso e la gioia di chi soffre sono poi la più bella testimonianza per chi è lontano da Dio: essa dice loro: nella casa di Dio, nella casa del Padre mio, si sta bene!

Quante occasioni ogni giorno di far del bene! Quanti incontri, quante circostanze, che ci offrono la possibilità e dire o di scrivere una parola buona!

E noi ne abbiamo, finora, veramente approfittato? Facciamo un serio esame e vediamo di trarne buoni propositi per l’avvenire. Diventeremo così la lunga mano di Cristo, e saremo anche noi suoi veri apostoli.

Ed ora una notizia: dall’8 all’11 novembre si terrà a Roma il I° Congresso dei Cappellani degli Ospedali d’Italia. Se la notizia deve tornare gradita a tutte le buone anime, in modo particolare deve interessare coloro che portano nel loro fisico le stimmate della malattia e sanno per esperienza quanto sia efficace il conforto divino, che arriva attraverso il ministro sacerdotale.

Preghiamo dunque tutti, perché il Signore, da cui viene ogni dono e ogni lume, benedica questi apostoli dei malati e per mezzo della loro santificazione santifichi tutti gli infermi d’Italia.

Vi ricordo l’appuntamento al primo venerdì del mese.

Vi saluto tutti e vi benedico più col cuore che con la mano. Vostro,

in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6251

Buona sorella in Cristo e nella sofferenza,

la grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. Siamo lieti di darLe il benvenuto nella grande e bella famiglia a cui Ella ha espresso il desiderio di appartenere.

E’ una grande famiglia quella dell’Apostolato Infermi, non solo perché numerosa, ma anche e soprattutto perché costituisce una forza potente nella Chiesa di Cristo. Infatti il sacrificio, quando è benedetto dal Signore ed è unito con la preghiera e con lo spirito di carità, è l’energia più preziosa che il cristiano possa mettere a disposizione di Dio e della Chiesa.

Chi soffre in unione con Cristo e col desiderio di essere utile ai propri fratelli, non solo per sé guadagna meriti, ma per tutta l’umanità; e il suo sacrificio, offerto a Dio con umiltà e con rassegnazione, arresta tante volte la mano di Dio quando i meritati castighi stanno per piombare su questi poveri uomini, tanto malati nello spirito e tanto bisognosi della misericordia divina.

Che importa se siamo poveri e deboli esseri? il Signore non agisce alla maniera degli uomini. Gli uomini cercano di servirsi di mezzi potenti: Iddio invece si serve tante volte di ciò che il mondo disprezza e rifiuta, perché vuol far vedere che è Lui che agisce per mezzo nostro, mentre noi nulla possiamo fare se non per mezzo suo.

Ma la nostra non è solo una grande famiglia; essa è anche una famiglia scelta, perché il dolore purifica i cuori, li eleva verso le cose spirituali facendo loro sentire il vuoto che lasciano le cose di quaggiù, e li aiuta a comprendere più facilmente i dolori fisici e morali dei propri fratelli. Ciò rende le anime più belle, le avvicina a Dio e all’umanità col santo amore, che tutti unisce in Cristo Gesù.

Buona sorella, cerchi di essere degna di questa famiglia bella e grande dell’Apostolato Infermi.

Ricordi poi, che apostolato vuol dire ardore di carità per Cristo Gesù e per le anime, e che non si può essere veri apostoli se non si sente la brama e un santo entusiasmo di portare anime al Signore. Per questo la preghiera e il sacrificio sono i principali mezzi; ma se può, si serva anche dell’apostolato diretto per comunicare ad altre anime il Suo amore per Cristo; parli spesso di Dio, della nostra cara Mamma celeste, e cerchi poi anche di far conoscere quest’opera dell’Apostolato Infermi, perché siano sempre più numerosi i cuori che si uniscono a Gesù nell’amore e nel sacrificio.

Tutto questo lavoro però sarebbe inutile, se la sua anima perdesse il contatto col Signore; questo contatto si mantiene con la santa grazia, la quale è frutto della divina bontà e del nostro sforzo di essere buoni, perfetti, santi.

Le inviamo la pagellina dei soci e il distintivo benedetto. Tenga cari l’una e l’altro.

Con la pagella le inviamo anche le preghiere speciali dell’Apostolato. Sono due: una lunga e una breve; reciti ogni giorno quella che può e che le piace di più, ma non si faccia scrupolo se qualche giorno le sue condizioni non le permettono di recitare né l’una né l’altra. Un sospiro di amore al Signore, una lacrima offerta in espiazione per sé e per tutti gli altri, valgono talvolta più di una lunga preghiera. Quello che conta è vivere uniti con Cristo, sentendosi confitti con Lui sulla croce della sofferenza per redimere insieme con Lui le povere anime che hanno bisogno della divina misericordia. E’ appunto questo il significato del nostro distintivo, che consiste in una croce co monogramma del Signore (XP, sono infatti le iniziali del nome Cristo) e col motto di S. Paolo: “Sono stato crocefisso con il Cristo” – “Christo confixus sum cruci”.

Col santo battesimo tutti i cristiani sono crocifissi con Cristo, cioè si rivestono dei meriti del suo sacrificio; perciò, continua S. Paolo nella lettera ai Galati: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. (Gal. 11, 19-20). Ma l’anima che soffre e sa di soffrire per Gesù è tanto più intimamente unita e trasformata in Lui. E’ sempre San Paolo che ce l’insegna. La Chiesa rivive in se stessa, e perciò nei suoi figli, la passione di Gesù: e come Gesù dalla croce salvò le nostre anime, così noi col nostro spirito di apostolato continuiamo, dal nostro posto di dolore, l’opera divina della redenzione.

Ma se siamo i continuatori dei patimenti di Gesù, “siamo anche eredi del regno di Dio e coeredi insieme col Cristo, purché però sappiamo soffrire con Lui, per essere glorificati con Lui” (Rom. VIII – 17)

Quale grande dignità, quale premio, quale occasione di santificazione per noi e per gli altri!

Sorella, cerchi dunque di rivivere e soffrire con Gesù. Se vivrà unita con lo spirito al Signore, le Sue giornate le sembreranno più brevi, ne guadagnerà la sua pace e persino la sua stessa salute; ne guadagnerà soprattutto la sua anima e, insieme con l’anima sua, tutta la santa Chiesa, tutta l’umanità bisognosa.

Unito nel vincolo della dolce carità di Cristo, a nome di tutti i nostri fratelli e sorelle la saluto e la benedico.

Il segretario per l’Italia, Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6252 Gennaio 1950

Cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. – Il molto lavoro e altre difficoltà di vario genere non mi hanno permesso di farvi giungere la mia povera parola e il mio fervido augurio prima del Santo Natale, giacché è stato impossibile stampare il nostro piccolo foglio del mese di dicembre. In questo frattempo però vi è stato Chi vi ha rivolto una parola ben più autorevole della mia. Io spero che tanti di voi abbiano potuto ascoltare il messaggio radiofonico del S. Padre ai malati, ma esso viene riprodotto anche qui, perché lo possiate rileggere e trarne nuovo profitto. La parola del nostro “dolce Cristo in terra” merita sempre di essere ascoltata e meditata, ma questa volta in modo particolare, perché Egli ha parlato proprio per noi e ci ha fissato un programma che, se lo mettiamo in pratica, ci farà santificare non solamente l’anno di misericordia da poco cominciato, ma tutta la nostra vita.

Ringraziamo il Papa per il balsamo che ha recato alle nostre sofferenze, preghiamo con Lui e per Lui, e cerchiamo di essere suoi fedeli figlioli ed efficaci cooperatori nella dilatazione del Regno di Dio nel mondo.

Quando voi riceverete questo foglio, sarà già cominciata l’ottava di preghiere per l’unità della Chiesa.

Ricordate che l’unità della Chiesa, il ritorno cioè dei Fratelli separati nel grembo della Madre Chiesa, era lo scopo principale che noi ci eravamo proposto nella nostra preparazione all’Anno Santo? Ecco perché, ascoltando il messaggio natalizio del papa al mondo, ho provato una gran gioia nel sentire con quanto amore e con quanto ardore Egli ha parlato di questi nostri fratelli, che il bianco vegliardo aspetta a braccia aperte sulla soglia della Porta Santa del perdono.

Abbiamo dunque interpretato bene il desiderio del S. Padre, quando abbiamo dedicato tanta parte del nostro cuore alla santa causa della riunione delle sparse membra del corpo mistico di Cristo; ed è cosa dolce sentirsi uniti col cuore al vicario di Gesù.

“Oh se quest’anno – Egli ha detto – potesse salutare il grande e da secoli atteso ritorno alla unica vera Chiesa di molti credenti in Gesù Cristo, per vari motivi da lei separati! Con gemiti inenarrabili lo Spirito, che è nei cuori dei buoni, leva oggi come grido d’implorazione la stessa preghiera del Signore: ut unum sint: che tutti siano una cosa sola… Perché ancora separazioni, perché ancora scismi? A quando l’unione concorde di tutte le forze dello spirito e dell’amore?

Se altre volte dalla Sede Apostolica è partito l’invito all’unità, in questa occasione Noi lo ripetiamo più caldo e paterno, spinti come ci sentiamo dalle invocazioni e suppliche di tanti e tanti credenti sparsi su tutta la terra…

Per tutti gli adoratori di Cristo – non esclusi coloro che in una sincera ma vana attesa l’adorano promesso nelle predizioni dei profeti e non venuto (cioè gli Ebrei) – Noi apriamo la Porta Santa, e insieme le braccia e il cuore di quella paternità, che per inscrutabile disegno divino Ci è stata comunicata da Gesù Redentore”.

Per i nuovi iscritti nel corso del 1949, i quali sono numerosi sarà bene dire in che cosa precisamente consiste quest’ottava per l’unità della Chiesa. E’ un periodo di otto giorni, che va dal 18 gennaio – festa della Cattedra di S. Pietro in Roma, al 25, festa della conversione di S. Paolo, durante il qual periodo in tutto il mondo si fanno speciali preghiere per ottenere da Dio che si affretti la riunione di coloro che già credono in Cristo Salvatore, nell’unica vera Chiesa.

Ogni giorno ha la sua intenzione particolare, e qui ve ne riporto l’elenco, per darvi la possibilità di unirvi più intimamente ai milioni di anime che in tutto il mondo pregano per questi santi scopi:

18 – Per il ritorno dei cristiani separati dall’unico ovile di Cristo.

19 – Per il ritorno delle Chiese Orientali dissidenti.

20 – Per il ritorno degli anglicani.

21 – Per la conversione dei luterani e dei protestanti d’Europa.

22 – Per la conversione dei protestanti d’America.

23 – Per il ritorno dei cattivi cristiani alla pratica dei sacramenti.

24 – Per la conversione degli israeliti.

25 – Per la conversione dei maomettani e pagani.

Cari fratelli e sorelle, se sempre dobbiamo stare uniti nel vincolo della carità, in questi santi giorni cerchiamo di essere più che mai

un cuor solo e un’anima sola: quanto più noi saremo uniti, tanto più facilmente otterremo dal Signore che la nostra unione si estenda a comprendere tante altre anime. La santa carità e una calamita potente, che attira più di qualunque altra forza. Preghiamo perciò anche per questo scopo: che i cattolici, specialmente in questo Anno Santo, diano prova al mondo di concordia, di pace, di amore cristiano.

Tante altre cose vorrei dirvi, ma le rimando alla lettera che, a Dio piacendo, scriverò in febbraio. Oggi voglio che una impressione sola vi domini, un solo anelito: il Regno di Cristo nell’unità della sua Chiesa.

Vi ricordo i soliti appuntamenti: il I° venerdì del mese S. Messa per tutti i soci vivi e defunti dell’Apostolato; il 24 S. Messa per tutti coloro che si ricordano di me nella preghiera.

Mi raccomando tanto alla carità delle vostre orazioni e vi benedico più col cuore che con la mano. Vostro in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6253 Marzo 1950

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. – Non sono molti giorni che avete ricevuto il numero speciale sulle indulgenze, ma mi sprona a scrivervi in tutta fretta la lettera-enciclica che il Santo Padre ha inviato a tutti i vescovi del mondo, per invitarli a organizzare preghiere straordinarie nella domenica di Passione.

Quante volte il sommo pontefice ha richiamato i suoi figli sui gravi pericoli che incombono di nuovo su tutta l’umanità! Ma quanto pochi sono coloro che prendono sul serio questi paterni ed angosciati appelli!

Gesù vuole riparazioni da offrire al Padre; la Madonna, la Mamma pietosa, chiama a penitenza: ma parrebbe che gli uomini non possano credere che nuove catastrofi stiano per abbattersi sulla terra se essi non cambiano vita; e fan di tutto per dimenticare, nella ebbrezza dei divertimenti, le sofferenze appena trascorse di una guerra disastrosa.

Ecco che siamo in Quaresima; ma chi lo direbbe, camminando per le nostre strade e frequentando le nostre chiese? Fuori continua ad impazzare un carnevale mai finito, e le chiese continuano ad essere pressoché deserte. E se anche sono frequentate, con quanta serietà poi viene ricevuta e messa in pratica la parola di Gesù?

E quante altre cose tristi succedono, in tutti i campi dell’umana attività! Il papa ne è profondamente contristato.

Consoliamo il cuore del papa: uniamoci col papa nella preghiera; propiziamo il nostro Dio, che è Dio di misericordia, ma anche di giustizia.

Buon per noi se nelle nostre sofferenze e con le nostre sofferenze potremo riparare almeno un poco del tanto male che è nel mondo! Come saremo cari a Gesù e alla Madonna, i quali chiedono l’aiuto di anime generose per placare la giustizia del Padre adirato!

Guardiamo però che, mentre preghiamo per la Chiesa e per il mondo, non dimentichiamo le nostre personali miserie. Il Signore non ascolterebbe la nostra preghiera, se andassimo a Lui come il fariseo del tempio. “Ti ringrazio, o Dio, che io non sono come gli altri uomini…”. Così diceva il fariseo della parabola evangelica, ma Gesù dice che non già lui, ma il povero pubblicano se ne tornò giustificato dalla misericordia di Dio.

La domenica di Passione dobbiamo dunque trovarci tutti riuniti come un cuor solo e un’anima sola a implorare pietà dal Signore.

Ma da Roma, nei giorni scorsi, è venuto anche un altro invito, di cui mi piace farvi un accenno.

Poiché il movimento per la riunione di tutti i cristiani nell’unica vera Chiesa di Cristo va sempre più estendendosi e prendendo vigore, la Santa Sede ha pubblicato alcune istruzioni precise, allo scopo di evitare che le passioni umane e il demonio abbiano a rovinare questo lavoro di avvicinamento che sta tanto a cuore a Gesù e naturalmente dà tanto fastidio al nemico di ogni bene, il diavolo.

Non vi voglio parlare di nuovo della grandezza dell’opera che tende a riunire le sparse membra di Cristo; ve ne ho parlato anche nella lettera di gennaio e voi ricordate bene che il buon esito di tale movimento sta tra le prime intenzioni del nostro Apostolato; vi ripeto solo che ciascuno di noi, coi suoi poveri mezzi ma con l’aiuto del Signore che si serve di noi, può dare un aiuto efficacissimo alla soluzione del grande problema.

Lo dice anche il documento pontificio, il quale si chiude con questo appello: “Tutti si debbono esortare e infiammare affinché con le loro orazioni e sacrifici si sforzino di fecondare e promuovere quest’opera”.

ORAZIONI E SACRIFICI: non vorremo noi offrire con generosità per uno scopo così santo?

Un’ultima cosa. Vi scrivo nel bel mese di marzo, dedicato a S. Giuseppe, anzi nella festa stessa di questo caro e potente santo, protettore della Chiesa universale.

Mettiamo le nostre intenzioni sotto il Suo patrocinio: saranno più gradite a Maria, la Sua santa Sposa, attraverso la quale passa ogni preghiera che va a Gesù, e ogni grazia che da Gesù a noi discende.

Ricordiamo anche che S. Giuseppe è speciale protettore in punto di morte e chiediamogli la grazia di una santa morte, con Gesù e Maria vicini. Il pensiero della morte ci accompagni sempre, così che ogni giorno viviamo come se ogni giorno dovessimo morire.

E nei santi nomi di Gesù, Maria e Giuseppe vi saluto e vi benedico con tutto il cuore.

Vostro, in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6254 Giugno 1950

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore

La grazia e la pace di Gesù siano sempre con noi! – Proprio in questi giorni la piccola martire Maria Goretti è stata elevata agli onori degli altari, con una glorificazione per la quale la stessa piazza di S. Pietro è stata troppo angusta.

Come sono meravigliosi i disegni di Dio e com’è grande la sua bontà verso gli umili di cuore e i più piccoli di questa terra!

Ecco una prima grande considerazione per chi vive nascosto e ignorato e si sente una piccolissima cosa, come un grano di polvere, in mezzo a tanta umanità rumorosa: e pensa che questa stessa umanità è ben piccola cosa di fronte a questo pur minuscolo globo che è la terra, la quale, di fronte allo spazio incommensurabile che contiene tanti mondi, rimane un punto quasi impercettibile. E questi mondi innumeri e giganti che cosa sono di fronte alla infinita grandezza di Dio?

Eppure questo Dio infinito si ricorda della sue creature, dei suoi figlioli, e li segue tanto più da vicino quanto più essi si sentono piccoli, e vive intimamente unito con essi, e li ama quanto solo un padre può amare.

Che se qualche volta lascia che il suo figliolo sia sopraffatto dalla forza della malvagità, come per la Goretti, o che sia provato attraverso il vaglio della sofferenza, come fu per Giobbe, è solo per poterlo poi più compiutamente glorificare.

Direte: Ma sono ben pochi coloro che la Chiesa porta all’onore degli altari!

E che importa? Non è la gloria di quaggiù che conta, ma la gloria del cielo.

Il Signore, nei suoi imperscrutabili disegni, pone solo qualche anima privilegiata sul candelabro della gloria terrena; e questo lo fa soprattutto per il nostro bene, voglio dire per il bene di quelli che restano a combattere sulla terra; ma non è detto che la gloria celeste sia in tutto proporzionata a quella terrena.

Chi sa quante anime, vissute in un eroismo umile e nascosto, godono in cielo una gloria superiore a certe anime che ebbero anche quaggiù il riconoscimento della loro eroica virtù!

Ma poi, senza guardar tanto al più e al meno alto, una cosa è certa: che Dio ci vuol tutti nella sua gloria e che dipende proprio da noi il pervenirci, corrispondendo alla sua grazia misericordiosa.

Infinite poi, sono le vie della divina Misericordia.

Quanti sofferenti, considerando l’esaltazione della piccola martire della purezza, hanno pensato in cuor loro press’a poco così: Lei beata che, rinnegando in un istante il demonio, si è guadagnata, con la sofferenza di poche ore, tanto fulgore di gloria! Noi, invece, si soffre mesi e mesi, forse anni e anni, in mezzo spesso a piccole e anche grandi impazienze, perdendo forse, qualche volta, anche la fiducia e la speranza, col timore persino che venga a mancare la perseveranza finale e con essa il Paradiso, e poi… Oh quanto meglio morire nel fior degli anni offrendo tutti se stessi al Signore!

Questo ragionamento è naturale, così naturale che, tolta la conseguenza, si può quasi dire giusto. Teniamo però presenti questi principi fondamentali:

I°- Non tocca a noi scegliere la via per dar gloria a Dio;

II°- Il merito consiste soprattutto nell’accettare ed eseguire la divina volontà;

III°- Iddio è Padre, Padre buono, il miglior Padre che si possa immaginare, e perciò tien conto di tutte le nostre debolezze e ripaga con moneta sovrabbondante ogni nostro dolore, compreso quello che viene dalla mortificazione di non vederci così rassegnati, così pronti al sacrificio, alla pazienza, alla carità verso Dio e all’amorevolezza verso il prossimo, come il nostro spirito – e forse anche il nostro amor proprio – vorrebbe.

Ma questo discorso, molto importante, ci porterebbe assai lontano e sarà meglio tornarci sopra a fondo un’altra volta.

Intanto raccogliamo questi insegnamenti dalla gloria di S. Maria Goretti e con l’aiuto della sua intercessione, mercé il patrocinio della Vergine Immacolata per cui ci vengono da Gesù tutte le grazie, proponiamoci di imitarla nell’accettazione quotidiana del nostro più lungo e forse non meno meritorio martirio.

Cari fratelli e sorelle, come sempre, anzi più che mai, mi raccomando alla carità delle vostre preghiere e delle vostre sofferenze. Io vi sarò vicino con le mie e con tutto il mio povero cuore.

Vi benedico e vi saluto.

In C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6255 Luglio 1950

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore

La grazia e la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi. – Prima di riprendere il discorso interrotto l’altra volta, voglio parlare di alcuni avvenimenti intimi della nostra famiglia sofferente.

Prima di tutto l’iniziativa per l’harmonium ai detenuti malati. Essa ha trovato nei cuori dei fratelli dell’Apostolato una rispondenza così affettuosa che è davvero commovente, soprattutto se si considera che le offerte – quasi tutte modeste rappresentano certamente un sacrificio non piccolo per le modestissime risorse dei nostri malati.

Molte offerte poi sono accompagnate da espressioni di affetto e di augurio così belle e spontanee che ci si sente veramente il profumo della cristiana carità. Questi sentimenti, ne siamo certi, valgono davanti a Dio infinitamente più del denaro, giacché è la carità radicata in Cristo, Fratello comune di tutti, che rende meritorie le nostre azioni.

Miei cari Fratelli e Sorelle, grazie a nome dei carcerati, ma grazie anche a nome nostro, per l’esempio di comprensione e di carità che ci avete dato.

Secondo fatto: l’entrata nella grande famiglia dell’Apostolato Infermi di un gruppo di sordomuti di Brescia.

Non sono, questi, i primi sordomuti che vengono a far parte della nostra famiglia, ma sono forse i primi che vi entrano in gruppo, e per di più sono ragazzi. Un’immissione, dunque, preziosa di innocenza sofferente.

Pensando ad essi, così ben giudicati nella via della pietà e della sofferenza meritoria, il nostro animo corre pieno di ammirazione e riconoscenza a quei cuori generosi – e sono tanti! – che hanno votato la loro vita alla missione di istruirli ed educarli alla vita della terra e a quella – più importante – del cielo; e pensiamo che la numerosissima schiera dei sordomuti è – soprattutto per merito di questi generosi che li educano – uno dei più preziosi parafulmini che scongiurano dal capo dell’umanità le folgori dei castighi divini.

La stessa commozione provammo l’anno scorso, quando alcune bambine di un ospedale infantile trentino ci chiesero con umile entusiasmo di far parte dell’Apostolato.

Oh! se tutti i bimbi sofferenti fossero educati così alla comprensione del sacrificio, dell’espiazione e dell’apostolato, quanti mali di meno nel mondo!

Riprendiamo ora il discorso sulla paternità di Dio che l’altra volta lasciammo a metà.

Dicevamo dunque che Dio è Padre: ora aggiungo che, se Dio è Padre di tutti, lo è in modo particolare per i più infelici, i più bisognosi.

Consideriamo una famiglia di questa povera umanità. Non sempre i figlioli sono ugualmente sani, ugualmente belli: ma a chi vuol più bene la mamma? Sembrerebbe dovesse amare di più quelli robusti e più fortunati, quelli cioè che le fanno più onore; e invece possiamo spesso costatare, non senza commozione, che il più disgraziato è anche l’oggetto del più tenero affetto. A tanto, anzi, arriva l’amore della mamma per lui, che talvolta il suo difetto diventa anche esternamente il titolo di predilezione, come si può scoprire del tono tutto affettuoso con cui la mamma indica il figlioletto disgraziato che ella chiama con strani vezzeggiativi: il mio zoppetto, il mio gobbino, il mio malatino…

Non può essere diversamente nell’amore di Gesù per le sue creature. Quanto più siamo poveri, malati, sofferenti, tanto più il Signore ci guarda teneramente ed affettuosamente.

Questo poi si verifica non solo per i nostri difetti e miserie corporali, ma anche per le nostre difficoltà e difetti nel campo dello spirito.

Ma qui intendiamoci bene: ho detto difetti e difficoltà, non già peccati.

E siamo giunti al nocciolo della questione.

Quando il nostro organismo è in piena salute e la vita spirituale procede tranquilla e serena, la nostra anima si può paragonare a una nave che a vele spiegate scivola lieta sulle acque, sospinta in poppa dal vento favorevole. Le vele spiegate rappresentano la buona salute, il vento che sospinge è la grazia di Gesù.

In queste condizioni propizie com’è bello amare il Signore e lasciarsi trasportare dalla grazia, scivolando sul mare tranquillo della pace del cuore! Sono quelli i momenti in cui dall’anima, immersa nell’amore di Dio, escono gli slanci d’entusiasmo e di zelo per l’apostolato, per la santità, per la sofferenza. Pare allora che nessun ostacolo e nessun dolore possa strapparci alla nostra pace, alla nostra gioia, al nostro entusiastico ardore. C’è una specie di ottimistica baldanza nel cuore, la quale ci fa dire coi figli di Zebedeo: “Sì, anche noi possiamo bere il calice di Gesù!”. E si arriva persino a desiderare la sofferenza, con la lieta certezza che si soffrirà con rassegnazione, con entusiasmo, con la letizia nel cuore…

La realtà però si presenta bene spesso assai diversa da questi sogni buoni ma ingenui, sì che sembra non corrisponda punto ai propositi generosi e pur sinceri di un giorno.

Basta talora un piccolo ed indefinibile malessere, un disturbo digestivo, un mal di capo, un piccola ferita dolorosa; e già il nostro animo sembra anch’esso ferito, scosso, smarrito, stanco, privo della sua bella e generosa volontà.

Che è successo? E’ successo che è venuto meno all’anima lo strumento prezioso che con essa partecipa a formulare le idee, a sentire gli affetti, ad attuare i propositi. Si è afflosciata la vela della nave, e perciò l’anima ha l’impressione di non procedere più avanti e di essere abbandonata a se stessa.

E fosse almeno un mare tranquillo, dove ci si potesse cullare sereni nell’attesa del vento propizio! Ma no, che invece i flutti sono in subbuglio, la tempesta rugge furibonda da ogni lato… scomparso il sole, scomparsa la luna… non c’è una luce nel cielo a dare almeno l’impressione che qualcuno ci guardi dall’alto… la povera navicella sembra ognora sul punto di far naufragio.

Non è forse così in tanti casi, specialmente quando l’organismo è preda di agitazioni o depressioni nervose?

Addio, allora, bei propositi di calma e di pazienza! E dov’è, allora, la fede che un giorno ci sosteneva? Ora che più ce ne sarebbe bisogno, anche quella luce sembra velata o scomparsa: ci si sforza sì, con quel poco di volontà che è rimasta, ma non si trova la rispondenza nel sentimento: tutto, tutto pare perduto!

Io penso che dovessero avere il medesimo smarrimento Pietro, Giacomo e Giovanni quando, nella notte tragica del tradimento, sentirono in se stessi quanto sia difficile seguire il Maestro sulla via della sofferenza e dell’abbandono.

Ed erano i prediletti di Gesù, quelli che Lo avevano ammirato nella gloria della trasfigurazione sul Tabor! (O Signore, è buono per noi lo star qui…).

Eppure, miei cari Fratelli e Sorelle, neppure in tali casi c’è da disperare, perché, se noi non sembriamo più quelli di prima, non è cambiato per nulla il Padre che ci guarda dal cielo e che conosce appuntino tutte le nostre miserie e le cause da cui provengono.

Queste cause generalmente stanno là, in quella povera vela della salute fisica. Nei frangenti burrascosi che abbiamo descritto, dobbiamo dunque credere che i buoni propositi del passato sono ancor là davanti al Trono di Dio a confermargli la nostra fedeltà e a dirgli quali sarebbero le nostre disposizioni se come allora avessimo l’animo efficiente.

In quei momenti, Iddio è nascosto, ma è presente, vicino, anzi dentro di noi. E’ anzi Gesù stesso che in noi soffre, anche se la nostra coscienza non è del tutto presente a se stessa: Gesù, entrato allora, non se n’è più andato.

Se avessimo dunque tentazioni contro la fede, non spaventiamoci: sentire non è consentire.

E se larve immonde e fantasmi tentatori si affacciassero alla mente stanca; contro la nostra volontà, coraggio: sentire non è consentire.

E se ci assalissero pensieri di sconforto e sembrasse che la disperazione s’impossessi dei nostri sentimenti inferiori, l’anima non disperi: sentire non è consentire.

E se sotto la sferza del dolore i difetti si moltiplicassero: contro la carità, la pazienza, la mansuetudine, non scoraggiamoci: Iddio ci è Padre.

Prostriamoci davanti a Lui che permette la nostra umiliazione e diciamo con la parte più alta di noi il nostro “fiat”.

Per quanto sommesso, Iddio ascolterà il grido soffocato dell’anima e ci userà misericordia, misericordia da Padre buono e generoso.

In questa dolce certezza, raccomandandomi alla carità delle vostre preghiere e augurandovi ogni bene nel Signore, vi saluto nei Cuori di Gesù e di Maria.

Vostro, in C. J. aff.mo Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6256 Settembre 1950

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Eccoci di nuovo a colloquio, dopo la parentesi delle ferie estive.

Vi assicuro che in questo tempo io ho pensato a tutti voi, e voglio sperare che questo legame che io sento così intimo nei vostri riguardi, anche voi lo sentiate con i vostri compagni di sofferenza e con questo poveretto che tanto vi ama nel Signore.

Queste ferie estive però mi hanno recato anche un altro motivo per ricordarvi in un modo speciale: intendo dire: il Congresso dei Medici, tenuto proprio qui a Verona, con la partecipazione di alcune migliaia di medici provenienti da tutte le parti d’Italia e un po’ da tutto il mondo.

E’ il secondo anno che Verona ha l’alto onore di ospitare una così nobile accolta di uomini di scienza benemeriti dell’umanità.

Io ho seguito questi due congressi non solo con grande interesse e affettuosa simpatia, ma ho anche cercato di cooperare alla loro riuscita con la mia povera preghiera. Anzi, l’anno scorso volli in qualche modo partecipare anch’io alla bella manifestazione, inviando il mio saluto ed augurio ai medici amici e collaboratori della nostra Opera che a tale congresso prendevano parte.

Mi pare oggi che non sia fuori luogo ch’io ripeta anche a voi, cari ammalati, i concetti che allora espressi. La fiducia e l’affetto per il medico non sono infatti solamente un dovere, ma costituiscono pur anche un conforto e un aiuto morale per chi è vacillante sotto il peso di qualche croce fisica.

La dignità di Medico.

Io sento in me una esuberanza di amore, di stima e di affetto, direi quasi di venerazione, per i medici; fin dai primi anni del mio ministero sacerdotale ho avuto frequenti occasioni di vedere da vicino, e apprezzare l’opera pietosa del medico. Non dubito di affermare che, dopo la missione divina del Sacerdote, quella del medico sia la professione più nobile che il Creatore possa affidare ad un uomo sulla terra.

Che cosa è infatti un medico? E’ diretto collaboratore di Dio autore e conservatore della vita.

La vita! I medici, che ne scrutano i più intimi segreti, sanno meglio d’ogni altro quanto preziosa sia questa vita: opera della infinita potenza e sapienza del Creatore.

Ora, il medico è chiamato da Dio a collaborare sia per il sorgere e l’affermarsi della vita, sia per il suo progresso e rinvigorimento, come per curarne le infermità, o almeno lenirne i dolori, renderne meno sensibile la sofferenza, e procurarne sereno il tramonto.

Pietoso samaritano.

Chino sull’infermo, il medico guarda, osserva, tocca, ascolta, domanda: è tutto proteso a rilevare ogni sintomo che dia luce sul caso, e manifesti l’intima natura del morbo.

Intanto, egli fruga nel proprio spirito, nelle profonde cognizioni apprese sui libri e nella diuturna esperienza propria ed altrui, per trarne le opportune prescrizioni che valgano a far tornare la salute, vincendo i parassiti, rimettendo ordine agli umori vitali.

Per merito del medico, il più delle volte, rifiorisce la salute, riprendono le forze, torna la serenità nelle famiglie, torna il sorriso sulle labbra del fratello ridonato alla vita.

Giusto rilievo.

Ho detto: per merito del medico; e non a caso… Sì, è vero che bisogna ricorrere alla preghiera, e invocare il soccorso dei santi per ottenere la guarigione; ma sarebbe ingiusto dimenticare che il Signore si serve del medico e delle medicine, in via ordinaria, per concedere la grazia; e più ingiusto ancora sarebbe dare la colpa al medico, se la guarigione tarda, o non viene.

Per questa ragione io esorto sempre a non trascurare l’opera del medico, e ad usare i mezzi umani: così vuole il Signore. Insieme esorto a pregare molto, perché il divino medico Gesù illumini il medico terreno nella cura e nelle prescrizioni del caso.

E’ ufficio, quindi, non di semplice professione, ma di vera e propria missione: una specie di paternità che assume il medico di fronte all’ammalato, una intima amicizia che si stabilisce fra l’uno e l’altro, e li stringe con un vincolo spesso indissolubile.

Quale campo di nobile azione non è dunque aperto al medico! quale compito delicato non è il suo! Ecco: il malato è tutto rivolto al medico: lo guarda con implorazione, lo ascolta con venerazione, lo segue con docilità: sente di essere a lui legato da un vincolo di dipendenza.

E il medico sente la sua responsabilità e cerca di rispondere alla fiducia del malato, infondendogli coraggio, illuminandolo con paterni consigli, talvolta riprendendolo con severità piena d’amore.

Ministro della vita.

Oh, quale merito per il sanitario, soccorrere così il fratello! E quale nobilitazione della scienza e dello studio! Forse mai come nel medico, la scienza ha un ideale più alto e sublime di questo: salvare la vita.

Il medico, allora, appare ed è il ministro di Colui, che disse “Io sono la vita”. Cristo non intendeva solamente la vita dell’anima, che più conta; ma anche quella del corpo, che è tanto preziosa: infatti il corpo è strumento essenziale dell’anima nel servire ed amare l’autore della vita.

Cristo, adunque, ha nel medico la “mano potente” che trae la vita, “il dito divino” che ridona la salute. Medico e sacerdote sono ambedue ministri di Cristo: l’uno per la vita dello spirito, l’altro per quella del corpo. L’uno completa l’altro.

Salvare una vita! prolungare un’esistenza! opera altamente umanitaria e meravigliosa, che acquista benemerenze presso il sommo Rimuneratore di ogni bene. Un uomo che vive, non fosse che per pochi minuti, può far del bene; e, col bene, dà più gloria a Dio che non tutte le creature insensate nel giro dei secoli.

Pensiamo quale merito per il medico che riesce a prolungare e moltiplicare vite preziose di uomini intelligenti, capaci di amare Iddio. Quale compiacimento allora da parte di Dio, verso il medico!

Il divino Mandato.

Iddio disse: “Crescete, e moltiplicatevi”.

Nei nostri tempi, questa parola ha avuto una realizzazione stupenda; il mondo si è raddoppiato, triplicato in poco più di un secolo. Donde mai tale beneficio, se non dai progressi dell’arte medica, la quale è riuscita a scoprire nuovi rimedi, a circoscrivere e reprimere sul nascere le epidemie una volta ricorrenti, a debellare tanti parassiti del corpo, a sostenere i novelli deboli virgulti? Gli studi assidui del medico, le cognizioni e scoperte accumulatesi nel corso dei secoli, hanno prodotto tale risultato. E altri ne produrranno, sempre più meravigliosi.

Non ci meraviglieremo dunque se nell’antichità il medico era riguardato come un essere superiore, e l’arte salutare ritenuta di origine divina; e Grecia e Roma fra l’altre abbiano avuto in tanto onore il tempio di Esculapio, il mitologico maestro ed autore della Medicina.

Luce della fede.

Per noi cristiani, poi, la luce della fede si irradia sul campo della medicina, e ne illumina maggiormente le bellezze e le benemerenze.

Cristo Salvatore si è fatto medico: ed ha annoverato tra le opere più belle e meritevoli di premio il “visitare gli infermi”; anzi: negli infermi si è adombrato Lui stesso.

I santi, questi autentici interpreti della mente di Dio, come hanno sempre affiancato l’opera del medico, e dedicato le loro migliori energie all’assistenza degli infermi! Dai primi tempi della Chiesa si profilano le opere specializzate: San Benedetto e i suoi monaci si prendono cura degli ammalati fratelli. Sorgono le scuole accanto ai monasteri e agli episcopii, per la cura dei malati e lo studio della medicina. Gli ospedali si moltiplicano col moltiplicarsi dei bisogni.

Non occorre che vi ricordi i grandi nomi di S. Camillo, S. Giovanni di Dio, S. Filippo Neri, e tanti altri, che rifulgono nei fasti della Chiesa.

Tutte queste considerazioni mi venivano spontanee alla mente, nei giorni dei congressi medici; e mi spingevano a manifestare questi intimi sentimenti del mio cuore a coloro, che dalla Provvidenza sono stati elevati all’altissima dignità di lenire le umane sofferenze, ridurre il campo della morte. valorizzare il dono della vita fisica. Così ho sempre veduto il medico; in questa luce di nobiltà sublime, di missione sacra, strettamente aderente a quella del sacerdote.

Preghiamo per il medico.

Miei cari fratelli e sorelle, stimiamo dunque il medico, rispettiamolo, amiamolo.

Anche lo Spirito Santo, nella sacra scrittura, ci invita all’ossequio verso colui che deve essere considerato un cooperatore di Dio al servizio degli uomini.

Forse qualcuno di voi potrebbe obiettare che non tutti coloro che portano quel titolo si dimostrano degni di così alta missione.

Ciò però nulla toglie alla missione in se stessa: se così non fosse, quale categoria potrebbe salvarsi?

Pensiamo poi che, quanto più alta è la missione affidata da Dio, tanto più difficile è l’esercitarla con onore e perciò preghiamo il Signore anche per i medici, perché lo Spirito Santo li illumini nell’esame dei loro malati, nella scelta dei medicamenti e metta nel loro cuore e sulle loro labbra i sentimenti e le parole più adatti non solo per confortare ed incoraggiare, ma anche per indirizzare e disporre le anime a fare la santa volontà di Dio e a impreziosire il sacrificio unendolo a quello di Cristo.

Se un medico non buono può fare tanto male, quanto bene può fare un medico retto e pio! Aiutato dallo Spirito divino, egli può aiutare i suoi infermi a diventare santi.

Io ne ho conosciuti di questi medici, e penso che potrebbero essere di più se i cristiani pregassero di più per essi, e in particolare per il proprio medico.

Vi saluto, miei cari fratelli e sorelle nel Signore, augurandovi che possiate sempre incontrare sul vostro doloroso cammino medici santi, e se non lo fossero, che possano diventarlo con l’aiuto del vostro esempio e della vostra preghiera.

Ecco un prezioso e bell’apostolato.

Vi benedico più col cuore che con la mano, raccomandandomi tanto e poi tanto alla carità delle vostre preghiere, specialmente per il I° venerdì del mese e il 24.

Vostro, in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6257 Ottobre 1950

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

La grazia del Signore sia sempre con noi. – Tra pochi giorni un grandioso avvenimento rallegrerà tutta la santa Chiesa: la proclamazione solenne del dogma dell’assunzione – anima e corpo – della nostra cara Madre Celeste in cielo.

Si rallegrano le Anime sante della Chiesa Trionfante, liete di offrire il giorno della loro festività – Ognissanti – alla celebrazione solenne con cui una delle glorie della loro Regina viene sancita con atto irrevocabile.

Si rallegrano le anime della Chiesa Purgante, che, alla vigilia della loro commemorazione, vedono i cristiani loro fratelli preparare più degnamente che mai i loro cuori ad impetrare la Madre di ogni favore, e sperano così che ricada su di essi il benefico aumento di meriti che va ad impreziosire il tesoro di grazia a cui essi attingono.

Ci rallegriamo noi, poveri mortali che in questa valle di lacrime formiamo la Chiesa Militante, perché una nuova corona viene a rendere più gloriosa la nostra Mamma e perché nel riconoscimento della Sua gloria vediamo una riabilitazione della nostra povera carne e una speranza, una promessa per il nostro eterno avvenire.

Nella nostra povertà ci vediamo ricchi, per i meriti di Gesù fratello e redentore nostro e di Maria nostra madre e corredentrice.

Sia questo il pensiero santo che più ci si scolpisce nella mente e nel cuore nella solenne proclamazione del 1°di novembre 1950 e tale pensiero susciti in noi il desiderio e il proposito di mostrarci sempre più degni di così grande onore e di così alto destino.

In quel giorno e sempre, nella vostra preghiera ricordate tanto questo povero e umile vostro amico che tanto vi ama nel Signore.

Vi saluto e di tutto cuore vi benedico.

Vostro, in C.J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6258 Dicembre 1950

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. Questo foglio doveva già uscire in novembre. Perdonerete il ritardo. Io spero e credo che esso non sia imputabile a mancanza di buona volontà, ma che sia pienamente scusato, agli occhi di Dio e quindi anche agli occhi vostri, per la difficoltà che in questi ultimi due mesi hanno intralciato il lavoro normale di questo segretariato.

Speriamo che in avvenire le cose procedano più regolarmente, con soddisfazione di tutti.

Sento da molte vostre lettere che il Signore si serve di queste povere parole che io vi scrivo per fare del bene alle vostre anime e ne godo immensamente, perché è la parola di Gesù, non la mia che voi ascoltate, e penso che essa produrrebbe un egual frutto nei vostri cuori, e anche migliore, se un altro ve la dicesse in vece mia.

E’ Gesù che parla ai nostri cuori, da Lui vengono le buone ispirazioni; siamone certi e ascoltiamo sempre con venerazione la parola di Dio, da qualunque parte arrivi a noi.

Io non so se potrò continuare a scrivere in avvenire per voi. Con gli anni anche le sofferenze e le difficoltà si accumulano e il lavoro diventa difficile.

Miei cari fratelli e sorelle nel Signore, se mai io non vi scrivessi più, non pensate ch’io vi dimentichi, perché più che mai ora mi sento della vostra famiglia, a voi unito col santo vincolo della cristiana carità.

Nel salutarvi, permettete che io vi faccia oggi una grande raccomandazione, vi domando, anzi, vi scongiuro nel Signore, di impegnarvi a queste tre cose:

1) – ricordarvi sempre nelle vostre preghiere di questo poveretto e dell’Opera che il Signore gli ha affidata, ne avrete grande ricompensa in questa e nell’altra vita;

2) – stare uniti a questo santo Apostolato con tutto il vostro cuore e rimanere fedeli al suo spirito, ch’è spirito di sacrificio nel silenzio e nel nascondimento;

3) – coltivare e aumentare sempre più la devozione alla Madonna: sarà il modo migliore per andare a Gesù.

Che le prossime feste natalizie ci trovino tutti preparati a far lieta accoglienza a Gesù, che torna piccolo e povero a insegnarci l’umanità e la sofferenza; e che l’anno nuovo ci trovi tutti pronti a compiere sino all’ultimo la volontà di Dio, l’unica cosa che conta per la nostra pace quaggiù e per la nostra felicità eterna.

Per quanti anni ci sia dato di vivere ancora su questa terra, sono sempre un nulla di fronte alla eternità. Breve è il tempo in cui possiamo approfittare dei tesori di grazia che il Salvatore ha accumulato per noi; poi Egli sarà il nostro giudice.

Viviamo sempre con questo pensiero salutare. E’ l’ultimo ricordo che vi lascio in preparazione al Santo Natale.

Auguri cordiali di bene nel Signore, non solo a voi ma anche alle vostre famiglie e a tutti i vostri cari.

Pregate tanto, tanto per me. Non cesserà il nostro appuntamento al 24 di ogni mese, in cui io celebro la S. Messa per coloro che hanno per me la carità di una preghiera.

Vi saluto e vi benedico più col cuore che con la mano. Vostro, in C.J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6259 Maggio 1951

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

mancano poche ore all’inizio del mese di maggio e io penso a voi con una speciale affettuosa commozione, perché vi vedo tutti quanti sotto lo sguardo pietoso della cara Mamma del cielo.

La Madonna ci guarda e pare attenda da noi un omaggio speciale: e l’attende proprio per l’amore che ci porta, perché sa che la nostra devozione verso di Lei è già una grande grazia, una grazia che ne chiama moltissime altre sulla nostra anima ed è l’inizio della nostra santificazione.

Il I° novembre 1950 abbiamo esultato per la proclamazione di una gloria della Madonna: la Sua assunzione al cielo; verrà forse un altro giorno glorioso per Maria: quello della proclamazione del dogma che tutte le grazie di Gesù passano per le mani della Sua e nostra Mamma. Dio voglia che sia dato a noi di godere anche di questa gioia: ma se non la godremo su questa terra, certamente la godremo nel cielo. Intanto, però, cerchiamo di vivere lo spirito della vera devozione alla Madonna.

Questa vera devozione non consiste nel recitare questa o quella preghiera, ma nello sforzo di santificarci con la Madonna, nella Madonna, per mezzo della Madonna.

Noi dell’Apostolato abbiamo un dovere specialissimo a richiamarci a questo principio di santificazione, perché la sostanza del nostro apostolato sta appunto qui: nel santificarci.

Non si può dare agli altri quello che non si ha. Come comunicheremo Gesù alle anime se noi stessi non Lo possediamo? E a noi, chi lo può dare Gesù, se non Maria, la quale già lo diede agli uomini, accettando di cooperare alla nostra redenzione?

Un segreto della Madonna.

La Vergine santa conosce di noi questo nostro bisogno di santità, e allora, da buona mamma, per venire incontro alla nostra debolezza, rivelò a un suo grande devoto, San Luigi Grignon di Monfort, un segreto di santità: il segreto della schiavitù d’amore verso Maria Santissima.

E’ un segreto che non tutti comprendono, ma io lo propongo a voi, che siete più vicini di altri al Cristo sofferente e alla Regina dei martiri, affinché la vostra croce, la vostra sofferenza divenga – per Maria, con Maria, in Maria – feconda e redentrice.

Questo segreto di amore consiste in una devozione, anzi in una dedizione perfetta a Maria. Il santo di Monfort la chiama: “La perfetta devozione a Maria” oppure “la schiavitù di amore verso la SS.ma Vergine”; e ancora “devozione a Maria Regina dei cuori”.

Lo scopo principale di questa devozione è di stabilire nel nostro cuore il regno assoluto di Maria SS.ma per potervi fare regnare più perfettamente Gesù Cristo.

Essa consiste:

1) nel darsi con atto di consacrazione interamente a Maria SS.ma per essere completamente di Gesù;

2) nel procurare di vivere abitualmente in una piena, intera e perfetta dipendenza da Maria SS.ma, seguendo l’esempio del Figliolo di Dio che le visse soggetto per ben trent’anni.

Ora, fate bene attenzione, questa donazione comporta l’offerta a Maria: 1) del nostro corpo coi suoi sensi; 2) della nostra anima con le sue facoltà; 3) dei nostri beni materiali presenti e futuri di cui noi diveniamo semplici amministratori e cassieri per conto di Maria; 4) dei nostri beni spirituali; 5) dell’intero merito delle nostre buone opere passate, presenti e future.

E’ una consacrazione totale, perché con essa riconosciamo Maria nostra vera padrona e ci diamo totalmente a Lei per tutta la vita, senza pretendere altra ricompensa fuori che l’onore di essere a Lei soggetti quali schiavi volontari d’amore, e di appartenere così più perfettamente, per mezzo di Lei, a Gesù Cristo. Di qui il titolo di “filiale schiavitù verso Maria”.

Questa consacrazione si potrebbe paragonare a una rinnovazione cosciente dei voti del battesimo, impegnandoci a vivere il cristianesimo con generosità, sorretti e guidati per mano dalla Vergine tutta santa.

Una difficoltà, potreste obiettare: come potremo, con tale consacrazione, soccorrere poi i nostri parenti ed amici, vivi e defunti, se non saremo più liberi di disporre del merito delle nostre buone opere?

Risponde così S. Luigi di Monfort: “Supponete una persona ricca che avesse dato il suo avere a un gran principe a fine di meglio onorarlo. Non pregherebbe essa con maggiore confidenza questo principe di fare elemosina a qualche suo amico bisognoso? Anzi, farebbe un vero piacere a questo principe offrendogli l’occasione di mostrare la sua gratitudine verso chi s’è spogliato per rivestirlo e s’è impoverito per onorarlo”.

Ricordiamoci bene che Maria e Gesù non si lasciano mai vincere in generosità da noi; se diamo dieci, ci daranno cento; se daremo cento, ci doneranno mille.

Pensiamo bene poi che noi mettiamo i nostri miseri e pochi meriti (spesso impoveriti dall’amor proprio con cui compiamo le opere di bene) nelle mani di Maria, la quale li purificherà e li renderà più belli e preziosi.

E pensiamo pure che li mettiamo nel cumulo immenso di meriti che milioni di schiavi d’amore offrono continuamente a Maria; se noi avremo bisogno di grazie, Maria non terrà conto solo dei nostri meriti, ma attingerà abbondantemente a quel gran mare di grazia di tutti questi fratelli nostri e figli prediletti suoi. Non è consolante questo pensiero?

Pratiche necessarie: ve ne sono di interne e di esterne.

Di pratiche esterne, veramente, non ce n’è nessuna che sia richiesta in modo assoluto. Per essere schiavo di Maria basta aver fatto una volta per sempre l’atto di consacrazione nel modo qui sotto indicato.

Le pratiche esterne consigliate sono: fissato un giorno importante per far la propria consacrazione a Maria, prepararvisi per trenta giorni con preghiere e meditazioni speciali, rinnovare poi ogni mattina l’atto di consacrazione e ogni mattina con queste semplici parole indulgenziate: “Io sono tutto vostro, e quanto posseggo ve l’offro, amabile mio Gesù, per mezzo di Maria, vostra SS. Madre”.

Ma, ripeto, queste pratiche sono solo consigliate, non obbligatorie.

Ricordiamoci che questa devozione è essenzialmente interiore e ci deve portare per Maria a Gesù. L’anima che ha compreso bene questa devozione, fa suoi i sentimenti di Maria e si sforza di vivere alla sua dipendenza e alla sua presenza.

Il segreto della santità sta appunto qui e chi ne userà con fedeltà e costanza, vedrà chiaramente i mirabili effetti di santità che produce nelle anime.

Forse il termine “schiavitù” può piacere poco a qualche anima delicata, perché oggidì questa parola vorrebbe essere solo un triste ricordo di tempi meno belli. No no: niente paura: la schiavitù di amore è semplicemente ricerca di Cristo con Maria, è dolcezza d’amore spontaneo, d’amore divino; un amore che non umilia come le passioni terrene, un amore che non è una catena pesante la quale costringa e soffochi l’anelito della libertà.

La schiavitù d’amore è un dolce legame, non imposto da alcuno, ma scelto da noi e da noi voluto, che ci tiene uniti alla Madonna e ci impedisce di cadere in preda alle passioni, che ci farebbero schiavi del mondo e del demonio, allontanandoci dalla verità, dalla perfezione, da Dio.

E’ una schiavitù, dunque, che ci rende liberi in terra e ci prepara l’eterna felicità nel cielo.

Miei cari fratelli e sorelle nel Signore, forse la lettera di questa volta è stata un po’ troppo lunga, ma spero che non vi dispiacerà. So che siete tutti devoti della Madonna e so che anche alcuni di voi, specialmente nel gruppo di Rovereto, fanno già parte della schiera degli schiavi d’amore della Vergine santa.

Mi auguro che anche altri soci dell’Apostolato entrino nello spirito di questa bella devozione. La Madonna, che già ci guarda benignamente premurosa, si compiacerà tanto dei nostri sforzi per diventare sempre più degni, per mezzo Suo, del Suo amabilissimo Figliolo.

Se qualcuno desiderasse spiegazioni in proposito, può scrivere al direttore della Casa Buoni Fanciulli – Nazareth – Verona.

Nel bel mese di Maggio ricordiamoci nel Signore e nella Madonna, in modo tutto particolare. Non manchi neppure un giorno un pensiero, una invocazione per i fratelli sofferenti dell’Apostolato.

Una preghiera speciale vi chiedo per me alla Madre dei dolori. Non dimenticate l’appuntamento del Primo Venerdì di ogni mese presso l’altare di Dio. Anche il 24 io ricordo nella mia preghiera e nelle mie sofferenze quelli che pregano per me.

Vi saluto e vi benedico tutti più col cuore che con la mano. Vostro,

in C.J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6260 Giugno 1951

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. Prima di tutto ringrazio di cuore tutti i cari soci che nei trascorsi mesi si sono interessati con grande carità di questo poveretto e hanno pregato per lui in modo speciale.

Ve l’ho già detto altre volte, ve lo ripeto ancora: il Signore ricompenserà con grandi grazie questa vostra carità, non già per riguardo della mia persona, ma per l’Opera che ha affidato a questo povero sacerdote, e che è opera sua, di Dio.

Vi prego poi tutti, anzi vi scongiuro, di continuare a pregare per me, perché il Signore mi conceda – per la intercessione della sua Santissima Madre – di poter compiere sino in fondo la sua santa volontà.

Le sue opere il Signore le ottiene specialmente attraverso la nostra sofferenza, e la sofferenza, voi lo sapete bene, rimane sempre sofferenza e costa alla nostra natura, anche se c’è la santa rassegnazione e la volontà ferma di patire per amor di Dio. Perciò, specialmente nelle prove più acerbe c’è un gran bisogno dell’assistenza divina; e per questo vi scongiuro di stare sempre tanto uniti nella preghiera, così che nessuno si senta mai solo davanti alla prova.

E’ una cosa terribile sentirsi soli, e io sento una grande compassione per quei poveretti che, non avendo il dono della fede, non possono avere un conforto sostanziale alle loro pene morali e fisiche. Almeno noi cristiani, nei nostri dolori, possiamo dirci fortunati perché nei nostri dolori abbiamo sempre compagno Cristo, che ci precede con la sua croce.

Ma Gesù ci è ancora più vicino, in quanto Egli si è degnato di rimanere con noi anche con la sua presenza fisica nella S. Eucarestia. Noi cristiani possiamo veramente dire con la S. Scrittura: “Chi altri mai può vantarsi di avere la divinità così vicina come l’abbiamo noi?”.

Quanto mi piacerebbe di parlarvi a lungo di questo sacramento di amore! Voglio però dirvi almeno due pensieri, in modo che questa lettera, con la grazia di Dio, susciti in ciascuno di noi qualche buon sentimento, che ci aiuti a progredire nella virtù.

Eucarestia: Amore.

Da questo sacramento Gesù ci parla, prima di tutto dell’amore suo per noi, perché ci dice sino a qual punto Egli ha desiderato di stringere con noi legami affettuosi, non contentandosi solo di vivere in nostra compagnia, ma volendosi dare interamente a noi, in cibo di vita e bevanda ristoratrice delle nostre anime.

Il sacrificio eucaristico poi, cioè la santa messa, in cui si rinnova misticamente la passione di Cristo, illumina e rende più chiaro, più eloquente lo stesso sacrificio della Croce.

In croce Gesù vi fu posto dai suoi crocifissori, permettendolo l’Eterno Padre e assoggettandovisi Lui, Gesù, come un tenero agnello sotto il ferro dell’uccisore: ma nel sacrificio eucaristico, istituito nella tragica notte prima della passione, Gesù ci fa vedere che è Lui che si offre all’Eterno Padre che gli uomini, prima ancora che gli uomini lo elevino sulla croce.

Se l’Eucarestia fosse stata istituita dopo, si potrebbe dire un monumento commemorativo come quelli che noi facciamo per ricordare i nostri morti; ma poiché fu istituita prima, essa fu un’anticipazione del sacrificio della croce e ci dimostra che questo sacrificio fu voluto da Gesù stesso e abbracciato con entusiasmo per l’amore che portava agli uomini, suoi fratelli.

Meditiamo questa immensa carità di Cristo e ricambiamola quanto possiamo con amore generoso.

Eucarestia: Umiltà.

Ma per i sofferenti il sacrificio eucaristico ha un altro profondo significato. Gesù-Eucarestia non è solamente cibo di chi langue e soffre; è anche un esempio luminoso di mortificazione.

Poteva Gesù abbassarsi di più? poteva nascondere meglio se stesso? I suoi carnefici avevano fatto di Lui, nella passione, una figura d’uomo irriconoscibile: nella Eucarestia non c’è più neppure la figura dell’uomo, benché sostanzialmente ci sia tutto Gesù, in corpo, sangue, anima e divinità.

Oh, impariamo anche noi a nascondere noi stessi, così da desiderare che solo Dio veda i nostri sacrifici per premiarli nella eternità. Almeno desideriamolo il nascondimento, perché l’umiltà è la custodia che preserva dalla corruzione dell’amor proprio, le nostre opere buone.

Quando noi portiamo un fiore a Gesù, non ci permettiamo di odorarlo per il nostro piacere; quando gli offriamo un sacrificio, facciamo lo stesso: tutto per Lui e solo per Lui: Lui solo deve aspirare il profumo.

Noi dobbiamo solo pensare che il sacrificio torni gradito al Signore: ci penserà Lui a farlo conoscere agli uomini, se ciò sarà per il bene delle anime; ma per conto nostro dobbiamo molto temere del pericolo della compiacenza interna ed esterna per quel poco di bene che facciamo.

Non è facile, lo so; ma sarà meno difficile se ci affideremo alla guida della nostra Mamma celeste. Lei, che ci ha dato Gesù e perciò anche l’eucarestia, Lei ci insegnerà a capire Gesù anche in questo mistero di amore e di umiltà, e ci aiuterà ad adorarlo ed imitarlo.

In questi santi nomi di Gesù e di Maria vi saluto, cari fratelli di sofferenza, vi saluto e vi benedico più col cuore che con la mano.

Stiamo sempre uniti nel Signore, sempre uniti, fino al santo Paradiso. Vi raccomando l’appuntamento del primo Venerdì del mese.

Vostro, in C.J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6261 Agosto 1951

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Prima di tutto sento il dovere di ringraziare tutti coloro che, nell’occasione del 50° della mia ordinazione sacerdotale, mi hanno voluto ricordare al Signore, e quelli in particolare che hanno voluto aggiungere la carità di scrivermi o partecipare in altro modo a questa celebrazione, che io avrei voluto intima e ristretta, ma che la Provvidenza ha permesso venisse risaputa al di fuori, non certo per me, ma in vista dell’Opera di Dio che questo poveretto rappresenta.

Come rappresentante di quest’Opera, ammiro la bontà del Signore e Lo ringrazio per l’affetto che verso l’Opera Egli ha suscitato nel cuore di tante anime buone; personalmente, di fronte alla carità che mi viene dimostrata e di cui non mi sento degno, non posso far altro che confondermi profondamente.

Cinquant’anni di sacerdozio! Qual immenso tesoro di grazie, ma insieme quale responsabilità, come sacerdote e come “casante” di quest’umile Opera del Signore, specie nella grave ora che il mondo attraversa.

Come sento vivo il bisogno di chiedere umilmente perdono a Dio, e a tutti la carità e l’aiuto della preghiera, leva potente che ci innalza alle più sublimi, divine altezze!

A proposito di preghiere, devo qui ringraziarvi, miei cari fratelli e sorelle, anche per la grande carità che mi avete usato durante la mia ultima lunga malattia. La guarigione che il Datore di ogni bene mi ha concesso, è certamente frutto anche delle vostre preghiere e io me ne sento a voi debitore, e perciò più che mai, da povero come sono, cerco di ricambiarvi, raccomandandovi tutti alla bontà del celeste Padre, perché, auspice la cara Madonna Assunta in cielo, dal Signore vi giunga la ricompensa che la vostra carità vi ha meritato.

E voi continuatemi questa santa carità della preghiera, perché il Signore mi conceda di spendere tutti per Lui questi pochi giorni che mi rimangono, facendo fino all’ultimo la Sua santa volontà!

Ed ora lasciamo da parte la mia povera persona e parliamo un poco della nostra dolorante famiglia. Alcuni mesi fa io vi parlai dei medici e vi dissi quanto essi vanno stimati, amati, obbediti e aiutati con la preghiera. Vi sono però tante altre persone che si interessano dei mali e che per i malati tante volte si sacrificano con una semplicità, una pazienza, una rassegnazione e una costanza che commuovono: intendo parlare di coloro che, sia nelle famiglie sia negli ospedali, assistono e curano i poveri ammalati.

Il Personale Infermiere.

Ricordate la parabola del buon samaritano? Lo avrete sentito lodare tante volte questo simpatico rappresentante della pietà per il prossimo, per mezzo del quale Gesù volle insegnare agli uomini che la carità non ammette esclusioni; ma quante volte avete sentito parlare dell’albergatore, che accettò in casa sua il ferito e si addossò la responsabilità e il peso di tenerlo fino alla guarigione? Non fu per la sua lunga carità altrettanto meritoria di quella grande, ma forse meno gravosa, del buon samaritano?

Ecco: quell’albergatore può ben rappresentare il sacrificio nascosto, umile, paziente di tutti coloro che curano i malati.

Voi sapete per esperienza quanto sia difficile essere buoni ammalati. Per lo più, cadendo ammalati, si comincia abbastanza bene: c’è la buona volontà di non esser di troppo peso per gli altri, di offrire ogni sacrificio al Signore, di soffrire con rassegnazione e persino con gioia. Ma ecco che la malattia si prolunga, forse si acutizza; e se pur il male non aumenta, si sente però più intensamente, perché la sofferenza di oggi si assomma a quella di ieri e di ier l’altro. E allora comincia la noia, l’insofferenza dei cibi, dei rumori, delle persone… tutto dà fastidio, si diventa ombrosi, pare che coloro che ci assistano siano stanchi di noi… e allora questi poveretti, già affaticati e logorati dall’assistenza che si prolunga, devono subire anche le conseguenze del nostro carattere inasprito: cattive parole, sgarbi, malumori, insofferenza.

Buon per loro se trovano nell’unione col Signore la luce e la forza per praticare la squisita carità di Cristo: quante opere buone, quanti meriti, che santa caparra per il Paradiso! Gesù l’ha promesso il Paradiso a chi darà per amor suo anche un solo bicchiere d’acqua: quanto più sarà sicuro il possesso eterno di Dio per chi passa l’intera vita nel servizio degli infermi!

Chi è malato, ricordi però che non è mica tale per far guadagnare il Paradiso agli altri con le sue impazienze… se nell’eccesso del male i nostri scatti, le nostre impazienze hanno un’attenuante, non dobbiamo abusare mai della nostra condizione e dell’altrui bontà per crederci lecito ogni capriccio. Soprattutto dobbiamo guardarci dal coltivare l’idea che, essendo malati, abbiamo ogni diritto sugli altri. Ricordiamo che anche gli altri hanno i loro diritti, la loro dignità di uomini e di cristiani, e ricordiamo anche, per compatirli, che pur essi hanno le loro debolezze.

Ma non dobbiamo neppure avvilirci se ci capitasse di mortificare o addolorare coloro che ci assistono: l’avvilimento non è figlio dell’umiltà e perciò non piace a Dio. Cerchiamo piuttosto di umiliarci, di chiedere scusa, di dimostrare la nostra riconoscenza per la carità di chi ci serve. Così si rassoda la carità ed è più facile ricevere da Gesù il perdono e la benedizione.

Se il malato ha bisogno di tutto, anche chi assiste il malato ha tante volte bisogno di una parola di carità, che lo rianimi, lo conforti, gli sia di premio per il suo sacrificio. Quanto bene si può fare con una parola buona! E poi preghiamo per chi ci assiste, perché con l’aiuto di Dio il peso gli sia meno grave.

Tutto ciò miei cari fratelli e sorelle, facciamolo di cuore, e facciamolo per amor di Gesù che tanto ci ama, e della nostra Mamma celeste, madre del bell’Amore.

Viviamo sempre nella luce dell’eternità, perché qui siamo solo di passaggio. Non è un passaggio molto lieto, perché siamo in una valle di lacrime; ma molte lacrime si possono asciugare con la santa carità; e col sacrificio sopportato per il prossimo molte gioie si possono acquistare in questa vita e per l’altra.

Vi ricordo, miei cari, il nostro solito appuntamento al I° venerdì del mese, e poi il grande appuntamento là, nel santo Paradiso.

Augurandovi ogni bene nel Signore, più col cuore che con la mano vi benedico.

Vostro, in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6262 Ottobre 1951

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Permettete che ancora una volta io torni a parlare ed a insistere sull’amore di Dio per questa povera umanità.

Per noi l’amore di Dio è un mistero incomprensibile, tanto più se lo poniamo a confronto con la poca corrispondenza da parte degli uomini. Un mistero di carità di fronte a un mistero d’iniquità.

Grande mistero l’amore di Dio per noi! Pensiamoci su un poco. Ha Iddio bisogno del nostro amore? Se così fosse, Egli non sarebbe più Dio, perché mancherebbe qualcosa alla sua perfezione, alla sua felicità, che non può mai venire meno, né diminuire.

Iddio dunque non ha nessun tornaconto ad amarci e a farci del bene, perché neppure i Santi, neppure la Madonna possono aumentare la Sua gloria interna, cioè la Sua intima perfezione, benché aumentino la Sua gloria esterna.

Per noi queste cose sono chiare e insieme incomprensibili. E’ chiaro che Iddio ci ama, è chiaro che Dio non ha bisogno del nostro amore, ma non riusciamo a capire perché Egli ci ama di un amore così intenso, così sviscerato, così pazzo, come diceva qualche santo.

Il vero amore.

Siamo così abituati noi, povere creature, a far tutto per interesse, anche quando ci pare di compiere degli atti di altruismo! Infatti, anche se arriviamo ad un atto disinteressato, sentiamo per lo meno il gusto dell’opera buona, forse anche il compiacimento di sentirci lodare, e qualche volta forse altri sentimenti ancor meno lodevoli. Quanto amor proprio anche in tante azioni buone!

Ma l’amore di Dio è puro da ogni interesse: per questo noi non riusciamo a comprenderlo e soprattutto non riusciamo a sentirlo. Oh se sentissimo quanto è grande l’amore di Dio per noi! Sta tutto qui, cari fratelli: basterebbe questo a farci santi.

Perciò ancora una volta vi scongiuro, miei cari: concentriamo il nostro pensiero e il nostro cuore su questa grande verità, che Iddio ci ama, non come semplici sue creature, ma come figlioli, con un amore paterno che supera in infinità e perfezione l’amore di tutti i padri della terra messi insieme.

Questo amore arriva al punto di riservare le sue tenerezze più preziose al peccatore, così come è arrivato a far sacrificare il Suo divin Figliolo per questa povera umanità che, dopo averlo ucciso, ancor oggi continua a disconoscerlo e a vilipenderlo.

E l’amore di Dio non viene meno! E Gesù continua a sacrificarsi ogni giorno sugli altari per l’umanità che lo tradisce!

Grande verità, grande mistero!

Purifichiamo l’amore cari fratelli, cerchiamo di sentire la compassione per Gesù, cerchiamo di patire insieme con Lui, perché il nostro amore per Lui venga purificato e si assomigli di più al Suo amore per noi.

Se siamo Sue membra, se siamo crocifissi con Lui, è ben necessario che Gli rassomigliamo.

Sono povere parole queste che vi dico, sono cose che già sapete: ma vi raccomando, mettetele in pratica. Guardate che tutta la nostra scienza e sapienza sta qui: riconoscere l’amore, ricambiare l’amore del nostro Dio.

Vi ricordo il nostro appuntamento del I° venerdì del mese e del 24: pregate per questo poverello che tanto vi ricorda e tutti vi porta nel cuore.

E più col cuore che con la mano vi benedico.

Vostro, in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6263 18-11-1951

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore

La grazia, la benedizione e la pace di Gesù benedetto siano sempre nei nostri cuori.

Una gravissima sciagura ha colpito la nostra cara patria: tanti nostri fratelli sono rimasti senza tetto, si son visti portar via dalla furia delle acque i loro averi, le loro case, perfino i loro cari congiunti! Chi può misurare il cumulo di dolori e di privazioni che in così pochi giorni si sono abbattuti su tante famiglie d’Italia?

Miei cari fratelli e figlioli, come mi sanguina il cuore al pensiero di tante sventure! Come vorrei poter sollevare tante sofferenze, andare incontro a tanti bisogni! Solo il Signore lo sa, Lui che insistentemente prego perché dia sollievo e consolazione agli afflitti e dia a coloro che possono la grazia grande di comprendere l’occasione provvidenziale che loro si offre di aiutare con ogni mezzo i fratelli sofferenti.

Pregate anche voi, cari fratelli, preghiamo tutti insieme e facciamo pregare: per i vivi che sono nel bisogno e per coloro che la furia degli elementi ha strappato da questa terra per condurli al giudizio di Dio. E poi facciamo tutti, quanto sta in noi, per lenire tante sofferenze, ricordando che sono nostri fratelli coloro che soffrono.

Anche se poveri, nelle nostre case non rimangano in questi giorni posti vuoti, vuoto soprattutto non rimanga il nostro cuore, chiudendosi all’altrui dolore. Facciamo agli altri quanto vorremmo fosse fatto a noi se ci trovassimo in analoghe circostanze.

Ma poi i bisogni urgenti della misericordia corporale da esercitare coi nostri fratelli non ci distolgano da un attento esame della situazione spirituale, prima nostra e poi della nostra Italia e del mondo intero.

Nostra, prima di tutto. Dobbiamo sentirci responsabili anche noi delle presenti miserie e riconoscere che abbiamo bisogno di santificarci seriamente, se vogliamo tener lontani altri flagelli.

Esaminiamoci bene, ciascuno nel proprio stato: corrispondiamo noi in pieno alle infinite grazie che il Signore continuamente ci elargisce? Noi che oggi ci commoviamo a tante sventure materiali, sentiamo ugualmente la tragedia di tante bufere spirituali del nostro prossimo?

Sapete quanto mi sta a cuore la diagnosi di tanti mali che affliggono l’umanità e in particolare la nostra cara patria! Questa nostra Italia che io vorrei chiamare il paradiso terrestre della Chiesa di Dio; questa Italia che è sede del vicario di Cristo e quindi in qualche modo la centrale di comando di Cristo sulla terra; questa Italia che Iddio ha ricolmato di grazie straordinarie, di miracoli e benefici senza numero!

E come ripaghiamo una predilezione così chiara e tangibile? Come si vive da molti che pur si dicono cristiani? Come, per esempio, viene santificata la festa, giorno del Signore? Quanti si accontentano di ascoltare una messa quasi per moda o per sport, senza curarsi di comprendere il divino sacrificio, trascurando l’istruzione religiosa, il santo vangelo, la frequenza ai sacramenti!

E come si vive nel santo matrimonio? Ci si dovrebbe preparare come ci si prepara al sacerdozio, e invece si tende solo alla ricerca del godimento, allo star bene, ad evitare tutto ciò che sappia lontanamente di sacrificio. E dire che se, invece di pensare solo a star bene, si pensasse di più a vivere da veri cristiani e a divenire migliori, si finirebbe anche con lo stare meglio! Poiché, se è vero che la vera felicità si trova solo nel cielo, è pur vero che l’unica felicità che si può avere su questa terra è quella che viene dalla retta coscienza, come dice la sacra scrittura: pax multa diligentibus Deum.

Quanti peccati salgono al cielo! Ricordo sempre il detto di una santa vecchietta, che udivo quando ero ancora ragazzetto: “su peccati, giù flagelli”.

E tuttavia, in queste pubbliche calamità non dobbiamo tanto vedere un castigo per i poveretti che ne sono vittime, quanto una voce di misericordia del Signore che ci richiama sulla retta via della virtù e del bene, perché ricordiamo soprattutto che non siamo fatti per la terra ma per il cielo.

Purtroppo sono molto pochi coloro che proclamano questa verità che la prova viene dal Signore per il nostro bene e che ricordano quanto ci sia bisogno di preghiera e di sofferenza riparatrice.

Facciamo perciò anche noi un serio esame, e se ci accorgessimo che abbiamo deviato dal retto sentiero, ritorniamo sulla strada della virtù, verso la perfezione del nostro stato.

Tanti nostri fratelli sono in errore per ignoranza, o per altre cause che solo Iddio può giudicare: l’ho visto tante volte trovandomi a contatto con fratelli nostri che disgraziatamente combattono la nostra santa religione; il più delle volte ho costatato che li ha condotti a ciò l’ambiente in cui sono stati educati, la tradizione di famiglia, un torto o un cattivo esempio ricevuto, e di loro potrebbe dire il Signore: nesciunt quid faciunt.

Questi nostri fratelli disgraziati possono dunque portare delle scuse: ma noi, noi non abbiamo scuse. Facciamo dunque un serio esame e passiamo subito alla pratica di una vita veramente cristiana, secondo il santo vangelo sine glossa, senza mutilazioni e accomodamenti.

Solo così potremo concorrere ad abbreviare i giorni della prova e a sollevare tanti innocenti e sofferenti.

Diciamo al Signore con convinzione e con ardore di carità: Hic ure, hic seca, hic non parcas, modo in aeternum parcas. O Signore, fa sentire quaggiù i rigori della tua giustizia, purché non li riservi nell’eternità!

Ma dobbiamo essere soprattutto noi stessi a mortificarci, prevenendo la mortificazione dall’alto.

Guerra, guerra al peccato!

Guerra in modo particolare al peccato, diciamo così di sistema, al peccato che entra nella pacifica abitudine, al peccato che si tollera, che si scusa e che si ama nel proprio cuore.

Il mondo ha gran bisogno di luce per redimersi: voi lo sapete bene: la fede è poca, e anche dove c’è la fede, parrebbe che fosse conosciuto solo il Credo, senza il Decalogo e i precetti; e, come se ciò non bastasse, non solo fra i senza Dio, ma persino tra di noi c’è chi attenta, con diabolica malizia, volutamente, alla stessa innocenza dei bimbi: cose che fanno inorridire e fremere di santa indignazione. E allora si capisce perché le calamità si abbattono sul nostro capo.

Chi è cristiano sa bene che il peccato fa infelici i popoli e le nazioni, che chi ha con sé la virtù ha con sé il premio, mentre il peccato porta seco necessariamente il castigo.

Per questo povero mondo, in frenetica ricerca del godimento e che è sempre senza pace e senza gioia, dobbiamo essere noi i portatori di luce, di serenità, della vera pace. In che modo? Ve lo ripeto ancora una volta: col fuoco di un amore veramente operante verso Dio e verso il prossimo; con la luce dell’esempio per chi guarda a noi credenti, aspettando da noi la prova della validità della nostra fede; soprattutto con la carità esercitata con cuore aperto e generoso e sempre illuminata dai motivi soprannaturali della nostra santa religione.

La sciagura che si è abbattuta ora su tanti nostri fratelli è un’occasione propizia per tutte queste cose insieme.

Cari fratelli, che nella meditazione dei nostri doveri personali e nell’esercizio della virtù della carità abbiamo la grazia di accostarci maggiormente a Gesù e alla nostra cara Madre celeste, esempio di ogni virtù e canale di ogni grazia. Gesù e Maria ci aiutino a santificarci e a santificare la povera umanità. Sia questa la prima preoccupazione di tutta la nostra attività e di tutta la nostra vita.

In questi giorni di dolore per tutti, vi sono vicino più che mai. Stiamo tanto uniti nella preghiera. Io ne ho tanto tanto bisogno.

Più che con la mano, vi benedico col cuore straziato dal dolore, ma tanto pieno d’amore per voi e per tutti i fratelli nostri.

Vostro, in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6264 Dicembre 1951

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre nei nostri cuori. Voglio dire a voi, in questi tempi così difficili e pieni di rancori, alcuni concetti sulla carità fraterna, che in varie occasioni ho già detto ai miei carissimi figlioli, i quali lavorano con me nel campo tutto speciale affidatoci dal Signore.

La carità! Oh la carità è divina, è Dio stesso, come chiaramente dice San Giovanni Evangelista: Deus charitas est.

La carità è una virtù che direi essenziale per il vero cristiano, tanto che dovrebbe essere il suo distintivo, come lo era per i primi cristiani, di cui si diceva con meraviglia: guarda come si amano!

La carità non è solamente necessaria perché il Signore ce l’ha comandata sopra tutte le altre virtù, ma è anche l’arma migliore per arrivare a conquistare il cuore dei nostri fratelli e persino per conquistarne le menti.

La carità è certamente l’argomento più persuasivo: la predica più efficace e che più si ricorda è quella di un atto di carità compiuto nel silenzio e nel nascondimento a favore di chi soffre.

Lo sapete bene voi, cari ammalati, se avete avuto la fortuna di essere assistiti da uno di quegli angeli di carità che sono certe suore infermiere: umili, semplici, forse di poca o niuna cultura; eppure quante volte esse riescono a vincere il cuore e la mente anche dei peccatori più induriti o dei più superbi pensatori!

In realtà, non sono precisamente loro che vincono: è Gesù che vince per mezzo di esse; perché, quando un’anima ha una profonda carità, è strettamente unita a Dio e permette al Signore di agire in essa e per essa, quasi che Gesù e quell’anima fossero un’unica cosa, come, del resto diceva S. Paolo: Non son più io, ma è Cristo che vive in me!

Senza la carità, invece, anche se facessimo miracoli, non saremmo creduti, mentre tutti disarmano dinanzi alla vera carità di Cristo.

La carità, dunque, ci unisce strettamente a Cristo e, nello stesso tempo, ci unisce tra di noi. La carità è il cemento che unisce gli animi e forma di tutti una cosa sola: cor unum et anima una.

E’ questa l’unità che nostro Signore Gesù Cristo chiedeva ai suoi apostoli: che fossero una cosa sola tra di loro come Egli lo era col Padre: ut unum sint! – che siano una cosa sola, perfetti nella unione.

Perciò, ad evitare ogni invidia e dissapore, non facciamo mai nulla per spirito di parte o di vanagloria; ma ciascuno con umiltà stimi gli altri superiori a sé, avendo ognuno a cuore più l’interesse degli altri che il proprio; aiutiamoci scambievolmente, compatiamoci a vicenda.

Se poi nascesse qualche screzio, se venisse qualche nube ad oscurarne il limpido orizzonte della carità, subito si rinsaldi la concordia e la pace. Non tramonti mai il sole sopra le possibili dissensioni.

Siamo generosi: imitiamo il Signore che è tanto paziente con noi. Guai se Egli ci condannasse subito secondo le nostre opere! Usiamo anche noi grande longanimità, e così riusciremo a eliminare prontamente ogni pericolo di rottura.

Nolite iudicare. Non vogliate giudicare gli altri. Evitiamo perciò lo spirito di critica sui fatti e sui detti altrui. Non facciamo nella nostra mente un tribunale sempre aperto per giudicare i fratelli. Abbiamo il dovere di pensare bene: questa è carità.

Ma anche la giustizia vuole che, prima di censurare un fratello, si adducano delle prove. Ora, per far questo, occorre essere investiti dell’autorità di sentenziare: ma “chi sei tu, dice lo Spirito Santo, che osi biasimare?”. Il Signore, lo sappiamo bene, riserva a sé il diritto di sentenziare, e lo concede solamente a chi ne ha l’ufficio, perché costituito in autorità.

Noi, come noi. non siamo che dei ciechi; chi può presumere di conoscere le intenzioni del fratello? “L’uomo guarda dall’apparenza, il Signore guarda dal cuore”.

Dunque, prima che al prossimo, dobbiamo pensare a noi; così ci sarà più facile vivere e trattare con quella cordialità tutta semplice che è il frutto della vera fraternità e il premio della carità.

Carità anche con gli avversari!

Nelle lotte inevitabili per il trionfo della verità e della giustizia, per la diffusione del regno di Cristo, usiamo pure fermezza, tutta la fermezza, nel combattere l’errore, ma usiamo carità grande con tutti gli erranti. “Soffocate l’errore, dice S. Agostino, ma amate con tutto il cuore quelli che errano”.

Oh, se invece di prendere di fronte gli avversari (non mi sento di chiamarli nemici, perché anch’essi sono nostri fratelli): se, invece di inveire contro di loro, si cercasse di illuminarli, direttamente o indirettamente, con la carità e pregando per essi!

Oh sì, uniamo la nostra preghiera, alla preghiera di Gesù sulla croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quel che si fanno”. Possa la nostra preghiera affrettare la conversione di tanti fratelli e l’ora del trionfo di Dio sulla terra, che sarà anche l’ora della pace per la povera umanità.

Che il Signore ci conceda questa grazia, mei cari fratelli e sorelle nel Signore. In questa speranza stiamo uniti tutti in santa carità, pregando vicendevolmente, perché tutti abbiamo bisogno della misericordia di Dio. Uniti in uno stretto vincolo di carità qui in terra, ci ritroveremo uniti in un giorno che non avrà mai tramonto lassù nel Paradiso. Che tutti ci possiamo ritrovare là, insieme, a lodare e benedire il Signore per sempre.

Vi saluto e vi benedico, cari fratelli. Ricordatemi sempre al Signore e alla dolce Mamma del Cielo, specialmente nel I° Venerdì del mese. Io vi ricordo sempre, ma in modo particolare in quel giorno, il 24, in cui celebro la S. Messa per coloro che pregano per me.

Vostro, in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6265 Febbraio 1952

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore

La grazia e la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi. – Altre volte vi ho parlato dei fratelli carcerati, sofferenti spesso come noi e anche più di noi, siano essi colpevoli o innocenti; e io mi sono rallegrato nel vedere che voi avete condiviso quel senso di profonda pietà che io sento per questi più sventurati fratelli in Cristo, e ne avete anche dato una prova tangibile, quando avete inviato generose offerte per l’acquisto di un harmonium per un gruppo di detenuti malati.

Oggi sono lieto di dirvi che il Santo Padre, in occasione delle feste natalizie, ha voluto indirizzare ai detenuti tutti, dell’Italia e del mondo, un suo paterno messaggio, che è una meravigliosa espressione e prova del tenero affetto che il cuore del Padre comune sente per tutti i suoi figli, nessuno escluso, e tanto più, anzi, per quelli più disgraziati, anche se colpevoli.

Meravigliose quelle parole, pervase da una profonda commozione e dense di tanti insegnamenti; meravigliose e preziose; non solo per i poveri carcerati, ma pure per tutti i sofferenti e in modo particolare per i malati, prigionieri di un corpo che li tiene legati alla sofferenza.

In alcune di quelle frasi è racchiusa tutta la sapienza della rivelazione cristiana, ed io ve le voglio riportare per varie ragioni: prima di tutto perché abbiate sempre un grande amore e rispetto per la parola del Padre Comune, il Sommo Pontefice; poi, perché sentiate la comunione del dolore con tutti i sofferenti, senza disprezzare nessuno; e finalmente perché sono parole che meritano di essere meditate e possono essere fonte di grande consolazione e di più preziosi meriti.

… E’ a voi assegnata una vocazione straordinaria e vorremmo dire di privilegio: espiare per il mondo veramente colpevole; espiazione che va salutarmente congiunta con le ineffabili beatitudini annunziate dal Salvatore nel discorso della montagna: “Beati gli afflitti… Beati gli affamati e assetati di giustizia… Beati i perseguitati a causa della giustizia… Beati quando vi perseguiteranno per causa mia” (cfr. Mt. 5).

Oh se vi fosse dato, diletti figli e figlie, sparsi su tutta la faccia della terra, divedere quanto torna gradita la vostra immolazione agli occhi di Dio! di quanta efficacia ridonda per la comune salvezza! e quale assegnamento osa fare il Vicario di Cristo sulle vostre sofferenze, per ottenere da Dio la pace sincera e la vera salute del mondo in questi tristissimi tempi!

Se dalle pene che vi stringono saprete librarvi sulle ali della fede, non solo gusterete queste gioie arcane, ma le possederete così che nessuno mai varrà a rapirvele.

Non sono più dunque perduti i lunghi giorni trascorsi in codesti luoghi di pena, ov’è con voi, quasi in volontaria catena, il Nostro cuore, poiché nulla è vano agli occhi di Dio, quando il vostro volere si conformi al volere di Colui, che ha sempre disegni di misericordia e di vita.

Diletti figli e figlie!

In contraccambio dei preziosi doni che il Bambino Gesù viene a recarvi nel luogo del vostro dolore, offrite coraggiosamente e generosamente a Lui, che si è fatto espiatore fin dalla culla per i peccati del mondo, le vostre pene e la vostra tristezza con quell’ardore di fede, che trasforma le lacrime in perle, il dolore in gaudio. Lungi dallo spezzare il vostro dono, Egli ne farà titoli preziosi di misericordia, di salvezza e di grazia, per voi stessi e per le vostre famiglie, per il mondo intero e per la sua Chiesa. Non meno che dai sacri templi dedicati al suo culto, anche dalle prigioni, dai campi di concentramento, dagli ospedali, da ogni luogo dove si soffre, si piange e s’implora, si levi al cielo il profumo dell’incenso, che placa e che salva.

Non sembrano scritte proprio per noi queste sante parole?

Meditiamole e facciamone tesoro per questa vita e per l’eternità.

Vi saluto con tanto, tanto affetto. Più che mai mi raccomando alle vostre preghiere, perché ne ho estremo bisogno. Io tutti vi porto nel mio cuore, e più col cuore che con la mano vi benedico.

Vostro in C. J. aff.mo Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6266 Marzo 1952

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. – Poiché la nostra Associazione ha lo scopo di diffondere il regno di Gesù nel mondo, voglio che ognuno di voi abbia la possibilità di leggere e di meditare con calma il discorso che il rappresentante di Gesù, il dolce Cristo in terra, il papa, ha rivolto non solamente ai romani, ma a tutto quanto il mondo nella vigilia della festa dell’apparizione dell’Immacolata a Lourdes.

Vi prego e vi assicuro che tutti possiamo far tesoro dell’invito che Gesù ci fa – per mezzo del suo vicario in terra: il sommo pontefice – di ritornare alla vita veramente cristiana del santo vangelo, in questa ora decisiva per la salvezza della Patria e del mondo tutto.

Potrebbe essere l’ultimo richiamo; quale responsabilità per noi! vi è di mezzo l’eternità felice o infelice.

Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6267 Maggio 1952

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore

La pace di Gesù risorto e il sorriso di Maria allietino sempre i nostri cuori. – Ai nostri cari fratelli carcerati (per i quali vi prego di aver sempre un ricordo speciale nelle vostre preghiere e sofferenze), ho cominciato ad illustrare, sul loro foglio mensile, il magnifico discorso che il Santo Padre rivolse loro in occasione del Santo Natale.

Già vi dissi che gli insegnamenti così profondi racchiusi in quel mirabile discorso, sembrano rivolti anche a voi ammalati, prigionieri le tante volte di un letto tiranno, che diventa sempre più duro; prigionieri sempre della sofferenza, che ha sposato le vostre carni e il vostro spirito.

Perché, dunque, non commentare anche per voi la parola del Padre buono, che, in nome del Padre che sta nei cieli, dice la parola di consolazione a chi soffre?

Cerchiamo perciò oggi di esaminare, sviluppare e, se riusciremo, a rendere più facile per tutti quegli altissimi concetti.

Libertà Interiore

“Non meno che per gli altri uomini – tutti quaggiù in qualche modo rei o prigionieri – per voi Gesù è venuto a recare una più nobile ed intima liberazione, quella che dal giogo e dalle catene delle passioni e del peccato redime alla pace dello spirito annunziata nella notte santa; che opera la interiore luce ristoratrice di una epifania di redenzione”.

Tutti, quaggiù, sono in qualche modo, rei e prigionieri.

Questa affermazione mi fa venire in mente un bellissimo episodio della vita di un altro grande papa, che ha onorato la Chiesa e il mondo in questo nostro secolo, Pio XI. Un’altra volta ve l’ho raccontato, ma il fatto è così bello e grazioso, che mi dovete permettere di ripeterlo per il bene delle vostre anime.

Raccontano, dunque, che un giorno, mentre passava davanti a lui una lunga schiera di pellegrini e ognuno gli baciava lestamente la mano, ecco che un giovane si arresta, impacciato e incerto. Il Santo Padre ha un istintivo moto di vivacità per sollecitare quel giovane inspiegabilmente fermo; ma intanto un prelato del seguito gli sussurra all’orecchio: santità, è cieco questo poverino.

Il volto di Pio XI s’illuminò allora della luce della più profonda carità e sollecitudine per quel figlio infelice; e la carità gli fece trovare una bellissima parola di consolazione; si chinò verso quel giovane dagli occhi aperti ma spenti, e abbracciandolo amorosamente, gli disse come in una carezza: “Figliolo, coraggio, non sei solo,

Siamo tutti un po’ ciechi”.

Sì, è vero, siamo tutti un po’ ciechi, e perciò siamo tutti un poco prigionieri, prigionieri delle nostre passioni, che ci tengono legati o almeno impacciati nel fuggire il male e nel compiere il bene; prigionieri delle false idee del mondo, che c’impediscono di guardare le realtà divine, là più in alto del sole e delle stelle, là dove c’è un padre che ci ama e che ci aiuta, che ci aspetta alla casa sua, che dovrebbe essere anche la casa nostra.

Se tenessimo gli occhi fissi al Signore, come ci sentiremmo liberi nell’usare le cose di questo mondo, quelle cose che Dio ci ha dato come mezzi per arrivare a conoscere, amare e servire lui.

Ma se noi guardiamo solo alle cose del mondo, se vediamo in esse il solo fine della nostra povera vita, ecco che noi ci facciamo noi stessi schiavi di queste cose, e mentre crediamo di sfruttarle e di goderle, sono esse che ci tengono legati alla catena, senza darci mai la soddisfazione di poter dire: ecco, io sono contento, sono sazio di felicità, non ho più voglia né bisogno di nulla.

Miei cari, una sola cosa ci può liberare dalla false idee del mondo e darci la vera luce, la visione esatta delle cose: la fede; una sola cosa ci può dare la vera libertà, la pace del cuore, l’armonia del nostro essere, la vera gioia della vita:

La grazia del Signore!

La fede è un dono di Dio, e noi l’abbiamo avuto questo dono nel santo Battesimo: forse questa luce divina in qualcuno di noi è rimasta nascosta sotto la sporca cenere di tanti peccati, ma essa certamente c’è, e Gesù non si rifiuta di farla risorgere bella e splendente in quei cuori che la ricercano con sincerità e con ardore.

E la grazia? Essa è il titolo che ci fa amici di Dio, è l’abito di gala che ci permette di entrare nel celeste banchetto, è il passaporto per il beato paradiso.

Aver la grazia nel cuore vuol dunque dire essere uniti a Dio con un santo vincolo di amore, e poiché Dio è un amico, anzi un padre che non tradisce, avere la grazia vuol dire essere tranquilli e sereni, nella dolce certezza che quel Padre onnipotente e buono vede con occhio misericordioso ogni nostra necessità e miseria, e nel suo paterno amore ci sa perdonare e ci vuole aiutare.

Ecco il grande dono che Dio ha portato agli uomini, facendosi simile a loro nella persona di Gesù.

Fortunati, mille volte fortunati noi, anche se apparentemente i più disgraziati del mondo, quando nella nostra sofferenza siamo confortati da questa divina luce della grazia!

Oh la grande medicina che è la grazia per le malattie degli uomini!

Se il mondo non fosse così cieco, se il mondo conoscesse ed apprezzasse questo dono, se facesse tesoro di questa incomparabile ricchezza, quanti mali di meno vi sarebbero per questa povera umanità!

Perché il dolore è più un privilegio che un danno, ed è quasi sempre un segno di predilezione divina; ci rimarrebbero sì dei dolori, ma sarebbero dolori dolci e soavi alle anime, e l’umanità, conoscendone il valore, invece di fuggirli, li cercherebbe a gara.

E’ quello che cercherò di spiegare nella prossima lettera, giacché vedo che un solo pensiero del discorso del Santo Padre ci ha già tenuti occupati a lungo.

Un pensiero alla Mamma

Ma non vi posso salutare senza mandar prima un pensiero alla Mamma celeste, in questo bel mese di maggio, che certamente vi trova tutti zelanti e lieti – pur in mezzo alle vostre sofferenze – nel rendere omaggio alla regina del cielo.

Fu Gesù a restituirci la grazia, e ce la restituì a costo di quel sacrificio che nelle recenti celebrazioni pasquali abbiamo commemorato e rivissuto per mezzo della santa liturgia; ma fu Maria a darci Gesù, quando all’annunzio dell’angelo, accettò di divenirne la Madre.

A Lei dunque, che già lo diede al mondo, chiediamo che ci dia Gesù e la sua grazia: a Lei, che è anche Mamma nostra e non può certamente negarci un bene che ci è così necessario.

Con questo pensiero di Gesù e di Maria, nei quali sono racchiusi la nostra gioia e la nostra speranza, vi saluto, miei cari fratelli e sorelle nel Signore, raccomandandomi alle vostre preghiere e ricordandovi specialmente i nostri appuntamenti ai piedi di Gesù e Maria, il primo venerdì del mese e il giorno 24.

Vostro, in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6268 Giugno 1952

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. – Eccoci di nuovo idealmente riuniti attorno al Padre comune, per ascoltare ancora una volta le belle parole del discorso natalizio e a cercare di comprenderle e di trarne frutto. Io mi sforzerò di aiutarvi, con l’aiuto del Signore e della cara Madre celeste.

Sulle ali della fede

Dopo aver parlato della pace dello spirito che Gesù è venuto a recare al mondo, per mezzo della liberazione dal giogo e dalle catene delle passioni e del peccato, il Santo Padre, parlando ai carcerati, proseguiva dicendo:

“Se dalle pene che vi stringono saprete liberarvi sulle ali della fede, non solo gusterete queste gioie arcane (cioè la pace dello spirito), ma le possederete così che nessuno mai verrà a rapirvele; né le avversità degli eventi; né le asprezze del carcere, né i possibili errori della giustizia terrena, né la incomprensione degli uomini, né lo stesso rimorso, dalla grazia elevata a salutare e consolante pentimento”.

Abbiamo già visto l’altra volta che non basta essere fuori da un carcere per potersi dire uomini liberi; così non basta essere sani e ricchi per dirsi felici, mentre ci si può sentir ripieni di un’inesprimibile gioia in mezzo ai più dolorosi tormenti fisici e persino morali.

Chi di voi non ha provato almeno una volta in vita sua questo contrasto, che esiste tra la vita puramente umana e la vita soprannaturale dello spirito?

Quante volte una confessione fatta bene, un incontro ardente con Cristo nella santa comunione, oppure un soave avvicinamento del cuore alla Madonna, è bastato a far dimenticare non solo i propri dolori ma persino i propri peccati! Perché? Perché la sfera superiore dell’anima, investita dalla luce della grazia e folgorata dal fuoco dell’amore di Dio, ha assorbito tanta luce e calore, che i dolori terreni, fisici e morali, sono rimasti nell’ombra e sono divenuti cose indifferenti; anzi cose buone, perché si considerano utili per vita eterna e per la gloria di Dio.

Quello che conta, infatti, non è se la cosa piace o non piace a noi, ma se piaccia o non piaccia al Signore.

Un esempio lampante

Vi sono delle suore, in certi ordini religiosi, che hanno regole strettissime: non possono mai chiacchierare, non possono uscire di casa, hanno un vitto povero, non hanno nessun modo di temperare il freddo o il caldo, fanno altre dure penitenze: allo stesso modo ci sono anche ordini maschili, a cui sono imposte regole severissime per esempio i trappisti, che devono duramente lavorare e non si permettono mai di parlare, se non per straordinarie necessità; eppure è proprio in mezzo a queste persone consacrate alla penitenza, che si trovano le anime traboccanti della più autentica letizia.

Questa letizia l’hanno avuta e l’hanno tuttora i martiri della fede: una letizia serena e dolce, che fa uno strano contrasto con la rabbia impotente e mai sazia di vendetta e di sangue che si riscontra negli strapotenti persecutori.

Dunque non è la salute e il rigoglio fisico che danno la vera letizia, non la ricchezza, non la potenza, non i passeggeri piaceri del bel vivere; la gioia vera non viene dalla terra, ma dal cielo.

Una conclusione pratica

Allora ci deve essere la possibilità di trasformare gli ospedali e tutti i luoghi di sofferenza in altrettanti luoghi di pace e persino di gioia. Sicuro che è possibile! Basta che quella che è una croce postaci sulle spalle diventi una penitenza volentieri accettata dalle mani del Signore e sopportata con rassegnazione, in espiazione delle colpe proprie ed altrui. Quanto alle colpe degli altri, non ci dispiaccia di imitare l’Agnello immacolato, che si sacrificò innocente per tutti, anche per noi.

Quanto alle colpe nostre, non ci dispiaccia di espiarle quaggiù: meglio quaggiù che all’inferno o in purgatorio.

E il rimorso?

Ma, dirà qualcuno, non si può essere sereni e felici, quando il rimorso rode nel più profondo del cuore.

No, ci dice il Santo Padre: quando il rimorso diventa mediante la grazia, un salutare pentimento, si trasforma in una sensazione dolce e consolante. La grazia ci fa sentire la grandezza della misericordia divina, ci immerge in quell’oceano di bontà, ci lava nel sangue dell’Agnello Immacolato Gesù.

Lo stesso peccato diventa così l’occasione di una più ardente gratitudine verso il Signore e di più infuocato amore. Ecco come Iddio sa trarre il bene anche dal male.

Miei cari fratelli e sorelle, stringiamoci attorno a Gesù o Maria. Solo da essi ci può venire l’insegnamento vero di come si può e si deve soffrire per la gloria di Dio e per il bene nostro.

Questo è certo, che tutti dobbiamo soffrire e che non c’è maniera, in questa vita, di sfuggire il morso del dolore. Giacché questa è la nostra legge e noi non possiamo evitarla, cerchiamo almeno di trarne il maggior bene, come c’insegna il Signore. Ne guadagneremo anche in questa vita, ma soprattutto nell’altra.

Vi saluto, buoni figlioli. Pregate per me il Signore, come io sempre prego per voi, e ricordatemi specialmente il I° venerdì del mese, quando io celebro la S. Messa per tutti voi: e non solo me ricordate, ma tutti i sofferenti che con voi soffrono e sperano. Amiamoci gli uni gli altri con santa carità. Vi benedico con tutto il cuore.

Vostro in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6269 Luglio 1952

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. – Ascoltiamo ancora, e insieme meditiamo, o cari fratelli e sorelle, la parola del Santo Padre. Agli innocenti che soffrono Egli dice paternamente:

“… E’ a voi assegnata una vocazione straordinaria, e vorremmo dire di privilegio: espiare per il mondo veramente colpevole; espiazione che va salutarmente congiunta con le ineffabili beatitudini annunziate dal Salvatore nel discorso della montagna: “Beati gli afflitti, …”".

“Oh, se vi fosse dato, diletti figli e figlie, di vedere quanto torna gradita la vostra immolazione agli occhi di Dio! di quanta efficacia ridonda per la comune salvezza!”

Vocazione… Privilegio…

Parole chiare, parole profonde di significato, parole consolanti, che dobbiamo bene imprimere nella mente e nel cuore, per risentirle e farne tesoro specialmente in quei momenti in cui lo sconforto tenta di deprimerci ed opprimerci.

E queste parole, notiamolo bene, non ce le dice un semplice uomo, un filosofo di questo mondo, ma ce le dice il vicario di Cristo, e ce le dice nel nome stesso di Cristo, anzi ci ripete testualmente le parole del divino Maestro: beati coloro che soffrono… beati coloro che piangono…

Solo per questo noi le crediamo queste oscure parole.

Chi crederebbe, infatti, ad affermazioni così strane ed assurde, se non ce le dicesse Uno che tutto sapeva e che, pur potendo evitare ogni dolore, abbracciò invece la povertà, la fatica, la sofferenza, la morte?

Se Cristo, che era Dio, volle soffrire e per questo venne in questo mondo, ciò sta a significare che la sofferenza è una cosa grande, degna di essere desiderata e affrontata; una cosa tanto grande sublime che c’è piuttosto da chiedersi se siamo noi degni di essa.

Vocazione significa

Chiamata – Invito

E’ Cristo stesso che ci chiama e ci invita alla sofferenza, e poiché ci chiama e ci invita a seguire Lui più da vicino, a seguitare e compiere la sua opera, bisogna veramente riconoscere che si tratta di un vero privilegio.

Tutti i cristiani sono chiamati a salvare almeno la propria anima; ma chi soffre con Cristo e in Cristo, come ci siamo proposto di soffrire noi dell’Apostolato Infermi; chi soffre così, diventa come un’ostia che viene immolata a Dio ed elevata tra la terra e il cielo per impetrare misericordia a favore della povera umanità: proprio come la vittima del Calvario.

Non è forse questo un gran privilegio?

Bel privilegio! – dirà qualcuno – soffrire innocentemente per gli altri!

Questa, infatti, è una delle cose che il mondo non può e non vuol capire.

Il mondo cerca di godere, il mondo cerca di sfruttare, il mondo rifugge dal dolore, dall’abnegazione, dal sacrificio.

Ma chi vuole imitare Cristo, chi vuol vivere con Cristo, anzi rivivere Cristo in se stesso, pensa e sente le cose in modo tutto diverso dal mondo.

Riusciamo a far nostro, il modo di pensare di Cristo, maestro di verità?

Ci sforziamo almeno di comprendere che l’invito di Cristo a sacrificarci per gli altri è una chiamata, all’Apostolato, un privilegio straordinario, che può arricchire di grazie tanti nostri fratelli?

Se comprendiamo questo e cerchiamo nella nostra povertà, di metterlo in pratica, possiamo stare tranquilli: il Signore ci è vicino con la sua croce, sì, ma anche con la sua grazia e con la sua promessa che non verrà mai meno: beati coloro che piangono!

Miei cari fratelli e sorelle, vi sono sempre tanto vicino con la mia povera preghiera e con la sofferenza. Siatemi tanto vicini anche voi, con la vostra santa carità. Stiamo uniti nel Signore, specialmente in quei giorni, in quelle ore, in cui i nostri appuntamenti ci richiamano nel cuore di questa grande famiglia, privilegiata e beata nel dolore.

Augurandovi ogni bene nel Signore, vi benedico più col cuore che con la mano.

Vostro in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6270 Settembre 1952

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Eccoci di nuovo insieme, dopo una breve sosta, durante la quale però vi ho sempre tenuti vicino al mio cuore nel cuore di Gesù e di Maria, nostra madre.

Quante dispersioni, specialmente in questi ultimi anni, nei mesi afosi d’estate! Chi fugge ai monti, chi si rifugia sulle rive del mare o dei laghi, chi viaggia per il mondo in cerca di bellezze naturali od artistiche: tutti cercano di distrarsi dalla loro vita abituale, per dimenticare possibilmente i propri dolori, le fatiche e le pene da cui si rifugge, perché il dolore fa paura.

Ebbene, proprio in questi periodi, in cui il mondo folleggia più del solito, il mio pensiero e il mio affetto sono più che mai per coloro che soffrono, che languono negli ospedali e presso le famiglie, che sono dimenticati dal mondo che gode, oppure sono sì presenti al pensiero di chi è in cerca di piaceri, ma come un ricordo amaro, doloroso, che richiama a una realtà che non si vorrebbe riconoscere: la realtà che il dolore esiste e che nessuno se ne può sottrarre, quando scocchi l’ora segnata dal Signore.

Ma vi è un’altra realtà che il mondo non conosce, a cui il mondo non pensa, perché non è in grado di pensarci e di capirla. Che se la comprendesse, non sarebbe più quel mondo condannato da Cristo, ma farebbe parte della famiglia eletta del regno di Dio. E la realtà è questa: che il mondo con tutti i suoi peccati e le sue miserie, la sua superbia e il suo nulla, cesserebbe di esistere, distrutto dai fulmini della giustizia divina, se non ci fosse il parafulmine della sofferenza, che agli occhi di Dio controbilancia le iniquità degli uomini.

Devo però aggiungere una cosa. E’ abbastanza naturale che il mondo gaudente non conosca il fine e la preziosità del dolore; ma è sommamente doloroso che tanti ammalati, tanti sofferenti la ignorino; e ancor più doloroso è che non tutti coloro che soffrono e che conoscono la funzione provvidenziale del dolore, si rassegnano a questo pensiero che dovrebbe essere un pensiero di grande consolazione, che la loro sofferenza può diventare un dono prezioso da offrire a Dio per i propri fratelli, per la Chiesa tutta,per il papa.

Per il papa! Il papa, il vicario e il rappresentante di Cristo, è il primo sofferente della Chiesa, perché, se tutti i cristiani che soffrono sono chiamati dal Signore a compiere, nelle proprie membra e nel proprio cuore, quello che manca alle sofferenze di Cristo, il primo chiamato a questa sublime ma dolorosa vocazione è lui, il primo di tutti i cristiani.

E difatti, se anche non avesse altri dolori intimi e personali, egli deve sentire sulle sue spalle l’immensa responsabilità di tutta la grande famiglia cristiana e vivere in continua trepidazione per la sorte dei suoi innumeri figli, nel continuo e angoscioso timore di nuove guerre e di altre calamità. Il Santo Pio X ebbe la sorte di morire vittima – spontaneamente offertasi – per i suoi figli in pericolo; ma forse, in momenti così difficili come quelli che viviamo, è ancora maggiore sacrificio quello di sopravvivere alle umane sventure e di dover continuamente lottare in mezzo a continue preoccupazioni, sotto il peso di un lavoro così grande che solo Iddio può dar la forza per sostenerlo.

Il papa, alter Christus, soffre, come soffrì Cristo, per tutta la Chiesa, dunque anche per voi. Non vorremmo noi soffrire un poco con lui e per lui?

Quale conto fa il papa del tesoro della sofferenza! Lo ha detto anche nel discorso natalizio ai carcerati, che pur noi abbiamo meditato. “Quale assegnamento, egli ha detto, osa fare il vicario di Cristo sulle vostre sofferenze, per ottenere da Dio la pace sincera e la vera salute del mondo in questi tristissimi tempi!”. E nel discorso dell’11 febbraio al popolo di Roma, incoraggiò i buoni al lavoro coraggioso e zelante con queste parole: “Vi sostengano i dolori accettati ed offerti dei sofferenti”.

In alto i cuori!

O fratelli; non dobbiamo sentirci dei poveri spettatori impotenti nel grande gioco delle forze che lottano nel mondo per il trionfo del bene; ma dobbiamo sentirci i soldati di prima linea, quelli che oggi hanno il dovere di combattere più valorosamente e che domani, nel santo paradiso, potranno mostrare gloriosamente i segni della propria sofferenza.

Mi permetto però di ricordarvi una cosa. Noi non possiamo combattere efficacemente per Cristo se non portiamo la sua divisa. Qual è questa divisa?

Voi lo sapete: è la sua santa grazia. Quante sofferenze perdute, quante energie sprecate, per la mancanza dell’unica forza efficace: quella di Cristo, che opera in noi per mezzo della sua grazia!

Miei cari fratelli e sorelle nel Signore, non contentiamoci di soffrire, ma cerchiamo di soffrire degnamente. Solo così daremo consolazione a Gesù e alla Vergine Santa nostra Madre, solo così saremo il presidio avanzato della Chiesa, l’aiuto e il conforto del santo padre; e ci prepareremo, proprio con le sofferenze, un posto glorioso nel cielo, dove tutti, proprio tutti dobbiamo un giorno ritrovarci, a cantare le divine misericordie.

Mi raccomando alle vostre preghiere, specialmente il primo venerdì del mese e il 24. Per il giorno 25 raccomando al vostro caritatevole ricordo i poveri carcerati, perché il Signore benedica anche le loro sofferenze.

Salutandovi con affetto fraterno, più col cuore che con la mano vi benedico.

Vostro in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6271 Novembre 1952

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia di Gesù benedetto sia sempre nei nostri cuori, e la sua pace allieti la nostra povera vita di pellegrinaggio verso la patria beata.

Qui, ai piedi del mio crocefisso, vado meditando sulle condizioni dell’ora attuale, e voglio far parte anche a voi delle mie ansie, perché, come tante volte vi ho detto, i sofferenti hanno una parte importantissima nella vita della Chiesa, nella salvezza dei loro fratelli.

La Redenzione

Anzitutto penso al grande beneficio della divina misericordia verso la umanità: la redenzione compiuta dal Figliolo di Dio fatto uomo.

Gesù ha redento tutti gli uomini: tutti sono sua conquista, per tutti egli ha versato il suo preziosissimo sangue.

In potenza, dunque, tutti sono già salvati; ma purtroppo molti ancora non hanno ricevuto nemmeno la cognizione di questo divino beneficio. Come avverrà la loro salvezza? Per loro ci sarà – passatemi la parola – una amministrazione a parte, che non spetta a noi di indagare. A noi spetta pensare ai casi nostri, di noi cristiani, che abbiamo a nostra disposizione tutto il tesoro infinito della redenzione.

Dopo venti secoli

Ora osserviamo: dopo 20 secoli di vangelo, come viviamo noi cristiani?

E’ doloroso constatarlo, ma dobbiamo pure guardare in faccia la realtà, e non nasconderci nulla, per non creare illusioni: oggi l’umanità redenta, quella illuminata dal vangelo, santificata dalla grazia, vive in gran parte come se non fosse nemmeno venuto il Redentore, e non avesse parlato, insegnato, dato una dottrina che è l’unica valevole a guidare il nostro cammino quaggiù.

L’ora attuale è un’ora terribilissima: non mi stancherò di ripeterlo, cari fratelli; non esagero, sapete! è un’ora che raramente si è riscontrata nella storia della umanità. Le cose vanno male, molto male: lo vedete anche voi; il domani si presenta sempre più minaccioso.

E perché siamo ridotti a questa situazione così tragica? La risposta è unica: perché gli uomini, i cristiani non vivono secondo il vangelo.

Gli uomini si sono inorgogliti dei loro progressi e hanno voluto far senza di Dio, hanno superbamente escluso Iddio dalla vita privata e pubblica, hanno messo in disparte la sua divina legge, sostituendola col proprio arbitrio; hanno dimenticato volutamente il fine supremo della vita, e si sono attaccati alla terra, cercando qui il loro ideale di vita!

Fatti di spirito e di carne, gli uomini hanno rivolto tutte le loro cure alla carne, e trascurato lo spirito; hanno cercato il piacere del senso, le soddisfazioni della carne, sacrificando ogni esigenza dello spirito; e per giusto castigo di Dio hanno reso pesante, tormentosa, talvolta insopportabile la vita stessa materiale. Quante miserie affliggono l’umanità moderna! Donde mai se non dal peccato?

Peccato

Oh, il peccato! La gran brutta cosa che è il peccato, causa di ogni male su questa terra!

Gli uomini ne hanno perduto il concetto, non ne hanno timore; lo commettono a occhi aperti, con una sfacciataggine che riporta l’umanità ai peggiori tempi del paganesimo, quando il demonio della impurità dominava indisturbato nel mondo! Ma i pagani meritavano qualche attenuante, perché non avevano mai avuto tante grazie, tanti lumi; noi no: noi abbiamo la dottrina di Cristo, abbiamo i comandamenti del Signore; noi abbiamo la fede, che ci addita il paradiso nell’altra vita e la benedizione di Dio in questa se serviamo fedelmente il Signore, e ci minaccia l’inferno se manchiamo alla fedeltà.

Eppure, si pecca! si pecca in privato, e si pecca in pubblico, senza timore, senza rossore, senza ritegno di sorta!

Oh, quanto è urgente che noi cristiani consideriamo questo dolorosissimo stato di cose, e intraprendiamo una guerra a fondo contro il peccato: e prima di tutto in noi stessi, abborrendo il peccato come l’unico vero male; poi negli altri, lavorando con l’esempio e con la parola per illuminare i fratelli a conoscere l’abiezione in cui cade il peccatore, e il pericolo della dannazione eterna che porta il peccato.

La famiglia

E qui si para dinanzi il triste stato in cui si trova la famiglia cristiana. Credo che tutto o quasi tutto dipenda dai disordini morali che il diavolo ha introdotto nelle famiglie.

La famiglia, infatti, è il nucleo della società umana, la cellula vivente che dà i membri del consorzio umano. Viziata la famiglia, è viziato tutto il corpo; sanata la famiglia, è sanato il corpo intero: di questo sono convinto. La famiglia, nel linguaggio cristiano, vien chiamata il santuario domestico. Vi sembra proprio che tutte le famiglie di oggi meritino questo nome? O non siano piuttosto dei ruderi quali abbiamo visto durante i bombardamenti delle nostre contrade? Una volta era un onore e un vanto per genitori cristiani l’aver prole, averne una corona numerosa: i figli erano ritenuti una benedizione, e giustamente. Oggi, oh quanti cristiani (dico cristiani, e lo dico con le lacrime agli occhi!) osano limitare il dono di Dio, si oppongono alla Provvidenza di Dio, rifiutano vilmente le nuove creature, riserbandosi il piacere inerente alla vita matrimoniale senza assumerne il nobile compito. Uno, sì; due tutt’al più, ma basta! Ecco che cosa dicono tanti genitori cristiani! E non sono parole soltanto, ma sono orrendi delitti contro le leggi più sacre e inviolabili della natura; sono veri assassini di vite in germe, crudeli stragi di innocenti, a confronto delle quali è nulla quella di Erode.

E si crede che sia un niente, una cosa leggera, scusata dal bisogno, dalle difficoltà economiche, dalla scarsità di locali… e andate dicendo; puri pretesti, che non dovrebbero nemmeno venire in mente a un cristiano, a un uomo ragionevole. Godere, godere, senza alcun dovere: ecco la smania di tanti genitori moderni. E si illudono di essere cristiani! magari vanno in chiesa, perfino frequentano i sacramenti! Hanno perduto la sensazione del peccato, e di quale peccato! Di quello proibito da Dio con le parole; non occìdes! non ammazzare!

E non crediate che si tratti di casi isolati. Si può dire che le guerre, per quanto riguarda i morti, sono un niente a paragone di questi delittuosi controlli. Altro che bombe atomiche! Questo peccato è una bomba atomica permanente, che fa vuoti spaventosi nella famiglia cristiana, e provoca i castighi più tremendi. Sì; castighi: perché se è vero che il peccato ha la sanzione con sé anche in questa vita, immaginiamo come l’ha tremenda questo peccato tra i più enormi. Un figlio solo o due al più; ed ecco quell’unico figlio che diventa il tormento dei disgraziati genitori, e costa materialmente e moralmente più che non sarebbero costati dieci figlioli accettati dalle mani di Dio Padre. La malattia, la morte lo toglie anzitempo a quei genitori sciagurati; la guerra lo strappa al loro fianco per immolarlo sui campi di battaglia, quasi sempre senza vantaggio dei popoli, sempre con indicibile strazio dei genitori! Giusto castigo di Dio! chi non ha voluto quelli che Iddio offeriva, restano privi di ciò che tanto amavano. Dio non voglia che molti debbano constatarlo a proprie spese.

Vita Cristiana

Se poi guardiamo come si vive in famiglia, oh, quale doloroso spettacolo! chi direbbe che sono famiglie cristiane queste, nelle quali non si prega, non si frequenta regolarmente la chiesa, ma solo saltuariamente a dir tanto; non si santifica la festa, ma piuttosto la si profana continuamente con peccati, bagordi, dissipazioni…? Che cosa imparano i figli, che non vedono mai i genitori inginocchiati a pregare? Mentre dovrebbero essere i primi, questi genitori cristiani, ad insegnare l’arte di pregare, chiamando i figli attorno a sé, e congiungendo le mani dinanzi all’Altissimo. Che cosa imparano i figli, da genitori che nei discorsi e nella pratica non apprezzano che i soldi, il piacere, il divertimento…? Che non frequentano la chiesa, oppure – peggio – pretendono conciliare una esteriorità di religione con una vita spensierata, materiale, se non addirittura contraria al cristianesimo?

Come possono crescere i figlioli, se l’ambiente di famiglia è saturo solo di vanità, di divertimenti, di smania per il piacere? Quanti, che in pieno cristianesimo, fanno consistere la vita nel divertirsi? I divertimenti ci vogliono, sì; ma in misura opportuna, con moderazione. C’è qualcosa d’altro che preme: majora premunt, dicevano gli antichi. I divertimenti devono essere un sollievo per chi è stanco, non un peso, una fatica; devono essere una parentesi di serenità in mezzo ai quotidiani doveri, non prendere il posto di questi, magari a scapito dell’anima, come purtroppo avviene in tutte le domeniche e feste (fosse soltanto in queste! Ché ormai tutti i giorni della settimana vogliono essere segnati dal divertimento).

Qual meraviglia se le cose vanno male?

Istruzione religiosa

Punto cruciale, per conto mio, è questo: difetta tra i cristiani la istruzione religiosa.

Senza istruzione, non si valutano le cose secondo il merito, ma secondo criteri errati. Il peccato diventa una cosa da nulla, la messa festiva non è che un peso, come una tassa da pagare, puntualmente sì, ma svogliatamente; i figli sono… una seccatura, che impongono fatiche, preoccupazioni; la preghiera è una cosa da vecchierelle… e via di questo passo.

Entriamo nelle nostre chiese, nel pomeriggio di festa, ora di catechismo; che spettacolo desolante! C’è un vuoto impressionante: pochi ragazzi, spesso irrequieti (sanno di essere lontani dall’occhio dei genitori, perché essi… non vengono al catechismo!); alcune donne, qualche raro uomo… tutto lì. Dove sono i cristiani nell’ora di catechismo? Un’ora sola, non la trovano per istruirsi. Ne trovano poi tante per divertirsi, spendendo soldi, sacrificando tempo, adattandosi a lunghe attese, sottoponendosi a ore di sole cocente, o di pioggia, a vento e intemperie, d’estate e d’inverno… E sì, il catechismo non toglie loro il tempo di un onesto divertimento!

Quale meraviglia se poi vediamo i cristiani vivere così male? quale meraviglia se alla messa del mattino (quando ci vanno!) assistono come gente che non capisce nulla del grande mistero? Stanno in piedi, distratti, assenti con lo spirito, senza mai una preghiera sul labbro, impazienti che giunga la fine per uscire frettolosi, magari prima il sacerdote lasci l’altare! Effetto di ignoranza. Non conoscono quello che il Signore compie nella santa Messa; non sanno che ripete il sacrificio del Calvario per la loro salute e santificazione; essi non veggono che un sacerdote rivestito di speciali paramenti, che mormora latino, si muove sull’altare, predica delle cose che per loro non hanno interesse… e non vedono l’ora che sia finito.

Non deve un cristiano contentarsi di una messa festiva, per la santificazione del “giorno del Signore”; non basta, non è sufficiente: bisogna fare dell’altro; e si farebbe dell’altro, se ci fosse amore a Dio: l’amore non dice mai basta. Manca l’amore; e manca tutto con esso. Bisogna istruirsi, bisogna approfondire le verità della fede; e, dato che non si può farlo altrimenti, bisogna andare al catechismo festivo.

E’ un punto di capitale importanza, per la rinascita di un mondo migliore. E’ un punto che a noi sacerdoti e religiosi deve stare a cuore sopra qualsiasi altra cosa: è il problema dei problemi da risolvere quanto prima, senza indugi.

I “Grandi” del mondo politico fanno convegni, riunioni, studi e discussioni per dare assetto al mondo: e fanno bene; ma tutto andrà invano, se non si risolve il problema religioso, il ritorno dei cristiani al cristianesimo vissuto. Né si potrà ritornarlo tale se non si dà mano alla istruzione religiosa, in tutte le forme, specialmente col favorire la frequenza al catechismo festivo.

Vita pubblica

L’abbandono di Dio da parte dei cristiani nella loro condotta personale, e nella famiglia, ha portato come conseguenza il distacco della società da Dio.

Nelle relazioni pubbliche: tra classe e classe, tra popolo e popolo, tra sudditi e autorità non si vuole che abbia influenza la religione, il vangelo. Eppure Iddio è padrone supremo della società, come lo è dei singoli uomini; è giusto quindi che Egli regni sovrano nella vita pubblica come in quella privata.

Ora noi siamo spettatori e testimoni di quello che succede quando si esclude Iddio dalla società: le guerre mondiali, con tutto il corteggio di sciagure, e lagrime, e sangue; la infedeltà ai patti, le inimicizie fatali, le incomprensioni, il permanente pericolo di complicazioni internazionali… tutto effetto di questo laicismo che ha avvelenato la vita pubblica moderna.

E nei singoli stati? Nella nostra Italia, nazione favorita dalla Provvidenza, centro della religione di Cristo e sede del papa: come si vive la vita cristiana? chi direbbe, girando nelle nostre città, che siamo tra i cristiani? I viaggiatori stranieri, quale concetto si faranno del nostro grado di religione?

Una moda procace si esibisce ad ogni passo, non solo nelle città, ma perfino nelle campagne; spettacoli che farebbero arrossire i pagani stessi; stampa murale contraria ad ogni senso di pudore; giornali apertamente nemici della religione, che spargono calunnie e dispregio su tutto ciò che vi è di più santo; gioventù con i segni di avanzata corruzione… Aggiungete l’assenza di ogni senso di religioso nelle varie attività di lavoro e di studio. La religione in una parola è riguardata come una cosa secondaria affatto, anzi una cosa di cui si debba vergognarsi… E questo fra cristiani, fra gente che è stata redenta da Cristo, strappata alla schiavitù del demonio, salvata dall’inferno e destinata al paradiso! E’ davvero una mostruosa ingratitudine!

Bisogna rimediare e presto! altrimenti si andrà di male in peggio. Iddio deve ritornare da sovrano nella vita pubblica; il mondo deve vedere nelle nazioni cristiane il faro di luce che guida tutte le genti.

Bestemmia

E un altro peccato disonora e avvelena la vita delle nostre contrade; la bestemmia sfacciata e continua che risuona nelle nostre contrade, nelle officine, nelle case… come una sfida alla religione, alla civiltà, alla cortesia… Come si può spiegare che i cristiani offendano il Signore con linguaggio da demoni? Satana odia Iddio; ma, non ha lingua per offenderlo: si serve allora della lingua umana, dono grande del Signore. La bestemmia è uno dei più gravi scandali che imperversano nelle nostre contrade e nelle nostre case. Dobbiamo lavorare per togliere affatto questo orribile delitto, onta e vergogna delle nazioni cristiane.

Di chi la colpa?

Di tutto questo, e di altro ancora che non accenno, e voi indovinate, di chi la colpa?

Non dubito, o miei cari fratelli, di dirvi che la colpa è tutta nostra, di noi cristiani.

Si ha un bel dire della nequizia dei tempi, della guerra alla religione, delle persecuzioni: ecc. Ma alla fine dei conti, il male sta in noi; non viviamo da cristiani; se vivessimo bene, secondo il vangelo, la religione guadagnerebbe terreno ogni giorno più, e si affretterebbe il trionfo di Cristo su tutto il mondo.

Le persecuzioni dei primi secoli, infatti, fecero un gran male, sì; ma non impedirono al regno di Cristo di dilatarsi; anzi, diedero spettacolo di gloriosi martiri e fecero scrivere le pagine più splendide della storia umana.

E anche le persecuzioni moderne, tanto ingiuste e deplorevoli, non riusciranno che di vantaggio se noi viviamo la nostra fede: il sangue dei martiri di oggi sarebbe – come ieri – seme di nuovi cristiani.

I mali nella Chiesa, o miei cari, sono sempre venuti dal di dentro, dai cristiani stessi; donde mai le eresie e gli scismi? Non certo dai pagani! Eresie e scismi hanno rotto, nel corso dei secoli, quella unità che Gesù Cristo ha tanto raccomandato; hanno affievolito quella carità che Egli ha dato come contrassegno dei suoi diletti.

Oggi più che mai è sentito il bisogno di ritornare alla unità dei cristiani. Ma come si può ritornarvi? Solamente rifacendo la strada: l’unità è stata rotta perché si è raffreddata la carità; amore di Dio, amore dei fratelli. Il cammino inverso vuole che si ravvivi la carità nei cuori degli uomini; la carità prepara l’unità.

Bisogna dunque riaccendere l’amore di Dio nei cristiani; bisogna riaccendere nei cristiani l’amore del prossimo.

Compito arduo, che il Signore affida a noi cristiani, specialmente sacerdoti religiosi di questi tempi.

Mano all’opera

Si dirà che il compito è superiore alle nostre forze; l’impresa è impossibile; i mali troppo gravi e radicati… Tutto vero; ma proprio per questo non bisogna perdersi d’animo, e anzi darsi le mani d’attorno per apprestare subito i rimedi. L’opera di risanamento dipende da due fattori: Iddio, e gli uomini.

Iddio potrebbe fare tutto Lui; ma nei disegni di sua Provvidenza si serve degli uomini. E’ un gesto di sovrana degnazione, che nobilita l’uomo al grado di cooperatore di Dio!

Ora, nella ripresa – come sempre – ciascuno deve fare la propria parte, se si vuole riuscire; l’unione fa la forza.

A noi uomini – a noi cristiani, e soprattutto sacerdoti e religiosi – quale parte spetta? Facciamo questa parte, compiamo il nostro lavoro: e Iddio farà il suo. Noi faremo un niente; ma Iddio colmerà questo niente con la sua grazia e benedizione: e l’impresa riuscirà certamente. Non sappiamo quando: ma sicuramente Iddio trionferà, se noi diamo mano subito all’opera. “Siamo servi inutili”; ma se compiamo il nostro “servizio”, per quanto piccolo e inadeguato all’impresa Iddio farà da pari suo.

Nostro “servizio” assegnatoci dal supremo Padrone, è di vivere praticamente il vangelo, osservare la legge di Dio, amare Iddio, amare il prossimo. In questo servizio troviamo la nostra felicità anche qui in terra; ma non è niente in tutto a confronto del gaudio che ci sta preparando il cielo per tutta una eternità.

Compiendo questo nostro servizio, noi procuriamo la prosperità privata e pubblica degli individui e delle nazioni; perché, se è vero che “il peccato rende misere le genti”, è vero che “la giustizia le rende felici”.

Le difficoltà immani dell’impresa, lungi dallo scoraggiarci, devono stimolare i nostri sforzi. Non vediamo come la scienza è progredita, proprio per non essersi scoraggiata mai? L’uomo, per esempio, davanti alle malattie e alla morte, ha studiato, ha scrutato con una pazienza e perseveranza mirabili; ed oggi, quante malattie vengono guarite facilmente, che ieri erano mortali? Così dite negli altri campi della scienza; l’uomo ha forato le montagne, ha corso i mari, i cieli, ha creato macchine svariatissime… non si è fermato a constatare e deplorare le difficoltà, ma ha dato mano all’opera: ecco il segreto di tanto progresso.

Facciamo altrettanto nel campo spirituale; e, non solo troveremo vie nuove per apprestare i rimedi, ma siamo sicuri di avere dalla nostra parte Iddio: e, con Lui tutto riesce.

Il cristiano è stato definito “homo mixtus Deo” un uomo composto di Dio, parte uomo, parte Iddio. E’ la grande realtà operata da Cristo con la sua redenzione. Come può dubitarsi dell’esito felice, se Iddio è con noi, e noi siamo con Dio?

Tre armi spirituali

Ho pregato e riflettuto lungamente su queste verità; mi sento di dirvi il mio pensiero sulle armi da usare nella lotta spirituale che si sta combattendo.

E anzitutto, mi sembra che noi non sempre conosciamo i nostri avversari, o almeno non li conosciamo bene.

Sono nostri fratelli, figli anche loro del medesimo Padre che sta nei cieli, redenti dal medesimo Gesù Cristo, e chiamati alla santa Chiesa. Essi non seguono i dettami della religione, negano Iddio, il Redentore, la Chiesa, la eternità: tutto insomma quel patrimonio che la bontà del Signore ci ha voluto affidare perché sia guida al nostro cammino su questa terra verso la beata patria del cielo.

Ma, perché negano queste sacrosante verità?

Poveretti! Chi sa quante attenuanti meritano davanti al Signore! Spesso non hanno avuto una istruzione adeguata, o forse nessuna istruzione; non hanno sentito parlare di religione, se non in senso cattivo, da persone male intenzionate, veri ministri del demonio nemico di Dio. Forse sono cresciuti in ambiente viziato, dove la miseria materiale andava di pari passo con quella morale; o forse in mezzo alle ricchezze idolatrate, che fanno perdere ogni senso di coscienza e di religione.

Non di rado, nelle scuole hanno avuto maestri increduli, sprezzatori della Fede, denigratori della morale umana e cristiana.

Più spesso, poi, la corruzione del mondo li ha presi talmente da renderli materiali, smaniosi soltanto di piaceri bassi e sensuali, che attutiscono lo spirito rendendolo incapace di comprendere ciò che riguarda Iddio e l’anima.

Forse – ed è con sommo dolore che dobbiamo fare questa constatazione – forse sono lontani da Dio per colpa nostra personale: in noi non hanno visto la fede messa in pratica; anzi, troppo spesso hanno visto nella vita dei cristiani la più aperta negazione della fede stessa. A che serve la nostra fede se non si traduce nella pratica? E’ fede morta, che non opera nulla, anzi peggio ammorba, scandalizza…

Quanta colpa da parte nostra! Ci pensiamo noi?

Gli avversari, nostri fratelli, sono spesso l’opera delle nostre mani; eppure, sotto la scorza ruvida e spinosa, pungente e bruciante che hanno contro di noi, si celano tesori di bene che non pensiamo neppure; c’è spesso tanto buon cuore, c’è un vivo amore per il prossimo dolorante e bisognoso; c’è una dedizione generosa alla causa abbracciata, al programma prefisso, che noi non arriviamo ad avere per il santo vangelo! Davvero sono anche per noi le parole di Gesù: “Imparate dai figli delle tenebre…”

Tutto questo substrato di bontà, che si trova sotto la ruvida scorza, (faccio eccezione soltanto per pochissimi intelligenti, veri strumenti di Satana) è un elemento che deve infondere in noi un grande amore per loro, ed è terreno dove la Provvidenza prepara il loro ravvedimento, la loro riunione cordiale con noi, nell’ora di Dio. Molti di essi sono tesori nascosti ai nostri sguardi; e noi con troppa semplicità li crediamo cattivi…

Noi non li conosciamo bene, perché troppo superficialmente li giudichiamo dalle apparenze.

Dobbiamo cercare di conoscerli meglio, per amarli di più, amarli fino ad assorbire il loro odio per noi e cambiarlo in amore fraterno.

Con l’errore non dobbiamo mai venire a compromessi, certamente! ma con gli erranti dobbiamo usare tutte le delicatezze dell’amore, dell’affetto cordiale, passando sopra a molte cose personali, per mirare allo scopo supremo, che è di salvarli per il Signore; non importa se noi dovessimo subire umiliazioni, sacrifici, ingiurie… Tutto è bene speso, quando si tratta di salvare le anime! Gesù Cristo non ha risparmiato una goccia del suo sangue per esse!

Le tre armi

Nella lotta per il finale trionfo della Chiesa e la conquista dei nostri cari fratelli, ritengo che dobbiamo usare queste tre armi:

Prima: pregare per i nostri avversari.

Sono nostri fratelli, erranti lungi dalla casa paterna. Noi con le nostre vedute, con le nostre forze, discussioni ecc. non concludiamo nulla se non interviene la grazia del Signore. L’esercito nemico è compatto, numeroso: umanamente formidabile e invincibile; non dobbiamo nasconderci la tremenda realtà. Il Signore è onnipotente; può darci la vittoria, e ce la darà; ma dobbiamo meritarcela, con la preghiera specialmente: dobbiamo fare un santo bombardamento spirituale sul campo nemico, invocando dal Cielo dardi di amore, di luce, di carità.

Quando venne la giusta condanna del Santo Ufficio contro gli aderenti al comunismo ateo, molti cristiani dicevano: ben lor sta! La ci voleva!… Quanti hanno sentito compassione per gli ingannati? eppure l’amore genera di per se stesso la compassione; la compassione muove lo zelo verso i fratelli. Perciò dobbiamo pregare per questi fratelli, mortificarci per loro, organizzare preghiere anche pubbliche per la loro conversione: è una grande disgrazia che si trovino in quelle condizioni!

Crediamo davvero nella preghiera: ricorriamovi con fiducia; è un’arma potente.

Seconda: Stimare il bene che c’è negli avversari. Ce n’è tanto, più di quel che si crede. Non tutto in essi è cattivo; ci sono tante idee buone, che meritano stima. Sono residui di quello che il Signore depone in ogni uomo che viene al mondo. Attacchiamoci a questo bene: sarà un appiglio per conciliare la fiducia degli avversari, avvicinarli a noi. In tal modo daremo ad essi l’esempio della vita totalmente cristiana e il bene che è in loro troverà il suo giusto completamento in noi e si nobiliterà assurgendo all’ordine soprannaturale, conforme alla santa Legge di Dio e le esigenze della natura.

Terza: Lavorare con tutte le forze perché ritornino al Signore.

Spesso c’è nel campo nostro una smania di distruzione; si vorrebbe che il Signore annientasse con prodigi spettacolari il campo avversario. Siamo anche noi un po’ come i due apostoli che volevano invocare il fuoco dal cielo sui samaritani che respingevano il Maestro. Invece, il vero spirito di Cristo, che ci anima alla lotta, vuole che salviamo i fratelli, che li riconduciamo sani e salvi alla casa paterna. Come Davide, in guerra difensiva contro Assalonne ribelle, raccomandava ai suoi soldati: Combattete, sì, ma salvatemi il figliolo! così mi sembra ci dica il celeste Padre: Combattete, sì, da forti, contro l’esercito del male che avanza formidabile; ma salvate ognuno di quegli avversari, che è mio figliolo adottivo e diletto, redento dal sangue del mio Unigenito.

Noi abbiamo la grazia di possedere la verità: è un dono del Signore, e dobbiamo farne parte a tutti i fratelli. I nostri avversari sono nell’errore, eppure credono – molti di loro – di essere nella verità. La verità è una sola: quella che il Signore ha dato alla Santa Chiesa. Un solo Dio, una sola vera religione, una sola verità. Ma questa verità non è un privilegio di pochi, bensì un patrimonio di tutti.

Carità grande, dunque, e sforzo di salvare i fratelli, per poterli abbracciare generosamente, e fare festa con essi nella Casa del Padre.

Conclusione

Ecco tre armi, che mi pare ci vengano offerte dal Signore degli eserciti per combattere, per vincere la santa battaglia del bene contro il male.

La nostra santa Religione consta di due elementi: l’elemento divino, che mai e poi mai verrà meno; l’elemento umano, che partecipa di tutte le miserie delle cose terrene, e quindi ha bisogno di revisioni, di riforme generose, di aggiornamenti nella luce di Dio, sulla base insostituibile delle verità eterne, e sotto la guida dei legittimi pastori.

Occorre mettere mano all’opera! correggere, riformare, aggiornare coraggiosamente, questo elemento umano; soprattutto occorre che viviamo francamente la nostra fede, per essere davvero spettacolo agli uomini che ci combattono, eppure devono esser presi dal fulgore della luce divina che irradia dalla nostra vita cristiana.

Due mezzi – fu scritto – possono annientare il comunismo ateo: la guerra, e questo non è per noi cristiani, non varrebbe che a rovinare tutto; la vita integralmente cristiana della maggioranza dei cristiani: e questo è proprio per noi l’unico mezzo possibile, suggerito dalla ragione e dalla religione.

Pensiamoci seriamente e provvediamo.

Miei cari fratelli, spero che le mie parole trovino eco e consenso nei vostri cuori e, per mezzo vostro, nel cuore di tanti altri fratelli. Comunicate queste idee ai vostri amici, a tutti quelli ai quali prudentemente potete dire una buona parola, ma soprattutto vivetela in voi stessi con la preghiera ardente e il sacrificio accettato. Vi saluto e vi benedico, augurandovi ogni bene nel Signore e raccomandandomi alle vostre preghiere.

Vostro in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6272 Gennaio 1953

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la pace e la gioia di Gesù benedetto siano sempre con noi. – Risuonano ancora al mio orecchio e si ripercuotono dolorosamente nel mio cuore le parole commosse e accorate del messaggio natalizio del Santo Padre a tutto il popolo cristiano e poi nell’enciclica sulle persecuzioni presenti, specialmente contro le chiese dell’oriente.

Per risolvere i tanti e così gravi problemi che travagliano l’umanità, sarebbe necessario che tutti gli uomini si unissero e cooperassero con la Chiesa o per lo meno la lasciassero libera di svolgere la sua opera di difesa e di restaurazione dell’ordine morale voluto da Dio, unico mezzo di salvare questo povero mondo avviato sulla china del precipizio; invece, quanto è lontana la realtà da questa unione di cuori e di volontà!

Non solo la Chiesa deve soffrire delle passate persecuzioni, che le strapparono tanti figli e che hanno lacerato la sua unità, ma nuove persecuzioni e difficoltà rendono dura la vita anche a tante anime di buona volontà. Un po’ dappertutto, ma specialmente in tanti paesi dell’oriente, dalla vicina Jugoslavia, alla lontana Cina, l’opera della Chiesa viene continuamente misconosciuta, travisata, osteggiata e impedita in tutte le maniere, anche le più violente e dolorose. Vescovi e persino cardinali, imprigionati, vilipesi, torturati, mandati a morte; sacerdoti a centinaia e migliaia chiusi in campi di concentramento, nelle carceri, fatti sparire dalla circolazione; pochi lasciati sulla breccia continuamente sospettati, vigilati, angariati in ogni maniera, sì che non possano svolgere il loro santo ministero; i fedeli perseguitati anch’essi, solo che dimostrino un po’ di attaccamento alla loro fede, un po’ di amore al papa, fedeltà a Cristo e alla Chiesa. Persecuzioni, prigionie e morte dovunque, per la Chiesa che vorrebbe dovunque portare la vita.

Ed è Cristo che soffre nel papa, Cristo che soffre nei vescovi, nei sacerdoti, nell’ultimo dei fedeli.

Quale tremendo mistero di iniquità! E’ Satana scatenato, che rugge e percuote ed azzanna nell’ovile di Cristo.

Ma quali disegni di misericordia però da parte di Dio! Anche Satana è soggetto a Lui, e le sue opere malvagie dovranno un giorno riuscire a un più meraviglioso trionfo di Cristo.

Osserviamo bene: nell’atto stesso che Satana colpisce, le sofferenze che ne scaturiscono, formano un tesoro di meriti che il Signore raccoglie ed accumula per il giorno della riscossa, quando il sangue dei martiri – seme di cristiani – avrà dato vita a nuovi virgulti vigorosi nella grande vigna della Chiesa di Cristo.

Vediamo ancora che le persecuzioni fanno conoscere a tutti che esiste un problema religioso, che vi è una Chiesa cattolica intransigente nel difendere i diritti di Dio e degli uomini liberi, che vi sono dei cristiani disposti piuttosto a morire che a tradire la loro fede. Gente che non aveva mai sentito parlare di cristianesimo, cristiani che non avevano mai pensato alla Chiesa cattolica se non con odio e disprezzo, ora cominciano a mirarla con interesse e simpatia.

Non sappiamo quanto tempo occorrerà per raccogliere i frutti di tante sofferenze, ma quel momento verrà.

Tocca a noi, a noi cattolici specialmente, a noi che avemmo una chiamata speciale con la stessa sofferenza, tocca a noi affrettare quel giorno in cui tutti i nostri fratelli, ma specialmente quelli cristiani che hanno avuto la ventura di conoscere Cristo insieme con la sventura di rimanere fuori dalla Chiesa cattolica, tutti entreranno nell’ovile di Pietro, dove c’è intera la luce e sicura la salvezza.

Leviamo, o fratelli, il nostro pensiero a tutte queste anime in attesa di luce; leviamolo specialmente a quelli che soffrono persecuzioni nella Chiesa, e uniamo con loro il nostro cuore.

Essi soffrono per la difesa della loro anima e della Chiesa che li ha nutriti: non possiamo forse anche noi assegnare queste intenzioni alle nostre sofferenze?

Specialmente in questo mese, nell’ottava di preghiere per l’unione delle chiese cristiane separate da Roma, per la conversione dei pagani e degli ebrei, uniamoci in modo tutto speciale nell’offrire a questo santo scopo le nostre preghiere e sofferenze; confondiamo le nostre lacrime e le nostre ferite con quelle dei perseguitati; diciamo a Gesù e alla Madonna che le accolgano come espressione della nostra fede e come segno del nostro desiderio di cooperare, quali martiri lieti anche se non volontari, all’avvento del regno di Dio nel mondo.

Fortunati noi se con generoso entusiasmo ci uniamo ai nostri fratelli perseguitati in questa offerta e in questa preghiera; fortunati anch’essi, i nostri fratelli perseguitati, per essere fatti degni di soffrire per il nome del Signore! Sfortunati son soltanto coloro che hanno la disgrazia di non conoscere Dio, o peggio, si lasciano invadere dal demonio e gli prestano il loro cuore per odiare e combattere Dio e i suoi figli.

Che Iddio abbia misericordia di loro, che sono, essi pure, nostri fratelli.

Miei cari, in questa gara di sacrificio e di preghiera coi fratelli perseguitati per il trionfo della santa Chiesa di Cristo, io vi sarò più che mai vicino.

Pregate anche per me, che ne ho tanto bisogno.

Ringrazio quelli che nelle passate feste natalizie mi hanno ricordato con la preghiera e persino scrivendomi il loro augurio buono e gentile.

Tutti vi benedico più col cuore che con la mano. Vostro, in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6273 Marzo 1953

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. – Dal nostro ultimo incontro grandi avvenimenti sono accaduti, coi quali il Signore ha voluto parlare al nostro cuore e al cuore di tutti gli uomini.

Un’altra volta Iddio onnipotente ha inviato all’umanità un monito nel quale noi dobbiamo saper vedere piuttosto la premura misericordiosa del Padre che non la giustizia del giudice.

Sono trascorsi ormai due mesi, ma voi non avete certamente dimenticato l’immenso cataclisma abbattutosi sulle coste dell’Europa settentrionale. Ed è bene non dimenticare quant’è avvenuto, chè il ricordo di quelle sciagure, mentre deve riempirci il cuore di fraterna tenerezza per coloro che ne furono colpiti e che tuttora soffrono le conseguenze, deve pure mantenerci in un salutare timore di nuovi e più gravi richiami e castighi da parte dell’Altissimo.

In quei giorni di dolore e spavento, voi avete certamente seguito con trepida ansia lo sviluppo del pericolo e il succedersi dei disastri provocati dalla furia degli elementi, contro cui vanamente, per varie settimane, lottarono gli uomini con sforzi disperati e con meravigliosi atti di coraggio e di cristiana solidarietà.

Ricordate? I tecnici, quelli che se ne intendono dell’andamento della stagione, facevano i loro calcoli, cercavano di prevedere il futuro e spiegavano le cause della catastrofe già avvenuta e di cui non si ricordava l’uguale da parecchi secoli. Sembrava che la scienza volesse scusarsi di non essere riuscita a prevedere in tempo utile il disastro per prevenirlo e subito dopo i tecnici si sono messi a lavorare di gran lena per impedire che catastrofi simili abbiano a succedere ancora. Fanno bene a fare così e noi auguriamo loro che riescano nel lodevole intento: ma ditemi un poco: credete voi che, per quante precauzioni si prendano, il Signore non abbia più la maniera di castigare l’umanità?

Basterebbe che il Signore lasciasse scatenare l’odio che cova nel cuore di tanti uomini, e una bomba atomica da sola provocherebbe un numero di vittime immensamente superiore a quello del recente disastro.

Quello che gli uomini non vogliono capire è proprio questo: che anche questi avvenimenti, e soprattutto questi avvenimenti che escono quasi dall’ordinario delle leggi della natura, sono manifestazioni di Dio per il nostro ammaestramento. E’ dunque nostro dovere chiederci: perché il Signore ha permesso questa immane sciagura?

Perché?

Non abbiamo certo la pretesa di penetrare gli occulti segreti di Dio, ma intendiamo umilmente adorare quello che per noi è un mistero, ma un mistero d’amore, poiché anche in questi dolorosissimi avvenimenti dobbiamo vedere la luce della paternità di Dio.

Dio è Padre sempre, anche quando ci visita con la tribolazione; Egli non castiga mai solo per castigare; i suoi castighi non sono altro che richiami e inviti della sua infinita misericordia; ci corregge per salvarci, ci manda delle pene perché ci liberiamo dalle colpe, dal peccato, che è l’unico vero male, l’unica vera disgrazia. Mentre infatti da una parte i peccati dell’umanità provocano la giusta collera di Dio, dall’altra parte il grido di tanti dolori e sofferenze senza nome e senza numero oh come implora e ci rende propizia la divina Misericordia!

Ma oltre a ciò, con la voce impressionante di questi avvenimenti Dio vuole potentemente richiamare sul retto sentiero la povera umanità, che è come scardinata dai sani principi dell’onestà e della giustizia, della religione e della morale evangelica.

Ma noi sappiamo che non vi può essere speranza di salvezza fuori di Cristo e del suo vangelo: Ritornare a Cristo, praticare il vangelo con assoluta coerenza, ecco per noi e per tutti il pressante ed urgente richiamo per parte di Dio.

Lezioni di carità

Un altro motivo degli sconvolgimenti che tanto ci hanno rattristato può essere stato anche quello di dare un’occasione ai popoli di aiutarsi nel dolore e nel pericolo, come infatti è avvenuto con una gara meravigliosa e commovente, in uno slancio di fraternità e solidarietà umana e cristiana. I popoli così imparano ad amarsi e questo, in mezzo a tanto male, è un grandissimo bene.

Se viviamo lo spirito del nostro Apostolato degli Infermi, noi siamo in grado di comprendere e sentire molto bene questi motivi che possono aver spinto il Signore nel far sentire all’umanità la sua mano.

Noi offriamo ogni giorno le nostre sofferenze a Dio appunto per impetrare misericordia sul mondo; come malati, molti anche immobilizzati dal male, noi siamo alla mercé degli altri e abbiamo continuamente bisogno della carità dei nostri fratelli e perciò più di tutti sentiamo la necessità che tutti si riconoscano fratelli e si amino e si aiutino vicendevolmente. Io però vorrei oggi che meditassimo insieme a che cosa specialmente il Signore ha voluto richiamarci con le sciagure del nord Europa.

Un problema angoscioso

I primi tepori primaverili mi fanno pensare a un triste problema che affligge da tanti anni il mondo cristiano. Tra poco sarà caldo e allora si vedranno di nuovo, purtroppo, gli scandali vergognosi di tanti cristiani e cristiane che si dimenticano di essere figli di Dio e con una moda invereconda offendono la propria dignità e quella dei loro fratelli, disprezzando la legge del Signore e gli ammonimenti della santa Madre Chiesa. E’ il trionfo della carne, l’orgoglio dell’io che non vuol riconoscere la propria fragilità, la pazzia della vanità che si culla di illusioni.

Io son ben certo che voi come voi non avete bisogno di richiami in questo senso. Chi ha le carni attanagliate dal male non sente più, generalmente, la superbia della carne e anche se non è grave, i suoi pensieri lo portano facilmente lontano dalle vanità di questo mondo, per concentrarsi nelle speranze migliori e consolanti della vita eterna.

Ma io parlo a voi di questo argomento triste e angoscioso, perché voglio chiedere una specialissima opera di apostolato per il ritorno dei popoli cristiani a un costume cristiano.

Sono tanti anni che il papa, i vescovi, i parroci lavorano, si affannano, soffrono nella ricerca di un rimedio a così grande male, ma i risultati voi li conoscete meglio di me: si va di male in peggio, continuamente. Che non ci sia proprio possibilità di rimedio?

Santa Crociata

Miei cari fratelli e sorelle nel Signore, io penso che se i malati uniranno le loro preghiere e le loro sofferenze, per impetrare dal Signore che ci metta Lui la mano dove gli uomini non sono riusciti, io penso che il Signore accetterà i loro voti e la loro riparazione, fatta di sacrificio e di dedizione, e userà misericordia a questo povero popolo, facendogli prima di tutto ricordare la sua dignità e facendogli intendere che la sua più grande gioia è quella di essere figli di Dio e di vivere uniti a Lui nella sua santa grazia.

Oh che grande merito sarà il nostro se coopereremo efficacemente a migliorare i costumi del nostro popolo! Che grande e bell’apostolato possiamo esercitare anche senza prediche e cose straordinarie!

Mettiamoci quindi all’opera con tutto l’impegno possibile, in unione col Signore che dà la forza per soffrire e dà l’ala alla nostra preghiera, perché essa possa volare fino al trono di Dio.

Come sarà lieta la nostra Madre celeste, Madre di purezza e di candore immacolato, nel vederci suoi stretti alleati nella battaglia contro l’inferno! E come ci aiuterà, ispirandoci i sacrifici più cari al Signore – quelli che riguardano la nostra santificazione – e aiutandoci ad affrontarli e superarli!

Santificarsi

Santificarsi: ecco la preghiera, il sacrificio che piace di più a Dio.

Santifichiamoci dunque, e in questi ultimi giorni del mese dedicato a San Giuseppe, facciamoci forti anche del suo potente patrocinio. Egli ci assista nel passaggio all’eternità.

Miei cari fratelli e sorelle, ancora una volta mi raccomando tanto tanto alla carità delle vostre orazioni. Quanto ne ho bisogno per fare fino in fondo la santa volontà di Dio, costi quel che costi! Nella mia povertà sempre vi ricordo e prego e in questo momento più col cuore che con la mano vi benedico, augurandovi ogni bene per la prossima santa Pasqua.

In C. J. Sac. J. Calabria

Vi raccomando d’esser fedeli, se vi è possibile, ai nostri appuntamenti.

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6274 Maggio 1953

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. – Voglio mettervi a parte di una gioia tutta particolare provata lo scorso mese, ascoltando una lezione del rev. don Isidoro Marcionetti, trasmessa dalla stazione radio di Monteceneri, in occasione della giornata dell’ammalato.

Ho trovato nei concetti da lui espressi tanta corrispondenza con i miei stessi pensieri che durante la trasmissione ho voluto fare degli appunti, e sono proprio questi che ora affido allo scritto. Mi pare che possano fare tanto bene anche a voi, così come io ho sentito in cuore nell’ascoltarli, provando un’onda di gioia e di santa letizia. Miei cari fratelli e sorelle, quanto è buono il Signore, che ci è sempre vicino e nelle occasioni più impensate ci fa giungere la sua confortatrice parola, in questa ora sopra tutto tanto oscura, nella quale vorrei quasi dire si respira il bisogno di aiuto e conforto, per capire il dono grande della sofferenza fino a poter dire con l’Apostolo: “Sovrabbondo di gioia in ogni mia tribolazione”.

Vocazione alla sofferenza

Il Signore Gesù, dopo aver avuto, sulla spiaggia del mare di Tiberiade, la triplice attestazione di amore da Pietro, alla quale Egli faceva seguire il potere di “pascere tutto il suo gregge”, rivolgendosi all’Apostolo soggiungeva: “In verità, in verità di dico: quand’eri più giovane ti cingevi da solo e andavi dove volevi, ma quando sarai invecchiato, dovrai distendere le mani, e un altro ti condurrà dove tu non vuoi”. Disse questo, – nota l’evangelista Giovanni – per indicargli con quale morte avrebbe egli glorificato il Signore. Ciò detto gli ingiungeva: “Seguimi”.

Il Signore chiama i suoi per mezzo della sofferenza: “Chi vuol venire dietro a me – disse un altro giorno Gesù – rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. E sappiamo che qualunque parola uscita dalla sua bocca non passa, ma resta in eterno.

Il Signore procede in un modo tutto suo particolare, diverso da quello del mondo: prima mostra a Pietro le sofferenze e la morte che dovrà sostenere e poi, in un secondo tempo, lo chiama a seguirlo. Così con Pietro, così con tutti. Colui che vuole amare veramente Gesù non deve farsi illusioni. La vita scelta da Gesù per la redenzione fu quella del dolore e della sofferenza, la via del suo discepolo quindi, non può essere che quella del dolore e della sofferenza. Solo su questa strada infatti, l’unica battuta da Gesù, egli lo potrà sempre avere come guida sicura.

Per cui dobbiamo conchiudere, amati fratelli e sorelle, che la sofferenza è un segno di predilezione: “Poiché eri accetto a Dio, era necessario che la tribolazione ti provasse” (così l’Arcangelo S. Raffaele a Tobia), ed è anche un segno infallibile che il Signore ci vuole salvare; solo ci chiede, come nostra cooperazione, di seguirlo, accettando la sofferenza con serenità, dalle sue mani paterne, fidandoci di Lui.

Fiducia in Dio

Fiducia in Dio quindi. Siamo come dei bambini fra le sue braccia, fanciulli condotti per mano, per la mano del migliore dei padri. Non preoccupiamoci dunque di quello che sarà di noi, gettiamoci in Lui, fidandoci della sua protezione, con la sicurezza e la fiducia di quel bimbo che, pur in mezzo ad una terribile tempesta, continuava tranquillo il suo gioco, tra lo sbigottimento di tutti i passeggeri, poiché diceva: “Chi guida la nave è mio padre: di nulla quindi posso temere”.

Se Dio è Padre, siamo certi e sicuri che tutto Egli fa con somma sapienza e bontà, e che tutto conduce e ordina al nostro maggior bene. Soffriamo dunque con pazienza, in pace. Pensiamo che, essendo noi membri del Corpo Mistico di Cristo, è propriamente Gesù che soffre in noi; quindi le nostre sofferenze sono sublimate, divinizzate, così che noi pure possiamo essere insieme con Lui, artefici della salvezza nostra e di quella di tanti fratelli.

Non lamentiamoci; non diciamo che sono inutili le nostre sofferenze. Il Signore non le giudica così. La sua vita terrena è una prova evidente dell’alto concetto che Egli aveva del dolore, come missione purificatrice e redentrice. Se Gesù ha scelto il patire come mezzo per acquistarci il paradiso, che noi avevamo perduto con il peccato, perché ora noi ci rifiuteremo di soffrire o ci lamenteremo se il Signore ci dà questo mezzo per riparare i nostri peccati? A tutti incombe il dovere della riparazione; anche se non avessimo commesso colpa alcuna, dovremmo ringraziare il Signore, ma nemmeno in questo caso lamentiamoci delle sofferenze. Esse ci associano alla passione di Gesù, l’Innocente, Agnello ucciso per i peccati del mondo, e mentre sono per noi una ricca sorgente di meriti e di grazie, ci costituiscono veramente apostoli e salvatori di anime.

Diciamo allora con l’Apostolo: “Lungi da me di gloriarmi d’altro che della croce del Signore Gesù”; non cerchiamo altrove le felicità e la pace; “la gioia vera, diceva il santo Curato d’Ars, è quella di soffrire amando. Domandiamo dunque, conclude l’amabile Santo, l’amore delle croci”.

Fiducia nei Sacerdoti

Oltre che in Dio abbiamo fiducia nei sacerdoti, angeli tutelati visibili che il Signore ci ha messo accanto per dispensarci la parola della fede, della speranza, e dell’amore che produce la vera felicità.

Cari fratelli e sorelle, ascoltiamo i nostri sacerdoti e cerchiamo di far tesoro della loro parole. Anche quando le giornate passano monotone e grigie a causa della monotonia d’un male di cui non è possibile prevedere come e quando si risolverà, stiamo con l’anima in pace, tranquilli, fiduciosi, sereni, anche perché la pace e la tranquillità dello spirito molto conferiscono al benessere del corpo.

Fiducia nel Medico

Fiducia anche in colui che ci cura; docilità e obbedienza a quanto ci dice e prescrive.

Subito dopo la cura dello spirito viene la cura del corpo. E come il sacerdozio è una vocazione sublime, che costituisce un uomo ministro di Dio e lo rende un altro Cristo, così l’ufficio del medico non è e non deve essere un mestiere, una professione qualunque come potrebbe essere quella del professore, dell’ingegnere, dell’avvocato, ecc. ma è una vocazione speciale, una nobile missione, alla quale Dio annette lumi e grazie particolari, perché: “Divinum est lenire dolorem”. E’ cosa divina, partecipa cioè di una azione di Dio, lenire il dolore, come diceva il filosofo Seneca, che pure era pagano.

Voglia il Signore far comprendere a tutti i medici la sublime e delicata loro missione e renderli degni di essa. Ma insieme quanta stima e rispetto si deve ad essi come a ministri di Dio! Senza dubbio essi pure a loro volta devono avere la massima cura e il massimo rispetto verso il corpo dell’ammalato, perché fattura di Dio, tempio dello Spirito Santo, nel quale abita la Trinità Divina. Guai a chi esercitasse l’ufficio di medico come un mestiere a scopo di lucro, e Dio non voglia, per altri fini non retti! Costui sarebbe un fallito e grave conto dovrebbe rendere un giorno al Giudice divino.

Il medico cattolico deve essere l’uomo della fede, che curando il corpo sente il dovere di aver cura dell’anima, almeno fin dove gli è consentito dalla sua nobile professione. Con le necessarie prescrizioni dia all’ammalato anche quella tanto attesa parola di conforto detta col cuore, quel sorriso che insieme rivela la segreta partecipazione alla sofferenza altrui; allora l’ammalato sentirà come diviso tra lui e il medico quel dolore che prima pensava dovesse essere tutto suo e soltanto suo. Sarà questa anzi la perfezione di quella carità verso il prossimo, da Gesù proclamata come fondamento della Legge nuova, e che ci rende familiare non solo “il godere con chi gode”, ma anche “il piangere con chi piange”.

Così, in questa luce soprannaturale, le medicine e i rimedi prescritti secondo il suggerimento della scienza per questa o quella malattia, oltre alla loro efficacia naturale potranno averne un’altra tutta particolare, quella che loro suole attribuire il Signore per premiare in tal modo la fede del medico curante e la comune partecipazione della sofferenza tra il medico e l’ammalato. “Dove sono due o tre radunati in mio nome – ha detto Gesù, il divino medico di tutti – io sono in mezzo ad essi”. Dio certamente sarà fra il medico e il malato, uniti in comunione di sentimenti e metterà a disposizione la sua infinita potenza e bontà.

Fiducia negli infermieri

Fiducia anche in chi assiste e ci somministra le medicine. Cerchiamo di esser buoni con loro e di stimarli come persone che ci amano e si prodigano per noi, e non come dei mestieranti. Durante la malattia cerchiamo di essere pazienti, non siamo degli egoisti, non pretendiamo che tutti siano sempre a nostra disposizione. Pensiamo che vi sono altri, bisognosi della medesime cure e delle medesime attenzioni che desideriamo per noi.

Ve lo ripeto, amati fratelli e sorelle: siamo buoni, pazienti, generosi. Pensiamo che gli Infermieri non sono estranei al nostro dolore, essi soffrono con noi, accanto a noi, giorno e notte, così come soffrono i nostri familiari, le persone più care al nostro cuore. Si elevi dunque sempre la nostra preghiera al Signore, quale espressione di gratitudine e di riconoscenza verso di loro; di loro e delle loro prestazioni conserviamo un perenne, grato ricordo. Per quanto dessimo, non potremo mai abbastanza ripagare la loro assistenza nei momenti più critici delle nostre sofferenze: nemmeno dobbiamo dimenticare la loro parola di fede, suadente, comprensiva, il loro sereno sorriso, che scendeva nel più intimo del nostro cuore a darci quella felicità inesplicabile, di Paradiso, che solo nel dolore sopportato con Gesù e per suo amore è dato di trovare.

Oh se anche coloro che assistono l’ammalato valutassero la nobiltà della loro missione, della speciale loro vocazione, analoga a quella del medico, a quella del sacerdote! Quanto conforto sentirebbero, specie nei momenti più difficili che essi pure possono attraversare! Purtroppo è facile lasciarsi vincere dall’abitudine e distrarre da infinite altre preoccupazioni, ma beati loro se cercheranno di non perdere di vista Gesù sofferente in ogni fratello che devono assistere; saranno certi e sicuri di partecipare alle grandi promesse di Lui, quando disse: “Ero infermo e siete venuti a visitarmi… Qualunque cosa avrete fatta al minimo dei miei fratelli l’avete fatta a me stesso”.

Valorizzare le sofferenze

Miei cari ed amati fratelli e sorelle nel Signore, valorizziamo, dunque, tutte le nostre sofferenze, a bene e santificazione nostra, a vantaggio dei nostri fratelli e del mondo tutto. Abbiamo in mano una moneta di un valore inestimabile; spendiamola bene, per carità; impieghiamola per comperare celesti tesori per noi e per tanti fratelli, affinché, essendoci trovati a soffrire insieme qui in terra, ci possiamo ritrovare uniti a goderne il frutto nella gloria del cielo.

Ancora una riflessione

Prima di finire, cari fratelli e sorelle, mi sento di invitarvi ad elevare un inno di riconoscenza al Signore per i meravigliosi doni della sua Provvidenza, messi a nostra disposizione, grazie al moderno progresso delle scienze, tra cui le innumerevoli applicazioni radio, per mezzo delle quali si annullano gli spazi che ci dividono e si creano le premesse perché si uniscano in una sola famiglia tutti i popoli. Che di questi doni così belli, così vantaggiosi gli uomini non abusino mai per il male, per le guerre e distruzioni materiali che sarebbero spaventose; tanto meno abusino in danno dello spirito convertendo contro Dio i suoi stessi doni!

La radio, particolarmente oggi alla portata di tutti, sia veicolo di bene, di bontà, di sana cultura, rinsaldando i vincoli di solidarietà umana e cristiana, affinché tutti ci sentiamo fratelli e figli del medesimo Padre celeste.

Ma tuttavia non è fuori di luogo raccomandare una santa prudenza, perché non possiamo mai sapere dove si nasconda l’insidia per la nostra anima. Dalle trasmissioni radiofoniche cerchiamo sempre di scegliere quello che è buono, utile, e rigettiamo con severa autodisciplina ciò che è di guasto e di corrotto, per non restarne imbrattati, feriti.

Oh se tutti coloro che ebbero la fortuna di comprendere il sacrificio come una missione e la santità personale come un apostolato, sapessero rigettare tutto quello che piace, che lusinga la natura, facendo trionfare sempre i movimenti e le ispirazioni della grazia, quante preziose energie soprannaturali farebbero scorrere nel Corpo Mistico per la propria santificazione e a vantaggio di tante anime!

Da parte mia faccio voti e prego, anzi invito anche voi a pregare, miei cari ed amati fratelli e sorelle, perché la radio sia sempre e soltanto strumento di bene, per voi e per tutti.

Quanto so e posso vi raccomando di pregare per me, ne ho estremo bisogno per fare fino alla fine la santa volontà del Signore a qualunque costo. Con il cuore più che con la mano benedico tutti in generale e ciascuno in particolare, augurandovi ogni vero bene nel Signore. Vi raccomando i nostri appuntamenti. Vostro aff.mo

in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6275 Luglio 1953

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia, la pace e la gioia di Gesù benedetto siano sempre con noi. – Perdonate se è trascorso un po’ troppo tempo dall’ultimo colloquio. Le nostre condizioni di lavoro non sono sempre facili e voi dovete scusarci con tanta carità e poi aiutarci con la vostra preghiera, perché sia possibile, d’ora in poi, avere più frequenti e più fruttuosi contatti.

Ringraziamo insieme il Signore e la Vergine Santa per l’esito bello della nostra Giornata degli Infermi presso il Santuario della Madonna della Pace; di questa potete leggere la relazione stampata a parte. Spero che essa si ripeta sempre più bella e sentita negli anni avvenire e spero che essa divenga presto una bella abitudine di tante parrocchie, con immenso beneficio dei malati e anche dei sani.

A proposito del nostro Apostolato, sono lieto di dirvi che il numero degli iscritti aumenta ogni mese, benché non abbiamo mai fatto una vera e propria propaganda. E’ il Signore che, attraverso i malati o qualche anima buona, di cui alle volte noi non sappiamo neppure il nome, fa conoscere e amare il nostro apostolato e soprattutto ne faccia capire lo spirito; come si comprende bene dalle molte lettere che riceviamo e che ci dicono quanto sia atteso e letto questo modestissimo bollettino, che non potrebbe essere più piccolo e povero.

Com’è ammirabile la provvidente bontà del Signore! Per parlare alle anime ed agire sui cuori si serve quasi sempre di poveri strumenti. In questo modo è più chiaro che chi fa il bene non è già lo strumento, ma Lui, il Signore, con l’abbondanza della sua grazia, con l’ispirazione di buoni sentimenti, che dispongono a leggere volentieri e con frutto le nostre povere parole.

L’Eucarestia

Questa volta vorrei dirvi due parole su di un avvenimento che tra poche settimane attirerà l’interessamento di tutti gli italiani e di tutti i cattolici sparsi nel mondo: voglio dire il Congresso Eucaristico Nazionale di Torino.

Lo so che molti di noi, per le nostre condizioni di malati, non potremo partecipare personalmente a questo grande avvenimento; ma coloro che lo stanno organizzando confidano molto nella nostra partecipazione spirituale, cioè nell’offerta della nostra preghiera e della nostra sofferenza allo scopo che il congresso di Torino riesca a sollevare tanto entusiasmo di amore verso Gesù Eucarestia.

Oh se gli uomini, se almeno i cristiani riuscissero a capire che l’Eucarestia è il sole dell’umanità e che da questo sole dipende la nostra vita e la nostra vera gioia quaggiù in terra e lassù nel cielo!

Prima di tutti noi dell’Apostolato Infermi dobbiamo, durante quest’attesa del congresso di Torino, coltivare nel nostro cuore la devozione eucaristica. Poveri noi se ci mancasse il conforto della divina presenza nei nostri tabernacoli del Medico che, passando per le strade della Palestina, curava e risanava tutti.

Maria

Se noi abbiamo una fede viva e profonda, è così ancor oggi. Non per nulla le grazie e i miracoli più strepitosi il Signore li compie, a Lourdes e altrove, durante il suo passaggio sotto i veli eucaristici. Non basta essere nella casa della Madonna: la Madonna vuol farci sentire che è Lui, Gesù suo figliolo e nostro fratello, che ci vuol bene e ci usa misericordia.

Lei, la cara Mamma del cielo, ce Lo offre, il suo Gesù, come L’offrì all’umanità in Betlemme, come l’offrì sul Calvario.

Notiamo ancora una cosa oggi che la Madonna ci offre Gesù per mezzo del sacerdote.

Gerarchia

E’ il sacerdote che Lo chiama sull’altare, è il sacerdote che Lo prega a nome dei fedeli, è il sacerdote che Lo porta alle anime affamate, è il sacerdote che Lo conduce benedicente in mezzo all’umanità sofferente, perché, come allora, curi e risani i corpi ammalati e le anime languenti.

Ecco i tre oggetti del nostro amore, i principi della nostra salvezza, il programma della nostra devozione: Gesù, la Madonna, il papa e la Chiesa, cioè il sacerdozio.

Ricordate queste tre parole: Eucarestia, Maria, Gerarchia. Con questo motto cammineremo sicuri nella via del Signore, sino all’ultima meta, il santo paradiso, dove tutti un giorno dovremo ritrovarci.

Miei cari fratelli e sorelle, stiamo tanto uniti nella preghiera e nella sofferenza. Vi scongiuro di pregare tanto per me, che ne ho estremo bisogno per fare sino alla fine, che sento non lontana, la divina volontà.

Ricordiamoci dei nostri appuntamenti e aiutiamoci vicendevolmente nel Signore.

Vostro in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6276 Ottobre 1953

Giornata Missionaria

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la pace di Gesù e la sua santa grazia siano sempre nei nostri cuori. – Perdonate se tanto tempo ho tardato a farvi giungere la mia parola, e permettete poi che questo povero sacerdote, già sulla soglia dell’eternità, vi rivolga una parola quale gli nasce spontanea dal cuore in questi tempi così difficili, eppure così importanti per l’avvenire dell’Italia e del mondo.

Sento in me una forte spinta a scrivere queste mie povere parole: mi pare sia proprio il Signore che lo vuole. Fatene quel conto che vorrete, o miei cari fratelli in Cristo, ma vi prego, meditatele seriamente.

Sono 20 secoli che Gesù Cristo ha fondato la sua Chiesa, costituendola continuatrice della sua divina missione nel mondo attraverso i secoli, facendola inoltre depositaria della sua dottrina e dei suoi esempi, dispensatrice della vita soprannaturale e divina per mezzo dei sacramenti, segni misteriosi ed efficaci della grazia.

Questa Chiesa, animata dal soffio dello Spirito Santo, ha portato immensi benefici all’umanità, non soltanto per la santificazione delle anime, ma anche per la rinascita, lo sviluppo e la prosperità della vita politica, sociale ed economica.

Ogni cosa buona che allieta la nostra vita quaggiù viene sempre da questa fonte che è Gesù stesso, vivente nella sua Chiesa, in mezzo ai suoi fedeli. Per tutto questo cumulo di bene, il Signore si è servito degli uomini: imbevuti della sua celeste dottrina, infiammati dalla sua divina carità, essi si sono prestati quali strumenti docili nelle mani dell’Eterno Artefice per operare tutte queste meraviglie a beneficio di tutti gli uomini.

Ora viene fatto di domandarci: quanti siamo cristiani? Figli devoti della Chiesa, veri seguaci di Cristo, in pieno secolo ventesimo?

Negli stati si fa con una certa frequenza di censimento dei cittadini: esso serve benissimo non solo per saperne il numero, ma anche quale forza costituiscono per lo stato nelle diverse categorie, quale ricchezza è disponibile in uomini e mezzi, quale l’andamento della vita pubblica, ecc. Ne risultano statistiche di somma importanza per la vita pratica.

Qui lasciatemi passare la parola: mi sembra proprio che Dio stesso voglia fare una specie di censimento fra noi, per vedere quali e quanti sono veramente cristiani nel pieno significato della parola, particolarmente qui nella diletta nostra patria, l’Italia, che ha ricevuto dal Signore speciali grazie di vera predilezione sopra tutte le altre nazioni. Qui infatti Egli ha stabilito la sede del Suo vicario, il Sommo Pontefice, chiamato dai santi il “dolce Cristo in terra”; qui ha stabilito il centro della cristianità; qui soprattutto ha suscitato elette schiere di santi e di campioni che hanno illustrato il nome d’Italia, oltre che la Chiesa, con le loro ammirabili opere di bene in pro di tutta l’umanità, ma specialmente dell’umanità sofferente.

Ora, quanti sono i veri cattolici in Italia? Se stiamo alle cifre ufficiali, tutti lo sono: 47 milioni quindi. Numero imponente, un vero esercito che potrebbe contare sulla certa conquista del mondo intero alla santa religione.

Ma… è proprio vero che questi 47 milioni sono cristiani anche nella realtà della loro vita?

Cristiani di nome si è dal momento che si riceve il santo Battesimo; allora il nostro nome viene registrato nei libri parrocchiali. Ma evidentemente questo non può bastare. Per essere veri cristiani occorre vivere la religione cristiana; viverla in tutte le manifestazioni della vita privata e pubblica, spirituale e materiale; soltanto così si è veri cristiani.

Non basta la divisa militare per essere vero e degno soldato della patria; è necessario onorare la divisa stessa, amare la propria patria fino all’eroismo, fino al supremo sacrificio se richiesto per la sicurezza e la difesa della patria. Soltanto così diremo che uno è vero soldato; altrimenti sarebbe una… caricatura, una maschera, una derisione di soldato; e povera la nazione, che disponesse soltanto di tali difensori.

Ora, quanti sono fra i 400 milioni di cattolici nel mondo, i veri cattolici in tutto il senso della parola?

Grande domanda che ognuno deve farsi specialmente in quest’ora grave della storia umana, mentre vanno maturandosi decisivi orientamenti per i secoli l’avvenire del mondo.

Si sente dire spesso che il cristianesimo soffre di senilità, che non è attuale, che è sorpassato. No, miei cari fratelli in Cristo, il cristianesimo non invecchia perché è divino, e possiede una perenne giovinezza. La sua luce risolve i più assillanti problemi, rischiara i più oscuri e profondi misteri; la sua forza è rinnovatrice di tutte le cose, nella piena aderenza ai bisogni, alle aspirazioni, alle mutate circostanze dei tempi. Il cristianesimo però domanda d’essere vissuto integralmente, con franchezza e coerenza, in privato ed in pubblico.

Io non ho alcun timore dei nemici di Dio e della Chiesa: inconsapevolmente essi sono strumenti nelle mani sempre vigilanti della divina Provvidenza; ma temo assai dei cattivi cristiani, di coloro cioè che si lasciano vincere dal rispetto umano, che non prestano obbedienza ai legittimi pastori, che, tradendo la loro coscienza agiscono mossi da passione, dall’odio, dall’interesse.

Come dicevo, Iddio stesso vuole fare il censimento fra i suoi figli, redenti dal sangue preziosissimo di Gesù; Dio stesso vuole, per esprimermi con linguaggio umano, fare il computo dei suoi, per procedere a una selezione. Vuol sapere quanti sono i buoni.

Mi par di vedere tuttavia anche Satana procedere al censimento dei suoi; e quanti purtroppo ve ne sono che si adoperano per lui, per rovinare le anime, per combattere il Signore! Quanti ne ha che si sacrificano, si affaticano per la causa del male, per ostacolare il bene!

Ora mi domando di nuovo: quanti ne trova Iddio, non dirò nel mondo, ma tra noi, così vicini al centro della cristianità, che vivono la vita veramente cristiana, che irradiano la pura luce del vangelo?

Il buon cristiano dà il primo posto all’interesse dello spirito, cerca prima di tutto la propria santificazione, subordinando tutti gli interessi terreni all’osservanza della santa legge del Signore, pronto a sacrificarli piuttosto che venire meno e peccare.

Il buon cristiano ha fisso nella mente che noi siamo qui sulla terra di passaggio e siamo destinati alla vita eterna; quindi tutta la sua attività è orientata a questo scopo supremo, senza compromessi, senza mezze misure.

Il buon cristiano, per ciò stesso che si mantiene fedele al Signore, diventa il migliore uomo, il leale cittadino, l’onesto operaio, il provvido padre di famiglia, il perfetto galantuomo di cui tutti si fidano e che tutti ammirano ed amano. Ed egli, col suo contegno esemplare, attira gli altri alla bontà, rende simpatica la religione ed amabile la preghiera; con la sua carità tutta amore di Dio e dei fratelli, il buon cristiano è una apologia irresistibile del cristianesimo: oggi la gente vuol vedere i fatti, poiché di belle parole ne ha sentito e ne sente fin troppe.

Se oggi i progressi della santa religione non sono quali dovrebbero essere; se talvolta, anzi, sembra che si vada indietro; se la schiera dei cattivi va ingrossando tremendamente e si profila un grave pericolo per la perdita di certe posizioni, la ragione è proprio la scarsezza dei buoni cristiani.

Chi direbbe infatti che la nostra Italia, ad esempio, è il centro della religione, guardando a come noi viviamo? Chi lo direbbe vedendo che fra noi moltissimi mancano al sacro dovere del riposo festivo, che masse enormi di uomini profanano il lavoro con bestemmie, con oscenità e turpitudini senza nome?

Chi non direbbe invece che ci troviamo in territorio pagano, vedendo appunto come non si cerca altro che il piacere anche proibito, il divertimento smodato, come facevano i pagani che non vedevano nulla più della vita presente? Chi non direbbe che siamo tra i pagani, constatando come è radicato l’odio contro i fratelli, come sono calpestati i più sacri diritti umani?

E non parliamo del resto dell’Europa cristiana e del mondo civile.

Urge mettere mano ai rimedi

E tocca proprio a noi, Italiani, così privilegiati dalla divina Provvidenza; tocca a noi cristiani, a noi cattolici prima di tutto.

Non facciamo illusioni: la lotta odierna è soprattutto lotta spirituale: è un urto formidabile del male contro il bene, di Satana contro Dio.

Gli interessi umani ed economici: salario, lavoro per tutti, case decenti, ripartizioni di beni, libertà, ecc.; belle e sante cose, bisogni urgenti, problemi da risolvere presto e bene, finché si vuole, ma non sono che amminicoli, e spesso pretesti per nascondere la grande realtà: si vuole la lotta contro il bene, contro il Signore.

Noi cristiani sappiamo che queste cose, necessarie per la vita presente, verranno in aggiunta, se cerchiamo prima di tutto il Regno di Dio, cioè la nostra santificazione, l’esercizio delle virtù e specialmente della carità verso Dio e verso i fratelli.

Iddio è padrone assoluto e datore splendido di ogni bene; ed ha impegnato con giuramento la sua parola a darci quello che ci occorre; tocca a noi fare la nostra parte: allora il Signore farà la sua.

Il Signore ci chiama a raccolta.

Che cosa scriveremo sotto il nostro nome?

Simulare sarebbe inutile dinanzi a Dio che scruta i cuori.

Vi ho aperto il mio animo con confidenza fraterna; spero che queste mie povere parole le avrete lette con un forte desiderio di trarne frutti di bene, e che le farete leggere anche ad altri, a coloro che non sono malati come voi e che forse pensano meno di voi alla vita eterna che ci aspetta.

A quest’opera di bene aggiungete anche la vostra preghiera, arma preziosissima e potente per combattere la santa battaglia di Dio e della Chiesa.

E l’offerta del vostro sacrificio di malati sia il coronamento del vostro zelo per la gloria di Dio e la salvezza dell’anima di tanti poveri fratelli, vicini e lontani.

Se tutti i buoni unissero con fede le loro preghiere e i loro sacrifici, oh come si affretterebbe l’adempimento della Divina promessa: si farà un solo ovile e un solo pastore!

Pregate anche per me, che possa io per primo mettermi con impegno a valorizzare la vita, per meritare la misericordia del Signore nella grande e solenne chiamata ormai tanto vicina.

Colgo l’occasione per ringraziare anche di qui tutti coloro che hanno pregato per me in modo particolare nell’occasione del mio 80′ compleanno. Nella mia povertà, per tutti prego, tutti benedico, con l’augurio di ritrovarci tutti nel santo Paradiso. Vostro in C. J. Sac. J. Calabria

APOSTOLATO INFERMI (LETTERE) * 6277 Dicembre 1953

Festa dell’Immacolata

Miei cari Fratelli e Sorelle nel Signore,

la grazia di Gesù benedetto e la protezione della cara Madonna siano sempre con noi! – In questo giorno santo, sacro all’Immacolata, il mio cuore esulta con voi nel celebrare il grande privilegio della Concezione Immacolata concesso dal Signore alla nostra Mamma celeste.

Sono cent’anni che la Chiesa ha definito come dogma questa verità, sempre creduta e festeggiata nel corso dei secoli. La festa dell’Immacolata c’introduce appunto nel grande ANNO MARIANO, voluto dal Santo Padre per celebrare solennemente un così caro centenario.

Come deve gioire il nostro cuore e con quale fervore di spirito dobbiamo celebrare questo anno benedetto!

Il nostro ANNO MARIANO

Se tutti i cristiani, dietro l’esortazione paterna del vicario di Cristo, devono celebrarlo col massimo fervore, i sofferenti devono sentirsi in prima fila, perché il Santo Padre fa un gran conto della preghiera e della sofferenza di chi si trova più vicino alla croce di Gesù, e perché nella devozione alla Madonna noi troviamo non solo un aiuto e un conforto, ma anche e soprattutto una guida a patire con amore e con merito.

Voi avete letto certamente l’enciclica del Santo Padre a questo proposito; rileggetela spesso, per innamorarvi sempre più della celeste Madre e infervorarvi a procurare la sua gloria in questo grande anno.

Vi saranno tante iniziative nei vostri paesi e nelle vostre parrocchie: cercate di assecondarle, di partecipare almeno in spirito alle funzioni mariane che si celebreranno: non siate secondi a nessuno nell’entusiasmo per la Madonna.

Fare sul serio

Ma, ricordiamo, o miei cari, che il primo e grande onore da procurare è quello della santità di nostra vita. Le funzioni solenni, i canti, i discorsi, le accademie, ecc. sono belle e gradite cose alla Madonna solo se vengono dal cuore, se hanno per fondamento la nostra buona volontà di vivere secondo la legge del Signore, corrispondendo alle grazie che Gesù ci ha fatto per mezzo della nostra Mamma, Maria SS.; altrimenti le belle funzioni e il resto sarebbero un vano suono di tromba, un certo conforme allo scopo della celebrazione quale è designato dal Sommo Pontefice.

Ascoltiamo la sua parola: “Occorre che questa celebrazione non solo riaccenda negli animi la devozione ardente verso la santa Vergine, ma sia di stimolo per conformare i più possibile i costumi sull’esempio della Vergine Madre. Come tutte le madri provano soavissimi sentimenti quando scorgono che il volto dei propri figli riproduce per qualche particolare somiglianza le loro fattezze, così Maria, Madre nostra dolcissima, non può avere maggiore desiderio né più grande gioia del vedere riprodotti nei pensieri, nelle parole, nelle azioni di coloro che Ella accolse come figli, i lineamenti e le virtù della sua anima”.

E una prima grazia da chiedere, un primo sforzo da fare, è di acquistare “quell’innocenza di costumi, che rifugge ed aborre anche la minima macchia di peccato, poiché commemoriamo il mistero della SS. Vergine la cui Concezione fu immacolata”.

Poi, l’acquisto delle virtù proprie del nostro stato. “La Beatissima Vergine, che nell’intero corso della vita, sia nel gaudio come nella tribolazione e negli atroci dolori, mai si allontanò dai precetti e dagli esempi del divino Figliolo, sembra ripetere a tutti noi, come durante le nozze di Cana: “Fate tutto quello che Egli vi dirà”.

Questo c’insegna e a queste cose ci esorta la beata Vergine Maria, Madre nostra dolcissima, la quale ci ama di vero amore, certamente più di tutte le madri terrene.

Preghiamo!

E infine la preghiera, per noi e per i fratelli del mondo intero. La Madonna in questo suo Anno, vorrà certamente dispensare a più larga mano le sue grazie e i suoi doni. Sta a noi dunque implorare umilmente e fiduciosamente la materna e misericordiosa protezione. Anche qui, il Santo Padre addita alcune particolari grazie da chiedere; e io mi permetto far mie le sue auguste parole, e esortarvi a pregare tanto, ma tanto, per il rifiorimento della vita cristiana, la purezza della gioventù, per la santità e fede franca degli uomini, per la famiglia cristiana e la felicità del nido domestico.

Preghiamo per tutti i bisognosi, per gli affamati, per gli oppressi dall’ingiustizia, per il ritorno dei profughi alla patria diletta, per i senza tetto, per gli esiliati e perseguitati.

Preghiamo per i tanti ciechi nello spirito, e perché regni in tutti la carità, la concordia.

Preghiamo per la Chiesa santa, che possa godere la pace necessaria a svolgere la sua benefica azione a vantaggio di tutta la povera umanità, ora brancolante nelle tenebre dell’errore e in pericolo di cadere nell’abisso e nella rovina. La Chiesa sia sempre in cima ai nostri ideali; tutto quello che facciamo, che soffriamo, che desideriamo, sia rivolto all’avvento del santo regno di Dio, e alla glorificazione della Chiesa, vera arca di salvezza in mezzo al mare tempestoso della vita.

Noi all’Apostolato Infermi preghiamo in particolare per l’unione delle chiese cristiane dissidenti, lontane da Roma, perché questa è una delle intenzioni più care alla nostra associazione. Specialmente nel mese venturo, nell’ottava di preghiere che dal 18 al 25 si fa in tutto il mondo cristiano, le nostre preghiere e sofferenze siano rivolte a questo santo scopo, con santo entusiasmo, con grande amore per la Chiesa nostra e per tutte le anime dei nostri fratelli.

Oh, se noi faremo così, se entreremo con questi sentimenti nell’Anno Mariano e cercheremo di crescere nello sforzo di santificarci, potremo contribuire efficacemente al compimento dei divini disegni che il Signore ha sopra la sua Chiesa in generale e sopra ciascuno di noi in particolare.

Devozione vera

Miei cari fratelli e sorelle, fate tesoro di queste mie povere parole. Cercate che in ogni luogo dove voi vi trovate fiorisca sempre più una vera e tenera devozione a Maria. La nostra devozione non sia base di uno sterile sentimentalismo, ma abbia la sua profonda radice nel dogma. Si cerchi quindi di meglio conoscere le ineffabili relazioni di questa “umile ed alta” Creatura con la SS. Trinità, i suoi privilegi, la indivisibile partecipazione col suo divin Figliolo alla grande opera della Redenzione.

Di qui scaturisca la nostra ammirazione e venerazione, il nostro filiale attaccamento a Colei, che essendo la Madre di Gesù, è insieme la Madre nostra. Non ci stanchiamo di moltiplicare i nostri umili ossequi, per dimostrarLe nostra devozione, il nostro amore, come buoni figlioli verso l’ottima fra tutte le madri.

Per cui non mi stancherò di raccomandarvi, specialmente in questo Anno Mariano, alcuni ossequi speciali verso Maria: la recita quotidiana del Rosario, magari intero; distinguere con qualche fioretto particolare il sabato, dedicato alla Madonna; celebrare con particolare impegno le feste di Maria; parlare della Madonna ogni qualvolta ne capiti l’occasione e con ciò si possa far del bene a qualche anima; e così via, secondo che il cuore vi detterà.

Se qualche socio mi darà notizia di qualche bella iniziativa presa in onore della Madonna, sarà per me un motivo di conforto in mezzo alle mie sofferenze, per le quali vi domando la carità delle vostre preghiere, mentre io le offrirò anche per voi e per l’Associazione, affinché essa sia sempre come Gesù la vuole e spiri sempre in essa la vera devozione a Gesù e a Maria.

Più col cuore che con la mano, per l’intercessione della cara nostra Mamma celeste, l’Immacolata Concezione, vi benedice il vostro

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6278 Aprile 1954

Questa lettera, che il nostro venerato Padre don Calabria ha indirizzato a un amico, pensiamo che possa essere utile, almeno in parte, anche a tutti i fratelli dell’Apostolato Infermi e perciò la pubblichiamo al posto della solita lettera ai fratelli dell’Apostolato, sicuri di far cosa gradita ai nostri soci, ai quali raccomandiamo ancora una volta di stare uniti a noi nella preghiera per l’amato Padre.

[La stessa lettera è stata pubblicata anche sul CORRIERE DEL MATTINO il 14 aprile 1954].

MIO CARO AMICO,

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi. Sento il bisogno, nell’intimo del mio cuore, di scriverti queste righe, per dirti qualche cosa che pare ti possa fare del bene, con la divina grazia.

Anzitutto devo ringraziarti degli auguri e delle preghiere che hai fatto per la mia salute, Ringraziando il Signore, mi sento alquanto meglio, tuttavia sono ancora sofferente, e tu prega, soprattutto perché possa davvero capire il dono della sofferenza, e farne tesoro per la mia povera anima e per quest’umile Opera del Signore, accettando tutte le prove della mano paterna di Dio che ci manda e moltiplica, si può dire, le occasioni di patire, perché possiamo acquistarci molti meriti ed insieme compiere i divini disegni.

Buona moneta la sofferenza

La sofferenza infatti, se accettata con spirito di fede, è una preziosa moneta, con la quale comperiamo grazie per noi stessi e per gli altri. Il cristiano che soffre con serenità, rassegnato alle disposizioni della Provvidenza, è un parafulmine che tiene lontani flagelli e castighi, conseguenza funesta dei peccati che purtroppo si commettono nel mondo con un crescendo impressionante. In tal modo egli è una calamita di grazie per tutti e un tesoro di celesti ricchezze: è un angelo che canta la gloria, la misericordia di Dio.

Ma soprattutto la sofferenza ci rende somiglianti a Gesù Crocifisso.

Oh il Crocifisso! Quale esempio di sovrumana pazienza! Ed è per mezzo dalla croce che Gesù ha redento l’umanità intera salvandoci tutti da morte e dal peccato, riaprendoci il santo Paradiso.

Ed accanto a Gesù, ecco che troviamo pure la nostra celeste Madre che ai piedi della Croce è divenuta la nostra corredentrice, unendo i suoi grandi dolori ai dolori e al martirio del suo divin Figliolo crocifisso.

E sull’esempio di Gesù e di Maria anche i santi, questi autentici campioni dell’umanità, hanno stimato nel vero e giusto valore le sofferenze, accettandole con generosità e spesso ricercandole come preziosi tesori.

Oh potessimo anche noi, illuminati dalla medesima luce della fede, capire non solo in teoria, ma in pratica, la preziosità e il merito della sofferenza! Potessimo comprendere quanto grandi benefattori sono tutti coloro che soffrono in Cristo!

A chi tocca?

Dopo questo, ascolta un’altra mia povera parola che ti rivolgo proprio col cuore, e che spero ti farà bene. L’umanità , come vedi, sta attraversando una gravissima ora; essa è giunta ad una svolta veramente decisiva. Tutti vediamo i grandi mali che pervadono questa povera terra, a causa dei peccati degli uomini, specialmente per aver voluto fare a meno del Signore, cercando quaggiù la felicità, a costo di calpestare i divini comandamenti e consigli.

Urge por mano ai rimedi: Nell’ordine materiale civile quanto si lavora, specialmente dagli uomini che sono preposti al Governo! lavoro arduo questo e al tempo stesso altrettanto doveroso, meritorio e degno delle più ampie lodi.

Ma c’è bisogno soprattutto di medicare i malanni morali e spirituali, se vogliamo che riescano efficaci i rimedi materiali.

A chi spetta porre mano a questi rimedi? A tutti, certamente, perché tutti siamo membri dell’umana famiglia, tutti quindi corresponsabili dei nostri fratelli.

Ma ci sono categorie di persone che più degli altri possono e devono lavorare alla salute e al bene del prossimo e sono: i Sacerdoti in primo luogo, poi non dubito di mettere i medici e i maestri.

Medico: missione sublime

Il medico: più ci penso e più capisco la nobiltà di questa missione che io amo chiamare una vera “missione”. Non mi meraviglio che nell’antichità il medico fosse un tutt’uno col sacerdote, e la medicina fosse retaggio dei sacerdoti.

Il primo medico che l’umanità ricordi è stato messo fra le divinità; superstizione si, ma anche segno della venerazione e della stima che la gente ha del medico.

Noi lo sappiamo del resto, anche per esperienza personale, quanto bene fa il medico quando siamo malati? Come si scruta nel suo volto l’entità dei nostri malanni! come sono balsamo le sue parole d’incoraggiamento! Le sue visite sono sempre gradite, sono aspettate con trepidazione: se egli tarda a venire quando è chiamato, si è impazienti che arrivi, si manda a vedere… oh, sì: il malato apprezza, nel medico, non solo uno che sa guarire, ma un amico del cuore, strettamente interessato al nostro bene.

Immagino allora quanto bene può fare il medico col grande ascendente che gode, sia presso i malati – che domani saranno sani – sia presso le famiglie dove entra portatore di speranza. La sua è parola di un amico che addolcisce le pene, quasi di un sacerdote che infonde soave conforto ed eleva chi è abbattuto dalla prova.

Medico e sacerdote si completano mirabilmente a vicenda; il sacerdote, con i tesori della grazia e con la parola di Dio, rafforza lo spirito e così, indirettamente concorre a rendere efficaci le medicine corporali; il medico alleviando i dolori fisici e infondendo fiducia nella guarigione, spiana magnificamente la via all’opera della grazia.

Ben vengano tanti bravi medici, animati da spirito soprannaturale, consci della loro nobilissima missione; essi sono un dono grande del Signore per il rinnovamento della società.

Sacerdote: luce e sale della terra

E vengano tanti buoni e santi sacerdoti; depositari delle divine promesse, araldi del vangelo, “altoparlanti” di Gesù mediante la predicazione della sua divina parola, distributori della divina grazia; essi sono l’unico “sale” che valga a risanare la terra, l’unica “luce” che valga ad illuminare il mondo. E’ una grande cosa, dunque, pregare il Signore che mandi “operai nella sua vigna” mistica santi sacerdoti nella sua Chiesa che siano dei vangeli viventi con l’esempio della loro vita intemerata, tutta protesa a far conoscere ed amare Gesù.

I maestri nella scuola

E poi i Maestri: altra missione non meno nobile: formare gli animi alla virtù mediante la scienza, dono di Dio. Chi saprà valutare l’influenza che esercita sugli animi giovanili un maestro di scuola? Tutti noi, certo abbiamo fissi nella mente il ricordo di quel maestro, di quella maestra, che ci hanno guidati nei sentieri talvolta aspri della vita e dell’insegnamento con mano dolce e forte; e, senza che ce ne avvedessimo, ci hanno educati alla virtù vera, tenendo in luogo per tante ore del giorno dei nostri genitori.

E noi cosa diremo dei maestri che formano le giovinezze ormai avanzate, coloro che saranno nel domani nelle scuole superiori e nelle università? Quale nobile compito, e quale santa responsabilità essi hanno! anche loro godono di una benefica potenza sui loro alunni e sulle famiglie intere. Beati loro, se, tenendo fisso lo sguardo all’Unico Maestro, Gesù, ne trasmettono gli insegnamenti, orientando le menti verso di Lui. Oh, quanto dipende dai maestri l’avvenire della società!

I maestri nella vita

Non sono soltanto i maestri di professione cui alludo. Il campo si allarga ad abbracciare tutti coloro che per la scienza, per l’ascendente, per il posto che occupano, sono più o meno maestri anche loro, ascoltati dalla gente con tanta stima e deferenza. Sono i dirigenti di lavoro, gli imprenditori, gli studiosi, i capi associazione, gli scrittori, i ministri della nazione…

Su tutti costoro pesa una grande, dolce responsabilità per il bene dei fratelli.

Ma sono sopra tutti i genitori, i maestri naturali dei figlioli che la Provvidenza loro affida per un tratto di sovrana benevolenza. Oh, quanto urgente è il problema di avere dei genitori degni della loro missione, veri generatori di nuove vite nel pieno senso della parola: vita fisica, vita morale: tutto intero l’uomo, fatto ad immagine e somiglianza di Dio.

E’ qui il punto più cruciale ed urgente, del problema di risanamento che urge alla società umana. Preparare buoni e saggi genitori, mantenere in efficenza i genitori già assunti a questa missione; avere così famiglie bene formate dove regna l’ordine, la pace, la serenità.

Sacerdoti, medici, maestri, dirigenti, autorità e quanti altri hanno responsabilità pubbliche: tutti devono mirare a questo ideale: sanare la famiglia nella sua radice, renderla degna delle divine promesse di benedizioni e grazie.

Senza di Gesù non si può far niente.

Per tutto questo lavoro, urgente, nobile e inderogabile, è necessario ricorrere al divino aiuto; “senza di me, non potete far niente”, dice Gesù. Dobbiamo riportare Gesù nella società, nella vita privata e in quella pubblica, nelle coscienze e nelle famiglie, nelle scuole e nelle officine, negli uffici e nei Parlamenti. Gesù deve permeare tutta la vita umana, se vogliamo che il mondo cammini ancora sulle vie del vero progresso.

Tu vedi caro amico, quanto puoi e devi fare tu stesso nella missione che la Provvidenza ti ha assegnato. Oh, se ciascuno di noi, se ogni cristiano facesse la sua parte, per quanto modesta possa essere, il mondo sarebbe di tratto cambiato in vera oasi di pace, un piccolo Paradiso terrestre.

Cerchiamo dunque di fare subito e bene la nostra parte; e adoperiamoci perché quanti ci avvicinano possano sentire le soavi attrattive del bene, i dolci stimoli al lavoro di perfezionamento per un avvenire migliore della società e del mondo.

La vicina Pasqua che ci ricorda il sacrificio del Martire Divino e la gloria della resurrezione porti a tutti, con rinnovamento interiore di ciascuno, la pace e la gioia dello spirito.

Mi raccomando tanto alla carità delle preghiere, mentre più con il cuore che con la mano benedico,

in C.J. Sac. J. Calabria

LETTERE DI DON CALABRIA

AGLI AMMALATI

AMMALATE IGNOTE * 1077/A 21-7-1948

Buone ammalate,

La grazia, la benedizione e la pace del Signore siano sempre nei nostri cuori.

Ben volentieri le benedico e le raccomando al Medico divino Gesù ed alla cara Madonna, Salute degli infermi, e le farò raccomandare anche dai miei della Casa.

Procurino di stare sempre di buon animo e di mettersi come bambine tra le braccia di Dio Padre nostro. Offrano le loro sofferenze anche per il mondo tanto lontano da Dio e per tanti che non vogliono saperne dei suoi comandi e del suo amore.

Pregate. Le vostre preghiere hanno una efficacia grande perché avvalorate dalla sofferenza.

Confido pregherete anche per me, perché possa fare la divina volontà proprio fino in fondo.

Gesù è con voi. Coraggio e fiducia, e confidiamo si compia il vostro ardente desiderio.

Benedico voi, i vostri cari e tutti i sofferenti. In C. J.

Sac. J. Calabria.

AMMALATI OSPEDALE MILITARE DI VR * 1077 14-8-1951

Carissimi Ammalati.

La grazia di Gesù benedetto sia sempre con voi tutti e vi conceda divino conforto nelle pene e prove della vita. La vostra cara lettera mi ha recato tanta consolazione, perché mi dice quanta fede avete nella preghiera e nell’aiuto del Signore. Immaginate con quanto cuore io mi sforzo di assecondare il vostro desiderio, e di pregare secondo le vostre intenzioni, perché il celeste Medico Gesù applichi qualche suo medicamento, prima all’anima per rafforzarla nelle virtù e generosità, poi anche nel povero corpo afflitto e provato in tanti modi.

Ravvivate la fede, miei carissimi ammalati, guardate in alto, al Cielo, dove viene segnato a caratteri d’oro tutto quello che si fa per amore di Dio. E se tutto viene così segnato, quanto più le sofferenze accettate in spirito di cristiana rassegnazione alla divina volontà?

Coraggio, miei cari, e avanti con serena fiducia nel Signore e nella Madonna benedetta. Tenetevi uniti a Dio con la santa pazienza; usate i mezzi umani della scienza medica; pregate Iddio che li benedica e renda efficaci. Dite sempre con animo generoso, degno della vostra vigoria giovanile: Fiat voluntas tua! Oh, questa parola quanto è preziosa davanti a Dio, e quante grazie attira su voi e sulle vostre famiglie! Io vi sono vicino con la mente e con il cuore; nella Santa Messa vi ricordo al Signore con tutte le vostre necessità e intenzioni. Del resto, come potrei dimenticare voi che mi ricordate il caro Ospedale dove più di 50 anni fa ho fatto tre anni di servizio militare, e dove ho visto tanti baldi giovani santificare le loro pene con pazienza che talvolta raggiungeva l’eroismo?

E voi ricordatevi di me; abbiate un pensiero di preghiera per me, che ne ho tanto bisogno. Ringrazio della vostra caritatevole offerta, e prego il Signore a ricompensarla con tutte le grazie di pace, salute e amore di Dio. Più con il cuore che con la mano invio a voi tutti la paterna benedizione.

P.S. A Lei, ven. Suora1, che tanta parte ha nel suscitare gli ottimi sentimenti di codesti ammalati, la mia particolare benedizione, con l’augurio di poter moltiplicare ogni giorno più il bene, e prepararsi una sempre più ricca corona di meriti per il Paradiso. Benedico i cari malati del mio Ospedale militare, che ancor oggi, dopo tanti anni, ricordo e per il quale prego.

Sac. J. Calabria

1 Suor Gustava, Suore della Misericordia. Ospedale Militare di Verona.

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DON CALABRIA AI NOVIZI E AGLI ASPIRANTI

AI NOVIZI E AGLI ASPIRANTI

* 5614/A 17-7-1932

[E' la prima volta, in ordine assoluto, che Don Giovanni parla ai "suoi Novizi" dopo che l'Opera è eretta in Congregazione]

Amati figliuoli,

Proprio qui dinnanzi a Gesù in Sacramento, ripeto a voi le parole che stamane andavo dicendovi: Voi siete i fortunati. Pensate che non solo tutta la Corte celeste vi guarda, ma anche vi segue e vi assiste.

Tenete bene a memoria che siete i primi e che perciò, come tali, avete un duplice motivo di attendere alla vostra santificazione. Gli altri che verranno, copieranno da voi, perciò sta in voi mettere un buon fondamento. Oh questo non è tempo perso! Voi siete le belle speranze dell’Opera: prima di essere canali, dovete essere conca.

Il Signore ha dei disegni tutti particolari su ciascuno di voi; ora il compimento di questi disegni sarà tanto più completo quanto più corrisponderanno alle divine Grazie. Il mondo abbisogna di anime sante, di anime che lavorino per il compimento del Regno di Dio, e voi siete scelti a far proprio questo: che il Regno di Dio si abbia ad estendere ovunque. Se noi saremo esatti osservanti delle sante Regole dettate da Dio stesso, quest’Opera si estenderà e durerà fino alla consumazione dei secoli.

E quando il buon Religioso, Povero Servo, si troverà all’ultimo della sua vita, egli godrà ancora da quaggiù di quanto Dio gli ha preparato nella celeste Patria.

* 2299 28-8-1932

AD UN GRUPPO DI NOVIZI

Sono passati alquanti giorni dacché il Signore, Lui, proprio Lui, il Signore, vi ha tolto da tutto quello che può in qualche modo portare distrazione nocumento alle vostre anime, e vi ha messo qui in questo lembo di Paradiso, sotto direi, la sua direzione diretta per formare religiosi, nel pieno e assoluto senso della parola. E’ questa, come vi dissi, una grande grazia della quale voi dovete approfittare per salute e santificazione delle vostre anime, e di questa grande opera del Signore. Cari figlioli, approfittate, approfittate, che ogni giorno che passa segni un passo nella vostra santificazione. Vi raccomando di studiare molto nell’esercizio delle virtù religiose: umiltà, bontà, obbedienza, castità, sono le 4 pietre angolari dell’edificio religioso.

Quando oggi si cantava il Magnificat, premessa l’antifona: “quaerite primum Regnum Dei” mi sono sentito come scosso, e mi pareva che una persona misteriosa mi spiegasse tutto il senso di quelle parole e mi dicesse: ecco, ecco il solo, unico segreto per andare avanti, per compiere i divini disegni in quest’Opera che non è nostra o fatta dall’uomo, ma di Dio.

Miei cari, domandiamo spesso al Signore, specie nella santa comunione la grazia di capire ma, anche di praticare questo programma, che la Divina Provvidenza ha voluto mettere come base come patrimonio fruttante di questa opera, nata nel Sacro Costato di Gesù.

Cercate il Regno di Dio, amate, praticate le virtù evangeliche direi quasi alla lettera: fede grande alle parole infallibili di Dio che non può mai venir meno, se noi non veniamo meno con una vita che non è conforme alla nostra vocazione, con tale fede, l’esercizio delle virtù, specie la santa umiltà, carità.

L’umiltà è necessaria dappertutto, ma (per) noi in modo speciale.

Quello che fa è Gesù, ma Gesù non lavora che la creta, che il fango. Lui è geloso, la sua gloria non la dà a nessuno, non sa che farne dei presuntuosi, dei superbi e se qui noi dunque non ci rimediamo, il Signore “auferetur”.

Poi lo spirito di preghiera al quale è legata ogni cosa, la carità regina di tutte le virtù.

Gli apostoli, i primi cristiani, sono usciti dalla scuola di Gesù pieni di questa virtù.

* 5614 30-9-1932

ESORTAZIONE AI NOVIZI

Cari Figliuoli,

Che il Signore Iddio, specie in questo momento che vi parlo, a suo nome, vi guardi e vi benedica in modo tutto particolare, perché da queste mie povere parole abbiate a ricavare grande frutto e grazia per le vostre anime, perché come tante volte vi ho detto, la santificazione dell’Opera dipende dalla nostra personale santificazione. Se noi saremo all’altezza delle grazie grandi che Dio ci ha fatte, compiremo miracoli di grazia e tutti i divini disegni che il Signore ha sopra di noi. E, che cosa vi dirò? Non cose nuove. Vi dico: Voi siete i primogeniti di questa madre santa, che è la nostra Congregazione. Come tali dovete essere i primi in tutte le virtù cristiane e religiose; primi nell’umiltà, consapevoli del nostro niente, primi nella carità, nell’amore di Dio e del prossimo, primi in una parola in tutte le virtù.

Dovete essere luce e sole per la Congregazione e per il mondo. Dio da noi aspetta grandi cose, queste cose son certo, ve le manifesterà, e parlerà a voi, in modo specialissimo nei prossimi Santi Esercizi.

In ginocchio, con le mani levate al Cielo, vi prego e vi scongiuro di far bene i santi spirituali esercizi, perché a questi vi sono legati grandi disegni. Come il Signore vi ha guardato e vi guarda con occhio di predilezione! Per amor di Dio corrispondete, e corrisponderete, se in tutto ascolterete alla lettera chi vi parla nel nome di Dio. L’ho detto e lo ridico, quel qualunque che vi sarà a questa Opera, avrà grazie e lumi speciali, ascoltate con docilità e umiltà. Ogni vostra azione, sia santificata dal vostro spirito. Come vi ho detto, l’Opera è una madre, che deve generare tanti figli spirituali, quante sono le opere che nasceranno.

Voi siete i primogeniti di questa madre…

Tutti voi sarete messi, portatori del Signore in un terreno nuovo; dove le genti, i popoli, le anime verranno in numero, senza numero, a cogliere i frutti, che voi con la divina grazia darete.

Non vi dico altro, siate luce nelle tenebre, tutto vedete nella luce di Dio; in chi, nel nome di Dio, sempre prega e vi ricorda. Beati voi, felici voi. Pregate per me,… vivere il Noviziato è bello, ma vi aspetta una Casa ancor più bella.

* 2298 1933

PENSIERO SERALE

Qui davanti a Gesù Sacramentato, riconfermo, o miei cari figlioli, quello che vi ho detto questa mattina, prima di andare a passeggio.

Tra le innumerevoli grazie che il Benedetto Gesù vi ha fatto durante la vostra vita, dovete inserire (?) questa grandissima grazia che vi fa adesso, facendovi fare il noviziato. E’ questa una grazia che valuterete, in punto di morte, e beati voi se ne avrete approfittato.

Vi scongiuro di fare tesoro di questo dono prezioso che vi fa il Signore. Il vantaggio sarà tutto vostro, delle vostre anime, e poi di questa grandissima Opera, alla quale, speriamo, Iddio vi chiami tutti. E ne farete tesoro, se cercherete di praticare alla lettera le Sante Regole che vi sono date da osservare, se vi studierete di riempirvi dello spirito tutto speciale di quest’Opera che è: l’abbandono totale nella Divina Provvidenza, una gran fede in Dio, uno studio pratico del S. Vangelo, che deve informare tutta la vostra vita di Religiosi.

Ho detto: per le vostre anime e vantaggio per questa grandissima Opera del Signore.

Si, voi siete i primi che avete questa grande fortuna di fare il noviziato; voi dovete essere le pietre di base di questa grande opera, la quale, come sapete, non si fonda né sui mezzi, né sulle protezioni umane, ma unicamente e solo in Dio.

Carissimi, vi è bisogno di luce, vi è bisogno di sole. Voi quando sarete Religiosi, dovete essere questa luce, dovete essere questo sole, ma prima, per voi, perché non si può dare quello che non si ha.

Ed ecco che in questo periodo del noviziato, voi dovete acquistare questa luce, questo sole, e lo acquisterete come vi dissi, se farete tesoro di tutto quello che vi viene detto, insegnato in questo periodo di tempo.

Guardate che tutta la corte celeste vi guarda, vi segue, vi aiuta perché abbiate a corrispondere. In questo periodo dovreste svestire l’uomo vecchio e vestirvi del nuovo, secondo le Sante nostre (?) Regole. Vi raccomando il silenzio, vi raccomando di staccarvi da tutto e da tutti: solo Dio, solo le vostre anime, e ricordate che questo tempo sarà ricco per le anime se voi sarete fedeli.

Il tempo di noviziato è tempo di prova, è tempo di lavoro spirituale, è tempo di grandi ricchezze. Il primo… degli Apostoli… per modello lo stesso Gesù.

Anche voi avete Gesù che vi parla.

Cari, che Dio vi benedica. Auguro e prego perché abbiate ad approfittare di questi santi giorni (?).

* 5137 8-2-1934

Carissimi miei Novizi,

La grazia, la pace di Gesù Benedetto sia sempre con voi e con tutti della vostra piccola, ma grande comunità, che prego perché sia sempre la Comunità di Gesù.

Oh, come vi faccio di cuore questo augurio, o miei cari, speranza e ricchezza della Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza.

Che sempre la pace e l’amore di Dio inondi e investa le vostre anime di ferventi religiosi, perché o cari, quando si ama Iddio, quando nel cuore si possiede la sua pace, tutto è dolce, tutto è giocondo, tutto soave, non vi sono pene, sofferenze, prove, perché queste sono illuminate dalla luce di Dio, che è luce di grande serenità, di giocondità.

Oh, miei cari, guardate di tenerla sempre questa pace e l’amore di Dio, perché allora siete certi non di camminare, ma di correre la via della vostra santificazione individuale e concorrete, così a santificare la nostra santa e benedetta Congregazione, che risulta appunto dalla nostra virtù e santità personale.

Pregate spesso e siate grati, gratissimi al Signore Iddio, per la grande chiamata alla vita religiosa, e alla vita religiosa in questa nostra Congregazione, che come tante volte ho detto: Iddio, Padrone assoluto, ha dei grandi e nuovi disegni, secondo i tempi presenti e che li compirà per mezzo vostro, vivendo con lo spirito che [è] tutto speciale, che informa la nostra Opera, Spirito di umiltà, prima di tutto. Oh, come vi raccomando questa virtù, base e fondamento di tutte le virtù.

Siamo convinti del nostro niente, della nostra miseria, che noi, come noi, roviniamo tutto.

Oh, come piace al Signore questa conoscenza, del nostro niente, allora Lui con il Suo Spirito e la sua grazia, soffia su questo niente e allora veniamo a conoscere grandi cose.

Cari Novizi, pensate che siete a Nazareth non per niente ha questo nome, esso vi deve richiamare continuamente la vita della triade terrestre: Gesù, Maria, Giuseppe. Con i loro grandi esempi di umiltà: con l’umiltà vi raccomando la carità, quella che nasce dall’amore grande al Dio della carità e che forma le ricchezze e la vita di tutto, ma specialmente della nostra Congregazione.

Oh, amiamo tanto il nostro prossimo, considerandolo non come è, con le sue miserie, ma come speriamo vederlo per tutta l’eternità in Cielo. Vi raccomando l’obbedienza, obbedienza è fede; il giusto vive di fede.

Il vostro Superiore sia per voi Gesù Cristo, Lui ascoltatelo, Lui veneratelo, e ascolterete e venerete Gesù Cristo.

Cari fratelli Novizi, ho scritto queste povere parole così come mi sono venute dal cuore. Che Dio vi benedica tutti, fatevi santi e continuate a pregare tanto, per chi benedicendo si dice in C. J. Sac. J. Calabria

* 5614/B Verona, 14-11-1934

Miei cari Fratelli Novizi,

La pace del buon Dio sia sempre con voi. Vi scrivo da lontano, perché la Provvidenza, madre amorosa, così dispone; ma vi assicuro che vi sono vicino con la mente, con il cuore, con la preghiera e con la sofferenza.

Che il Signore vi conceda la grazia grande di far tesoro di questo tempo santo del Noviziato, dove voi andate lavorando la statua della vostra anima, arricchendola dei doni preziosi che faranno la vostra santità: ossia, umiltà, obbedienza, carità, grande amore di Dio.

Oh sì, miei cari Novizi, cercate di amare tanto il Signore, perché in questo sta tutto; amatelo nel gaudio, amatelo nel dolore, amatelo nella prova, amatelo nella lotta: beati voi, felici voi!

In questo santo tempo rivestitevi dello spirito di questa Opera, che e tutta speciale e che voi dovete rendere sempre più grande, compiendo i divini disegni di Dio, che sono grandi, di grande gloria di Dio e di bene delle anime, e che sta a voi compiere, vivendo come vuole il Signore.

Pregate tanto per il vostro don Giovanni, che sempre vi ricorda e di gran cuore vi benedice.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 5614/C Verona, 24-1-1935

Miei cari e amati Novizi,

la pace di Gesù benedetto sia sempre con voi. Oh come vi ricordo, come prego il Signore, la Vergine benedetta e tutti i Santi nostri protettori, perché abbiate a fare grande tesoro spirituale di questo tempo del santo Noviziato, dove il Signore vi è sempre vicino con la sua grazia e i suoi aiuti spirituali, speciali, secondo le vostre necessità!

Oh come vi ha amato e prediletto Gesù! Per amor di Dio, guardate di corrispondere, nutrendovi dello spirito tutto speciale di quest’Opera, che è spirito di grande umiltà; guardate che tutti i più grandi mali, che sono nati nel mondo, furono e sono per l’orgoglio, per la superbia. Dimandatela ogni giorno questa virtù, principio di tutte le altre, specie dopo la Santa Comunione.

Poi, la carità, figlia primogenita del Signore, che forma, di una Comunità, un cuor solo, un’anima sola.

In tutti gli eventi vedete sempre la Divina Provvidenza, Madre amorosa che ogni cosa vuole o permette sempre per il nostro bene. Questo abbandono deve formare la fisionomia propria di quest’Opera di Dio.

Nei vostri Superiori vedete sempre il Signore, e guardateli e ascoltateli con lo spirito soprannaturale; convinti che chi è con i Superiori è con Dio, che ha detto: Chi ascolta voi, ascolta me.

Vi raccomando lo spirito di preghiera; alla preghiera il Signore fa miracoli.

Pensate spesso alla caducità delle cose terrene, alla grandezza delle eterne e al grande premio che il Signore vi tiene preparato in Cielo, se sarete fedeli alla vostra vocazione in terra; e questo premio sarà da voi sempre più fatto grande, secondo la vostra generosità e cooperazione alle grazie grandi che il Signore vi ha fatto e vi farà.

Cari i miei Novizi, vi prego di mettere in pratica queste mie parole e raccomandazioni, che mi sono nate dal cuore. Beati, beati voi! Immaginate come vi ricordo e prego. Anche voi pregate tanto, ma tanto per me, che di cuore vi benedico assieme a tutti.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 2298/B 12-3-1935

(cartolina a don Franchini – Nazareth)

Un pensiero particolare ai cari Novizi e studenti di Nazareth perché corrispondano alle cure del loro amato padre e superiore don Franchini. Possano camminare sempre più nella via della perfezione cristiana e religiosa e perché ricordino sempre il povero

in C. J. Sac. J. Calabria

* 5614/D 23-6-1937

Amato don Albano,

La pace divina e la grazia siano sempre con lei e tutti i cari Novizi.

Lascio qui il mio cuore e, spero, se a Dio piace, venire ancora presto, per vivere e respirare l’aria pura e ossigenata del caro Noviziato, dove si lavorano le pietre angolari dell’edificio di Dio qui in terra, per poi portare tante pietre preziose, che sono le anime in cielo.

Preghi tanto la divina Misericordia per me poverello in tutto.

In C. J. Sac. J Calabria

* 6913/A 9-8-1937

Oh come si sta bene qui nella tua casa, o Signore! Deh fa’ che noi non demeritiamo, per la nostra mala corrispondenza, i tuoi doni e la tua benedizione.

Sac. J. Calabria povero fra i poveri servi.

* 6913/B 20-10-1937

Miei cari della Casa del Noviziato San Giuseppe,

Ricordatevi che l’Opera grande del Signore nella massima parte posa su Voi; corrispondete, nella santa umiltà, carità e ubbidienza, alla grande grazia che il Signore vi ha fatto chiamandovi al santo Noviziato, e santificherete le vostre anime e l’Opera del Signore.

Pregate sempre per me, tanto poverello.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 2298/C 23-10-1937

Mio caro don Franchini,

La grazia, la pace del Signore sia sempre con te e con tutti i carissimi nostri novizi, cuore e vita della Casa del Signore.

Questa mia povera lettera ti dica tutto il mio affetto nel Signore per te e per il Noviziato che auguro e prego perché sia sempre l’anno santo del Signore che custodisce e fa crescere nel divino amore quei prediletti suoi, per essere un giorno luce e sale in questo povero mondo tanto malato.

Caro don Franchini, ho estremo bisogno di preghiere per la mia povera anima e per l’opera, usami questa gran carità, assieme ai cari novizi che mi saluterai ad uno ad uno, con il desiderio, se a Dio piace, di venire presto in quest’oasi del Signore. Benedicendo,

in C. J. Sac. J. Calabria

Un saluto e una benedizione al buon sig. Agostino.

* 6913/C 8-11-1937

Il Noviziato, il caro nostro Noviziato dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, è il giardino eletto di Gesù, dove vengono con cura coltivate le sue piante, per essere un giorno grandi alberi, ricchi di fiori e frutti; a gloria del divino Padre e a bene di tante, ma tante anime.

Oh come santamente vi invidio, miei cari Fratelli Novizi! Io non potrò mai essere come voi, nella grande possibilità di arricchire, di santificare la mia anima, come lo siete voi.

Per amor di Dio, fate tesoro di questo tempo: è un dono di Dio particolare; moltiplicatelo questo dono, a bene delle vostre anime, e dell’Opera grande di Dio, che per vivere, per diffondersi, e compiere i Divini disegni che sono grandissimi, ha solo bisogno di religiosi virtuosi, santi, tutti pieni di fede e di grande amore per Iddio e per le anime.

Cari fratelli novizi, deh pregate sempre per il vostro don Giovanni che di cuore vi benedice.

* 6913/D 24-1-1938

Carissimi nel Signore,

Perché vi trovate qui nel santo Noviziato? Siete qui, ricordatelo bene, per attendere alla vostra personale santificazione.

Santificando le vostre anime, mediante lo studio pratico delle vostre sante Regole e Costituzioni, venite a mettere in pratica il fine primario per il quale il Signore vi ha chiamati in questa Sua Opera.

Cari i miei Novizi, vi raccomando tanto di avere sempre in mente il fine per il quale siete entrati, e corrispondete con l’aver sempre di mira questo: Voglio santificarmi. E, ricordatelo bene, la santificazione delle nostre anime dipende dalla vita interiore.

S. Paolo al suo Timoteo fa questa viva raccomandazione: “Attende tibi”. Eppure c’era un mondo da salvare, e l’Apostolo insiste: Pensa a te, santifica te stesso e così poi santificherai e salverai le anime. Sembra un controsenso; eppure, o cari, siamo nel campo soprannaturale.

Pensiamo, o cari, al lavoro febbrile di oggi nel campo del bene; eppure quanto scarso frutto, quanto male, quanto poco risultato! Il perché? Si è sbagliato tattica, non si pensa alla propria santificazione ed è ad essa che è annessa la salvezza delle anime a noi affidate.

Anche Gesù viene unicamente per salvare il mondo e sta trent’anni completamente nascosto, e nei tre anni di vita pubblica passa molto tempo nella preghiera; non fa grandi adunate di popolo, non tiene corsi di predicazione, ma parla occasionalmente, alla buona; dà l’esempio d’ogni virtù e dice in fine: “Ho santificato me stesso”. Cari i miei Novizi, santificare se stessi, per poi santificare gli altri: ecco la via, il metodo che tiene Gesù.

Anche S. Paolo, appena convertito, si ritira per tre anni nel deserto, mentre fuori milioni di anime attendono la sua parola di redenzione; e così, o cari, hanno fatto tutti i Santi.

Ricordiamolo bene: è Dio che converte. Noi non siamo altro che degli strumenti, con la Divina grazia dobbiamo farci strumenti adatti.

Non basta l’ingegno di S. Tommaso per la Somma, ma ci voleva anche la penna; non basta il genio di Michelangelo per il Mosè, ma ci vuole anche lo scalpello adatto: così noi nell’opera della salvezza delle anime. Cari i miei Novizi, per amore di Dio, sempre, ma specie in quest’anno di noviziato, io vi dico: “Attende tibi”: pensate a santificarvi, ad essere santi religiosi, e sarete lievito per la salvezza di tante, ma tante anime nell’Opera di Dio.

Vi benedico: pregate per la mia povera anima.

Sac. J. Calabria

* 6913/E Vigilia di Pentecoste, 4-6-1938

Il Noviziato, il santo Noviziato deve essere il terreno fecondo, concimato dalle virtù tanto necessarie per la santificazione dei futuri Religiosi poveri servi della Divina Provvidenza; e sono: umiltà profonda, convinti della nostra miseria, del nostro zero; fede grande in Dio e nella sua Divina Parola, cenci, creta in mano dei Superiori; in modo particolarissimo del Casante di quest’Opera, che dalla Divina Provvidenza ha e avrà aiuti e lumi particolari.

Oh beato quel Novizio che nel tempo così prezioso del Santo Noviziato fa ricca la sua anima di questo concime! Santificherà se stesso, santificherà e feconderà questa terra benedetta del Santo Noviziato, preparandosi con l’aiuto di Dio a fare e compiere grandi e divini disegni!

Pregate, pregate per me poverello,

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/F 5-7-1938

Saremo quello che saremo nel Santo Noviziato: quello spirito genuino, quella fede, quell’amore per il Signore e per le anime che avremo nel Santo Noviziato, formerà il corredo delle virtù per tutta la nostra vita religiosa Beato quel Novizio dei Poveri Servi che tesoreggia nel santo tempo del Noviziato!

In C. J. Sac. J. Calabria.

* 6913/G 25-8-1938

(in calce ad uno scritto di don L. Adami)

Parole del caro don Adami, che dicono quale deve essere lo spirito puro, genuino di questa grande opera di Dio, che solo vivrà, si diffonderà, compirà i divini disegni se tutti i membri ameranno e vivranno questo spirito, quod est in votis.

Sac. J. Calabria

* 6913/H 17-9-1938

Il Noviziato deve essere il giardino di Dio, dove vengono coltivate piante destinate a fare fiori e frutti per la maggior gloria del Signore e la salute delle anime. Qual cura deve avere, e quale responsabilità ha il giardiniere!

* 6913 14-1-39

Mio caro Don Albano,

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con Lei, coi cari novizi e con tutte le anime che la Provvidenza del Signore le fa avvicinare.

La sua cara lettera si è incontrata con il mio pensiero; da giorni in mezzo alle mie sofferenze pensavo a Lei, ai miei cari e benedetti novizi. La sua lettera mi fece prendere la penna e scrivere questa mia per dirle tutto il mio affetto nel Signore, e per congratularmi dei doni e grazie grandi che il Signore le ha fatto e le fa in questa Casa, beato Lei, con la grazia del Signore corrisponda sempre più e sempre meglio a bene della sua anima e dell’Opera grande del Signore e fino che la Provvidenza lo tiene nel posto in pro dei novizi, i quali sono certo corrisponderanno alle sue cure spirituali.

A mio nome porti ad uno, ad uno la santa benedizione, dica che i novizi sono scritti nel mio cuore, che corrispondano, come vuole il Signore, ossia cenci, creta, senza testa, disposti a tutto con l’unico pensiero di Dio, del suo Regno e delle anime. Dica che facciano tesoro del tempo prezioso, del noviziato, è tempo di Dio e delle loro anime. Sono seduti a scuola e ascoltino il Divino Maestro che parla per mezzo del padre Maestro. Raccomandi la vita interiore, l’unione con Dio, dica che stiano santamente allegri e che si preparino ben corazzati per le offensive che farà il diavolo.

Caro don Albano, come costano le anime e le Opere del Signore, guardi che ho estremo bisogno di preghiere, lo dica ai novizi e in modo speciale anche alle buone Sorelle. Che il Signore le doni loro la Casa, tanto necessaria e la formazione giuridica e li mantenga sempre in quello spirito di umiltà, di obbedienza, di sacrificio che fu loro divisa fino dalla nascita e che sarà certo pegno di grandi e divini [doni] celesti per il futuro.

Spero che presto venga il Rev. Abate e bisognerà trattare anche per questo.

Caro don Albano, uniti in Domino, l’ora è terribile, non c’è altro che la virtù e la santità che possa salvare il mondo.

Un saluto, una benedizione al mio caro Dott. Riccardi, Cobbe, Rossi, Faccia, Biondani, Morè con la preghiera di pregare tanto per me. Dio lo benedica, caro don Albano, le raccomando la mia povera anima.

In C. J. Sac. J. Calabria

Un saluto a Busato.

* 6914/E Costozza, 26-1-1939

Caro Don Albano,

la pace di Dio sia sempre con Lei e con i cari Novizi, che prego perché siano sempre più vicini a Gesù per studiare e mettere in pratica le Divine lezioni. Mai come adesso sento il bisogno di preghiere. Ricordo e benedico tutti.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/I 20-3-1939

La santa umiltà sia, o miei cari Novizi, oggetto continuo di studio, specie in questo santo tempo di Noviziato per poter, con la Divina grazia, arrivare al monte della santità, perché, ricordiamolo bene, solo la santità converte e salva le anime, assieme all’anima nostra.

Pregate per me tanto povero.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 2298/D 1-4-1939

Cari i miei Novizi,

che il Signore aumenti in voi i suoi doni e grazie per diventare santi religiosi, voi cooperate. Pregate tanto per me. Vi benedico

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/M 10-5-1939

Ricordatevi, o miei cari Novizi, che qui in quest’Opera, condizione necessaria per appartenervi, è assolutamente necessario essere cenci, creta in mano del Casante dell’Opera, che deve essere sempre riguardato e ascoltato con spirito soprannaturale, vedendo e ascoltando lo stesso Signore, Padrone assoluto di quest’Opera.

Non è la quantità dei Novizi che fa l’Opera, sibbene la qualità.

Pregate per me tanto poverello.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 5614/F 24-9-1939

Carissimi figlioli,

la grazia e la pace del Signore siano sempre con Voi.

Avevo grande desiderio di venire in mezzo a voi in questi ultimi giorni del vostro santo noviziato, per esprimervi il mio affetto paterno e portarvi la santa benedizione prima che abbiate a lasciare il caro nido; ma la mia precaria salute non me lo permette.

Vengo dunque con queste mie povere righe per raccomandarvi, in visceribus Christi, di prepararvi con grande maturità e riflessione al grande e bel momento della vostra Professione Religiosa.

Guardate che non è agli uomini che voi vi legate, ma a Dio. Che grande fortuna è la vostra e grande onore! Ma è anche una grande responsabilità.

Voi state per diventare membri effettivi, Religiosi di questa grande Opera del Signore, che nei divini disegni e destinata a fare tanto del bene alle anime, e a diffondere il santo regno di Dio in questo mondo così tristo, specialmente ora; ma per far questo bene, occorre, ricordatelo bene, che noi tutti siamo imbevuti dello spirito di quest’Opera: spirito di umiltà, di nascondimento, di filiale abbandono alla Divina Provvidenza. Senza testa, miei cari, senza testa! Cioè rinunciare alle nostre vedute, per abbracciare solamente quelle del Signore, manifeste a noi mediante la volontà dei legittimi suoi rappresentanti; allora, in luogo della nostra povera testa, avremo il Signore stesso che ci guida e benedice.

Il Santo Noviziato sta per terminare: ma no, vi dico: esso incomincia più che mai adesso, perché adesso si tratta di attuare quello che avete imparato, quello che avete promesso, sotto la guida del rappresentante del Signore per voi, il caro don Albano.

Avete cercato di svestirvi dell’uomo vecchio e rivestirvi del nuovo, fatto a somiglianza di N. S. Gesù Cristo. Viene adesso il tempo di mostrarvi quali dovete essere: buoni e santi Religiosi, di null’altro occupati che della vostra santificazione personale e della ricerca del santo Regno di Dio nel posto e nelle mansioni che la Provvidenza vi assegna.

Cari Fratelli, in voi ripongo molte speranze e con me tutta la famiglia dei Poveri Servi; anzi, riguardo a voi ho maggiori speranze, perché siete stati fecondati da maggiori sofferenze, quali il Signore benedetto mi ha dato in quest’anno.

Coraggio adunque, miei cari, avanti in Domino alle sante conquiste che il Signore vi prepara. Entrerete fra poco nei santi spirituali Esercizi. Oh che bella grazia vi fa il Signore! Sarà la ratifica, per dir cosi, della vostra santa preparazione e dei generosi propositi fatti nel santo Noviziato.

“Vi scongiuro a vivere in modo degno della vostra vocazione, – vi dirò con San Paolo nell’Epistola di questa Domenica, – con tutta umiltà, mansuetudine, carità, studiandovi di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace. Non c’è che un corpo, uno spirito, come non c’è che una speranza, che vi arrise allo sguardo, quando riceveste la vostra vocazione”.

Carissimi, di nuovo vi raccomando di corrispondere fedelmente, generosamente.

Di gran cuore vi benedico e mi raccomando alla carità delle vostre orazioni. Con affetto paterno mi dico

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/N Mercoledì Santo [20-3] 1940

Il Noviziato dei Poveri Servi deve essere il giardino di Gesù: che sempre lo trovi ricco di fiori di belle virtù, e possa riposare tranquillo quando il mondo lo offende.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/O 11-6-1940

Bisogna che ci santifichiamo. Santificando noi, santificheremo l’Opera; santificando l’Opera, da parte nostra santificheremo il mondo, che corre alla rovina.

V’è bisogno di santi; solamente la santità può dare al mondo la pace, e salvare le anime.

L’Opera dei Poveri Servi deve essere una lampada ardente, deve irradiare tutto il mondo, se vivrà lo spirito puro e genuino che il Divino Padrone ha messo.

Nel Noviziato si deve mettere ogni studio per deporre l’uomo vecchio e vestirsi dell’uomo nuovo, che è quanto dire vivere praticamente il nostro spirito.

Pregate sempre per me poverello.

Benedico i miei cari Novizi.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/P S. Giacomo, [25-7] 1940

Nessuna forza, nessuna battaglia di nemici esterni potrà nuocere a questa Opera di Dio; anzi le lotte, se ci saranno, serviranno a compiere maggiormente i divini disegni.

Quello che può distruggere, far cessare quest’Opera, ricordiamolo bene, è quello che viene da noi, dall’interno; per amor di Dio, viviamo il nostro spirito, e l’Opera trionferà.

Quale tremenda responsabilità per quel religioso, quel Povero Servo della Divina Provvidenza che non vivesse secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera! che lo Spirito Santo ci mantenga nello spirito puro.

Pregate per me, sempre sofferente.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/Q 25-8-1940

Ruit hora. Come passa velocemente il tempo, miei cari Novizi! Sembra ieri quando cominciava il santo Noviziato, eppure siamo presto alla fine; per amor di Dio, fate grande tesoro di questo resto di tempo, correte, correte nella via della vostra personale santificazione religiosa, a bene delle vostre anime e di questa grande Opera del Signore, che per vivere, diffondersi, compiere i Divini e grandi disegni, ha bisogno di santi religiosi, che vivano con lo spirito proprio e genuino di questa Opera dei Poveri Servi.

Pregate per me poverello.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 5614/G 6-10-1940 – Ore 10,30

[Ancora roventi del fervore degli Esercizi, scendiamo da Nazareth. Non fu mai visto da noi, don Giovanni tanto gioviale come stamattina nell'accomiatarci. Ci disse:]

“Siete spettacolo al Cielo, agli Angeli, alla Madonna ed anche agli uomini. Corrispondete! Verrò anch’io, verrò a riposare tra i miei figlioli. Immedesimatevi dello spirito dell’Opera.

Il mondo è in tempesta. La nostra opera deve essere un bastimento che lanci a tante povere anime le scialuppe di salvataggio. Io sono il fuochista, voi i miei cari aiutanti, che asciugano il mio volto grondante di sudore e lo detergono dall’annerimento del fumo”.

* 5614/H 6-10-1940

Miei carissimi Novizi,

la grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Ecco che in questo momento il mio pensiero vola al vostro caro e benedetto Noviziato, dove, per grazia del Signore, quale Cenacolo Divino, date principio al vostro anno di formazione spirituale, secondo lo spirito puro e genuino della nostra cara Congregazione.

Miei cari, anzi carissimi Novizi, in ginocchio vi prego e vi scongiuro di far tesoro di tanta grazia; corrispondete con cuore grande e generoso a tutti i doni che il Signore vi darà in quest’anno di grazie.

Nel vostro Padre Maestro vedete, ascoltate Gesù, a Lui affidate, con tutta confidenza di figli, voi stessi, desiderando solo la vostra personale santificazione, per poi santificare e compiere grandi disegni per Voi, per le vostre anime e per l’Opera dei Poveri Servi alla quale il Signore vi chiama.

Bisogna che l’umanità sia ricondotta alla vita, alle pure sorgenti del Santo Vangelo; v’e bisogno di luce, di sale, di vangeli viventi; e voi con la divina grazia dovete essere tali. Certo Satana freme, e tenterà le sue vie; ma niente paura, il Signore vincerà, se voi con il divino suo aiuto farete la vostra parte.

Io, come vi dissi al momento della vostra partenza, vi sono sempre vicino con la preghiera e la sofferenza, e spero, se a Dio piace, di venire spesso tra voi per trovare doppio riposo.

Amati Novizi, che Dio vi benedica, che lo Spirito Santo, per intercessione della cara Madonna, vi santifichi.

Pregate, pregate sempre per me.

Povero in C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/R Dal Noviziato, 22-10-1940

Una grandissima benedizione invoco in questo momento dal buon Dio su di voi, o miei cari Novizi di quest’anno di guerra 1940-41.

Sento che il Signore vi ama e vi predilige in modo tutto particolare: me lo dice chiaro la vostra chiamata qui nel santo Noviziato, dove, con l’aiuto della Divina grazia, attenderete alla vostra personale santificazione, svestendo l’uomo vecchio e rivestendovi del nuovo, secondo nostro Signor Gesù Cristo.

Oh qual grazia! per amor di Dio vi raccomando di corrispondere con grande generosità, e sarà questa generosità che chiamerà nuove grazie e nuovi doni su voi, e sulla Santa Congregazione alla quale vi preparate in quest’anno ad appartenere interamente, totalmente.

Cari Novizi, santamente allegri nel Signore mettetevi dunque all’opera, e ciascuno dica per se stesso: Voglio farmi santo. Solo la santità può salvare il mondo e farlo ritornare cristiano. Quale responsabilità se non si corrisponde! Guardate che il demonio non dorme, la natura non si cambia, ma se Voi ascolterete con docilità e umiltà chi nel nome di Dio vi parla, vi ammaestra, né Satana né la natura vi nuocerà, perché la grazia di Dio trionferà. Vi raccomando la sincerità, la schiettezza con il vostro Padre Maestro, che dovete vedere come il Messo di Dio.

Cari i miei Novizi, vi raccomando tanto di pregare per me, tanto povero e tanto bisognoso della grazia e della misericordia del Signore.

Dio vi benedica.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 5614/I 25-11-1940

Ai miei cari Novizi “dimidium animae meae”. Mando una particolare benedizione, perché lo Spirito Santo infiammi tutti del Divino Amore.

Desidero, vos videre. Pregate tanto per me e per l’Opera di Dio.

* 5614/M 5-12-1940

[Ieri sera il Padre, a cena, ci ha fatto un regaletto. Ha scritto in tredici foglietti altrettanti pensieri, massime, e poi ne distribuì uno per ciascuno a sorte:]

Al P. Maestro: La vanagloria è la tentazione dei perfetti.

A don Pio Ducati: L’affabilità è una moneta che costa niente e vale assai: Con essa il Povero Servo compra tutto e tutti.

A don Ottorino Foffano: L’amore a Gesù Cristo non soffre alcun peso, non dice mai basta.

A fr. Federico Gnesotto: In tutti gli avvenimenti prosperi o avversi, adora e vedi sempre la volontà di Dio.

A fr. Giacomo Cordioli: Parla rispettosamente con qualsiasi persona, ma preferisci le conversazioni più umili.

A fr. Ottone Graziadei: Dove non c’è umiltà, non ci può essere Fede.

A fr. Luigi Fiorini: Chi serve il Signore deve spingersi ogni giorno più in alto.

A fr. Abramo Simonetto: La carità più preziosa e necessaria in questo mondo è quella di illuminare gli uomini nella fede di Cristo, apportatrice di bene terrestre e celeste.

A fr. Gildo Benassi: Nel Regno di Dio il più grande è chi serve.

A fr. Luigi Verzé: Non sono gli uffici che onorano le persone ma le persone che onorano gli uffici.

A fr. Aldo Pescetta: I superbi sono come i corni: duri, storti e vuoti.

A fr. Guerrrino Biliato: Confessiamoci inutili per diventare utili.

[Don Giovanni conclude:] Fate tesoro di tutto.

* 5614/N 16-2-1941

[Don Giovanni parla molto dei poveri]:

Bisogna amare i poveri, in essi continua a vivere Cristo fra noi.

Un ricco non può dire: Gesù era con me, ma il povero sì lo può dire e può quindi maggiormente amarlo e sperare.

La gioventù ha scritto in fronte: “Sono di chi mi piglia”. Guai a noi! quale tremenda responsabilità se non ce ne prendiamo cura.

* 2488 19-6-1941

Ai cari Fratelli Novizi

che portano il caro nome di S. Luigi con l’augurio che ne imitino la vita, a santificazione delle loro anime e a bene della cara Congregazione dei Poveri Servi.

Più con il cuore che con la mano vi benedico assieme a tutti i vostri cari Fratelli che porto nella mente e nel cuore, pregate, pregate per me.

Ogni bene al vostro P. Maestro.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/S 4-8-1941

Trovo qui, davanti al mio Crocefisso, questo caro libro, dove la Provvidenza di tanto in tanto, per mezzo dei suoi servi, fa sentire la sua parola ai cari, anzi carissimi Fratelli Novizi dei Poveri Servi.

Amati Fratelli Novizi, Dio solo sa in questo momento quali parole vorrei dirvi per bene e santificazione delle vostre anime e per questa grande Opera alla quale avete la somma grazia di appartenere.

Cari Novizi, il tempo passa velocemente, ormai voi siete quasi al termine di questo santo anno; voglio credere che, con la Divina grazia, avrete fatto tesoro di tanto dono e avrete arricchita la vostra anima religiosa di tutte quelle virtù necessarie, oltre che per voi, per l’Opera dei Poveri Servi. Sì, o cari, se siete santi voi, se saremo santi noi, santificheremo quest’Opera e compiremo quei grandi disegni che la Provvidenza vuole compiere per mezzo nostro; per questo in ginocchio vi raccomando di intensificare in questo ultimo periodo la vostra vita religiosa.

Umiltà, umiltà, base e fondamento di ogni virtù, carità, fede grande nella Provvidenza e totale abbandono nelle sue braccia divine, cenci, creta, senza testa: nel superiore, nelle sante Regole vedere la santa volontà di Dio.

Cari Fratelli Novizi, pregate tanto per me, specie in questi giorni per me di santi ricordi e di seria meditazione.

Dio vi benedica; fatevi santi.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/T 5-10-1941

I miei cari Fratelli Novizi si trovano nei santi spirituali esercizi, dove il Signore li ha chiamati per dare l’ultimo tocco di grazia alle tante ricevute in questo anno di Santo Noviziato e farli uscire tutti pieni dell’amore di Dio, tutto zelo per la sua gloria, per il loro apostolato, che, a Dio piacendo, devono iniziare appena usciti da questo Cenacolo del Signore. Ed ecco che in questo momento, a voi, miei cari Fratelli Novizi, che uscirete professi, e a voi, miei cari Novizi che siete entrati per fare questo santo anno di Noviziato, e a tutti i futuri, rivolgo in questo momento la mia povera parola, per dire a tutti: Siate apostoli, fate bene, evangelicamente il vostro apostolato nel mondo, piantati nel terreno della vostra santa Congregazione.

Ma ricordatevi che essere apostoli vuol dire essere disposti a gran soffrire, a patire contraddizioni, poiché nessuno può essere da più del Maestro. Cristo, perché ha predicato il Santo Vangelo, fu perseguitato; i suoi discepoli lo saranno pure, ma niente paura: Gesù sarà con voi, e quanto più sarete battuti, tanto più sarete fortificati; le ingiurie, le sofferenze vi smuovono, vi esaltano, e vi preparano la corona eterna. Ma ricordatelo bene: nelle fatiche dell’apostolato le condizioni fondamentali del successo sono: diffidare di sé e fede incrollabile nelle benedizioni e nell’aiuto del cielo.

Cari Fratelli Novizi, che Dio vi benedica e vi faccia grandi santi. Pregate la misericordia del Signore per il povero don Giovanni.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 5614/O 18-12-1941

Cari Fratelli Novizi,

spero ancora poter venire fra voi. Il cuore lo desidera tanto, ma tanto, perché, quando riparto da voi, parto sempre più ricco. Voi mi capite e ringraziate il Signore, ma temo che questo mio ardente desiderio non possa essere esaudito.

Voi pregate. Ricordo tutti, da don Venanzio a Bissi, del quale ho ricevuto la lettera. Dio vi benedica. In osculo sancto. Preparate bene i vostri cuori perché Gesù Bambino possa nascere, crescere ed essere sempre in voi.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/U 21-3-1942

Miei cari Fratelli Novizi, in questo momento, davanti al mio Crocefisso, penso alla grazia grandissima della vostra vocazione religiosa in quest’Opera, tanto piccola, ma tanto grande nella mente di Dio, che è la nostra Congregazione dei Poveri Servi.

Per amore di Dio, corrispondete a tanta grazia e fate tesoro di questo tempo prezioso del Santo Noviziato, attendendo in modo particolare alla vostra santificazione, secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera, per poter poi, usciti da questo Cenacolo, come gli Apostoli, compiere i grandi disegni che Gesù ha sopra l’Opera, alla quale appartenete per tratto speciale della bontà Divina che vi ha chiamati.

Pregate tanto, pregate sempre per il vostro don Giovanni, che di cuore vi benedice.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/V 1942 [Tra marzo e settembre]

Ancora una parola, miei cari e amati Fratelli Novizi dei Poveri Servi: e la parola è questa: procurate, con la grazia di Dio, di essere sempre pieni del suo divino amore; allora, senza neanche accorgervene, lo darete a tutti coloro che vi avvicinano e vi vedono. Quale missione è anche questa! Voi beati!

Pregate, pregate per il vostro don Giovanni, che vi benedice assieme al vostro caro Padre Maestro.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/Z 12-9-1942

Miei cari Fratelli Novizi, ancora pochi giorni e poi, a Dio piacendo, sarete tutti del Signore per mezzo dei santi Voti. Dio mio, quale grazia; somma, questa, di tante altre che Gesù vi ha fatto durante questo santo anno di Noviziato! Quanto so e posso vi raccomando di corrispondere. Santi Religiosi nella piccola ma grande Opera dei Poveri Servi; e, ricordate, il segreto della santità consiste in due parole: diffidare e confidare: diffidare sempre di noi stessi e poi non fermarsi lì, ma salire subito alla grande confidenza in Dio che tanto ci ama, e aiuta tanto coloro che confidano in Lui.

Pregate, pregate per me. Ne ho gran bisogno, siate sempre il mio respiro. Di cuore vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 5614/P 14-9-1942

[Don Giovanni sta molto bene ed è contento. Esce sempre a passeggio per le stradette fra i campi, con qualcuno. Sembra rivivere la vita di dieci anni fa quando era più libero. Poco prima del pranzo è venuto il Padre nel nuovo nostro studio e ci ha fatto questo breve discorso:]

Carissimi Novizi, il Signore mi ha ispirato di dirvi queste poche e semplici parole. Mi ricordo ancora quello che mi diceva, nei primi anni, il mio compianto Padre Spirituale: “Santifichi se stesso, santifichi i membri, e l’Opera è assicurata”; ed è proprio vero, bisogna santificarsi.

Il Signore vi ha fatto grandi grazie; per sua bontà, fra mille, fra milioni ha guardato voi, vi ha scelti, vi ha chiamati in questa santa Opera. Eravate sperduti nel mondo; sono certo che pensavate al Signore alla vostra anima, ma non come ora. E’ il Signore che per vie speciali, misericordiose, note a lui solo, vi ha chiamati in questa santa Casa.

Noi siamo natura debole ed è facile ci si attacchi ancora della polvere del mondo: bisogna mondarsi. Il Signore aveva detto a Mosè: “Levati i calzari, perché la terra che calpesti è santa”. Mi pare che il Signore dica, prima a me e poi a voi: Mondatevi, perché questa terra di San Zeno in Monte, del Noviziato e delle altre Case è santa.

Mi ricordo quello che mi diceva il compianto monsignor Giacomelli, pochi giorni prima di morire, e mi è rimasto profondamente scolpito nella memoria: Error! Reference source not found.Il Signore vi ha preparati, vi ha messi qui nel santo Noviziato, per voi ha aperto i tesori della sua grazia, per mezzo del Padre Maestro, delle meditazioni, delle letture ed anche direttamente, poiché come vi disse il Padre Maestro nel consegnarvi il Crocefisso, “il vostro Padre Maestro è Lui, Gesù Crocefisso”. Son certo che avrete corrisposto a tutte queste grazie del Signore.

L’anno di Noviziato sta per finire. State per fare un contratto con il Signore, vi obbligate a servirlo in questa casa. E’ questo per me un grande conforto.

Quando si vuol terminare un lavoro che preme, si raddoppiano gli sforzi e l’impegno, si lavora anche di notte. Così anche per voi vi resta poco tempo; intensificate il lavoro, se volete divenire veramente Poveri Servi.

Poveri Servi: non sia questa solamente una parola, ma una realtà. Vi sarà spiegato che cosa vuol dire Povero Servo.

Dal santo Noviziato dovete uscire come gli apostoli, pronti e forti per compiere cose grandi.

Dunque, corrispondete alla Grazia. Siate strumenti docili, creta, cenci. Tutto è grande nella casa del Signore, anche i più umili uffici. Siate sempre disposti a tutto, così a scopare, fare il portinaio, come ad essere sul candelabro: sempre “Dominus est”.

E’ facile impolverarsi: bisogna subito pulirsi.

Osservate le sante Regole: lo spirito e la vita interiore sono i polmoni della vita religiosa.

Stimate le piccole cose, poiché di piccole cose sono formate le grandi.

Preghiera, grande amore alla preghiera; umiltà, fiducia e abbandono in Dio: quanto più in Lui confideremo, tanto meglio compiremo i Suoi disegni.

Vi saranno prove, ma queste sono effetto dell’amore di Dio. “Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum”.

Mai scoraggiamenti, sempre gran fiducia in Dio! Se vivrete da buoni Religiosi, la vostra vita sarà felice. Sarete felici alla sera della vostra vita, quando il Signore vi verrà incontro per dirvi: “Euge, serve bone…”. Io sono convinto che il Povero Servo fedele alla sua vocazione vedrà sul letto di morte il Paradiso anticipato, vedrà prima del tempo il Signore venirgli incontro.

Il Signore mi ha ispirato di dirvi queste parole; le ho dette così, senza preparazione. Voi fatene tesoro.

Vi raccomando la carità della preghiera. Qualcuno forse crederà che domandi preghiere per abitudine; no, no: ne ho gran bisogno, prima di tutto per la mia anima, poi per il resto, perché le anime e le opere di Dio costano.

Vi do la mia benedizione.

* 6913/AA 24-9-1942

Una parola dal cuore ai Fratelli Novizi che partono, perché hanno compiuto l’anno santo del loro Noviziato, e una ai cari Fratelli che entrano, per cominciare quest’anno di grazie, di misericordie, di salute.

Il Signore vi ha prediletti con predilezione tutta particolare: me lo dice la vostra chiamata a far parte di questa piccola, ma grande Opera dei Poveri Servi, Opera che nella mente di Dio ha grandi disegni da compiere a bene di tanti fratelli.

Voi beati se, con tutto l’ardore e la fede, vi metterete all’impegno per rendervi strumenti docili, umili e santi, secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera!

La vostra felicità terrena ed eterna sarà assicurata, e con la vostra felicità la santificazione di tante anime che da voi aspettano. Pregate tanto per me, povero

in C. J. Sac. J. Calabria

* 2298/E 24-9-1942

[Dal registro delle messe celebrate nella Cappella del noviziato]

Quale sorgente inesauribile di grazie non abbiamo nella Santa Messa! Gesù benedetto ci conceda la grazia di approfittarne, a vantaggio delle anime nostre e di tutti i fratelli, specie in quest’ora che solo la Vittima Divina può ridare al mondo sconvolto per il peccato la pace e il perdono. Mi raccomando alla carità delle orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AB 4-1-1943

Se noi di quest’Opera grande, che il Signore ha suscitato per i bisogni dei tempi presenti, ci santificheremo per mezzo dello spirito puro e genuino, l’umanità tutta ne renderà grazie al Signore. Dio mio, quale responsabilità, ma nello stesso tempo quale premio nell’eternità!

Gesù, perdonatemi tutti i miei peccati: Cuor di Gesù, confido in Voi.

Novizi cari, fate tesoro di queste mie povere parole, dettate, mi pare, da Gesù.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AC 20-9-1943

Una parola che mi sgorga dal cuore e diretta a voi, miei cari Fratelli Novizi, che siete per entrare nei santi Spirituali Esercizi che vi portano alla Professione Religiosa.

Entrate e fate questi santi giorni assieme agli Apostoli radunati nel Cenacolo.

Unico e solo pensiero sia la vostra anima, che dovete santificare, per poi santificare l’Opera, e con l’Opera dare alla povera umanità una novella vita in Gesù Cristo, che la renda felice in questa povera terra di esilio e poi beata e felice nella eternità.

Dio vi benedica, e che nessuno di voi abbia a tradire la sua santa vocazione, cosi ricca di grazie divine.

Pregate, pregate per me, che di cuore vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AD 9-10-1943

Ruit hora! Come passa, come corre presto il tempo, che tacitamente sì, ma eloquentemente ci dice come a gran passi ci avviciniamo all’eternità. Mi pare ieri quando mi trovavo [qui] e scrivevo e dicevo una parola ai miei cari Fratelli Novizi del 1942-43! ormai hanno fatto con santa allegrezza la loro professione religiosa e si sono dati tutti al servizio di Dio in questa piccola ma grande Opera, che è la Congregazione dei Poveri Servi; ora altri cinque nuovi Fratelli Novizi hanno rioccupato il posto e, per grazia del Signore, tutti infervorati dai recenti Santi Spirituali Esercizi, hanno fatto i loro proponimenti di passare quest’anno di Santo Noviziato nello studio pratico della loro personale santificazione, studiando e cercando di vivere lo spirito puro e genuino di quest’Opera, che si compendia in una sola divina parola: Cercare il santo Regno di Dio e la sua giustizia, con la certezza di avere tutto il resto in aggiunta.

Miei cari Fratelli, sotto la guida del vostro caro Padre Maestro, sia questo il vostro compito in quest’anno. Voi beati se con la divina grazia attenderete ad imprimervi bene nella mente e nel cuore e a praticare poi queste divine parole, che formano il programma granitico di tutta l’Opera dei Poveri Servi, alla quale con tanto desiderio vi preparate, per essere, terminato il vostro santo anno di Noviziato, santi Fratelli.

Pregate per me, ma ricordatevi; io pure prego e vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AE 17-11-1943

Amati miei Fratelli Novizi,

pensate, ma pensate seriamente e al lume della fede, la grazia grande, grandissima che Iddio vi ha fatto mettendovi qui in questo cuore dell’Opera sua, che è la Congregazione dei Poveri Servi; grazia, o cari, che solamente in cielo potrete capire e degnamente ringraziarne il Signore.

Quanto so e posso vi raccomando di essere grati, riconoscenti al Signore per tanto prezioso dono e, con la divina grazia, fate di tutto per cooperare, tuffandovi, durante questo santo tempo del Noviziato, nello spirito puro e genuino dell’Opera, che è lo spirito stesso del S. Vangelo in pratica. Con questa ricchezza spirituale, ve lo assicuro, farete ricche le vostre anime, l’Opera e tutte le povere anime dell’umanità, che hanno bisogno di questa luce, di questa vita.

Pregate per me, che tutti vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AF 29-12-1943

Tutto passa. Solo l’eternità, felice o infelice, resta.

Al termine di quest’anno, meditiamo il valore del tempo e, con la divina grazia, impieghiamolo per acquistare l’eternità felice e beata.

* 6913/AG 17-2-1944

Il Signore in questo momento, miei cari Fratelli Novizi, mi concede la grazia di scrivervi una parola anche in questo anno di grazia, che da quasi due mesi abbiamo cominciato, e la parola spontanea che mi nasce dal cuore è questa: Guardate che il Signore, chiamandovi qui a far parte di quest’Opera, nata nel suo divino Costato, vi ha fatto una grazia così grande che solo nell’eternità potrete comprendere; ma se grande, grandissima è la grazia da parte di Dio, ricordatelo bene che è pure grande la vostra responsabilità nel corrispondere.

Miei cari Fratelli Novizi, per amore di Dio, corrispondete, e fino da questi santi mesi di Noviziato, guardate di scavare profondo il fondamento della vostra personale santificazione, secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera, che, in fondo, è e deve essere lo spirito del Santo Vangelo, degli Apostoli e dei primi cristiani.

L’epoca attuale ci dice continuamente, specie a noi: santi cristiani, santi Religiosi, santi Sacerdoti! E’ inutile far piena la testa di scienza, di cultura, di sapere, se non sappiamo, con la grazia del Signore, far nostro praticamente quello che lo stesso Nostro Signore ci ha insegnato e praticato.

Cari Fratelli, come si spiega tanto male nel mondo, dopo tanta luce che ha portato Cristo Nostro Signore con la sua vita, con la sua divina Dottrina, con i suoi esempi? La risposta è semplice: non si è messo in pratica, non si è vissuto e non si vive come il Signore vuole, e come sono vissuti gli Apostoli e i primi cristiani.

Fratelli cari, fra la teoria e la pratica cristiana vi è un abisso; bisogna ritornare indietro, ritornare alle sorgenti pure del Santo Vangelo e alla vita degli Apostoli; solo così si può salvare la povera umanità che, senza luce, corre nel baratro che essa stessa si va scavando.

Fratelli cari, studiate, praticate, vivete lo spirito puro e genuino dell’Opera: vi santificherete, santificherete la nostra patria, il mondo e poi arriverete alla felicità eterna nella celeste Gerusalemme.

Pregate tanto, ma tanto, per me, che non sia solo via.

Vi benedico in C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AH 24-4-1944

In questo santo e benedetto luogo, che è il caro Noviziato dei Poveri Servi, quanto riposa sereno e tranquillo il mio spirito, fuori delle preoccupazioni del mondo, che, quale vento impetuoso, fa di tutto per toglierci la pace, la serenità, che è tanto necessaria per servire il Signore, pure in mezzo a lotte e prove, condizione della vita presente, che è appunto vita di continua milizia, come ci dice il Santo Giobbe; ed è in questo caro luogo che io mi sento di scrivere qualche pensiero, come lo spirito del Signore mi suggerisce, a bene dei miei cari Fratelli Novizi, che qui si preparano, per uscire poi soldati perfetti del Signore, per compiere quei divini disegni che la Provvidenza vuole compiere nella benedetta e provvidenziale Congregazione dei Poveri Servi.

Cari i miei Fratelli Novizi, ponete in testa a tutti i vostri pensieri questo: sono qui per attendere alla mia personale santificazione; Dio mi ha chiamato, Dio continuamente mi chiama a questo; povero me se da parte mia non corrispondo! c’è di mezzo la mia salute eterna.

Il Signore, quando chiama uno ad uno stato, ad una missione, dà tutti quegli aiuti e doni che sono necessari per arrivare a questa o a quella missione. E qui, miei cari Fratelli Novizi, il Signore ve li dà, questi aiuti e doni, con abbondanza regale; sta a voi il corrispondere. Quanto so e posso vi raccomando di corrispondere, cercando di studiare e vivere lo spirito puro e genuino dell’Opera, che vi verrà pazientemente insegnato dal vostro Padre Maestro, che, ricordatelo bene, tiene il luogo del Signore.

Base granitica dell’Opera dei Poveri Servi è mettere in pratica il “Quaerite primum…”. Questo deve essere il vostro studio: è parola divina del Signore; date, per amor di Dio, una grandissima importanza e guardate di sviscerarlo questo divino Programma. Fede in Dio, tutto per Lui, nessuna agitazione e ansietà per le cose terrene; tutte verranno, e come in aggiunta.

Miei cari Fratelli Novizi, ricordatelo bene, voi dovete essere come tante lampade accese, prima per voi, poi per l’Opera e per il mondo; e questa luce per le vostre lampade la dovete accendere durante questo santo e propizio tempo del Noviziato con l’attendere, come vi ho detto, alla vostra santificazione, Sono qui – ciascuno di voi deve dire – per conoscere ed amare il mio Signore, per servirlo cercando in tutto la sua maggior gloria e il bene delle anime.

Cari Novizi, che gran parola è questa: “anime”!

Perché siamo al mondo? perché Gesù benedetto ha fatto tanto, ha patito, è morto? Per salvarci; e voi dovete uscire dal Noviziato con questo pensiero: “salvare le anime”.

Ricordate il pensiero di un Santo: “Fra le cose divine, la più divina è quella di cooperare con Dio alla salute delle anime”. E qui sento di dirvi che il demonio freme a questo pensiero, e farà di tutto, specie quando uscirete dal Noviziato, per far sì che non eseguiate questo, onde: lotte, passioni, scoraggiamenti, battaglie: ma ricordatevi che riuscirete a salvare tante anime se sarete corazzati della santa obbedienza, dell’intima vita interiore e a grazie particolarissime proprie della vostra speciale vocazione.

Oh come sarete felici e contenti, pure in mezzo a lotte, come beati e felici al punto della vostra morte, e come eternamente felici e beati in Paradiso, che è il fine della nostra vita quaggiù!

Pregate, pregate per il vostro don Giovanni, che vi benedice

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AI Vigilia di S. Giovanni [23-6] 1944

Il mio venerato e indimenticabile padre spirituale, Padre Natale, Carmelitano, padre spirituale e direttore della mia povera anima da quasi 45 anni, mi diceva e mi ripeteva spesso e mi scriveva che l’Opera dei Poveri Servi (e questo fino dai suoi inizi) era Opera destinata dalla Divina Provvidenza a compiere nuovi e grandi disegni divini, che nel pensiero di Dio doveva essere un faro di luce per chiamare tutte le anime – usque ad finem terrae – a conoscere, ad amare Gesù, e salvare poi dette anime. Condizione necessaria era però che il povero Casante, e tutti i membri dell’Opera, fossero tutti uno nell’attendere alla propria santificazione, secondo lo spirito dell’Opera stessa. Questo io lo credo e questo io lo sento e l’ho sempre sentito; ma, Dio mio, quale responsabilità pesa su di me, in modo speciale ora, che mi avvicino a grandi passi alla grande chiamata e al divino rendiconto!

Io mi affido alla sola bontà e misericordia del Signore, ancora una volta detesto e piango i miei peccati, che certo hanno ritardato e, Dio non voglia, impedito questo disegno, e prometto, sempre con la divina grazia, di dare questo ultimo residuo della mia povera vita. Ma anche a voi, miei cari Fratelli Novizi, presenti e futuri, dico e ripeto le parole del mio Padre Spirituale, che sono parole del Signore e da Lui confermate: “L’Opera è grande, l’Opera è divina, deve essere un faro di luce per tutte le anime fino all’estremo della terra”; ma ricordiamo, o miei cari Fratelli Novizi, che condizione prima, assolutamente necessaria è farsi santi, santi, santi, vivendo lo spirito puro e genuino dell’Opera. Ed ecco che voi, in questo santo tempo del Noviziato, avete tutte le maggiori comodità per studiare e praticare la via che vi conduce alla santità.

Un Vescovo, un santo Vescovo, interrogato quale fosse il mezzo migliore per convertire le anime, rispose: Il mezzo migliore per convertire [le anime] è il convertire noi stessi, ossia farci santi; poi tutto verrà da sé.

Miei cari ed amati Fratelli Novizi, assieme al vostro Padre Maestro pregate tanto per me poverello, che di cuore vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AM San Giacomo [25-7] 1944

Parole del grande apostolo S. Paolo che propongo e lascio da meditare a Voi, miei cari ed amati Fratelli Novizi. In questo sta la nostra santificazione, la santificazione dell’Opera e il compimento dei grandi e nuovi disegni che la, Divina Provvidenza compirà nella nostra Congregazione. “Non istà il Regno di Dio nelle parole, ma sì nella virtù” (I Cor. 4-20).

Che il Signore mi conceda la grazia, e con me a tutti voi, di essere fedeli nell’osservare e praticare. Tutto è meno di zero se la nostra vita Religiosa non è accompagnata dalla pratica.

Per amor di Dio, continuatemi la grande carità della preghiera per la mia povera anima. Vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AN 13 agosto 1944

Miei cari ed amati Fratelli Novizi, ricordatevi, ricordiamolo bene tutti, che il nostro santo ministero, la nostra vita religiosa, se non è vissuta praticamente con una vita pienamente conforme a quello spirito particolare di ciascun’Opera del Signore, tutto si ferma all’esterno, non permeando nessuna anima, che giustamente da noi domanda quello che il Signore ci ha dato, che vuole che diamo.

Dio mio, quale responsabilità avere dal Signore ricevuto il dono grande della vocazione religiosa in generale, e per noi Poveri Servi in particolare e proprio nostra, e non vivere secondo questo spirito! I giorni, gli anni passano, ma al punto della morte, al grande rendiconto come ci troveremo?

Ogni giorno, più volte al giorno, domandiamo al Signore la grazia, per intercessione della cara Madonna e dei nostri Santi Protettori, di vivere e morire praticando tutto quello che sappiamo, per noi e per le anime, che giustamente domandano.

Miei cari Fratelli Novizi, pregate, pregate per me, che il Signore mi perdoni tutto. Di cuore vi benedico.

In C. J. Sac J. Calabria

Sit lucerna in corde, sit in manu, sit in ore.

Lucerna in corde est pietas fidei; lucerna in manu exemplum operis, lucerna in ore sermo aedificationis.

* 9686 Negrar,[25-3] 1945 Domenica delle Palme

Ai miei cari, carissimi fratelli Novizi.

Pregando e soffrendo perché lo spirito puro e genuino dell’Opera vi santifichi per poi santificare tutto il mondo.

Pregate per me.

In C. J. Sac: J. Calabria

* 6913/AO 28-8-1945

Amati miei Fratelli Novizi

Poche parole che mi nascono dal cuore.

Per grazia di Dio siete ormai arrivati alla fine di questo anno santo per voi, che è il Noviziato. Ringraziate e benedite il Signore per i grandi doni, per i miracoli di grazie che ha versato in questo santo anno, e, per amor di Dio, corrispondete, corrispondete con queste divine ricchezze che il Signore vi ha dato, e che voi dovete far fruttare fino al termine della vostra vita.

Ricordatelo bene, santificherete le vostre anime, la nostra Congregazione e compirete disegni di gran bene per la povera umanità, che ha bisogno di Sacerdoti e Religiosi che siano Vangeli viventi.

Pregate per me, che di gran cuore vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AP 23-10-1945

Miei cari Fratelli Novizi, il Signore mi concede anche in questo vostro anno di Noviziato di dirvi, di scrivere in questo libro, che si intitola “Ricordi del Padre”, la mia povera parola, che parte dal cuore e che deve essere monito e via per la salute vostra nel periodo del santo Noviziato, dove tutti siete intenti per la vostra santificazione, studiando, per poi viverlo, lo spirito puro e genuino dell’Opera dei Poveri Servi.

* 2694 Verona, 30-12- 1947

A tutti della cara Casa del Noviziato rivolgo il mio pensiero e a tutti faccio i più fervidi auguri di un buon termine e principio d’anno.

Mi raccomando tanto, ma tanto alla carità delle orazioni.

Che cosa ci preparerà l’anno nuovo? Tutto dipende da noi e dal popolo cristiano.

Tutti benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 4120 6-6-1948

Amate, imitate e mettete in pratica, miei cari Fratelli Novizi, le lezioni che vi dà il Sacro Cuore.

Pregate per me che vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AQ 23-12-1948

L’Opera dei Poveri Servi è opera tutta di Gesù: Lui l’ha voluta, Lui l’ha fondata, Lui ha dettato a questo povero e misero Casante tutto quello che la deve mantenere in vita e [farle] compiere grandi nuovi disegni, in modo particolare per l’ora attuale.

Quale grazia, che premio in Cielo! Ma guai a chi non corrisponde! Chi non si sente di vivere e respirare questo spirito puro e genuino, se ne vada, prima che lo mandi via il divino Padrone.

Pregate tutti per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AR 22-5-1949

La Divina Provvidenza, che con cura tutta sua particolare regge e governa questa sua Opera dei Poveri Servi, mi ha fatto venire qui oggi e mi ha dato aiuto anche fisico per trattare cose a gloria di Dio e di stabilità per l’Opera stessa, che è Opera di Dio. Amati e cari Novizi presenti e futuri, domandate sempre la grazia di essere Vangeli viventi per voi e per l’Opera. Che posto e premio particolare in Paradiso!

Pregate sempre per me tanto povero.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 9829 2-6-1949

IL CUORE DEL PADRE

è sempre presente nel Cenacolo santo del caro Noviziato della Congregazione dei Poveri Servi, per voi, per il caro padre Maestro. Prego perché possiate sempre essere vita della Congregazione, specie in quest’ora.

Pregate per me, che di cuore tutti benedico

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AS Festa grande della Pentecoste, [5-6] 1949

Prego lo Spirito Santo che in questo momento metta sulle mie labbra e nel mio cuore quelle parole che valgano per la mia povera anima, così vicina alla grande chiamata, e per voi, miei cari ed amati Fratelli Novizi, e per tutta la piccola, ma grande Opera dei Poveri Servi alla quale, notiamolo bene, abbiamo la grazia grande di appartenere.

Le parole che mi sgorgano dal cuore sono queste: questo santo e grande giorno deve essere meditazione continua della nostra vita di Poveri Servi, modellandola in tutto e per tutto su quello che lo Spirito Santo ha detto per la sua Santa Chiesa, per la sua vitalità, per compiere il grande e divino disegno della Redenzione, che si compendia in una sola ma grande parola: salvare l’anima, salvare le anime.

Ecco quello che deve aver di mira il Povero Servo: vivere lo spirito puro e genuino dell’Opera, che è lo spirito del Santo Vangelo, pensando e dicendo: sono qui, Gesù mi ha chiamato qui per la mia personale salvezza, per salvare le anime, tutte le anime.

Guai a me se ciò non lo faccio! Che lo Spirito Santo, a me, a voi, cari Novizi, a tutti dell’Opera conceda la grazia della santa perseveranza.

Pregate per me, Fratelli, che tutti vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AT 3-7-1949

Miei cari, carissimi Fratelli Novizi, io vorrei che queste mie povere parole, che prego siano dallo Spirito Santo avvalorate, benedette, fossero scolpite per tutta la vostra vita nella mente e nel cuore, essendo guida sicura per la salvezza delle vostre anime e per la vita della Congregazione dei Poveri Servi, alla quale voi, per divina grazia, aspirate e in questo santo cenacolo che è il santo Noviziato vi preparate.

Fratelli Novizi cari, ricordatevi che è una grazia grande, grandissima che il Signore vi ha fatto facendovi mettere il piede in questo santo luogo, dove lo Spirito Santo continuamente, per mezzo del vostro Padre Maestro, vi fa conoscere questo gran dono; e come voi dovete farne tesoro!

Guardate che l’Opera dei Poveri Servi ha una faccia, perdonate l’espressione, tutta propria, e che si fonda, mette la sua radice nel programma granitico: “Quaerite primum regnum Dei…”. Sì, sì, cercate prima di tutto il Santo Regno di Dio, la vostra personale santificazione; e state certi, certissimi, che tutto il resto verrà in aggiunta, e il Signore con questo spirito compirà grandi e sempre nuovi disegni per la Sua gloria e per il bene delle anime.

Fratelli Novizi, tutto è niente, ma tutto è tutto. Dio vi ha chiamati: voi corrispondete e guardate di non entrare per la finestra, perché sarebbe la rovina delle vostre anime e dell’Opera stessa, ma per la porta.

Novizi cari, pregate sempre per il vostro Padre, che di cuore vi benedice.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AU 18-8-1949

Amati Fratelli Novizi,

La Divina Provvidenza mi ha qui fatto venire in un modo tutto particolare. La ringrazio di cuore e quanto so e posso mi raccomando a voi prima, miei cari Fratelli Novizi, e poi a tutti coloro che hanno la grazia di vivere in questo Cenacolo, di pregare sempre per me, per la mia povera anima, così vicina alla grande chiamata.

Vivete sempre lo spirito puro e genuino dell’Opera, e l’Opera sarà assicurata. Vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AV 26-9-1949

Non passa momento che io non ricordi al buon Dio il caro Noviziato dei Poveri Servi tanto da Gesù prediletto, perché qui nel cenacolo del santo Noviziato, Gesù, per mezzo dei suoi Ministri e con lumi tutti particolari del Padre Maestro, va formando i futuri continuatori di questa piccola, ma grande Opera, che porta in fronte scritto: “Opera tutta di Gesù”, che deve mostrare, in tutto, il suo divino Volto a tutte le anime. Novizi cari, apprezzate questa grazia. Beati voi!

Di cuore prego e benedico. Pregate tutti per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/AZ 17-10-1949

Il tempo del santo Noviziato è tempo prezioso per purificare, santificare le vostre anime. Miei cari Fratelli Novizi, per amor di Dio, vi prego di far tesoro di questo gran dono. Quale grazia per voi, quale ricchezza per l’Opera dei Poveri Servi! Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 5436 24-4-1950

Benedico tutti della cara Casa del Noviziato, che per me è continua vita, in mezzo alle prove.

Mi raccomando alle preghiere. Cristo ha vinto e sempre vincerà.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/BA 6-6-1950

Ringrazio la divina Provvidenza che, per la via della sofferenza che da tempo Gesù mi manda, ho potuto venire in mezzo a voi, miei cari Fratelli Novizi, e dico a voi una sola parola: studiate di essere tanti Vangeli viventi.

Il mondo ha bisogno solo di questo. Beati voi se lo sarete! Pregate tanto per me, vi benedico con il caro Padre Maestro, e che tutti, per grazia di Dio, ci possiamo trovare riuniti in Paradiso. Anime, anime, anime! Gesù è venuto per le anime, tutte le anime.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6913/BB Verona, 14-7-1951

Per amor di Dio, specie noi Poveri Servi, guardiamo di farci santi per mezzo dello spirito puro e genuino dell’Opera, che Gesù ha messo come fondamento: “Quaerite primum…”.

Satana ha paura della santità; e solo la santità può salvare il povero mondo in quest’ora.

Pregate per il vostro Padre, che di cuore vi benedice

In C. J. Sac. J. Calabria

* 8881 Verona, 25-9-1951

Miei cari ed amati Novizi,

la grazia la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi. Mi si sprigiona come un’onda di santa allegrezza pensandovi nei santi Spirituali Esercizi, dove siete entrati come in un Cenacolo, per attendervi una Novella Pentecoste, e uscirne a guisa degli Apostoli trasformati in altrettanti Cristi e Vangeli viventi, quali esige la grave ora attuale. Pensate che dal modo come fate questi Esercizi può dipendere in grandissima parte la santificazione vostra, della Congregazione alla quale avete la grazia di appartenere e del mondo.

Mai come adesso la povera umanità guarda a noi, e se non siamo come Gesù ci vuole, a chi mai potrà indirizzarsi per avere salvezza?

Fate dunque tesoro di questi santi e benedetti giorni; il Signore seminerà largamente per mezzo del suo santo ministro, ma ricordatevi che non basta il seme buono, ma occorre anche il buon terreno, ben arato e fecondato dalla preghiera e dal sacrificio. Solo così questa divina semente darà il suo frutto a suo tempo, perché anche il Signore, miei cari Novizi, ha i suoi tempi.

Quanto so e posso vi raccomando lo spirito puro e genuino dell’Opera; forse sarete stanchi di sentire questi continui ritornelli: buseta e taneta, come cenci, come creta, disposti a tutto, a sospendere; io dico spesso: Non tutti i sacerdoti sono santi, ma tutti i santi sono sacerdoti. Per me il fratello che scopa è come il sacerdote all’altare: tutto è grande dinnanzi a Dio, purché si faccia tutto per Lui, con l’unica mira di piacere a Lui.

Vi ho detto che l’ora è grave, è l’ora di Satana, ma è anche l’ora del Signore. Il Signore vuole trionfare, vuole compiere dei nuovi, grandi disegni, e li compirà per mezzo di noi, suoi Poveri Servi, a patto che viviamo lo spirito puro e genuino che Gesù Benedetto ha messo fin da principio.

In Cielo Dio ha gli angeli per servi suoi, noi dobbiamo essere gli angeli della terra, sempre pronti ad ogni cenno, ad ogni distacco, per fare la santa volontà di Lui! Certo gli Angeli non fanno fatica, essi sono già beati, e non hanno il peso della materia, sono puri spiriti; noi invece dobbiamo lottare e combattere; ma il Signore è con noi, e ci dà la sua luce, la sua grazia e consolazione perché possiamo perseverare fino alla fine ed essere salvi.

Vi porto nella mente e nel cuore; vi raccomando tanto di pregare per me, ne ho estremo bisogno per essere pronto al grande, divino rapporto; nella mia povertà vi benedico tutti più con il cuore che con la mano.

Vostro povero Padre

in C. J. Sac. J. Calabria

* 5614/Q 24-9-1953

Carissimi figliuoli,

la grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre nei nostri cuori.

Questa mattina siete venuti da me per ricevere la benedizione, prima di fare il vostro ingresso nel santo Noviziato, luogo veramente santo, dove la vostra cura prima e principale deve essere quella di attendere alla vostra santificazione personale.

Di certo non pensavo, mentre mi eravate innanzi e io vi stavo parlando nel nome del Signore, di far seguire questa lettera, perché vi accompagnasse nel vostro anno santo di Noviziato, Ciò non l’ho mai fatto con gli altri; il Signore me lo ha ispirato per voi.

In questi momenti così difficili per tanti motivi, la vostra chiamata da parte del Signore riveste un’importanza grandissima e particolare,

Il Signore vi ha chiamati, taluni ad essere suoi Ministri, e gli altri ad essere Fratelli, e gli uni e gli altri in questa santa Opera; ma ricordatevi che Sacerdoti e Fratelli devono essere una cosa sola, un’anima sola, tutti uniti nel servire il Signore, nel portarlo alle anime.

Vi raccomando, per carità, corrispondete sempre alla grande grazia che il Signore vi ha fatto. Confidate solo in Lui, state attaccati a Lui solo, perché, se grande è la vocazione che Egli vi ha dato, grandi saranno anche le battaglie che il demonio scatenerà contro di voi, perché egli è furibondo contro quest’Opera e i suoi membri.

State di buon animo; le prove sono inevitabili, ma se voi camminerete sempre con Gesù, tutte le supererete, traendone anzi un grande giovamento per le vostre anime e, per riverbero, anche sull’Opera.

Vi torno a raccomandare le pratiche di pietà, la vita interiore intensamente vissuta, l’apertura schietta con il vostro caro Padre Maestro: siate con lui acqua cristallina, vedete nella sua parola la volontà del Signore a vostro vantaggio spirituale; approfittate di tutte le occasioni, anche delle più piccole (poiché le grandi cose sono fatte di piccole cose) per il vostro progresso spirituale.

Come vi dicevo, voi siete al mattino della vita, io invece sono ormai alla sera, ma spero che il Signore ci dia la grazia di ritrovarci tutti insieme, passato questo terreno pellegrinaggio, come io ormai da tanti e tanti anni vado pregandoLo – ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum, – a sperimentare ancora meglio quanto dolce e soave è il Signore con chi Lo ama e cerca di farLo tanto amare.

Più col cuore che con la mano benedico voi, le vostre sante intenzioni di bene, i vostri cari, il caro Don Murari e tutti della cara Casa di Ferrara.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre preghiere, di cui ne ho tanto bisogno e di quelle di tutti i fortunati abitatori della cara Casa.

Non dimenticate mai questo giorno, che segna per voi, in un certo senso, I’inizio di una nuova vita, e il fervore che oggi avete per il servizio del Signore, vi accompagni per tutta la vostra vita.

Di nuovo vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 5614/R 20-8-1954

Miei cari ed amati Figliuoli, Novizi di Ferrara,

la grazia e la pace di Gesù benedetto e la protezione della cara Mamma Immacolata siano sempre con Noi.

Ringrazio la cara Madonna delle grazie tutte particolari che vi ha fatto in questo Suo Anno, che è stato l’anno del vostro santo Noviziato: siatene grati per tutta la vita, e lo sarete poi per tutta la beata eternità.

Poco tempo vi separa dalla vostra consacrazione al Signore con la Professione di Poveri Servi: intensificate la vostra preghiera, perché tutti abbiate questa grazia e tutti abbiate la corona di gloria che la cara Mamma Immacolata vi aiuta ad intrecciare.

State bene attenti alle arti del nemico: vorrebbe rovinare il disegno meraviglioso che il Signore ha su ciascuno di voi; lasciatevi condurre dal Signore, seguite Gesù sotto il manto materno della cara Mamma celeste, fatevi santi e grandi santi: sarà la vostra fortuna e la vostra felicità in terra e poi nel santo Paradiso per tutta la beata eternità; e sarà la fortuna dell’Opera e delle anime che avvicinerete.

Fatevi santi: ecco il grande segreto per fare del bene e del gran bene; ricordate che tutto il resto senza la santità, è un bel niente, e il nemico ne ride, e tutto serve per abbellire la vanità, se manca la santità.

Cari ed amati Figliuoli, vivete lo spirito dell’Opera: è lo spirito che ci ha dato Iddio, è la condizione per fare del bene, per santificarci e santificare; ricordate che vi sono tante maniere di fare il bene: per noi l’unica maniera è vivere lo spirito puro e genuino dell’Opera.

Pregate tanto per me, aiutatemi a capire ed a valorizzare il dono che il Signore mi fa della sofferenza, e questo per la mia povera anima così vicina al grande rendiconto e per l’Opera di Dio.

Vi benedico più col cuore che con la mano ed invoco copiose grazie di santificazione per tutti e per ciascuno in particolare, e la grazia delle grazie, la santa perseveranza nel servizio di Dio e dei più bisognosi ed abbandonati.

Ricordate che tutto è grande se fatto con grande amore e generosità: e che sarete ben contenti della mercede che il Signore vi darà.

Viviamo e vediamo le cose e gli avvenimenti sempre al cospetto di Dio, e pregate sempre per il vostro Padre, che vi porta nella mente e nel cuore e che per voi e per ognuno vive, prega e soffre,

Vi benedico ciascuno in particolare.

Vostro in C. J. Sac. J. Calabria

* 5632 ESORTAZIONE AI NOVIZI

Sono solito, di tanto in tanto, scrivere sul libro che è dedicato a voi, la mia povera parola che parte del cuore e che deve essere monito e via, per la salute dei miei cari Fratelli Novizi, che nel periodo del santo noviziato sono tutti intenti alla propria santificazione, studiando per poi vivere, lo spirito puro e genuino dell’Opera dei Poveri Servi, che è, ricordatelo bene, il segreto divino, perché l’Opera compia tutti quei grandi e nuovi disegni che la Provvidenza, da tutta l’eternità si degnerà di compiere.

Ma questa volta, quello che scrivo, mi pare che il Signore lo voglia in modo tutto particolare, e per questo prima ho invocato il lume dello Spirito Santo, perché Lui mi detti quello che più torna a vantaggio delle vostre anime, e per il bene e la stabilità di questa grande Opera del Signore.

Amati e cari fratelli Novizi, fin da principio dell’Opera, anzi prima che ancora nascesse, quando giovane Sacerdote leggevo nella Santa Messa le divine parole del Vangelo: “Sine saculo et sine pera” e le altre “quaerite primum…”, mi facevano e mi fanno una grande impressione. Forse quello era il germe che il Signore gettava per lo spirito della nostra Opera, e ho sempre sentito che quest’Opera è grande nella mente di Dio, che deve poggiare sul granitico fondamento: “quaerite primum regnum Dei”.

Vi raccomando di scolpirvelo bene nella mente: “Cerchiamo il santo regno di Dio”. Questa è parola divina e non può mai venir meno. Tutto il resto verrà , se vi sarà bisogno, anche con dei miracoli.

E per questo ho detto che l’Opera dei Poveri Servi è grande nella mente di Dio, e lo sarà sempre, specie nell’ora attuale, ma sta a noi collaborare con il Signore.

Quale fortuna [poter] vivere lo spirito puro e genuino, il quale consiste, come tante volte vi ho detto: nell’essere creta, cenci, disposti a tutto, considerando che tutto è grande nell’Opera di Dio, vivendo la vita della fede, non avendo di mira altro che la salute delle anime, di tutte le anime, nel modo che il Signore andrà [gradatamente] dimostrando [per mezzo] delle Sante Regole e attraverso [il richiamo] del custode o casante, che al presente è il povero [vostro] don Giovanni.

Ma ricordatelo bene, il Signore, anche a chi verrà dopo di me,[e sempre], darà lumi e grazie tutti particolari, e questa sarà la prerogativa e la caratteristica dell’Opera. Ascoltatelo sempre con fede e vedetelo con cinque dita più alto della fronte, obbedendo non sbaglierete mai.

Il casante non avrà il dono dell’infallibilità, potrà sbagliare e sbaglierà, ma voi non vi sbaglierete obbedendo, e al Signore potrete dire, ciò che Ugo di S. Vittore: “Si ego erravi, tu Domine decepisti me quia oboedivi”. L’Opera è grande se sarà piccola, e ricca quando sarà povera; non protezioni umane, avrà sempre la divina protezione, quando non si cercherà la protezione umana. Nessuna angustia per diffondere, estendere quest’Opera, il volerla troppo diffondere sarebbe più di danno che di vantaggio. Io ho paura dei molti, i pochi formeranno i molti, e la Provvidenza stessa ci segnerà le vie. E quando sarà per la Sua maggior gloria e per il bene delle anime, state sicuri che vi aprirà nuove porte, ma sempre, sempre con lo spirito puro e genuino.

Non cercate protezioni umane; queste sono necessarie, e se sarà bisogno, la Provvidenza le darà a tempo opportuno, e per queste persone che si adoperano per l’Opera, sarà un segno di predilezione da parte di Dio.

Guardate di essere uno solo: Sacerdoti e Fratelli, una sola persona; questa è la volontà di Dio, e tutto sia nella profonda umiltà, nascosti, nascosti. Dio, quando sarà di bisogno, vi metterà anche sul candelabro, ma voi non lo cercate mai.

Per quanto so e posso, vi raccomando la vita interiore, date una grande importanza alle pratiche di pietà, siate prima conche, per poi essere canali. Tenetevi sempre uniti a Gesù Cristo, tralcio e vite, solo così potrete compiere la santa volontà di Dio…

Cari miei fratelli Novizi, queste parole meditatele. Mi sono sgorgate, mi vengono dal cuore, e se le custodirete, e se tutti i membri dell’Opera le custodiranno, vi assicuro che l’Opera è assicurata e che nessuna forza umana, nessun nemico la potrà distruggere, e sarà il ricco patrimonio che fruttificherà: anime, anime, salvezza delle anime.

Deh, amatela, amatela tanto questa vostra Madre, che è la Congregazione dei Poveri Servi, amatela come i vostri genitori, e ancora più, perché è creatura divina, proprio divina; noi non siamo altro che poveri servi, di noi non ci dobbiamo curare.

Noi dobbiamo sparire, solo l’Opera, l’Opera, l’Opera deve vivere, e vivere come vi ho detto, con questo spirito; se non sarà così, morirà, e morirà per colpa nostra. E che sarà di noi chiamati dal Signore se non corrisponderemo…

Fratelli novizi, auguro che quello che vi ho detto sia da tutti praticato, giorno per giorno della vita, per santificarvi in morte, e udire quello che anche altre volte così vi dicevo: che (per) il religioso fedele, sul letto della sua agonia, vedrà Gesù Cristo mite e festoso che lo rimunererà.

* 3474 [Senza data]

Carissimi,

Se sapeste come prego e come desidero vedervi.

Unisco le mie sofferenze alle vostre.

Facciamo olocausto a Dio e speriamo in bene.

Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 9046 [Senza data]

Cari i miei Novizi,

A voi “genus electum”, mando queste poche parole che ho mandato ai nostri Fratelli. Son certo che il Signore benedirà la lettura, e le vostre anime di Novizi si matureranno per la santità personale e per l’Opera alla quale aspirate. Quanto ho bisogno di preghiere.

Vi benedico.

in C. J. Sac. J. Calabria

* 9046/A [Senza data]

[Novizi]

Ogni vostra azione, sia santificata dal vostro spirito. Come vi ho detto, l’Opera è una madre, che deve generare tanti figli spirituali, quante sono le opere che nasceranno.

Voi siete i primogeniti di questa madre.

Tutti voi sarete messi, portatori del Signore in un terreno nuovo; dove le genti, i popoli, le anime verranno in numero, senza numero, a cogliere i frutti, che voi con la divina grazia darete. Non vi dico altro, siate luce nelle tenebre, tutto vedete nella luce di Dio; in chi, nel nome di Dio, sempre prega e vi ricorda.

Beati voi, felici voi.

Pregate per me. Ricordate per me, cari Novizi e tutti vi aspetto in cielo.

* 9046/B [Senza data]

Sono sempre le medesime parole, vuol dire che vi devono servire per il fondamento, il noviziato. Grande è l’Opera, grandi sono i divini disegni. Finora non è altro che il principio, ma dipende da noi.

Se è lecito paragonare fede, abbandono, umiltà, carità, regola certa e pegno per tutti i Religiosi di questa grande Opera: è questa la fisionomia speciale.

Le opere come le facciamo, tutti unitissimi(?) ma ugualmente disposti a tutto, perché tutto è grande dono nella casa di Dio. Oh come in questo punto dovete ascoltare il vostro Padre…

Vi assicuro questo… Lo studente e l’aspirante fratello, quelli che la Provvidenza vuole qui nella casa, devono fin da principio corrispondere. Ripeto, grande è il dedicarsi(?) per dei Sacerdoti, ma altrettanto grande quello dei Fratelli.

Deve essere riconoscente a Dio (?)… della Grazia Celeste(?).

Oh, come su questo punto insiste il Santo Padre… l’ora presente è, diremo, ora di croce e miserie, è ora di afflizione. Satana si è camuffato, è nemico in agguato, e questo deve essere. …

Sacerdoti speciali, non soltanto per il ministero santo di Dio, ma per quello che vorrà il Signore, in unione con il Fratello. Se uno non si sente, è meglio che se ne vada, perché per conto mio, non ha il segno della Chiesa di Dio, e cari fratelli dell’aspirantato, lo ripeto, siete aspiranti fratelli speciali.

Ho detto in principio che siamo all’inizio ed è così. Miriamo …. devono essere umili, e poi per essere umile, il religioso deve sempre mirare con lo spirito, e seguire umilmente Gesù.

AGLI ASPIRANTI POVERI SERVI

* 7043 [Senza data]

[Agli Aspiranti Fratelli Poveri Servi.]

Carissimi Aspiranti,

Un pensiero speciale per voi e una particolare benedizione che vi renda contenti e forti nella via che per grazia speciale avete intrapresa, calcando le orme che Gesù Benedetto ha tracciato durante la sua vita, e praticando il suo Vangelo a gloria di Dio, e a bene delle anime in questa grandissima Opera. Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 5437 9-4-1939

Ai miei Cari aspiranti, perché con la grazia del Signore, aspirino al monte della santità in terra per essere poi, eternamente beati in Cielo.

Pregate per me. Vi benedico tutti,

in C. J. Sac. J. Calabria

* 5437/A 15-9-1952

Ai cari Aspiranti, amato don Luigi legga queste mie povere parole sgorgate dal cuore, preghi, preghi per me.

[Scritto sulla busta della lettera seguente?]

* 5925 Addolorata [15-9] 1952

Ai miei cari aspiranti della Congregazione dei Poveri Servi.

Giorno questo tanto caro per voi, cari i miei aspiranti perché sotto la protezione della Vergine Addolorata, siete qui a S. Benedetto raccolti per studiare e vedere la vostra vocazione, per amor di Dio corrispondete a tanta grazia, e nella preghiera, nello studio nel mantenervi in grazia di Dio conoscerete quello che Dio domanda da voi.

Cari figlioli, siete aspiranti per ora siate aspiranti di essere veramente buoni giovani, aspiranti alle virtù. Siate umili, puri e schietti, sinceri con i vostri Superiori e Dio parlerà. Lo Spirito Santo vi illuminerà su quello che vorrà il Signore; alla voce del Signore corrispondete, se il Signore vi dà la grazia di essere un giorno Poveri Servi, veramente poveri servi, avrete in mano il passaporto per salvare le vostre anime.

Io prego per voi (offro) anche le mie sofferenze, e voi pregate tanto per me, il tempo passa, tutto è niente se non salvate le vostre anime nello stato che il Signore vi chiamerà.

Vi benedico

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6906 9-3-1953 ore 20 da S. Zeno in Monte

Ai miei cari Aspiranti di S. Benedetto, sento di scrivere, currenti calamo, queste mie povere parole che mi pare siano dettate dallo Spirito per voi miei cari aspiranti.

Aspiranti: per amor di Dio corrispondete alla grazia grande che Gesù vi ha fatta mettendovi fra gli Aspiranti. Pensate prima di tutto a santificare le vostre anime per mezzo delle grazie grandi che lo Spirito Santo vi darà. Studiate, vivete lo spirito puro e genuino. Siate luce di buon esempio dove la Provvidenza vi manda. Oh, se queste grazie che avete voi le avessero tanti poveri giovani che si trovano in mezzo al mondo che oggi nuota, si può dire, nel male, come ne farebbero tesoro.

Leggetemi nel cuore tutto quello che vi vorrei dire e raccomandare, immaginate come per voi prego. E nelle vostre orazioni, pregate tanto, ma tanto per me.

L’ora attuale ci chiama tutti, specie noi alla vera santità, fatevi santi e solo così potrete compiere la vostra missione e vocazione nel posto che Dio vi darà. Pensate che tutto è niente, meglio direi, peggio di niente, se non salveremo l’anima.

Vi raccomando le vostre regole, vivetele e pregate per me che tutti benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6907 16-3-1953

[Agli Aspiranti Religiosi dei Poveri Servi]

Amati Figlioli,

La grazia e la pace del Signore siano sempre con noi. Ho letto ai piedi del mio crocifisso i bei pensieri ed i santi propositi espressi nella vostra lettera. Prego ed offro le mie sofferenze, perché non solo siano scritti sulla carta, ma perché rimangano bene impressi nei vostri cuori; e questo per bene delle vostre anime e perché possiate compiere la divina volontà piena ed intera, sempre secondo la manifestazione che ve ne farà il Signore attraverso i vostri Superiori e chi dirige le anime vostre.

Il Signore renda efficaci i vostri santi propositi, e vi benedica per il conforto che avete portato al mio cuore. Continuatemi la carità grande dell’aiuto delle vostre preghiere, ne ho tanto bisogno: e che tutti ci possiamo poi riunire per sempre nel santo Paradiso, nostra Patria.

Dio benedica tutti e ciascuno col nostro amato don Becherini e tutti coloro che vi assistono.

Una particolare preghiera per chi sarà chiamato a farsi e vivere da Povero Servo. Quale grazia e quale fortuna per chi corrisponderà. Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6907/A Giugno 1953

Miei cari, anzi carissimi,

Dio solo sa come prego, come vi ricordo.

Nella luce del Signore, con la fede, le vostre prove sono doni e ricchezze per voi, per le anime, per compiere i divini disegni. Oh, l’Opera, quale vita e diffusione voi darete, con le vostre croci!

Quanto ho bisogno di preghiere per me e per l’Opera. Di cuore vi benedico

in C. J. Sac. J. Calabria

* 4505/L [Senza data]

I.M.I. [Esortazione agli aspiranti religiosi Poveri Servi.]

Amatissimi nel Signore,

godo e ringrazio la Divina Provvidenza che mi concede la grazia di dirvi una parola, come mi sgorga dal cuore, a voi miei cari figliuoli, che siete appena tornati dopo di aver goduto, usufruito di un altro grande beneficio, quale è quello di avervi mandato per alcun tempo a riposare e respirare le arie balsamiche della montagna. Oh, come dovete essere grati e riconoscenti alla Provvidenza, per le continue grazie, per i continui favori che senza interruzione elargisce, pensa alle vostre anime e poi anche per i vostri corpi.

Cari figlioli, guai a voi se non corrispondete a tanto amore da parte di Dio. Guai a voi, se non vivete come vuole che viviate il Signore, con quello spirito e abbandono, che è programma speciale e vita dell’Opera dei Poveri Servi della Divina Provvidenza. Non è mai detto e ridetto abbastanza, o cari, che voi siete dei figlioli trattati da Dio e coltivati da Lui, in modo tutto particolare.

No, non siete come i figlioli di altre Opere. Quest’Opera, nei disegni di Dio, ha una fisionomia tutta speciale, e questa fisionomia tutta speciale siete voi che la dovete dare, con la vita tutta particolare, specie un continuo e grande amore a Dio, una fede grande in Lui, e un pieno e totale abbandono alla sua Provvidenza. Oh cari, se voi, se noi saremo e vivremo di questo spirito, l’Opera dei Poveri Servi metterà profonde radici e diventerà albero gigante che distenderà i suoi rami fino ai confini del mondo. Ma questo è legato a noi, alla nostra cooperazione, alla nostra vita e vocazione tutta speciale.

Ricordiamolo bene, ricordiamolo sempre, non è il numero che fa, ma è la qualità del numero: pochi ma buoni, ma virtuosi e quelli formeranno i molti. Guardate adunque di essere figlioli di prima qualità. Un figliolo che vive svogliato, che non sente una grande fede in Dio, e un grande amore per Lui, che non dà importanza alla vita interiore, che non desidera il proprio avanzamento spirituale, che non ha confidenza con i propri Superiori, che non ama di essere in questa Casa, per conto mio, può andarsene, non ha vocazione e pertanto qui farebbe la sua e altrui rovina. Ho detto questo, ma in massima, perché la tentazione, la prova è necessaria, ma deve essere prova e tentazione che parte dall’amore di Dio, che tenta, che prova, perché ama.

Oh, se noi viviamo con lo spirito della nostra Opera, vi assicuro che godremo qui il Paradiso in terra, perché: “pax multa diligentibus”.

Figlioli, domandiamo sempre l’amore di Dio: “Signore dammi il tuo amore, fa che io ti ami” perché, o cari, con l’amore di Dio, tutto si vince, tutto si supera. Non vi sono lotte, prove, battaglie che non superiate.

“Ama e fa quel che vuoi”.

Quando abbiamo dei giorni tristi, delle ore oscure, delle tentazioni, vogliamo rimanere continuamente nella luce dell’amore di Dio? Diciamo al Signore: “Io ti amo, ti amo”. Ricordatevi che noi, l’umanità tutta, è figlia dell’amore: ogni cosa creata ci parla di amore. Dove regna l’amore, la carità, non alligna il male, la discordia, in un animo che è unito a Dio con l’amore.

Quanto più questo amore di Dio, regna in noi, tanto più la nostra volontà si sottomette alla sua divina Volontà e dice: “Signore, Signore sia pur dura la prova, non la mia, ma la vostra volontà”. Ed ecco che si è sereni nella lotta, nelle cose contrarie, nelle prove, perché si sa che partono sempre dall’amore di Dio. Cari figlioli, santificazione nostra, e bene e diffusione dell’Opera, sono così strettamente legate fra di loro, che una senza l’altra, cadrà. Ricordiamoci che le altre opere hanno dei sussidi ed aiuti che noi non abbiamo, ma noi dobbiamo avere i sussidi e gli aiuti di Dio, che sono sempre rinchiusi in quelle grandi e sublimi parole: “Cercate il santo regno di Dio”.

* 6907/B [Senza data]

[Prefazione alle Regole per gli Aspiranti]

Carissimi figlioli,

quale grazia è la vostra di essere stati accolti in questa Casa di formazione, Casa tutta di Dio, che il Signore ha suscitato per voi. Guardate di essere riconoscenti al Signore per tanta bontà. Quanto sento di amarvi nel Signore e quanto prego per voi, perché corrispondiate.

O miei cari, corrispondete per amore di Dio; mettetevi con tutta la buona volontà all’impegno di osservare fedelmente queste Sante Regole, per diventare quali vi vuole il Signore.

Voi avete una grazia grande nel trovarvi in questa Casa: siate all’altezza del dono di Dio. Siate sinceri ed aperti con i Superiori. Acoltateli sempre: Vedete in loro la guida per la vostra riuscita.

Se attendete a trafficare i doni di Dio, ad arricchire la mente di scienza nello spirito di umiltà e a rafforzare il cuore nell’esercizio della virtù, avrete fatto una buona parte di lavoro. Ma ricordatevi pure che occorre l’aiuto del Signore, perciò siate assidui e devoti alla preghiera; accostatevi bene ai Santi Sacramenti, amate il Signore che tanto vi vuol bene.

Quando sentite in voi la lotta e le difficoltà per il bene, ricorrete subito al Signore che vi darà lumi e grazie speciali per vincere. Siate devoti della Madonna, nostra Madre Celeste, sempre pronta a soccorrere chi in Lei confida. In tutto questo voi dovete immedesimarvi per farne poi parte agli altri, nella vocazione a cui siete destinati.

Voi, facendo bene qui, osservando fedelmente le vostre Sante Regole, porterete grande giovamento anche ai vostri cari e alle anime. Sforzatevi dunque di far bene, di farvi santi, per essere un giorno, se al Signore piace, strumenti docili e degni di fare del bene a tanti altri. Aiutatevi l’un l’altro a diventare migliori. Ricordatevi che nessuno può rovinare l’Opera se non voi stessi col peccato.

Siate osservanti delle Sante Regole e avrete il grande onore di assicurare l’Opera, di dilatarla, così che possa allargare le sue tende a vantaggio di tanti e tanti altri che aspettano la salute. Vedete, miei cari, quale onore è il vostro e quale responsabilità!

Amate le vostre Sante Regole, amate la Casa, la vostra Casa di formazione, amatele tanto , tanto; amatele come si ama il padre e la madre. Beati voi!

Fate tesoro di queste mie povere parole per il vostro bene e per il bene dell’Opera. Pregate tanto per me, che ne ho grande bisogno

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8708 [Senza data]

Ai miei carissimi fratelli aspiranti,

In questo vostro santo giorno, prego in modo tutto particolare il gran Patriarca S. Giuseppe che tutti vi tenga sotto il suo paterno patrocinio per crescere e vivere sempre più lo spirito puro e genuino di questa grande Opera che sarà per le vostre anime sicuro patrimonio per conoscere e fare la divina Volontà nel breve nostro esilio e poi premio eterno in Paradiso.

Vi sono più che vicino e di gran cuore vi benedico, pregate tanto per me e per l’Opera grande di Dio.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 2555 [Senza data]

Esortazione agli aspiranti religiosi.

Quanto tempo, quanti anni che io, povero casante di questa grande Casa, o direi meglio, di questo palazzo del Signore, vo’ dicendo, specialmente a Voi, miei cari confratelli, che questa è una grande Opera, che il Signore ha dei disegni da compiere e che certo li compirà, se noi tutti saremo strumenti docili, umili, come tanta creta, pieni di fede, di amor di Dio, non avendo altro di mira che la sua maggior gloria, la diffusione del suo Regno e il bene, la salute delle anime.

Cari fratelli, lo siamo noi come ci vuole il Signore? Che grande pensiero è questo.

Forse per colpa mia. perché io con la mia condotta ho contristato la Santa Volontà del Signore, (se) questa Opera ha deviato, ha fermato il piano del Signore.

Oh cari, mettiamoci ancora una volta, una mano sul cuore poi nel silenzio, nella meditazione, ai piedi del Santo Tabernacolo, facciamo un esame per vedere se siamo come Lui, il Signore ci vuole.

La santificazione nostra, la presente nostra santificazione è necessaria, per santificare quest’Opera di Dio?

Lo siamo noi santi?

Attendiamo alla nostra santificazione? Questo è il capitale unico di quest’Opera.

Voi siete dei giovani privilegiati, ricordatelo bene, fu il Signore, che con vie tutte particolari, vi ha condotto qui nella sua Casa, e da parte sua, ve lo assicura il Signore, sembra coprirvi di grazie, di aiuti speciali.

Per amore di Dio corrispondete. Tutti sanno che siete nella Casa del Signore, tutti vi guardano e aspettano da voi, la luce del buon esempio.

Ma prima di essere luce per gli altri, dovete essere luce per voi medesimi.

Siate virtuosi, osservate le vostre Sante Regole, nei vostri Superiori vedete tanti padri, abbiate in loro tutta la fiducia e la confidenza. Se sbagliate, umiliatevi, non scoraggiatevi, rialzatevi subito e dite di voler essere tutti del Signore.

Pregate per me sempre, io prego per voi, e che tutti ci possiamo, un giorno, trovare in Paradiso.

In C. J. Sac. J. Calabria

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DON CALABRIA – Lettere collettive ai suoi religiosi

LETTERE COLLETTIVE DI DON CALABRIA AI SUOI RELIGIOSI

* 6481 Verona 24-12-1909

Fratelli dilettissimi,

Se non fossi stanco, verrei io stesso per farvi i più sinceri e più cordiali auguri per la festa del Santo Natale. Che gran festa è per il Cristiano, la festa di domani, ma per noi questa festa ha un carattere più grande, più significativo, segna un principio di una nuova vita spirituale tutta propria, diretta al bene delle anime, che la Divina Provvidenza si è degnata di affidare alle nostre cure. Fratelli carissimi, mio don Diodato, stringiamoci tutti attorno alla grotta di Betlem e diciamo al Divin Infante, che vogliamo proprio consacrarci a lui, tutto sacrificare per la sua gloria e per il bene delle anime. Questa, o cari fratelli, è la Divina Volontà, questo è il fine per cui Gesù Benedetto ci ha uniti insieme. Miei fratelli, noi siamo uniti con il dolce vincolo della carità, la carità adunque regni sempre nella Casa del Dio della Carità.

Questa carità la raccomando tanto a tutti.

La carità è l’unico mezzo, perché questa casa regni e si diffonda. In questi giorni ho pregato tanto Gesù, perché mi conceda la grazia di sapere cosa è che giova alla Casa, alle nostre creature e vel confesso, mi sono sentito al cuore questa voce: bontà.

Carità adunque fra voi, fra noi, compatiamoci a vicenda, usiamo sempre bella maniera, carità, carità coi nostri ragazzi, che vedano, che capiscano che siamo mossi unicamente per loro amore.

I castighi siano rari, prendiamoli dal cuore, perché questa è la Volontà di Dio e, quando sono puniti, vedano, capiscano i nostri ragazzi che siamo addolorati più noi, nel dare il castigo, che loro.

Vi raccomando poi le pratiche di pietà, una devozione speciale alla Divina Eucarestia. Oh sì! A Gesù che noi abbiamo nella nostra Casa diciamo tutto, proprio tutto. Anche l’osservanza delle regole vi raccomando o cari fratelli, e poi avanti, avanti con allegria, perché siamo nella Casa del Signore.

Don Diodato, miei fratelli, umiliato ai vostri piedi domando perdono di tutto e colla grazia di Gesù Bambino, prometto di cominciare una vita buona e santa.

Buon Natale, che Iddio vi faccia santi.

Imploro ogni benedizione

dev. in C. J. Sac. J. Calabria

* 6282 18-6-1911

Miei cari Fratelli

Una parola, tale e quale mi nasce spontanea, rivolgo a voi o miei cari Fratelli, e la parola è questa: Fortunati voi che siete nel numero di quelli che il Benedetto Gesù predilige in modo speciale, sì o cari fratelli me lo sento proprio, il Signore per mezzo vostro, con l’ascoltare questo povero prete, vuol fare cose grandi, e a gloria sua e a bene delle anime, e a santificazione dell’anima vostra. Per amor di Dio, per amor di Dio, cooperate. Vi raccomando le vostre Regole, guardate di osservarle; quando vi sentite annoiati, stanchi, su, su, in alto il vostro sguardo, mirate Gesù, pensate a Lui, e dite: ancora poco e poi Eterno godere.

Dio mio che rovina di anime, che società triste. E voi, nei disegni di Dio, la dovete salvare, e come? Studiando Gesù, studiando e praticando la vita degli Apostoli; cari fratelli,. pregate tanto per me, ascoltatemi, compatitemi e ci troveremo contenti, procuriamo di essere tanti cenci e in questo modo faremo cose grandi.

Implorando ogni bene mi dico in Corde Jesu vostro,

Sac. J. Calabria

* 8091 Verona – S. Mattia 18-12-1918

Ai miei carissimi e dilettissimi Fratelli nella prossima gran festività del Santo Natale.

Miei carissimi e dilettissimi Fratelli,

Come ringrazio e benedico la Divina Provvidenza che mi ha voluto, nel bisogno di ristorare un po’ la mia mal ferma salute e mi ha condotto fuori dalla casa, qui nel silenzio per concedermi la grande grazia di scrivere, qui ai piedi del Crocefisso, queste mie povere parole che dicono tutto il mio grande amore per voi, per le anime vostre, per la Casa, alla quale noi tutti, per puro tratto speciale di misericordia di Dio apparteniamo.

Quante cose, o miei cari Fratelli vi vorrei dire in questi santi giorni che precedono la gran festa del Santo Natale, quante raccomandazioni vi vorrei fare in nome del gran Padrone che regge e governa con Provvidenza tutta particolare questa sua Casa, che Lui e non altri ha fondato, ma io sono tanto povero di tutto, e voi lo sapete, questa povertà non vi impedisca di ascoltare queste povere parole, tali quali mi nascono spontanee dal cuore, perché o cari, al posto di Casante che per pura misericordia di Dio sono, il gran Padrone, Lui detta e dice quello che vuole e che torna per la sua maggior gloria, per la nostra santificazione e per bene dell’Opera alla quale noi tutti per puro tratto di bontà e gratuitamente apparteniamo.

Fratelli carissimi, per amore di Dio ascoltate e fate tesoro mettendo in pratica quanto sto per dirvi, ricordatevi che verrà un giorno, verrà un momento e questo sarà quando compariremo davanti al Divin Giudice, che dovremo tutti rendere strettissimo conto e guai a noi se avremo lasciata cadere questa semente, perché o cari, dall’osservanza o meno, teniamoci bene a mente che dipende la nostra felicità o infelicità eterna, ma io spero, anzi mi tengo sicuro, che con l’aiuto del benedetto Gesù e per intercessione della Vergine Immacolata le osserveremo fino alla fine e ci serviranno come di tessera per andare in paradiso, cominciando da adesso, subito, in questi santi giorni che precedono il Santo Natale a metterci all’impegno nell’esatta osservanza.

Miei cari fratelli, io ho la coscienza di averlo tante volte detto e ridetto, che questa è una gran Casa e sono beati coloro che l’abitano, perché se vivono bene, se corrispondono alla speciale vocazione hanno assicurata la loro beata eternità.

Fratelli, noi non abbiamo divise, non abbiamo insegne, perché per noi il gran Padrone non le vuole, ma teniamoci bene a mente che la nostra insegna, la nostra divisa deve essere la pratica del Santo Vangelo; la nostra vita deve essere un continuo libro aperto dove tutti possano leggere e imparare delle grandi e divine lezioni, non soltanto qui nella Casa, ma anche fuori nel mondo. A tutti, con la grazia di Dio, dobbiamo esser e luce e sole, noi ci chiamiamo e siamo tutti Fratelli. Oh, che bel nome non è mai questo! quante cose ci dice questa bella, dolce e cara parola, deh! o miei cari, per amor di Dio, questa parola non venga mai e poi mai smentita nel suo significato pratico, tutti uguali, nessuna differenza, nessuna particolarità, perché tutti ugualmente chiamati dal gran Padrone, tutti sotto il medesimo tetto, tutti al medesimo lavoro, tutti per il medesimo fine.

Se avete qualche dono particolare, ricordatevi che è dono di Dio, che Lui gratuitamente ve l’ ha concesso, che ve lo può togliere e che un giorno il Signore ve ne domanderà conto, ragione, secondo il detto divino: “Chi ha ricevuto molto, deve dar molto”. Vi raccomando l’amore reciproco, trattatevi con carità, con dolcezza, con bella maniera e con reciproco compatimento, siamo Fratelli, siamo tutti in mano della Divina Provvidenza. Provvidenza, oh quanto è bella questa parola per tutti i cristiani, ma in ispecial modo per noi che siamo suoi figli prediletti ed ha per noi delle particolarità tutte proprie, come proprie e particolari devono essere le virtù che ci distinguono.

Viviamo, o cari, come cenci, come creta in mano della Divina Provvidenza, le temporalità, i mezzi umani neanche pensarci, perché sono cose in aggiunta che ci dà la nostra buona Mamma, Divina Provvidenza, a patto che noi cerchiamo il Regno di Dio e la sua giustizia. Se noi staremo a questo programma faremo sbalordire il mondo tutto.

In questa Casa nessuno è necessario, la Provvidenza non ha bisogno di nessuno, ovvero ha bisogno che siamo umili, che siamo cenci, che siamo senza testa, disposti non a parole, ma a fatti, a tutto, come essere in un posto e passare ad un altro, avere quella carica e andare all’ultimo posto, quando lo dice l’ubbidienza di chi in nome di Dio regge la Casa. E giacché mi viene la parola obbedienza, lasciate o cari Fratelli, che ve la raccomandi tanto questa virtù sì necessaria per il nostro profitto spirituale, necessarissima per la vita delle Comunità. Ubbidite prontamente, ciecamente, allegramente, senza querele, senza commenti con il 3º o il 4º, senza mostrare all’esterno, nel volto, nel parlare ecc. ecc. che si è obbedito, ma a malincuore.

Molte volte chi nel nome di Dio regge la Casa, stima opportuno dare quel comando, fare quella cosa, e non lo dà, perché prevede che non si farà o che si farà mal volentieri, e per evitare questi inconvenienti è costretto a rimandare a tempi più opportuni quegli ordini, quelle disposizioni che sarebbero per la maggior gloria di Dio e bene della Casa. Fratelli cari, non impedite mai i disegni di Dio, ubbidite sempre, e ricordatevi che l’obbedienza è figlia dell’umiltà.

L’umiltà o cari, l’umiltà; deh, nelle nostre orazioni, noi Sacerdoti nella santa Messa, domandiamola con insistenza questa virtù fondamento di tutte le altre, perché o cari, senza questa virtù tutte le nostre opere, tutte le nostre azioni, tutti i nostri progetti si dileguano come neve in faccia al sole e come polvere in faccia al vento. Non perdiamo mai di vista il nostro Divin modello, Cristo Gesù. Se noi avremo l’umiltà, avremo anche l’altra importantissima virtù: la carità, che S. Paolo chiama vincolo della perfezione.

La carità o cari Fratelli, ecco la nostra livrea, ecco il nostro particolare distintivo, con la carità abbiamo tutte le altre virtù, pazienza, dolcezza, compatimento reciproco nei nostri difetti, mai dunque nessuna parola contro la carità; teniamoci a mente: comunità una volta fioritissime, andarono distrutte per mancanza di questa virtù.

Il Padrone di questa Casa è Dio, chiamato nei libri santi “Carità, Deus caritas est!” ed è impossibile che abiti dove non si conosce, non si pratica la carità.

Se per somma sventura, che il Signore tenga lontano, qualche piccolo screzio, qualche mancanza di carità col proprio fratello, ricordiamoci, o cari, di un punto della nostra santa Regola che dice di non andar a riposo senza esserci prima riconciliati, secondo il precetto del Santo Vangelo dal quale prendono il loro principio tutte le nostre sante Regole che, quanto so e posso vi raccomando l’esatta osservanza di tutte in generale e di ciascheduna in particolare.

L’assicurazione, la diffusione, la stabilità di questa santa Casa è affidata a noi, mediante l’osservanza delle sante Regole che, come voi sapete, sono norme dettate da chi in nome del gran Padrone regge quest’Opera, e guai, terribili guai se per la trascuratezza, la negligenza, quest’Opera si ferma. Fratelli, le Regole, l’osservanza delle Regole vi raccomando; nessuno ne sia dispensato se non con il permesso esplicito del Casante della Casa.

Purtroppo, o cari, nel corso del tempo passato, per un complesso di circostanze, molte delle nostre regole non furono del tutto osservate, ma con la grazia ci dobbiamo, non è vero, mettere tutti all’impegno e osservarle per non sentirsi dire al punto della nostra morte il: “Vae nobis”, e anche qui è opportuno ricordare quello che dissi parlando dell’obbedienza. Se sapeste, o cari, come è cosa dolorosa il dover richiamare all’ordine questo o quel Fratello, perché non osserva questa o quella Regola! Deh, o cari, risparmiatemi questa pena e per bene delle vostre anime, per il trionfo e la diffusione di questa grande Opera osservate, meglio osserviamo tutti, le nostre sante Regole.

Io qui vorrei venire al particolare delle Regole, ma se a Dio piacerà vi parlerò nei ritiri che farò ai Fratelli. Qui solo vi raccomando in modo tutto particolare quella regola che raccomanda le pratiche di pietà in comune, siamo puntuali, siamo esatti: la Santa Meditazione, la lettura spirituale, l’esame di coscienza, la visita al Santissimo Sacramento, dobbiamo continuamente dare, o cari, ma per dare bisogna prima ricevere e si riceve dal gran nutrimento spirituale, che sono le pratiche di pietà.

Mi raccomando la regola del rendiconto mensile e quella delle penitenze tanto preziose per la nostra anima, come pure vi raccomando che nessun cassetto sia chiuso, e caso mai fosse chiuso una chiave l’abbia il Casante di questa Casa.

Dilettissimi Fratelli, presto con la grazia di Dio ritorneranno dalla milizia i cari giovani nostri Fratelli; con la grazia di Dio, tutti ritornano pieni di santo entusiasmo, deh, noi siamo a questi cari nostri Fratelli luce di buon esempio e, tutti uniti in un sol corpo, compiamo fino alla fine i grandi disegni che Dio, Padrone assoluto ha sopra questa sua Casa, la quale è ricca, è assicurata se noi osserveremo con vero spirito e per amore di Dio le nostre sante Regole.

Carissimi e amati fratelli, mi tengo più che sicuro che tutti voi farete tesoro di queste mie povere parole; non guardate come sono dette, ma guardate il cuore dove partono e fin da questo momento vi dico: beati voi, questa Casa andrà avanti, nessun ostacolo la potrà fermare solo che manteniamo in noi quello spirito, quella forza, quella vita che Dio ha messo come base, anzi continuamente, a guisa di sole, comunicheremo questa vita, questo spirito ad altri ancora, e questi ancora ad altri e così via di seguito.

Fratelli, noi abbiamo una grande missione, Dio a noi concede, perché noi diamo. Sono tanti i poveri, sono tanti gli ammalati, sono tanti i morti spirituali, deh, noi con la grazia di Dio risaniamoli, consoliamoli, risuscitiamoli.

Fratelli cari, sempre prego, in modo particolare pregherò in questi santi giorni, e per voi, per la Casa, offro le mie sofferenze, ma anche voi ricordatevi di pregare per me, ho bisogno di gran misericordia. Stiamo uniti nella carità di Gesù Benedetto per questi pochi giorni; dividiamo assieme il pane del dolore e della tribolazione e poi tutti uniti per sempre lassù nella beata patria del Paradiso. Dal fondo del cuore vi saluto e vi faccio i miei più sinceri auguri per le sante feste Natalizie, che tutti nasciamo ad una vita tutta spirituale.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 14 18-4-1920

Ai miei carissimi ed amati Fratelli della figliale di S. Gaetano.

Miei cari vorrei, in questo momento, essere vicino anche col corpo, perché con lo spirito, con l’anima, con la preghiera vi sono sempre, per dirvi la parola del Padre che vi ama tanto e che tanto ardentemente desidera prima la vostra santificazione, per aver poi la santificazione delle anime che Gesù vi ha affidato, e il compimento dei grandi disegni che Gesù Benedetto ha sopra questa vostra casa. Compimento che è legato strettamente e solamente alla vostra cooperazione alla grazia grande che Gesù vi ha fatto, chiamandovi gratuitamente, a far parte di questa grandissima Opera, che ha per base, per principio, il Santo Vangelo.

Carissimi, per amor di Dio, per amor delle anime vostre, per il Sangue di Gesù Benedetto, fate di tutto per vivere all’altezza della vostra vocazione. Vocazione tutta propria e particolare dei tempi presenti, tempi calamitosi, tempi tristi, ma nel medesimo tempo, tempi ancora di gran misericordia da parte di Gesù Benedetto, che ha suscitato voi, o miei cari, e voi siete gli strumenti per sanare, consolare, richiamare sul retto sentiero tante anime.

Voi o cari, se vivrete bene, secondo la vostra santa vocazione, non avrete da invidiare nessuno, né di quelli che furono, che sono e che saranno grandi, al cospetto del mondo, dei re, dei personaggi di questa terra perché voi siete direttamente di Dio e in modo tutto speciale.

Cari i miei Fratelli, mano all’opera e continuate a corrispondere, vivete come cenci, con gran spirito di fede, con gran abbandono nella Divina Provvidenza, senza testa, umili, ascoltando chi nel nome del Signore regge questa vostra Casa.

Tutto dipende da voi, Dio mio, che grande responsabilità pesa sopra di voi, sopra noi, ma nello stesso tempo, che peso di gloria! prima di morire ve l’assicuro, vedrete, come S. Stefano, il Cielo aperto e gusterete anticipato il gaudio del cielo. Voi nei disegni di Dio, oltre ad essere di vantaggio spirituale e materiale alle creature a voi affidate, avete un altro compito, ricordatelo bene, ed è: essere luce, candelabro. Miei cari fratelli, tutti guardano a noi, e in noi vogliono vedere quello che Gesù ci ha dato; per amor di Dio siamo luce, luce, luce; in noi è cosa grave, sacrilegio, quello che per un secolare è cosa leggera; attenti dunque, per amor di Dio.

Teniamoci a mente che tutto passa, che la morte viene, guai a noi se in quell’ora noi ci avessimo a trovar poveri di virtù, mentre siamo stati tanto tempo nelle ricchezze spirituali. Ah, ma io spero che tutti comprenderete, non è vero? Date una grande importanza alle regole, amate Gesù e le creature in ordine, a Gesù. Regni sovrana la carità fra voi, ricordatevi che se manca la carità, l’Opera va in fumo, in rovina. Riguardo poi all’angelica virtù non ho parole che bastino per dirvi quanto sia necessaria, e che rovina, che maledizione sarebbe l’essere vittima, anche per poco, del vizio opposto. Cari i miei fratelli, ho scritto queste mie povere parole ai piedi del Crocefisso, e per bene delle vostre anime, e dell’Opera. Deh voi ascoltatele e mettetele in pratica, per amor di Dio. Pregate, pregate, pregate per me, affinché la gran misericordia di Dio mi perdoni tutti i miei peccati e che tutti un giorno ci possiamo trovare in Paradiso.

Vi benedico

in C. J. Sac. J. Calabria

* 32 17-11-1920

Ai miei carissimi e amati Fratelli della Casa Filiale di Costozza.

E’ tanto e tanto tempo che ho nel cuore di scrivere a voi o miei amati Fratelli e di dirvi nel Signore quello che mi sento, prima per il bene delle vostre anime, per la vostra santificazione e poi per lo stabilimento e la diffusione di quest’Opera di Dio, prodigio e misericordia dei tempi nostri.

Miei cari e amati fratelli, per amor di Dio, guardate di corrispondere alla grazia grandissima che il Signore vi ha fatto, chiamandovi Lui, gratuitamente a far parte di quest’Opera; speciale è l’Opera, speciale sarà il premio che il Signore vi darà, se a quest’Opera sarete fedeli. Ma se per somma disgrazia, che il Signore tenga lontano, qualcuno non avesse a corrispondere, meglio per lui non fosse entrato in quest’Opera, perché sarebbe la sua rovina e maledizione.

Cari e amati miei Fratelli, voi, noi, abbiamo ricevuto molto da Dio e, ricordiamoci bene, che molto dobbiamo dare.

Punto capitale e principale di quest’Opera è l’assoluto, l’intero abbandono nelle braccia amorose della Divina Provvidenza, dunque, miei cari Fratelli, il nostro occhio, la nostra mente, tutti noi stessi dobbiamo vedere, pensare, essere della Provvidenza, quindi intero abbandono, tutto quello che avviene, tutto quello che accade, contrattempi, prove, persecuzioni, ecc. tutto sia della Provvidenza, che ordina e permette per il nostro bene. Ricordiamoci di essere fedeli, e generosi nelle prove, perché queste sono le gran ricchezze di Dio per noi, e guai a chi non vedesse e non benedicesse la mano di Dio, che per tali vie ci purifica, ci prova, e ci rende più forti nella nostra gran vocazione.

Altro punto capitale che discende dal primo, ossia dall’abbandono nelle braccia della Provvidenza, si è l’esercizio pratico della carità fraterna, che in ginocchio raccomando, perché è la gran ruota delle Comunità Religiose in generale, e della nostra in particolare. Se volete che il gran Padrone sia sempre in mezzo a noi, e noi essere con Lui, amiamo, pratichiamo la carità. Deus Caritas est…

Lungi, lungi da noi la maledetta mormorazione, amatevi gli uni gli altri. Che nessuno si permetta mai di criticare il suo fratello, di mormorare sul suo operato, e se avvenisse per umana fragilità qualche mancanza in questa importante virtù, miei cari, prima che tramonti il sole, riconciliatevi con il vostro fratello, è una virtù tanto delicata la Santa carità e si può mancare in mille modi.

Attenti dunque o miei cari, siate un cuor solo, un’anima sola, rispettatevi scambievolmente, niente frizzi, niente insinuazioni, niente parole che possano offendere il vostro fratello. In modo speciale vi raccomando la carità, il buon esempio, presenti i ragazzi, che son qui raccolti per avere questo buon esempio.

Con l’abbandono in Dio, con la carità, vi raccomando la santa umiltà; base della santa Religione; molte volte si manca alla carità perché non siamo umili, teniamoci bene scolpito nella mente il nostro nulla, che se abbiamo qualche dote non è nostra, ma di Dio, che Dio, specie in quest’Opera, non ha bisogno proprio di nessuno, e solo gli umili adopera, e i superbi allontana e umilia; in questo non perdiamo mai di vista il nostro Modello: Cristo Gesù.

Non dimentichiamo mai le sue Divine Parole: Chi vuol venire dietro a Me, rinneghi se stesso… Se arriviamo a far morire il nostro io, siamo certi che avremo Dio. Abbandono, Carità umiltà e ubbidienza, questa sia pronta, allegra, cieca, non far niente senza domandare e dipendere da Chi fu messo dal Signore a reggere questa Casa, e Voi lo sapete è don Luigi.

Guai a quel fratello che volesse essere indipendente e fare per conto suo, questo tale si scaverebbe la fossa. Le virtù cristiane si chiamano a vicenda, e con l’umiltà, carità, ubbidienza, seguono la povertà, la purità. Fratelli cari, Gesù povero sia il vostro modello, Gesù puro, santo, immacolato il vostro esemplare. La virtù della santa purità, per quanto si dica non è mai abbastanza raccomandata. Mio Dio che grande rovina e per il Fratello e per quest’Opera, se si avesse a mancare contro la bella virtù della purezza.

Fratelli cari, vi raccomando vigilanza, vigilanza, vigilanza, Dio mi vede; siate cauti nelle relazioni, siate guardinghi in tutto. Sapete le nostre regole in modo speciale su questo punto: mai le mani addosso, nemmeno per ischerzo: non prendere mai ragazzi per mano. Peggio accarezzarli e dar loro baci, e far loro confidenze, che certo non piacciono al Signore; in questo punto ricordatevi che sono risoluto perché della massima importanza. La sorveglianza sia di tutti, e nessuno da questa sia dispensato.

Che i ragazzi restino sempre ai loro posti, che nessuno abbia incarichi speciali; né sia allontanato dal proprio posto, senza un permesso speciale da chi è messo a Custode di questa filiale.

Ogni Fratello sia fedele all’incarico affidato dalla Provvidenza e non si ingerisca negli uffici altrui. Per le mansioni della Casa, do piena e assoluta facoltà al caro mio don Luigi. Lui disponga come crede nel Signore e tutti ubbidiscano a Lui, non come costretti per forza, ma per amore di Dio e per merito di Santa ubbidienza.

Ogni lettera, ogni corrispondenza che i Fratelli spediranno, o riceveranno prima sia letta da don Luigi, rappresentante in tutto il vostro don Giovanni. Tante e tante cose io avrei ancora da dirvi, miei cari ed amati Fratelli, incarico il nostro don Luigi a farsi interprete del mio pensiero e a dire quanto a Lui ho già detto a voce. Pregate, pregate, pregate la misericordia di Dio per me, io dal fondo del cuore vi benedico e prego che tutti un giorno ci possiamo trovare in Paradiso.

in C. J. Sac. J. Calabria

P.S. Desidero che don Luigi ogni mese mi dia un esatto rendiconto della Casa e dei Fratelli, così ci potremo aiutare a vicenda ad andare avanti nella via di Dio.

* 4229 Verona, 12-11-1921

Carissimi i miei fratellini,

la grazia del Signore sia sempre con noi. Oh come siete stati prediletti da Gesù, voi non avete da invidiare nessuno degli Apostoli e primi cristiani, perché Gesù vi ha rivestiti di grazie e di misericordie, di questo ne sono certissimo; per amor di Dio guardate con il Divino aiuto di corrispondere e voi beati nel tempo e nell’eternità. Certo che il demonio non starà fermo e adopererà e tenterà ogni via; ma voi forti, ascoltate il vostro don Luigi, armatevi con le armi della preghiera, meditazione, sacramenti e sarete terribili ai demoni. Cogo, desidero vederti, vedere la Chiesa, Faccioli desidero vederti grasso e pieno di amore di Dio unito al pacifico Ceriani e all’intraprendente Trotti, allegri nel Signore anche se fa freddo, pregate tanto per me, il Iº novembre ho rinnovato le promesse del Santo Battesimo, e mentre scrivo, ho appena 12 giorni; come sono piccolo, che Gesù mi doni la perseveranza. Che il Signore sia con voi e che tutti ci possiamo trovare in Paradiso.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 5408 10-4-1925

Carissimi,

Gesù Risorto venga in tutti voi con grazie e aiuti speciali, vi conceda la grazia di amarlo tanto e per suo amore sacrificare tutto, con la certezza di avere un giorno, il grande premio e la eterna felicità.

Pregate sempre per il povero

in C. J. Sac. J. Calabria

* 4111 Verona, 22-9-1925

A tutti i miei più che cari Fratelli di Este.

Invoco dal fondo del cuore ogni più eletta benedizione augurando che con la Divina grazia aumentino sempre più lo spirito di questa grandissima Opera e si guadagnino tanti meriti per il Paradiso. Pregate sempre per il vostro

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8239 24-1-1926

Cari fratelli,

Vi raccomando in ginocchio di continuare a far bene sotto lo sguardo di Dio e l’osservanza delle vostre sante Regole. Beati voi se farete così. Le mie sofferenze continuano, pregate.

Sempre vicino a voi, vi benedico. Vostro aff.mo

In C. J. Sac. J. Calabria

* 277 Verona 21-3-1926

Carissimi Fratelli

Con le lagrime agli occhi vi raccomando di stare uniti nell’amore di Gesù, nella piena carità, Oh quante cose farete, che bel posto in Paradiso se vivrete nella carità, nell’amore a Dio e al prossimo.

Prove, dolori tribolazioni non mancheranno, ma benedette prove che cementeranno l’Opera di Dio. Sacerdoti cari, siate, uno, uno solo tutti voi, o Fratelli. Pregate per me e perdonate il vostro

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8156 Verona, 22-3-1926

I.M.I.

Cari Fratelli,

Ricordiamolo bene e guardiamo di stimare e apprezzare la grandissima grazia che Gesù ci ha fatto con chiamarci a far parte di questa grandissima Opera, alla quale è legata la vostra santificazione e poi il santo Paradiso, o la nostra rovina e poi l’inferno, a seconda che corrisponderemo, o no, a questa grande grazia, alla nostra speciale vocazione.

Io credo che per un membro di quest’Opera, così grande e così sublime non vi sia strada di mezzo: o si corrisponde, vivendo secondo lo spirito di questa casa, che è spirito di docilità, di carità, di umiltà vera, di pazienza, di mortificazione, di abbandono alle disposizioni della Provvidenza, ascoltando quel qualunque che il Signore ha messo e metterà, e allora quel Fratello, quel Sacerdote sarà strumento docile ed umile, eseguirà i divini disegni e si santificherà o non corrisponderà, vivendo con una vita tiepida, di adattamento, senza quello spirito di fede, senza quel corredo di virtù, che sono proprie di questa Casa, e allora, per conto mio, la rovina è certa. Grande è la grazia e guai a chi non corrisponde.

Una gran parte di Angeli non comprese la grazia del Signore, non corrispose ed ebbe il terribile, eterno castigo, l’inferno… dannati! Anche i nostri progenitori non corrisposero alla grazia di Dio e furono castigati con tutta la loro posterità, fino alla fine del mondo, e solo la vita e la morte del Figlio di Dio ha riconciliato l’eterno Divin Padre con l’umanità.

Miei cari Fratelli, io sono sull’orlo dell’eternità e sento orrore, sento spavento della grande responsabilità e dell’aver, purtroppo, non corrisposto come dovevo, mi sono umiliato e la speranza della divina misericordia mi sostiene e spero mi accompagnerà al divin tribunale ed intanto offro col divin Riparatore le mie continue sofferenze, che spero saranno accettate in espiazione delle ingratitudini e del rallentamento nel divino servizio.

Ma anche voi, o Cari Fratelli, ricordatelo bene, avete la vostra parte e anche su voi pesa una grande responsabilità. Non guardate ai difetti degli altri, non fate pronostici su che sarà di questa Casa, quando il Signore mi toglierà dal mondo e dalla Casa, non dite: per andare avanti ci vuole questa o quella riforma, bisogna fare quel cambiamento, ma esaminatevi bene su come corrispondete alla vostra vocazione. Sono io pieno di carità e cerco sempre nel mio agire la maggior gloria di Dio e il bene delle anime?

Quando parlano i Superiori, sono io docile nel mettere in pratica ciò che viene detto, o invece mormoro, critico…?

Con quale spirito adempio i miei uffici? Cerco i graditi, quelli che fanno per il mio amor proprio, per la mia superbia? E quando questi mi son tolti, mi gettano nella tristezza, nella malinconia? Oh, che triste scopo! Segno che non faccio per Gesù.

E la mia vita com’è? Cammino sempre volto lo sguardo a Dio? Le mie Sante Regole come le osservo? La santa purezza in quale conto la tengo? Attenti bene, perché da questa virtù e dall’umiltà dipende tutto il nostro andamento spirituale e della Casa.

Cari Fratelli, uno sguardo, un esame e mano all’opera e con la grazia di Dio rimediamo l’Opera; questa grande Opera, nata nel costato di Gesù è a noi affidata e noi la custodiremo e la diffonderemo, non con le nostre mire umane, con le nostre imprese, ma con l’essere cenci, con l’obbedire chi nel nome di Dio regge quest’Opera.

Adesso siamo in momenti speciali, momenti di Dio e momenti nostri. I momenti del Signore non ci debbono spaventare, ma anzi consolare; saranno croci, saranno patimenti, saranno… ma questi consolideranno l’Opera, perché sono il visto di Dio: si approva.

Quello che dobbiamo temere sono i momenti nostri ed uno di questi momenti mi pare che stia per passare adesso, sono momenti prodotti dal nostro orgoglio, dalla nostra stima, dall’agire con le nostre vedute; dal non essere uniti tutti nella carità e nell’amore di Dio, perché tutto sta in questo.

Cari Fratelli, io ho dei momenti che sento tutta la tristezza ed il dolore per quello che mi pare abbia a venire, ma dacché, per amor di Gesù, siamo ancora in tempo, promettiamo al Signore di cominciare tutti, io per primo, a vivere secondo il nostro spirito; ascoltate in tutto, e vivo e morto, questo povero prete, non mi costringete a tacere, a lasciar correre le cose, perché vedo che non posso lavorare e che è inutile la riprensione. Se farete come vi dissi, vi assicuro, vedremo miracoli: questa grande Opera andrà avanti e noi ci santificheremo e un giorno ci troveremo tutti uniti.

* 8241 Verona, 24-3-1926

Carissimi in Domino,

Sono lontano, ma sono a voi vicinissimo. Le mie continue prove, i miei dolori spero che, benedetti dal Signore, porteranno vantaggio alle vostre anime, e anche all’Opera di Este, che continuamente e in modi diversi mi addolora. Vi raccomando lo spirito dell’Opera: umiltà, carità, osservanza delle regole e disposti a tutto.

Pregate per me, ma ricordatevi e consolate con la vostra santa vita religiosa chi benedicendo si dice

In C. J. Sac. J. Calabria

* 8242 Verona, 25-4-1926

Amati fratelli,

Il mio pensiero spesso, spesso, vola anche a Este, e nel mezzo delle mie continue prove, rivolgo anche per voi e per questa Casa la mia povera prece; dico a Gesù che vi guardi, che vi benedica, che vi faccia santi, perché un giorno ci possiamo trovare tutti lassù nel Santo Paradiso.

Vi raccomando la vostra santa vocazione, oh, ricordatevi che è grande e guardate di corrispondere, siate docili, siate umili, tutto sia per Gesù; siate luce di buon esempio ai cari figlioli e beati voi!

Si avvicina il santo mese della Madonna, fatelo bene, più bene degli altri anni, fatelo anche secondo la mia intenzione.

Pregate per me, ne ho tanto bisogno, io per voi, per l’Opera soffro e prego.

Caramente vi saluto e vi benedico

aff.mo in C. J. Sac. J. Calabria

* 8243 9-5-1926

Carissimi fratelli in Cristo,

Che la grazia e la pace di Gesù Benedetto sia sempre con voi. Come altre volte vi dissi, io sempre vi porto nella mente e nel cuore e prego Gesù, Signor nostro perché sempre più abbiate a capire la grandissima grazia che vi ha fatto chiamandovi in questa grandissima Opera, nata e cresciuta nel Sacro suo Costato.

Deh, per amor di Dio corrispondete; tutto il secreto di questa gran Opera, sta in noi, se noi viviamo secondo il nostro spirito e le nostre sante regole, disposti a tutto, come cenci, oh, stiamo certi che nessuna forza umana, nessuna offensiva diabolica potrà nuocere a questa Casa, questa pianta divina crescerà a gloria di Dio e bene delle anime.

La mia nuova croce che ha cominciato a Roma continua dal più al meno. Che tutto sia in espiazione dei miei peccati, per bene e santificazione vostra, e bene di questa Casa. Mi è di sommo conforto sapervi buoni, disposti a tutto. Pregate per me, in alto lo sguardo, al Cielo, al Paradiso il nostro pensiero. Vi benedico tutti

aff.mo in C. J. Sac. J. Calabria

* 4973 Verona, 4-10-1926

Amati fratelli,

Che lo spirito di Gesù Benedetto pervada tutte le vostre anime e che vi benedica. Sto sempre sotto il torchio, pregate tanto per me. Che in tutto si compia la S. Volontà di Dio.

Fr. Savietto può venire domani, ma il tempo non è ancora precisato, spero che sia il 6.

Benedicendo tutti

in C. J. Sac. J. Calabria

In tutto ascoltate il vostro don Soga come fossi io stesso, e Dio vi benedirà.

* 140 Verona 16-10-1927

Cari Fratelli di Costozza.

Corrispondete alla vostra grande vocazione, siate umili, disposti a tutto, cercando solo il Santo Regno di Dio e la Sua giustizia, e, quanto so e posso, vi raccomando di ascoltare e ubbidire in tutto il vostro don Luigi, messo da Dio a Vostra Custodia e guida di santificazione.

Pregate tanto per il vostro povero

in C. J. Sac. J. Calabria

Vi benedico tutti.

P.S. E chi vi dice che voi non avete lo spirito della Casa è un mentitore; nessuno ha mai detto questo, e guardate che mai non lo dica.

* 10340 Verona, 20-10-1927

[Ai religiosi Poveri Servi - Costozza]

Il santo ritiro mensile in apparecchio alla buona morte, è una grazia tale che il benedetto Gesù ci fa, che solamente al punto della morte la potremo valutare.

Deh, per amor di Dio, facciamo bene questo santo ritiro. In queste poche ore, nessun pensiero di terra, di cose temporali, solo sia la nostra anima, esaminare bene che profitto facciamo, cosa mettiamo via per l’eternità, piangiamo, detestiamo bene i nostri peccati, e facciamo con la grazia di Dio dei seri proponimenti.

Felice quel giovane, quel cristiano che fa bene il bene per la vita eterna.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 141 26-10-1927

Amato mio don Luigi e carissimi i miei Fratelli.

Pensavo proprio ieri di scrivere a Lei, e a tutti voi miei amati Fratelli, per dirvi una parola dal cuore, in occasione della festa che noi tutti della Casa facciamo per ringraziare il Signore di questi anni che ci ha concessi, e per esaminare un po’, io per primo, come abbiamo corrisposto a tanta grazia e misericordia. Quando ricevo la sua lettera, e quella dei Fratelli, e questa mi fa subito scrivere la presente; sebbene come il solito tanto sofferente.

Caro don Luigi, cari Fratelli, il XX ci deve far tutti pensare alla grande bontà, alla grande misericordia di Dio con fondare questa Opera, che nei suoi disegni è grande, grandissima, a patto che noi siamo in quest’Opera, senza testa, cenci, umili, e pieni di fede e abbandono nella sua Provvidenza, base granitica di quest’Opera.

Purtroppo io mi devo confondere e umiliare, promettendo di dare al Signore questo scorcio di vita. Ciascuno di voi esamini, e in questa nuova svolta che il Signore ci concede di vedere, tutti sul serio fare i vostri proponimenti.

Certo che il Signore vuole ci santifichiamo. Pochi, ma di spirito, e i pochi formeranno i molti. Noi dobbiamo considerare l’Opera grande, non nella sua espansione, ma nello spirito e quanto più questo sarà secondo il Santo Vangelo tanto più l’Opera compirà i grandi disegni.

Caro don Luigi, faccia certi e sicuri i Fratelli di Costozza, che tutti sono miei cari Fratelli, come quelli di qui, che io li amo tanto, ma nello stesso tempo dica quello che dico qui:

Santifichiamoci con purificarci, che se non vengo con il corpo, è solo perché non posso per la salute, ma che sono sempre vicino a loro.

Lei amato mio don Luigi non abbia nessun pensiero, il suo spirito, il suo abbandono mi edifica.

Preghi per me, per l’Opera. Buoni e Santi Esercizi, con il proponimento, tutti, di cercare solo il Santo Regno di Dio. Benedico tutti,

aff.mo in C. J. Sac. J. Calabria

* 5439 15-11-1927

Alla casa B. Fanciulli di Costozza

Amati fratelli di Costozza,

Vi sono sempre vicino con il cuore, con la mente, con la preghiera. Dal fondo del cuore vi prego ogni bene e ogni consolazione celeste. Vi raccomando la vostra speciale vocazione. Vivete come vuole la Provvidenza.

L’unico vostro pensiero sia Dio, la sua gloria, le anime. Il temporale non vi preoccupi per niente, questo vi verrà, anche con un miracolo, se voi cercherete solo Dio. La nostra opera è grande, grandissima, nell’eternità la capiremo e beati noi, se avremo vissuto secondo la nostra vocazione.

Vi saluto ad uno ad uno, e vi benedico; pregate sempre per me. Dio solo sa quanto ne ho bisogno. Che Gesù mi usi misericordia e che tutti ci possiamo trovare in Paradiso.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 10374 Verona, 1927

Miei cari Fratelli,

O che ci emendiamo, con la divina grazia, vivendo come deve vivere il Religioso dei Poveri Servi, o meglio andarsene, prima che il Signore ci mandi via Lui.

L’Opera è speciale, speciale deve essere la nostra vita. Da parte del Signore non dubitiamo dei suoi aiuti e grazia, ma ci vuole la nostra cooperazione, vivendo il programma genuino che tutti sappiamo.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 10374/A 20-8-1928

Carissimi in Domino,

Come l’aria penetra i vostri polmoni e vi risana e vi dà forza, così il pensiero di Dio, della sua Provvidenza, della grandezza dell’opera, della vostra specialissima vocazione, penetri e pervada tutto il vostro essere di cristiani e di religiosi e vi fortifichi per combattere usque ad sanguinem per il santo Regno di Dio e per le anime.

Pregate per me, vi benedico

in C. J. Sac. J. Calabria.

* 10011 Verona, 2-2-1929

Cari, anzi, carissimi fratelli,

Vorrei in questo momento avere un linguaggio tutto speciale, per dirvi della grandezza di quest’Opera, della grande fortuna che noi abbiamo di farne parte e per esortarvi a corrispondere a tante grazie, con vivere come vuole il nostro Programma: grande fede in Dio, nella sua Provvidenza, pensando che è Lui a capo, che Lui dirige quest’Opera, con cura tutta particolare. Gli uomini si sentono sicuri quando hanno la protezione di un grande di questa terra, se grande si può dire, noi sì, noi sì! Dobbiamo star sicuri perché abbiamo la protezione speciale di Dio, noi siamo i suoi prediletti. Deh, per amor di Dio, procuriamo di non venir mai meno, come cenci, come creta, come fango, senza testa, ascoltando e mettendo in pratica anche i desideri di chi la misericordia del Signore ha messo a casante.

Cari Fratelli, nell’oscurità presente, la Casa deve far luce, e la farà, se noi manterremo l’alimento di questa grande lucerna, che è vivere come vuole Iddio, con nessun pensiero, solo il Quaerite primum…

Cari Fratelli, pregate tanto, pregate sempre la misericordia di Dio per me.

Che tutti poi ci possiamo trovare nella luce di Dio a godere il premio speciale riservato ai Fratelli di questa Casa. Vi benedico tutti.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6828 12-11-1929

J. M. J.

Ai miei cari Fratelli di Costozza,

Grazie, tante grazie dei Vostri auguri per le S. Feste e più di tutto per le vostre preghiere che quanto so e posso vi prego di continuare. Dal fondo del cuore vi invoco ogni vero bene. Che il Signore vi aumenti sempre più il suo amore e voi, ricchi della carità Divina, possiate continuare la vostra grande missione di Fratelli di questa grande Opera che ha scritto in fronte Opera di Dio.

Quanto siete fortunati e in terra e in Cielo se corrispondete alla vostra vocazione.

Vi benedico tutti, ad uno ad uno, fr. Luigi, fr. Francesco, fr. Spadoni, fr. Andrighetti, fr. Perin, fr. Giovanni, fr. Penasa, fr. Piantavigna e guardate che tutti ci dobbiamo trovare in Paradiso.

Aff.mo in C. J. Sac. J. Calabria

* 6828/B 1930

Carissimi,

se sapeste come prego e come desidero vedervi. Unisco le mie sofferenze alle vostre. Facciamone olocausto a Dio e speriamo in bene.

Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 5441 16-4-1931

Amati fratelli di Costozza,

Che il Signore vi benedica e vi conceda tutte le sue grazie, specie quella grande, di corrispondere alla speciale vocazione di Fratelli di quest’Opera tutta del Signore; perché da Lui fondata e diretta, con Provvidenza tutta particolare.

Quanto so e posso, vi raccomando di vivere tutti per Gesù, per Lui, per la sua gloria, per le vostre anime, per tutte le anime.

Siate umili e con l’umiltà avrete tutte le altre virtù del vostro stato.

Ricordatevi che il nostro patrimonio, il nostro fondo di cassa, siamo noi con lo spirito dell’Opera: Quaerite, quaerite, nessun pensiero per le cose temporali: fede, abbandono in Dio, specie nei momenti difficili: virtù, virtù, osservanza delle regole: cenci, creta, ecco, ecco quello che domanda da noi il Signore, per compiere i suoi grandi disegni.

Sempre vi sono vicino, sempre prego, ma anche [voi] siatemi vicini, anche voi pregate tanto per me, ne ho gran bisogno.

Dal fondo del cuore vi benedico tutti, cominciando da don Franchini e terminando con il buon don Mario.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6908 Pentecoste 1931 [24 maggio]

Ai Religiosi Poveri Servi

Ecco quello che alla luce del Signore io poveretto dico per la maggior gloria di Dio e per bene di questa sua Opera.

Iº Sento, e vedo che è volontà di Dio che San Zeno in Monte, terra santa e prediletta e da Dio benedetta sia adoperata assieme a Nazareth a formare Sacerdoti, Fratelli e giovani che sentono in cuore l’apostolato nel senso più ampio e vero della parola, e qui si prepari, per esprimermi in modo giusto, la merce genuina del Buon Dio, per essere domani in mezzo al mondo. A questo fine noi Sacerdoti e Fratelli dobbiamo cooperare; nessuna angustia, nessuna preoccupazione per il materiale, Dio segnerà la via. Don Adami sia del tutto esente dalla cura di economo, a questo, fino a nuovo ordine, penserà don Pedrollo, coadiuvato materialmente da fr. Savietto. Don Adami notare quello che esce.

Quello che vuole Gesù è il pieno abbandono in Lui anche nei momenti più difficili, caratteristica dell’Opera, osservanza delle sante regole.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 5442 19-6-1931

A tutti i miei, più che cari, Fratelli e ragazzi di Costozza il mio saluto, e dal fondo del cuore la mia benedizione, affinché tutti possiate amare e servire il Signore, come Lui vuole, cercando solo e sempre il Santo Regno di Dio.

Pregate, pregate per il vostro

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6177 1931

Ai miei diletti Sacerdoti quale ricordo degli Esercizi Spirituali del 1931

I) – Amiamo la vita interiore e di raccoglimento, pensiamo a GESU’ nella CASA DI NAZARETH; non per niente il SIGNORE ci ha riservata questa CASA che col suo nome ci traccia un programma.

II) – Non siamo troppo smaniosi di apostolato esterno; lasciamoci guidare dall’obbedienza, e non preveniamo l’ora della DIVINA PROVVIDENZA. Che ha fatto GESU’ per trent’anni a NAZARETH?

III) – Tra confratelli cerchiamo di amarci, compatirci, rispettarci, avere un buon concetto e parlar bene gli uni degli altri, specialmente davanti ai Fratelli e agli estranei.

IV) – Ricordiamoci che chi fa qui in questa OPERA è GESU’ BENEDETTO e se nella Sua bontà si serve di noi, pensiamo che non siamo che strumenti nelle sue mani e per questo non dobbiamo mai fare risaltare il nostro IO, ma l’OPERA del SIGNORE.

V) – Ricordiamo sempre e dovunque che noi siamo Sacerdoti Religiosi, e RELIGIOSI speciali, e dobbiamo perciò dare dovunque esempio di vita religiosa, in CASA e fuori; e dappertutto manifestare il nostro spirito di abbandono completo alla DIVINA PROVVIDENZA.

VI) – In tutti i SACERDOTI dell’OPERA ci sia uniformità di indirizzo e questo deve partire dall’ISTITUTO APOSTOLICO di NAZARETH, che è la CASA MADRE dei SACERDOTI dell’OPERA.

VII) – A questo scopo tutti osserveranno quel piccolo REGOLAMENTO annesso alle REGOLE dell’ISTITUTO APOSTOLICO, che riguarda CHIERICI e SACERDOTI e che porta già l’approvazione dell’AUTORITA’ ecclesiastica

VIII) – Tutti i SACERDOTI, anche quelli che hanno le loro mansioni nelle diverse CASE, si tengano uniti alla CASA di NAZARETH, e dipendano da qui specialmente per assumere impegni di ministero, p.e. predicazione, confessioni, etc., devono tenere presente che anche lontani sono membri dell’ISTITUTO Apostolico.

IX) – Quando si è in CASA, oltre all’UFFICIO DIVINO in comune, si faccia pure con la COMUNITA’ le altre pratiche di pietà specialmente la MEDITAZIONE e LETTURA spirituale e se impediti si supplisca da soli, cercando che il SUPERIORE ne sia consapevole.

X) – I FRATELLI devono essere molto stimati, adoperati, incoraggiati, ma non dobbiamo fare loro certe confidenze che riguardano direttamente noi SACERDOTI e il nostro ministero, e teniamo presente che i SACERDOTI nelle diverse CASE hanno il dovere e la responsabilità della DIREZIONE.

XI) Le visite alle proprie famiglie, come regola ordinaria, si faranno finché ci sono i genitori, una volta all’anno, e ci si fermerà ad nutum del superiore.

XII) Dovendo per ministero trovarsi fuori di casa per alcun tempo, si usi con tutti la massima riservatezza, e senza licenza del superiore non intervengano mai a pranzi o riunioni.

Pregate sempre la misericordia di Dio per il vostro

in C. J. Sac. J. Calabria

* 9451 1931

Ai miei cari Fratelli Luigi Zanini, Francesco e Silvio, i cari portinai della Casa di Dio, perché mi ricordino al Signore, e perché nella portineria santifichino le loro anime e quelle che la Provvidenza fa loro avvicinare.

in C. J. Sac. J. Calabria

* 383 Verona, 4-5-1932

Carissimo don Stanislao e figli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto sia sempre con voi, e con tutte le anime che la Provvidenza vi fa avvicinare.

Sono ormai due mesi, e mi pare ieri, che avete lasciato il vostro caro nido di Verona e di Nazaret per venire a Roma, dove la divina Provvidenza vi ha voluto per essere luce, e sale in favore di tante povere anime e per compiere dei divini disegni. Dal momento che siete partiti non vi fu, si può dire, istante senza che io pensi a voi, e vi raccomandi al Signore.

Caro don Stanislao, caro don Isaia e caro don Bellarini, per amor di Dio, guardate di essere sempre all’altezza della vostra grande e speciale vocazione: tenetevi bene a mente che in quel giorno, in quel momento che voi, che noi, avessimo per somma sventura venir meno alla nostra speciale vocazione livellandoci alle opere anche più sante, ma non secondo lo spirito tutto particolare, che la Provvidenza ha voluto dare a noi poveri suoi servi, per noi, per voi la è finita.

Sempre ricordiamo le parole chiare e precise che il Signore ci ha detto per mezzo dell’Ecc. nostro Vescovo, le ricordate? Oh! come le ricordo: se voi cambiate lo spirito non vivrete, ma morirete. Ma io mi tengo certo e sicuro che con la divina grazia cercherete di vivere secondo lo spirito della nostra Congregazione che è, che deve essere lo spirito stesso degli Apostoli, e del S. Vangelo. Solamente così, compirete i grandi disegni di Dio, e anche a Roma sarete luce per bene di tante anime. Se voi non porrete ostacoli, io credo che la Provvidenza Divina farà qualche grande opera a gloria di Dio, e a salute delle anime.

Tenetevi a mente, miei cari, che il mondo di adesso è come un mare in alta e tremenda burrasca e che per arginare le onde furiose non vi è altro rimedio che ritornare al Santo Vangelo, creduto, vissuto e praticato dai cattolici e in modo speciale dai sacerdoti. Sacerdoti santi, sacerdoti Apostolici, ecco il grande e unico mezzo per salvare la povera società che sta per naufragare. Godo e ringrazio tanto il Signore per il bene che fate; con la divina grazia continuate, guardate di essere prima luce a voi stessi, con la pratica della vita interiore e con la piena ed esatta osservanza delle nostre sante Costituzioni.

Io vi sono, come vi dissi, sempre vicinissimo, vorrei essere un uccellino per volare spesso da voi, e dirvi la parola del Padre, del fratello che tanto vi ama nel Signore; anzi sto pregando e spero che anche voi pregherete, per vedere se la Provvidenza non guardando ai miei peccati, mi concedesse la grazia di venire a Roma. Oh come sarei contento; come vi vedrei volentieri, ma questo, come vi dissi, qui a Verona, sarebbe una grazia segnalatissima, atteso i miei disturbi, e le mie continue prove e sofferenze.

Spero che tutti starete bene, vi raccomando di avere cura anche della vostra salute fisica, perché anche con la salute si può fare del gran bene. State uniti alla vostra casa, come il tralcio alla vite, scrivete spesso, dipendete in tutto, e ricordatevi che le opere del Signore devono essere provate. Le prove le avrete anche ora, Satana freme, ma Dio sarà con voi, se voi starete con Lui, e non dimenticate mai la promessa divina, ai buoni servi fedeli, nell’ultimo giorno.

Vi lascio nel Cuore Sacratissimo di Gesù, ai piedi della Vergine Benedetta, per amor di Dio continuate a pregare per il vostro don Giovanni, ne ho tanto bisogno, che il Signore mi usi la sua grande misericordia.

Don Stanislao, ti ringrazio tanto delle monete, mi hanno fatto tanto piacere, ma mi mancano le monete d’oro, guarda che le aspetto; abbiamo tanto bisogno della Provvidenza, ma questa verrà di certo, a patto che tutti abbiamo a cercare il Santo regno di Dio e la sua giustizia.

Vorrei dirti tante, ma tante cose ma tu, voi mi capite. Le compendio in queste parole: buseta e taneta, aver paura delle protezioni umane, fede in Dio, amore senza eccezioni per tutte le anime e aspettare la ricompensa di Gesù.

Termino, sono stanco, ti saluto, don Stanislao, don Isaia, don Bellarini, ciao Merlin ti scriverò prega per me, ciao Tovazzi.

Vi benedico tutti.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 386 Verona, 6-7-1932

Carissimi nel Signore

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con voi e con tutte le anime che la Divina Provvidenza vi fa avvicinare. Sento proprio forte, fortissimo il bisogno di scrivervi, mi pare proprio che questa volta sia Gesù che voglia parlarvi per mezzo di questo povero e vecchio canale. Per amor di Dio, deh ascoltatemi e fate tesoro di quello che sto per dirvi. Ricordatevi, ricordiamolo tutti che la grandezza, la stabilità, la diffusione, il compiere i grandi e divini disegni della Provvidenza è legato al solo nostro spirito tutto speciale e particolare di noi; buseta e taneta, piccoli per essere grandi; stare a Nazareth, come ci stette Gesù per 30 anni ; e nelle preghiere, nella continua unione con Dio, nello studio del nostro quotidiano avanzamento spirituale, lavorare il solo campo che la Divina Provvidenza ci ha affidato senza nessun pensiero, senza nessun desiderio, che quello che fate sia conosciuto altro che da Gesù, padrone assoluto dell’Opera.

Se noi, se voi starete nascosti, Dio vi cercherà e vi adopererà, e a tempo opportuno vi manifesterà a gloria sua e a bene delle anime; ma se noi anzitempo ci manifestiamo, Dio ci abbandonerà.

Dunque vi raccomando, nei vostri bisogni, nei vostri dubbi, nelle vostre prove, sapete dove andare, a Gesù veramente e realmente presente al santo Tabernacolo.

Satana freme, vi avverto, cercherà, quale astuto serpente, di nascondersi fra l’erba e con speciosi vestiti, ingannarvi: non temete, riuscirete vittoriosi, se sarete umili, se vivrete dello spirito della nostra Congregazione che dovete amare più di vostro padre e di vostra madre. Anzi, a questo proposito, io desidererei un po’ di rendiconto: come passate le vostre giornate spirituali? Vi raccomando di amare e di prediligere i poveri, i reietti, i più abbandonati, questi sono i più cari a Gesù.

Ve lo ripeto ancora: state lontani e non mendicate protezioni e approvazioni umane, Dio è sommamente geloso.

Spero starete tutti bene, e che camminerete sempre alla luce del S. Vangelo, in Gesù, con Gesù, e per Gesù perché solamente così si compiranno i divini disegni.

Io sono sempre sul Calvario, e in questo, vi penso e prego per voi e vi benedico; pregate per me, ne ho grande bisogno, specie ho bisogno di misericordia.

Desidero vedervi, sta a voi di pregare, avrei tante cose ancora da dirvi, ma ve le dirà Gesù quando vi portate davanti a Lui nel santo Tabernacolo.

Un saluto e una benedizione ai cari fratelli tanto prediletti da Gesù, se faranno quello che Lui vuole, il solo importante è conoscere e fare la Divina Volontà. Benedico tutti. In C. J. Sac. J. Calabria

* 7036/D 27-5-1933

Porto nella mente e nel cuore tutti i miei cari fratelli, sacerdoti, studenti, aspiranti; continuino a pregare per me poverello, che questo viaggio sia di sola gloria di Dio e bene delle anime.

Un saluto speciale al caro fr. Francesco, una benedizione a tutti, ragazzi, fratelli, sorelle, tutti, proprio tutti

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8986 Verona, 22-10-1933

Miei cari Fratelli,

la pace di Gesù benedetto sia sempre con voi.

Vi ricordo sempre e vi benedico di gran cuore e in modo particolare vi raccomando di camminare a passi di gigante la via della vostra santificazione religiosa, nella umiltà, nella carità, nella ubbidienza alle vostre sante Costituzioni, che quelle solo sono l’ espressione della divina volontà.

Scrivetemi spesso, e in tutto ascoltate questo povero prete, che a nome di Dio vi segna tutto quello che dovete fare per santificare e santificarvi.

Pregate per me.

Benedicendo Villa S. Sebastiano

in C. J. Sac. J. Calabria

* 5240 27-11-1933

Carissimi i miei cari confratelli,

Desidero che appena, appena arrivati nella S. Città degli Apostoli, dei martiri e dei Santi, abbiate a leggere questa mia che vi dice tutto il mio affetto, il mio continuo pensiero per voi e l’augurio che abbiate a ritrarre grande vantaggio spirituale del Santo giubileo, fine primo per il quale la Divina Provvidenza vi mandò a Roma.

Sento che questo vostro viaggio porterà certo un gran contributo anche a questa grandissima Opera del Signore e con il suo contrasto, vi farà toccare la grazia grande che il Signore ci ha fatto, vi ha fatto chiamandoci in questa Santa Casa di Dio, dove Lui, il Signore farà grandi cose, a patto che noi siamo come Lui ci vuole, ossia: cenci, senza testa.

Miei carissimi, pregate tanto, più del solito, per il vostro don Giovanni che tanto vi ama.

Oh, quanto bisogno ho di misericordia dal Signore, per la mia povera anima, e di grazia, per far fino alla fine, la Divina Volontà, in mezzo alle indicibili prove che sono inerenti alle opere del Signore.

Caro don Augusto, don Rosa, don Toaiari, don Pomini, don Giacomini, che il Signore vi benedica, vi inondi della sua pace e grazia e vi faccia ritornare tutto fuoco di amore di Dio e di bene per le anime.

Salutatemi tutti di Roma e Villa[S. Sebastiano] che ricordo e benedico.

In C. J. Sac J. Calabria

* 2674/A 4-4-1934

[Postilla alle Norme scritte da don Luigi Pedrollo per la Comunità di San Filippo - Roma]

Leggo, confermo e in visceribus Christi, ne raccomando l’esatta esecuzione che sarà fonte di grandi grazie e per voi e per l’intera nostra Benedetta Congregazione.

Pregate tanto per me, poveretto. Vi benedico di cuore,

in C. J. Sac. J. Calabria

* 2674 Verona, 15-12-1934

Rev. Chierici

Don Gerardo e Sandri

Miei cari figlioli,

La grazia, la pace di Gesù Benedetto, siano sempre con Voi e con tutti i vostri cari. Nel Grande Sacrificio della S. Messa, fonte perenne di grazie e di misericordie, vi ricordo tanto e dico a Gesù: che vi faccia tutti Suoi, nel pieno senso della parola.

Vi raccomando di corrispondere alle grazie grandissime, che il Signore vi ha fatto.

Siate umili, convinti praticamente del vostro niente, disposti a tutto; come cenci, come creta; se farete così il Signore vi adopererà, per la Sua gloria e per bene delle anime. Continuate a pregare per me, è una grandissima carità che mi fate. Io sempre vi ricordo e vi raccomando anche di stare bene: domandatela al Signore la grazia della salute.

Di cuore vi benedico, benedico i vostri cari e tutti.

In C. J. Sac. J. Calabria

[Sul retro della busta]: Ricevo in questo momento S. Lucia. Grazie.

* 5240/A 1934

Da leggere ai cari sacerdoti e fratelli della ven. famiglia religiosa.

Carissimi nel Signore,

La pace di Gesù Benedetto sia sempre con voi. La Divina Provvidenza che con cura tutta particolare regge quest’Opera che è sua, a Dio piacendo, alla fine di quest’anno manderà alcuni fratelli in India, sotto la responsabilità di S. E. Mons. Vismara Vescovo; andranno a lavorare fra la classe più misera, i Paria; è un disegno che data da 12 anni, e che adesso viene a nascere. Se qualche fratello o sacerdote si sentisse questa vocazione tutta particolare esponga a me questo desiderio, lasciando poi alla Provvidenza l’andare o no.

Che opera divina è quella delle missioni, specie fra i più poveri e abbandonati. Certo che i primi che andranno bisogna che siano disposti a tutto: si tratta di fondamento, con il nostro spirito.

A tutti poi i miei cari religiosi faccio viva esortazione di vedere se nelle loro stanze e negli oggetti di loro uso, avessero qualche cosa che contrasta con la povertà. Per amor di Dio mi mandino questi oggetti; sarà una cosa che tanto piace a Gesù.

Vi benedico il vostro

Sac. J. Calabria

che tanto e poi tanto si raccomanda alla carità delle vostre orazioni.

[A tergo della lettera dattiloscritta c'è questa aggiunta autografa]:

E’ urgente.

Fa la carità di leggere in chiesa questa mia. Che la Provvidenza ci sia sempre vicina quale madre amorosa. Prega per la mia anima. Benedico tutti

in C. J. Sac. J. Calabria

Il buon Munaretto quando verrà, bisogna parlar chiaro, che è come una eccezione.

* 5240/B 1934(?)

La pace del Signore sia con te e con tutti voi.

Dio solo sa come ti ricordo, come ricordo tutti della ven. Comunità Romana; ed è per questo che sono qui davanti al mio Crocifisso per scriverti questa povera lettera, ma che sgorga dal cuore, per dirti quelle parole, per farti quelle raccomandazioni che il Signore in questo momento mi suggerisce, e che spero farlo in bene, a bene delle nostre anime, e a bene delle anime che nella sua Provvidenza divina, il Signore ha affidate alle vostre cure e che solamente queste cure saranno da Dio benedette e rese efficaci, se con il divino aiuto metteremo in pratica quello che tante volte ho detto e che qui ancora vi ripeto, anche per tranquillità della mia anima, che presto dovrà presentarsi al divin rendiconto, come Casante e custode di questa grandissima Opera.

Caro don Stanislao, l’Opera è grande, l’Opera è del Signore, e lo sai, tutte le opere del Signore hanno una impronta tutta speciale, particolare, ma noi religiosi non dobbiamo aver altro che questo pensiero: cercare il santo regno di Dio , nel modo e nella forma che Lui manifesterà a mezzo del Casante, del Custode di quest’Opera.

Ecco la nostra necessità: aver bene, bene scolpito nella mente e nel cuore le parole che fin dal principio di quest’Opera ho detto e sempre ripeto: senza testa, cenci, creta, disposti a tutto, convinti del nostro zero, della nostra miseria e, che quello che il Signore ci ha dato, è per dono suo, che noi dobbiamo trafficare per gloria di Dio e salute delle anime.

E’ necessario ribadire questo principio e pensare perciò, che noi, come noi, non faremo altro che rovinare, guastare i disegni del Signore. Questi si compiono con il vero spirito genuino, con tanta preghiera, fede grande in Lui, unione intima con Gesù, tralcio e vite, e di qui viene l’importanza della vita interiore.

Si lasci tutto, ma non si lasci la santa meditazione, il santo Ufficio e le pratiche di pietà. Al debito posto l’esame di coscienza, l’Ora a Gesù sacramentato, il rendiconto, esatta osservanza delle regole…

Caro don Stanislao, ti raccomando, vigila su questo perché responsabile: le pratiche di pietà e poi che si osservino quelle norme che io dico… . Ciascun religioso deve essere un vangelo vivente, che tutti conoscano in noi l’umiltà di Cristo, la preghiera di Cristo, la carità di Cristo, la mortificazione di Cristo, la povertà di Cristo. Solamente così il Signore misurerà la nostra vita di religiosi, sarà lucerna che illumina, sale che guarisce. E caro don Stanislao, quanto ti raccomando di meditare questa mia e di farla osservare. La vita nostra, di questa opera grande di Dio, dipende non dalle approvazioni umane, non dalle ricchezze terrene, la vita di quest’opera [è] il compimento dei divini disegni.

Stiamo uniti e legati al nostro programma. Guarda che siano osservate le nostre Regole, che dipendano da te in tutto, che sia fatto il santo ritiro mensile, e da te. Raccomanda con umiltà e tatto, quelle norme che nel Signore darai. Che amino e che restino al posto che la Provvidenza li ha messi… Siate contenti sempre, Dominus est. Nessun rimpianto, dove il Signore manda, là si farà del bene. Tutto il mondo è di Dio.

Caro don Stanislao, guarda di inculcare questo, “disposti a tutto”, che abbiano di mira sempre, non i rami, ma l’albero, la pianta, ossia l’Opera.

Povero quel religioso che si muove per la sua nicchia, senza aver di mira…

Sento come ancora vi ho detto che Lui stesso il Signore ha dei disegni nuovi. La Provvidenza fa l’arbusto(?), ma ricordati bene, ricorda bene a tutti, che questi disegni sono legati allo spirito di umiltà, obbedienza a che nel nome di Dio regge quest’Opera, qualunque sia. Che nessuno si voglia arrogare il mandato del Signore, questo verrà dato nel tempo…

* 6963 7-1-1935

Amatissimi Fratelli,

In ginocchio vi prego, vi scongiuro di stimare la grazia grandissima che Gesù vi ha fatto. Per amor di Dio corrispondete, vivendo come sono vissuti gli Apostoli. Beati voi, in eterno loderete poi il Signore per tanta grazia.

Pregate e fate pregare tanto, ma tanto per me.

Vi benedico

in C. J. Sac. J. Calabria

* 5911 Mantova, 7-2-1935

Ai miei cari fratelli economi,

La pace del buon Dio sia sempre con voi. Amati Fratelli che la Provvidenza del Signore vi ha fatto la grazia grandissima di farvi economi amministratori della sua Casa, non dubitate di niente, siate sempre fedeli economi del buon Dio, abbiate grande fede e non temete di niente.

Pregate tanto per me. Vi benedico

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6968 18-2-1935

Miei amatissimi Fratelli,

La pace di Dio sia sempre con voi. Oh! con la pace, con la grazia, con l’amore del Signore, come sarà ricco e benedetto il vostro lavoro, quanti meriti metterete via per le vostre anime, come diffonderete il santo Regno di Dio, quante anime andranno a Gesù!

Siate sempre Religiosi novelli, pieni di fede, uniti in tutto a Gesù e beati voi; nelle difficoltà, nelle prove, nelle sofferenze, lo sguardo vostro sia fisso in Gesù Maestro nostro.

Guardate che per dare dovete avere, voi. Ogni giorno domandate a Gesù, per mezzo della Madonna, tutto quello che vi è necessario per le vostre anime e le anime. Oh, come vi ricordo, come vi sono vicino, come vi benedico, voi siete genus electum, voi siete le pietre di fondamento di grandi Opere, siate pietre ben impiantate nella umiltà, nella carità, nell’abbandono in Dio.

Pregate tanto per me, per la mia anima, ossequiate tutti i Padri, chiedete una benedizione a Mons. Vescovo che lo tengo dell’Opera. Tanti saluti a Don Diodato che aspetto una sua.

Scrivete anche a Costozza. Ciao fr. Edoardo, Farina, Guido, Cornale.

Uniti in Domino

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6960 Verona, 26-3-1935

Miei cari ed amati Fratelli,

La pace e la grazia del Benedetto Gesù Signor Nostro sia sempre con voi e con tutte, proprio con tutte le anime che la Divina Provvidenza vi fa avvicinare.

Ormai sono quasi passati sei mesi, dacché per amor di Dio, per la sua gloria, per diffondere il suo santo regno, avete lasciato tutto per portarvi lontani, lontani e là lavorare, faticare, pregare, patire perché le anime si salvino, perché il Regno di Dio si diffonda, perché il Cielo si riempia di santi, di anime che lodino in eterno il Signore.

Oh, quale grazia, quale dono il Signore, vi ha fatto dandovi la vocazione missionaria, è una grazia questa, è un dono che solo nell’eternità, sul letto della vostra morte potrete un po’ capire.

Oh, miei cari e amati Fratelli, guardate di stimare e amare tanto la vostra vocazione, vivendo da veri, da santi missionari, degni figli, degni seguaci del primo e divino Missionario, Cristo Gesù: la Sua vita, la sua Divina legge deve essere il codice della vostra vita Religiosa, e nei momenti di prova, nei momenti di oscurità, che certo non mancheranno, il vostro pensiero sia a Gesù, fede, gran fede in Lui, nelle sue parole, nei suoi comandi.

Oh, se voi sarete Religiosi di fede, di sacrificio, di continua unione con Dio, per mezzo della vita interiore, con lo spirito della congregazione, sento che farete miracoli, che il Signore vi adopererà per cose grandi, certo che Pisaci [Satana] non starà fermo, cercherà ogni via, farà di tutto, userà ogni mezzo, anche i più speciosi per farvi deviare: Fratelli attenti: sono di Dio, guai chi mi tocca.

Quanto so e posso vi raccomando la vita interiore, la virtù, il buon esempio in tutto, il cercare le anime, le anime, le anime.

Con quanto piacere ricevo le vostre lettere, scrivetemi spesso e guardate di pregare e far pregare per me; siamo così lontani e mentre scrivo mi pare di esservi vicino, di vedervi… Io sempre vi ricordo; per voi, per il vostro lavoro, per le vostre anime prego e offro le continue mie prove e sofferenze.

Cari Fratelli, primizie di grandi frutti, state sereni, amate il Signore e per Lui lavorate, guardando al grande premio che vi tiene il Signore preparato.

Ciao fr. Edoardo, Aldo, Guido, Cornale, siate un cuor solo, un’anima sola.

Sono stanco, portate pazienza con la scrittura vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6976 Pasqua 1935 [21-4]

Amati Fratelli,

Grandi divini Disegni con la grazia divina si compiranno nella vostra Missione, se sarete docili, umili, pieni di fede, di santità, e poi che premio in Paradiso. Benedico tutti e tutti pregate la misericordia del Signore per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6962 18-5-1935

Amati Fratelli,

La pace di Dio sia sempre con voi, e le sue grazie e benedizioni vi sostengano, vi aiutino e vi diano la santa consolazione di vedere diffuso il suo Santo Regno.

Pensate cosa è costato a Gesù redimere il mondo; avanti con fede, con grande amore; Dio feconderà il vostro lavoro, lo benedirà.

Pregate la divina misericordia per la mia povera anima. Vi benedico di cuore.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6964 3-6-1935

Amatissimi Fratelli,

La pace di Dio sia sempre con voi e con tutte le care anime che il Signore vi fa avvicinare.

Dio solo sa quante cose vi vorrei dire, di cuore Lo prego di dirvele Lui nel secreto della vostra anima religiosa. Vi posso assicurare che vi sono sempre vicino con la preghiera e con la mia sofferenza. Che il Signore vi conceda la grazia di camminare sempre la sua via, con Gesù, per Gesù e in Gesù.

Oh, che premio, che grande premio vi aspetta dal Divin Creatore, terminata la vostra giornata di lavoro!

State attenti al nemico, Dio sarà sempre con Voi se voi sarete sempre con Lui, nella umiltà, nella carità, nella santa obbedienza e nel pieno esercizio delle virtù cristiane e religiose. Pregate tanto, fate pregare per il vostro don Giovanni, Dio solo sa quanto ne ho bisogno.

Ciao Fr. Edoardo, esto fortis, ama tanto Gesù e fallo amare, ti saluto Fr. Aldo continua la tua via assieme a Fr. Guido e Cornale.

Il cielo vi guarda e vi assiste.

Benedico tutti

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6964/A 6-6-1935

Carissimi,

Il rev. P. Visitatore mi comunica quanto segue:

” Abbia la bontà di convocare a Verona, nella Casa di S. Zeno in Monte, per i giorni 12, 13, 14 giugno:

a) tutti i sacerdoti residenti a Verona,

b) Don Cogo e don Giacomini di Costozza,

c) Don Pellizzer, don Dalla Riva di Roma,

d) Don Bellarini di Villa S. Sebastiano ecc.

Gli interessati dispongano per trovarsi a Verona entro il giorno 11.

Pregate tanto per il vostro povero

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6964/B 12-6-1935

Alla Ven. Comunità S. Filippo,

Pregate tanto per me poverello. Vi ricordo, vi benedico e vi auguro santità

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6958 22-7-1935

Carissimi Fratelli,

In ossequio agli ordini ricevuti dal Rev.mo Padre Visitatore, vi comunico le disposizioni prese dalla S. Congregazione dei Religiosi, disposizioni che, come vedrete, saranno seguite da altre, e la cui gravità non deve a nessuno sfuggire.

Ed anzitutto vi trascrivo la lettera a me indirizzata:

Rev.mo Padre, – Nel foglio accluso troverà alcune disposizioni prese dalla Sacra Congregazione dei Religiosi per l’Istituto dei Poveri Servi della Divina Provvidenza. A queste disposizioni altre ne seguiranno. Siccome non mi è possibile venire subito a Verona, prego la P. V. Rev.ma di dar comunicazione delle suddette disposizioni, prima agli interessati e poi a tutta la Congregazione, di curarne l’esatta ed immediata esecuzione e di riferirmi in proposito. Per ciò che riguarda il N. III, mi permetto pregarla che se i Chierici vanno in campagna dove sono i ragazzi, si procuri che non manchi un sacerdote che sia a capo della Casa. – Augurando ogni bene mi professo ecc.

Le disposizioni prese sono le seguenti:

1. – Quanto è sancito delle Costituzioni, N.. 139, che “per offrire una maggior libertà di scelta, gli alunni dopo la terza liceale potranno essere rimandati per qualche tempo alle loro famiglie” eccezionalmente sia applicato quest’anno A TUTTI GLI STUDENTI DI GINNASIO E DI LICEO.

E cioè tutti, indistintamente siano mandati a casa. Quelli che domanderanno di ritornare, dovranno essere diligentemente esaminati e verranno accettati, caso per caso, secondo le norme che saranno comunicate.

II. – Si mantiene per i Chierici il divieto di ordinazioni.

III. – Durante il tempo delle vacanze i Chierici siano adibiti alle opere dell’Istituto, anche le più umili, come per esempio, alla sorveglianza ai laboratori e ai ragazzi ecc.

IV. – Il Rev. don Mario Pomini è destinato alla Casa della Madonna di Campagna.

V. – Il Rev. don Mario Tessari è destinato alla Casa di Nazareth.

Don Emanuele Caronti, O.S.B.

Roma, 19 Luglio 1935.

In questo momento così importante e delicato, vi raccomando tanto e poi tanto di pregare per tutta la Congregazione, e in modo speciale per me. Preghiamo gli uni per gli altri perché il Signore ci dia la grazia di compiere la sua volontà manifestata attraverso i legittimi Superiori.

Vi benedico di gran cuore,

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6959 30-7-1935

Amati Fratelli [missionari in India],

Voi avete la prima parte nel mio cuore, voi siete i prediletti di Gesù, che vi guarda in modo tutto particolare perché siete il fondamento, beati voi, se sarete sempre di Gesù.

Pregate, pregate per me. Vi benedico

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6967 Verona, 19-8-1935

Miei carissimi Fratelli,

La grazia e la pace di Gesù Benedetto siano sempre con voi.

Col cuore traboccante di gioia vi do uno lieta notizia. Come vedrete dall’unita lettera del Rev.mo Padre Visitatore, è tolta la sospensione dei santi voti, e sono indetti due corsi di Spirituali Esercizi, per prepararci a rinnovare per un anno la nostra professione religiosa.

Questo, o cari, è un nuovo tratto della bontà e misericordia del Signore verso di noi, poiché Egli non ha guardato alle nostre miserie e ingratitudini, ma solo alla sua Opera e ai grandi disegni che per mezzo di essa vuole attuare. Beati noi se corrisponderemo a tanta grazia, a tanta misericordia. Ma guai invece se non conoscessimo il giorno della visita del Signore e non approfittassimo delle grazie e favori che Egli ancora ci riserva in questo nuovo anno di salute. Temerei che avvenisse di noi quello che si legge nel santo Vangelo della ficaia sterile.

Il padrone si era accostato ad essa per cogliere dei frutti, dopo molti anni di inutile attesa, e, non avendone trovati, diede ordine al colono di sradicarla, dicendogli: “ad quid terram occupat?” Ma il colono chiese ed ottenne di aspettare ancora un anno, durante il quale promise che avrebbe prodigate tutte le cure: avrebbe smosso tutt’intorno il terreno, l’avrebbe concimata, potata, disposto di tagliarla alla fine della stagione, se tutte le cure fossero rimaste infruttuose.

Miei cari, facciamo un serio esame di coscienza. Il celeste Coltivatore di questa bella pianta, che è la nostra diletta Congregazione, essendo venuto a vederla, a visitarla, forse non ha trovato qui frutti che Egli si riprometteva. Poiché da noi Egli non s’accontenta di avere dei frutti ordinari: come speciale è l’Opera così speciale dev’essere la nostra corrispondenza.

Ecco pertanto che il Signore ci usa ancora misericordia; Egli ci accorda ancora un anno perché possiamo rimediare al passato, metterci con tutto l’impegno ad attendere alla nostra santificazione, dalla quale dipende la santificazione di tutta l’Opera. Resterà deluso il Signore nelle sue speranze? Guai a noi, o cari.

Ma come vi santificherete?

Lasciando di indicarvi i mezzi generali, io vi voglio raccomandare solo questo; che ascoltiate quello, qualunque, che la Divina Provvidenza mette a Casante della sua Opera; e fino a quando la Divina Misericordia mi tiene qui, guardate di ascoltarmi; ho bisogno di essere aiutato, ascoltato con docilità, con umiltà, con spirito di fede, vedendo non l’uomo con i suoi difetti, ma il Signore che rappresenta.

Vi raccomando ancora di accogliere col medesimo spirito di fede e di far tesoro di tutte le disposizioni che il Rev.mo Padre Visitatore ha dato e darà; dobbiamo riconoscere in Lui l’Angelo inviatoci da Dio, per il bene nostro e della nostra cara Congregazione.

Non mi allungo di più: vi porto tutti nel mio cuore di Padre, ma anche voi pregate tanto per me: che possa fare fino alla fine la santa Volontà del Signore.

Vi benedico: Vostro

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6965 12-10-1935

Miei amati Fratelli,

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con voi e con tutte, proprio tutte, le anime che la Divina Provvidenza vi fa avvicinare.

Oh, come tutti vi porto nella mente e nel cuore, e come prego e soffro perché Gesù Benedetto, il primo e Divin Missionario vi sia sempre vicino con le sue grazie e benedizioni, confortandovi e aiutandovi nella [più] divina delle opere che è cooperare con Lui a salvare le anime. Anime, che grande parola è questa, costano le anime; ma che grande ed eterno premio il Signore vi darà.

Continuate dunque nella via che Dio vi ha tracciata lavorate, faticate per Lui nella santa umiltà, nella obbedienza, nella carità, nello spirito di fede, vedendo sempre nel prossimo, negli abbandonati, nei reietti, nei poveri, nei sofferenti lo stesso Gesù. Beati Voi, se avete questo spirito, il S. Regno di Dio si diffonderà, le anime si salveranno.

Cari Fratelli, pregate per me, per la mia povera anima, vivete uniti nell’amore santo di Dio con lo sguardo al Paradiso.

Amato fr. Edoardo, domani è il santo del tuo nome, tanti auguri, ti sono vicino, ricordo i tuoi; la tua venerata Mamma che ho visitato, santa donna; benedizione per le missioni.

Ossequia tutti i Rev. Superiori, raccomandami alle loro orazioni, benedico tutti i cari nostri Indiani.

Ciao fr. Edoardo, Farina Aldo, Tovazzi, Cornale.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6966 16-11-1935

Miei cari Fratelli Missionari,

La grazia, la pace di Dio siano sempre con voi e con tutte le anime che la Divina Provvidenza vi fa avvicinare.

Anime, Dio mio che grande parola è questa per noi Religiosi che siamo ministri, coadiutori d’un Dio che ha preso carne umana, che s’è fatto come noi per salvare le anime e per darci i mezzi, le grazie e segnarci la via, per dare a Lui e salvare tante anime.

Voi due, beati, miei cari fratelli Missionari che siete in prima fila, nella zona avanzata, sotto la guida del divin Missionario Cristo Gesù; deh, seguitelo sempre, imitatelo in tutto, certissimi che da Lui sorretti, aiutati e benedetti riporterete vittoria.

Lo so e misuro le vostre prove, i vostri dolori e patimenti, le pene, le disillusioni che patirete, ma niente paura, Dio è e sarà sempre con voi, con la sua grazia, con le sue benedizioni e aiuti particolari secondo i vostri bisogni.

Quello che in ginocchio vi raccomando è di mantenere in voi lo spirito dell’Opera: grande fede, specie nei momenti difficili che sono i momenti di Dio; pieno abbandono in Lui; amore grande ai più poveri, disprezzati, reietti. Ricordatevi che questi sono i cari, i prediletti di Gesù, tenetevi bene a mente che sotto la ruvida scorza, sotto i cenci, nei corpi deboli e malati, v’è sempre la perla inestimabile, per cercare la quale avete tutto abbandonato e vi siete fatti missionari dei Poveri Servi, voglio dire l’anima e per questa non vi sia nessuna cosa che vi trattenga.

Che premio poi, che bel posto in Paradiso!

Spero che starete bene, perché la salute è necessaria. Prego la Provvidenza e pregatela anche voi, perché presto, mi pare sia giunto il momento di mandare uno dei nostri Sacerdoti, così l’Opera sarà completa.

Qui si va avanti, ringraziando il Signore per le prove sostenute e per quelle che ci manderà ancora; in mano di Dio sono veri doni e grandi ricchezze per la sua Opera. Vi raccomando tanto di pregare e far pregare per me vecchio, pieno di acciacchi e tanto povero in tutto. Io vi ricordo in modo specialissimo e vi sono vicinissimo. Saluta, e di’ che preghino, i miei cari indiani, di cuore li benedico, ossequia i Rev. Superiori.

Ciao fr. Edoardo, Cornale, Farina, Tovazzi fatevi santi, da voi dipende l’Opera delle Missioni. Benedicendo

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6971 20-12-1935

[Ai fratelli missionari]

Grazie, benedizioni, grande amore di Dio, ecco l’augurio che faccio ai miei cari Fratelli che sempre porto nella mente e nel cuore.

Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6975 25-12-1935

Miei cari fratelli Missionari,

La grazia, la pace del Benedetto Gesù sia sempre con voi, miei cari e amati fratelli.

Oh, come vi porto nella mente e come prego in modo tutto particolare nella Santa Messa, perché il Signore vi faccia capire sempre più la grazia grandissima che vi ha fatto, scegliendovi fra mille e mille e farvi suoi cooperatori diretti nell’Opera divina fra le divine che è quella di salvare le anime.

Anime, oh, che grande parola è questa per noi sacerdoti e per voi Fratelli Missionari! In ginocchio vi prego, vi scongiuro di cooperare a tanta grazia vivendo lo spirito genuino della nostra Opera, che è spirito di grande fede, di umiltà di carità e di abbandono nelle braccia amorose della Divina Provvidenza.

Cari Fratelli, mi pare di vedere tutto il Cielo che vi guarda e che da voi aspetta grandi cose, ma ricordatevi che queste grandi cose costano croci, tribolazioni, dolori, ma niente paura, il Signore sarà con voi in modo tutto particolare e quando si ha il Signore, si ha tutto.

Vi raccomando la vita interiore, prima di tutto la vostra personale santificazione e questa vi porterà alla santificazione delle anime; amate, cercate le anime e guardate di prediligere le più povere, le più abbandonate, le più disprezzate, perché queste sono le più care a Gesù.

Ho grande, grandissimo bisogno di preghiere per la mia povera anima ormai vicina… e poi per l’Opera, fate pregare anche altre anime.

Ciao fr. Edoardo, Aldo, Tovazzi, Cornale. Che Dio vi benedica e vi conceda la grazia di essere le pietre di fondamento.

Vi benedico

in C. J. Sac. J. Calabria

Ossequi Mons. Vescovo che ricordo.

* 6974 20-2-1936

Carissimi,[Fratelli missionari]

La pace del Signore sia sempre con voi, e lo sarà se tutti vivrete con lo spirito dell’Opera, senza testa, creta, abbandono nella Provvidenza e in tutto vedere il Signore. Le anime si salvano e si santificano, prima con la nostra personale santificazione e che in fondo, ricordatelo bene che [è] l’obbedienza.

Dio vi benedica.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 5912 2-4-1936

Lettera ai Consiglieri.

Nel nome del Signore, Padrone assoluto di quest’Opera, apro la presente seduta, prima, dopo la prova dolorosa che la bontà Divina ci ha mandato, per purificare le nostre anime e per mettere sulla via giusta quest’Opera che ricordiamolo bene è tutta di Dio, nel vero e pieno senso della parola. Dio solo sa come vi vorrei partecipare, ma non posso; prego perché lo Spirito Santo in questa seduta e sempre, illumini le vostre menti nelle decisioni che io dopo approverò a bene di quest’Opera.

Teniamoci bene a mente, cari fratelli, che quest’Opera è una creatura Divina propria dei tempi presenti, dove il Signore come tante e tante volte vi ho detto, vuole compiere delle grandi cose e queste cose grandi le compirà per mezzo nostro, se noi saremo strumenti docili, umili, pieni di fede e di amore per Lui, per la sua gloria, per le anime e adempiere così la economia stessa che ha compiuto il più grande e divino disegno che è la Redenzione umana, nel nascondimento, nell’obbedienza, nella prova, nella Croce.

Quale grazia, quale atto di predilezione ha usato con noi il Signore chiamandoci a farne parte, e direi quasi ad aiutarlo, ma quale grande responsabilità se noi non avessimo a corrispondere, sarebbe la massima delle nostre disgrazie.

Corrispondiamo, cercando di santificare sempre più le nostre anime, di vedere in tutto, specie in quel qualunque che metterà a Casante di quest’Opera, Lui, il Signore. Nelle discussioni spogliamoci del nostro io, tutto vedere e considerare nella luce divina, come fossimo nel letto della morte. Non si tratta di noi, si tratta dell’Opera, sempre l’Opera, il bene dell’Opera, ecco il nostro unico pensiero.

Beati noi se saremo così, la nostra santificazione sarà sicura, l’Opera andrà avanti, spanderà la sua luce in tutta la terra come il Santo Vangelo che quest’Opera deve esser la figlia primogenita.

Son certo e sicuro che pregate per me, continuatemi tanta carità. Dio solo sa quanto ne ho bisogno, io prego per voi, che tutti un giorno ci possiamo trovare in Cielo.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6972 2-4-1936

Cari Fr.lli Edoardo, Aldo, Cornale e Tovazzi,

Il vostro don Giovanni nel dolore, nella continua sofferenza e preghiera vi ama, vi benedice e vi esorta a vedere in tutto la volontà di Dio, dopo la via Crucis, la via lucis; pregate per me

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6969 5-4-1936

Amatissimi Fratelli,

la grazia di Dio sia sempre con noi e con tutte le anime che il Signore vi fa avvicinare. Vi sono sempre vicinissimo con la preghiera e con la sofferenza, doni grandi che il Signore ci fa per bene delle nostre anime e per compiere i Divini disegni.

Ho presentito le vostre prove e le vostre croci, Gesù vi ama e vi predilige, per amore di Dio vi prego di tenervi ben stretti alla croce che Gesù vi dà, dono più bello non vi può essere, certo bisogna guardarlo con fede e nella luce di Dio, e in quello che ci circonda e fa patire, gli strumenti del Signore.

Mantenetevi nella santa umiltà, nella virtù, nell’amore grande di Dio e di Gesù, primo missionario, e non temete, sarete fondamento di grandi Opere.

Pregate per me e per l’Opera.

Vi benedico

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6970 1-5-1936

Caro fr.llo Edoardo,

La pace di Dio sia sempre con te e con tutti i miei cari, anzi carissimi, Fratelli Missionari.

Sento le vostre prove, le prove che il buon Dio vi manda per vedere la vostra generosità e compiere i suoi divini disegni.

Quanto più grande è l’Opera, tanto più grandi i patimenti e sofferenze. Oh come è grandissima l’Opera delle Missioni dei Poveri Servi e per questo deve essere compiuta nella croce e solo così darà frutti; fatti animo, tutto vedi, vedete nella luce del Signore.

Prega per me, per tutti. Ti benedico, ricordo tutti e tutti state nell’amore di Dio, nella carità.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6973 21-6-1936

Amati Fratelli,

In tutto e sempre vediamo la mano del Signore per il nostro bene, io nella mia povertà vi porto nella mente e nel cuore e prego perché corrispondendo alle grazie grandi che il Signore vi ha fatto, siate degni sempre di seguire il Divino Missionario. Pregate per me, benedico le vostre anime e desidero tanto, se al Signore piace, di rivedervi.

Ciao fr.lli Edoardo, Guido, Aldo, Cornale.

Il vostro

in C. J. Sac. J. Calabria

* 10657 Verona, 4-3-1938

Alla Casa del Sacro Cuore di Negrar perché Gesù Redentore nostro sia sempre in prima linea in tutto e l’Opera sarà divinamente animata.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 8766 S. Pasqua 1938 [17 aprile]

Ai Religiosi Poveri Servi,

A tutti i miei carissimi Fratelli, a tutti della Casa di S. Zeno in Monte, a tutti i componenti di questa grandissima Opera del Signore in questo momento sgorga spontaneo dal mio cuore l’augurio di Buona Pasqua.

Sì, sì, buona Pasqua, miei carissimi, che questo santo giorno segni per tutti noi l’inizio d’una vita più santa, secondo che vuole il Signore da noi che abbiamo la grande fortuna di vivere, di abitare questo divino bastimento, che vive nel mare, ma che mai il mare entrerà nel bastimento nostro se noi lo vogliamo.

Buona e santa Pasqua, io vi porto tutti nella mente e nel cuore e spero che le mie prove e sofferenze oltre che alla mia povera anima, porteranno un ricco patrimonio di santità a tutti e ciascheduno di Voi.

Di nuovo buona Pasqua.

Vi benedico tutti, più con il cuore che con la mano.

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8766/A 3-6-1938

Sono sempre in mezzo a Voi. Prego, soffro e benedico tutti. Vi raccomando la mia povera anima e le anime, che si salvano solo con la Croce. Bello il paramento. Grande l’Opera di Maguzzano.

Dio rimeriti,

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8744 8-9-1938

Miei amati fratelli,

poche parole che vi dicano tutto il mio grande affetto nel Signore per voi, per le vostre anime, in questo santo giorno irradiate della luce divina dei santi voti.

Siete di Dio, siamo di Dio, che cosa possiamo desiderare di più, amati fratelli! Manteniamoci nei santi proponimenti che per grazia di Dio avete fatto nei santi Spirituali Esercizi, e quando lo spirito del mondo, del nostro amor proprio ci vorrebbe far venir meno, diciamo: sono di Dio, tutto di Dio, guai chi mi tocca.

Dio solo sa quanto ho bisogno di preghiere per poter star bene, per poter fare la santa volontà di Dio, perché solo allora si può dire di star bene.

Che la Madonna ci aiuti ad essere sempre di Dio e suoi.

Di cuore benedico povero inter pauperes

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8943 26-11-1938

Caro don Bettini e Ven.le Comunità,

la pace e la grazia di Gesù benedetto sia sempre con tutta la cara Comunità di Costozza, che in questo momento sento più vivo e forte il desiderio che sia un centro di amore per Iddio e per le anime, compiendo così i disegni del buon Dio. Cari fratelli, quello che ieri vi ho detto sempre, ve lo ripeto ancora adesso, e prima che per voi lo ripeto per me. Sì, mi sembra che il Signore ci dia l’ultimatum per deciderci una buona volta e metterci sul serio a vivere come esige la nostra santa vocazione, cioè abbandonati con cuor grande alla Divina Provvidenza in tutto, non aver nessun pensiero, solo che quello della gloria di Dio a bene e salute del prossimo, convinti, certi che il temporale lo avremo in aggiunta, come ci assicura il Divin Redentore nel santo Vangelo.

Cari Fratelli per amor di Dio mettiamoci tutti all’impegno. Santifichiamoci per santificare, e ci santifichiamo con la piena osservanza delle nostre sante Regole, che in ginocchio vi raccomando.

L’ora attuale è ora di terribile burrasca, la nostra Opera è l’Arca di Dio, dove tante e tante anime troveranno la salute e la vita. Che responsabilità per chi, chiamato a lavorare e servire il Signore in quest’Opera non corrisponde. Che il Signore per intercessione della Madonna ci conceda a tutti la grazia di corrispondere davvero. Noi beati.

Pregate per me, vi benedico tutti,

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8942 28-11-1938

Fratelli carissimi,

la pace e la grazia di Gesù benedetto sia sempre con voi. L’altro giorno fui a Costozza e mi sono sentito di dire a quei cari nostri fratelli un pensiero, che mi pare sia proprio venuto dallo Spirito Santo. Per questo ho pregato di farlo trascrivere anche per voi. Vi prego di farne tesoro e sia oggetto di attenta considerazione e di serio esame. Il Signore passa vicino a noi molte volte e passa ora per mezzo di questa mia povera parola. A noi di non lasciarla passare invano.

Vi benedico,

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8902 30-11-1938

Caro don Antonio, Caro don Sandri: sono certissimo che le mie povere parole penetreranno nei vostri cuori di Religiosi e di Sacerdoti di Gesù Benedetto, beati voi. Il vostro santo ministero sarà da Dio benedetto. L’Opera di Dio sarà fecondata di sempre nuove grazie, e le vostre anime ascenderanno al monte della santità.

Vi vedo, vi segno, vi benedico e pregate per il vostro

in C. J. Sac. J. Calabria

La mia vita, il mio cuore siete voi, o amati fratelli, unito sempre in caritate Christi.

* 8902/A 25-2-1939

(Alla comunità di Costozza)

Ricordo tutti con grande riconoscenza, se a Dio piace, spero venire presto. Vado a Roncà con fr. Antonio, ho tanto bisogno di preghiere.

Benedico tutti

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8902/B 15-3-1939

(Alla comunità di Costozza)

La Santa Benedizione del Signore scenda ricca di grazie prima spirituali e in aggiunta di temporali su tutti della Casa di Costozza, religiosi e figlioli, con l’augurio e la preghiera perché tutti viviamo nell’amore di Dio santificando e preparando le loro anime per il Santo Paradiso. Ricordo tutti, tutti benedico e mi raccomando alla carità delle orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 469 Verona, 1-4-1939

(Ai Religiosi della parr. S. Filippo)

Ai cari religiosi dei Poveri Servi, questi santi giorni che ricordano la passione e morte del divino Redentore, siano per le nostre anime religiose giorni di grande amore per Iddio e per le anime e di forti proponimenti per la vita che Gesù ci dona.

Pregate per me poverello,

in C. J. Sac. J. Calabria

* 469/A 19-4-1939

[In calce ad una lettera di don Pedrollo]

Preghi per me, per l’opera di Dio. Benedico tutti

in C. J. Sac. J. Calabria

* 469/B 18-5-1940

Penso a tutti, tutti porto nel cuore e benedico. Pregate per me

in C. J. Sac. J. Calabria

* 171 Costozza, 28-5-1940

Alla ven. comunità Poveri Servi. [S. Zeno in Monte]

A tutti i miei cari confratelli, il mio povero pensiero, la mia preghiera, perché il Signore per mezzo dello spirito puro e genuino dell’Opera, compia i suoi divini disegni, senza guardare alla mia povertà e miseria.

Mi raccomando alle preghiere.

Benedico tutti. Povero

in C. J. Sac. J. Calabria

* 2219 Verona, 24-5-1941

Amati Fratelli,

Il vostro don Giovanni più che mai vi ricorda, prega e vi benedice, augurando santità per le vostre anime prima e poi perché abbiate a santificare sempre più la vostra cara Casa di Costozza.

Pregate tanto per me. Dio solo sa quanto ne ho bisogno.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 4283 Maguzzano, 30-5-1941

Miei cari fratelli,

Lontano, ma vicino a tutti voi con il cuore, quanto so e posso vi raccomando la vostra personale santificazione, è la vera ricchezza dell’opera. Ho gran bisogno di preghiere.

Benedico tutti cominciando dal caro don Zanetti e don Sandri.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 4294 3-11-1941

Amatissimi Fratelli in Cristo

La pace e la grazia del Signore siano sempre con noi.

Il mio cuore è sempre in mezzo a voi e di continuo prego perché lo spirito di Gesù animi tutto il nostro lavoro a pro delle anime a voi affidate. Lavorate e fate tutto per amor di Dio, grande sarà il premio; pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 4294/A 2-12-1941

Di gran cuore prego e benedico tutti i miei cari, carissimi fratelli che porto nella mente e nel cuore e per i quali ogni giorno prego e offro le mie sofferenze, perché siano il patrimonio di questa grande opera: patrimonio di fede, di umiltà, di generosità, tutti per il Signore e per le anime e per l’opera.

L’opera vive, vivrà si diffonderà se noi saremo tutti come cenci, pieni di amore per la virtù, per il Signore.

Speciali saluti al caro don Adami, Zanetti, don Grigolato, don Sandri, don Pio, ministri del Signore.

Pregate per me

in C. J. Sac. J. Calabria

* 184 25-12-1942

Carissimi,

Fortunati, tutti vi guardano, tutti da voi, da noi aspettano. Voi non avete divisa vostra. Dio non la vuole, ma invece vuole che abbiate la divisa della virtù, della fede, della carità.

Amati Fratelli, vi raccomando di pregare sempre per me, ne ho grande bisogno e guardate di essere il mio respiro, la mia vita. Io sempre vi sono a tutti vicino e più con il cuore, che con la mano vi benedico, augurandovi un buon termine e principio d’anno nel Signore.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 184/A 15-10-1943

Miei carissimi,

La grazia del Signore sia sempre con tutti voi.

Mi sento commosso nel leggere le vostre belle e fervorose letterine, e i santi propositi formulati nei giorni di esercizi spirituali; é la più grande consolazione che possa desiderare il mio cuore di padre su questa terra, e di casante di questa grande Opera del Signore destinata a portare luce di bontà e di virtù a questo povero mondo.

Siate fedeli alla vocazione, ricordate le dolci impressioni di questi giorni di pace e di luce divina; siate fedeli alle vostre pratiche di pietà, uniti a Dio con la vita interiore, con la dipendenza da chi vi dirige nel nome del Signore, e col vedere tutto nella luce della fede santa.

La Divina Provvidenza ci predilige, e voi lo vedete, lo toccate con mano; cerchiamo dunque di corrispondere con generosità, per meritare sempre nuove grazie, e di attuare i disegni del Signore a vantaggio delle anime.

Vorrei scrivere uno ad uno una parola particolare; ma non lo posso. Voi peraltro leggete nel mio cuore del grande affetto che vi porto e quello che vi vorrei scrivere.

Siate mio respiro, miei polmoni col far bene e col vivere lo spirito della vocazione.

Vi benedico tutti, insieme ai cari giovani che la divina Provvidenza affida alle vostre cure; vedete in essi il Signore, e pensate al bel premio che vi tiene in serbo se sarete fedeli e santi.

Pregate sempre per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

Dite al caro mio e vostro don Tibaldo che ascolterete come fossi io stesso, che lo ricordo tanto, che lo benedico e che preghi per me

Sac. J. Calabria

* 9693 Verona, 7-11-1943

Ven.le Comunità della Casa del Sacro Cuore,

Con il cuore, con la mente, con la preghiera, con la sofferenza, sono sempre vicino, perché il Signore non trovi in nessuno di noi ostacolo e compia i suoi divini disegni a gloria del Padre e a bene e salute delle anime.

Disegni propri dell’ora presente, ora nella quale tutti siamo chiamati ad una totale revisione, specie noi sacerdoti e religiosi.

Mi raccomando tanto, ma tanto alla carità delle orazioni, Dio solo sa quanto ne ho bisogno. Benedico tutti.

in C. J. Sac. J. Calabria

* 286 9-11-1943

Miei carissimi Fratelli,

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi. Scrivo questa mia povera lettera a Voi tutti miei amati fratelli perché sento che a gran passi si avvicina il grande momento della mia chiamata davanti al mio Gesù, ma pure giudice e per questo dopo di aver domandato perdono di tutti i miei peccati a Lui, Divino Redentore, e affidandomi in tutto alla sua Divina bontà e misericordia, pregandolo di immergermi prima di avvicinarmi a Lui come giudice, di immergermi nel Suo Prezioso Sangue, pegno di salute e di vita eterna.

Domando pure a tutti perdono dei disgusti, mali esempi che vi avessi dato nel corso della mia lunga missione che la Divina Provvidenza mi ha affidato, come povero suo casante in questa sua Divina Opera che il Benedetto Gesù ha voluto fondare qui nella nostra e cara Verona, a luce, e a salute delle povere anime e a sollievo e aiuto dei poveri, dei sofferenti, specie in questi tempi.

Miei cari Fratelli e Sacerdoti, per amor di Dio vi raccomando di vivere lo spirito puro e genuino di quest’Opera nata nel Sacro Costato di Gesù e propria dei tempi attuali, dove il Signore ha dei grandi e nuovi disegni da compiere, a patto che siate come Lui vi vuole nella piena osservanza delle vostre sante regole.

Ascoltate sempre con spirito di fede il casante che la Divina Provvidenza vi assegnerà; questi avrà sempre lumi e grazie particolari, per amor di Dio che nessuno abbia a tradire la sua apostolica vocazione. Quale premio speciale per chi sarà fedele fino alla morte, ma quale castigo per chi venisse meno! I pochi formeranno i molti. Vi raccomando: siate conche e canali; che tutta la povera umanità possa venire liberamente a bere le acque pure e genuine del Santo Vangelo, siate Voi Vangeli viventi. Non dubitate mai dell’aiuto speciale di Gesù che dovete avere sempre davanti per modello, ricordate che quello che vale è il buon esempio.

Siate luce, siate sale. Vi lascio, ma che un giorno ci possiamo trovare tutti uniti nella Famiglia di Dio. Pregate, suffragate sempre per la mia povera anima. Il vostro don Giovanni vi benedice, e vi dice arrivederci in Dio.

in C. J. Sac. J. Calabria

Quanto vi ho amato tutti nel Signore, o miei cari Fratelli: Addio, addio:

Fr. Antonio, Prospero, mio amato don Luigi, don Adami, don Rossi, tutti, tutti, proprio tutti.

Pregate ve lo dico ancora, pregate per la mia povera anima.

Benedico tutta la mia Verona che meriti la grazia di avere sempre in seno quest’Opera, che deve andare usque ad finem terrae.

Per grazia del Signore oggi ho riletto questo mio povero scritto che confermo nel Signore. Pregate, pregate per la mia povera anima. Che ci possiamo trovare tutti uniti in Paradiso. Vi aspetto.

In C. J. Sac. J. Calabria

24-1-1946

Sulla busta

Ai miei cari Fratelli

subito dopo la mia morte.

* 6066 Verona, 18-12-1943

Spett.le e benedetta Casa del Sacro Cuore,

Dal fondo del cuore, su tutti i componenti, la cara Casa del Sacro Cuore di Negrar, invoco dal Signore una fitta, fittissima pioggia di grazie, su tutti i suoi fortunati abitatori, cominciando dal caro Superiore, il Dott. Fr. Antonio e giù giù, fino all’ultimo venuto nella cara Casa.

Gesù Bambino porti a tutti i suoi doni celesti ed in aggiunta grazie temporali.

Mi raccomando tanto alla carità delle preghiere di tutti. Benedicendo

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6066/A 20-12-1943

(Alla comunità di Costozza)

Sono in mezzo a voi tutti, benedico tutti, pregate per me

in C. J. Sac. J. Calabria

* 523 Verona, 26-4-1944

Miei carissimi,

La grazia e la pace di Gesù Benedetto inondi il vostro cuore, e vi infonda coraggio per sostenere le prove tremende di questi giorni di dolore, con spirito di fede e di ardente carità.

Arrischio questa lettera, sperando che arrivi a voi per dirvi quanto vi tengo vicini, dentro proprio nel mio cure; il mio pensiero vola spesso a Roma, e cerca uno ad uno voi, miei cari figli, che condividete le ansie del Santo Padre per le sorti di tanti suoi figli. Ho ricevuto con speciale gradimento i vostri auguri per la Pasqua: avrei voluto rispondere ad uno ad uno, come voi stessi avete scritto singolarmente, ma, un po’ il tempo che mi manca, un po’ il timore di non potere inviare le risposte, mi sono deciso di mandare una parola collettiva di ringraziamento per i vostri auguri e le preghiere che fate per me.

Il Signore vi riempia della sua grazia e della sua pace; vi protegga con la sua Provvidenza contro ogni pericolo, prima spirituale, e poi anche temporale. E possiate tutti presto intonare l’inno di ringraziamento a Dio per tante grazie ricevute, nonostante i pericoli minacciati.

State fermi e saldi nello spirito genuino della nostra Opera; amate il Signore, e cercate la sua gloria, e il suo beneplacito.

Lontani dagli appoggi umani, fidenti nel suo aiuto solamente; e fare cose grandi.

In quest’ora di disorientamento e di sconvolgimento, siamo all’altezza della vocazione e delle grazie ricevute, corrispondente ai disegni amorosi della Provvidenza. Anime, anime; il resto non conta.

Quante cose vorrei dirvi, nella piena del mio paterno affetto per voi. Oggi, ben lo immaginate, voi occupate un posto speciale nel mio cuore: le vostre ansie sono mie, le vostre pene sono mie. Io vi raccomando spesso, spesso al Signore nella mia preghiera e nelle sofferenze con le quali il Signore mi visita. Vi invoco da Lui grazie e doni opportuni per passare sani e incolumi questo periodo di bufera; rafforzatevi nello spirito della vostra vocazione, nella volontà di cercare il Regno di Dio. Ciascuno al proprio posto, approfitti per migliorarsi per santificarsi, e rendersi degno strumento della Divina Provvidenza nel compiere i disegni di misericordia che ha sulla nostra Opera.

Benedico tutti, ad uno ad uno: Sacerdoti, fratelli, sorelle, giovani, tutti insomma della cara famiglia Romana; che siate tutti un cuor solo e un’anima sola nella carità di Cristo.

Benedico i benefattori, specialmente i più benemeriti e affezionati: il Signore li ricolmi delle Sue grazie e dei Suoi favori, adesso, e della Sua gioia nel Santo Paradiso.

Beati quelli che la Provvidenza trova degni di farsi ministri di bene per quest’Opera del Signore.

Una benedizione particolare a te, mio caro don Stanislao, che ti farai interprete dei miei sentimenti presso tutti.

Ossequi al Rev.mo Padre Abate, al quale credo superfluo dire che lo ricordo sempre e per lui prego.

Una benedizione particolare al caro fr. Morelli, dal Signore tanto prediletto per la sua opera. Lui beato.

Il fr. Riccardi dal Paradiso ci ha mandato un altro giovane medico per Negrar. Opera grande per la quale il fr. Morelli Dio lo adopera.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6066/B 4-6-1944

Cari figlioli ed amati Fratelli,

Da diverso tempo desideravo parlarvi, ma le mie numerose e continue sofferenze non me lo permisero. Ora, però, sento ch’è proprio il Signore che vuole che io vi rivolga la mia parola.

Mi raccomando: siate buoni, siamo buoni. Solo così potremo attivare su noi e sulla povera umanità, così tormentata, la misericordia e le benedizioni di Dio. La nostra buona vita, le nostre preghiere possono avere un grande peso sulla bilancia della Divina Misericordia. Noi siamo nell’arca santa di Dio; e vi posso dire di non aver mai mancato di fiducia nella Divina Provvidenza. Nessuno ci potrà fare del male, ne sono certo; ma quello che mi fa paura è solamente il peccato. All’infuori del peccato, non c’è niente che ci possa nuocere. Vi invito fin d’ora ad un ciclo di preghiere. Domani, martedì, mercoledì, giovedì, saranno giorni di intensa orazione. Gesù solennemente esposto riceverà in questi giorni l’omaggio della nostra fede. Siate buoni e pregate per me che ho tanto bisogno dell’aiuto del Buon Dio. Di gran cuore vi benedico.

* 6066/C 28-7-1944

Riassunto di tutte le mie lettere scritte a voi durante questo periodo di guerra, se guerra si può dire, che invece per me, come fin da principio è una continua e insistente chiamata di Dio per tutta l’umanità che tanto ha deviato dalla divina legge.

E in modo particolare per noi sacerdoti, religiosi e cristiani perché su di noi incombe l’obbligo di essere luce e sole del mondo.

Vi ho detto che bisogna ritornare al S. Vangelo pratico, alla vita cristiana nel pieno senso della parola. Che ciascuna casa religiosa sia un Carmelo, un faro per il mondo, bisogna praticare.

Voglio sperare che la misericordia del Signore ci venga presto incontro per intercessione della Madonna e ci conceda la tanto sospirata pace. Si pensa a costruire: beni artistici, a riparare, ma non è con assoluta necessità che noi ripariamo i mali morali e, prima i nostri. Guai a noi, se dopo terminato per misericordia di Dio, questo flagello, sia come prima.

Mi pare di vedere piangere la Madonna e non so cosa intenda. Fratelli carissimi dell’Opera, prima per noi. Che la nostra Casa sia come la vuole Gesù, suo fondatore: spirito puro e genuino, e poi pensare agli… adoperandosi perché… l’aver delle divine leggi. Che non vi sia male di sistema, sempre ve ne saranno, e a questo ha provveduto Gesù con i sacramenti, ma i mali di sistema no, no, guai.

Vivere in grazia di Dio… ciascuno è responsabile delle famiglie cristiane. In una parola, la vita presente, coordinata alla vita futura. Occorrono sacerdoti che corrispondano alla divina chiamata e tutti della Chiesa, del Papa… Pregate per me che tutti ci possiamo trovare in Paradiso.

* 2685 Verona, 22-12-1944

Miei Cari.

La parola che mi nasce, che mi sgorga dal cuore in questo momento è questa: Per amore di Dio corrispondete, corrispondiamo tutti alla nostra speciale, specialissima vocazione. Questo S. Natale 1944 segni per tutti un integrale rinnovamento dello spirito puro e genuino dell’opera, condizione di assoluta necessità per compiere i divini disegni di rinnovamento del mondo per mezzo di Sacerdoti, e Cristiani come quelli dei primi tempi apostolici.

Cari F.lli Chierici, a Voi, in questo momento, la mia accorata preghiera. Per amor di Dio, voi così vicini al Sacerdozio, guardate di essere totalitari con Gesù Redentore Nostro, luce, sale, prima per voi per poi essere luce e sale per il mondo. Vi raccomando la vita interiore: Sacerdos alter Christus, e ricordate, ricordiamo tutti che siamo Poveri Servi. Quale onore, e quale tessera per entrare in Paradiso!

Buon Natale. Pregate, pregate per me povero che vi benedico tutti.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 3343 Ospedale S. Cuore, 15-2-1945

Miei cari e amati Fratelli.

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi. Il nostro e vostro caro don Carlo che con lo spirito puro e genuino dell’Opera prodiga le sue cure spirituali, morali e materiali a voi, mi ha portato tanta consolazione e conforto in mezzo alle mie prove, dicendomi come tutti siete animati da una gran buona volontà nel corrispondere alla vostra vocazione religiosa di Poveri Servi, prima per la vostra santificazione personale, e poi per aiutare il Signore nel formare buoni e bravi figlioli che la Provvidenza vi affida.

Che Dio vi benedica e vi dia la grazia di continuare: beati voi! La gioia, la pace, Dio, in una parola, inonda i vostri cuori e vi acquisterete molti meriti per la vita eterna.

Vi raccomando l’osservanza delle Regole, la vita interiore, sempre uniti a Gesù e farete miracoli di bene. Ascoltate come il Signore, il caro don Carlo, perché il Signore rappresenta.

Vi ringrazio tanto delle preghiere che fate per me, continuate. Vorrei rispondere ai cari Fratelli che mi hanno scritto lettere di grande conforto, ma ora mi sento stanco e don Carlo deve partire. Dio vi benedica tutti.

In C. J. Sac. J. Calabria

Sulla busta: Ai cari fratelli della Colonia di Gesù in Camposilvano.

* 9025 Palme 1945 [25-3]

… A te e tutti i cari fr.lli una benedizione particolare, mentre domando preghiere particolari ne ho gran bisogno.

In C. J. Sac. J. Calabria

(A fr. Morè e fratelli di Roncà)

* 6069 8-4-1945

Ai miei cari fratelli e a tutti della cara e benedetta Casa del Sacro Cuore di Negrar, giardino di Gesù, cittadella della Divina Provvidenza dove il Signore, secondo la nostra fede e nostra fedeltà nel suo divino servizio, secondo la nostra speciale vocazione propria dei nostri tempi, compirà grandi disegni di ricchezze spirituali, morali, fisici, materiali a pro di tanti che soffrono, il mio costante pensiero, la mia continua preghiera perché nessun obice possa fermare quello che Gesù vuole fare, e questa casa, questo giardino, questa Cittadella della Divina Provvidenza sia per me, per tutti via sicura per la santificazione delle nostre anime e pegno e tessera per potere, Deo adiuvante, terminata la nostra terrena giornata passare e trovarci tutti uniti, per tutta l’eternità, nella celeste Gerusalemme.

Mi raccomando tanto alla carità delle orazioni; benedicendo

in C. J. Sac. J. Calabria

* 7083 26-4-1945

Principio e fine.

Ma per noi Poveri Servi, deve essere principio di una vita tutta conforme allo spirito puro e genuino dell’Opera per compiere grandi disegni di bene per la povera umanità.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 7010 28-4-1945

Miei cari fratelli,

La grazia, la pace del Signore siano sempre con noi, specie in quest’ora di riconciliazione, di perdono da parte di nostro Signore, per certa intercessione della Santissima Madre, la cara Madonna, che ancora una volta si è mostrata Madre di misericordia e di bontà.

Sta ora a noi o miei cari ed amati fratelli, far tesoro di tanto dono, e tutti “cor unum et anima una”, metterci in un fronte unico di carità verso Dio e verso i fratelli, affinché l’opera dei poveri Servi riesca quale il Signore la vuole, una fonte alimentata continuamente dalla vena nascosta della vita interiore di ciascuno di noi, perché le anime e le altre opere della Chiesa di Dio vi attingano continuamente la carità e lo spirito genuino del Santo Vangelo, unico mezzo per ritornare tutti a Dio, in questa valle di pianto e di esilio, ma che è pure, con la fede e l’amore di Dio, bella vigilia della Patria celeste, il santo paradiso.

Questo deve essere il proposito ed il programma di tutta la nostra vita per l’avvenire, ma un altro dovere è necessario che ci affrettiamo a compiere, quello di ringraziare il Signore del gran dono che ci ha fatto, e per questo vi invito ad una giornata di adorazione eucaristica, fatta con la massima solennità possibile che si chiuderà con il discorso d’occasione ed il solenne TE DEUM.

Non dimenticarvi mai di pregare per questo vostro Padre che tanto vi ama nel Signore, che prega e soffre per voi, perché siate come veramente dovete essere, cioè poveri servi, e che un giorno si compia il voto, la preghiera che, come sapete, faccio ogni mattina dopo la Santa Messa “ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum”. Così sia e Dio vi benedica.

Vostro in C. J. Sac. J. Calabria

* 7084 8-5-1945

Per grazia e per sola misericordia di Dio e per intercessione della cara Madonna, sono cessate le ostilità.

La Germania si è resa senza condizioni, ma la chiamata di Dio, specie per noi Sacerdoti, Religiosi e Cristiani continua.

Per amor di Dio, ascoltiamola e tutti ritorniamo a vivere come gli apostoli e i primi cristiani.

Poveri noi se ci mettiamo all’opera a mani vuote.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 7080 11-5-1945

Ricordiamolo bene amati Fratelli: L’Opera dei Poveri Servi è creatura di Dio, ciascuno di noi deve scomparire per far vedere solamente l’Opera, che si alimenterà “usque ad finem terrae”, se avrà sempre lo spirito puro e genuino che Dio le ha dato.

Pregate per me tanto povero.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 8261 21-5-1945

Ai miei cari fratelli Alfonso, Savietto, Gnesotto, Biondani, Danese e a tutti i miei cari figli di Maguzzano, ogni grazia e ogni benedizione, con la preghiera in ginocchio di ringraziare il Signore per tante grazie e misericordie e con la ferma promessa di essere proprio come vi vuole Gesù, veri Poveri Servi, per aver doni e grazie in questa vita e poi premio eterno in Cielo.

Pregate, pregate per il vostro don Giovanni che di cuore vi benedice.

In C. J. Sac. Calabria

* 2607 Verona, 3-6-1945

Miei amati Fratelli,

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Come dobbiamo ringraziare il Signore per il dono grandissimo che ci ha fatto col farci Poveri Servi; per amor di Dio, che questo non sia solo un nome, perché allora sarebbe la nostra condanna, la nostra rovina.

Amati Fratelli, l’ora della chiamata e della revisione del Signore per tutta l’umanità non è cessata, fu solo fatto, dalla divina bontà e misericordia, e per intercessione della Madonna, un armistizio, una tregua, e purtroppo, non si fa questa revisione, che è per tutti, e in modo particolare per noi Sacerdoti e Religiosi, che purtroppo, dobbiamo dirlo, ci siamo non poco allontanati dallo spirito degli Apostoli e dei primi cristiani.

Amati Fratelli, siamo ancora in tempo, e prima che questa revisione la faccia il Signore, con un’altra prova, forse più grave e dolorosa di quella da poco passata, facciamola noi.

L’esperienza di questi anni di guerra ce l’ha insegnato: Dio ha dei grandi disegni da compiere in questa sua ora, per tutto il mondo che vuole per sé; e l’umanità tutta si rivolgerà a cercare la vita, la luce, la vera pace, e questa non la troverà che in noi, perché alla sua Chiesa Gesù ha affidato questa missione, ma dobbiamo essere all’altezza della nostra vocazione; ed ecco la necessità di una riforma che si impone e presto, per evitare quella di Dio che certo non tarderà se noi non ci mettiamo in efficienza: Vangeli viventi.

Amati Fratelli, ho detto che, guai per noi, Poveri Servi, se questo, se questo appellativo fosse solo un nome, sarebbe la nostra rovina. Tra i fini della nostra Opera uno è questo: che nell’ora attuale noi siamo veramente Poveri Servi nel vero senso della parola. La nostra vita, il nostro modo di vivere, sia quello che il Signore ci ha dato per mezzo dello spirito puro e genuino dell’Opera, che in una parola deve essere quello degli Apostoli. E fu questo spirito che ha convertito il mondo: “Guardate come sono, come vivono i cristiani”, dicevano i pagani e si convertivano. Che se tutti hanno gli occhi verso di noi e domandano e vogliono vedere la nostra vita, e se ci trovano in pratica come quello che insegniamo, certo allora modelleranno su noi la loro vita.

Si fanno molte discussioni, si è scritto e si scrive molto, ma si pratica poco. E’ l’esempio che trascina, grandi e piccoli, dotti e ignoranti. Durante questo flagello si sono imparate molte cose, si sono studiati e si studiano nuovi mezzi per dare vita più tranquilla e normale ai popoli, sono cadute tante barriere.

Cari Fratelli, questo ci deve fare riflettere, come anche noi dobbiamo esercitare la nostra missione, e cioè richiamare in pratica il santo Vangelo, modellandoci noi Sacerdoti e Religiosi sul Divino Modello, sul primo Sacerdote, Gesù Cristo.

Ricordiamoci che noi saremo Religiosi, Sacerdoti in quanto saremo altrettanti Cristi. Gesù ci ha dato l’esempio e ci dice queste parole: “Come ho fatto io, fate anche voi”; e S. Paolo dice; (e questo lo dice a tutti i Cristiani, quanto più a noi) che “per essere ammessi al regno del Cielo, bisogna diventare conformi all’immagine del Figlio di Dio”. Che questo sia il vostro studio!

La società, l’umanità è in cerca di tutti i mezzi per dare pace, vita, benessere, e questo va bene, ma questa pace, vita, benessere, ricordatevi che non si può averla se non con Cristo e il suo Vangelo, altrimenti sarebbe un corpo senza anima.

Sono al termine, sono vicino alla sera della mia povera vita e vorrei che questa fosse come il mio testamento per voi, amati Fratelli. Per amor di Dio, vivete lo spirito puro e genuino dell’opera, e se alcuno non si sentisse, lo prego, lo scongiuro, per il bene della sua anima e dell’Opera stessa, se ne vada pure.

Gesù ha bisogno che nelle nostre vene scorra praticamente il sangue con il quale ha redento la povera umanità. Non si può dare quello che non si ha; perché il mondo è pieno di male, di odii, di vendette, perché gli ausiliari di Satana, sono fedeli esecutori e danno quello che da Satana ricevono.

L’Opera dei Poveri Servi deve essere di modello. Dio mio, quale responsabilità! Il mondo sarà conquistato con la follia della croce; l’umanità troverà il suo posto accanto a Gesù, in Cristo, con Cristo e per Cristo. Dobbiamo essere conche e canali, pieni di Gesù per dare Gesù. Noi deploriamo i mali degli altri: una mano sul petto: di chi è anche la colpa? Facciamo dunque una seria revisione per noi e subito, prima che la faccia il Signore; e questa revisione facciamola con promettere di vivere come cenci, come creta, umili, convinti della nostra miseria, ma abbandonati in Dio e nelle mani amorose della Divina Provvidenza, con cuore grande e generoso, cercando solo anime, anime, anime, nella forma e nel modo che hanno avuto Gesù e gli Apostoli, vivendo distaccati dalla terra e dalle creature, uniti a Cristo con la vita interiore, che in ginocchio vi raccomando, con amore grande e generoso, vedendo in tutto il prossimo, qualunque esso sia, l’immagine di Dio, e con un solo desiderio che tutti, un cuor solo e un’anima sola, facciamo un solo ovile sotto un solo Pastore.

La vita presente guardiamo di coordinarla con la futura; siamo circondati dalle meraviglie di Dio, tutto ci parla di Lui, tutto è dono suo; ma non fermiamoci qui: non abbiamo quaggiù città e dimora permanente, ma camminiamo verso la futura e celeste Gerusalemme; guai se perdiamo di vista il Cielo per il quale siamo fatti, il premio che lassù ci attende! Le anime seguiranno il nostro esempio, ascolteranno con più fede la nostra parola, e fra tante prove e dolori, specie in quest’ora, troveranno e gusteranno il cristiano conforto della nostra parola di fede e si orienteranno a Dio che ci ha creati, ci ha redenti per la vera vita.

Vi raccomando, amati fratelli, la carità, che deve essere il distintivo dei Poveri Servi. Via ogni grettezza indegna di un’anima religiosa e sacerdotale; senza la carità, anche se facessimo miracoli, non saremmo creduti; invece tutti disarmano dinanzi alla vera carità di Cristo. La predica che più si ricorda e che mai si dimenticherà è quella di un atto di carità compiuto nel silenzio e nel nascondimento a favore di chi soffre. La vera religione consiste nella carità: “Spezza all’affamato il tuo pane, accogli nella tua casa i poveri e i pellegrini, e se vedi un ignudo rivestilo, e non disprezzare la tua carne”.

Cari ed amati fratelli, come è bello richiamare questi grandi pensieri dei Libri Santi! Meditiamoli e soprattutto mettiamoli in pratica, secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera. Guardate e ricordatelo sempre, che l’Opera dei Poveri Servi muore di certo se non sarà così, e che nessuna forza e nessun nemico esterno la può far deviare e rovinare; solo noi, se non viviamo e pratichiamo lo spirito puro e genuino. Guardate di far tesoro di queste mie povere parole.

Io sono sempre in mezzo a voi con il pensiero, con la mia benedizione e con la sofferenza; tutti benedico e con voi benedico la nuova pianta dei cari Fratelli Esterni, pianta che Dio ha messo vicina e assieme ai Poveri Servi e che farà un immenso bene nella famiglia, nella società e nel mondo.

Quanto desidero vedervi! Pregate tanto per me, che possa fare fino alla fine la santa volontà di Dio. Vostro aff.mo

in C. J. Sac. J. Calabria

* 524 Verona, 13-7-1945

Amatissimi Fratelli.

Il mio e vostro caro don Luigi viene in mezzo a voi, che tanta parte avete nel mio cuore e vi porta la mia benedizione, che è quella del Signore, perché tutti si conformino a vivere, sempre nello spirito puro e genuino dell’Opera dei Poveri Servi specie in quest’ora dove la Provvidenza se tutti ci troverà in piedi pieni di amore di Dio e di santi desideri di compiere la Sua divina volontà, cercando tutti i mezzi, tutte le vie, costino pure i più grandi sacrifici perché le anime, tutte le anime (grande parola per noi Sacerdoti e Religiosi è questa, anime), ritornino a Dio vivendo secondo la Sua divina legge, praticando il Santo Vangelo, dietro il nostro esempio pratico, non di parole ma di fatti.

Amati Fratelli, il vostro Padre è sempre con voi, con la preghiera, con la sofferenza perché, con la grazia di Dio, voi abbiate a compiere tutti quei disegni di bene, di luce e pace per mezzo di questo ramo della Pineta della Divina Provvidenza, che ha messo in Roma affidandola a voi nel nome e nella Divina volontà.

Fratelli si può meditare senza libro, considerando l’ora attuale con i suoi mali e con quello che domanda il Signore a noi.

Per amor di Dio corrispondiamo perché tutto passa, tutto è meno di un pugno di mosche, se noi coordiniamo la nostra vita presente a quella futura, salvando l’anima.

Pregate per il vostro don Giovanni, che ha tanto bisogno della Divina misericordia.

In C. J. Sac. J. Calabria

Raccomando il permesso, la facoltà per Negrar delle indulgenze Porziuncola.

* 2607/A 18-12-1945

(Ai fratelli di Costozza)

La Vergine Immacolata, nostra buona Mamma celeste, benedica e renda fruttuosi i vostri santi propositi, e vi ottenga di fare un ottimo Natale nell’amor di Dio e nello sforzo di comportarvi secondo la vocazione. Vi ricordo e benedico, uno ad uno, con effusione paterna.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6980 11-1-1946

Lettera ai miei cari Fratelli Religiosi della nostra Casa e dell’Opera dei Poveri Servi.

Cari e venerati Fratelli, per grazia di Dio abbiamo veduto l’alba di questo nuovo anno 1946.

Alla Messa dei Fratelli splendeva un raggio del sole che io ho augurato ai Fratelli di Verona, che come splendeva il sole, così splendesse per tutti il sole della grazia di Dio, per chiamare su noi i doni, gli aiuti dello Spirito Santo in questo anno pieno di pace, dopo una tragedia di dolori, di sangue e di morte.

Ma che nella mente e nei disegni della Divina Provvidenza questi dolori, questo sangue e questi morti sono un lievito, una forza, una chiamata per noi, per una generale purificazione e un insistente invito perché lo spirito puro e genuino dell’Opera dei Poveri Servi, che lo stesso Divin Fondatore ha messo, sia sempre in efficienza per compiere tutti quei disegni che sono propri dell’ora attuale e che l’Opera è chiamata, sempre con questo spirito, ad attuare.

Amati Fratelli, in quest’anno, a me pare, mi sento che il Signore voglia, in modo particolare, beneficare tutta la povera umanità con grazie e lumi tutti particolari, per far sì che tutti, nessuno escluso dei nostri fratelli del mondo, possano orientarsi e modellare la vita sull’insegnamento di nostro Signor Gesù Cristo, venuto al mondo umanamente per affratellare tutti in uno solo, fondando a questo scopo e fine la sua Chiesa, promettendo solo a questa di essere con Lei fino alla fine del mondo, assistendola con il suo Spirito.

Ma perché ciò avvenga è necessario che il Signore trovi lo stesso Spirito, lo stesso insegnamento, la stessa vita degli Apostoli e dei primi cristiani.

Cari Fratelli, è indiscutibile che non si può edificare se non con Cristo e il suo Vangelo, il quale è uno solo, unico, che con l’andar dei tempi si è diviso, portando a poco a poco l’umanità lontano da Dio.

Senza luce non si può vedere, non si può camminare. La luce siamo noi, e non solo per noi, ma per tutto il mondo, che in quest’ora di tenebre e di sconvolgimento sente il bisogno di ritornare a Dio e al suo Vangelo.

Fratelli, pensiamo che tutte le ricchezze che abbiamo, non sono per noi soli, le dobbiamo dare a chi ne è privo, a chi ha ricevuto [... non leggibile] che portano fuori di strada.

Fratelli, pensiamo: a questi nostri fratelli manca la luce: diamola noi con lo spirito che il Signore ha messo. Dio mio, che grande grazia, ma che grande responsabilità! Che quest’anno sia un anno di preghiere, perché tante anime ritornino alla Madre, alla vera Chiesa.

Oh, il ritorno dei fratelli è sempre stato per me il mio ardente desiderio. Credo che sia il palpito continuo di Gesù.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 10709 Verona, 7-2-1946

Il Sacro Cuore di Gesù, benedica, protegga e compia i suoi divini disegni sulla sua Casa del Sacro Cuore di Negrar a bene dei fratelli che soffrono.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 6077 Mercoledì Santo 1946 [17-4]

[Ai fratelli di Negrar]

Una fittissima pioggia di grazie e doni, prima spirituali e poi in aggiunta anche materiali, su tutta la cara e benedetta Casa del Sacro Cuore di Negrar, perché la divina Provvidenza compia senza ostacoli diretti i suoi divini disegni a gloria del Padre, a santificazione dei Fratelli, di questa benedetta Casa e a bene spirituale e corporale di chi viene raccolto.

Mi raccomando alle orazioni.

in C. J. Sac. J. Calabria

* 1363 14-11-1946

Ai miei cari Fratelli nel Sacerdozio.

La grazia, la pace di Gesù, siano sempre con le vostre anime, specie in questo urgente, urgentissimo momento, dove il nostro Signore, ancora una volta, ci chiama ad una seria e pratica revisione di noi stessi, per essere cristiani, e in specie poi ministri dello spirito puro degli Apostoli e dei primi cristiani, ad arginare il male che, capitanato da Satana, si muove contro la Santa Chiesa di Dio, per fare il possibile per distruggerla, e che noi come Sacerdoti dobbiamo, verbo et opere, resistere anche fino al martirio, perché Cristo Redentore e Salvatore della povera umanità, con la sua Chiesa possa venire nel suo posto, per la vita presente e poi per la futura; perché questa è la verità: “non siamo fatti per la vita terrena, ma per l’eternità”.

La vita presente dono grande di Dio, deve essere per il cristiano e per tutti coordinata in relazione alla vera vita. Venerati Confratelli, chiedo perdono, ho fatto per ubbidienza, scrivo prima a me, e poi a voi. Quanto è necessario che noi Sacerdoti e Religiosi, ci mettiamo sul serio a rivedere le nostre partite, ritornare al Santo Vangelo pratico. E’ benedicendo un libro, che nato, come scrisse un’Eminenza nel cuore dell’umile Congregazione dei Poveri Servi, e stampato nella tipografia, e quel libro che tutti conoscono per grazia del Signore benedetto, si diffuse oltre i mari, fu tradotto in varie lingue, ed ha portato un grande bene alle anime nostre ed alle anime dei fedeli. Ora, per grazia di Dio, si è arrivati alla quarta edizione.

Quanto dobbiamo ringraziare il Signore di questa luce, di questo faro che Lui ha voluto, perché io credo che proprio lo Spirito Santo, mentre si legge e rilegge quel libro, una nuova luce faccia scendere nelle nostre anime, a fare dei seri propositi. Ma io da un po’ di tempo mi sento che questo libro, più che sia testo o quasi testo nei seminari e case religiose, specie nei Noviziati, che lo si faccia leggere, meditare da giovani Leviti, e perché no? Scegliere dai Rettori e Padri spirituali, un giorno, come di esame pratico. Bisogna ritornare indietro, bisogna andare alle radici, bisogna che i nostri giovani Sacerdoti, vengano fuori tutti pieni dello spirito apostolico, modellando la loro vita con quella di nostro Signore Gesù Cristo.

Solamente così potremo avere con noi lo stesso Gesù e andare incontro, e vincere Satana, e costruire con Cristo il nuovo mondo, che, senza di Lui, va alla rovina. Avrei rimorso al punto della mia non lontana chiamata, se non avessi esposto prima a me e poi a voi, venerati miei Confratelli nel Sacerdozio, questi pensieri che mi pare mi siano suggeriti dal Signore, a bene della mia povera anima e a gloria di Dio, ed a nostra personale santificazione.

* 8878/A 26-2-1947

A tutti i miei cari Fratelli di Costozza

Grandi celesti benedizioni e fervidi auguri a tutti i miei confratelli che tutti porto nel cuore e prego e soffro perché tutti si santifichino, per poi santificare. Mentre mi raccomando alla carità delle preghiere. Dio vi benedica tutti il vostro

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8878 1-7-1947

Fonogramma: Augurando, benedicendo faustissimo giorno Preziosissimo Sangue, Venerato Padre unito sacerdoti, fratelli e figlioli della Casa Madre partecipa intimo gaudio diletta famiglia Costozza attorno Novello Sacerdote invocando propizie grazie celesti, spirito riparazione, preghiere, conforme programma genuino Opera Poveri Servi

Don Giovanni

* 8876 8-7-1947

Miei cari ed amati fratelli [Costozza],

la grazia e la pace del Signore Gesù sia sempre con voi.

Ricevuti con grande piacere i vostri santi auguri, eccomi a ringraziarvi sentitamente, in modo speciale quelli tra voi che hanno scritto tanti bei sentimenti di filiale affetto.

E’ sempre caro al cuore di un padre leggere negli occhi e nel contegno dei figli, la bontà di cuore, il desiderio di far sempre meglio nella via del Signore. Quindi siate certi che mi avete procurato un grande conforto con le vostre parole, anche se non posso rispondere a ciascuno in particolare. Voi conoscete quanto vi voglio bene, e come vivo per voi, e come prego perché vi manteniate fedeli allo spirito puro e genuino dell’Opera grande, e siate degni Servi della Provvidenza di Dio nel compimento dei suoi disegni. Vi porto nella mente e nel cuore; penso spesso alla Casa di Costozza, augurandomi che sempre siate all’altezza della vostra nobile missione e vocazione. Pregate per me; io prego per voi, mentre di gran cuore vi benedico tutti e ciascuno e ricordatevi che vi porto tutti nel cuore.

in C. J. Sac. J. Calabria

* 290 22-7-1947

Ai miei cari Confratelli, in modo particolare ai Fratelli Consiglieri.

Io credo di non aver mai detto quello che mi sento di dover dire ora, a bene delle nostre anime religiose, e a conferma che l’Opera alla quale per somma grazia e misericordia del Signore noi apparteniamo, è opera tutta sua, perché fu Lui che la ispirò e fondata per mezzo di me povero e misero strumento, zero e miseria, per maggiormente far risplendere la sua bontà e misericordia; di più quest’opera ha relazione con l’ora attuale con fini tutti particolari, fini che ha maturato con segni particolarissimi.

Come tante volte avete sentito, quest’Opera è nata, e cresciuta sempre come conseguenza di segni che in modo particolare fino all’inizio il M. R. P. Spirituale, P. Natale, al quale per grazia di Dio io ho obbedito fino al momento della sua morte che fu il 21 ottobre 1941, e questi segni si sono sempre avverati; condizione questa perché l’Opera andasse avanti.

Ora per grazia di Dio siamo al quarantesimo di questa piccola e grande Opera, e tutti siamo stati testimoni del bene che ha fatto e fa per mezzo dello spirito puro e genuino che lo stesso Iddio ha messo e che, guai, sarebbe la morte certa se non fosse sempre mantenuto, e che vissuto e mantenuto farà opere da far strabiliare il mondo, specie in quest’ora. Ed è questo che fa fremere Satana e che tenterà ogni cosa e sotto diverse forme, anche di zelo, di santità, di grandezza di bene per farla deviare; cari, basta un tantino, un millimetro e l’Opera non è più quella.

Cari confratelli, questa mattina celebrando la S. Messa e subito dopo mi sono sentito una forza, da dire a voce e di raccomandare come mio testamento di difendere usque ad sanguinem questo spirito che per grazia grande di Dio conoscete, e che tutti dobbiamo viverlo nella sua integrità. Ormai sono vicino alla grande chiamata, anche noi presto o tardi saremo, voglio sperarlo, tutti uniti in Paradiso e di là vedremo quanta gloria di Dio e bene delle anime si fa per mezzo di quest’Opera, ma quale responsabilità, se per colpa nostra questo spirito venisse a mancare permettendo che sia trasformato. Sarebbe la rovina di questi per tutta l’eternità, ed è questo spirito che il demonio vuole, e che farà di tutto non con i nemici esterni ma con noi, gens tua et… grandi parole da meditare. Nessuna forza esterna, solo noi, amati Consiglieri.

Ed ora in ginocchio vi prego e vi scongiuro, se volete, se vogliamo, un giorno trovarci tutti uniti in Cielo con Gesù e Maria, vivete, vivete fino alla morte, lo spirito puro e genuino che Gesù stesso ci ha messo, e così crescendo in bontà, ritenetevi cenci, stracci, disposti a tutto, tutto è grande nella Casa di Dio.

In C. J. Sac. J. Calabria.

Atto della mia ultima volontà. In C. J. Sac J. Calabria.

* 7079/A 6-8-1947

Carissimi confratelli (Borgata Gordiani)

Dio sia sempre con voi. Voi beati. Pregate per me, per l’Opera del Signore

in C. J. Sac. J. Calabria

* 6978/A 7-8-1947

In occasione del IV centenario dalla morte di S. Gaetano Thiene e XL della fondazione della Casa

Miei amati figlioli

Questa mattina, appena celebrata la S. Messa, ho sentito nel mio cuore e mi è venuta spontanea sulle labbra una parola che mi ha fatto grande impressione, e la dico subito anche a voi, che avete la grazia di abitare questo palazzo di Dio, di essere sotto le ali della divina provvidenza.

E la parola è questa:” Segna la mia strada”.

L’ora attuale è tanto oscura; non sappiamo quello che può avvenire da un momento all’altro. In questa oscurità quanti hanno smarrita la via!

Ma la Divina Provvidenza che a grandi mali prepara grandi rimedi, chiama anche noi a segnare, a tanti nostri fratelli, la strada, perché non vadano alla rovina, al precipizio. Si è smarrita la via, perché ci siamo allontanati da Dio, dal Vangelo, dalla vita degli apostoli e dei primi cristiani. Bisogna mettersi sulla via che sola ci conduce all’eterna salvezza ed ha le promesse della pace, del benessere e della prosperità anche terrena.

Bisogna ritornare a Dio e alla sua santa legge; bisogna ritornare a Cristo e al suo Vangelo, non solo in teoria, ma in pratica; non solo dagli altri, ma anche da noi, e specialmente da noi sacerdoti e religiosi. Bisogna vivere come i primi cristiani. Amati figlioli, io per il primo mi metto una mano sul cuore e mi domando: conosco e pratico questa via, che poi devo segnare agli altri? Bisogna che la conosca bene, in pratica, che vada innanzi ai fratelli, vicini e lontani con la lanterna della fede, con la fiamma della carità e delle buone opere.

Così fate anche voi. Quale grazia ci fa il Signore con questo invito! ma anche quale responsabilità!

Ve lo dico con certezza: l’Opera dei Poveri Servi ha stretta relazione con l’ora attuale; occorre dunque che siamo in piena efficienza per compiere i nuovi, grandi disegni, propri della grave ora che attraversiamo.

In questi giorni consacrati al ringraziamento per i doni e le grazie senza numero che la Provvidenza ha elargito alla sua Casa, in 40 anni di vita, sotto la protezione di S. Gaetano Thiene, nel IV Centenario della sua morte, facciamo dei fermi propositi di rinnovarci, vivendo lo spirito puro e genuino dell’opera, per corrispondere così alla nostra speciale vocazione, e poter andare innanzi agli altri con la fiaccola ardente della fede e della carità, e in questo modo segnare la strada che conduce sicuramente alla vita eterna.

Pregate tanto per me, ormai vicino alla grande chiamata. Vi sono sempre vicino con la preghiera e la sofferenza, ed anche ora paternamente vi benedico. Vostro aff.mo

in C. J. Sac. J. Calabria

* 7079/B 10-8-1947

Il Padre ai figli diletti nel 50º della vestizione clericale

Il Povero Servo è sempre contento del posto che Iddio gli ha dato, qualunque esso sia; e non soffre di quelle agitazioni interiori per cui certe anime ripensano continuamente alla propria vocazione, e cambiano strada con facilità in cerca di una risoluzione più soddisfacente. La vera risoluzione non può essere che interiore, e consiste nel rendersi conto che non tanto importa quale sia il posto occupato nella Chiesa di Dio, quanto il modo con il quale tale posto viene occupato.

Anche il compito più umile può illuminarsi con la luce della santità; ed è questo che conta, solamente questo.

Colui che si affanna per organizzare, dirigere, oppure servire un gran numero di opere apostoliche, per quanto con retta intenzione, corre pericolo di sbagliare.

Chi invece si accontenta della propria missione, e si sforza di approfondirla, più che di superarla per rivolgersi ad altro, così che in essa tutto sia appropriato e ben fatto, a servizio di Dio e degli uomini, possiede una formula di felicità, di perfezione, e di successo. Non multa, sed multum.

Don Giovanni

* 10712 Verona, 7-10-1947

[Ad novello Povero Servo, don Manzetti o fr. Pistella]

Carissimo,

La grazia, la benedizione e la pace del Signore siano sempre nei nostri cuori.

Il ricordo della tua prima professione ti sia stimolo continuo di santificazione.

Ricorda l’avviso di San Paolo: Sic currite ut comprehendatis – Correte in guisa da far vostro il premio.

Ti benedico, prega per me.

Tuo in C. J. Sac. J. Calabria

* 8877 28-10-1947

Telegramma per la consacrazione della Chiesa della Casa di Costozza:

Assente corpo presente spirito solenne consacrazione chiesa raccomando consacrazione vostro spirito puro genuino Opera. Celebrata santa Messa invoco copiose celesti grazie ringrazio eccellentissimo Vescovo chiedo benedizioni a tutti preghiere.

Sac. Calabria

* 6978/B Natale 1947

Miei carissimi,

La grazia del Signore Gesù sia sempre con voi.

Vi mando i miei fervidi auguri per le feste del Natale e per il nuovo anno 1948 che avremo, speriamo, la grazia di cominciare presto.

E il mio augurio è che possiate sempre stare fedeli al nostro spirito puro e genuino, quale conoscete per tanti anni ormai di esperienza. Fedeli ad esso, coopererete allo sviluppo della grande Opera a cui per grazia del Signore apparteniamo.

Vi sono sempre vicino con la mente e col cuore; vicino anche con la sofferenza, che in certi giorni è più grande; speriamo serva anche questa a propiziare la benedizione del Signore per me e per voi tutti affinché il vostro ministero sia più efficace a gloria di Dio, a bene delle anime di codesta Borgata.

Pregate per me, che tanto ne ho bisogno. Io vi ricambio con la paterna benedizione, data più col cuore che con la mano. Una grande benedizione a tutti i cari fratelli

in C. J. Sac. J. Calabria

* 7079 1947 [?]

Ai miei cari Confratelli, in modo particolare ai miei Fratelli Consiglieri.

Io credo di non aver mai detto quello che mi sento dover dire ora a bene delle nostre anime religiose e a conferma che l’Opera alla quale, per somma grazia e misericordia del Signore, abbiamo la grazia di appartenere, è Opera tutta sua e tutta propria dell’ora attuale, con fini tutti particolari che in questi ultimi anni il Signore ha maturato con segni tutti speciali come avete veduto tante volte.

L’Opera è nata e cresciuta sempre con condizione di segni che in modo particolare, fin dall’inizio il V. P. Spirituale ha messo e sempre si sono avverati: condizione perché l’Opera andasse avanti.

Ora, secondo i programmi di Dio, al 40º di questa piccola e grande Opera, e per grazia di Dio, siamo testimoni del bene che ha fatto per mezzo dello spirito puro e genuino che lo stesso Signore ha messo, e che sicuramente sarebbe la morte certa, se non fosse sempre mantenuto e, se mantenuto, compirà disegni da far strabiliare il mondo, specie in quest’ora. Ed è questo che fa fremere Satana e che tenterà ogni via, e sotto diverse forme anche di santità e di prodigi, di far deviare. Amati consiglieri, quanto…

In C. J. Sac. J. Calabria

* 8766 28-3-1948

Ai Religiosi Poveri Servi,

A tutti i miei carissimi Fratelli, a tutti della Casa di S. Zeno in Monte, a tutti i componenti di questa grandissima Opera del Signore in questo momento, sgorga spontaneo dal mio cuore, l’augurio di Buona Pasqua.

Sì, sì, buona Pasqua miei carissimi, che questo santo giorno segni per tutti noi l’inizio d’una vita più santa, secondo che vuole il Signore da noi che abbiamo la grande fortuna di vivere, di abitare questo divino bastimento, che vive sul mare, ma che mai il mare entrerà nel bastimento nostro se noi lo vogliamo.

Buona e santa Pasqua, io vi porto tutti nella mente e nel cuore e spero che le mie prove e sofferenze, oltre che alla mia povera anima, porteranno un ricco patrimonio di santità a tutti e ciascuno di Voi.

Di nuovo buona Pasqua.

Vi benedico tutti più con il cuore che con la mano.

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8032 21-5-1948

Ai Religiosi “Poveri Servi” Pineta Sacchetti – Roma

Miei amatissimi Fratelli,

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Sono qui davanti al mio Crocifisso che deve essere anche il vostro, ed ecco la parola che mi sgorga spontanea dal cuore in questo momento che il caro don Ottorino ritorna in mezzo a voi, per cooperare assieme a voi con grande spirito di fede in Dio e di abbandono nella Divina Provvidenza, al vostro apostolico quotidiano lavoro, tutto intento, specie in quest’ora di grazie, direi quasi di miracolo per la nostra cara Patria e per Roma centro del grande amore, dello Spirito Santo che vive continuamente nel Vicario di Cristo, il Sommo Pontefice, il regnante e glorioso Pio XII.

Amati fratelli, in ginocchio vi prego vi scongiuro, che per amore di Dio non passi invano quest’ora senza attendere prima di tutto alla vostra personale santificazione, con lo spirito puro e genuino della nostra Opera.

Santificando noi stessi, santificheremo tutti i membri dell’Opera; con la nostra santificazione compiremo tutti quei grandi e nuovi disegni, propri dell’ora attuale e che Gesù vuole compiere per mezzo dell’Opera. Quale grazia, ma quale responsabilità! Mi pare di vedere in noi un primo anello al quale il Signore ne vuole unire tanti altri e l’ultimo è un grande premio che gusteremo in dono in mezzo alle prove e sofferenze, la gioia e la pace dell’anima, preludio dell’eterno premio che avrete, terminata la vostra terrena giornata.

Amati fratelli, tutti assieme, uno con tutti, sotto la guida di chi nel nome di Dio è messo a capo e responsabile della Comunità Romana. Comunità che Gesù guarda e aiuta e aiuterà anche con miracoli, se saranno necessari, sempre se sarà, se vivrà con lo spirito puro e genuino dell’Opera, Patrimonio di Dio.

Amati fratelli, pregate tanto per me e ottenetemi grande misericordia dal Signore, io tutti vi porto nel cuore e ad uno ad uno vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 9011 Verona, 2-7-1948

Miei cari ed amati Fratelli,

la grazia di Gesù benedetto vi accompagni sempre nel cammino della vostra vita, affinché possiate fare tanto del bene ai cari giovani che la divina Provvidenza vi affida da aiutare nella via del bene.

Mi giungono graditissimi i vostri filiali auguri per l’Onomastico; un po’ in ritardo vi posso rispondere; e vi dico il mio ringraziamento per le espressioni di riconoscenza, e per le preghiere che fate per me, che tanto ne ho bisogno.

Vi penso su codesti monti, a contemplare le magnificenze della natura, che cantano la gloria di Dio e invitano a pensieri di cielo. E sono certo che voi approfittate di questo tempo di riposo corporale, per irrobustire lo spirito e renderlo più alacre nel servizio di Dio. Vi invoco la grazia di andare innanzi nella virtù, secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera, affinché possiamo allargare il campo di lavoro, e abbracciare tante e tante anime, irradiando su esse la grazia, la luce, la carità di Cristo.

Dite ai giovanetti, che anche di lontano li seguo con affetto più che paterno; la Provvidenza li ha condotti sotto le sue ali, non tanto per il sollievo del corpo quanto per infondere nel loro spirito la forza e la volontà di amare Gesù e di camminare sui suoi santi esempi nella via della bontà, dell’obbedienza, della preghiera, della santità insomma. Siano grati al Signore per tante grazie; e vedano di immagazzinare virtù durante questi giorni, per tornare rifatti nel corpo e nello spirito alle loro case, a essere la consolazione dei genitori, l’esempio ai loro compagni.

Dite loro che li ringrazio degli auguri e delle preghiere che fanno per me. E tutti li benedico, assieme alle loro famiglie.

A voi, cari Fratelli, una benedizione speciale dal fondo del mio cuore, e l’augurio che siate luce che illumina, calore che riscalda di amore a Dio.

in C. J. Sac. J. Calabria

* 9901 Verona, 2-7-1948

[Al Fr. Signorini Domenico e Fratelli- S. Pancrazio]

Miei carissimi,

La grazia di Gesù benedetto sia con voi, sempre.

Solo oggi posso rispondere ai vostri graditissimi auguri, che mi avete mandato per l’Onomastico. Il Signore vi rimeriti della vostra bontà per me, e delle preghiere che avete fatto in quel giorno. Oh, è questa una carità fiorita, della quale il Signore certamente vi ricompenserà.

Io prego per voi tutti, che possiate corrispondere alla grazia che vi ha fatto la divina Provvidenza, accogliendovi nella sua Casa. Ricordatelo bene: non è una casa qualunque di riposo, come le altre; è una Casa speciale, in cui la Provvidenza vi ha messo perché vi vuol bene, vi vuol santi.

Cercate di approfittare di questa grazia; e, mentre riposa il vostro corpo dalle fatiche dei vostri anni di lavoro arricchite il vostro spirito della grazia di Dio, attendendo alla preghiera, all’esercizio della carità fraterna, alla custodia di voi stessi.

Vogliatevi bene gli uni gli altri, nel nome del Signore. State fedeli alle Regole della Casa, che sono date unicamente per il vostro bene e per il buon ordine della Casa. E sarete contenti: i vostri anni scorreranno lieti e felici sotto lo sguardo del Signore, fino a quel giorno beato in cui vi addormenterete placidamente nel Signore.

Siamo tutti di passaggio quaggiù; siamo incamminati verso la Patria celeste. Beati noi se cammineremo, ilari e contenti, fedeli e generosi, sotto la guida del Signore in questa sua Casa: il Paradiso è nostro.

Grazie dei vostri auguri, grazie delle preghiere; continuatemi questa carità. Io prego per voi, e di gran cuore vi benedico.

Giovanni Calabria

* 8983 Verona, 22-7-1948

A tutti i miei cari e amati fratelli, piccoli e grandi che hanno la fortuna di abitare o per sempre, per la loro dedizione al Signore, o solo in parte, per ricevere doni e grazie che il Signore per mezzo dell’Opera che è sua, l’Opera dei Poveri Servi, per essere un giorno fuori della Casa veri uomini cristiani, tutti d’un pezzo, per bene e santificazione loro e della società alla quale appartengono, il mio saluto e la S. Benedizione del Signore che sia per tutti apportatrice di grazie prima per le anime e poi per il corpo.

Il vostro don Giovanni vi è sempre vicino, prega, e anche soffre perché voi abbiate ad essere sempre buoni. Pregate tanto per me e con i vostri Superiori vi dico e vi insegno che il solo importante è arrivare a Dio per le strade che il Signore vi indica.

in C. J. Sac. J. Calabria

* 7042 Agosto 1948

Ai Religiosi Poveri Servi.

Carissimi in Domino,

Come l’aria penetra i vostri polmoni e vi risana e vi dà forza, così il pensiero di Dio, della sua Provvidenza, della grandezza di quest’Opera, della vostra specialissima vocazione, penetri e pervada tutto il vostro essere di cristiani e Religiosi e vi fortifichi per combattere “usque ad sanguinem” per il santo Regno di Dio e per le anime.

Pregate per me. Vi benedico

In C. J. Sac. J. Calabria

* 213 11-2-1949

Amati fratelli

Fatevi santi, vivete lo spirito puro e genuino della Opera, alla quale appartenete e pregate per il vostro Padre, che mai come ora, sente il bisogno dell’aiuto di Dio. Voi potete, se volete, far molto.

Vi benedico

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8465 27-2-1949

Carissimo Confratello,

La grazia di Gesù benedetto sia sempre con noi. In questa santa domenica, I di Quaresima, sento una forte spinta a rivolgerti una mia parola che sgorga spontanea dal cuore di padre che sente tutte le ansie e i desideri dei cari figli.

La Provvidenza ti ha dato una porzione del mistico gregge da pascere, anime da condurre alla salvezza eterna, educandole alla vita veramente e praticamente cristiana. E tu sei un Povero Servo: come tale, devi irradiare attorno a te lo spirito puro e genuino dell’Opera, devi svolgere il tuo nobile ministero secondo questo spirito che il Signore Gesù stesso ha immesso nella sua Casa.

Ed oh, quanto è urgente nei nostri tempi, far rivivere lo spirito cristiano del santo Vangelo! E’ di pochi giorni fa l’accorato appello del Santo Padre, Vicario di Cristo, per un rinnovamento spirituale dei cristiani nell’ora presente così gravida di minacce, ma così importante per l’avvenire della Chiesa e del mondo.

Se tutti devono corrispondere all’appello ed aspettazione del Papa, Vicario di Gesù Cristo, quanto più il Povero Servo messo dal Signore a reggere una Parrocchia. Animo, dunque; se mi è lecito, aggiungo la mia calda esortazione a quella del Santo Padre; e dico a te: Abbi cura del tuo gregge; spendi generosamente le tue sollecitudini per il bene delle anime. Tutte, tutte le anime siano oggetto delle tue premure, e del tuo amore.

Mi par di doverti ripetere con San Paolo: Non lasciar passare invano la grazia del Signore, poiché nel tempo accettevole, ti esaudirò. Ed eccoci proprio nel tempo accettevole la Quaresima di preparazione alla Pasqua, preparazione alla risurrezione nostra insieme con Cristo. “In ogni cosa mostriamoci degni ministri di Dio, con la pazienza, la sofferenza, le fatiche” lo zelo per le anime.

In particolare poi mi sento di raccomandarti quelle pecorelle del gregge che, sviate da teorie erronee, combattono contro il Signore e contro la sua Santa Chiesa. Poveretti! sono degli sbandati, dei fuorviati, dei malati. Per essi occorrono cure più sollecite, perché anche essi sono pecorelle di Dio, redente dal Sangue di Gesù Cristo, chiamate alla santità come tutti gli uomini.

Certo, non dobbiamo transigere con l’errore; ma dobbiamo ben scindere l’errore dall’errante: l’errore è una cosa, l’errante un’altra. Non sia mai che il Povero Servo trascuri queste anime, che il Signore vuol salvare, sono nostri fratelli. La nostra Opera ha di mira particolarmente i più poveri; e non è una povertà grandissima quella dello spirito, più ancora di quella del corpo e della vita materiale? Abbi dunque una cura speciale per costoro; cerca di accostarli con la carità di Cristo, con l’affetto e la tenerezza di padre, sull’esempio di Gesù, che andava in cerca dei peccatori anche più traviati; volentieri li accoglieva, li confortava, li convertiva.

A tal fine, ricorda che siamo tutti un sol corpo, il Corpo Mistico di Cristo; quindi, ogni buona azione fatta da un membro, rifluisce beneficamente sulle altre membra; e, come nel corpo fisico, il lavoro della vita si intensifica proprio là dove più grande è il bisogno per una malattia o una infezione, così tu, Povero Servo, nello spirito dell’Opera, procurerai di portare giovamento a quanti sono lontani. Una preghiera, una buona azione, una sofferenza, un sospiro d’amore a Gesù… son tutti mezzi efficaci della grazia per far del bene alle anime.

Io stesso, tenendomi unito a te, offrirò una intera giornata per il bene delle anime a te affidate: preghiere, sofferenze; e ogni altra cosa saranno una invocazione a Gesù perché salvi tutti, specialmente chi ne ha più bisogno.

Dillo pure ai tuoi fedeli, che io sono a loro vicino, vicinissimo col cuore, perché tutti li desidero quali li vuole il Signore. Che se tutti davvero ci metteremo a vivere cristianamente, oh allora sì il mondo cambierà faccia e i tempi si faranno migliori. Con la grazia di Dio si metteranno a posto anche le cose materiali della terra, si avrà la pace; ma in disgrazia di Dio, nel peccato, ogni cosa andrà a male, e in scompiglio.

Ti ho aperto il mio animo, per infervorarti al lavoro spirituale in bene dei fedeli. Ti porto nella mente e nel cuore, facendo mie le tue cure e le tue sollecitudini per il regno di Dio nelle anime. Prega tanto per me, fa pregare per me: ne ho tanto ma tanto bisogno.

Che tutti ci possiamo trovare uniti un giorno lassù in Paradiso, a cantare le divine misericordie, e godere il frutto della nostra povera vita spesa per i cari fratelli.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 8465/A 3-6-1949

Iº venerdì del mese di giugno 1949

Il cuore del Padre al mio caro don Sandri e a tutta la cara Casa di Nazareth, perché compia tutti i disegni che Gesù vuol compiere, specie in quest’ora che domanda in modo tutto particolare, sacerdoti e religiosi santi, per santificare tutto il mondo.

Mi raccomando alla carità delle orazioni

in C. J. Sac. J. Calabria

* 9030 7-6-1949

Il cuore del Padre è sempre in modo tutto particolare per i miei cari fratelli e tutta la benedetta Casa del Sacro Cuore di Negrar, da Gesù tanto amata e prediletta, perché tutta sua in coloro che hanno la grazia di appartenervi. Gesù benedite, santificate tutti i membri di questa vostra Casa.

Pregate per me

in C. J. Sac. J. Calabria

* 2286 19-6-1949

Ai miei cari Fratelli e Sacerdoti.

La grazia, la pace di Gesù siano sempre nei nostri cuori.

Con quanta gioia ho ricevuto la notizia che il Rev. Padre Venturini ha avuto l’ispirazione di fare la giornata Sacerdotale, benedetta dal S. Padre.

Quanto più mi avvicino alla grande chiamata, mi persuado della gravità dell’ora attuale.

Follia della croce. La giornata Sacerdotale fu come una luce per dire quello che dobbiamo fare noi sacerdoti. Siamo anche ottimisti. Tornare al S. Vangelo in pratica. Il S. Padre… Come cominciare noi? Come fu salvato il mondo?

Pazzia della croce. Realizzare il Vangelo, come gli apostoli. Essere uomini di fede, distaccati dalle cose terrene, non essere ristretti.

Carità per i più poveri. Sembra difficile, ma abbiamo l’Eterna parola, finito il tempo di tanto parlare. Noi abbiamo bisogno di fratelli. Grande impostazione della vita interiore, grandi pratiche di pietà, obbedienza e orizzonti vasti, raccomando tanto.

Il mondo guarda a noi, noi siamo dei privilegiati. Con la carità molto amarli, non teniamoci lontani, cerchiamo di convertirli. Esempi di Cristo, teoria dei vasi comunicanti. Carità, compatimento. La chiesa è fondata sugli Apostoli e su noi.

* 2550 Verona, 23-6-1949

Ai Chierici Poveri Servi Ordinandi, don Dellai, don Vicentini e don Favarin.

Carissimi,

La grazia, la benedizione e la pace del Signore siano sempre nei nostri cuori. Sono qui nella Casa del S. Cuore di Negrar, penso a voi in modo tutto particolare e prego per voi.

Siete partiti da S. Zeno in Monte con la benedizione e le parole che vi ho dette, parole che vi ho dette col cuore e benedizione sgorgata dal cuore.

Avete un segno di particolare benedizione: fare gli Esercizi in preparazione alla Ordinazione del Noviziato, il Cenacolo santo della Congregazione, luogo santo e santificato dalla preghiera e dalla vita passata nello studio e nell’esercizio della santità.

Siatene grati al Signore e ricordate che i presenti giorni sono per voi di una importanza decisiva nella vostra vita. Gesù vi parla, Gesù vi vuol fare suoi ministri per continuare la sua missione, la salvezza delle anime per le quali si è immolato e immolerà anche per le vostre anime.

Come vi sarete accorti quando vi parlavo, sono trepidante, e quest’anno più di ogni altro passato. Sarete sacerdoti… quale onore e quale dignità e quale responsabilità… e sacerdoti dei Poveri Servi in quest’anno, anno della nostra Pentecoste.

L’ora presente per la Chiesa e per il mondo: e si può dire che il mondo è imperniato sui Poveri Servi, il Signore ha dei disegni particolari da eseguire e vuole eseguirli per nostro mezzo e con la nostra cooperazione. Sono trepidante, ma mi sento sicuro se vorrete vivere e vivrete lo spirito puro e genuino dell’Opera, beati voi nel tempo e più beati nell’eternità; la vostra vita sarà spesa per il Signore e per le anime e Gesù non si lascerà vincere in generosità statene certi. Tutto passa, il bene resta ed è premio che il Signore vi darà.

Pregate per me, per il vostro Padre che vi porta nel cuore, pregate per il Casante dell’Opera, che non sia come le insegne stradali che indicano la direzione per i viandanti e restano sempre ferme e si consumano e sono rose dalla ruggine e dalle intemperie, ma sia una insegna invitante e semovente per arrivare insieme; che si compia la preghiera che faccio tutte le mattine dopo la santa messa: Ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum.

Confido vedervi presto e darvi la S. Benedizione per poi poter riceverla da voi.

Il Cuore di Gesù vi inondi del suo amore per Iddio e per le anime e vi faccia tutti suoi per il tempo e per l’eternità; e ricordate che nessuna forza umana può rovinare, distruggere quest’Opera di Dio, solo noi se non viviamo lo spirito puro e genuino che Gesù ha messo. Di gran cuore vi benedico. In C. J. Sac. J. Calabria

* 7024 Negrar, 18-7-1949

Ai Religiosi Poveri Servi in occasione del Decreto di Lode.

In questo momento sento nel mio cuore di Padre di questa piccola ma grande Opera dei Poveri Servi, tutto il mio ringraziamento e la più viva riconoscenza per il dono che il Signore mi ha fatto, ci ha fatto, dando il sigillo, il suo via di approvazione dell’Opera stessa, per mezzo del Decretum Laudis. E questo dono e questa approvazione lo sapete quando è avvenuto? Proprio nel giorno del Sacro Cuore, quasi a conferma delle mie povere parole che tante e tante volte avete sentito.

Quindi vi raccomando di stimare, di amare questa Opera che non è mia, ma di Gesù, opera nata nel suo Sacro Cuore.

Amati e venerabili Fratelli, in questo momento unitevi anche voi a me, in un cuor solo, in un’anima sola per ringraziare dal fondo del cuore il Signore per tanto dono che ci ha dato per mezzo della sua sposa, la Santa Chiesa, e subito dopo averlo ringraziato, io per il primo mi metto in ginocchio e voi a me unitevi nel domandare perdono di tanti mancamenti, di tante defezioni e dei peccati che abbiamo commesso qui nella sua Casa, sotto i continui e grandi benefici; prima per la nostra anima, ostacolando chissà quali disegni di bene che la Provvidenza avrebbe compiuto, e facciamo una grande, una solenne promessa di cominciare sul serio a vivere lo spirito puro e genuino dell’Opera, che il Signore ha messo e che oggi è confermato dalla S. Chiesa per mezzo delle sante Costituzioni, segnatamente come ha detto l’ inviato del Vescovo, modificate secondo i bisogni e la finalità dell’Opera che Dio ha voluto.

Amati Fratelli, la grazia, il dono che ci ha fatto, è dono grande, ma se grande è il dono, grandissima è la responsabilità che pesa su tutti noi, e per amor di Dio, vi raccomando di corrispondere a tante grazie.

Ricordiamolo che a questa grazia corrisponde, grande parola! la mia, la vostra salute eterna, ed è per questo che ancora una volta ripeto, dico quello che ho letto nella lettera che ci annuncia l’approvazione: se alcuno non si sentisse di vivere questo spirito, per amor di Dio, per il bene della sua anima e dell’Opera, si ritiri.

L’Opera per compiere i divini e speciali disegni non ha bisogno di nessuno, ossia ha bisogno, come tante e tante volte avete sentito, ha bisogno di cenci, di creta, di senza testa, disposti a tutto perché tutto è grande nella Chiesa, e Dio è nella sua Opera, e solamente così compirà miracoli di bene propri dell’ora attuale.

Fratelli il nostro fondamento è rovescio, non in terra, ma in cielo, ma io non dubito di nessuno anche perché la maggior parte di coloro che hanno la grazia di appartenere a quest’Opera prima ancora furono ricevuti in seno a quest’Opera fino dai primi anni e li ha educati, nutriti, seguiti per essere via.

Il fatto poi di essere stati chiamati a far parte, per me è segno di speciale predilezione da parte del Signore.

Amati Fratelli, sono vicino alla grande chiamata, solo Dio sa quanto vi amo nel Signore.

Tenete questa mia parola come mio testamento:

L’Opera è grande, l’Opera l’ha fatta il Signore, nessuna forza la può distruggere.

Solo i membri, noi se non viviamo come Gesù vuole: per amor di Dio che a nessuno succeda tanta sventura, viviamo secondo lo spirito puro e genuino.

Beati voi… che tutti un giorno ci possiamo trovare uniti in Paradiso.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 7024/A Negrar, 18-7-1949

[Ai Religiosi Poveri Servi in occasione del Decreto di Lode].[Bozza]

In questo momento sento nel mio cuore di Padre di questa piccola ma Grande Opera che è la Congregazione dei Poveri Servi, tutto il mio ringraziamento per il dono che il Signore ci ha fatto, dando il suo sigillo, il suo visto di approvazione anche con il Decretum Laudis, venuto proprio nel giorno del Sacro Cuore dove l’Opera dei Poveri Servi ha avuto (inizio) come tante volte io vi avevo detto, se ben ricordo. L’opera è nata nel Sacro Cuore di Gesù.

Amati e venerabili miei fratelli, in questo momento uniamoci come in un cuor solo, in un’anima sola, rivolgiamo al Signore per questi doni l’inno della gratitudine, della riconoscenza che ci ha fatto per mezzo della sua sposa la Santa Chiesa.

Amati fratelli, ma dopo di aver ringraziato il Signore, in ginocchio davanti a Lui domandiamo perdono di tutti i mancamenti, i peccati, commessi qui nella Sua Casa; mancamenti e peccati che hanno di certo ostacolato i nuovi, grandi disegni che la Provvidenza aveva sopra quest’Opera che è sua, disegni propri dell’ora attuale e facciamo una solenne promessa, cercando da adesso di essere come il Signore ci vuole, per mezzo delle S. Costituzioni che ci ha date. Vivere per tutta la vita lo spirito puro e genuino dell’Opera, per conseguire tutto quel bene che il Signore vuole compiere nell’ora attuale.

Cari fratelli è sì grande grazia l’approvazione, ma è una grande responsabilità per tutti noi, perché, ricordiamolo bene, se noi non corrispondiamo, va di mezzo la nostra saluta eterna. Ed è per questo che, come ho detto, tutti dobbiamo … e vivere le sue sante Regole e se alcuno non si sente di viverle, lo prego, lo scongiuro per il bene della sua anima e per l’Opera di ritirarsi.

L’Opera dei Poveri Servi non ha bisogno di nessuno, anzi ha bisogno di cenci di creta,, senza testa, disposti a tutto, solamente con il Signore può lavorare, compiere miracoli di bene in quest’ora che, come ho detto tante volte, Gesù quest’opera la mantiene proprio per questo.

Ma io non dubito che nessuno rinunciasse alle grazie grandi che ha ricevuto e desidererei che il primo fra tutti sia l’ultimo … e per avervi chiamato a farne parte, grande grazia, ma grande responsabilità.

Fratelli, io sono vicino alla grande chiamata, ecco il mio testamento ecco le mie … che si compendiano in quello che tante, tante volte vi ho detto.

L’Opera è grande, l’Opera è di Dio, l’ha fatta Lui. Beati noi, beati voi se vivrete come Gesù vuole, se santificherete le vostre anime …

* 7068 3-8-1949

Cari e amati Fratelli e diletti figli,

La venuta fra voi del nostro caro e amato don Luigi vi porti la mia benedizione accompagnata dalla preghiera, perché il buon Dio vi doni tutte quelle grazie di cui avete bisogno, prima di tutto per le vostre anime.

Siete in montagna, in alto, dove il Signore nel silenzio fa sentire la sua voce. Per amor di Dio ascoltatela questa voce, vivete da buoni figli della Provvidenza.

Quante grazie, quanti miracoli di grazie Gesù vi fa.

Cari figli, per amore di Dio corrispondete, che con il corpo non ne vada l’anima, sarebbe la più grande sventura per voi figli amati, nutriti, tanto prediletti dalla Divina Provvidenza.

Cari figliuoli, fate bene, fate bene, siate tutti del Signore. Voi beati, voi felici, e l’Opera nella quale vivete, farà grandi cose, se voi farete bene.

Pregate per me, tutti vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 9694 Verona, 1-2-1950

[Alla casa di Milano]

Carissimi don Gino e fratel Giovanni,

la grazia, la benedizione e la pace del Signore siano sempre nei nostri cuori.

Vi sono vicinissimo con la mente e col cuore, ed in questi giorni anche con la sofferenza più accentuata; e confido che voi pregherete sempre per me: state sempre uniti al vostro Padre Casante di quest’Opera del Signore: aiutatemi sempre, non per me, ma perché Casante, ed aiutate l’Opera.

Voi siete i primi della Casa di Milano, siate fedeli al programma puro e genuino della Casa; ricordiamo che l’Opera siano noi.

Siete come la semente sotto terra, siate generosi, nel principio sono maggiori sacrifici, ma maggiore è anche il merito.

Ricordate che dal vostro modo di parlare, di comportarvi, di agire, le persone si fanno un concetto della Casa e di tutti.

Pregate e fate pregare per me: è una carità che sarà retribuita con generosità da Gesù.

Ricordate il “buseta e taneta”, Betlemme e Nazaret… che grandi misteri e che grande attività nell’apparente inazione!

Che fa, è il Signore e noi Lo aiutiamo quando Gli stiamo intimamente uniti come il tralcio alla vite.

Domani è la Festa dell’Immacolata di Lourdes, la nostra Mamma celeste, nostra Padrona, ci ottenga la grazia di ottemperare sempre i desideri di Gesù e poi scomparire perché sia più pieno il trionfo di Gesù nelle anime.

Vi benedico, vi porto nella mente e nel cuore, vi sono vicinissimo e come vorrei esservi vicino anche col corpo, ma questo quando il Signore vorrà.

Tanti ossequi a don Giuseppe, a don Carlo ed una particolare benedizione a voi, ed a tutti i futuri felici abitatori della casa di Milano.

Cari fratelli, le anime e le opere di Dio costano tanto e alle volte grondano sangue.

Sono a Negrar, ho estremo bisogno di preghiere.

Come è grande l’Opera nella mente di Dio!

In C. J. Sac. J. Calabria

* 7039/A Natale 1950

Comunità S. Mattia

Gesù vi guarda e vuole tante belle cose. Che grazia, ma che responsabilità. Pregate per me

in C. J. Sac. J. Calabria

* 7039 1950

Lettera ai Religiosi Poveri Servi

Miei cari Fratelli,

La grazia, la pace di Gesù sia sempre con noi.

Qui davanti al mio crocefisso vi scrivo questa lettera, e la scrivo a nome di Dio, per dirvi quelle cose che Gesù, padrone assoluto di quest’Opera, che Lui ha fatto, ha dato il suo divino benestare per mezzo della Sua Santa Chiesa.

Fratelli ringraziamo il Signore che, con questo sigillo divino, noi possiamo andare avanti sicuramente e compiere tutti quei divini disegni che la Divina Provvidenza vorrà, sempre vivendo lo spirito puro e genuino di quest’Opera che è di Dio, e che nessuna forza la può distruggere: solo io, solo noi, se non viviamo lo spirito puro e genuino.

Fratelli ciascuno pensi e veda se si sente di continuare a vivere lo spirito che oggi è dichiarato dalla S. Chiesa, e se non si sente pronto di fare la sua promessa, si ritiri, per amore della sua anima e dell’Opera che non ha bisogno di nessuno, anzi ha bisogno di chi, con fede, con amore, si abbandona a Dio e alla sua divina Provvidenza.

Fratelli, noi passiamo, l’Opera deve vivere, camminare, andare fino alla fine del mondo, ma questo sta a noi.

Fratelli, santifichiamoci!

Fratelli l’anno santo segni per noi il principio della personale santità.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 9012 Verona, 10-7-1951

Carissimi,

La grazia del Signore Gesù sia sempre con noi tutti, e ci aiuti a corrispondere fedelmente alla grande vocazione.

Ricevo i vostri saluti ed auguri; immaginate con quanta consolazione leggo i bei sentimenti di filiale affetto, e soprattutto il vostro attaccamento all’Opera del Signore.

Sarebbe mio desiderio rispondere singolarmente, uno ad uno; ma non mi reggono le forze. D’altronde son certo che voi sentite la ripercussione del mio paterno affetto in ciascuno di voi. Quindi vi ringrazio, così collettivamente della consolazione che mi avete procurato con i vostri bei scritti. E prego il Signore a infervorarvi sempre più nel suo divino servizio, voi specialmente che nella Capitale del mondo cristiano siete chiamati a irradiare luce di fede, fiamma di amore, zelo per le anime, per le creature più povere.

Mi pare che il Signore voglia una cosa speciale da noi in Roma, un’Opera di bene per la Chiesa, per il mondo. Pregate che il Signore mi illumini meglio; e, se è sua volontà, aiuti a mettere in pratica il progetto, a sua gloria.

Riceverete fra giorni una mia lettera circolare: è scritta ai piedi del Crocifisso, quasi mio testamento, patrimonio che deve fruttare per il bene dell’Opera, per mantenerci nello spirito puro e genuino, garanzia di sviluppo e di efficacia nel nostro lavoro spirituale.

Leggetela con attenzione, meditatela, come fate sempre per la parola che sapete venire dal cuore, dopo intensa preghiera al Signore, Padrone dell’Opera. Voglio sperare che Iddio benedica la parola del suo povero Casante e conceda a tutti di cooperare alla sua esecuzione fedele e generosa.

Pregate sempre per me, che vi porto nella mente e nel cuore.

Amato don Ottorino fa’ tu con i fratelli la mia parte.

in C. J. Sac. J. Calabria

* 5825 30-9-1951

Amati Fratelli,

Cuore, mente, tutto me stesso sono per voi.

Prego che Gesù sia su tutti e in ciascuno dandovi quei lumi e grazie tutte particolari per la vostra, nostra speciale vocazione. Come vi ho detto, la giornata di domani è tutta per voi. Voi pregate tanto per me, per la mia povera anima. Che tutti ci possiamo trovare uniti in Paradiso.

Vi do questa immagine della Madonna, desidero che recitiate la preghiera annessa. Vi benedico

in C. J. Sac. J. Calabria

* 10341 Verona, 6-10-1951

Sii sempre disposto a tutto; portiamo ogni giorno una pietra all’edificio spirituale dell’Opera.

Prega per me che ti benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 9373 Negrar, 30-12-1951

Alla cara Comunità religiosa di S. Zeno in Monte perché nella santa lettura di questo libro, ogni Fratello e Religioso ne tragga profitto per sé e per l’Opera.

in C. J. Sac. J. Calabria

* 9373/B 1951(?)

Dilettissimi fratelli in Cristo,

Sia sempre con noi la grazia, la pace di Gesù Benedetto e ci conceda il Signore di vivere sempre lo spirito puro e genuino dell’opera che Egli ha messo, base e fondamento per compiere grandissimi, nuovi disegni, propri dell’ora attuale che io mi sento di dire, come fossi sul letto di morte, ora decisiva per il trionfo della nostra santa, unica e vera religione, la chiesa cattolica.

A noi, Poveri Servi, incombe la missione di attuare questi nuovi disegni, ed a questa attuazione sta legata la nostra eternità beata, ricordiamolo bene.

Col cuore in mano, vi ringrazio delle preghiere che avete fatto nel tempo della dolorosa prova che il Signore ha permesso per la mia santificazione personale.

Voi mi avete aiutato e la Divina Provvidenza per le vostre preghiere mi dà la grazia di mandarvi questa lettera prima di presentarmi al divino tribunale.

E che sia ora decisiva, ora del trionfo di Gesù ce lo dicono i segni, (chiari e patenti dello Spirito Santo), grandi di grazie che lo Spirito Santo dà a tante anime che piene dello spirito evangelico, ci parlano di questo trionfo e fra queste il Padre Lombardi, che io chiamo il messo di Dio.

Amati fratelli, cosa vi dirò? in ginocchio vi prego, vi scongiuro di vivere lo spirito, viviamo perché, ve lo ripeto, a questo è segnata la nostra beata eternità (o dannazione eterna, se per somma disgrazia non lo avessimo ad osservare) e questo spirito è nelle nostre costituzioni che io vi raccomando di leggere, di meditarle e di praticarle, e che ogni religioso deve avere con sé.

Spirito che ha la sua base fondamentale in quelle parole che non solo devono essere scritte, ma scolpite nei nostri cuori: Quaerite primum regnum Dei et iustitiam eius.

Ora, una mano sul petto, io per primo. se ho messo in pratica queste parole, e ciascheduno dirà lo stesso.

Se per somma sventura, non le avessimo osservate, questo è il momento di cominciare sul serio a viverlo sul serio, a viverlo e praticarlo, perché, ancora vi ripeto, da questo dipende la nostra felicità eterna.

Non so se il Signore mi concederà la grazia di arrivare al 50º della S. Messa, ormai prossimo. Fin d’ora ringrazio il Signore e domando perdono di tutte le mie colpe e miserie e mi raccomando tanto alla carità delle vostre preghiere, perché il Signore mi perdoni il male fatto e che possa trovare pietà e misericordia al tribunale di Dio, e sia una nuova tappa per la mia personale santificazione e per tutta l’opera del Signore.

Voi sapete la mia preghiera dopo d’aver celebrato la S. Messa: ut cum fratribus tuis et pueris meis, laudem Te in saecula saeculorum. Amen.

Ricordiamoci che non si pensa abbastanza al “porro unum est necessarium…”, il resto è niente, è fumo, è vanità. Pregate per me. L’Opera deve estendersi “usque ad finem terrae”, ma a una condizione: che siamo fedeli alla nostra vocazione. Strumenti docili, umili, come cenci, come creta, certi della parola infallibile di Dio: ” chi crede in me farà le opere che ho fatto io e ne farà anche di maggiori”.

Pregate per me, perché grandissima è la mia responsabilità, come Casante e corrispondete alla grandissima vocazione di essere Poveri Servi della Divina Provvidenza. Continuate e crescete nella generosità, certi che il Signore stesso sarà la vostra ricompensa. State certi che il Signore non si lascerà mai vincere in generosità.

Corrispondete, e il Signore mi allungherà la vita, voi siete la mia vita. i miei polmoni. Siate santamente orgogliosi della vostra vocazione. Noi non abbiamo da invidiare niente a nessuno, cari fratelli, ma dobbiamo chiedere la santa perseveranza della santa vocazione, nell’amare e nel servire i più poveri, i più abbandonati, a non confidare nelle protezioni umane e nei mezzi umani. Accettiamo sì le protezioni che il Signore ci manda, ma non attacchiamo il cuore a protezioni, disposti anche ad essere combattuti ed a fare il maggior bene che ci è possibile e poi anche a chiedere perdono del bene fatto. “Divitiae si affluant, nolite cor apponere”, manus sì.

Ricordiamo che i poveri, i sofferenti, gli abbandonati sono i prediletti del Signore. I poveri vi sono per salvare i ricchi, ed i poveri ci saranno sempre, ed in essi serviamo ed amiamo Gesù. I poveri hanno tante strade per arrivare al cielo, i ricchi ne hanno una sola: la giustizia e la carità. Molti [hanno] le ricchezze per punizione.

Fare la carità è una grazia e si deve essere degni di aver questa grazia,… e noi amiamola questa povertà, e la parola di Gesù: “Quando vi ho mandati…”. Mi diceva una vecchietta: “La carità mantien la ca’”. Vi ripeto ancora non dovete, nessuno deve fumare, non è peccato, ma per noi è una grave sconvenienza, e chi non si sentisse di fare questo, chiamiamolo sacrificio, se ne vada fuori, farà del bene anche fuori, ma la Casa non è per Lui. Sull’esempio di S. Giovanni Bosco, quanti sacrifici per un nonnulla.

Ricordiamo che se uno non corrisponde oggi, domani, posdomani il Signore stesso lo allontanerà dall’opera… e quale disgrazia essere separato dalla Casa. Siate convinti che grandissima è la nostra fortuna di essere nell’opera, ma grandissima è anche la nostra responsabilità davanti a Dio e agli uomini. Se noi viviamo lo spirito puro e genuino, abbiamo bello e firmato il passaporto per il Paradiso.

Ricordiamoci che abbiamo una natura decaduta, perciò dobbiamo fuggire le occasioni; dobbiamo nel nostro apostolato, fare come i medici, curare gli ammalati, noi, come essi, dobbiamo premunirci contro il male. Non dobbiamo scoraggiarci delle nostre debolezze, bensì umiliarci, stare bassi e umili, e dobbiamo combatterle e non fare pace con esse.

Ricordatevi di essere come acqua cristallina, [di] avere la massima confidenza con il vostro Padre ed i superiori, stiamo intimamente uniti nella carità, e le nostre miserie curiamole con grande carità in casa e non mettiamole mai in piazza, parlandone con gli estranei e con chi non può mettervi rimedio.

Stiamo uniti nel santo vincolo della carità “cor unum et anima una” ed il Signore sarà sempre con noi. Ricordiamoci che Satana è il grande nemico, non sa il futuro, ma lo arguisce e nella sua lotta di base, sempre sulle nostre debolezze, [e] si studia di distaccarci dal Signore, di attaccarci al nostro io, al nostro giudizio, alle creature, a questa terra e a questa vita, al nostro comodo e ci distoglie dal santificarci nel momento e nell’azione attuale con le mire di una santità futura, in altro tempo, in altro luogo, con altre occupazioni ed altre persone e con le mire di un bene maggiore. Ricordiamo il grande monito dei santi: “quid nunc Jesus, quid nunc Maria”.

La santità non sta in cose grandi e appariscenti, ma nel grado di amore con il quale facciamo l’azione attuale. Imitiamo Gesù e Maria nella vita di Nazaret.

Non fondiamo il nostro apostolato sui mezzi umani e sulle protezioni umane. Viviamo il “quaerite primum”; se avremo fede viva, il Signore susciterà i mezzi anche dalle pietre.

Quando la Provvidenza ci fa mancare i mezzi, esaminiamoci, se è una prova od un castigo, se l’ostacolo lo abbiamo messo noi col peccato e la poca fede.

Ricordiamo che la parola di Dio non può essere smentita, se, tolto l’ostacolo, la prova persiste, ravviviamo la nostra fede e facciamo tesoro delle prove che il Signore permette per la nostra santificazione.

Dobbiamo essere disposti anche ad andare di porta in porta, ma questo non deve essere per punizione, ma per prova permessa dal Signore.

Pensiamo quanto ci si fidi della parola degli uomini, noi dobbiamo fidarci della parola di Dio.

Ricordatevi che nessuna forza esterna, umana e diabolica, può distruggere l’Opera, solo noi la possiamo distruggere col venir meno al nostro programma.

Non temiamo gli avversari, ma temiamo di noi, ciascuno tema di sé, e perciò stiamo sempre uniti al Signore e stiamo uniti tra noi. ” Dove sono due o tre uniti nel mio nome, io sono in mezzo ad essi”, ha detto Gesù.

La carità regni sovrana, amiamo e serviamo Gesù in tutti ed in ognuno, è Gesù che ha detto : ” Ciò che farete ad uno di questi miei fratelli, lo terrò fatto a me”.

Ricordiamo che l’amore è il segno distintivo dei discepoli di Gesù ” Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete scambievolmente” ed è anche la forza del nostro apostolato “ut credat mundus”.

Ricordatevi che non abbiamo nemici da combattere, ma fratelli da amare, da illuminare, da aiutare, “Interficere errores, amare errantes”.

Ricordiamo bene le parole di Gesù: “senza di me, non potete fare nulla”.

Ricordiamo il principio dei vasi comunicanti : vita interiore sentita, vissuta, vi raccomando tanto le vostre pratiche di pietà, e, quanto più abbiamo da fare, da lavorare, tanto più stare uniti al Signore. Non siamo noi che facciamo, è il Signore che fa il bene e si serve di strumenti docili, umili a Lui intimamente uniti.

Altri potranno fare, noi non riusciremo a fare nulla, distaccati dal Signore. E sempre disposti a lavorare in qualunque luogo ove l’obbedienza ci mette, pronti ad abbandonare un campo di lavoro e portarsi in un altro, senza rimpianti e lamenti, certi di fare la volontà del Signore e di avere la Sua grazia e la sua benedizione nel nuovo posto di lavoro.

Ogni luogo, ogni occupazione, ogni carica deve essere accettato con gioia e amore; per il Povero Servo non ci devono essere luoghi e mansioni che non gli garbino: il Signore ama l’ilare datore. Il Povero Servo non deve cercare il proprio gusto, il proprio tornaconto, la propria soddisfazione, ma unicamente la gloria di Dio e il bene delle anime e contento poi di scomparire perché trionfi Gesù. Deve essere come cristallo terso che lascia passare il sole. Valorizziamo e insegniamo a valorizzare la vita presente in funzione della futura, perché questo è il fine nostro.

E ricordiamo che l’unico vero male è il peccato, la vera miseria è essere fuori dalla grazia di Dio; ed il vizio e il peccato è la causa di tanto male, di tutto il male e per noi, ostacolo al nostro apostolato e causa della nostra e altrui rovina. Ed attenti a non criticare, la critica è cenere, l’azione è fuoco. Quando si ha noi la responsabilità di un posto, la direzione ci va bene, se messo un altro, come si vedono e si giudicano diversamente le cose e le persone.

Studiamoci di vedere e giudicare le cose, sempre dall’alto e con la luce di Dio, mai dal nostro posto e con la luce umana, ed allora vedremo il bene, quando ci entriamo noi e quando non ci entriamo, vedremo il bene fatto da altri e ben volentieri daremo il nostro contributo.

Il merito non sta nel predicare, ma nel praticare, non nel dire, ma nel fare. “Opus fac evangelistae”.

Stiamo ben attenti al sentimento, perché dopo di aver cominciato con lo spirito non cadiamo nella carne e nel senso. Il demonio lavora sul naturale, sul fisico, sul senso; è legato sì, ma ha le corde lunghe e guai a coloro che si avvicinano. E stiamo attenti a non attaccare il cuore alle ricchezze, neanche per lo scopo di fare un maggior bene. “Si divitiae affluant nolite cor apponere”; manus sì, per usarle come si usa il treno e l’auto. Meditiamo la grande sentenza di Gesù: “Guai a voi o ricchi, cioè a coloro che hanno il cuore attaccato alle ricchezze, [e] si può essere poveri di spirito, possedendo dei miliardi ed essere ricchi di spirito nella più squallida miseria.

Amiamo la povertà, l’ha amata e l’ha praticata anche Gesù e l’ha imposta anche agli apostoli.

Ricordiamo il nostro programma: non v’angustiate del vostro vivere… e pratichiamo la carità. Diamo volentieri quello che abbiamo: la forza, la mente, il cuore, la voce, la vita, certi che Gesù sarà poi il nostro premio. Ricordatevi che fare la carità è una grazia di Dio, e si deve essere degni di farla.

Non invidiamo nessuno perché ha della terra: denari, comodità, piaceri, onori, spesso costoro sono piuttosto da compiangere perché hanno i doni della terra come un castigo, hanno pieno il portafoglio e vuoto il cuore e si preparano alla grande sentenza: andate o maledetti al fuoco eterno, perché ebbi fame e non mi avete dato da mangiare. E vi raccomando di non parlare e di non interessarvi di politica, noi dobbiamo parlare di anime , di interessi di Dio, di Evangelo, di vita futura.

Carissimi, i tempi sono tanto tristi, ma ciò che rende tristi i tempi sono gli uomini tristi, sforziamoci di divenire migliori concorreremo positivamente a migliorare e santificare i tempi. Non perdiamo il tempo nelle querimonie, ma impieghiamolo in santificarci e nel fare un po’ di bene nel miglior modo possibile.

L’Opera è come un campo nel quale il Signore mette tanti semi e tante piante, a noi l’obbligo di coltivare. Ed ogni casa è un campo; quanta cura dobbiamo mettere nel lavorare, coltivare e curare il proprio campo, cioè le anime che il Signore ci ha consegnate. Richiamate spesso i santi esempi di coloro che ci hanno preceduto, e, tra questi, cercate di modellarvi nel nostro fratello, Francesco Perez. Che modello esemplare ci ha dato il Signore. Vi raccomando di leggerne la vita e di ricopiarla. Poteva dire: “non veni, ministrari sed ministrare” con tutta verità. Beato lui e beati noi, se imiteremo tanti santi esempi. Saremo sicuri che non ci sarà tolto il campo e dato ad altri che daranno il frutto.

Abbandoniamoci con tutta fiducia in Dio Padre e lasciamo a Lui la gioia di provvedere a noi, sue povere creature. Ricordiamoci, o carissimi, che siamo in un’ora decisiva per i destini dell’umanità; il Signore non vuole mezze misure: non si può servire Dio e noi stessi e il mondo e il demonio. ” Chi non è con me. è contro di me, e chi non raccoglie con me dissipa”. ” Non chi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei Cieli”. Fratelli una mano sul petto, esaminiamo la nostra posizione e le nostre disposizioni.

Gesù ci invita, la Mamma Celeste ci conforta, i santi ci animano “dum tempus habemus, operemur bonum”.

Vi ho mandato una circolare nella quale vi dicevo [di rivolgervi a don Pedrollo], era per volontà di Dio.

E’ volontà espressa di Dio che riprenda in pieno la mansione di Casante che avevo ceduto, per volontà di Dio durante la malattia, all’amatissimo mio Vicario, don Luigi Pedrollo, al quale devo esternare la mia grande riconoscenza per quanto ha fatto e continua a fare.

* 7029/C 1951

Mio caro ed amato fratello

Mi sento di scriverti una parola speciale per te.

Noi Poveri Servi passiamo: uno alla volta dobbiamo lasciare questa povera terra d’esilio, ma l’Opera deve restare e svilupparsi.

Ora, da che cosa dipende che essa rimanga perenne? Dall’esserci chi prende il posto lasciato vuoto da chi è partito per il Cielo. La vocazione dipende primieramente da Dio, e Iddio non manca di suscitare abbondanza, secondo i disegni della sua Provvidenza. Ma sappiamo che Iddio si vuol servire anche degli uomini come strumenti e suoi ausiliari. “Chi ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te”, è parola che può applicarsi anche alla vocazione.

Ora per attirare anime preparate dalla Provvidenza, giova assai la vita, l’esempio, la parola di chi è già consacrato a Dio. Con la sua serenità, col suo spirito di sacrificio, la contentezza d’animo, la dedizione completa per gli altri, ecc., egli mostra quanto è bella la vocazione all’apostolato, e quanto lieto è il servizio del Signore anche in questa vita.

Tu, mio caro fratello, sta attento ad ogni occasione che la Provvidenza ti offre di far conoscere l’Opera: lo spirito, le attività, i sacrifici, le soddisfazioni e il merito di chi si consacra. Ne avrai doppia ricompensa in Cielo: prima, perché tu stesso hai servito bene il Signore, poi perché avrai invogliato altri a prendere il tuo posto avendo assicurato da parte tua la perennità dell’Opera.

Così getterai un seme che Iddio certamente benedirà. Abbi a cuore l’Opera e le anime che avvicini; e non ti mancherà occasione di attirare qualcuno. Ecco quello che mi sono sentito di dire proprio a te in particolare, in questo mio Giubileo Sacerdotale. Sono certo che ne farai tesoro. Se vedi qualcuno che dà segni di vocazione, coltivalo nel nostro spirito; e prega il Signore che benedica il tuo lavoro. Io intanto pregherò lo Spirito Santo che ti illumini, e guidi i tuoi passi, così che tu riesca a fare qualche cosa al riguardo.

Prega tanto per me che di gran cuore ti benedico

in C. J. Sac. J. Calabria

* 9691 Negrar, 26-3-1952, Casetta della Madonna della Pace

Ai miei cari Fratelli dei Poveri Servi che per grazia di Dio fanno parte del Consiglio dell’Opera dei Poveri Servi,

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

O amati Fratelli, sento di scrivere questa mia povera lettera, ai piedi del mio Crocifisso per pregarvi prima di tutto a ringraziare con me la divina bontà e misericordia, che dopo una dolorosa prova di salute fisica e spirituale, mi ha dato e quasi richiamato al mio posto di Casante di quest’Opera che è tutta, ma tutta di Gesù. Voi sapete, o miei cari Fratelli, e conoscete tutta la mia storia dolorosa di sofferenze, che in modo tutto particolare si è acuita dal dicembre 1949 fino al maggio 1951, dove, per grazia tutta particolare, ho avuto nuova salute e nuovi lumi per l’Opera dei Poveri Servi.

Fu appunto dopo il 1949 che io non sentendomi più atto ad essere Casante, diedi con lettera al mio Don Luigi la consegna e la responsabilità dell’Opera.

Fu in quel tempo che furono legittimamente con il Consiglio prese delle decisioni, che riacquistata la salute e il posto di Casante, ho avuto la grazia di correggere a bene della Congregazione, come rivedere le Costituzioni delle Sorelle e fare delle correzioni che vennero ratificate dalla Congregazione dei Religiosi ed ora sono secondo la divina volontà.

Di questi giorni ho saputo di una decisione fatta durante la malattia, che riguarda l’Opera delle vocazioni tardive, decisione che portò in me un grande dolore, ma che bisogna lasciare alla Provvidenza rimediare, perché umanamente impossibile, ma Dio penserà, l’Opera è sua.

E adesso a me, mi sento stanco, sono vecchio e sofferente, dovrei rinunciare al posto di Casante, ma questo per ora non mi pare la volontà di Dio, e, “ego non recuso laborem”, ma aspetto che io abbia la cooperazione fedele dei miei cari Fratelli Poveri Servi.

Che sotto l’ispirazione dello Spirito Santo si compiranno quei grandi disegni che la Provvidenza vorrà, fino a tanto che la Divina provvidenza non penserà a mettere ad eterno riposo questo vostro Padre che tanto e poi tanto vi ha amato con tutti, e altro Casante verrà a continuare la sua opera. Dio vi benedica, pregate la divina misericordia per me tanto povero e perdonatemi

in C. J. Sac. J. Calabria

P. S. L’opera delle vocazioni tardive è inserita nelle nostre sante Costituzioni e solo così potrà compiere i divini disegni, che ora non si possono compiere, ma Gesù penserà.

L’Opera dei Poveri Servi è opera tutta di Gesù. Con Dio non si scherza.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 8833 25-4-1952

Carissimi nel Signore,

la grazia di Gesù Benedetto, Sacerdote Eterno, abbondi in voi, sempre.

Voi celebrate con intima gioia il XXV del vostro Sacerdozio: con voi esulta tutta la Congregazione dei Poveri Servi, e in modo tutto speciale questo vostro Padre.

Sia ringraziato il Signore per tutte le grazie che in questi 25 anni di apostolato vi ha elargito con abbondanza; sia ringraziato per avervi chiamato a lavorare come Poveri Servi della sua divina Provvidenza, al servizio delle anime più bisognose, a gloria e incremento del suo santo Regno.

Rivedo gli anni del vostro lavoro: tu, o don Stanislao laggiù a Roma, dove sei andato sine sacco, sine pera, ad iniziare quella che oggi è la fiorente Parrocchia di San Filippo; tu, o don Franchini, dapprima a Costozza, poi nel Noviziato, a Nazareth e a Roncà.

Tutto è scritto nel gran libro della vita eterna: e di tutto avrete la mercede eterna da Colui che rimunera anche il semplice bicchier d’acqua dato in suo nome: quanto più la grazia dispensata alle anime!

Mi consolo con voi, e con voi ringrazio il Signore per tutto il bene che si è compiaciuto di operare per vostro mezzo. Che gran dono è il lavorare nella mistica vigna! e che gran dono è il lavorare in quest’Opera grande, che è tutta del Signore, destinata a fare tanto del bene in questi tempi difficili e decisivi!

Voi beati, che avete speso le vostre energie tutte e sempre per il Signore; e ora vi spendete nel silenzio, nel raccoglimento del ritiro, avendo lasciato il posto ad altri che seguono le vostre orme. Anche adesso voi potete fare molto, quantunque sembri nulla; e voi lo fate: con la preghiera, con l’umiltà, col nascondimento.

Il Signore renda fecondo il vostro silenzioso apostolato, a gloria sua, a incremento dell’Opera.

Conservatevi nello spirito puro e genuino: col vostro esempio trasmettetelo integro a quanti avvicinate dei nostri Confratelli. Beati voi: ne avrete un nuovo merito davanti al Signore per il bene che fate all’Opera sua.

E pregate sempre per me. Io di gran cuore vi invoco da Gesù le più belle grazie, e le divine consolazioni in questo giorno solenne. E siano consolazioni grandi, intime, celesti: pegno del premio eterno a voi preparato quali servi buoni e fedeli, in Paradiso.

In C. J. Sac. J. Calabria

A mano: sempre ti porto nel cuore, prega più del solito per me.

* 8833/A Festa del Sacro Cuore (20-6-1952)

Amati Fratelli,

La grazia e la pace di Gesù siano sempre con noi. In questo giorno, festa grande per la Casa del Sacro Cuore, sa il Signore come vorrei essere tra voi anche a mangiare il pane benedetto della Provvidenza in questo giorno santo, come sono stato tra voi tanti anni, non posso; voi sapete ciò che me lo impedisce è la salute cagionevole; non voglio però lasciar passare questo santo giorno senza dirvi una parola come spontanea mi nasce dal cuore.

Vi sono sempre presente con il pensiero e con il cuore, e vi accompagno sempre con la preghiera e la sofferenza; sempre voi avete un posto privilegiato nel santo Calice che innalzo nella santa Messa: questa mattina avete avuto il posto tutto vostro, e con voi ho unito tutti i collaboratori, e gli ammalati ed i cari miei coetanei, tutti, tutti.

Amati Fratelli state sicuri che Gesù è sempre in mezzo a voi; e quando vi è Gesù si vincono tutte le difficoltà e tutto è possibile e tutto è sopportabile e leggero.

Amati fratelli, vi prego e vi scongiuro vivete lo spirito puro e genuino dell’opera alla quale avete, abbiamo la grazia di appartenere. Ieri vi ho dato un piccolo biglietto, tenetelo, meditatelo e praticate quanto nel nome del Signore vi ho detto.

Se sapeste quanto prego perché corrispondiate e vi facciate santi! Solo così compirete i divini disegni che sono disegni di santificazione vostra e di salvezza di tante anime.

Ricordatevi sempre che l’appartenere a quest’opera è caparra di vita eterna.

Quanto bisogno di luce in quest’ora tanto oscura! E voi dovete illuminare tutte le anime che il Signore vi fa avvicinare, e ciascuno di voi deve essere una fiamma e tutte le fiamme unite devono essere un gran faro: Il Faro del Sacro Cuore.

Più col cuore che con la mano benedico voi, i collaboratori, gli ammalati, i miei coetanei, tutti e ciascuno, e che dopo questi brevi giorni di vita ci possiamo tutti riunire lassù in Cielo e benedire e ringraziare il Signore per tutta la beata eternità.

Metto nel Calice santo i vostri santi desideri e mi raccomando tanto alla carità delle orazioni. Vi benedico

Sac. Giovanni Calabria

A mano: Sento di dover dare una particolare benedizione a te, caro fr. Antonio e al fratello Clementi e a tutti i cari medici [che] collaborano nella grande… Sacro Cuore di Gesù.

Benedico i cari medici del vostro ospedale

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8661 Verona, 29-6-1952

Agli Ordinandi Poveri Servi

Miei carissimi,

La grazia di Gesù benedetto, Sommo ed eterno Sacerdote, sia sempre con voi.

Siete raccolti nel cenacolo dei santi spirituali esercizi, per prepararvi al grande dono della vostra ordinazione. Ed io mi sento tanto vicino a voi, anzi in mezzo a voi. E’ forse la prima volta che devo accontentarmi di rivolgervi la parola in scritto, ma voi l’accogliete lo stesso come detta a viva voce, di presenza.

Gesù vi parla in questi giorni per mezzo del suo ministro, il caro don Venanzio; ascoltate con somma attenzione quello che Gesù vi dirà.

Fatene tesoro per le vostre anime e per l’Opera tutta. Ricordatevi, o miei cari, che siete i Poveri Servi della Divina Provvidenza; dovete imbevervi dello spirito puro e genuino, per essere poi luce agli altri, e lavorare per la gloria di Dio, per la diffusione del suo regno.

Sarete sacerdoti: lo sarete in un’ora speciale della storia, un’ora critica, decisiva. Tanti mali affliggono la terra, l’umanità; ma il rimedio, o miei cari, siamo noi, specialmente sacerdoti, se siamo all’altezza della nostra vocazione.

Quante grazie avete ricevuto finora! Pensate alle vie provvidenziali per cui vi ha condotto il Signore finora, per prepararvi alla grazia grandissima del sacerdozio. Corrispondete dunque più che potete. Siate sacerdoti sempre; i giorni della vostra ordinazione vi mettono le ali ai piedi e volate con tanta letizia. E’ uno stato di euforia spirituale: un grande dono anche questo del Signore; ma passerà questa euforia, verranno i giorni normali, i giorni del sacrificio, della rinuncia. Ma se c’è in voi la sostanza, la volontà decisa per il bene, non vi lascerete abbattere mai; sarete sempre in efficienza per compiere i divini disegni.

Ricordate che l’ordinazione non cambia la natura; vi lascia quella che avete, quella che vi formate, “gratia perficit natura”. La grazia del Signore vi aiuta a corrispondere, vi dà poteri sublimi; ma sempre sul fondamento naturale che siete voi. Coraggio, dunque, lavorate questa natura, per renderla degna della grazia grande.

Non dimenticate mai che siete strumenti e ministri del Signore; chi fa tutto è lui, Gesù, sempre che trovi in voi docilità, obbedienza, umiltà, carità ardente.

Questi santi giorni vi fanno somigliare agli apostoli. Dovete, come essi, uscire dal cenacolo tutti pieni di fervore, di zelo, di amore a Cristo e alle anime. Disposti sempre a tutto quello che vorrà da voi Gesù nelle varie mansioni della casa. Pregate per me, più del solito. Vi sono vicino, vicinissimo in ispirito, con la preghiera e la sofferenza. Spero molto da voi.

Vi benedico con tanto affetto. Benedico te, o Becherini, benedico te, o Momi, te Piovan: uno ad uno, insieme con quanto avete di caro su questa terra. Anticipo col desiderio il momento di baciarvi la mano consacrata e di ricevere la benedizione.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 9279 Verona, 4-7-1952

Miei cari ed amati Fratelli, incaricati delle Colonie

la grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Questa mia povera lettera, scritta, come sempre ai piedi del mio Crocifisso, avrebbe dovuto portarla il caro don Luigi, ma siccome subito egli non può venire, così ve la mando per espresso, affinché vi giunga prima che partiate per le Colonie.

Le Colonie sono ora diventate una necessità. Pensate che, per mezzo dei vostri Superiori, è Gesù che vi manda, come angeli visibili, per tanti poveri giovanetti. Voi dovete fare di tutto affinché, mentre la cura giova al corpo, non abbia a recare nessun pregiudizio all’anima. Il diavolo cercherà di penetrare, d’insinuarsi, giovandosi dei suoi ausiliari: abbiate gli occhi aperti, state vigilanti, occupate i giovanetti in tutti i modi perché non stiano in ozio, padre sempre di tutti i vizi, ma specialmente in certe circostanze come questa.

Soprattutto precedete con il buon esempio: anche in Colonia siate veri Poveri Servi: fedeli, anzi fedelissimi, alle vostre pratiche di pietà, assolutamente necessarie per fomentare in voi la vita interiore, la vita di unione con Gesù. Seminate la buona parola, che darà frutto a suo tempo; parlate di Gesù, il grande Amico dei giovani. Se l’amore di Gesù entra nel loro cuore difficilmente si perderanno. Fate in modo che la vostra Colonia sia un’oasi di riposo e di pace, scuola e palestra di virtù.

Pensate anche alla responsabilità che v’incombe di preservare i giovanetti da ogni disgrazia: non esponeteli quindi a pericoli di sorta, e ogni giorno raccomandatevi all’Angelo Custode vostro e dei giovanetti per ottenere il suo aiuto e la sua protezione.

E vi accompagni ovunque la paterna benedizione del vostro Padre che vi ama, vi segue dovunque, prega e soffre per voi.

Pregate e fate pregare sempre per me: voi sapete quanto ne ho bisogno per fare, sino alla fine, la santa volontà di Dio.

Più con il cuore che con la mano vi benedico tutti e ciascuno, con i vostri giovanetti e con tutti i loro cari.

Vostro in C. J. Sac. J. Calabria

* 10569 Verona, 15-8-1952

Sono presente sempre al caro Maguzzano, se non con il corpo, con lo spirito.

Bisogna fare in tutto la divina volontà.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 8901 9-9-1952

[Ai fratelli della Casa di Costozza]

Tenetevi uniti sempre più a S. Zeno in Monte, terra santa e benedetta che deve darvi il tono e lo stimolo ad una vita conforme alla vocazione. I fratelli qui venuti vi diranno quello che ho raccomandato nel nome del Signore.

Pregate per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 8986/A 9-10-1952

Carissimi,

la grazia di Gesù benedetto sia sempre con i miei cari fratelli Parroci e collaboratori tutti Poveri Servi che coltivano l’aiole della Provvidenza in Roma.

Come ho detto a te, mio caro don Foffano, desidero caldamente che vi troviate, possibilmente tutti, in una giornata che vi farà più comodo all’altare del Beato Pio X in San Pietro, a pregare e a celebrare una santa Messa perché il Signore Gesù si degni concedervi di fare tanto e tanto del bene nella missione che vi ha affidato; e precisamente di attuare quel programma ispirato che si era prefisso Pio X: Instaurare omnia in Christo.

Non spendo parole per dirvi quanto urgente e necessario sia lavorare in questo senso, specialmente voi, in codesto centro della santa Chiesa di Cristo; è proprio il nostro spirito puro e genuino che si trova in quel motto e programma. Impresa grande, nobile, sublime; il Beato Pio X, da voi pregato fervidamente, vi ottenga lumi opportuni, e forza per lavorare secondo questo spirito.

Mi farete piacere, comunicandomi la data del vostro giorno prescelto, così potrò unirmi in spirito a voi, quantunque voi ben sapete che lo sono sempre, e vi seguo giorno per giorno, ora per ora.

Il Signore vi mantenga nel fervore dei santi Esercizi, e nei generosi propositi che vi ha ispirato in quei giorni benedetti, per la vostra santificazione, e per il compimento dei divini disegni della Provvidenza in questa Opera.

Pregate, pregate tanto! se sapeste quanto ne ho bisogno! Io vi porto nella mente e nel cuore come non mai, perché sento che avete una missione speciale da compiere in questi nostri tempi. Siate sempre in piena efficienza.

Tutti benedico, tutti pregate per me.

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8986/B Festa di S. Girolamo 20-7-1953.

[Fonogramma]:

Miei cari ed amati fratelli,

sono in mezzo a voi e vi vedo e vi sento tutti animati dallo spirito puro e genuino dell’opera dei Poveri Servi.

Che la festa di oggi, [il] S. Girolamo, segni una nuova tappa nella via della nostra personale santificazione, segreto infallibile per ottenere l’adempimento dei grandi disegni che Dio ha sull’opera.

Pregate per me che tutti vi benedico.

Una particolare benedizione ai novelli sacerdoti e particolarissima a vostro e nostro don Pedrollo.

Il vostro Padre

In C. J. Sac. J. Calabria

* 10676 Verona, agosto 1953

“Cercate in primo luogo il Regno di Dio”

Miei cari ed amati Fratelli,

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

La mia frequenza nell’indirizzarvi lettere e suggerimenti vi dica, cari Fratelli, quanto io mi senta con lo spirito in mezzo a voi, anche se le circostanze non mi permettano di usare della fisica presenza.

L’imminenza dei Santi Spirituali Esercizi, dai quali dipende tanto l’orientamento della nostra vita, mi suggerisce di farvi presente una considerazione che deve trovare un posto principe nella nostra coscienza di Poveri Servi della Divina Provvidenza.

Ha disposto il Signore che l’Opera nostra, benché aliena nello spirito suo di mettersi in vista, dovesse ora affrontare, per mezzo della stampa, alcuni problemi di interesse religioso e di attualità.

Dobbiamo essere ben grati a Dio che la nostra povera fatica abbia raccolto l’approvazione anche della Suprema Autorità Religiosa; ma ciò impegna categoricamente tutti i Poveri Servi a conformare il pensiero e la vita pratica a quegli indirizzi evangelici che sono stati rivendicati a mezzo dello scritto.

Per questo, nell’imminenza dei Santi Spirituali Esercizi, richiamo l’attenzione, cari Fratelli, su questo impegno di coscienza, onde sia oggetto di vostre considerazioni e propositi nei santi giorni di raccoglimento.

E’ dalla penna di S. Ecc. Mons. Montini, Segretario di Stato di Sua Santità, che raccolgo, nella lettera a me indirizzata, il ben grave monito: “La riforma, incipiat a domo Dei”. Noi ci siamo fatti eco della tremenda affermazione del Santo Padre: “C’è tutto un mondo da rifare dalle fondamenta e da trasformare da selvatico in umano e da umano in divino, cioè secondo il Cuore di Dio”; ed ecco che dalla stessa fonte arriva il monito che la riforma deve cominciare dalla Casa del Signore, cioè dal Clero e dai Religiosi, per arrivare poi alla massa dei Fedeli.

E chi ora, più di noi Poveri Servi, resta impegnato a corrispondere a così autorevoli indicazioni?

Se abbiamo invocato la rivendicazione dello spirito contro la spaventosa invadenza della carne, nel ripudio di ogni compromesso con il mondo, la nostra fedeltà all’impegno deve essere esemplare, costi quel che costi.

Se si è detto che la preoccupazione dell’azione non deve soppiantare la forza principe della preghiera e del soprannaturale, l’Opera nostra che è nata per richiamare nel mondo la fede nella Divina Provvidenza, dovrà sempre ripudiare il calcolo su quegli umani interessi che menomano la fede nella Paternità di Dio. La ragione di essere della nostra Opera, reclama una assoluta fedeltà al suo spirito genuino.

Se si è fatto richiamo al sovrano precetto evangelico “amare”, importa che esso abbia il massimo sviluppo nei rapporti fra noi Religiosi, nonché con quelle anime che la Provvidenza ci ha affidato, fino a vedere in esse la Persona divina di Gesù bisognoso e sofferente. La nostra pedagogia dev’essere la Paternità. La rivoluzione che salverà il mondo, sarà solo quella ispirata dall’amore evangelico.

Se non abbiamo sottaciuto che si impone assolutamente, in tanto disorientamento intellettuale e morale, un richiamo urgente alle cognizioni della Fede, che sole ci danno garanzia di quelle supreme realtà che sono il fondamento della vita, converrà impegnarci più che mai a creare nelle anime a noi affidate, delle convinzioni profonde e tali, che l’ideale religioso rappresenti veramente lo scopo e la gioia della vita. Una coscienza eucaristica che ci faccia convivere con Gesù, non lontano, ma così vicino, anzi in noi, darà alla vita una intonazione divina.

La nostra Opera, cari Fratelli, deve rappresentare lo sforzo continuato di aggiornamento a quel Vangelo nel quale soltanto è la garanzia della verità e della vita. Credere di poter sopravvivere in base ad equilibri che sacrificano il Vangelo genuino, è un errore che si paga con la decadenza. “Tutto è possibile a chi crede”. Le prove della lotta potranno essere penose, ma la vittoria non mancherà.

Non voglio tacervi quanto senta dentro di me la situazione di quelli di voi, cari Fratelli, che oberati dagli impegni e dal lavoro, devono compiere un grande sforzo per essere fedeli alle pratiche di pietà, Vi esorto, con cuore commosso, a dare sempre alle vostre fatiche una finalità soprannaturale, onde assicurare la vita interiore anche nell’arida occupazione.

Ma poi impegnamoci tutti ad invocare dal “Padrone della messe” l’abbondanza di vocazioni per la nostra Opera, che ci impegniamo del pari a porre al servizio del Vangelo genuino, ripudiando una volta ancora, tutto ciò che può intaccare nel pensiero, nella vita e nell’esteriore la nostra fedeltà a Gesù, povero, sacrificato, al servizio del Padre e dei Fratelli nella gioia della divina carità.

Si comprende, dal fin qui detto, come si supponga che ognuno di voi abbia preso cognizione di quelle pubblicazioni della nostra Casa, che ne rappresentano il pensiero.

Pregate dunque sempre per l’Opera e per me che non cesso di portarvi nel cuore e all’altare del Signore.

Con tutto l’animo vi benedico nel nome di Dio, augurandovi di essere veri Poveri Servi degni della mercede che il Signore vi tiene preparata lassù.

In C. J. Sac. J. Calabria.

* 1357/A [Senza data]

Sono qui davanti al mio Crocefisso, mentre sto scrivendo queste mie povere parole, quali mi nascono spontanee nel cuore, e mi pare che dal sanguinante ed aperto Costato del Redentore Divino esca più vivo e penetrante che mai, perché voce del sangue, un grido, una suprema implorazione: “Ut omnes unum sint”!

Nella sua orazione eminentemente sacerdotale dopo l’ultima Cena, Gesù aveva rivolto questa preghiera al Padre suo, ed era senza dubbio uno dei più cocenti palpiti del suo cuore, divenuto accesissima fornace di carità; ma ora sembra si rivolga di preferenza a noi, e a ragione; poiché, se il ritorno dei Fratelli separati sarà dono del Celeste Padre alla mistica Sposa del suo divin Figliuolo, la Chiesa, sta proprio a noi di meritare che questo dono sia fatto, e sia fatto presto.

Ed ecco allora il momento opportuno di agitare questo grande problema, prossimi come siamo a quella Ottava di preghiera ormai a tutti nota. Dal 18 al 25 gennaio. Cioè dalla festa della Cattedra di S. Pietro, fino alla festa della Conversione dell’apostolo S. Paolo.

Riconosco per una grazia tutta particolare del Signore se io, povero come sono, ho sentito sempre, fino dai primi anni del mio Sacerdozio, l’importanza e quasi l’anelito per il ritorno dei Fratelli separati.

Per questa ragione circa una trentina d’anni fa, avendo visto per caso su “L’Osservatore Romano”, una piccola nota di cronaca, dove per la prima volta si parlava di questa Ottava di preghiere, ne scrissi a S. Ecc. Mons. Caron, di s.m., pregandolo di adoperarsi presso il Santo Padre, affinché quella pratica così provvidenziale, per l’impulso della Sede Apostolica, si estendesse a tutta la Chiesa.

Egli con umile premessa rispose che poco gli pareva di poter fare, ma che tuttavia ne avrebbe fatto parola al Santo Padre in una delle visite di confidenza. Che cosa poi sia avvenuto non lo saprei dire, è tuttavia sommamente confortante quello che ora tutti possiamo felicemente constatare.

Si può dire che oggi non vi è Seminario o Istituto Religioso dove non si pratichi, ed anzi in molte Città si vanno sempre meglio organizzando solenni celebrazioni di questa Ottava, che deve vivamente interessare tutto il popolo cristiano. E affinché questo santo contagio si intensifichi sempre più e si estenda fino alle più umili chiese di campagna e a quelle sperdute fra i monti, vorrei potesse servire e giovare questo mio povero, ma pressante appello.

Invitiamo i fedeli a pregare per il ritorno dei fratelli separati; la preghiera è il mezzo per ottenere tutte le grazie di cui la chiesa ha bisogno, e che il Signore stesso vuol dare, solo che noi lo preghiamo con quell’ardore di carità e con quella fede e confidenza che sono ispirate dall’insegnamento di Gesù: “Cercate in primo luogo il Regno di Dio e la sua giustizia”.

La preghiera è infatti quell’incenso soave che sale fino al trono di Dio e ne ridiscende in tante benedizioni; ma anche in se stessa è un aiuto e un mezzo atto a educare e formare il sentimento dei fedeli, a comprendere il problema dell’unità, che è insieme problema di giustizia e di carità. Di giustizia, perché se noi ci sentiamo dei privilegiati, in quanto possediamo genuino ed intero il patrimonio della verità, non dobbiamo fare gli egoisti; il bene è diffusivo di sé; dobbiamo far parte agli altri di questo patrimonio soprannaturale, memori che il Signore [dice]: “Unicuique mandavit de proximo suo”.

E’ anche dovere di carità: questi Fratelli separati devono essere da noi riguardati con un amore e una tenerezza tutta particolare, così come una madre pensa con accorata premura e con più insistente nostalgia ai figli che si sono allontanati dal tetto paterno, e che ogni giorno sono assenti dal desco familiare. E come in una famiglia disgraziata i figli migliori cercano di consolare la mamma non solo con la loro condotta esemplare, ma adoperandosi pure con tutte le loro forze per far sentire ai fratelli traviati la nostalgia del focolare paterno e ricondurli a goderne il sano tepore, così noi dobbiamo con tutta la nostra buona volontà, con tutti i mezzi a nostra disposizione avvicinare questi nostri fratelli e facilitare il loro ritorno.

Sono nostri fratelli sempre, anche se dissidenti e separati da noi; sono massi d’oro, secondo una bella immagine di Pio XIº, di s. m., staccati dal grande edificio della Chiesa di Pietro, ma non cessano per questo di essere d’oro. Bisogna dunque ricuperarli e portarli all’Unità perfetta della Chiesa, a far parte formalmente del Corpo mistico di Cristo, a godere dell’abbondanza dei carismi che Cristo spande a piene mani fra noi.

Il Divino Maestro ci ha ripetuto tante volte, per mezzo del suo Vicario, l’invito a lavorare per il ritorno dei fratelli separati, e risuonano ancora al nostro orecchio le parole accorate pronunziate da Pio XIIº nell’ultimo messaggio natalizio. Raccogliamo con tutto l’impegno della nostra buona volontà l’invito solenne del Signore. Specialmente in questa Ottava di Preghiere, la nostra voce si elevi più insistente, più amorosa, più fiduciosa al trono di Dio, e chieda anche un intenso e duraturo ardore, per continuare oltre l’Ottava, in tutto l’anno e sempre, in questo anelito, in questa santa passione per l’unione dei Fratelli cristiani.

Mi pare che Gesù riservi speciali benedizioni a tutte quelle diocesi, parrocchie e case religiose, dove questa Ottava di preghiere si farà con più solennità e fervore. E la prima benedizione sarà una maggiore santità di vita: perché non si può desiderare ardentemente il ritorno dei Fratelli separati senza capire e sentire che il mezzo migliore per propiziare la misericordia di Dio e per convincere al ritorno dei dissidenti è il sacrificio e l’esempio di una santa vita. Lo spirito di povertà, la semplicità, la modestia della vita, la perfetta carità nelle nostre relazioni, la proprietà e lo splendore delle funzioni liturgiche, sono tutti mezzi efficacissimi per convincere attraverso i fatti, meglio che attraverso le parole. E la santità s’irradia sempre lontano anche se non c’è rumore, anche senza il prestigio di opere grandi e clamorose.

Siamo alla vigilia dell’Anno Santo, che la bontà paterna del Santo Padre ha annunciato e che speriamo per grazia del Signore di poter celebrare. Se noi ci disporremo a questa celebrazione col santo proposito di vivere la vita cristiana secondo il Vangelo, sull’esempio degli Apostoli e dei primi cristiani, potremo anche affrettare l’ora del ritorno dei Fratelli separati. Sembra proprio che sia questa la loro ora; i tempi sembrano maturi; anch’io nella mia piccola esperienza ho segni manifesti che il Signore fa volgere verso Roma lo sguardo di molte anime materialmente lontane, ma che di fatto sono assai più vicine che non pensiamo. Per questo possa la mia povera voce valicare i confini della nostra terra ed essere udita e raccolta oltre i monti e oltre i mari dagli stessi nostri Fratelli separati, perché sappiano che una sola cosa noi desideriamo, che s’adempia il palpito del Cuore di Gesù: “Ut omnes unum sint”.

Ed oh quanta gloria ne verrebbe a Dio, quale prestigio alla Chiesa, quanto vantaggio alle anime che si sentirebbero rinfrancate nella fede e nel proposito di una vita veramente cristiana! E come sarebbe facilitata la stessa conversione degli infedeli, per i quali queste infinite divisioni fra i cristiani costituiscono un gravissimo ostacolo alla loro conversione in massa. Oh come morirei contento, con quale gioia canterei il mio “Nunc dimittis”, se mi fosse dato di vedere il compimento di questi santi ideali, effettuato questo grande ritorno!

Satana freme mette in moto tutti i mezzi a sua disposizione e tutte le arti per avere il sopravvento; ma questi, io credo, sono gli ultimi sforzi suoi, dopo i quali vedremo il pieno trionfo di Cristo e della Chiesa e un’era nuova di prosperità e di pace. Questa grazia ci conceda finalmente il Signore, per intercessione di colei in cui lode canta la liturgia: “Cunctas haereses sola interemisti in universo mundo”.

* 1357/B Natale (?)

A tutti i miei cari fratelli religiosi della Casa della Divina Provvidenza.

La pace di Gesù Benedetto, quella pace che gli Angeli santi hanno annunciato sulla stalla di Betlemme, sia con tutti voi, o miei amati e cari fratelli e sia frutto della vostra della nostra buona volontà. Corrispondete perché questa pace inondi i nostri cuori e santifichi le nostre anime.

Siamo prossimi alla grande settimana del Santo Natale, solennità che tutti quanti pregustiamo, prima ancora che spunti questa festa che tanta pace, tanta delizia pare portare alle nostre anime di Religiosi dei Poveri Servi Divina Provvidenza.

Io, cari fratelli, che tanto e poi tanto amo nel Signore e che desidero che tutti possiamo correre nella via della santificazione che la Provvidenza ci ha segnato per noi, in questa santa giornata, devo ancora una volta far udire a tutti voi la mia parola, ma di cuore, perché sia in tutti guida, luce, via per compiere tutti quei divini disegni che la Provvidenza vuole compiere per mezzo di noi, poveri, umili strumenti e subito vi dico e vi ripeto quello che altre volte vi ho detto e ridetto cioè che questa è un’Opera tutta particolare.

Il Signore ha impresso una forma, una fisionomia tutta propria e guai a noi se questa fisionomia venisse a cambiarsi, sarebbe la nostra rovina irrimediabile, e la rovina dell’Opera stessa. Cari fratelli, teniamoci bene a mente che condizione indispensabile perché quest’opera abbia ad arrivare “usque ad finem terrae” a chiamare e salvare tante anime assieme alle nostre, è l’essere convinti del nostro niente, delle nostre miserie e che il Signore, per tratto speciale della sua bontà e misericordia ci ha qui chiamati, dunque guerra allora al nostro io, al nostro amor proprio, che ci fa credere qualche cosa, no zero, no zero, noi roviniamo come noi l’Opera di Dio.

Stiamo dunque bassi, umili, coltiviamo con la grazia di Dio questa nostra coscienza del nostro nulla; e la coltiviamo mediante la vita interiore, che in ginocchio vi raccomando.

Fratelli, prima di andare alle anime, prima di andare all’apostolato, prima di esercitare il santo ministero guardiamo di essere ripieni noi dell’amore di Dio, di quello che dobbiamo dire e fare; è una pura illusione credere di essere noi, è il Signore che fa tutto. Ricordiamoci che siamo nel tempo del…, al Signore dobbiamo…, quello che lui ci ha dato, ricco delle sue grazie e dei suoi aiuti, dunque ricordatevi che prima di tutto siete, siamo religiosi per noi, e perciò… santifichiamoci con la santa meditazione, con la visita al Santissimo e con la lettura spirituale, con le pratiche di pietà, l’unica via privilegiata(?) nel fare il bene, nello zelare la gloria di Dio. Noi e per noi, siamo conche e saremo canali… .

* 1357/C [Senza data]

Amati Fratelli,

a grandi mali, grandi rimedi. Il male che il demonio nemico giurato del Signore e delle nostre anime continua ad assalire la povera umanità per renderla suo strumento contro Dio che l’ha redenta, che la salverà, che le ha dato e le continua a dare mezzi e grazie divine.

Fratelli, penso: questa vita che è vita di un giorno in rispetto all’eternità, possa essere valorizzata ciascuno nel proprio stato; se guardiamo la nostra vita arriveremo al Cielo, nostra Patria. E dove si andrà a finire, cosa accadrà se non si pone subito un rimedio ai tanti mali? Abbiamo pregato, fu pure fatta l’esposizione solenne perché…, sull’egoismo, sulla superbia, sull’odio. Satana ha fatto nascere questa guerra. E Dio mio, quanti disastri quante sciagure, quante rovine, e l’umanità si è pentita, sono cessati i peccati? Dio mio. Cessato questo flagello il male si può dire raddoppiato. E qui… subito fu offeso. E come vivono i cristiani? Fratelli dove si andrà a finire? Il Signore ha la sua ora. Noi Poveri Servi l’ho detto abbiamo una missione per l’ora attuale, dobbiamo ancora una volta, prima noi, piangere le nostre colpe, espiare per noi, per poi riparare e poi espiare e riparare per tutti i nostri fratelli, per il mondo e in modo particolare per la nostra cara patria, in questi momenti, che per avere grande pietà… ha bisogno di Dio, della sua grazia, dei suoi aiuti. E noi qui faremo e celebreremo un triduo santo al Sacro Cuore di Gesù, triduo che io vorrei si unissero tutte le anime e promettere sul serio di amare Gesù, di adoperarci perché il peccato, causa unica di tante miserie e di tutti i mali sopra tutto di tante rovine.

* 1357/D [Senza data]

Amati figlioli, diletti fratelli,

ringraziamo insieme il Signore che ci ha concesso di vedere quella grande giornata consacrata dalla Chiesa a onorare S. Giovanni Bosco, il nostro santo che fino dagli inizi dell’opera fu messo a nostro protettore e che oggi nella piena esultanza, nel gaudio completo, invochiamo come santo, come speciale nostro protettore. Ah sì che S. Giovanni Bosco dal Signore ci ottenga … il suo spirito che fu spirito di grande fede, di grande amore di Dio e di grande interesse per le anime. Anche noi, o cari, amiamo tanto il Signore, fu Lui che ci [ha] creati, che ci conserva e che ci riempie dei suoi doni, delle sue grazie. A questo amore, a queste grazie è necessario cooperare e riconoscere , vivendo da veri cristiani.

* 6539 [Senza data]

Amati fratelli di Maguzzano,

Vi porto tutti nella mente e nel mezzo del mio povero cuore, per amor di Dio vivete, viviamo tutti lo spirito puro e genuino dell’Opera. Salvando le nostre anime, santificheremo il mondo in quest’ora. Dio mio quale terribile responsabilità se per somma disgrazia non corrispondessimo. Pregate, pregate per me che di cuore vi benedico.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 7029 [Senza data]

Per un gruppo di nuovi Religiosi

Dal fondo del cuore ringrazio, e con voi tutti, lo Onnipotente, che in questi giorni ha fatto per le vostre anime grazie e doni così grandi e palesi che solo potrete valutare non in terra, ma nell’eternità.

Quanto so e posso vi raccomando di vivere lo spirito puro e genuino dell’Opera dei Poveri Servi, alla quale avete la somma grazia di appartenere.

Sono giorni di grazie e di benedizioni per voi e per i vostri nella terra e poi l’eternità.

* 7029/A [Senza data]

Ai miei cari fratelli chierici,

Che Dio vi benedica, vi infiammi sempre più del suo amore, per voi e per le anime che un giorno vi affiderà. Pregate per me. Vi benedico

in C. J. Sac. J. Calabria

* 7029/B [Senza data]

Caro ed amato Fratello.

Per la tua personale santificazione conforme alla vocazione di Povero servo, ti raccomando tanto di vivere sempre lo spirito puro e genuino dell’Opera. Sii, sempre e dappertutto, Povero Servo: in Chiesa e in casa, in scuola e in refettorio, in camera e in strada, nel ministero e negli affari, nel lavoro e in viaggio…

Così, e soltanto così, compirai i disegni di bene propri di questa Casa nell’ora che volge e così irradierai lo spirito dell’Opera.

Prega per me.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 9828 [Senza data]

Ven.le Comunità della Casa del Sacro Cuore

Con il cuore, con la mente, con la preghiera, con la sofferenza sono sempre vicino, perché il Signore non trovi in nessuno di noi ostacolo e compia i suoi divini disegni a gloria del Padre e a bene e salute delle anime; disegni propri dell’ora presente. Ora nella quale tutti siamo chiamati ad una totale revisione, specie noi sacerdoti e religiosi.

Mi raccomando tanto, ma tanto alla carità delle orazioni, Dio solo sa quanto ne ho bisogno.

Benedico tutti

in C. J. Sac. J. Calabria

* 7077 [Senza data]

L’ora incalza, non sappiamo cosa possa accadere da un momento all’altro; il nemico non ci sorprenda impreparati; è necessario ed urgente passare all’azione, con povertà e abnegazione, nella preghiera e vita interiore, nella imitazione pratica di Cristo, degli Apostoli e dei primi cristiani; nella dimenticanza totale dei nostri materiali interessi; tutti ardenti di fede, di carità, uniti fra noi come rami di un unico albero, come membra del medesimo corpo.

L’ora è quanto mai terribile e oscura; è l’ora di Satana; ma insieme l’ora di Dio. Se Cristo vivrà in noi, non solo non avremo da temere, ma affretteremo l’ora del suo trionfo.

Il mondo ha sete di carità, di pace, di verità, di fede e di amore. E’ stanco ed è sfiduciato; guarda a noi, attende da noi la parola, l’indirizzo, l’esempio. Quale responsabilità se non siamo in piena efficienza. “Se il sale diventa scipito, con che si salerà?”

In C. J. Sac. J. Calabria

Io sono un povero prete, vicino alla grande chiamata e vorrei che quanto ho detto fosse prima di tutto impresso nel mio cuore sacerdotale per parlarne con fiducia al Divino Padrone e poi come testamento specie per i miei Confratelli…[illeggibile].

* 2278 [Senza data]

Amati fratelli,

la grazia, la pace.

Eccomi qui davanti al mio Crocefisso, dal (quale) mi pare parta l’ispirazione a scrivere ancora questa nuova lettera che il mio cuore desidera, a bene delle vostre anime, a santificazione della nostra cara Congregazione, che come altre volte vi ho detto: l’Opera nostra ha relazione, non so come, ma certo, con l’ora attuale, a bene non solo nostro, ma anche della nostra città, della nostra Verona, della Patria nostra, di tutta l’umanità, la quale, per un tratto tutto particolare della divina Misericordia, e solo per intercessione della cara Madonna, questo felice…

Non è cessata ancora la divina chiamata, che con insistenza ci chiama tutti, noi specialmente noi cristiani, a ritornare e presto alle sorgenti della vita dei primi cristiani e degli Apostoli: prima per noi e per salvare poi la cara patria, l’Italia, nazione e popolo da Dio eletto che possa essere in mano della Divina Provvidenza: luce e sole per tutta la povera umanità.

Salus mundi: Pontifex. Credo sia grande la grazia di avere il vicario di Cristo: il Papa!

Quale grazia miei cari fratelli, ma nello stesso tempo quale responsabilità se dopo tante grazie, tanta misericordia, tanto perdono da parte di Dio, facessimo come prima, o peggio di prima!

E quindi, subito una mano sul cuore, prima io stesso e poi voi: quale profitto abbiamo tratto da questo flagello? siamo usciti più buoni, più virtuosi? Ci siamo rimediati dai nostri peccati? Li abbiamo pianti, li abbiamo detestati, abbiamo promesso di essere tutti del Signore, veri suoi servi, fedeli alle nostre Sante Regole, tutti intenti a santificare le nostre anime, perché questo è il fine di tutti noi: salvare l’anima?

E tutto il lavoro che si fa per le cose terrene, del mondo, non vale proprio niente se non è coordinato con la vita futura, con salvare l’anima, memori delle parole di Gesù Cristo: “Quid prodest homini?”.

Ed è questo o cari fratelli il nostro compito: pregare, soffrire, vivere secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera per impetrare dal Signore, oltre la grazia per noi, grazie e benedizioni per la nostra città, per la nostra cara patria, che specie in questo momento, ha bisogno particolare di grazie e di aiuti perché possa diventare all’altezza della sua missione, e poi una Patria riedificata in Cristo, sul santo Vangelo, unico codice per avere la vera giustizia, la vera pace e tranquillità, e lavorare anche in questa povera terra di esilio.

Ma come giustamente dice la Sacra Scrittura: “Nisi Deus aedificaverit…”

Bisogna che si edifichi in Cristo.

Oh lo sentissero tutti gli stati questo bisogno. Questo povero mondo ritornerebbe un Paradiso terrestre, ma per questo è necessario pregare, pregare.

Durante il flagello passato non si poteva parlare di preghiera, non si voleva. Tutto era fondato sulle forze umane, sulle vie terrene, sulla superbia, ed ecco la rovina, ed ecco il mondo ridotto…

Cari fratelli, preghiamo, preghiamo: la cristiana unità con una vita santa fa miracoli.

Ci vuole un miracolo perché tutto ritorni all’ordine.

Fratelli, noi abbiamo la nostra parte, grande parte, nobile parte, divina.

Pregate e fate pregare. A quanti avvicinate, siano grandi o piccoli, dite della necessità della preghiera, specie in quest’ora, e guardate, Provvidenza divina, proprio mi viene nelle mani, uno scritto di una persona che io vedo ispirata, che parla proprio della preghiera per la nostra cara Patria, specie in quest’ora e che io avrei rimorso se non ne facessi molto uso.

Anche questa è una grazia che ci fa il Signore, siamone grati e riconoscenti, e per amor di Dio, che il Signore non passi invano, sopra di noi, e qui dove disponiamo di preghiere, specie per noi…

Fratelli, vi raccomando di vivere secondo le vostra vocazione. Preghiamo che tutti diano l’esempio nella vita di quaggiù. Questa vita vissuta secondo la santa legge di Dio, è una vita come vi ho detto, di Paradiso, questa sia il premio della vera vita con Dio in cielo.

* 5441 [Senza data]

Amati fratelli di Costozza,

Che il Signore vi benedica e vi conceda tutte le grazie, specie quella grande, di corrispondere alla speciale vocazione dei Fratelli, di quest’Opera tutta del Signore; perché da Lui fondata e diretta, con Provvidenza tutta particolare.

Quanto so e posso, vi raccomando di vivere tutti per Gesù, per Lei, per la sua gloria, per le vostre anime, per tutte le anime.

Siate umili e con l’umiltà avrete tutte le altre virtù del vostro stato.

Ricordatevi che il nostro patrimonio, il nostro fondo di cassa, siamo noi con lo spirito dell’Opera: Quaerite… nessun pensiero per le cose temporali: fede, abbandono in Dio, specie nei momenti difficili: virtù, virtù, osservanza delle regole: cenci, creta ecco quello che domanda da noi il Signore, per compiere i suoi grandi disegni.

Sempre vi sono vicino, sempre prego, ma anche voi siatemi vicini, anche voi pregate tanto per me, ne ho gran bisogno.

Dal fondo del cuore vi benedico tutti, cominciando da don Franchini e terminando con il buon Ettore.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 5439 [Senza data]

Alla casa B. Fanciulli di Costozza

Amati fratelli di Costozza,

Vi sono sempre vicino con il cuore, con la mente, con la preghiera. Dal fondo del cuore vi prego ogni bene e ogni consolazione celeste. Vi raccomando la vostra speciale vocazione. Vivete come vuole la Provvidenza.

L’unico vostro pensiero sia Dio, la sua gloria, le anime. Il temporale non vi preoccupi per niente, questo scomparirà, anche con un miracolo, se voi cercherete solo Dio. La nostra opera è grande, grandissima, nell’eternità la capiremo e beati noi, se avremo vissuto secondo la nostra vocazione. Vi saluto ad uno ad uno, e vi benedico; pregate per me.

Dio solo sa quanto ne ho bisogno. Che Gesù mi usi misericordia e che tutti ci possiamo trovare in Paradiso.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 4687 [Senza data]

Nelle mie povere preghiere e sofferenze come ricordo perché Gesù ci faccia tutti suoi, specie noi Sacerdoti, Religiosi.

Mi raccomando alla carità delle orazioni.

In C. J. Sac. J. Calabria

Le anime si salvano con la nostra santità, che Gesù ci faccia santi.

* 4687/A Festa di S. Pietro [anno?]

A tutti i fortunati che hanno nome Pietro l’augurio che tutti diventino tanti santi, virtuosi. Prego, auguro, benedico e mi raccomando alle preghiere

in C. J. Sac. J. Calabria

A don Pietro [Murari], fr. Nogarè, Dalla Costa.

* 5451/A [Senza data]

L’ora attuale mai stata…, ma nei disegni di Dio, la tempesta, la burrasca è destinata, volente o nolente il nemico della S. Chiesa, nelle mani della Provvidenza, è destinata a purificare e santificare e portare le anime [alla] Chiesa di Cristo, in alto, come luce, come faro, continuo richiamo a ritornare a Dio, alla sua legge, alle fonti genuine del S. Vangelo e alla vita degli apostoli e dei primi cristiani.

Soltanto così l’umanità può trovare la vera pace e la soluzione dei grandi problemi, sia spirituali che sociali, e questo è compito di noi fratelli in Cristo. Tutto ciò che fu fatto e si fa per ridare la pace ed evitare la guerra, dai grandi di questa terra, se grandi si possono chiamare, è crollato, e tutto sarà inutile se, nella costruzione, con noi non sarà il Signore.

Invano si edifica se non è il Signore che edifica. Dunque: vita veramente cristiana: individuale, nelle famiglie, nella società, nello stato. Valorizzare la vita dello spirito, pensando che si viene da Dio e si va a Dio: Legge di Dio. Santificare la festa. I pochi faranno i molti. La patria, la famiglia veramente cristiana. Solo così Gesù è in noi, con noi. Diagnosi dell’ora presente, del male che vi è: i nemici sono nostri fratelli. Cercare di avvicinarli, far loro conoscere che noi li amiamo. L’errore combattuto, ma loro no, amarli, e questo per comando di Cristo, di quelle anime. E anche noi religiosi che abbiamo la grazia di appartenere…, dobbiamo questo privilegio darlo agli altri e proprio ai nemici, a coloro che combattono, che perseguitano la Chiesa di Gesù. E far conoscere quanto i crociati comandavano ai nemici. Ma tutto è appello alla grazia e con l’aspetto delle prove per i nemici. Sono nostri fratelli che sono schiavi di Satana, in pericolo continuo di eterna dannazione. E se noi sentiamo dolore per i mali fisici, come non sentiremo dolore nel vedere questi nostri fratelli in peccato? Fratelli miei amati, come sacerdote, come cristiano andrò a Gesù e per loro preghiamo con generosità in comune per tutti. Come combattendo il male, noi possiamo santificarli. Sento che il Signore ama tutti.

* 5161/B [Senza data]

Comunità Romana

Amate il Signore, fatelo amare da quanti più potete e pregate la misericordia del Signore per il vostro

in C. J. Sac. J. Calabria

* 2295 [Senza data]

Sento forte, potente il bisogno di scrivervi, mi pare proprio che sia Gesù che questa volta, l’ultima, lo voglia e che Lui parli a voi direttamente, per mezzo di questo povero e vecchio casante.

Carissimi nel Signore, tenete bene a mente che la grandezza dell’Opera sta nella sua piccolezza, nello stare nascosta con Dio a Nazareth… come Gesù vi stette per 30 anni: e nel pregare in silenzio, nella intima unione con Dio, esercitando il santo ministero sul campo che la Provvidenza ci ha assegnato, senza nessun pensiero, senza alcun desiderio di onori, cari fratelli, ma solo sotto lo sguardo di Gesù, senza mai mendicare apprezzamenti.

Se noi stiamo nascosti, Dio ci cercherà e con Dio faremo grandi cose; se noi ci manifesteremo, Dio fuggirà e allora poveri noi! State in guardia con Satana che certo vi farà delle offensive, ma vincerete sempre se sarete umili, se agirete in tutto con lo spirito della nostra Congregazione che dovete amare come vostro padre e madre, e ancora, di più.

Se avete delle preferenze queste siano per i poveri i più abbandonati, perché questi sono i più cari a Gesù. Spero che starete tutti bene e che non vi farete abbagliare da false luci. Gesù, il suo santo Vangelo, le nostre Regole, il nostro spirito: ecco il segreto per compiere i divini disegni.

Io sono sempre sul Calvario, e sul Calvario vi penso. Prego e vi benedico. Anche voi pregate per me. Dio solo sa quanto ne ho bisogno. Desidero tutti vedere, sta a voi il venire, avrei tante cose da dirvi, ma io credo che alcune ve le dica Gesù. Uniti in Domino.

Saluto tutti i cari Fratelli e dite loro che il solo importante è fare la divina volontà, questa solo ci apre le porte del Paradiso.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 8884 [Senza data]

Dio ti benedica, benedico tutti, prega per me, ne ho gran bisogno.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 8884/A [Senza data]

Con la preghiera, con la sofferenza, doppia con il cuore e la preghiera sono in mezzo a voi tutti e di cuore vi benedico.

L’ora presente domanda santi operai per il nuovo lavoro.

Pregate per me

in C. J. Sac. J. Calabria

* 8884/C [Senza data]

Che Gesù ci conceda la grazia di conoscerlo sempre più per sempre più amarlo e servirlo nei suoi poveri. Prega e fa pregare per me tanto povero, io ti ricordo, ricordo tutti e prego perché Roma rischiari tutto il mondo.

In C. J. Sac. J. Calabria

* 8884/D [Senza data]

[a don Stanislao]

Ho appena celebrata la Santa Messa e in questo momento, più del solito vicino e ho ricordato tutti i miei cari fratelli Romani, che la divina Provvidenza, con cura tutta particolare, vi ha portato a Roma, centro della cristianità, perché abbiate ad essere luce e sale; e la vostra vita sia, con la grazia di Dio, uguale alla vita degli apostoli.

Caro don Stanislao, il Signore Gesù da parte sua, oh quante grazie vi ha dato, quanti doni, direi, quali segni particolari; la nostra vita di sacerdoti, di religiosi sia tutta per Iddio, tutta per le anime.

Caro don Stanislao, debbo dirlo agli amati (?), ai cari confratelli miei, che, per amor di Dio corrispondano, domani moriremo, perché la vita è un giorno breve, beati quei figli della Ven…[non leggibile] che siano messi in pratica il loro nome, il loro distintivo: Poveri Servi della Provvidenza Divina, ma che non sia un semplice nome, perché sarebbe la nostra condanna. Ah, come è sacro il vostro campo; Dio mio, quanta messe matura vi è, ma è necessario l’operaio, il povero servo che pieno dell’amor di Dio, vada a raccogliere questa messe, per poi metterla nei granai, ma per condurla al Paradiso, tu mi capisci, ma oltre della messe matura, ah quale v’è più che…[non leggibile] e sta [a] noi, o cari, sta [a] noi vivere la vita apostolica con la vita Evangelica.

Dio ha messo le sementi, Dio ci ha dato i mezzi per farla crescere, sta a noi il farlo.

Don Stanislao, mio caro, Dio solo sa cosa vorrei dirti, cosa (?) dire a tutti i miei cari fratelli che tanto e tanto amo nel Signore, e vi dico quello che tante e tante volte vi ho detto: l’Opera è grande, l’Opera è per i tempi speciali… sta [a] noi, sta a noi con il nostro spirito genuino (?) che come sappiamo è spirito di fede grande, grande, convinti, certi (?) del nostro zero e miseria, ma fiducia in Dio che ci ha… per salvare le anime, le anime, le anime e specie quelle più abbandonate, più derelitte, più disperate perché queste sono le predilette di Dio, devono essere le nostre gemme, le vere nostre (?) gioie.

… ama le anime e vuole che noi le amiamo. Gesù diede la vita per esse e vuole che anche noi diamo le nostre (?) per salvarle, facendoci tutti a tutti per tutti.

Guardiamo a Gesù.

Ti raccomando in modo particolare i fanciulli (?), i piccoli, tu sai le parole di Gesù: “lasciate che i piccoli vengano a me”. Questa deve essere la prima vostra opera di zelo e so [che] lo fai, lo fanno tutti i cari confratelli.

Ti raccomando i piccoli e so che ne avete tanti di questi prediletti di Gesù.

Ricorda che i poveri, i diseredati, i più abbandonati sono pure i prediletti di Gesù:”lo spirito del Signore è sopra di me, perché Egli mi unse per mandarmi ad evangelizzare i poveri”, cari ha tutto detto (?) in Isaia.

Caro don Stanislao, le anime, le anime, molte di queste sono lontane, non vengono a noi; non sediamoci mai a piangere e lamentarci, ma andiamo per monti e per valli, tra spine e sterpi alla ricerca di queste pecorelle, impiegando tutti i mezzi, cercando tutte le occasioni, portando pazienza con loro. Sono un terreno arido, ma chi mette la semente e concima il terreno [e] quanto messo, ricorda che nelle tue fatiche, nella vita faticosa, due sono le condizioni del successo, diffidenza (?) di sé e fede in Dio, nel suo aiuto.

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SAN GIOVANNI CALABRIA – LETTERE AI SUOI RELIGIOSI

LETTERE DEL PADRE AI SUOI RELIGIOSI

* LETTERA I 24 febbraio 1932

Ai miei carissimi e amatissimi sacerdoti che partono per Roma onde compiere uno dei grandi disegni che la divina Provvidenza ha sopra questa sua Opera dei Poveri Servi della Divina Provvidenza.

Carissimi in Gesù Cristo

Noi con la vostra partenza ci troviamo davanti ad un fatto chiaro e preciso come la luce del sole, che dimostra come la divina Provvidenza guarda a questa sua Opera, a questa nuova Congregazione in un modo tutto particolare e come va gradatamente compiendo i grandi disegni che ha da tutta quanta l’eternità. Meditatelo bene che è proprio il Signore che vi ha eletto fra mille e mille ad essere destinati ad andare nella città dei Santi, dei Martiri, del Vicario di Cristo in terra. La vostra partenza è una chiamata direi quasi straordinaria, è un fatto, un avvertimento che commuove, e che deve tutti quanti richiamare a fare delle serie riflessioni sulla grandezza dell’Opera, alla quale noi tutti abbiamo la grande fortuna di appartenere, e nello stesso tempo considerare la grande responsabilità che pesa su voi che partite, e su moi che restiamo. Carissimi, sempre vi ho detto e ridetto nel corso di questi anni che l’Opera è grande, che Dio ha dei grandi disegni da compiere e che questi disegni si compiranno a patto che noi siamo strumenti docili, umili, come cenci, senza testa, come creta, e questo ve lo dico e velo ripeto anche ora che mi lasciate, e che io vi do come mio testamento. Certo che quando io vi pensavo, non sospettavo nemmeno che la Provvidenza vi volesse a Roma, e così presto, a Roma centro della Chiesa Cattolica. Non pensavo certo che altri disegni di non minore importanza avesse a manifestare, subito dopo la erezione a Congregazione, e che si compiranno nelle sofferenza, nella lotta, nel patire, perché, ricordiamolo bene, solo nella sofferenza e nella croce questa pianta del Signore avrà la sua linfa per maturare e fiori e frutti, frutti di gloria di Dio e di bene alle anime.

Carissimi Confratelli, voi andate a Roma. Ricordatevi che chi vi manda è lo stesso Gesù che un giorno ha mandato i suoi Apostoli nel mondo a predicare e prima di tutto a praticare il S. Vangelo. Vi assicuro che io appena sacerdote, quando leggevo quel tratto evangelico che dice come gli Apostoli mandati dal Redentore, dovevano andare senza bastone, senza sacchi, con grande fiducia in Dio, quelle parole mi facevano una grande impressione e sempre le portavo scolpite nel mio animo. Ora capisco il perché di quella impressione; era il segno della volontà del Signore che voi, che noi di quest’Opera avessimo questo spirito. Andate dunque, ma andate come sono andati gli Apostoli: senza nessun pensiero per le cose temporali, senza preoccupazioni. Guardate che questa è la vostra divisa. Dio non vi abbandonerà mai, ma sarete sempre ricchi nella vostra povertà; e se vi sarà bisogno, il Signore per voi farà anche dei miracoli.

Portate a Roma lo spirito che informa la nostra Opera. L’unico e solo pensiero: il Regno di Dio e la salute delle anime. Siate il Vangelo vivente; e prima di predicare praticate. Il Vangelo per voi sia applicato alla lettera e solo in questo sta il vostro patrimonio, il segreto per compiere grandi cose.

Sento in questo momento tutto quello che devo soffrire io, che dovrete soffrire voi da parte di Satana che freme, che freme, e non so fino a dove potrà giungere. Carissimi, stringiamoci al Crocefisso e invochiamo il suo aiuto, unito al patrocinio della Vergine Addolorata e andate avanti. Il vostro viaggio per Roma guardate che non è un viaggio di piacere, è un viaggio al Calvario, e quando sarete arrivati là, dovete essere sempre sul Calvario; questa è la condizione perché il vostro ministero sia da Dio benedetto. Voi dovete essere a Roma come il navigante è sulla nave, che viaggia sul mare, ma che il mare mai abbia ad entrare nella nave. Mi avete capito: per amore di Dio che lo spirito profano, farisaico non si attacchi a voi. Il vostro sguardo sia agli Apostoli, ai Santi, ai Martiri e solamente così potrete compiere e fare la divina volontà. Non fate niente senza preghiera e consiglio. Quello che dite, quello che fate, sia prima da voi sentito e praticato.

Andate a Roma e state a Roma, come sono andati e sono stati gli Apostoli, i Santi, i Martiri. Guardate che le anime si acquistano a Dio col patimento, con la carità e solo con la carità. Quando non potete parlare alle anime allora parlate a Dio delle vostre anime. Non vi fermate mai alla corteccia, guardate la midolla, pensate che sono anime redente dal Sangue del Signore. Il vostro viaggio e la vostra permanenza a Roma sia sotto la protezione della Vergine benedetta, di San Giuseppe, di S. Teresa del B. G. e del Pontefice Pio X. Ed ora il mio affettuoso saluto, la mia benedizione, raccomandandomi tanto alle vostre preghiere; vi raccomando l’obbedienza e l’unione alla Casa Madre e vi lascio con l’augurio di trovarci un giorno tutti in Paradiso.

* LETTERA II 26 novembre 1932

Carissimi fratelli nel Signore

Nei giorni passati, per somma grazia di Dio Benedetto padrone assoluto di quest’Opera che si dice dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, abbiamo assistito con sentimenti di gioia e di riconoscenza alle feste del suo giubileo. Venticinque anni dacché la divina Provvidenza, con sguardo e cura tutta speciale, ha voluto fondare quest’Opera perché sia luce e salute a tante e tante anime; e certo nella nostra mente son passati dei grandi pensieri.

Abbiamo meditato tutta la lunga serie di favori, di grazie, di benefici, che il Signore nel corso di questi 25 anni ha profuso sopra questa sua Opera, senza considerare le altre grazie, gli altri doni, gli altri benefici, che, perché sono di indole soprannaturale, non sono da noi meditati e apprezzati come ciò che noi vediamo e che cade sotto i nostri sensi; eppure sta il fatto che quest’Opera, come tante volte vi dissi, nei disegni di Dio compie di queste meraviglie con la semplice sua esistenza. Credetemi, essa è grande; rischiara tante e tante menti che vivono nell’oscurità e che illuminate da questa luce, corrono a Dio e a Lui si donano e Lui servono.

Quest’Opera è una continua voce che chiama tanti e tanti poveri nostri fratelli che sono fuori di strada, e li costringe a pensare, a meditare, e così i loro cuori, avvalorati dalla divina Grazia, si rivolgono dalle cose caduche e misere di questa terra a quelle eterne del cielo, convinti che se pensassero a Dio, a cercare il suo Regno, la divina Provvidenza in aggiunta concede i mezzi e le cose temporali. E non vi pare, o miei fratelli, che questa sia una grande Casa nei disegni della Provvidenza?

Solo in Paradiso potremo capire, potremo comprendere il bene, i disegni che il Signore ha compiuto per mezzo di quest’Opera, sì, se noi vivremo secondo lo spirito tutto proprio e particolare, e questo son più che certo che sarà stato oggetto di grandi meditazioni e fonte di nuovi ed efficaci proponimenti in questo venticinquesimo di fondazione. E’ una grandissima grazia che il Signore ci ha fatto chiamandoci a fare parte di questa sua grandissima Opera, grazia che Lui stesso, il Signore, ha sensibilmente coronato con l’approvazione della sua Chiesa.

Ma, o cari, nello stesso tempo ricordiamo che pesa su di noi una grandissima responsabilità, perché da noi solo, da noi dipende che quest’Opera viva, prosperi, si diffonda, compiendo così il bene per il quale la Provvidenza l’ha fondata. Amati fratelli, che cosa vi dirò di quest’Opera? Ah! essa è un grandissimo e perfetto treno; non manca niente; su questo treno, su questa nave salgono continuamente dei viaggiatori che domandano di essere condotti al porto. Oh! un macchinista che non fa il proprio dovere, che non sta attento, quanta responsabilità, quanta rovina, quanta morte non può seminare e a quali castighi va incontro!

Fratelli miei, noi siamo i macchinisti di questo mistico treno che il Signore ci ha consegnato da guidare. che grande responsabilità non pesa su di noi, che rendiconto non dobbiamo al Signore nel giorno della grande chiamata e che castigo non ci verrà se per colpa nostra le anime non hanno potuto viaggiare, si sono perdute.

Oh! cari, in questo momento vi prego, vi scongiuro, io per il primo, di pensare, di vedere se proprio si vive, si agisce, si opera come vuole Dio e come domandano le nostre sante Costituzioni, che vi prego di leggere spesso, di tenerle nella vostra mente e nel vostro cuore!

Come tante e tante volte vi ho detto e ridetto: il nostro pensiero, la nostra cura sia solo nel cercare il santo Regno di Dio; niente ansie, niente preoccupazioni, angustie, pensieri per quello che è temporale; il nostro pensiero, la nostra cura sia per l’esatta osservanza delle nostre sante Regole, per la fedeltà perfetta quando si tratta di pratiche di pietà, in modo particolare quelle della Comunità. Lasciate tutto, ma non lasciate le pratiche di pietà. quando io vedo che manca qualcuno, mi sento una stretta al cuore, perché vedo uno sconcerto nell’Opera, che il diavolo giubila, e che quel poveretto resta ingannato sotto una falsa luce.

Per noi, poi, sacerdoti, grande spirito di fede nel nostro ministero, e per quanto è possibile, raccomando che il santo ufficio sia detto in chiesa e in comune. La S. Messa poi, oh come deve essere celebrata! Una santa Messa devotamente celebrata quanta ricchezza per le anime nostre, per il nostro ministero, per l’Opera nostra!

A questo aggiungo una calda raccomandazione, ed è che abbiamo tutti grande carità, sacerdoti e fratelli un solo corpo; dobbiamo aiutarci gli uni con gli altri nel compiere in questa santa Opera la volontà di Dio. Nelle vicende, nelle prove, vedere sempre Gesù, che vuole o permette tali cose e per nostro bene e per bene di questa sua Opera e dire “Dominus est”.

Noi fratelli, membri di questa santa Congregazione, ricordiamo bene che dobbiamo essere come tanti fari accesi dalla divina Provvidenza, alimentati di continuo dal nostro spirito tutto quanto speciale e proprio di questa luce; e io mi tengo certissimo, che se noi, con la divina grazia, viviamo praticamente di questo spirito, immenso sarà il bene che noi faremo e senza fine saranno i disegni che la divina Provvidenza compirà per nostro mezzo; ma sta a noi tenere viva, accesa questa lampada di Dio, che starà viva e accesa se noi l’alimenteremo con l’olio della fede, dell’amore di Dio, della carità. O cari fratelli, in ginocchio e con le mani giunte, vi prego, vi scongiuro: guardate che regni sempre sovrana nella nostra Opera questa virtù, che siano sempre sbandite le critiche, le mormorazioni, le invidie.

Ricordiamoci che noi tutti siamo operai, agricoltori dello stesso padrone ch’è Dio, messi qui a lavorare nel suo campo diviso: Nazareth – S. Zeno in M. – Costozza – Aspiranti – Madonna di Campagna – Roma, un solo terreno, che ciascuno deve lavorare la sua parte, ma sempre con questo pensiero, che questo è una parte dello stesso campo di Dio. Godere adunque quando una parte è più ben coltivata, è più ricca ed aiutare quella più povera, e viceversa, tenendo sempre a mente che siamo nell’unico solo campo. Nelle nostre orazioni, nelle nostre visite, nella S. Comunione domandiamo al Signore questa grazia, questo spirito: la carità, perché questo è tutto e, come altre volte vi dissi, niente può abbattere, arrestare questa Opera; quello che la può arrestare, far deviare, è la mancanza di carità fra noi, è lo spirito di critica, di invidia, di mormorazione, parti tutte del nostro amor proprio, della nostra superbia.

Vi sono giorni lieti e tristi di prova, di dolore per tutti; questi ricordiamoli scambievolmente: sono prove della stessa famiglia. La fede poi nella Provvidenza sia sempre il nostro saldo, la nostra roccia; ricordiamo che questa mai e mai mancherà se noi faremo la nostra parte.

Nei momenti di prova, più fede, più osservanza delle regole, e Dio ci darà certissimamente tutto quello di cui abbisognamo.

Ricordiamo tutti che i laboratori sono un grande mezzo di Provvidenza ed è dovere che tutti i Fratelli cooperino sotto la responsabilità del Fratello incaricato al buon andamento dei medesimi, senza ansie né preoccupazioni, ricordando che facendo così si dà gloria a Dio, si tiene alto il buon nome dell’Opera e si santificano le anime proprie.

* LETTERA III 19 marzo 1933

Miei amati fratelli

La santa Quaresima è tempo di seria meditazione per tutti i cristiani, ma per noi, Poveri Servi della Divina Provvidenza, questo tempo deve avere una importanza tutta speciale, deve essere un forte e potente richiamo su noi stessi e vedere e studiare come va riguardo e alla nostra santificazione personale e a quella dell’Opera alla quale abbiamo la grande grazia di appartenere. Perché, o cari, come altre volte vi ho detto, la santificazione nostra, il nostro progresso spirituale, la nostra virtù è l’anima, la vita dell’Opera dei Poveri Servi della Divina Provvidenza. Se noi non viviamo secondo la nostra speciale vocazione, diamo la morte alle nostre anime e la morte a quest’Opera. Dio mio, che grande responsabilità!

Finché siamo ancora in tempo, tutti e ciascheduno facciamo il nostro dovere, vediamo, prendiamo come in mano la nostra anima ed esaminiamo il nostro profitto spirituale.

Cari fratelli, l’Opera nostra sta per cadere, adesso mi pare di vederla come si vede un grande fabbricato in pericolo e da ogni parte puntellato perché non cada. Nascondervi la cosa, il non parlare sarebbe buon rimedio?

Ah no, cari ed amati fratelli! Se l’Opera è in pericolo, è in pericolo per noi; allora dobbiamo fortificarla, dobbiamo risanarla, metterla nel primo stato. Siamo ancora in tempo, se tutti noi faremo la nostra riforma spirituale in questo tempo santo della Quaresima, in questo Anno Santo che la misericordia di Dio ci concede.

E’ necessario ritornare indietro, perché abbiamo sbagliato strada. E’ necessario che destiamo la nostra vita così tiepida, così lontana dal fine della nostra Opera, è necessario che noi viviamo la vita della fede e dell’abbandono come vuole il nostro programma, che questa vita sia santificata internamente ed esternamente. Internamente con una grande pietà, con una intensa vita spirituale; esternamente con l’osservanza esattissima delle nostre Regole, cose tutte che da tempo sono quasi dimenticate, andate in disuso, riducendo così l’Opera alla uguaglianza delle nostre opere, ciò che significa annientare l’Opera del Signore.

Cari fratelli, siamo franchi, studiamo noi stessi al lume della fede e del Crocefisso, e facciamoci queste domande: l’Opera, lo Spirito è quello che l’animava al principio e che l’anima adesso? dobbiamo dire di no; ci siamo adagiati, ci siamo messi nella via ordinaria, mentre la nostra deve essere via straordinaria. Deh, per amor di Dio, ascoltate e date quella importanza che meritano alle mie povere parole. Anche qui, devo dirlo, una volta si ascoltava di più questo povero prete e si dava più peso alla sua povera parola. Finché la misericordia di Dio mi tiene qui, dovete ascoltarmi, dare un’importanza speciale a tutto quello che vi dico, e non solamente a me, ma a quello qualunque che la Provvidenza metterà a Casante, a custodia di questa Opera. Qui è il Signore che vuole tutto compiere, con la sua bontà e grande misericordia.

Non dimentichiamoci che l’Opera nostra è di mostrare al mondo che la divina Provvidenza esiste, che Dio non è straniero, ma che è Padre, e pensa a noi, a patto che noi pensiamo a Lui e facciamo la nostra parte, che è quella di cercare il santo Regno di Dio: è qui il punto, il programma speciale sul quale io mi fermo e domando a me stesso e poi domando a voi: come cerco io il santo Regno di Dio? come cercate voi il santo Regno di Dio? E qui esaminiamo la nostra giornata, dalla sera alla mattina, dalla mattina alla sera.

Siamo noi pervasi da questo pensiero: sono qui nella Casa di Dio: per lui che ha fondato quest’Opera e l’ha fondata con segni chiari e patenti della sua straordinaria Provvidenza, ed io mi affido, vivo questa fede, ho solo di mira le anime che entrano a far parte di quest’Opera, guardo a queste sole, e quanto più sono sole, abbandonate, misere, penso che queste sono oggetto da parte di Gesù di cure speciali, e se io nel suo nome le raccolgo, le aiuto, le nutro, son certo e certissimo che Gesù non le abbandonerà? Oh, come è necessario questo spirito!

E poi penso, rifletto, che quello solo che può rovinare questa Opera è il peccato? Ed io che conto faccio del peccato? Inculchiamo questo, o fratelli, ai ragazzi, ai figlioli qui raccolti; ovvero, Dio non voglia, lo faccio io stesso, ho forse peccato nella Casa del mio Dio? Ah cari, detestiamo i nostri peccati, proponiamo sul serio di cominciare una vita da veri Religiosi, e non dubitiamo un istante dell’aiuto della divina Provvidenza. L’ho detto ancora e lo ripeto: se occorre, il Signore a suo tempo farà anche dei miracoli, a patto che noi stiamo fedeli al nostro programma: Quaerite primum… Il Regno di Dio si cerca nello studio pratico di N.S.G.C.; ciascun religioso deve essere un’altro Cristo. Deh, studiamo questo nostro divin esemplare, specie in quest’anno Santo, indetto dal Santo Padre per richiamare gli uomini a grandi riflessioni a grandi meditazioni.

L’umiltà di Gesù regni in noi, ed allora regneranno con noi tutte le altre virtù che sono ancelle di questa Regina. Se saremo umili, saremo docili, saremo caritatevoli, misericordiosi, pacifici, in una parola avremo in noi tutte le virtù che scaturiscono da quella; tanto e tante volte raccomando l’umiltà. Cari fratelli, che i divini disegni non si abbiamo a sospendere per colpa nostra, che questo regno non sia dato ad altri, per nostro castigo; e saranno sospesi questi disegni, data ad altri quest’Opera, se noi non viviamo come vuole Gesù. Non ansie, non angustie: lungi da noi tutto quanto sa di profano e che all’occhio del fratello nostro possa essere argomento di prudenza umana.

L’Opera dei Poveri Servi è grande, sebbene tanto piccola, e sarà sempre grande se si manterrà piccola se non andrà in cerca di protezioni, di appoggi umani, se terremo sempre sgombra e arata, pulita questa terra santa e benedetta che è la Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza. Sì, o cari e amati fratelli, da questa terra santa il Signore, il divino agricoltore metterà di continuo nuovi semi, li affiderà a noi e noi vivendo come Lui vuole, ossia con il nostro spirito tutto speciale e particolare, questi semi diventeranno piante dove tante e tante anime verranno a riposarsi. L’ho detto, i disegni di Dio sono grandi per quest’Opera, e basta avere occhi per costatare il fatto.

Come dissi, l’Opera stessa è un richiamo continuo, una predica continua, una grande lucerna che rischiara e illumina, senza che noi ce ne accorgiamo, tante anime, oltre le anime qui raccolte e che qui trovano pane spirituale e materiale, le quali sono gemme preziose, doni di Dio, che per le anime si è fatto uomo ed è morto sulla Croce. L’Opera dei Sacerdoti Apostolici, l’Opera dei Fratelli, l’Opera che sta per nascere dalle Missioni, sono semi che Dio ha messo qui nella nostra Opera perché noi li facciamo crescere a gloria di Dio e a Bene delle anime. Amati fratelli, in ginocchio vi raccomando la vostra personale santificazione e poi per quest’Opera a noi affidata. Beati noi se quando verrà il divin Padrone Gesù, all’ultimo della nostra vita ci troverà pronti e fedeli. Oh, che gioia proveremo adesso in vita, oh, che premio nella beata eternità! Sì, sì, che il Signore renda efficace quello che ogni mattina ripeto nel ringraziamento alla S. Messa: ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem te in saecula saeculorum. Che Dio vi benedica; pregate tanto per il vostro Don Giovanni, che vi domanda perdono di tutte le colpe e mancanze commesse in tutti questi 25 anni da che esiste l’Opera e in tutta la sua vita, che l’Anno Santo di cui ormai è imminente l’apertura, sia per tutti noi un anno di remissione e di vera indulgenza, anno di rinnovazione, di santificazione, per i meriti di Nostro Signore Gesù Cristo.

* LETTERA IV 11 settembre 1933

Amatissimi fratelli

Siamo giunti per somma grazia e misericordia di Dio alla vigilia di giorni santi, di giorni che noi tante e tante volte abbiamo sperimentati per l’efficacia santa, divina, che hanno portato nelle nostre anime: voglio dire i santi spirituali esercizi.

Io, in ginocchio, vi prego e vi scongiuro nel nome di Gesù benedetto di approfittare di questa grande grazia che la bontà e la misericordia del Signore vuol farci. E’ il Signore stesso che direttamente viene a noi per parlarci, per chiamarci, per dirci tante cose e per metterci a parte dei suoi grandi disegni per il bene delle anime nostre.

Deh, per amor di Dio, entriamo nei santi Esercizi con quello spirito che è necessario perché questi giorni santi siano di vantaggio alle anime nostre. Entriamo con grande fiducia nella bontà di Dio, con pieno e totale abbandono in Lui, disposti a tutto pur di fare la sua divina volontà.

Nessun pensiero, nessuna preoccupazione in questi giorni; l’unico e solo pensiero deve essere il salvare la nostra anima; vedere come abbiamo corrisposto alla grazia grande che il Signore ci ha fatto chiamandoci qui nella Casa, in questa sua Opera dei Poveri Servi della Divina Provvidenza, che, come tante e tante volte vi ho detto, è un’Opera Sua, ma in modo tutto speciale, da Lui fondata, che Lui solo dirige. Beati noi se corrisponderemo e comprenderemo quest’Opera in tutta la sua ampiezza e in tutta la sua profondità.

Sì, cari fratelli ed amati figlioli, in questi santi giorni di silenzio e di preghiera vi raccomando tanto di prendere assieme ai nostri libri di devozione un altro aureo libro che, per noi, deve essere tutto: il libro benedetto delle nostre sante Costituzioni.

Davanti al Crocefisso, vicino al SS. Sacramento, come fossimo vicini al divino rendiconto, esaminiamoci come abbiamo osservato le nostre sante Regole, con quale spirito le abbiamo praticate; teniamoci bene a mente che per noi le nostre sante Costituzioni sono la nostra charta magna, sono tutto per la nostra santificazione e per la santificazione dell’Opera, alla quale abbiamo la grande grazia di appartenere, e che solo dalla nostra cooperazione dipende il compiere i divini e grandi disegni che il Signore ha sopra di essa: disegni che si compiranno senz’altro secondo la nostra fede, secondo la nostra generosità, la nostra umiltà, il nostro amor di Dio.

Cari fratelli, deh, mettiamoci seriamente a meditare in questi santi Esercizi che abbiamo la grazia di fare in questo Anno Santo, in questo centenario della divina Redenzione, e sia proprio questo l’anno che deve segnare per noi il principio della nostra vera santificazione, perché, come tante volte vi ho detto e non mi stanco di ripeterlo, siamo qui nella Casa del Signore solo per santificarci e cercare il santo Regno di Dio.

Ascoltiamo Gesù che ci chiama, Gesù che ci vuole vicini, ed entriamo in questi santi Esercizi tutti, tutti noi stessi nel vero senso della parola, con le nostre miserie, con le nostre mancanze, ed usciamone tutti di Gesù come sono usciti gli Apostoli dal Cenacolo Santo, ripieni di amore di Dio, per comunicare poi questo amore a tutte le anime che il Signore ci ha affidate e ci farà avvicinare. Oh! sì, questo amore sia il nostro distintivo qui in terra per farci trovare poi tutti uniti un giorno con Gesù nel cielo.

Immaginate come prego e soffro durante questi Santi Esercizi, perché essi portino grande vantaggio a me e a voi, perché portino nella nostra Congregazione lo spirito di Gesù, perché in noi vi sia la vita del Santo Vangelo e l’amore pratico alle nostre sante Costituzioni, che sono per noi la miniera di tante altre grazie e di tanti divini disegni che il Signore compirà su di noi e su quest’Opera, sempre se saremo docili e umili strumenti, ascoltando in tutto e sempre colui che la Provvidenza ha messo a sentinella di questa sua Opera.

Il demonio non ci lascerà tranquilli, egli userà delle arti nuove e speciali per tradirci; stiamo attenti bene alle sue illusioni… ma non ci mancheranno i mezzi per conoscerlo, per vincerlo.

Ricordatevi che la pietra di paragone l’avete in questo povero prete che non è niente in sé, ma che fino a quando la Misericordia di Dio lo lascerà in mezzo a voi, dovete ascoltarlo come la voce di Dio stesso per i disegni di questa sua Opera; in lui, in chi verrà dopo di lui, dovete vedere sempre il Signore, e beati e fortunati noi se approfitteremo di tutte queste grazie che la divina Provvidenza ci concede continuamente.

Ricordatevi ancora che il Signore a grandi mali dispone grandi rimedi, e quest’Opera è destinata nei suoi misericordiosi disegni a grandi cose; sta in noi non intralciare i suoi piani.

Questi santi Esercizi ci illuminino proprio e ci rendano degni di cooperare col Signore.

Che Dio vi benedica tanto, e la Vergine Immacolata, nostra Patrona, vi sia sempre affianco in questi giorni beati; io pregherò tanto per voi tutti; fratelli e figlioli miei amatissimi, dobbiamo trovarci tutti, tutti stretti nel vincolo fraterno che ci ha uniti qui in vita in un giorno che non avrà mai tramonto lassù in Paradiso.

Mi raccomando tanto alla carità delle vostre preghiere, e con tutto il cuore vi benedico.

* LETTERA V 6 ottobre 1933

Amati fratelli in Cristo

Quando si è vicini a compiere 60 anni, con tanti disturbi e sofferenze vecchie e nuove, non si può non dare tutta l’importanza che merita alla parola di chi, per quanto povero e miserabile, è messo dalla divina Provvidenza a custode di questa grandissima Opera del Signore, nata e cresciuta nel suo divino Costato.

Ho messo questo proemio a quello che nel nome di Gesù devo dire, e perché voi abbiate a prestare attenzione più del solito, e dare un grande peso a quello che vi dico, e perché dal Signore, da un momento all’altro, io potrei essere chiamato a rendere conto, come però voi pure ne dovrete un giorno rendere conto.

L’Opera dei P.P.S.S. della Divina Provvidenza, come tutti sappiamo, ha compiuto il suo I Giubileo, 25 anni da che Gesù benedetto l’ha fondata qui a Verona e proprio qui nel bel San Zeno in Monte, come lucerna e richiamo a tante povere anime piene di grandi bisogni spirituali, e come tale ha avuto l’approvazione della Santa Chiesa che è venuta a coronare il suo 25º di vita, approvazione che è il Segno tangibile e sicuro che questa è l’Opera del Signore. Noi non siamo altro che poveri strumenti: “Poveri servitori”, come questo motto fu messo nelle cariche perpetue che stanno alla porta d’ingresso della Casa. Ma ricordiamoci bene, come tali, dobbiamo fare tutta la nostra parte che ci spetta e che ci viene assegnata dalle Sante Regole, dalle nostre Costituzioni, che fino a tanto la Provvidenza non le modificherà nel modo e nel tempo che a Lei piacerà, noi abbiamo il sacrosanto dovere di osservare; e queste benedette Regole le osserviamo?

Ciascuno veda ed esamini se stesso. Io devo dire, e con immenso dolore, che mi pare che su questo punto ci sia una grande leggerezza e si lascino passare molte cose che non dovrebbero e che portano danno immenso all’Opera del Signore, e una grande rovina alle anime nostre. Per amor di Dio, in ginocchio vi raccomando di leggere spesso e praticare le Sante Regole, specialmente quella che è la vita di tutte le Comunità, in modo speciale della nostra. Voglio dire la santa carità. E qui devo dire che proprio si manca in questa virtù, si agisce in modo molto umano; no, no: la carità di Cristo sia quella che dà l’impronta a tutte le nostre azioni, a tutte le nostre opere.

“Quid nunc Christus?” che cosa farebbe Gesù in questo, in quello? e con la divina grazia cerchiamo di farlo anche noi. E su questo punto sta bene richiamare e ricordarci che l’Opera dei Poveri Servi è una, non divisa, ed in conseguenza ciascuno di noi la deve amare tutta intera, non in parte.

Ciascuno di noi ha una parte da coltivare, ma quella è parte di un tutto e come ho detto ancora, se una parte prospera, deve aiutare l’altra che manca. Noi abbiamo molti membri, ma tutti di un medesimo corpo, ed ecco che amiamo il braccio, la testa e tutte le parti e quando una di queste soffre, madre natura ci insegna che tutto concorre, è là, da quella parte che soffre, per alleviare il dolore; così, o cari, facciamo noi con l’Opera alla quale abbiamo la grande grazia di appartenere. Ricordiamo che Gesù l’ha affidata a noi, e perciò pesa su di noi una grande responsabilità, per amor di Dio viviamo come vuole Gesù, guai, guai se quest’Opera si livella alle altre! Non vive, ma muore. Vi raccomando vigilare sulla porzione che il Signore vi ha dato da governare e da attendere: state attenti perché regni la carità, perché si dia grandissima importanza alla vita interiore, la vita dello spirito ci deve premere sopratutto.

L’attendere agli uffici materiali deve essere senza pregiudizio della nostra anima. Sacerdoti e Fratelli, Fratelli e Sacerdoti, cuore e braccia, membri del medesimo corpo, figli della stessa madre; la nostra cara Congregazione sia un cuor solo, un’anima sola. Non ci siano divergenze di sentire e di volere; in Gesù Benedetto dobbiamo volere e pensare le stesse cose, volere la nostra santificazione, la ricerca del Regno di Dio, il bene delle anime e pensare a quelle cose che ci serviranno di mezzi per conseguire questo fine principale e supremo della nostra vita sulla terra. Carità, quindi, carità grande, carità sentita, carità pratica, super omnia caritatem habete quod est vinculum perfectionis. E tutti quelli che si avvicinano, partano edificati dal nostro contegno; edificati dallo spirito di dolcezza, di carità, di rispetto, di gentilezza, di compatimento di cui dobbiamo essere ripieni e che è lo spirito di N.S. Gesù Cristo.

Specialmente con i Maestri d’arte abbiamo un grande rispetto: essi sono quasi nostri collaboratori, non dobbiamo trattarli come d’ordinario i padroni nel mondo trattano i loro dipendenti.

Raccomando che il lavoro nei laboratori sia senza ansie, senza angustie; impegno sì, diligenza sì e collaborazione da parte di tutti per il buon andamento di essi: ma che non ci prefiggiamo di produrre e di produrre sempre più. Quello che ci manca per i nostri bisogni penserà la Provvidenza a darcelo, e ce lo darà in proporzione della nostra fede.

Raccomando che nessuno dei nostri Sacerdoti usi quello che per altri è di malesempio, e per conto mio proibisco di fumare, l’andare a pranzi, il ricevere regali da persone, e dirigere spiritualmente da lontano anime, ricordando che io ho visto dei veri disastri spirituali che hanno cominciato sotto la forma migliore, con lo scopo di bene. State attenti, state attenti!

Raccomando poi a tutti di ascoltare in tutto e sempre quello che vi dice questo povero prete, ma fino che la Provvidenza mi tiene, è Dio che parla attraverso questo povero canale. Ascoltate anche i desideri di questo poveretto, tenetevi uniti a lui; abbiate confidenza, tutta la confidenza, fate il vostro rendiconto come prescrivono le Costituzioni, perché solo così uniti e compatti potremo compiere i disegni di Dio. Perché, come vi dissi, l’Opera è grande, i disegni di Dio sono tanti, sta a noi il cooperare. E beati noi! L’ora attuale è gravissima, non sappiamo quello che ci riserva la Provvidenza, la bufera si accentua sempre più, ed è da prevederne l’esito tanto più disastroso quanto meno gli uomini, ed anche i buoni, perfino i religiosi e i sacerdoti, se ne danno pensiero e continuano a vivere come al tempo di Noè, e dimentichi degli avvisi, delle minacce del Signore. Per amor di Dio viviamo bene, e trovi in noi nella nostra Congregazione il Signore come una riserva di virtù e di bontà, in vista delle quali salvi noi e tante anime.

Camminiamo dunque, in modo da meritarci sempre la divina compiacenza e la sua benedizione.

* LETTERA Vl 6 novembre 1933

Carissimi figli in Gesù Cristo

La grazia e la pace di Gesù siano sempre con voi.

Se sempre io godo quando scrivo a Voi, o vi posso rivolgere la mia povera parola, che sebbene passi attraverso questo misero canale, è sempre parola di Dio, e come tale voi la dovete ricevere e ascoltare; questa volta provo un gaudio tutto particolare, perché sento che scenderà nella vostra anima e nel vostro cuore di Religiosi, e porterà tanta luce, tanta pace, tanto amor di Dio, e novella forza per attuare i grandi disegni, che la divina Provvidenza vuole compiere attraverso questa nostra diletta Congregazione che si dice dei “Poveri Servi”.

L’Opera è di Dio, pensiamolo bene; è Lui che l’ha fondata e la dirige con Provvidenza particolare, qualunque sia lo strumento di cui si serve.

Potrebbe fare tutto Lui, ma si degna di adoperare noi. E qui ricordiamoci che Dio ha bisogno di strumenti umili; dei superbi non sa che fare, anzi gli rigetta lungi da Sé come celo attesta la storia. L’essere chiamati a quest’Opera è quindi un motivo di più a tenerci nella santa umiltà.

Carissimi, pensiamo al grande conto che dovremmo rendere un giorno al Signore, per la grazia particolare di aver appartenuto a quest’Opera Sua. per trovarci sicuri in quel grande rendiconto, bisogna che ogn’uno viva nella Congregazione come vuole il Signore, cioè come cera, come creta, senza testa, abbandonato completamente in Dio e nella sua volontà. Ed è per questo che vi raccomando di tenervi bene a mente che noi come noi, non siamo capaci di altro che di guastare i disegni di Dio; ma se saremo fedeli alle nostre sante Regole e Costituzioni, uniti allo strumento di cui si serve il Signore quanto più strettamente potremo, nonostante il nostro nulla acquisteremo una forza sovrumana, divina, che nessuna violenza riuscirà ad ostacolare.

Ve l’ho detto tante volte: io non temo gli assalti e le prove che vengono dall’esterno; queste anzi servono a consolidare maggiormente la Congregazione e l’Opera tutta. Solamente la nostra mala corrispondenza può annientare e distruggere questo edificio, che il Signore si è degnato inalzare per la sua gloria.

Abbiamo le Costituzioni, che sono l’espressione della divina volontà; a queste atteniamoci con tutta l’anima. Su queto punto di capitale importanza stiamo tranquilli e sereni, e viviamo con l’anima e la volontà ferma di praticarle. Nessuna preoccupazione per il futuro; solo il Signore potrà modificare, ampliare, perfezionare se sarà necessario, perché solo Lui è il Padrone. Ma questo, se mai, avverrà unicamente per mezzo di quel qualunque, che per quanto meschino è messo da Lui a Casante dell’Opera.

Tutto è in mano di Dio, e solamente Lui sa quello che occorrerà nel futuro, e quindi penserà Lui ad ispirare a tempo opportuno chi nel suo nome regge quest’Opera. Intanto la sua volontà chiaramente espressa per il presente sono le Costituzioni, e a queste dobbiamo tenerci legati con la più generosa stabilità, osservandole esattamente. Se sorgono dei dubbi, delle incertezze, ricordate che Don Giovanni è il solo che possa darvi spiegazioni in proposito, giacché solamente Lui è l’interprete autentico della divina volontà manifestata nelle Costituzioni. A lui solo ricorrete e a lui solo esponete ogni possibile difficoltà, e tenetevi a quello che nel nome di Dio e con l’approvazione della Chiesa egli disporrà.

Cari i miei figli, con tutta la forza del mio animo vi raccomando l’unione fraterna, intima, stretta, indissolubile, nella carità di Cristo. Siamo tutti un sol corpo, una sola persona; uniti, dunque, nel cercare il Regno di Dio, che è il fine per il quale quest’Opera fu fondata in questi tempi. Stiamo attenti e vigilanti su questo punto dell’unione fraterna, perché è troppo facile venir meno; siamo uomini e quindi possiamo mancare. Ve lo ripeto: un sol corpo, una sola persona.

Il Sacerdote e il Fratello, nei disegni del Signore si completano a vicenda nell’esercizio dell’apostolato, che è grande, universale, tanto per l’uno quanto per l’altro.

Quanto è necessaria, dunque, la fusione del Sacerdote col Fratello, nella carità di Cristo; e quanto è necessaria altresì l’obbedienza figliale e incondizionata a chi dirige nel nome del Signore! Carità e umiltà sono inseparabili; e solo così si può lavorare utilmente allo sviluppo della Congregazione e al conseguimento del nostro fine speciale.

Il demonio, nemico di ogni bene, farà ogni sforzo per seminare la discordia e portare la disunione; sa ben lui che un regno diviso va in desolazione e in rovina.

Se nascesse qualche dissapore, se venisse qualche nube ad oscurare il limpido orizzonte della carità, subito si rinsaldi la concordia e la pace. Non tramonti mai il sole sopra le possibili dissensioni. Siamo uomini tra uomini, quindi può succedere qualche inconveniente; ma anche qui, stiamo attenti a non sofisticare, a non esagerare, a non generalizzare; tutto vediamo nella luce vera di Dio, nella pace e tranquillità del nostro spirito.

Imitiamo il Signore che è tanto longanime con noi. Guai se Egli ci condannasse subito secondo le nostre Opere! Quindi usiamo tra noi grande generosità; così noi riusciremo a dissipare prontamente ogni pericolo di rotture.

Lavoriamo in comune armonia; ogni screzio e disgusto, se bene si considera, viene sempre dall’amor proprio e dal nostro interno disordinato.

Stiamo dunque attenti ad approfondirci ben bene nella santa umiltà, e vedremo che tutto allora si aggiusta.

In Casa e fuori, siate sempre un tutt’uno; sostenetevi a vicenda, e, ve l’assicuro, farete miracoli. Il corpo quando è che funziona bene? Quando tutte le singole parti, anche le più minute e le più umili sono a posto.

Non può il cuore non risentirsi e soffrire se qualche membro è ammalato; così non può agire bene un membro qualunque se il cuore non è in ordine e a posto. Voi capite, cari figlioli, che cosa intendo dirvi con questo paragone. Ecco quanto scrive S. Paolo a questo proposito: “Diportatevi in modo degno del Vangelo di Cristo, affinché, sia che io venga e vi veda, sia che rimanga lontano, io senta di voi che state fermi in un solo spirito… Se dunque volete darmi qualche conforto in Cristo, qualche sollievo ispirato dalla carità, se avete con me qualche comunanza nello spirito, se avete viscere di compassione: rendete compiuto il mio gaudio con avere una stesso pensare, una stessa carità, una sola anima, con avere gli stessi sentimenti. Non fate nulla per spirito di parte, né per vanagloria; ma ciascuno con umiltà stimi gli altri come superiori a sé, avendo ognuno a cuore non il proprio interesse ma quello degli altri”.

Noi siamo chiamati al grande lavoro delle anime; anzi il campo affidatoci dalla divina Provvidenza è proprio quello delle anime più abbandonate, delle anime quindi predilette da Dio. Quanto so e posso vi raccomando la piena e cordiale fusione tra Sacerdoti e Fratelli; siamo un sol corpo: procuriamo quindi di integrarci a vicenda. Bando perciò a quelle distinzioni che l’amor proprio suggerisce; il dire: questo non mi tocca, quest’altro non è conforme alla mia dignità, e quest’altro ancora è troppo meschino; tutto ciò non è parlare da Religioso, perché non è conforme agli insegnamenti e agli esempi di N. S. Gesù Cristo, il quale dichiarò con le parole, e dimostrò col fatto che non era venuto a farsi servire, ma a servire. Penseranno i superiori a distribuire le mansioni secondo le attitudini e le inclinazioni di ciascuno; ma se noi siamo animati dal vero spirito di Gesù Cristo, andremo in cerca di occasioni per umiliarci, per servire Dio nel prossimo, per prevenirci a vicenda con il debito onore e la pratica collaborazione.

In tale maniera eserciteremo il più fecondo e nobile apostolato, anche se dovessimo vivere nel più completo nascondimento; ricordiamo quanti anni ha passato Gesù nel laboratorio di Nazareth, Egli che era venuto per predicare il Regno di Dio, e ne aveva tutte le doti in grado eccellente, divino.

Ad assicurare sempre meglio questa carità e unione fraterna, raccomando che si coltivi una stretta comunicazione tra studenti ed aspiranti; destinati a formare una sola famiglia, quella dei “Poveri Servi”, comincino per tempo a conoscersi, ad amarsi, a vagheggiare insieme il comune ideale. Gli uni e gli altri crescano istruiti secondo la loro capacità, per essere adatti un giorno alla loro missione, che se è varia nell’esterno, è però sempre unica nel fine.

E questo povero prete che vi parla, riguardatelo come il vostro centro che tutti vi unisce e dirige; abbiate in lui la più grande fiducia, come figli al padre. Esponete a lui candidamente le vostre pene, le vostre aspirazioni, i vostri desideri, specialmente con il rendiconto raccomandato dalle Costituzioni; e poi state queti e tranquilli a quanto egli vi dice da parte di Dio.

Vi raccomando la vita interiore, la pietà soda e sentita. Compite fedelmente quelle pratiche di devozione che le Regole prescrivono: S. Messa, Meditazione, Lettura, ecc.; cercate di compierne anche delle altre, secondo la possibilità, come per esempio l’ufficio della B. Vergine.

Abbiate un confessore stabile, se volete progredire nelle vie della perfezione e della santità; e non siate facili a cambiarlo. Col confessore trattate i vostri spirituali interessi personali, con grande schiettezza e regolarità. In quanto all’andamento spirituale e disciplinare della Congregazione tenetevi bene a mente che è proprio fuor di luogo il mettere a parte di ciò che succede nella Congregazione persone estranee, sia pure per averne consiglio e direttive. Gli estranei non ne hanno la missione da Dio; ricorrete sempre e unicamente a chi ne ha la missione come superiore, e a lui solo esponete quanto spetta l’andamento della Congregazione.

Lavoriamo per il Signore, o miei cari, per la diffusione del suo Regno nelle anime. Lungi da noi ogni fine umano; rifugiamo da ogni apparenza di lucro. Tutto quello che ci viene offerto prendiamolo dal Signore, senza badare se è poco o tanto, oppure niente. Anime, e anime. Se veniamo meno al nostro spirito, ricordatelo bene, l’Opera si distrugge, e muore. Quale responsabilità sarebbe la nostra!

Con tutta la forza del mio cuore vi raccomando tanto e poi tanto di far tesoro di queste mie parole, che vi scrivo dopo di averle meditate ai piedi del Crocefisso. Pregate molto per me, per la mia povera anima; affinché il Signore mi perdoni i miei peccati e mi conceda di praticare io per il primo quanto vi ho detto.

Con tutto l’affetto invoco sopra di voi e sopra la vostra religiosa attività di “Poveri Servi” le più elette benedizioni del Signore.

* LETTERA VII Natale Anno Santo 1933

A tutti i miei cari fratelli religiosi

La pace di Gesù benedetto, quella pace che gli Angeli santi hanno annunziato sulla grotta di Betlemme, sia con tutti voi, miei cari ed amati fratelli; e sia frutto della vostra buona volontà. Disponiamoci affinché questa pace inondi i nostri cuori, le nostre anime.

Siamo prossimi alla grande solennità del Santo Natale e noi tutti già pregustiamo, prima ancora che spunti l’alba di quel giorno, la pace e la grazia che porterà alle anime nostre di Religiosi quella cara solennità.

O cari fratelli, che tanto e poi tanto io amo nel Signore: quanto desidero che tutti possiate correre nella via che ci è stata assegnata in questa S. Casa! Permettetemi che ancora una volta vi faccia sentire la mia povera parola, che non è mia ma del Signore; e sia a tutti voi guida e luce ad attuare i disegni che la Provvidenza divina vuole compiere per mezzo nostro, a patto che siamo sempre strumenti docili e umili. Vi ripeto quello che tante e tante volte vi ho detto; questa è un’Opera tutta particolare; il Signore vi ha impresso un’orma e una fisionomia tutta propria. Guai a noi se per colpa nostra questa fisionomia si cambiasse, quest’orma si cancellasse, e questo spirito si perdesse; sarebbe la rovina non solo di ciascuno, ma anche dell’Opera stessa. Quale responsabilità per noi!

Teniamoci bene in mente che sta a noi, alla nostra cooperazione e fedeltà, mantenere intatto lo spirito; allora quest’Opera andrà avanti, compirà i divini disegni, e noi ringrazieremo eternamente il Signore che per tratto speciale di sua bontà e misericordia ci ha qui chiamati.

Guerra al nostro io, al nostro amor proprio che ci fa credere di essere qualche cosa, mentre noi, come noi, non siamo buoni a niente. Stiamo bassi, umili; coltiviamo, con la grazia di Dio, questa convinzione del nostro nulla. La coltiveremo specialmente con la vita interiore. In ginocchio vi raccomando, o cari fratelli, la vita interiore; prima di andare alle anime con l’apostolato nel santo ministero, guardiamo di essere ripieni di quello che dobbiamo dire e fare.

E’ una vera illusione credere di essere noi che operiamo; è il Signore che fa tutto. Ricordiamo che siamo nel campo del soprannaturale; al Signore dobbiamo quindi riferire il frutto di quello che ci ha dato di grazie e aiuti. A noi spetta il compito di cooperare alla grazia e di secondare l’azione divina.

Teniamoci a mente che siamo religiosi prima di tutto per noi; perciò dobbiamo santificare noi stessi prima degli altri. Raccomando la Meditazione, la visita al SS.mo, la lettura spirituale; in una parola le pratiche di pietà, di cui la prima è la S. Messa, fonte di ogni altra grazia.

Procuriamo di essere non solamente canali che dispensano, ma conche insieme e canali. Se avremo Dio in noi, faremo tanto bene al prossimo, anche col solo nostro passaggio.

Non appoggiamoci mai alla stima degli uomini, che oggi esalta, domani abbassa. Tutto per Iddio, per la sua gloria. E se ci capita qualche prova penosa, diciamo con quel santo: “Né per te ho cominciato, né per te andrò avanti e finirò”.

Guardate, ve lo ripeto ancora una volta, che gli altri possono servire il Signore con una vita ordinaria; noi no. Se veniamo meno allo spirito della Casa, non si vive, ma si muore. E qui vi raccomando di fare grande stima anche delle piccole cose; piccole così per dire, ma che hanno una loro grande importanza. Dobbiamo essere convinti che, come non sono le grandi virtù che fanno i santi, ma le piccole virtù conducono alla vera perfezione, così i piccoli mancamenti, le colpe e le deviazioni leggere conducono ad una grande rovina dell’anima e alla perdita dello spirito religioso.

Non so esimermi dal ripetervi un’altra raccomandazione: abbiate la mutua carità; essa è il cemento che unisce gli animi e forma di tutti una sola cosa. Cor unum et anima una: è questa l’unità che N.S. Gesù Cristo domandava ai suoi Apostoli: che fossero una cosa sola tra di loro come Egli lo era col Padre. Per amor di Dio, non ci siano distinzioni tra religiosi e religiosi; un solo corpo, una sola persona. L’apostolato è vasto quanto il mondo, e tutto è grande, tanto la testa come il piede, tanto il braccio come il dito. Basta fare l’obbedienza.

Chi ha una carica la eserciti con grande umiltà, conscio della responsabilità inerente; e faccia sì che l’uso della sua autorità eserciti un benefico influsso nei religiosi suoi sudditi; a guisa del sole che su tutti domina, ma il suo dominio è salutare e benefico.

Evitate lo spirito di critica su fatti e detti altrui. Non facciamo nella nostra mente un tribunale sempre aperto per giudicare i fratelli. Abbiamo il dovere di pensare bene: questa è carità; e anche la giustizia, che reclama i suoi diritti, vuole che prima di censurare il fratello si adducano la prove. Ma per far questo occorre essere investiti dell’autorità di sentenziare. Ora chi sei tu, dice lo Spirito Santo, che giudichi il tuo prossimo? Il Signore, lo sappiamo bene, riserva a sé il diritto di sentenziare e lo concede solamente a chi ne ha l’ufficio. Noi come noi non siamo che dei ciechi; chi può presumere di vedere le intenzioni del fratello? “Homo videt in facie; Deus autem intuetur cor”. Dunque, prima del prossimo, dobbiamo pensare a noi; dobbiamo vivere e trattare con quella cordialità tutta semplice che è frutto della vera fraternità, ed è la ricchezza della Congregazione.

Raccomando lo spirito di fede, e fede speciale; non preoccupiamoci dei nostri bisogni: questi non ci riguardano. A noi spetta cercare il Regno di Dio, cercare le anime, osservare le Regole; stiamo certi, certissimi che il Signore ci darà anche il resto. Chi crede in me, dice Gesù, farà le opere che faccio io e ne farà di maggiori. Ricordiamoci che questo è il fine speciale dell’Opera.

Cari fratelli, siamo piccoli, e saremo grandi; siamo poveri, e saremo ricchi; stiamo lontani dalle protezioni umane, temiamole anzi, e avremo la protezione di Dio.

Leggiamo e meditiamo spesso le SS. Regole e Costituzioni, così da tramutarle in succo vitale del nostro essere e della nostra attività. Vi raccomando il rendiconto che le regole prescrivono; ricorrete con tutta confidenza a questo povero Casante. Ascoltate chi è messo a custode dell’Opera, e chiunque da lui ne avesse la delegazione, giacché è il medesimo umore che circola e passa.

Raccomando che ogni famiglia si tenga in contatto con la famiglia di Verona. Faccia il Signore che queste famiglie si moltiplichino nel campo della Chiesa, e ognuna sia come un faro luminoso di buon esempio a Tutti quelli che ci vedono. A ciascuna famiglia è assegnato il proprio superiore; si stia docilmente uniti a lui, in santa carità.

Termino con alcune norme che ho pensato ai piedi del Crocefisso e mi sembrano adatte per mantenere integro il nostro spirito, non tanto per voi presenti, che vivendo così vicini all’origine dell’Opera, ormai ne siete immedesimati, ma ancor più per quelli che verranno dopo di noi, e a noi guarderanno come modello:

1. Ciascun superiore d’una Famiglia mandi ogni mese una relazione morale e spirituale della propria Famiglia.

2. Non si accettino inviti a pranzi di feste, sia pur religiose, come Battesimi e Matrimoni: un cortese diniego servirà di grande edificazione al prossimo.

3. Nessuno si per metta di fumare, per niun conto; è cosa piccola in apparenza, ma per conto mio di capitale importanza. Riguardo alla bicicletta, nessun sacerdote la userà. Se si presentassero casi e bisogni straordinari, ricorrete a me e riferitemi le ragioni che sembrano consigliarne l’uso. Del resto non siate troppo facili a crearvi i bisogni della bicicletta; ricordate invece che Iddio terrà conto dei disagi che dovete incontrare per il ministero.

4. Si procuri la regolarità del ritiro mensile.

5. Il primo venerdì del mese passiamolo tutti in spirito di espiazione non solo in generale, come comporta la devozione al S. Cuore, ma in particolare per i peccati e mancamenti che noi commettiamo in questa santa Casa. I singoli superiori di Famiglia si faranno un dovere di ricordare ai loro fratelli questa intenzione.

6. Nessuno si faccia fotografare da solo, se non ha il permesso da me; sarebbe cosa poco edificante per un Religioso, e che sa di vanagloria. E nemmeno siate facili farvi fotografare in gruppi, sia pure di associazioni buone e sante, e mai assolutamente in gruppi femminili. Non spendo parole per convincervi della opportunità di questa norma.

Gesù Bambino rechi a tutti voi l’abbondanza della sua pace e delle sue benedizioni, che valgano a rassodarvi nella santa vocazione religiosa e a corrispondere alle tante grazie che la divina sua Provvidenza ci elargisce continuamente.

La Madonna Immacolata, Madre di Gesù e nostra, interceda presso il Figlio in nostro favore.

Pregate tanto e poi tanto per me, che possa io per il primo corrispondere alle grazie del Signore e ai disegni della sua Provvidenza.

Invoco su tutti la santa Benedizione.

* LETTERA VIII Quaresima 1934

Miei carissimi fratelli

La grazia e la pace del Signore siano sempre con voi.

Non è vero, o miei cari ed amati fratelli, che di tanto in tanto è necessario ripulire, aggiustare, esaminare se qualche pezzo è fuori di posto, nelle macchine che devono poi compiere i lavori per i quali sono destinate? Se c’è della polvere, se qualche pezzo è consumato o non si trova esattamente al suo posto, fuori di dubbio la macchina si arresta o non serve o serve male allo scopo per cui fu fatta.

Se tanto avviene, e tante precauzioni ed attenzioni si prendono per le macchine, destinate a compiere lavori, se volete anche di precisione, preziosi ma sempre materiali, terreni, quanto più sarà ciò necessario per le macchine, lasciatemi passare la parola, destinate a compiere lavori non di terra, ma di cielo, non per il tempo ma per l’eternità.

Queste macchine, voi mi avete compreso, sono tutte le opere di Dio, opere che nella paterna sua Provvidenza egli non manca di suscitare nel suo grande campo che è la Chiesa, opere varie e sempre corrispondenti ai bisogni dei tempi.

Ed una fra queste, suscitata proprio in un’epoca in cui gli uomini dimenticano i veri valori, quali sono Dio, l’anima, l’Eternità, e, o non credono o vivono come non credessero, pensando che Dio o non esista o non abbia, come ha di fatto, parte attiva nel governo del mondo e degli uomini, quindi non calcolano che sui soldi, sui proventi, su ciò che hanno e possiedono; una fra queste, ricordiamolo bene, o cari, una di queste grandi macchine è la Congregazione dei Poveri Servi della divina Provvidenza, alla quale noi per un tratto speciale della bontà e misericordia del Signore abbiamo la fortuna e la grazia di appartenere. Anzi, il Signore l’ha a noi affidata da custodire, da far lavorare a gloria sua, a bene nostro e a bene di tante e tante anime. A noi dunque incombe l’obbligo, il dovere di esaminare di tanto in tanto più attentamente del solito questa speciale macchina, vedere se è pulita, se ha della polvere, se manca qualche pezzo, e metterla a posto, in perfetto ordine, in piena efficienza, in modo che possa continuare il Suo lavoro secondo il fine per il quale fu fatta.

Che se tutti i tempi sono utili a fare ciò, senza dubbio vi sono dei tempi particolarmente indicati ed opportuni. E quale tempo più propizio i quello in cui adesso ci troviamo, o cari? Siamo infatti ormai nel cuore della Santa Quaresima, e vi sono note le parole che al principio di essa la Chiesa, pia Madre comune, rivolge ai suoi figli. “Ecco ora – Ella dice – il tempo accettevole, ecco ora i giorni di salute”. Non perdiamo un tempo tanto prezioso, per piangere i nostri peccati e le nostre infedeltà e incorrispondenze, e conseguire così la divina Misericordia.

Se non che, o cari, la Quaresima di quest’anno ci prepara alla chiusa dell’anno Santo, indetto dal Sommo Pontefice per la Commemorazione XIX volte centenaria dei grandi misteri della umana Redenzione, compiuta mediante il dolorosissimo dramma della passione e morte del Figlio di Dio.

Ecco un nuovo titolo per un più forte ed efficace richiamo a riflettere sopra noi stessi e a santamente scuoterci e rimetterci al nostro posto, voglio dire all’altezza e grandezza della nostra specialissima vocazione.

Ma quasi ciò non bastasse, la divina Provvidenza moltiplica, sui nostri passi, gli stimoli, gl’inviti, i richiami a grandi riflessioni e a generosi propositi. Eccoci prossimi, amati fratelli, a due grandi avvenimenti, voglio dire alla Canonizzazione del B. Cottolengo e del B. Don Bosco. Avvenimenti grandi per la Chiesa e per il popolo cristiano, ma particolarmente importanti per la piccola Casa della divina Provvidenza del B. Cottolengo, e per la grande, immensa famiglia Salesiana. Ma anche per noi, o cari, poiché il B. Don Bosco occupa il posto di Consigliere nelle Cariche perpetue della nostra Casa, e il B. Cottolengo quella del Cassiere e Celeste Tesoriere. Oh come dobbiamo da una parte santamente godere e andare lieti di avere fra i nostri speciali Patroni, santi così a noi vicini e così grandi! Ma dall’altra dobbiamo sforzarci d’imitarli in quelle virtù in cui essi si sono specialmente distinti, e per le quali furono scelti a nostri speciali protettori.

Il B. Cottolengo ci dà esempio di una grande fede in Dio e di un pieno, filiale abbandono in Lui e alla sua Provvidenza. Il B. Don Bosco, il grande Padre dei giovani, ci è modello nel sistema di educazione della gioventù, fondato tutto sull’amore di Dio e delle anime, seguendo le orme e gli insegnamenti, gli esempi del divino Maestro che disse: “lasciate che i piccoli vengano a me e non vogliate loro impedirlo;… In verità vi dico: chiunque riceve uno di questi piccoli nel mio nome, riceve me stesso”.

Deh, o amati fratelli, quali altri motivi più forti si potrebbero desiderare per determinare ciascuno di noi ad esaminare attentamente se stesso onde vedere se per colpa sua questa macchina, questa grandissima Opera del Signore si è fermata, non lavora bene, non è in piena efficienza?

Poiché, se così fosse, sarebbe segno che vi è qualche ostacolo, qualche guasto, della polvere e che bisogna subito pulirla, metterla a posto perché possa continuare il suo lavoro di gloria di Dio e bene delle anime.

Deh, o cari fratelli, ricordiamoci che tutti della Casa, ma specialmente noi, dal fatto che abitiamo sotto i divini Padiglioni, abbiamo tutti la nostra parte di lavoro spirituale in quest’Opera, e guai a noi se non lo facciamo; poveri noi, specie al termine della nostra vita, quando ci dovremo presentare davanti al Signore, a rendere conto di quello che abbiamo fatto; ed oh che confusione, che dolore, se per somma disgrazia, essendo entrati in quest’Opera, ed avendo veduto le meraviglie di Dio, non abbiamo corrisposto, e ormai non c’è più tempo, solo si avvicina il “redde rationem” il grande rendiconto! Ah, finché siamo in tempo, con la divina grazia, facciamo tutti il nostro primo e grande lavoro in quest’Opera. E voi lo sapete, sappiamo tutti qual è, perché continuamente vi viene detto e ridetto; esso consiste nel mettere in pratica e vivere il “quaerite primum Regnum Dei”! E’ questo il nostro programma, quello che forma la base granitica di quest’Opera, che è condizione indispensabile di vita, di stabilità e di sviluppo di essa, sia pure attraverso le inevitabili prove che dovrà sostenere.

Cari fratelli, come siamo investiti continuamente dell’aria, e questa ci somministra e mantiene la vita, così noi dobbiamo continuamente avere in mente che siamo qui uniti e raccolti per cercare e praticare il Regno di Dio! Sì, miei cari, questo deve essere il nostro studio: cercare Dio nelle creature che ci ha affidate, cercare Dio e la sua gloria in tutte le nostre azioni e sofferenze, in tutti i nostri sacrifici. Lo faccio io questo? Lo fate voi? Ah esaminiamoci, ma sul serio, in questo momento! Forse invece abbiamo cercato la nostra soddisfazione, ci siamo dimenticati che tutti i nostri figlioli brillano della bellezza di Dio, ed invece forse abbiamo dato la preferenza a chi ci pareva meglio, a questi abbiamo lasciato passar difetti, che in altri non avremo lasciato passare; abbiamo usato delle particolarità, che Dio non voglia, abbiamo portato danno, oltre che alle nostre anime, anche a quelle degli altri, che certo non hanno avuto buon esempio, e Dio non voglia si siano anche formalizzate, scandalizzate. Fratelli cari, quanto so e posso vi raccomando la “nessuna accettazione di persone”; che se mai voleste averne sia per quella persona, per quel figliolo che meno vi va a genio, per il più bisognoso, e ricordiamoci che tutte sono anime, e che Dio vuole, oh degnazione! il nostro aiuto, il nostro concorso in questa divinissima fra la opere divine, la salvezza delle anime. Dunque nelle scuola, nel cortile, nell’officina, nelle camerate, da per tutto non abbiamo altro di mira che il vantaggio, il profitto, la perfezione di queste care anime, che sotto qualunque corteccia sono i grandi capolavori di Dio, e un giorno ce ne domanderà conto rigoroso.

Certo che vi saranno dei momenti di prova, di abbattimento, specie quando sembra di lavorare e di sacrificarsi tanto, e di raccogliere poco; cari fratelli, allora il nostro pensiero vada a quello che ha patito e sofferto Gesù; molte volte ci sembra di veder scarso frutto, ma ricordiamoci che noi non vediamo il lavoro segreto che fa il Signore e che Lui tiene conto e ricompensa “non secondo il frutto, ma secondo la fatica”. Da parte nostra lavoriamo, facciamo come tutto avesse da dipendere da noi, e poi lasciamo a Dio, che ha il suo tempo, i suoi giorni, la sue vie. Il nostro pensiero sia ai Santi, al B. Don Bosco in modo particolare, ma in generale a tutti coloro che si sono consumati nelle opere di Dio. Quanti patimenti, quanti dolori, quante contraddizioni, quante lotte! Hanno avuto dei momenti in cui pareva dovessero morirne, restare sopraffatti, ma perché amavano il Signore, non avevano altro di mira che la sua gloria, il bene delle anime, ecco che il Signore nel momento opportuno veniva loro incontro, li consolava, li aiutava, e faceva loro vedere i portenti suoi, i suoi miracoli, ricavati da quelle sofferenze, da quelle lotte stesse che parevano distruggere, annientare le opere sue.

Cari fratelli, è sempre e sarà sempre così; l’economia del Signore è verso di noi economia di amore, di grazia, di misericordia; non ci abbattano le prove, le lotte, i dolori. Cerchiamo Dio e non dubitiamo di niente. Come il sole sta illuminando sempre, sempre sparge i suoi benefici sulla terra, così Dio manterrà quest’Opera sua, questo sole, creato per la nostra Verona, per il mondo tutto, nonostante le nuvole e i temporali che lo potranno per qualche tempo nascondere, ma mai distruggere, mai far sì che non illumini. A patto però sempre che noi manteniamo a quest’Opera quella fisionomia tutta sua propria e particolare, come l’ha voluta e la vuole il Signore, Padrone assoluto.

Amati fratelli, che non sia scritto solo sul frontone della Casa il “Quaerite primum regnum Dei”, il “Non v’angustiate”, ma lo sia nella nostra mente, nel nostro cuore, nelle nostre operazioni; cerchiamo Dio abbandoniamoci a lui, ricordiamoci bene che in quel momento che la nostra fede vacilla, che innanzi a una difficoltà, a una prova, ad un bisogno, noi diffidiamo, e ci lasciamo condurre dalla prudenza umana, perdendo di vista il Signore, la sua gloria, le anime, allora la Provvidenza si ritira, lascia a noi, e noi che cosa potremo fare? Rovineremo, distruggeremo; Deh per carità che non avvenga tanta sventura! E non avverrà mai, scolpiamocelo bene nella mente, se noi saremo fedeli al grande divino programma di cercare il santo Regno di Dio, vivendo la vita di fede, osservando per amore le nostre sante Regole.

E a questo, o cari, sono legati gli altri grandi disegni che Dio compirà nel corso del tempo. E sono disegni di Dio, anzitutto il raccogliere quei buoni figlioli che Dio chiama per sé, al suo servizio, con la vocazione sacerdotale, e che non trovano aiuti perché poveri; oh che grande Opera è questa! Formare sacerdoti secondo il Cuore di Dio, che vivano “more Apostolorum, sine pera, sine sacculo; gratis accepistis, gratis date”! Lo sa questo e lo deduce anche Satana, che tenterà ogni via per rovinare questo disegno; deh, o cari, tutti quanti guardiamo di portare il nostro contributo di carità, di difesa, di aiuto. Ma l’Opera dei Sacerdoti non sarebbe completa senza l’Opera dei Fratelli. Ed ecco il secondo grande disegno, di formare Fratelli pieni di fuoco di amor di Dio, che si diffondano da per tutto, accendendo con il buon esempio, con la parola, lo spirito evangelico, educando le povere creature abbandonate, senza mezzi, senza aiuti, e formando così dei buoni cristiani, degli onesti lavoratori ed ottimi padri di famiglia.

Si parla tanto adesso di Azione Cattolica, il Papa la vuole, continuamente la inculca e la desidera perfino negli Istituti privati, tra ogni classe di persone, nelle stesse Case Religiose. Ora l’Azione Cattolica, come dice il Papa, è la partecipazione dei laici all’Apostolato gerarchico della Chiesa. Ossia la cooperazione dei laici coi sacerdoti per diffondere il santo Regno di Dio. Non vi sembra, o cari, di vedere in questo delineata la vostra stessa missione? La differenza sta tutta nella perfezione senza confronto maggiore che si richiede da voi che non dai semplici secolari. Ma appunto per questo quanta maggiore fecondità nel lavoro per le anime! Perché Dio, ricordatelo bene, coopera e feconda in proporzione della virtù e della santità. E se voi vivrete così, ossia nel sacrificio, nella gran fede, nel pieno abbandono nella Provvidenza, con la intera e totale obbedienza a chi, per quanto povero, regge e reggerà quest’Opera di Dio, voi sarete gli araldi dell’Azione Cattolica nel pieno e assoluto senso della parola.

Oh guardate, o cari fratelli, la grandezza e la nobiltà della vostra missione! Ma quale responsabilità incombe a tutti! vi raccomando, siate all’altezza della vostra missione, vigilate, custodite, sorvegliate queste anime, e solo da Dio attendete la grande e speciale ricompensa.

Sacerdoti e Fratelli, Fratelli e Sacerdoti siano un tutt’uno, cuore, mente e braccia, necessario complemento gli uni degli altri. Quindi mutua carità, stima reciproca, rispetto, aiuto scambievole. Oh ricordatevi, che sebbene di condizione diversa, siete tutti fratelli, figli tutti della stessa Madre, la Congregazione dei Poveri Servi. Non contristate questa vostra Madre, venendo meno a quella mutua carità che è indispensabile perché Dio sia in noi e noi in Dio.

Altro grande disegno di Dio sono le Missioni. Sì, o cari, Dio le vuole, ma le vuole legate sempre al grande programma: “Quaerite…” Se noi saremo fedeli, se ameremo Dio, verrà un giorno non lontano che da quest’Opera aurea si staccheranno dei massi, e andranno ad essere di fondamento all’Opera divina di portare il Santo Vangelo a tante e tante povere anime che mai hanno sentito parlare di Dio, di Gesù Cristo, della vita eterna.

Oh come è vasto il programma nostro, che deve “sanare tutto ciò che è malato, ritrovare ciò che è perduto, risuscitare tutto ciò che è morto”, nell’ordine soprannaturale. Davanti a tanto, cari, oh come dobbiamo umiliarci e nello stesso tempo ringraziare la bontà di Dio che noi e non altri ha scelto a suoi strumenti, dandoci come la caparra dei grandi premi che ci darà, terminata la nostra giornata.

E notate che queste ultime parole le ho prese così come stanno da una conferenza scritta già nel 1928. Ve lo dico perché tanto più vediate come il Signore non si attarda a compiere i gradi disegni che ha su questa grandissima Opera, a patto che noi corrispondiamo.

Fratelli, termino con la raccomandazione del Padre, del Fratello; guardiamo di non renderci mai indegni della grazia che il Signore ci ha fatto; viviamo dunque la vita della fede; domandiamola per intercessione del B. Cottolengo, la cui vita e le cui opere si possono dire un miracolo di fede, del quale fu detto che aveva più fede egli da solo che tutta Torino insieme. Anche lui conobbe le difficoltà, le prove, i bisogni: ma quanta fede, e quanta serenità in tutti gli incontri! se avremo fede come lui, faremo le opere che ha fatto lui!

Vi raccomando la santa umiltà: siamo umili in tutto; ricordiamoci che le nostre ire, le nostre discordie, le nostre mormorazioni, tutto ciò che mette il disordine, lo scompiglio, parte dalla superbia; l’umiltà, la docilità è necessaria a tutti, ma in modo specialissimo a noi, che, come sapete, dobbiamo essere senza testa, come cenci, come creta, disposti a tutto.

Con l’umiltà guardiamo che cammini di pari passo la carità; e io vi invito, e termino così, a meditare e a mettere in pratica le parole di S. Paolo sopra questa virtù: “Se io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli e non avessi la carità, non sarei che un bronzo risuonante o un cembalo squillante. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e se avessi tutta la fede sì da trasportare le montagne, e poi mancassi di carità, non sarei nulla. E se anche sbocconcellassi a favore dei poveri tutto quello che ho, e se dessi il mio corpo per essere arso e non avessi la carità, non ne avrei alcun giovamento. La carità è paziente, è benigna; La carità non ha invidia, non agisce invano, non si gonfia, non è ambiziosa, non è egoista, non si irrita, non pensa il male, non si compiace dell’ingiustizia, ma gode della verità; soffre ogni cosa, ogni cosa crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non viene mai meno”! (1 Cor 13).

Pregate tanto per me, per la mia povera anima così bisognosa della divina misericordia. Io sempre vi porto nella mente e nel cuore. Che tutti un giorno ci possiamo trovare in Paradiso, per i meriti di Gesù Benedetto che ha tanto patito ed è morto appunto per acquistarcelo, e che, per renderci più facile la via del cielo, ha voluto che copiosa e sovrabbondante fosse la nostra Redenzione.

* LETTERA IX 5 maggio 1934

Da leggere ai cari Sacerdoti e Fratelli della Ven. Famiglia Religiosa.

Carissimi nel Signore

La pace di Gesù benedetto sia sempre con voi. La divina Provvidenza che con cura tutta particolare regge quest’Opera che è sua, a Dio piacendo, alla fine di quest’anno manderà alcuni fratelli in India, sotto la responsabilità di S. E. Mons. Vismara Vescovo; andranno a lavorare fra la classe più misera, i paria; è un disegno che data da 12 anni e che adesso viene a nascere. Se qualche Fratello o Sacerdote si sentisse questa vocazione tutta particolare, esponga a me questo desiderio, lasciando poi alla Provvidenza l’andare o no.

Che opera divina è quella delle Missioni, specie fra i più poveri e abbandonati! Certo che i primi che andranno bisogna che siano disposti a tutto: si tratta di fondamento, con il nostro spirito.

A tutti poi i miei cari religiosi faccio viva esortazione di vedere se nelle loro stanze o negli oggetti di loro uso avessero qualche cosa che contrasta con la povertà. Per amor di Dio mi mandino questi oggetti; sarà una cosa che tanto piace a Gesù.

* LETTERA X S. Giovanni Battista 1934

Carissimi fratelli in Gesù Cristo

La pace e la grazia di Gesù Benedetto sia sempre con noi e con tutte le anime che la divina Provvidenza attraverso il vostro apostolato e ministero sacerdotale vi fa avvicinare.

Ogni qualvolta il Signore mi ispira di scrivere a voi, miei cari ed amati fratelli, sento nel mio cuore di padre e custode di questa grandissima Opera, nata nel Sacro Costato di Gesù Crocefisso, un certo fremito, una certa cosa che a parole non so descrivere ma che certo a voi il Signore farà capire e sentire, perché Egli non suole mai cominciare senza poi perfezionare, ultimare.

Certo che sempre, ma specialmente in questo momento, faccio al Signore questa preghiera: “Signore, che questa tua parola, la quale passa attraverso questo tuo povero e meschino Casante, non resti inascoltata”.

Sarebbe questa, o cari, la più grande delle disgrazie, e guai per chi non ascolta e per l’Opera di Dio che viene così a mancare di quei mezzi e sussidi ordinari dell’economia delle opere del Signore, perché vivano, perché crescano, perché si diffondano e compiano i divini disegni.

E la parola che in visceribus Christi vi dico e che vi prego di ascoltare e mettere in pratica è questa: “Finché la divina Provvidenza, per tratto speciale della sua divina misericordia mi tiene qui, in questa Sua Opera, ricordatevi che tutti avete il sacro dovere di ascoltarmi, e perché questo? Perché così vuole il Signore, Padrone assoluto di questa sua Opera: e a questa sta legata tutta la vita dell’Opera di Dio. Che grande, che terribile responsabilità per coloro che, quod Deus avertat (Dio non voglia), non danno peso e importanza alle parole, alle raccomandazioni, a quello che in nome di Dio per bene e sviluppo della Congregazione vi dice chi è messo dalla divina Provvidenza a sentinella e a guardia di essa. Ve l’ho detto ancora e ve lo ripeto: il Signore ha degli altri disegni su quest’Opera, e questi disegni li manifesta a me per quanto povero e meschino, e li compirà a patto che voi mi ascoltiate e mi seguiate in tutto e per tutto. Quale responsabilità per chi non ascoltasse la mia povera parola, che è tuttavia la parola di Dio! Per questo vi raccomando di ascoltare quanto lo Spirito Santo vi dice attraverso il canale di quest’Opera, il quale ha e avrà sempre lumi e grazie speciali per ben condurre al porto questa mistica nave e così compiere i divini disegni. Vi parlo con chiarezza e con fermezza per trovarmi tranquillo al punto della morte. Per non avermi a rimproverare come il profeta: “Guai a me che non ho parlato”.

E lasciate che ancora vi raccomandi un’altra cosa, tanto importante e necessaria in tutte le comunità religiose, ma che nella nostra è necessaria, vorrei dire, in modo tutto particolare, ed è, o cari, la virtù della carità. Amiamoci nel Signore, sappiamoci compatire, siamo generosi a sopportare e a dimenticare tante piccole cose che sovente minacciano di rompere questa bella virtù, che è la regina anzi di tutte le virtù. A questo proposito non posso fare a meno di citare un passo che ho letto nella vita di Don Columba Marmion, e che servirà a noi di stimolo, di incoraggiamento e di monito per conservare la fraterna carità.

“Senza volere, spesso senza sapere, noi ci urtiamo a vicenda: ciò è dovuto alla condizione medesima di noi povere creature umane… La storia dei Santi è piena di simili disaccordi, di questi malintesi, di siffatti dissensi che derivano dal temperamento, dal carattere, dalle tendenze dello spirito, dall’educazione, dall’ideale da ciascuno sognato… La sofferenza della vita in comunità è tanto più aspra quanto più lo spirito è raffinato e l’anima più delicata… La natura umana presenta talvolta tali debolezze, tali lacune, che anche le anime le quali cercano Dio sinceramente sono l’una all’altra avvinte per la carità di Cristo, costituiscono a vicenda delle vere cause di mortificazione… Ora sopportare ogni giorno tali noie, con pazienza, con carità, senza mai lagnarsi, costituisce una reale mortificazione…” ed aggiungeva: “Voi mi obietterete: ma il convento non è forse l’anticamera del Cielo? Certamente! ma dimorare a lungo in un luogo di attesa e restare fra la monotonia e la contrarietà, può diventare estremamente oneroso e richiedere una ingente dose di resistenza”.

Ed ora, amati fratelli, vengo a dirvi i nomi dei fortunati, dei privilegiati che la divina Provvidenza ha scelto fino dalla eternità ad essere i primi della nostra Congregazione, ad andare a portare la luce del Santo Vangelo, a portare il nostro divino programma “Quaerite” nelle terre degli infedeli. Che grazia fa loro il Signore! Beati e fortunati loro. Se è grande la ricompensa riservata a coloro che lasciano tutte le cose per consacrarsi al servizio di Dio, nella vita Religiosa, quanto maggiore è la ricompensa riservata al missionario! Molti veramente mi hanno fatto domanda di andare in Missione, e questo fu ed è per me motivo di grande consolazione!

Non tutti certo possono essere accontentati, ma anche quelli che restano, dinanzi al Signore hanno già ricevuto la stessa ricompensa. Ho detto ancora e lo ripeto, che i primi devono essere disposti a tutto, e non so cosa riservi loro la Provvidenza. Ma essi non devono temere, perché è Dio che li manda, come ne è prova la benedizione, fin dall’inizio chiesta ed ottenuta, di S. E. Mons. nostro Vescovo e della Santa Sede, dalla quale anzi proprio di questi giorni mi è pervenuta una bellissima lettera che alcuni già conoscono e agli altri verrà presto comunicata. Ed allora, o cari, non è forse il caso di ripetere: si Deus pro nobis, quis contra nos?

Essi dunque sono: I – Fr.llo Edoardo Farina; II – Nov. Aldo Farina; III – Nov. Guido Tovazzi; IV1 – Aggreg. Francesco Cornale.

Adesso non ci resta, o cari ed amati fratelli, se non ringraziare tanto e poi tanto il Signore, che attraverso dolori e croci compie i suoi grandi disegni, e guardiamo di portare tutti il nostro contributo di entusiasmo, di preghiere, di mortificazioni e di sacrifici per la grande opera delle Missioni. Certo il diavolo freme, non so cosa farà, ma nulla potrà fare se voi starete uniti a questo povero Casante e lo ascolterete; vittoriosi allora in tutte le lotte, superiori a tutte le prove, forti in tutte le difficoltà compiremo grandi cose per la gloria di Dio e a bene delle anime. Questo ci conceda Iddio per intercessione della Vergine Immacolata, Patrona della nostra Congregazione, per intercessione dei Santi Protettori, per intercessione in fine del grande precursore Giovanni Battista di cui celebriamo prossimamente la festa.

* LETTERA XI 24 agosto 1934

Miei Carissimi

La grazia e la pace di Gesù Benedetto sia sempre con tutti voi. Questo saluto, che tante volte vi ho fatto, ve lo ripeto con sempre nuovo fervore, perché non desidero altro che vedervi lieti e contenti nel servizio di Dio; e sarete tali se conserverete in voi quella grazia che è frutto del Sangue preziosissimo di Gesù Redentore e quella pace che solo Iddio può dare, perché non è cosa di terra ma di cielo. Siamo prossimi ai Santi Esercizi spirituali, che quest’anno devono rivestire un’importanza più speciale, essendo l’Anno Santo Giubileo della nostra Redenzione; e io mi sento spinto, o miei cari, a rivolgervi la mia povera parola per esortarvi ad approfittare meglio che potete di questa grazia del Signore e per manifestarvi qualche mio ardente desiderio, che non è rivolto ad altro che a vedervi progredire nella santità propria della vostra vocazione, e a cooperare per il maggior sviluppo di quest’Opera alla quale per grazia di Dio apparteniamo.

Tante volte vel’ho detto e ripetuto: questa è un’Opera speciale, voluta da Dio nei nostri tempi, destinata a fare un gran bene al mondo, a condizione che noi corrispondiamo fedelmente ai disegni di Dio che sono grandi.

Noi non siamo che agli inizi; è un grande onore per noi, ma anche una grande responsabilità. Ho in mente le parole che mi diceva l’ Ecc. nostro Vescovo: guai se l’Opera dovesse declinare, venir meno, offuscarsi nel principio! Sarebbe la più grande sventura, anzi non vivrebbe, ma morirebbe.

Ed è proprio così. Il Vescovo mi ha detto quello che mi sento anch’io.

Miei cari e amati fratelli, volete un mezzo sicuro, infallibile per tener lontano un simile pericolo? Ve lo indico, con l’animo pieno di confusione per la mia miseria e indegnità, ma anche nello stesso tempo con la più grande sicurezza di non sbagliare: il mezzo è questo, di ascoltare questo povero prete, di seguirlo in tutto e per tutto, nel cercare di attuare ogni direttiva e anche ogni desiderio che io vi manifesto. Tenetelo bene a mente, oggi come oggi è questo il piano della divina Provvidenza; fin che ci sono dovete ascoltarmi, stare attenti ad ogni cosa che io vi dico, per riguardo all’Opera, e conservare nel vostro cuore, come divina semente, la mia povera parola, che non è mia, ma del Signore; e dovrà servire anche in seguito, quando io non ci sarò più. Ecco il mezzo sicuro per mantenerci all’altezza della vocazione e contribuire al sempre maggior sviluppo di quest’Opera. Fin tanto che ci sono, è questa la volontà del Signore; quando il Signore mi mettesse in disparte, allora sarà un altro l’interprete della Provvidenza.

Miei cari, quest’Opera è come una statua; vi dico questo pensiero, che mi è venuto dopo la S. Messa. Ma la statua non è completa, anzi è appena abbozzata. Finché una statua non è finita, lo scultore continua a lavorarvi attorno, a togliere, aggiungere, scalfire, levigare. Quando poi la vede finita, e la riconosce conforme al modello che ne ha concepito, allora la statua esce dal suo studio, e va ad adornare un palazzo, un giardino, una basilica. Ora il divino Scultore ha in lavoro questa statua, l’Opera e la Congregazione dei Poveri Servi; una statua destinata a diventare un capolavoro, degno dell’ammirazione universale. Io non ne sono che un povero Custode e Casante, scelto da Dio tra i più inadatti a grandi cose, perché maggiormente si manifesti che è Lui, Iddio, che fa tutto qui dentro, e noi non facciamo nulla, altro che guastare. A lui solo dunque ne verrà la gloria, quando questa statua sarà terminata e farà bella mostra di sé.

Anticamente, voi lo sapete dalla storia, c’erano delle città di rifugio; e coloro che vi entravano, godevano dei favori speciali dalla umana giustizia. In seguito questo privilegio si estese anche ai palazzi dei grandi signori, e alle statue di personaggi celebri. Mi pare proprio che sia il caso nostro: in questi tempi di grande confusione e di paganesimo, l’Opera è proprio un rifugio al quale accoreranno le anime per attingere i beni spirituali, e tante volte anche materiali. Dio l’ha pensata così da tutta l’eternità, ed ai nostri giorni l’ha fatta nascere per il bene delle anime.

O miei cari, ascoltate queste povere parole, che mi nascono spontanee ai piedi del Crocefisso. Sono molti e grandi disegni che Iddio vuol compiere mediante quest’Opera sua; quello che vediamo adesso è nulla a confronto di quello che sarà in avvenire. A patto però che tutti, un cuor solo e un’anima sola, abbiamo a collaborare nel modo che vi ho detto. Voi dovete ascoltarmi con docilità di figli, senza mai e poi mai fare opposizioni, e tanto meno permettervi di giudicare, di sindacare quello che dico o faccio; sarebbe un grave attentato all’Opera, perché, ve lo assicuro, tutto quello che vi suggerisco è sempre vagliato alla luce di Dio, con l’unica mira del bene di quest’Opera, e di far la divina volontà, quale passo passo viene manifestandosi.

Come tante volte vi ho detto, non mi fanno paura le lotte esterne che potessero insorgere contro l’Opera; temo solamente la disunione interna, la mancanza di carità, la divisione tra Padre e figli, tra fratelli e fratelli: questo sì io temo, perché sarebbe la rovina dell’Opera di Dio.

Ora nei S. Esercizi, meditate e riflettete a queste cose, e fate dei saldi propositi a questo riguardo; e avrete concorso al benessere della nostra Santa Congregazione. Tenetevi disposti a tutto, come cenci, come creta; pronti anche ad ogni sacrificio, generosamente, per assecondare i desideri di questo povero Casante; solamente così io mi sentirò tranquillo nel governo dell’Opera, che costa, voi lo sapete, tante pene e tanti dolori.

Nel silenzio e nel raccoglimento degli Esercizi guardate a quest’Opera, e la vedrete grande, provvidenziale, e apprezzerete la grazia grande di appartenervi. Guardatela, ve ne prego, al lume della fede e non con l’occhio umano; pensate e imprimetevi bene in mente che essa è un’Opera unica, un’Opera sola; un unico corpo operante, quantunque siano molteplici e vari gli scopi che essa si prefigge di raggiungere. Non divisioni, non confronti tra la varie parti di essa; un’unica Opera, un’unica Congregazione composta di Sacerdoti e Fratelli, che si completano a vicenda. Non due rami distinti ma un unico albero. Sacerdoti e Fratelli costituiscono, nella nostra Opera, un unico e solo organismo: è questa la prerogativa speciale, la caratteristica nostra.

Sacerdoti e Fratelli disposti a tutto, in teoria e in pratica, specialmente alla missione di educare le povere creature e a quelle altre mansioni che la Provvidenza ci affiderà in seguito. Se un Sacerdote o un Fratello non si sentisse questa disposizione, e dicesse per esempio che si sente attitudine ed inclinazione solamente a stare in laboratorio, o a far scuola, o altro, ritenga pure che non è fatto per la nostra Congregazione.

Ci sono tante altre Opere di buoni preti, o di buoni religiosi: ma non sono la nostra. Qui bisogna essere nella disposizione che ho detto, che ho sempre detto sin da principio della Casa: disposti a tutto, come cenci, tanto a coprire cariche onorevoli, come a disimpegnare uffici umili, se umili possono chiamarsi, mentre nella Casa del Signore tutto è grande; tanto ad esercitarsi nel ministero alto, per dir così, come al lavorare nel nascondimento e nel silenzio della casa religiosa: aver di mira unicamente le anime e non limitare la nostra azione e le nostre mire a dei determinati uffici, ma vedere invece in ogni posto, in ogni mansione il mezzo di fare un fecondo e pratico apostolato. In special modo poi dovete sentire un’attrattiva speciale per la gioventù povera ed abbandonata. Non dimentichiamoci mai, o cari fratelli, che l’Opera è nata, è vissuta, e vive tutt’ora proprio con questo scopo, con questa missione: dei poveri fanciulli abbandonati, bisognosi di chi nel nome di Dio faccia loro da padre e da madre, da fratello, da maestro, da tutto. Sarebbe un disconoscere la volontà di Dio agire altrimenti, ed io temerei di tradire il mio mandato se non vi dicessi chiaramente il mio pensiero, che non è mio, ma del Signore.

Che se per il passato voi mi sentiste parlare di cuore e di braccia dell’Opera, credetelo pure, non era per creare delle diversità, o per esaltare una parte sopra l’altra; era un linguaggio opportuno per il momento in cui parlavo, per far risaltare dei momentanei bisogni di pregare e di lavorare. Ora non è più il caso di parlare così: tutto è cuore, tutto è braccia nell’Opera, o meglio essa è un tutt’uno, dove ogni parte è di vitalissima importanza.

Questa è la volontà di Dio e voi dovete coadiuvarmi: con la preghiera, con la docilità, con la pronta collaborazione.

L’abbozzo va studiato, lavorato, per avviarsi gradatamente alla perfezione voluta. E’ così di ogni cosa umana, anche la più santa: da principio c’è l’essenza sì, ma non c’è tutto quel contorno che si matura in seguito. Così la nostra Opera: ha bisogno di lavoro, di ritocchi, di sviluppi sempre nuovi; ed io, con la grazia del Signore, son deciso di andare fino in fondo per dare a quest’Opera la fisionomia giusta, quale è voluta da Dio.

Confido però molto su voi, sulla vostra preghiera, sulla vostra osservanza delle Sante Regole, sulla vostra prontezza e docilità filiale alle direttive che in Domino vi suggerisco.

Pregate, pregate molto per le Missioni, che si iniziano all’indomani degli Esercizi. Oh la grande cosa che sono le Missioni! Il grande onore che ci fa Iddio a collaborare per la diffusione del suo Regno tra gli Infedeli! Tutti cerchiamo di cooperarvi, tanto chi parte, come chi resta. L’Opera delle Missioni è nata prodigiosamente; è proprio come il sassolino che si stacca dal monte, senza il concorso delle mani dell’uomo: ragione di più per collaborare, con la preghiera, con i sacrifici, col parlarne entusiasticamente.

Finisco, o miei cari, raccomandandovi la santa umiltà, base di ogni virtù, e la carità che tutti ci deve stringere in un sol vincolo fraterno, per il lavoro comune della nostra santificazione e dello sviluppo di quest’Opera del Signore.

Vi mando a parte un bel libretto su Don Bosco, che tanto bene ha fatto a me; son certo che gioverà molto anche a voi. Anzi desidero che ne leggiate un punto al giorno: sarà una goccia di bene, un granello di santità che si deposita nel nostro cuore.

Pregate tanto per me: che possa sempre corrispondere ai disegni di Dio, a costo di qualunque sacrificio. Che tutti possiamo trovarci uniti in Paradiso dopo di aver lavorato nell’unione fraterna qui in terra; ricordiamocelo sempre: dobbiamo, in ogni nostro lavoro e ministero, tener di mira la meta beata, il Santo Paradiso.

* LETTERA XII Natale 1934

Ai miei cari figli in Gesù Cristo Sacerdoti e Fratelli.

Carissimi

La pace e la grazia del Benedetto Gesù sia sempre con voi, miei cari Confratelli. sempre vi porto nella mente e nel cuore, pregando il divin Redentore che vi mantenga fedeli nel suo servizio in questa grande Casa, per la maggior gloria sua e per il bene delle anime: così che tutti un giorno ci possiamo trovare uniti nella Patria beata, il Santo Paradiso, a godere insieme quel Dio che abbiamo insieme servito in questa vita.

Cari Confratelli, siamo prossimi a giorni santi, a giorni di grande letizia, perché son giorni in cui ricordiamo il sublime atto di amore di quel Dio, che per salvarci, per darci la pace e la grazia, si fece uomo ed abitò fra noi, patì e morì per noi. Se questi son giorni santi, giorni di pace per tutti, lo debbono essere in modo speciale per noi; la Congregazione della quale siamo membri, può paragonarsi all’Arca Santa entro la quale il Signore salvò dal diluvio i suoi prediletti, per ripopolare poi il mondo. Noi siamo i prediletti del Signore; egli vuole servirsi di noi per divulgare lo spirito del S. Vangelo nel mondo corrotto che va continuamente verso la rovina spirituale.

Fratelli amatissimi, è questo il fine primario della nostra Congregazione: far di tutto perché le anime ritornino a Dio, perché il mondo si risani, perché il sole della verità e del Vangelo splenda alla mente e al cuore di tutti. La nostra Congregazione, come tante volte vi ho detto, ha un’impronta, una fisionomia tutta speciale. Nella terra benedetta di questo giardino, Gesù, Padrone assoluto, ha depositato tante sementi di opere grandi; sta a noi farle nascere e crescere, a gloria di Dio e a bene delle anime. Ma per far questo, o miei cari, tenete bene a mente che, come speciale è l’Opera, speciale deve essere la nostra vita: una grande fede, un totale abbandono in Dio, una profonda umiltà, una figliale docilità a colui che è messo dal Signore a guida di quest’Opera, e che, fino a prova contraria, è il depositario e l’interprete dei divini voleri, colui che voi dovete ascoltare. Queste virtù sono le gemme preziose che devono arricchire le nostre anime.

Amati Confratelli, entriamo in noi stessi, e vediamo se, a parole e a fatti, noi abbiamo queste virtù. L’esserne privi porterebbe lo sfacelo dell’Opera: che grande responsabilità sarebbe la nostra!

Cari Confratelli, qui dovrei dirvi una cosa, ma già voi la sapete: il profondo dolore che porterò in me fino alla morte, perché mi ha colpito nel più vivo dell’anima. Tuttavia con l’aiuto della divina Provvidenza anche questo servirà a compiere i divini disegni; perché il Signore non per nulla permette il male, ma sempre ne ricava un bene proporzionato. E’ questa l’economia del Signore nelle sue opere grandi: permette le grandi prove per i suoi altissimi fini…..

Preghiamo perché passi presto l’ora della prova, che torni presto il sereno, e possiamo riprendere con alacrità il nostro lavoro, nella fraternità più schietta e fattiva, a vantaggio delle anime affidateci: le più umili, le più dimenticate e trascurate. Io intanto soffro e prego insieme con voi, aspettando un segno dalla Provvidenza di Dio che mi assicuri di non essere io l’ostacolo al compimento dei divini disegni e che mi vuole ancora nell’Opera…

Ascoltate sempre questo povero prete che vi parla; io non sono che un semplice capo operaio in questa mistica officina di Dio. Grandi capolavori devono uscire di qui, a patto che tutti concordi e unanimi ci affatichiamo seguendo le direttive di chi è incaricato di dirigere.

Vi auguro con tutto il cuore il buon Natale: che Gesù Bambino vi riempia tutti dei suoi celesti doni di grazia e di salute, per il nuovo anno 1935 e per molti anni.

* LETTERA XIII 19 marzo 1935

Caro Don Stanislao e Confratelli

La pace del nostro buon Dio sia sempre con voi, miei amati Confratelli, dal Signore così prediletti, da avervi chiamati vicini a lui, nella grande Opera fra le più grandi, che è quella di aiutarlo nel salvare le anime.

Vorrei esservi vicino e ricordarvi spesso la vostra grandezza, i tesori divini che Gesù benedetto ha dato e vi dà continuamente e per voi, per la vostra santificazione, e per le anime che la divina Provvidenza vi ha affidato. Anime, Dio mio, che grande parola è questa, specie per noi Sacerdoti, ministri di un Dio fatto uomo e che per salvare le anime ha dato la sua vita, in mezzo ai tormenti e la morte più obbrobriosa, e continuamente si immola sui nostri altari per le anime. Guai a noi, specie noi, proprio noi, se non abbiamo nella mente e nel cuore questo pensiero, questo amore per le anime, specie per quelle più povere, più abbandonate, più reiette, i peccatori che fanno oggetto speciale dell’amore del Signore; oh, miei carissimi vi raccomando le anime, la salute delle anime. Reggere un’anima è reggere un mondo, diceva un santo, e S. Carlo diceva che una sola anima è una Diocesi abbastanza vasta per un vescovo.

Dio mio quante anime, che sono fuori, sono lontane dal Signore, povere di tutto, perché non ricevono le ricchezze divine di noi sacerdoti! Che grande responsabilità! “Sanguinem eorum de manu tua requiram!” Come mi fa tremare questa sentenza scritturale! Che S. Giuseppe, che oggi la Chiesa festeggia, ci sia di aiuto per capire il valore delle anime, la scienza delle anime, che è scienza di preghiera, di umiltà, di amore a Gesù Cristo, e unione a Lui, perché “sine me nihil potestis facere”. Solamente così si può rendere fecondo e fruttuoso il santo nostro ministero e salvare tante anime assieme alle nostre.

Cari Confratelli, in ginocchio, vi scongiuro di zelare la gloria di Dio e il bene delle anime, indifferenti a luoghi, a mansioni, come Gesù Eucaristico, che non guarda diversità di luoghi, si dona a tutti, pur di giovare e sanare e salvare le anime.

Oh quanto c’è bisogno di Sacerdoti che siano strumenti, tutti per Iddio e per le anime, per la Chiesa, in continuo zelo, in un continuo sacrificio! Che beatitudine gode anche qui in terra il Sacerdote fedele di Gesù che non ha altra mira, altro pensiero che la sua santificazione e quella delle anime!

Io ormai sono vecchio e purtroppo comincio adesso a capire quello che io vi ho scritto.

Pregate la misericordia di Dio per me, e voi, che avete tempo, approfittatene per la gloria di Dio e il bene delle anime vostre.

* LETTERA XIV 8 dicembre 1936

Mio caro Don Stanislao

La grazia, la pace di Gesù benedetto sino sempre con te, con tutti i cari nostri Confratelli della Comunità Romana e con tutte le anime che il buon Dio vi fa avvicinare per mezzo del vostro santo ministero.

E’ da giorni che sento vivo e forte il bisogno di scriverti per dirti che sempre tutti e ciascheduno vi porto nella mente e nel cuore, che sempre prego il divino ed amato nostro Redentore perché sempre più vi riempia, ci riempia tutti del suo divino spirito, prima a bene e a santificazione delle nostre anime religiose e poi per compiere tutto quello che Gesù vuole a maggior gloria del divin Padre e a salute delle anime.

Caro Don Stanislao, è proprio questa l’ora di sorgere dal nostro sonno, credimi, che è un’ora terribile, ora di Satana, ma in modo tutto speciale, è inutile illuderci, per amore di Dio prepariamoci noi saldati e ministri di Cristo per resistere all’urto, e con la divina grazia vincere usando quelle armi che ci ha messo in mano il divin Capitano e che gli Apostoli e i Santi tutti hanno usato per vincere nel corso dei secoli. Caro Don Stanislao, sempre, ma specialmente ora c’è bisogno di preti e di religiosi santi che siano Vangeli viventi, che la Comunità sia una continua predica.

Oh sì, non basta predicare, parlare, agire, tutte belle e buone cose, ma è prima di tutto necessario praticare quello che Gesù e gli Apostoli hanno predicato: “Sacerdos alter Christus”. Gesù vive una vita povera e umile, le sue delizie sono stare con i poveri da Lui preferiti, ama e va in cerca dei peccatori, disprezza le cose terrene. Ci dice che non siamo fatti per la terra, ma per il Cielo, che quaggiù siamo fratelli, figli suoi, che dobbiamo cercare solo il santo Regno di Dio, che noi siamo mandati da Cristo, e come Cristo fu mandato dal Padre per salvare il mondo e il mondo l’ha salvato con la sofferenza, con i patimenti e con la morte di croce, così è di noi, mio caro Don Stanislao, le anime si salvano non con le comodità, non con la prudenza umana, ma con la croce, con il sacrificio, in una parola con la santità. Ricordati, ricordalo anche ai Confratelli che nei disegni di Dio siete venuti a Roma e siete passati per la porta della parrocchia, ma fu sempre porta; guardate che il Signore, specie in quest’ora, vuole compiere delle grandi cose e le compirà se noi con la divina grazia saremo, vivremo come sono vissuti gli Apostoli.

E’ necessario dunque che ci santifichiamo noi per santificare le anime; ed ecco la grande importanza della vita interiore, uniti in tutto a Lui, tralci a vite, conche per essere poi canali.

Quando andiamo alle anime, guardiamo prima di essere uniti al Signore.

Dunque, caro Don Stanislao, quanto so e posso vi raccomando la vita interiore, la santa meditazione perché è là che si accende il fuoco dell’amore di Dio e delle anime. Uno che non medita è sull’orlo dell’abisso. Con la meditazione guarda che si dia importanza alla visita quotidiana a Gesù Sacramentato. Ove è il nostro tesoro, là vi sarà pure il nostro cuore, sta scritto, e il nostro tesoro, caro Don Stanislao, deve essere Gesù Sacramentato. Non dall’ambiente, non dalle protezioni umane, non dalla stima degli uomini ci verrà l’aiuto e la forza per noi, per il santo nostro ministero, ma da Gesù Sacramentato. Nei dubbi, nelle incertezze, nei grandi bisogni per le anime nostre e per il sacro ministero, andiamo al S. Tabernacolo, pensiamo che là vi è realmente, veramente, sostanzialmente il nostro Dio. Anche il divino Ufficio guarda che abbia il primo posto, mai ridursi a sera, ma alla sera sia terminato e sia anticipato quello del giorno seguente.

Qui bisogna stare attenti che le occupazioni non soffochino questo fuoco divino. Se vi è gente che aspetta, terminiamo il nostro Ufficio, diciamo alla gente questo, e questo riuscirà di edificazione. Tutto nel nostro santo ministero dipende dall’Ufficio ben detto e dalla S. Messa ben celebrata. Anzi a questo proposito della S. Messa mi han fatto tanta impressione le parole di S. Giovanni Eudes: “per offrire la S. Messa ci vorrebbero tre eternità, una per prepararsi, una per celebrare, ed una per ringraziare”. Quante cose ancora vi vorrei dire, come richiamare alla vostra mente altri ordini che vi ho dato in altre circolari e qui brevemente riassunto.

E’ assolutamente proibito di fumare; per conto mio questo è della massima importanza per noi; se uno si sente di fumare, se ne vada.

Nessuno vada a pranzi di feste, sia pure religiose, come battesimi, matrimoni ecc. Con un cortese diniego riuscirà ad edificazione. Nessuno usi la macchina fotografica senza il mio permesso, nessuno si faccia fotografare da solo senza il permesso. Credete, sa di vanagloria, e nemmeno siate facili da farvi fotografare in gruppi, sia pure di associazioni buone e sante e mai, assolutamente mai in gruppi femminili. La bicicletta si usi solo per il ministero, mai per diporto e sempre con il permesso, credete che il Signore terrà conto dei disagi che dovrete incontrare per il santo ministero e li benedirà.

Raccomando che la vostra persona sia pulita, ma non ricercata, via i ciuffi e certe attillatezze che sanno di mondanità, e che anzi di edificare distruggono. Attenti al gioco delle carte; questo non sia mai da voi, lo potete permettere, ma voi no, vigilate. Caro Don Stanislao, e qui finisco, vi seguo con il mio saluto e con la S. Benedizione, per te, Caro Don Stanislao, per le tue anime, per le anime affidate ai nostri cari Confratelli. Don Rosa, prescelto, che sento che Gesù lo aiuterà nel suo difficile campo, Don Isaìa al quale raccomando tanto quella piccola semente, spero che faranno bene tutti, desidero sapere qualche cosa. Una benedizione a Don Pomini, Don Toaiari, Don dalla Riva. Don Pomini continua la tua vita di lavoro nella santa umiltà. Don Toaiari, sii sempre unito a Gesù, e tu Don Dalla Riva, guarda sempre di imitare il primo e divino missionario Gesù.

* LETTERA XV 4 dicembre 1937

Carissimi confratelli, fratelli

E’ morto il nostro carissimo Fr. Francesco Perez.

Questa mattina, all’indomani del primo Venerdì del mese e della festa di S. Francesco Saverio, alle prime ore del I sabato del mese, consacrato in modo speciale alla Madonna, di cui era devotissimo, alle ore 4,30 l’anima sua bella ha spiccato diritto il volo verso il cielo; abbiamo tanti motivi per credere che sia arrivata al premio senza ritardo alcuno. Egli ci ha edificato sempre e del profumo di sue virtù resterà per molto tempo imbalsamata la nostra Casa. E’ una voce comune: è morto un santo! più d’uno nel ricevere tale notizia si è espresso dicendo: non sappiamo se fare più le condoglianze o i rallegramenti. E’ certo che il caro Fr. Francesco era una colonna per la Casa: un titolo di rendita molto elevata: il conforto nostro è questo, che se vivente con noi era una calamita di grazie, giunto lassù ne sarà una fitta pioggia.

Edificanti gli ultimi momenti. Poco prima della mezzanotte, chiese che ora fosse. Alla mezzanotte in punto recitò a voce chiara l’Angelus Domini; più tardi recitò con fervore per intero l’inno Ave Maris Stella. Il Fratello che lo assisteva, vedendolo aggravarsi, gli chiese se desiderava gli fosse chiamato il Sacerdote. “Ma se è qui Don Giovanni!” disse. E rivolto ad un lato, come conferisse realmente con don Giovanni, lo ringraziava di quanto aveva fatto per lui. “M’accompagni sa! e mi assista fino alla fine” gli disse. E fece il Segno della Croce come quando riceveva la benedizione del Padre.

Si sentì oppresso maggiormente verso le ore tre della notte. “Basta, non ne posso più!” ripeté più volte. Poi si rimise tranquillo. Recitò intera la giaculatoria “Gesù, Giuseppe, Maria”. Poi soggiunse: ” Sento che il Signore mi chiama”. E cominciò a pregare per Don Giovanni, per la pace del mondo, per il Vescovo, per i suoi cari, per i fratelli, per le Case, per tutti. Accanto al nome di ciascuno aggiungeva un’intenzione non bene appresa.

Ad un certo momento guardando in alto, “Ah! non sono per me, disse, non sono per me quelle rose! io non sono altro che un povero miserabile!”.

Poco prima di spirare disse con tono grave:” memento homo quia pulvis es et in pulverem reverteris”. E soggiunse: “in manus tuas, Domine, commendo spiritum meum!”. Entrò in agonia, che fu brevissima, e senza dare quasi segno si addormentò nel Signore. Il Sacerdote li presente, vedendolo immoto, si accorse che era spirato e recitò le prime preghiere dei defunti.

O cari fratelli, che morte invidiabile! Ma dobbiamo dire che essa fu proprio l’eco della sua vita! Ci ottenga dal Signore per l’intercessione di Maria, che viviamo come lui per meritarci di morire come lui.

* LETTERA XVI Verona, 26 aprile 1938

Carissimi figlioli

Sono lieto di presentarvi la bella lettera che il nostro Reverendissimo Visitatore Apostolico ci ha indirizzato nelle feste di Pasqua, in risposta ai nostri auguri.

Quanto so e posso, vi raccomando in caritate Christi di leggere attentamente le paterne esortazioni e di metterle in pratica.

In questi tempi, nei quali da ogni parte si sente l’invito ad unirsi e fortificarsi per resistere ai pericoli, noi Religiosi più di tutti dobbiamo sentire il bisogno di unirci sempre più strettamente nella carità di Cristo, nella concordia fraterna, e fortificarci nelle virtù proprie della nostra santa vocazione; solamente così potremo resistere agli assalti del nemico tentatore, e compiere i divini disegni per la gloria di Dio e per il bene delle anime.

Vi benedico nel Signore, raccomandandomi tanto e poi tanto alla carità delle vostre preghiere, affinché possa salvare l’anima mia.

* LETTERA XVII Subiaco, 24 aprile 1938

Carissimi nel Signore

Nella pace e nella grazia dello Spirito Santo.

Gli auguri che mi vengono da S. Zeno mi sono particolarmente cari e le buone parole così piene dello spirito del Signore mi scendono nell’anima.

Vi ringrazio di tutto cuore e vi ricambio come meglio posso i vostri auguri, assicurandovi che sempre, ma in modo tutto particolare siamo stati in comunione di anima e di preghiera nei giorni sacri, nei quali la Chiesa ha commemorato e rinnovato i misteri della nostra fede.

In queste circostanze dobbiamo confermare i nostri propositi di vivere secondo lo spirito della nostra santa vacazione. Vediamo i discepoli del Signore, poveri, sgomenti, fuggitivi, diventare poi strumenti della redenzione. Ma per arrivare a questo, devono spogliarsi della loro umanità e abbandonarsi al lavoro della grazia. Allora e solamente allora, i poveri pescatori diventano apostoli veri e organi per la santificazione per le anime.

Così i Poveri Servi della Divina Provvidenza. Devono morire a se stessi, alla propria volontà, al proprio modo di sentire e di vedere, ed essere abbandonati nelle mani dell’obbedienza che rappresenta la volontà del Padre celeste: devono morire a somiglianza di nostro Signore Gesù Cristo, secondo le esigenze della propria vocazione.

E quale vocazione è la nostra, carissimi Confratelli! Mentre tutto il mondo si sconvolge per andare dietro alle cose della terra, noi dobbiamo aspirare solo al cielo, alla santità: noi abbiamo la missione di far vedere a tutti gli uomini che lo spirito del Signore si mantiene nell’umiltà e nella povertà e nell’abbandono incondizionato alla divina Provvidenza.

Il Signore benedice tanto abbondantemente la nostra cara Congregazione. Tutti quanti dobbiamo comprendere la responsabilità che abbiamo: portarsi bene da veri servi della Provvidenza, alimentando la carità e l’unione fra tutti, praticando la più assoluta sottomissione ai Superiori.

Diversamente, ognuno di noi mette un ostacolo alle benedizioni di Dio e può essere la causa perché certe opere non abbiano il loro sviluppo.

Tutti dunque concordi, tutti uniti nella carità e nell’obbedienza: questo è il modo sicuro e infallibile per avere il Signore con noi. Ubi caritas et amor, Deus ibi est.

Vi domando la carità di raccomandare la mia povera anima al Signore, perché egli abbia misericordia di me.

Vi benedico e vi abbraccio nel Signore.

In Cristo

Don Emanuele Caronti O.S.B.

* LETTERA XVIII Aprile 1938

Fratelli carissimi

La pace e la grazia di Gesù Benedetto sia sempre con voi.

L’altro giorno fui a Costozza e mi sono sentito di dire a quei fratelli un pensiero che mi pare sia venuto proprio dallo Spirito Santo. Per questo ho pregato di farlo trascrivere anche per voi.

Vi prego di farne tesoro, e sia oggetto di attenta considerazione e di serio esame. Il Signore passa vicino a noi molte volte e passa ora per mezzo di questa mia povera parola. A noi di non lascarla passare invano.

Vi benedico.

Caro Don Bettini e Ven. Comunità

La pace e la grazia di Gesù Benedetto sia sempre con tutta la cara Comunità di Costozza, che in questo momento sento più vivo il desiderio che sia un centro di amore per Dio e per le anime, compiendo così i disegni del buon Dio. Cari fratelli, quello che vi ho detto sempre ve lo ripeto ancora adesso e prima che per voi lo ripeto a me. Sì, mi sembra che il Signore ci dia l’ultimatum per vederci una buona volta a metterci sul serio a vivere come esige la nostra santa vocazione, cioè abbandonati con cuore grande alla divina Provvidenza in tutto, non aver nessun pensiero, solo che quello della gloria di Dio a bene e salute del prossimo, convinti, certi che il temporale ci sarà dato per giunta, come ci assicura il divin Redentore nel Santo Vangelo.

Cari fratelli, per amor di Dio, mettiamoci tutti all’impegno. Santifichiamoci per santificare, e ci santificheremo con la piena osservanza delle nostre sante Regole, che in ginocchio vi raccomando.

L’ora attuale è ora di terribile burrasca, la nostra Opera è l’Arca di Dio, dove tante e tante anime troveranno la salute e la vita. Che responsabilità per chi, chiamato a lavorare e servire in Signore in quest’Opera, non corrisponde! Che il Signore, per intercessione della Madonna, ci conceda a tutti la grazia di corrispondere davvero. Noi beati!

Vi benedico tutti, pregate per me.

* LETTERA XIX 4 settembre 1938

E’ questa la prima volta che non faccio gli Esercizi con voi, cari ed amati miei fratelli! Dobbiamo sempre ringraziare e benedire il Signore, anche quando la nostra povera e piccola mente non sa rendersi ragione delle disposizioni divine: “le mie vie non sono le vostre vie, dice il Signore!” Quest’anno il Signore ha domandato a me poveretto un nuovo sacrificio ed io ben volentieri con la divina Grazia lo accetto, prima per la mia povera anima, e poi per voi, per la vostra santificazione, amati fratelli.

Perché, ricordatelo bene, personale santificazione, virtù, amor di Dio, gloria Sua e bene delle anime, che sono la vita e il patrimonio dell’Opera stessa, non si possono disgiungere; o noi ci riformiamo, ci santifichiamo, viviamo la vita del vero Religioso, e l’Opera dei Poveri Servi, senz’altro appoggio umano, diventerà gigante e correrà quella via che la divina Provvidenza le ha assegnato, diversamente concorreremo a distruggere l’Opera.

Mio Dio! Quale responsabilità per tutti e per ciascuno di noi se non viviamo come vuole il Signore! non andiamo a mendicare ragioni, pretesti od altro per giustificarci se il nostro ministero od apostolato è infruttuoso: tali ragioni e pretesti non sono altro che il pietoso orpello del nostro amor proprio. La colpa è tutta e solo nostra.

Prego e soffro perché questi santi Esercizi ci ritornino al primiero fervore, al primitivo e genuino spirito che è vita dell’Opera. Ricordatelo bene, ricordiamolo bene tutti, i nostri pensieri convergano ad un solo punto, alla nostra personale santificazione; è sempre il medesimo ritornello, ma devo ripeterlo, per non esser responsabile di aver taciuto.

Sì, o cari ed amati fratelli, la nostra maggior preoccupazione sia di studiare e scoprire le grandi ricchezze che nell’ordine soprannaturale Dio ha poste e messe a nostra disposizione, tesori e ricchezze tutte opposte a quelle del mondo, che, con tutta la loro grandezza, con il tempo si consumano e si riducono ad un pugno di polvere. E sapete quali sono le nostre ricchezze? Convinti della nostra miseria, del nostro niente, che non siamo altro che un’impasto di malizia e di peccato, la sola bontà e misericordia del Signore ci ha innestati nella sua grazia e ci ha messi nell’Opera dei Poveri Servi.

Servi! Fratelli servi! servi! Non dunque padroni, non dunque confidare nei propri lumi, far valere le proprie vedute, forse a danno delle Regole. Questo non è servire ma comandare: ve lo ripeto, cari fratelli, servi! Siamo servi. Che un giorno non dobbiamo rendere conto e non ci venga rinfacciato, questo nome, per non essere vissuti come servi! Studiare N. S. Gesù Cristo, osservare le sante Regole, praticare le virtù, specialmente l’umiltà, la purezza, ecco le nostre ricchezze e le nostre armi.

Ricordatelo! Nessuna forza potrà distruggere l’Opera: io non ho mai avuto paura delle lotte che vengono dal di fuori; queste servono a darle il sigillo delle opere di Dio e la fortificheranno sempre più; ma quello che può distruggere l’Opera e quello di cui temo, è la nostra poca virtù, l’accidia, la tiepidezza spirituale. Che responsabilità!

Ricordate ancora: lontani dalle protezioni umane: siamo grandi se saremo piccoli. Dio solo; facciamo tutto per piacere a Lui, non per accattare o mendicare una lode umana e terrena; il bene che facciamo teniamolo nascosto, nessuno lo sappia. Non diciamo: io ho fatto questo, io ho fatto quello. “Io ho visto Satana, disse Gesù, cadere dal cielo”; per carità, che l’amor proprio, la superbia non ci rubino i meriti che ci possiamo acquistare nel nostro sacro ministero e apostolato.

Vi porto tutti nel cuore e nella mente, specialmente voi, miei cari figlioli di Roma, Don Rosa, Don Isaia, Don dalla Riva, Don Gerardo, e voi tutti, carissimi fratelli, che vorrei nominare uno ad uno.

A Roma ho visto tante cose, di bene e di male, siate fari luminosi e risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini, affinché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che sta nei cieli!

Pregate per me, che non sia come quei riflettori i quali illuminano gli altri e restano essi nelle tenebre.

Questa lettera l’ho scritta dal mio letto, perché mi sembra che il Signore l’abbia voluto. Vi benedico, vi auguro che i presenti Esercizi siano veramente fruttuosi, per voi e per l’Opera, e che un giorno ci abbiamo a ritrovare tutti nel santo Paradiso.

Vi benedico con il cuore.

* LETTERA XX 7 agosto 1939

Carissimi

La grazia del Signore sia sempre con tutti noi, e ci aiuti a diventare sempre più e sempre meglio degni Servi, per quanto poveri, della divina Provvidenza.

Vi scrivo con cuore di padre affezionatissimo queste righe in questi giorni di convalescenza che il Signore mi concede dopo la visita che mi ha fatto. Mai come in quel tempo di prova ho meditato sulla preziosità della sofferenza, quando la si accetti, come è dovere, dalle mani del celeste Padre con serena fiducia che proprio così va bene. In quella materiale inazione a cui costringe la malattia, oh quanto lavoro proficuo si può fare nella vigna del Signore, per l’incremento del S. Regno di Dio nelle anime! Con la pazienza, con la rassegnazione, con la preghiera, il malato esercita un’influenza efficacissima, un apostolato operoso a vantaggio della Chiesa e delle anime: il Signore lo mette vicino, invisibilmente a quel Sacerdote, a quel Missionario, a quel maestro, a quella Comunità affinché le sofferenze rendano benedetto e fecondo il Suo lavoro.

Confido anch’io, non per i miei meriti, ma per grazia di Gesù Crocefisso, di aver portato un po’ di contributo al vostro apostolato di Poveri Servi con le mie piccole pene che offerivo per tutti e ciascuno di voi, miei carissimi figlioli, oltreché in espiazione dei miei peccati.

Sempre vi avevo presenti allo sguardo e vi seguivo col pensiero e con lo spirito nelle vostre mansioni, e, come potevo, pregavo per voi, implorando aiuti e grazie dal Signore.

So quanto avete pregato per me anche voi, in questi giorni; ed io poveretto ve ne ringrazio quanto so e posso, assicurandovi che ben più che la mia riconoscenza, vale per voi il premio che ve ne ha registrato il Signore nel libro dell’eternità.

Il mio primo pensiero, adesso che posso riprendere un po’ di lavoro, è per voi, per noi tutti; per esortarvi a considerare sempre più seriamente e corrispondere davvero alle tante grazie che il Signore ci fa in questa sua Opera. Ricordiamoci bene, o miei cari, che non sono le nostre vedute, non sono le nostre abilità, i nostri progetti, che fanno frutto nelle anime, bensì lo spirito che ci muove nell’operare. Il lavoro esterno, la predicazione, le istruzioni, le molteplici opere di zelo ci vogliono, sono indispensabili, voi lo sapete, ma non sono che il corpo, per dir così dell’apostolato. Ora voi conoscete che un corpo vale niente se non c’è l’anima che gli dà la vita; l’anima del nostro apostolato è data dalla vita interiore e spirituale che il buon operaio di Cristo deve coltivare con le pratiche di pietà, particolarmente la meditazione quotidiana, l’uso frequente e pio dei santi Sacramenti, l’assidua preghiera, l’osservanza delle S. Regole ecc. Solamente così ci assicuriamo la benedizione del Signore sulle nostre fatiche; altrimenti saranno, zeri belli se volete, ma zeri che nulla valgono.

Che se noi agiremo con lo spirito della nostra vocazione, ci renderemo degni che il Signore ci adoperi per attuare i grandi divini disegni che Egli ha stabilito di compiere per mezzo dei Poveri Servi. E la nostra Opera diverrà davvero un’Arca di salvezza che attraversa incolume e sicura le tempeste che minacciano il mondo peccatore, conservando nel suo seno i germi di un sano rinnovamento di vita cristiana.

Dal piccolo seme il Signore caverà una grande pianta, che darà frutti ubertosi; dal piccolo gregge che siamo oggi, il Signore si formerà un numeroso esercito che si irradierà per le vie della terra a raccogliere anime per il santo Regno di Dio: a patto che noi siamo oggi quali ci desidera Lui, il celeste Padre.

Non spendo parole di più per spiegarmi; voi conoscete il nostro programma e conoscete anche i miei desideri, che non sono i miei ma del Signore, perché io non sono che il povero Casante, la voce della Sua Provvidenza a nostro riguardo, finché la bontà e la misericordia di Dio mi sostiene.

Ascoltatemi, dunque, con spirito di fede, e cercate di mettere in pratica quello che vi dico. Lontani dalle protezioni umane; se vengono, ringraziamo il Signore, ma non preoccupiamoci di accaparrarcene. Umiltà e nascondimento, o miei cari, e amore ai poveri, agli abbandonati che la Provvidenza ci ha assegnato per campo di lavoro e che sono i prediletti di Gesù. Sempre al nostro posto, da veri Sacerdoti e Fratelli; il nostro contegno, il nostro parlare sia edificante, inutile che vi ricordi la regola di prudenza tanto importante: di non tenere comunicazioni con i luoghi dove avete lavorato, quando l’obbedienza vi ha messo in altra parte. Disposti a tutto, indifferenti ad ogni luogo e ad ogni mansione. Ognuno a suo posto, lavorando nella carità di Cristo, e nell’unione con i Confratelli.

Nessuna preoccupazione per i mezzi umani e materiali: questi ci verranno in sopraggiunta se saremo fedeli al nostro programma di cercare solamente il Regno di Dio. Potranno mancare, talvolta, o fare difetto; ma ricordiamoci che ciò avviene o per una prova del Signore oppure per la nostra poca corrispondenza; una mano al cuore, allora, pentirsi, ritornare in carreggiata, e avanti in Domino.

Guai a noi se veniamo meno al programma! Non potremo più vivere, sarebbe la nostra morte, perché non faremo più gli interessi di Dio: poveri noi al grande rendiconto, se avessimo questa disgrazia! Quelli che ci guardano e ci conoscono, lo sanno il nostro programma, e noi li dobbiamo edificare con la nostra fedeltà.

Facciamo bene, miei cari, viviamo da veri Religiosi; e allora vedrete come il Signore ci aiuterà, e fin sul letto della nostra morte ci si farà incontro mite e festivo il Buon Gesù, a dirci quelle consolanti parole: vieni, servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore.

* LETTERA XXI Ottobre 1939

Miei carissimi ed amati fratelli

La grazia del Signore sia sempre con voi, e vi sostenga nel cammino della cristiana e religiosa perfezione.

Vi mando in iscritto qualche parola di quelle che il Signore mi ha concesso di dire a voce ai Confratelli del II turno di Esercizi. E’ una parola che vi ripeto quale mi è nata spontanea dal cuore, e vi prego di accoglierla con la vostra consueta docilità.

Cari fratelli, ringraziamo tutti il buon Dio che gratuitamente ci ha chiamati qui nella sua Casa, per aiutarlo nella grande Opera delle anime, cercando di diffondere il Santo Suo Regno. Che grazia grande, che favore distinto ci ha fatto e ci fa il Signore! Ah, guardiamo di non renderci indegni! La nostra vita sia la vita dell’Opera di Dio, attendendo prima di tutto alla nostra personale santificazione, secondo i consigli del Santo Vangelo, all’esercizio delle virtù, nell’esatta osservanza delle nostre sante Costituzioni.

Se non ci santifichiamo, l’Opera è un corpo senza anima. E ci santificheremo se vivremo lo spirito puro e genuino dell’Opera, spirito che tutti conosciamo e sappiamo; ma oltre saperlo, bisogna che lo viviamo. E questo per compiere grandi, vasti e nuovi disegni. Quale responsabilità se per colpa nostra questi disegni non avessero a compiersi! Che triste tramonto non sarebbe quello della nostra vita, che grande rendiconto al divin Giudice!

Fratelli cari, che il Signore ci conceda la grazia grande di vivere come Lui vuole, di lavorare traducendo in pratica il nome che portiamo, e mai dimenticando che siamo i Poveri Servi della Divina Provvidenza. Dunque, nessun egoismo personale, nessun attacco a noi stessi, alle nostre cose, nessun attacco ai posti di lavoro, pronti a tutto in ogni opera buona, fino al sacrificio e alla immolazione; il nostro lavoro ignori ogni personalismo e metta nella luce solo e sempre l’Opera, l’Opera, l’Opera; in una parola lavoriamo per Dio, per la sua gloria, per le anime.

Noi Religiosi, noi Sacerdoti, teniamoci tutti alla disposizione della Santa Chiesa, senza nessun scopo umano, ma solo per servire il Signore nel bene e nella redenzione delle anime.

Fratelli, quanto so e posso vi raccomando di ascoltare sempre chi il Signore ha messo e metterà a custode di quest’Opera; ascoltatelo senza riserve, senza discussioni, con spirito di rinuncia e di abnegazione; tutti uniti al centro dell’Opera, alla Casa Madre, di dove parte la luce, da dove si deve apprendere lo spirito puro e genuino, che deve passare ai figli lontani come linfa che dal tronco giunge fino alle ultime ramificazioni.

Quanto so e posso vi raccomando il programma: “buseta e taneta”, nascosti sotto terra, non lasciarci prendere dal fascino esteriore, dalla stima degli uomini, dal fascino della così detta gloria umana.

Vi raccomando ancora la carità; quante volte vi ho detto che nessuna forza mai potrà distruggere l’Opera! Ma noi sì lo potremo fare, specialmente se non viviamo uniti e stretti nella santa e mutua carità.

Carità che regni sovrana fra i membri delle singole Case, e in tutte le Case fra di loro. Amiamoci, compatiamoci, aiutiamoci a vicenda. C’è tanto odio nel mondo: offriamo ad esso lo spettacolo di persone che si amano veramente nel Signore, così come si amavano i primi cristiani, così come ci comanda Gesù benedetto: “Amatevi come io vi ho amati”; solo così, cari fratelli, compiremo i grandi disegni di Dio sopra noi e sopra questa sua grandissima Opera. E allora quanta pace, quanta gioia nei nostri cuori, quanta felicità e quale anticipato Paradiso gusteremo fino su questa terra! E sarà lieto allora il tramonto della nostra vita nell’attesa che il Signore ci dica; “servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore”.

Cari fratelli, siate sempre all’altezza della vostra vocazione; Da per tutto dove andate a lavorare mostratevi quali vi chiamate: Poveri Servi della Divina Provvidenza. E guardate che a questo scopo giovano assai anche quelle direttive di ordine esteriore che tante volte vi ho inculcato da parte del Signore: anche se in occasione religiose, come battesimi, Matrimoni, compiuto il rito sacro in chiesa, non aggiungiamo altro, ritiriamoci, senza partecipare alle feste esterne. Non darsi alla dissipazione e ai divertimenti, ai viaggi e alle gite; evitare certi giuochi che sanno di spirito secolaresco, come ad esempio il gioco delle carte; fumare, sia in pubblico che in privato. Anzi, a questo proposito – parlo di oltre vent’anni fa – voglio raccontarvi un fatto che mi è rimasto tanto impresso. Un distinto e dotto sacerdote aveva tenuto ai nostri ragazzi una conferenza, suscitando l’entusiasmo. Poco dopo ritornò in mezzo a loro col sigaro in bocca; vi dico che fu neutralizzato tutto il bene fatto. Non dico che sia male, ma non è ricordatevelo, secondo il nostro spirito.

Quando per ragioni plausibili si credesse utile o necessario organizzare un viaggio (parlo ai Confratelli preposti alle Parrocchie), procurino di chiedere il consenso e la benedizione del Superiore.

Andati in un posto per ragioni di ministero, fare quello che si deve fare, poi tornare umilmente al proprio posto, senza tenere relazioni che niente hanno a che fare con il bene delle anime, ma sono piuttosto una manifestazione di segreto egoismo e amor proprio.

Nel parlare e nel trattare con persone d’altro sesso procuriamo sempre quel doveroso riserbo che, mentre è scudo alla bella virtù e salvaguardia contro dolorose sorprese, è pure oggetto di edificazione per il prossimo e ce ne concilia il rispetto; ricordo qui la regola di prudenza di non dare loro, in via ordinaria, la mano, e di non mai farsi fotografare con esse, per nessun pretesto.

Queste e altre cose, apparentemente piccole, ma invece molto importanti, ve le raccomando tanto e poi tanto, per il bene vostro, per conservare lo spirito dell’Opera, e per fare del bene alle anime: perché, già voi lo sapete, se non c’è la benedizione del Signore, è inutile e vana ogni nostra fatica; e la benedizione c’è solamente per quel servo che si mantiene buono e fedele anche nelle piccole grandi cose.

Siate santamente fermi nelle sante Regole e nelle lodevoli consuetudini della Casa, e, ove fosse opportuno, insinuate con bel modo nel prossimo che voi agite così perché le nostre regole ce lo comandano: e la vostra franca professione vi attirerà la stima delle persone dabbene.

Termino raccomandandomi caldamente alle vostre preghiere: oh, quanto ne ho bisogno, per l’anima mia, e per l’Opera del Signore! pregate, pregate che Iddio mi perdoni i miei peccati, e che non sia io l’inciampo alla sua Opera.

* LETTERA XXII 4 gennaio 1940

Miei cari fratelli

Anche quest’anno l’amatissimo Padre Visitatore che io chiamo sempre “il nostro Angelo”, ha voluto mandarvi il suo augurio natalizio, che io ho pensato di far stampare perché ne possiate avere una copia per ciascuno.

Più che leggere meditate quello che vi dice. Troverete ripetute quasi alla lettera le raccomandazioni che tanto spesso anch’io vi faccio. Ciò significa che il Signore l’ha proprio investito dello spirito della nostra Opera; ah quanto dobbiamo esserne grati alla divina Provvidenza! Ma siate riconoscenti pure al venerato Padre Abate, pregando ogni giorno per lui e secondo le sue sante intenzioni.

Vi raccomando di pregare tanto anche per me, ne ho estremo bisogno. Vi ringrazio dei vostri auguri; vi porto tutti nella mente e nel cuore; ripeto a voi quello che dissi ai fratelli di S. Zeno in refettorio: che l’anno 1940 sia l’anno della nostra personale santificazione, per santificare l’Opera e ottenere al mondo grazie, perdono, pace.

* LETTERA XXIII Subiaco, 10 dicembre 1939

PAX

Carissimi nel Signore

Nella pace e nella grazia dello Spirito Santo. La vostra cara lettera così piena del Signore e del suo spirito, mi è giunta tra la valanga della corrispondenza natalizia e non ho potuto rispondervi subito. Però ho cercato di essere con voi la santa Notte, come l’anno scorso, applicando una delle SS. Messe per il nostro caro e venerato Padre Don Giovanni e per tutti i suoi figli. E spero che il Signore si sarà degnato di accettare la preghiera di questo povero e indegno ministro. Oggi sento il bisogno di scrivervi una parola per ringraziarvi di tutto cuore e per ripetervi che il migliore augurio che mi potete fare è quello di farvi sempre vedere fedeli allo spirito della nostra cara Congregazione. Essa, come a Betlemme, come a Nazareth, deve vivere solo con Dio e di Dio, nella semplicità, nella umiltà, nella povertà, nell’abbandono pieno alla divina Provvidenza e alla divina volontà del Padre celeste.

Guardate il vostro Padre, Egli ve ne dà l’esempio vivo, costante; corrispondete alle sue paterne sollecitudini: obbeditegli sempre e dovunque e con intima adesione di animo: con la vostra santa conversazione siate degni di Lui e dei santi ideali di cui Egli dal Signore è stato fatto lo strumento e il ministro. Il segreto del successo non sta nei mezzi che il mondo tanto stima, ma in questo spirito di nascondimento e di abnegazione. Così e solamente così, Gesù Benedetto ha vinto il mondo e redento il genere umano.

E pregate per me perché ho tanto bisogno. Pregate ancora perché possa essere sempre spiritualmente unito a voi e che mi sia data la consolazione di potervi fare un po’ di bene.

Vi abbraccio nelle carità del Signore e vi benedico paternamente.

In Christo

Em. Caronti O.S.B.

* LETTERA XXIV 1 novembre 1940

Miei cari fratelli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Abbiamo da poco terminato i santi Esercizi, che sono veramente “giorni di salute e tempo accettevole” perché in essi il Signore largisce senza misura le sue grazie, i suoi doni, mentre i nostri cuori sono meglio disposti a riceverli. Le anime nostre sono ancora direi quasi inondate della divina luce e gustano ancora la gioia e la pace dell’unione con Dio.

Ed ora che voi siete tornati ai vostri uffici e ministeri con rinnovati propositi di lavorare e faticare solo per la gloria di Dio e il bene delle anime che la divina Provvidenza vi ha affidate, credo opportuno rivolgervi la mia povera parola, pensata e scritta ai piedi del mio Crocefisso, unicamente a vantaggio delle vostre anime religiose e di quest’Opera. La quale come vi ho detto altre volte, nel pensiero e nel piano di Dio è grande, e molti sono i disegni che egli ha sopra di essa, e ha scelti e chiamati noi perché lo aiutiamo a compierli. Come abbiamo corrisposto finora? Quale responsabilità se, invece di corrispondervi, li avessimo ostacolati. Per amor di Dio, viviamo bene, viviamo all’altezza della nostra santa vocazione, procurando di essere veramente quello che ci chiamiamo, ossia: “Poveri Servi della Divina Provvidenza”, che il Signore, nel giorno del grande rendiconto, non abbia a rinfacciarci il nome che portiamo e ci dica: “Ti chiamavi povero, ma dov’è il tuo spirito di povertà, mentre hai amato sempre le tue comodità, e cercato che non ti mancasse niente, lamentandoti forse ad ogni minima privazione?

Ti chiamavi servo, ma come mi hai servito? perché quelle opposizioni all’obbedienza, quelle critiche e mormorazioni, quel cercare di dominare anziché obbedire; perché quella mancanza di dipendenza, facendola più da padrone che da servo?

Ti dicevi “della Divina Provvidenza”, dovevi dunque abbandonarti in essa, non cercare gli appoggi umani, Dio solo doveva essere il tuo appoggio; perché quella diffidenza, quelli scoraggiamenti nelle prove, quello regolarti più coi lumi della tua ragione che coi principi della fede?” Miei cari ed amati fratelli, pensiamo seriamente che noi dovremo rendere conto non solo come cristiani, ma anche come religiosi e ancor più come membri di quest’Opera, nata nel Sacro Costato di Gesù benedetto.

Consoliamo Gesù che piange sopra i grandi mali che incombono sulla povera umanità e sulle cause che li hanno provocati. Ma non dobbiamo credere che Egli sia addolorato solo per i peccati che si commettono nel mondo; no, o cari, Egli è in modo particolare addolorato e offeso dai peccati che commettiamo noi pure, perché commessi con pienezza di luce e di conoscenza e quindi senza nessuna scusa.

Quando avviene qualche disastro, si fa tosto un’inchiesta, per stabilire le responsabilità, e i responsabili sono severissimamente puniti.

Fratelli, mettiamoci una mano al petto, e guardiamo i mali che presentemente ci affliggono, non andiamo a cercarne lontano la causa, riconosciamo noi stessi veramente colpevoli, e domandiamo perdono e promettiamo di vivere una vita nuova, una vita secondo la nostra santa vocazione.

E per discendere al particolare, quanto so e posso vi raccomando la vita interiore; ricordatevi le parole che spesse volte vado ripetendo: “Siate come tralci e vite, come conche e canali”. Abbiamo presenti le parole di Gesù: “senza di me non potete far niente”.

Per alimentare la vita interiore vi raccomando le pratiche di pietà: la S. Meditazione, la lettura spirituale, la visita al SS.mo Sacramento, il Rosario, possibilmente intero, e per noi Sacerdoti, il divino Ufficio, recitato per quanto sia possibile insieme, ad ore fisse, e in chiesa.

Vi raccomando di essere puntuali, esatti nelle varie pratiche di pietà; fatele con impegno e fervore, pensate che andate a trattare gli affari più importanti, che riguardano la vostra eterna salute e la vostra santificazione. Vi raccomando in modo ancora più particolare la S. Comunione, fatta con devoto apparecchio e ringraziamento, e la Confessione.

Confessatevi regolarmente, siate umili, sinceri nella vostra accusa, abbiate un confessore stabile, che vi conosca, non cambiatelo così facilmente.

Sono più di quarant’anni che io vado dal mio Padre Spirituale, e quanto benedico e ringrazio il Signore di questa grazia! Quando si è malati si va dal proprio medico, dal medico di casa, che conosce bene tutti i precedenti familiari; così anche nella vita spirituale, andate dal vostro confessore, dai confessori di Casa, che sapranno meglio guidarvi. Ma oltre il confessore, che è più per le cose intime della vostra anima, avete anche i vostri superiori che sono Sacerdoti. Abbiate confidenza e apritevi pure con essi, specialmente per quello che riguarda la vostra vita religiosa e la vostra vocazione.

Abbiate poi tutta la confidenza col vostro Don Giovanni; a lui ricorrete ogni volta ne sentite il bisogno e il desiderio. Sapete quanto vi voglio bene nel Signore, e come non desidero altro che la vostra personale santificazione, e con questa la santificazione dell’Opera intera. Ma dovete ascoltarmi; state attenti anche ad un semplice cenno, ad un desiderio, ad un muover di ciglio. Alle volte io parlo, e se non si fa come ho detto, mi chiudo nel mio silenzio e dolore e non insisto più, lasciando che ci pensi il Signore. Che questo non avvenga mai, o cari ed amati fratelli, per non doverne rendere conto un giorno al Signore.

Ve l’ho detto ancora, io sono povero e maschino, ma fino a che la divina Misericordia mi tiene qui, dovete ascoltarmi. E non solo al presente, ma anche nell’avvenire, il Casante avrà lumi, grazie e carismi speciali per guidare bene l’Opera del Signore; guai a chi si credesse più illuminato di lui e si rifiutasse di prestare obbedienza! Sarebbe un ramo secco sul tronco dell’Opera, non buono ad altro che ad essere tagliato dal divino Padrone.

Vi raccomando ancora di non cercare voi stessi, né le vostre soddisfazioni, ma Dio solo. Quindi vivete distaccati dal mondo e dalle sue false massime, lontani dalle protezioni umane; distaccati dagli stessi vostri uffici e ministeri, sempre pronti a cambiare. E quando l’obbedienza vi vuol portare da un luogo all’altro, per nessun motivo tenete relazioni con le persone che avevate prima conosciute. Guardate che l’amor proprio è tanto facile a farvi ritenere ragioni plausibili quelli che sono semplici pretesti.

Non siate facili a ricevere regali dalle persone secolari; sono vincoli e legami e noi dobbiamo tenerci e sentirci liberi. E notate che colui il quale riceve un dono, verso la persona donatrice non è più quello di prima; si sentirà più debole meno disposto a quella fermezza e imparzialità che si devono avere nell’inculcare le massime della morale Evangelica.

Ricordiamoci, o Cari, che noi siamo religiosi, e religiosi speciali. L’ora che attraversiamo è un’ora terribile, nessuno sa a che cosa andremo incontro. Senza dubbio Dio ricaverà un gran bene da questo generale scompiglio di cose e di principi, ma attraverso quali vie giungeremo a questo Bene? Si va incontro ad un ordine di cose nuove, si vuol tutto rinnovare, ed anche noi dobbiamo rinnovarci: “O rinnovarsi o perire!” Non c’è via di mezzo. e noi ci rinnoveremo se vivremo in pratica il Santo Vangelo, se saremo Vangeli viventi. Dobbiamo dirlo, c’è troppa dissonanza fra ciò che il Vangelo insegna e ciò che da noi si pratica. Dobbiamo togliere questo contrasto. Allora non si potrà più dire che la Chiesa ha fatto il suo tempo, che non risponde più alle esigenze odierne. Solo chi riproduce in se stesso le massime Evangeliche, sempre antiche e sempre nuove, le potrà utilmente predicare. Dio, l’anima, il Paradiso, l’Inferno, l’Eternità, la vita presente preparazione alla vita futura, la Redenzione, l’Eucarestia, l’amor di Dio, che patisce e muore per noi, che si fa nostro cibo in questa terra d’esilio, per essere poi la nostra risurrezione e la nostra vita in Cielo, nostra vera Patria. Queste verità dobbiamo richiamare, insegnare e a queste conformarci nella vita pratica e solamente così concorreremo a sanare la povera umanità, che con tutto il suo progresso è travolta all’abisso.

Dobbiamo essere poveri con Gesù povero, le nostre ricchezze nasconderle nel seno dei poveri, come faceva il Diacono S. Lorenzo; andare ai più poveri, ai più umili, ai malati, ai più disgraziati, che sono tanto cari a Dio, e nei quali Gesù vuole essere rappresentato; ecco la nostra caratteristica. Non ai grandi, ma ai piccoli ci manda il Signore.

Siamo umili, buseta e taneta, non cerchiamo le protezioni umane, queste ci vogliono, come anche i mezzi materiali per vivere, ma penserà il Signore a metterci vicino questa o quella persona a tempo opportuno. Noi cerchiamo Dio solo, il suo santo Regno, le anime, le anime, le anime.

Ecco la mia povera parola; ricevetela come mio testamento. Vi porto tutti nella mente e nel cuore. Mi sono consolato nel vedere e costatare il vostro buono spirito e nel segreto del mio cuore ne ho benedetto il Signore. Ma perseverate in esso, e mirate sempre più in alto. Solo così corrisponderemo alla nostra santa e speciale vocazione, ci renderemo degni delle divine benedizioni. Pregate, pregate tanto per me, ne ho estremo bisogno. Non ve lo dico per pura formalità, proprio usatemi questa carità. Io prego per voi e di gran cuore, paternamente vi benedico.

P.S. Credo bene di richiamare e ribadire alcune norme passate, fra la quali le seguenti: – Non accettate inviti di pranzi per nessun motivo; non partecipare a gruppi fotografici femminili o misti; usate della bicicletta solo nell’esercizio del vostro ministero; non permettetevi di giocare alle carte, anche sotto pretesto di fare del bene o almeno di impedire il male.

Coloro stessi che godono di vedervi in loro compagnia dentro di sé vi stimeranno di meno, considerandovi al loro livello. Vi raccomando di non fumare; preferisco piuttosto che uno se ne vada. Anche i capelli, nessuna ricercatezza, nessun ciuffo, nessuna acconciatura mondana. Non partecipate a gite o a pellegrinaggi misti e meno ancora femminili; nel dubbio domandate il permesso. Sono piccole grandi cose che servono a distinguerci dai secolari, mantengono alto il nostro prestigio, e sopratutto renderanno più fruttuoso il nostro ministero.

Mi piace ricordarvi un episodio. Una distinta professoressa si presenta un giorno ad un Sacerdote per consigli. Ne rimane disgustata e non le chiede nulla di quanto le sta a cuore: “ho trovato l’uomo – disse poi – non il Sacerdote”. Perché mai? Ed ecco la risposta: “sa di pipa”.

* LETTERA XXV Natale 1940

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù Bambino siano sempre con voi e con tutte le anime che la divina Provvidenza vi fa avvicinare. Questa volta più che la mia vi farò sentire l’illuminata parola su Sua Ecc. Mons. Vescovo di Verona e quella del Rev.mo nostro Padre Visitatore. Agli auguri natalizi essi risposero con lettere tanto belle ed ispirate, che mi sono sentito di farvele conoscere quasi per intero, e son certo e sicuro che se voi le leggerete e mediterete come si conviene, faranno tanto bene alle anime vostre.

Ecco dunque la lettera di Sua Ecc. Mons. Vescovo:

Rev.mo e carissimo P. Giovanni

Tra i molti auguri giuntimi in questi giorni, i suoi mi sono stati particolarmente graditi, perché so da che cuore partono e da che fervide preghiere sono accompagnati. Il Signore la ricompensi! Anch’io ho fatto e faccio i miei auguri a Lei e a tutti i suoi figli con paterno affetto e cerco di accompagnare questi auguri meglio che posso con le mie povere preghiere. La parola di nostro Signore, che è diventata divisa del Suo Istituto, mi guida in questi auguri. Prima di tutto il Regno di Dio e la sua S. Grazia! Ecco ciò che auguro a Lei, a ciascuno dei suoi Sacerdoti e Fratelli e a tutti i suoi alunni: ci sia sempre un accrescimento in questo amore e in questo progresso, e anche un accrescimento di efficacia nel loro apostolato! E poi tutto ciò che il Signore ha promesso come un di più: anche questi doni seguano con grande abbondanza quei primi doni ben più importanti e preziosi!

Io con tutto il cuore invio la Benedizione Pastorale a Lei, e insieme a tutti i suoi figli. Il Signore per intercessione della Sua Vergine Madre, renda molto efficace questa benedizione!

Suo Aff.mo in Cristo

+ Girolamo Vescovo

La lettera del P. Abate non è meno densa di pensiero e tutta improntata al genuino spirito della nostra Opera.

Carissimi nel Signore

Nella pace e nella grazia dello Spirito Santo.

Non è una esagerazione se vi dico che i vostri auguri sono tra quelli che annualmente mi riescono più graditi e più cari. Voi sapete quanto vi voglio bene e quindi crederete senza difficoltà quello che dico. Vi ringrazio dunque dei vostri auguri che ricambio con tutto il cuore in benedizioni: vi ringrazio delle vostre preghiere alle quali cerco di corrispondere come meglio posso. Sì, uniti tutti strettamente al Signore perché tutti possiamo essere santificati in conformità con la nostra vocazione.

Siate fedeli allo spirito del vostro Istituto, che è lo spirito di Don Giovanni: sono i Poveri servi della Divina Provvidenza col loro distacco dalla terra, col loro abbandono filiale, con la loro umiltà, con lo zelo del loro apostolato e con la loro assoluta obbedienza, sono i Poveri Servi della Divina Provvidenza che oggi più che mai predicano la via per la quale il Signore vuole condurre la società. E’ un’Opera di Dio, siatene degni con una fedele corrispondenza e con la santità della vostra vita.

Vi abbraccio nel Signore

Don Emanuele Caronti O.S.B.

Ringraziamo il Signore che si degna di farci sentire la sua parola per mezzo di coloro che lo rappresentano, e facciamone tesoro, a bene della nostra anima e dell’Opera, a bene anche del mondo. Perché, o cari, se noi viviamo come vuole il Signore secondo il nostro spirito, saremo sale e luce del mondo, e quanto ve n’è bisogno! Si va parlando di “ordine nuovo”; dobbiamo sentire il bisogno di cooperarvi anche noi. Ma ricordiamoci, o cari, che, come sempre in passato, anche nell’ora attuale il vero ordine nuovo lo faranno i Santi. E noi dobbiamo tendere a questo fine, a questa meta, come cristiani, come religiosi, e come religiosi di questa grandissima Opera; sopra la quale il Signore, come tante volte vi ho detto, ha dei grandi disegni, che compirà ad un solo patto, che noi non mettiamo ostacoli, che siamo santi, che torniamo alle pure e genuine fonti del S. Vangelo, vivendo come vivevano i primi cristiani, senza egoismi, senza campanilismi, considerando che tutto il mondo è di Dio, disinteressati quindi nel lavorare per il bene, cercando solo le anime, le anime, le anime, nient’altro.

Prima di finire vi raccomando due cose che mi stanno molto a cuore.

Anzitutto vi ricordo che è prossima la “Ottava di preghiere” che voi tutti già conoscete, e che quest’anno, e poi sempre nell’avvenire, desidero sia fatta in ogni Casa, con impegno e con solennità tutta particolare. Che il santo Regno di Dio si estenda sulla terra, che gli erranti tornino all’unità della fede, e tutti gli infedeli giungano alla conoscenza del S. Vangelo, questo deve essere il sospiro delle nostre anime religiose sacerdotali.

Sapete che una delle due principali intenzioni per cui si è iniziata a Maguzzano l’adorazione Eucaristica Sacerdotale è appunto questa, di pregare per l’unione delle Chiese dissidenti, affinché di tutti i credenti in Cristo si faccia anche sulla terra un solo ovile sotto un solo Pastore.

La seconda cosa che vi voglio raccomandare è questa.

E’ sorta nella Svizzera un’opera internazionale chiamata: “Catholica Unio”, allo scopo di cooperare al ritorno delle Chiese Orientali al seno della S. Madre Chiesa. Vi unisco una pagella che meglio vi chiarirà lo scopo, i mezzi e i vantaggi spirituali dell’Opera. Io ho creduto bene di ascrivere ad essa tutta la nostra Congregazione, di modo che tutti i Poveri Servi sono anche soci della Catholica Unio e desidero che i Superiori locali ne parlino illustrandola e che nell’ora di adorazione settimanale ad ogni posta del Rosario si aggiunga l’invocazione: Ut omnes errantes ecc., e poi la solita preghiera di Consacrazione al S. Cuore di Gesù (O Gesù dolcissimo) che è insieme la speciale preghiera dell’associazione stessa.

Spero che non dimenticherete quello che ora vi dico e quello che tante altre volte vi ho detto, perché, ricordiamolo bene, guai se noi non ci conserviamo all’altezza del nostro spirito, se ci abbassiamo al livello comune! l’Opera non potrebbe vivere, morirebbe, come bene disse una volta anche S. Ecc. l’amatissimo nostro Vescovo in un suo discorso tenuto in Casa. Dio mio! Quale responsabilità sarebbe la nostra! Pregate tanto per me, ne ho tanto ma tanto bisogno; voi sapete che io sempre vi ricordo e vi benedico.

P.S. – Credo opportuno di richiamare questa volta quanto vi ho già detto circa l’uso della bicicletta. Esso sia strettamente limitato alle esigenze del sacro ministero. Per altri motivi servitevi dei mezzi ordinari. Ed anche i Fratelli non si servano della bicicletta per viaggi alquanto lunghi che superino ad es. la trentina di chilometri.

Vi sia poi sempre il permesso del Superiore locale, che ne assume la responsabilità.

* LETTERA XXVI 22 agosto 1941

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi!

Approfitto dei Santi Esercizi ormai vicini, per rivolgervi la mia povera parola, quale mi esce spontanea dal cuore; non vi dirò cose nuove, non farò altro che ribadire concetti antichi che tuttavia spero faranno del bene alle anime vostre.

Ma prima sento il bisogno di ringraziarvi della vostra filiale partecipazione al mio quarantennio di Sacerdozio. Voi avete offerto preghiere e piccoli sacrifici al Signore per la mia povera anima: voi sapete che questa è per me la più grande carità, questo il dono migliore.

Come già scrissi nell’Amico, io sono veramente povero in tutto, ed è per questo che la divina misericordia mi ha messo e mi tiene in questa sua Opera, affinché meglio si veda che è Dio che fa e che guida la sua Opera, io non sono altro che un povero Casante. Tuttavia sento di ripetervi qui quello che altre volte vi ho detto: finché sono qui dovete ascoltarmi, e tener conto anche di un semplice cenno e desiderio.

Voi mi avete fatto poi degli auguri, ma se volete che io viva, che resti con voi, guardate di essere il mio respiro. Quando vedo un religioso che osserva le sue regole, che è fedele alle sue pratiche di pietà, che corrisponde in una parola alle sua vocazione mi sento come rivivere; ma se uno non corrisponde, mi sembra che non potrei sopportare un tale dolore. Ma io sono certo e sono sicuro che voi corrisponderete, che se ci fosse qualche cosa da correggere nella vostra condotta, ecco, o cari, i santi Esercizi, che hanno per fine speciale di riformarci e rinnovarci spiritualmente. Per amor di Dio approfittate di questa nuova grazia che vi fa il Signore, affinché gli Esercizi di quest’anno segnino una nuova tappa nel cammino della nostra vita. Vi ho detto ancora: “O rinnovarsi o perire!” Specialmente noi di quest’Opera, se non restiamo all’altezza nella quale ci vuole il Signore, se ci abbassiamo al livello comune, non potremo vivere! Quale responsabilità e quale rendiconto!

Lo scorso anno nei primi Esercizi, predicati con tanto zelo da quel santo Sacerdote che è Don Giovanni Rossi, ci siamo sentiti ripetere sovente questa grande massima: Nolite conformari huic saeculo! E’ la prima raccomandazione che io voglio farvi.

Un Povero Servo deve mettersi all’opposizione con il mondo, specialmente con il mondo di adesso. Guai se lascia penetrare nel suo cuore, nella sua anima lo spirito del mondo! Siamo, è vero, nel mondo, ma c’incombe il dovere di non essere del mondo, come avviene del bastimento che solca le acque del mare, ma il mare non vi penetra affatto.

Il bastimento inoltre sta sopra le acque, e noi dobbiamo stare al disopra del fango e della corruzione del mondo, disprezzarne le massime e gli esempi perversi; se ci lasciassimo sopraffare, come per i bastimento che si immergesse nei gorghi dell’oceano, sarebbe il naufragio e la rovina; il bastimento ancora non si attarda nel mare, ma fa sua rotta verso il porto, e anche noi non dobbiamo mai perdere di vista il fine della creazione, lo scopo della nostra santa vocazione; dobbiamo pensare che la fine della nostra giornata non è lontana, che al termine della vita ci sarà riservato il premio se a guisa dei buoni servitori il divin Padrone ci troverà vigilanti nel fare il bene.

Ma il bastimento, o cari, non ha sempre un rotta tranquilla; bene spesso soffiano i venti e le onde si accavallano minacciose; bisogna spesso ricorrere a misure estreme per evitare il naufragio; e anche noi dobbiamo incontrare difficoltà, superare ostacoli, ingaggiare la lotta contro i nemici dell’anima nostra; “militia est vita hominis super terram”; ma se voi starete uniti a Dio, se avrete confidenza con i vostri superiori, con il vostro Don Giovanni soprattutto, giungerete felicemente al porto dell’eterna salvezza. Per questo vi raccomando tanto il rendiconto; esso è necessario se volete vincere; anche se vi costerà qualche sacrificio, pensate ai grandi vantaggi che ne ricaverete, fatelo, e fatelo regolarmente.

Si parla di “ordine nuovo”; ve lo detto ancora, il vero ordine nuovo non lo faranno gli uomini, lo farà il Signore, e il Signore si servirà non dei dotti, dei ricchi, dei forti, dei potenti, ma unicamente dei santi.

Anche la nostra Opera, cellula divina, nel piano di Dio mi pare debba essere una riserva del buon Dio, per concorrere a formare l’ordine nuovo; ma se per disgrazia non trovasse la santità, se noi non saremo dei santi, come potranno compiersi i divini disegni? mio Dio, quale responsabilità pesa su ciascuno di noi!

Per questo, quanto so e posso, vi raccomando la vita interiore che è vita di unione con nostro Signore Gesù Cristo; vite e tralci, ecco come dobbiamo tenerci uniti a Gesù se vogliamo fare qualche cosa di bene; perché, o cari, noi come noi non siamo capaci altro che di rovinare, dobbiamo essere convinti di questo, non confidare quindi nelle nostre forze, ma nell’aiuto di Dio che non ci mancherà se noi lo meriteremo, e lo meriteremo se saremo veramente umili, docili, senza testa, cenci e creta, disposti a tutto, non a parole ma a fatti.

Se volete poi alimentare in voi stessi la vita interiore, vi raccomando le pratiche di pietà: la S. Meditazione e la lettura spirituale, la S. Messa e la Comunione, ecc. Vi raccomando la puntualità, siate esatti, fedelissimi. Senza tutto questo verrà a mancare l’olio nella nostra lampada, e poveri noi se nella Casa del Signore saremo delle lampade spente! A che cosa servirebbero se non che ad essere rimosse? La perdita della vocazione, mio Dio quale sventura per un religioso, e particolarmente per un Povero Servo!

Umiltà, nascondimento è la speciale fisionomia dei Poveri Servi; l’Opera nostra sarà grande se sarà piccola, farà tanto più bene quanto più è nascosta. Se noi vivremo come si deve il nostro spirito, anche facendo poco in apparenza, faremo molto; chi fa è Dio, o cari, non siamo noi; ed Egli coopera con l’umiltà, con la virtù nascosta, col sacrificio ignorato e offerto nel segreto solo per Lui. Approfondiamo questi concetti se vogliamo essere quali ci vuole la nostra specialissima vocazione. Diamo grande importanza alle piccole cose, non dobbiamo dire o pensare: per così poco, possiamo passarci sopra; ovvero: si tratta di una piccola mancanza, d’una piccola disobbedienza, d’una leggera mancanza di dipendenza; no, no, o cari; chi dirà che è un piccolo male quello che può impedire un grande bene? L’oceano stesso non risulta di un numero infinito di piccole gocce? Ricordiamo l’avviso dello Spirito Santo: chi teme il Signore nulla trascura.

Vi raccomando inoltre la carità, regina di tutte le virtù; Sacerdoti e Fratelli siate un cuor solo ed un’anima sola; aiutatevi a vicenda, compatitevi, datevi scambievolmente buon esempio, non comparisca mai il male della mormorazione e della critica, evitate ogni screzio; che se per la umana fragilità qualche cosa dovesse succedere, prima di sera riconciliatevi, come dicono le sante Regole, né conservate rancore o freddezza verso il Fratello.

Abbiate poi spirito di fede che è la caratteristica della nostra Opera; Dio è attivo con noi, vede i nostri bisogni, non dubitiamo mai della sua divina Provvidenza; facciamo la nostra parte, ed il Signore non mancherà di fare la sua. Ci stia continuamente dinanzi alla mente il granitico programma dell’Opera: “Quaerite primum Regnum Dei… et haec omnia adiicientur vobis”. Si fa tanto conto, specie ai nostri giorni della parola degli uomini; per quanto grandi possono essere, la loro è sempre parola di uomo, parola che passa, spesso fallace; come dunque noi non dobbiamo dare importanza alla parola di Dio, della quale sta scritto: “Passeranno il cielo e la terra, ma la parola di Dio resta!” Valorizziamo in noi stessi questa divina parola e predichiamola con l’esempio di una condotta santa e irreprensibile dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini.

Durante i Santi Esercizi, cari ed amati fratelli, abbiate presenti questi punti sostanziali; e cercate di riformare voi stessi, di rinnovarvi nello spirito della vostra speciale vocazione, per compiere i nuovi e grandi disegni che Dio ha sopra di noi e sopra dell’Opera.

Come vi dicevo in principio, pregate tanto per me, ogni giorno vi ricordo e prego per voi. Che dopo compiuta la nostra giornata di fatiche, di lotte e di lavoro, ci possiamo ritrovare tutti lassù, a godere il premio nel santo Paradiso. Vi benedico di gran cuore.

* LETTERA XXVII Settembre 1941

Amati fratelli in Gesù Cristo

In questi santi e benedetti giorni che il buon Dio vi concede per bene e santificazione delle vostre anime cristiane e religiose, sento forte, impellente il bisogno di dirvi una parola, come me la detta il cuore di Padre, e prego lo Spirito Santo che l’abbia a fecondare con le sue grazie e lumi, perché porti quelle ricchezze spirituali che sono necessarie a voi che avete la grazia di fare i Santi Spirituali Esercizi, per formare dei fermi e generosi propositi, come frutto particolare di questi giorni di bontà e misericordia.

Ciascuno faccia quei proponimenti che più trova necessari per lo stato particolare della sua anima, ma vi esorto, vi prego, vi scongiuro di fare tutti un proponimento forte e generoso che gioverà, oltre che a voi, a questa grandissima Opera del Signore, ed il proposito è questo: debbo preoccuparmi di avere un grande concetto della responsabilità che pesa su di me, e guai se non corrispondo! Sono un “Povero Servo della Divina Provvidenza”: in questo, o cari, v’è tutto il programma della vostra vita religiosa, in questo v’è il patrimonio che vi farà ricchi di grandi ricchezze, compiendo tutti quei disegni che la divina Provvidenza vuole compiere, un po’ alla volta, senza fretta, attraverso croci e prove d’ogni sorta.

Cari fratelli, vi ho detto ancora, nessuna forza, nessuna lotta, niente può distruggere quest’Opera: anzi le lotte e le contraddizioni maggiormente la consolideranno; solo noi se non vivremo quel programma che il Signore vi ha tracciato per mezzo di questo povero e meschino prete.

Cari fratelli, l’Opera è di Dio ed Egli l’ha messa nelle nostre mani; quale, quale responsabilità! Deh per amor di Dio, sosteniamo l’Opera di Dio! E la si sostiene con la vita interiore che vi raccomando tanto; non lasciate mai le pratiche di pietà, esse sono i nostri polmoni; vi raccomando la santa umiltà, la carità. Se io sapessi che un religioso non ha la carità, in ginocchio lo pregherei di andarsene; sarebbe la rovina dell’Opera.

Con la carità vi raccomando il rendiconto; piccoli, nascosti, il Signore verrà Lui allora a cercarci, e se sarà necessario ci metterà sul candelabro.

Ho ricevuto una lettera in occasione del mio quarantesimo da una persona distinta, ma del mondo, nella quale mi diceva: loro sono tutti angeli. Quale concetto si ha dal mondo di noi, ma quale responsabilità se non lo siamo di fatto!

Ho avuto un grande conforto in questi giorni, un grande Vescovo mi scrisse dicendomi del bene che si fa a Roma. Ne ho ringraziato il Signore, e ho subito pregato e offerto le mie sofferenze perché si possano compiere i grandi disegni che la divina Provvidenza vuol compiere in noi, e li compiremo se noi vivremo le sante Regole, staremo fermi e ligi al nostro programma e voi ascolterete questo povero prete che vi parla in nome di Dio; beati voi! Questi santi giorni segnino una nuova tappa nella vostra vita, come vi dicevo, per il bene della vostra anima e dell’Opera del Signore.

Pregate tanto per me; sapete quanto ne ho bisogno. Siate il mio respiro; quando vi dico qualche cosa e poi lascio andare è cattivo segno.

Ve lo ripeto, ascoltatemi. Anche un solo desiderio, un solo muover di ciglio. A questo il Signore legherà grandi grazie.

N.B. Letta da Don Giovanni in Noviziato, il 5 ottobre 1941

* LETTERA XXVIII 6 febbraio 1942

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi!

E’ sempre una grande gioia per me trattenermi qualche poco con voi anche solo con lo scritto, ma vi confesso che una gioia tutta particolare inonda il mio cuore, dovendovi scrivere in una straordinaria ricorrenza, che non possiamo lasciar passare sotto silenzio, voglio dire il decimo anniversario da quando fu approvata la nostra cara Congregazione, da quando, con Provvidenza del tutto singolare, senza che noi neppure vi pensassimo, fummo chiamati a Roma.

Due date importantissime per noi, o cari fratelli. Mi sono rimaste impresse nella mente le parole che ebbe a scrivermi un venerando Monsignore della nostra Diocesi, ora passato all’eternità, appena ebbe notizia di quanto era avvenuto: “Don Giovanni, adesso Lei ha il segno e il sigillo dell’approvazione di Dio. Vada avanti; avrà da patire, ma Dio sarà con Lei”. E’ proprio così, o cari! Quale felicità più grande che il sapersi nella santa volontà di Dio, approvati, benedetti, protetti da Lui! Approvata la Congregazione, sono con ciò stesso approvate le Regole, approvato lo spirito, il che significa tracciata per noi la via regia e sicura della nostra santificazione, a patto che corrispondiamo.

E che cosa dovremo fare per corrispondere? Amati fratelli, vi ripeto quello che ancora altre volte vi ho detto: ascoltare questo povero prete che la divina Provvidenza ha messo come Casante e Custode della sua Opera, e per questo, fino a che la divina bontà e misericordia mi tiene qui, fate gran conto di quello che vi dico, state attenti anche a un solo muover di ciglio, non fermatevi a guardare la povertà di chi vi parla, ma sollevando il vostro sguardo un poco al di sopra del capo e rimirando colui che, per quanto povero e meschino, rappresenta. Tante volte io parlo, e poi mi chiudo nel mio silenzio e lascio andare. Ma questo non è buon segno, e quale responsabilità, o cari! specie quando, terminata la nostra giornata, presentandoci al divin tribunale, vedremo che molti disegni del Signore su di noi e sull’Opera non si compirono per non avermi ascoltato.

E non solo dovete ascoltare me, ma anche quello che verrà dopo di me, e poi sempre. Questa ha da essere caratteristica dell’Opera: guardare al Casante, perché son certo e son sicuro che il Signore gli darà lumi e grazie speciali a bene dell’Opera in generale e dei singoli membri in particolare. E’ il Signore, o cari, che con cura e provvidenza specialissima dirige questa sua creatura, ed il Casante, per quanto povero, ne è il rappresentante, il suo portavoce. Per amor di Dio, viviamo questo spirito, perché il minimo cambiamento sposta lo spirito dell’Opera, come l’onda della “radio”, per la quale basta un minimo spostamento perché sia tosto perduta e non si senta più la trasmissione.

Mettiamoci dunque all’impegno, approfittando di questa circostanza solenne; cominciamo dal fare un serio esame di coscienza, e prima questo esame lo faccio io stesso, e dopo aver domandato perdono delle mie colpe offrirò a Dio questo ultimo scorcio di vita per fare con il suo divino aiuto tutto quello che Egli vorrà. Ma fatelo anche voi, o cari, umiliatevi, chiedete perdono e poi facciamo tutti dei fermi propositi per l’avvenire.

Oh, come è grande, o cari, l’Opera dei Poveri Servi, nella mente di Dio! Quali disegni la Provvidenza andrà man mano compiendo se noi, membri di questa creatura di Dio, vivremo secondo lo spirito puro e genuino che il Signore ha voluto dare!

Mi hanno sempre fatto grande impressione le parole del S. Vangelo, quando le leggevo nella S. Messa:” Non v’angustiate per la vostra vita di quel che mangerete o berrete; né per il vostro corpo di che vi vestirete; osservate gli uccelli dell’aria e i gigli del campo”. E quelle altre: “Quando vi ho mandato senza sacco e senza provviste, vi è mancato qualche cosa?” Gli dicono: No. E pensavo che la parola di Dio non muta, è vera adesso come allora. Perché queste forti impressioni in me, nel leggere questi passi del Vangelo? Si vede, o cari, che fino da allora il Signore manifestava che il nostro spirito doveva essere di pieno ed intero abbandono fra le braccia amorose della divina Provvidenza, specie nei momenti difficili di prova.

E poi siamo cenci, creta, disposti a tutto; da parte nostra totale nascondimento, certi che il Signore verrà Lui a cercarci e ci metterà anche sul candelabro se sarà per la sua gloria e per il bene delle anime; unico nostro pensiero sia di cercare il santo Regno di Dio e la sua giustizia, per mezzo dello studio pratico di Nostro Signore Gesù Cristo, cercando con il divino aiuto di essere tanti Vangeli viventi, pieni, traboccanti di carità per tutti, per tutte le anime: amici, nemici, buoni e cattivi, dotti e ignoranti, ricchi e poveri, sani e ammalati, giusti e peccatori, eretici e infedeli, perché tutti fratelli, rigenerati e ricomperati col Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, convinti che solo così, con la carità, con l’esempio nostro, con il nostro Credo vissuto, in modo da togliere ogni differenza fra quello che si crede e quello che si pratica, concorreremo a quell’unità per la quale Gesù benedetto ha tanto pregato e che ha auspicato prima di dare la sua vita sulla Croce; e questo, amati fratelli, mi sento che concorrerà a formare quell’ordine nuovo cui la nostra piccola Congregazione avrà gran parte, ma guai a noi, poveri noi se non avessimo a corrispondere: saremmo i traditori del Sangue di Dio! Pensiamoci bene.

Ma non basta, o cari, dobbiamo adempiere tutti i nostri doveri, osservare le gravi obbligazioni che ci siamo assunte con la Professione Religiosa. Fra gli uomini, quanto ci si tiene alla parola data! Ma noi, fratelli, abbiamo dato la nostra parola a Dio, ci siamo impegnati coi santi Voti. Se non li osserviamo, quale vergogna, quale confusione per noi, mentre tanti nel mondo senza voti servono il Signore così da essere la nostra condanna. Ma se li osserviamo, se vivremo la vita di povertà, di castità e di obbedienza, proveremo un anticipato Paradiso anche su questa terra.

E questo sarà anche il mezzo migliore per giovare ai nostri cari; nessuna ansietà per loro e per i loro bisogni; ho visto con l’esperienza di tanti anni che il Signore benedice loro a misura che noi attendiamo al compimento dei nostri doveri, alla ricerca del santo Regno di Dio. Quante volte ho detto anche agli antichi allievi che, corrispondendo alle grazie che ricevevano nella Casa, essi avrebbero meritato speciali benedizioni anche per i loro cari e per le loro famiglie. Questo, o amati fratelli, vale tanto più per voi: voi fate la vostra parte, e vedrete che il Signore farà la sua e aiuterà i vostri cari, spiritualmente e materialmente. Questo mio pensiero fatelo conoscere ai vostri parenti, che certo ne resteranno consolati, e la vostra vocazione sarà assicurata dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini.

Ma insieme col decennio dell’approvazione si avvicina pure quello di Roma, dove fummo chiamati per grazia particolare del Signore, affinché altri grandi disegni, oltre quello della Parrocchia, si compissero proprio nella Città che è il centro del Cristianesimo, dalla quale si irradia la luce del Vangelo in tutto il mondo. Voi ricorderete, o cari figlioli di Roma, che ho sempre detto che la Parrocchia era la porta per il compimento di questi disegni. Ricorderete pure come siete andati; proprio more Apostolorum, senza sacco e senza provviste; umanamente parlando non si sarebbe dovuto fare così, ma voi siete andati, affidandovi alla divina Provvidenza, avete lavorato e il Signore ha benedetto e fecondato le vostre fatiche; dopo S. Filippo si sono aggiunte altre anime fra le più povere e abbandonate, nella Borgata Gordiani e a Tormarancio; ed ora si sta mettendo le basi ad un’Opera come quella di S. Zeno per i fanciulli poveri ed abbandonati. Quanta gloria ne verrà al Signore, quanto bene alle anime! Ma altri disegni vi sono ancora, che compirete se perseverate in questo unico pensiero di cercare il santo Regno di Dio, abbandonandovi fra la braccia amorose della divina Provvidenza. Vi saranno delle difficoltà, Satana freme, ma non abbiate paura. Se Gesù è con noi, potremo sostenere ogni prova, superare ogni difficoltà.

In questo decennio altri rami sono spuntati dal tronco dell’Opera. La cara Casa del S. Cuore di Negrar, cellula divina, destinata a diventare grande, per accogliere nei suoi padiglioni tanti fratelli ammalati, che altrimenti resterebbero a languire, sprovvisti di mezzi per essere ricoverati in altri ospedali, con Suore, Infermieri e Medici nostri, per valorizzare così il più possibile la carità cristiana, unico mezzo per riportare nostro Signore Gesù Cristo nella società di oggi così turbata e sconvolta.

La Casa del Sacro Cuore è anche la sede dell’UMMI (Unione Medico Missionaria Italiana), che si è innestata con la benedizione del Vescovo e del nostro Visitatore Apostolico all’Opera dei Poveri Servi.

Quali disegni ha il Signore sopra di essa? Ancora non lo sappiamo, ma certo, se noi non metteremo ostacoli, potrà estendersi, e giovare immensamente alle Missioni in tutto il mondo. Pregate anche per questo.

Ed anche la cara Casa di Roncà, che avrebbe dovuto venire all’Opera oltre vent’anni or sono, ed invece fu data ad altri. Io ho lasciato fare al Signore. Vedete come noi dobbiamo abbandonarci a Lui: se noi corrispondiamo, nulla potrà ostacolare il compiersi man mano dei divini disegni. E a Roncà come si trovano bene i cari Novizi! Quanto giova alla loro formazione d’essere così isolati dal mondo! E voi pregate, affinché i Novizi, anche lasciando la Casa di Noviziato, vi tengano le loro radici per riceverne l’alimento per tutta la vita.

Anche Maguzzano, voi sapete come è venuto! Ostacoli sono sorti, e non pochi,ma il Signore ci ha aiutato a superare ogni cosa. A Maguzzano voi sapete che io vagheggio una grande Opera Sacerdotale; ma c’è bisogno di pregare e pregare molto, perché questo grande disegno si compia, a gloria di Dio e a bene della S. Chiesa.

Ma qui sento di dover aggiungere una parola anche per le buone nostre Sorelle; anch’esse sembra s’avviino ad una definitiva sistemazione e all’approvazione. Sono contento del buon spirito da cui sono animate; ora hanno la loro Casa Madre, ove c’è anche il Noviziato. Il Signore va piano ed è anzi caratteristica delle opere sue la lentezza, ma Egli a suo tempo matura i suoi disegni. Preghiamo che anche per le Sorelle si compia la santa volontà del Signore.

A tutti questi benefici, dobbiamo finalmente aggiungere quello del Visitatore Apostolico. Oh come dobbiamo essere grati al Signore che ce l’ha dato! Noi dobbiamo guardare a Lui e ascoltarlo, in tutto, perché il Signore gli ha dato e gli darà lumi speciali per il bene dell’Opera, e oltreché ascoltarlo, dobbiamo pregare per lui, che è il Messo, l’Inviato di Dio per noi, e di questo son certo, certissimo, perché ne ho avuti segni evidenti.

E allora per tutti questi benefici salga in questa grande, solenne circostanza, l’inno del nostro ringraziamento al Signore, dal quale tutti i beni procedono; desidero che l’ultimo triduo della Novena dell’Immacolata di Lourdes sia indirizzato a ringraziare di cuore il Signore, per le meraviglie compiute, per le grazie fatteci in questo decennio, e l’11 febbraio si canti in tutte le Case un solenne Te Deum.

Ma questo non ci deve bastare: la nostra vita soprannaturale, rinnovata e intensificata, sia il nostro migliore ringraziamento, e così anzi ci disporremo a ricevere sempre nuove grazie e nuovi favori.

Vi sono tanto vicino sempre, ma specialmente in questa ricorrenza; guardate che il vostro pensiero sia l’Opera, la vita dell’Opera; non guardiamo a noi stessi, noi dobbiamo scomparire. Ricordo sempre il monito, l’avviso del venerato e compianto mio Padre Spirituale, Padre Natale: “Santifichi se stesso, santifichi i membri, e l’Opera è assicurata. Che il Signore ci conceda questa grazia! Pregate tanto per me, seguitemi tutti in tutto, o cari, e che un giorno ci possiamo trovare insieme uniti nel S. Paradiso.

Vi benedico più col cuore che con la mano.

* LETTERA XXIX 15 maggio 1942

Mio caro Don Stanislao

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

A stento prendo in mano la penna per dire a te prima, poi a tutti i cari confratelli della Comunità romana, la mia povera parola in quest’ora speciale e per me tanto, ma tanto dolorosa.

In ginocchio, per il Sangue, la vita, la morte di Gesù benedetto Redentore nostro, vi raccomando di essere sempre tutti uniti nella carità di Cristo a S. Filippo. La parrocchia di S. Filippo deve essere il cuore della Comunità romana, e tutti i fratelli devono far centro a S. Filippo e dipendere nelle linee generali dal Parroco, che sei tu, caro Don Stanislao, specie nello spirito puro e genuino della nostra Congregazione, che deve essere spirito di gran carità, di umiltà, di obbedienza; cenci, creta, disposti a tutto; e questo non solo a parole, ma a fatti, essendo questo il fondamento dell’Opera del Signore per compiere i divini e nuovi disegni per mezzo della nostra piccola Congregazione, ma – ricordatelo bene, ma bene – grande nella mente di Dio.

Ah, quale responsabilità, che terribile responsabilità pesa su tutti noi, e specie sulla Comunità romana, se, nonostante tante grazie, e direi tanti miracoli da parte di Dio, noi non vivessimo dello spirito puro e genuino dell’Opera, che consiste nel pieno abbandono alla divina Provvidenza, nello studiare e aiutare nostro Signore Gesù Cristo, con l’unico pensiero della sua maggior gloria, avendo di mira le anime, tutte le anime per le quali il Signore ha patito ed è morto, convinti della nostra miseria, che noi, come noi non possiamo far altro che rovinare, e che solo con Lui, con la Sua grazia e con la nostra cooperazione per mezzo di una vita interiore, di sacrificio, di nascondimento, potremo fare grandi cose nell’ora attuale.

Caro Don Stanislao, sempre, ma specialmente ora, il Signore domanda Sacerdoti, religiosi, non importa il numero, perché il numero è formato dall’essenza di Sacerdoti, religiosi tutti pieni di Dio, del cielo, delle anime, Vangeli viventi. Per amor di Dio, che nessuno di noi venga meno nello spirito dell’Opera! Se qualcuno non si sentisse di avere questo spirito, per amore di Dio, se ne vada, prima di essere la rovina della sua anima e dell’Opera del Signore.

Gesù ha bisogno di strumenti umili, docili, obbedienti, pieni di fede: queste sono le vere ricchezze ed il segreto per compiere la divina volontà e far sì che la Congregazione dei Poveri Servi sia arca di pace, di salute a tutte le anime, a tutta l’umanità.

Mi è sfuggita la parola: se alcuno non si sente di vivere lo spirito dell’Opera, ma credo che questo non sia per nessuno, anzi dalle prove, dal furore che ha Satana contro di noi, dobbiamo tutti sempre più rinvigorirci dello spirito del santo Vangelo, di amare tanto Gesù e di servirlo fino alla morte.

Di gran cuore benedico tutti e mi raccomando alla carità delle orazioni.

* LETTERA XXX Pentecoste [24 maggio] 1942

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi!

Leggo sempre con mia grande edificazione le lettere settimanali che quell’anima d’apostolo che è Don Giovanni Rossi invia agli amici della Pro Civitate Christiana, ma mi fece particolare impressione l’ultima, perché mette in vivo risalto la realtà e anche perché ribadisce quei concetti sui quali anch’io amo spesso di ritornare. Vi ricordate, o cari, quante volte vi ho detto che noi, come noi, non siamo capaci di far altro che rovinare l’Opera del Signore; che dobbiamo essere conche e non solo canali, che il lavoro esterno deve avere le sue radici nell’interiore nostro, perché sia fecondo, e questo per tutti, ma in specialissimo modo per noi, Poveri Servi della Divina Provvidenza? Quante volte vi ho detto che dobbiamo cercare di stare nascosti; se il Signore vorrà, penserà Lui a metterci sul candelabro, ma per conto nostro cerchiamo l’ultimo posto, “buseta e taneta”, lontani dalle protezioni umane, saremo grandi se saremo piccoli, saremo ricchi se saremo poveri; anche se restassimo pochi, ma fossimo ripieni dello spirito di Dio, compiremo cose grandi. Che quindi siamo contenti di qualunque ufficio, alto o basso che sia, perché tutto è grande dinanzi a Dio, se tutto facciamo con grande amore per lui; contenti di cambiare, di rientrare nell’ombra, come di uscirne, se così vuole l’obbedienza, sempre umili, docili, dipendendo in tutto dai Superiori, ricordando che solo quello che facciamo con la loro benedizione avrà pure la benedizione di Dio. Non vi dico di più; pregate sempre, pregate tanto per me, ne ho estremo bisogno; non abituatevi a sentirvi dire queste parole, o cari, ed io di cuore vi benedico, invocando la grazia e la consolazione dello Spirito Santo.

Eccovi la lettera:

“Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma Dio ha dato l’incremento”. Molte volte tra noi si discute per trovare quale sia il metodo migliore per compiere un’apostolato moderno e sociale.

Ma se nella natura la semina del grano e l’irrigazione delle acque nulla vale, se Dio non manda il calore del sole a fare germogliare il chicco sepolto nel solco; così nel sopra natura la semina della parola di Dio e la irrigazione dei sudori apostolici non vale nulla se Gesù non feconda con lo Spirito Santo la parola, lo scritto, l’esempio dell’Apostolo.

L’unico metodo quanto antico, altrettanto nuovo per convertire le anime è quello che usarono Gesù medesimo, i primi Apostoli e tutti i santi evangelizzatori della fede: la preghiera.

Essa è come la saliva usata da Gesù, per formare il fango, con cui egli guarì il cieco nato.

La storia meravigliosa di tutti i Santi che apostolicamente compirono la loro vocazione sociale, non trova spiegazioni che nella loro pietà: non avevano altoparlanti e convertirono folle innumerevoli.

Mai abbastanza noi ripeteremo a noi stessi l’assioma evangelico: Quanto più pregheremo e tanto più efficacemente e largamente opereremo nel grande campo delle anime.

Le attività dell’apostolato spesso troppo ci assorbono e ci distraggono dalla contemplazione e dalla conversazione innanzi al Tabernacolo di Gesù Cristo.

Per questo noi molte volte arriviamo a sera stanchi ed affaticati, spesso amareggiati, disillusi, con le mani ed in cuore vuoti, perché abbiamo trascurato di pregare.

E’ inutile cercare nuovi metodi per fare l’apostolato.

Questo è l’unico, è l’insurrogabile, è l’onnipotente metodo con cui la grazia del Dio Redentore salverà il mondo.

Quanto più un’apostolo è impegnato in molteplici opere, tanto più si ricordi che ha la responsabilità di pregare.

“Senza di me non potete fare niente”, disse Gesù agli Apostoli nell’ultima grande sera dei suoi ricordi testamentari.

La preghiera è più necessaria all’apostolo che al Certosino.

Disse Gesù: “Io solo sono il Maestro”, e nessuno può rivelare alle anime la verità se nell’orazione non ha riempito d’olio la sua lampada, su cui si possa accendere la luce di Cristo.

Disse Gesù: “Io sono venuto a portare il fuoco in terra”, ma nessuno potrà incendiare il mondo se nell’orazione non è stato incendiato dalla vampa del suo Cuore.

Disse Gesù: “Io sono il medico”, e nessuno può arbitrarsi di curare le anime se non divenendo nell’orazione il balsamo del Buon Samaritano.

“Io sono la porta”, e nessuno può fare entrare un’anima nelle grazia e nella gloria se non divenendo nell’orazione la chiave con la quale Cristo apre.

Questa santa Pentecoste che ritorna, ci porti, per la intercessione della Madonna del Cenacolo il dono della pietà.

Quando in una Parrocchia o in una Comunità, la chiesa che è la casa dell’orazione è chiusa od è vuota, pur le anime sono vuote di grazia e chiuse alle glorie dell’Apostolato.

* LETTERA XXXI Settembre 1942

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi!

Eccoci arrivati anche quest’anno, per somma bontà e misericordia del Signore, ai santi Esercizi Spirituali, ed io desidero con tutto il cuore approfittare della propizia occasione per rivolgervi una parola, quale mi nasce spontanea nel cuore; non vi dirò cose nuove, no; sono le solite raccomandazioni, ma avvalorate dalla divina grazia spero portino grande vantaggio alle anime vostre.

E prima di tutto vi prego e vi scongiuro, o cari, di trar profitto da questo tempo veramente accettevole, da questi giorni di salute. Tempo accettevole, perché il Signore, che non disprezza mai un cuore contrito ed umiliato, accoglierà più benevolmente le lacrime che verseremo in espiazione dei nostri peccati, concedendocene un generale ed intero perdono, una plenaria indulgenza; giorni di salute, perché il Signore mette a nostra disposizione grazie innumerevoli ed anche straordinarie, mediante le quali non ci sarà difficile intraprendere quella riforma di noi stessi che è il fine principale degli Esercizi, e di cui dobbiamo sentire un bisogno tutto particolare in questa ora triste ed oscura che attraversiamo.

Che cosa ci riserverà l’avvenire, o cari? Noi non lo sappiamo; certo che le forze del male sono satanicamente organizzate e congiurate “adversus Dominum et adversus Christum eius”.

Non se ne vuol sapere di Dio, si vuole scalzare dalle fondamenta il suo Regno che è la Chiesa, negando il Soprannaturale, capovolgendo tutti i valori; la morale cristiana sembra abbia fatto il suo tempo; calpestando le leggi dello spirito si viene ad idolatrare il corpo vivendo peggio dei bruti, perché essi si regolano secondo l’istinto, creato da una sapienza infinita, mentre l’uomo, negando la ragione e la fede, si colloca ad un livello più basso degli immondi animali. Non c’è più fede, l’aria, si può dire, è infetta, e come l’aria penetra nelle case, nelle camere, nei ritrovi, dovunque, così il soffio della corruzione contamina tutto, i buoni stessi ne risentono, e corrono grandissimo pericolo. E noi, arricchiti di grazie specialissime come cristiani, come religiosi e come membri di quest’Opera del Signore resteremo indifferenti? Sarebbe la più grande sventura. Tanto più che è in mano nostra il rimedio, ed è questo: tornare indietro, attingere alle pure sorgenti del santo Vangelo, vivere la vita nostra come la vissero gli Apostoli e i primi cristiani.

Mi hanno fatto grande impressione le parole di un eminente personaggio francese, pure avverso alla nostra santa Religione, Clemenceau: ” Non ci sarebbe bisogno, egli disse, e non sarebbe neanche possibile alcuna rivoluzione, se i cristiani vivessero la loro fede”! Il che significa che anche noi, come parte della famiglia umana, siamo responsabili della durissima prova abbattutasi sulla povera umanità, non essendo vissuti come avremmo dovuto, e che c’è un solo mezzo per ripristinare l’ordine e porre rimedio a questa colluvie di mali: vivere la nostra fede.

Si è predicato tanto, si è discusso, si son tenute conferenze, si è fatto dell’apologetica, si sono stampati libri e riviste, ma questo non è che la cornice del quadro, occorrono gli esempi – exempla trahunt – all’esempio dei primi cristiani si convertivano i pagani. Spesso ci si illude quando le folle accorrono alla chiesa in certe circostanze; questo non basta ; è necessario evangelizzare l’individuo, formare la famiglia cristiana, rendere i fedeli consapevoli della loro fede; e tutto questo dipende da noi; perché irradiamo anche senza saperlo; come la radice porta la linfa fino alle ultime foglioline di un grande albero, così anche noi possiamo e dobbiamo portare la linfa di Nostro Signore Gesù Cristo “usque ad finem terrae”, alle anime che vivono agli estremi confini della terra.

Dinanzi agli esempi pratici, alla prova dei fatti e delle opere di carità secondo il Vangelo, disarmano anche i più ostinati avversari. Ed è solo così che potremo preparare il divino materiale per quell’ordine nuovo che solamente il Signore potrà fondare, nel quale, come altre volte vi ho detto, mi pare abbia una speciale missione da compiere la nostra umile Congregazione. Mio Dio quale responsabilità pesa sopra di noi, se non corrispondiamo, se rendiamo vani i disegni del Signore.

Ed ecco allora, o cari ed amati fratelli, il momento opportuno per fare un serio esame sopra noi stessi, per vedere se siamo vissuti con lo spirito genuino dell’Opera; revisione necessaria; anche adesso si fanno continue revisioni militari per dichiarare idonei o meno; dalla diligente revisione spirituale nostra, capiremo se siamo idonei strumenti per essere adoperati dal Signore o se siamo Religiosi solo di nome.

Ad esempio, quanto alla povertà, siamo fedeli nell’osservarla? Voi sapete che il voto ci toglie il diritto di possedere e disporre di qualunque cosa a nostro talento; quindi non possiamo né dare né ricevere, né appropriarci cosa alcuna senza il permesso.

Ma il voto è un mezzo per l’acquisto della virtù e la virtù della povertà ci deve portare ad un assoluto distacco da tutte le cose e da noi stessi; distacco che deve essere la caratteristica dei Poveri Servi, per i quali è specialmente l’insegnamento del Santo Vangelo: “Non vi angustiate di quel che mangerete o di che vi vestirete… quando vi ho mandati senza tasca e senza sacco vi è mancata qualche cosa?” Quindi, quando siete mandati in una Casa o vi viene affidato un ufficio, non portatevi con voi tante cose; accontentatevi di quello che troverete; sicuri che la divina Provvidenza non vi lascerà mancare niente del necessario. Così pure vi raccomando di non avere tante cose superflue o che sanno di ricercatezza, e pure in quelle necessarie mortificate la natura, accontentandovi di quello che la Provvidenza vi dà, per il cibo e per il vestito, per il letto e per quanto vi può occorrere, sempre disposti a soffrire talvolta la privazione di qualche cosa necessaria. Quelli che vivono nel mondo spesso ci danno lezioni di povertà da restarne confusi, senza farne il voto o la professione, e noi saremo così delicati da non voler nulla soffrire? Siamo dunque virtuosamente staccati da tutto, anche dalle minime cose, perché poco importa essere legati da una fune o da un semplicissimo filo, fosse anche d’oro; quando si è legati non si è liberi, né si può servire liberamente il Signore.

Vi raccomando poi di non essere facili a ricevere regali da persone estranee, specialmente in occasione di onomastico od altro. Se mai offrano non alla persona ma alla chiesa ovvero alla Casa. Sappiamo essere superiori a tante inezie che solleticano il nostro amor proprio e legano il cuore.

Un altro distacco è necessario e quanto so e posso ve lo raccomando, o cari, voglio dire il distacco dai parenti. I nostri parenti bisogna amarli, e noi gli ameremo se staremo fedeli al nostro spirito. Grandi dispiaceri possono portare i familiari. Fatta eccezione dei genitori teniamoci da essi lontani ed essi lontani da noi; vicini paralizzano il sacro ministero, specialmente se la loro condotta non è conforme a quanto insegniamo o predichiamo agli altri, ed anche per essi la nostra parola sarà più efficace se tenuti lontani. Se poi avranno dei bisogni, parlate con i vostri Superiori, perché la Congregazione non è matrigna, ma madre.

Guardate infine di non moltiplicare i motivi per recarvi da loro; le visite non necessarie ai parenti non giovano, ma nuocciono grandemente allo spirito.

E che vi dovrei dire a riguardo della bella virtù? Vi faccio solo una raccomandazione: “ab omni specie mala abstinete vos”! Non solo dovete guardarvi dal male, ma anche dalla sola apparenza di esso. I mondani sono guasti fino alle ossa e reputano tali anche gli altri. L’esempio d’una vita santa è un continuo e forte rimprovero per loro, quindi sono tutt’occhi per trovare l’appiglio per denigrare; e sapete che il male è creduto assai più del bene. Siate lampade accese, quindi mantenetele provvedute dell’olio della vita interiore; siate puntuali nelle pratiche di pietà, nell’osservanza delle sante Regole; evitate ogni mollezza, amate lo studio, il lavoro, la vita ritirata; che se per caso sul vostro cammino aveste ad incontrare qualche serio pericolo, apritevi con figliale confidenza con i vostri Superiori, con il vostro padre Don Giovanni che sapete quanto vi ama; per amor di Dio che il Demonio non vi tenti di tacere: sarebbe la rovina vostra.

E voi, cari fratelli, che dovete trattare con i ragazzi, pensate che ogni anima è un capolavoro di Dio; quindi vi raccomando tanto date buon esempio, non permettetevi nessuna confidenza, state al vostro posto; se discendete a qualche bassezza, avete perduto ogni prestigio, ogni autorità, non avrete più il coraggio di correggere e di rimproverare alcuno.

Non entrate nel santuario della coscienza; la coscienza la formerete con il vostro buon esempio, con la preghiera. E siate vigilanti, pregate, sacrificatevi, per tenere lontano il peccato dalle anime dei giovani a voi affidati. Per impedire anche un solo peccato, specialmente nella Casa del Signore, ricordatevi che sarebbe bene spesa anche l’intera vita.

Quanto poi all’obbedienza, voi sapete che questo è il voto più prezioso dei precedenti, perché se con la povertà si fa un sacrificio delle nostre cose, e con la castità si dona al Signore il nostro corpo, invece con l’obbedienza s’immola la nostra libertà, per cui la Sacra Scrittura dice: “l’obbedienza è migliore di qualunque vittima”. Ricordate le parole del santo Pontefice Benedetto XIV: “Datemi un religioso che osservi esattamente le sue Regole ed io lo canonizzerò ancor vivente”.

Quanta pace, quanta sicurezza avrà in punto di morte il Religioso obbediente! Non importa se non ha fatto cose grandi: se può dire di aver sempre obbedito, egli non avrà nulla da temere. Pur così povero e miserabile come sono, una delle più grandi consolazioni per me è questa, di aver obbedito sempre al mio Padre Spirituale.

Siate docili, cioè facili e pronti a qualunque ordine dei vostri Superiori, disposti a tutto, ad incontrare un lavoro, ad abbracciare un ufficio anche contro il vostro genio, perché farete acquisto di grandi meriti. E in quello che fate dipendete, state uniti con i vostri Superiori; in essi non guardate l’uomo ma il Signore, e la cosa vi riuscirà facile se vi abituerete a mirare le persone tre dita più in su del capo.

Vi raccomando poi tanto la carità; i Poveri Servi devono attuare la grande parola di Gesù: “Ut unum sint”. Siate una cosa sola, fra voi e con i vostri Superiori. Aiutatevi, compatitevi, usate belle maniere, rendetevi scambievolmente servigi; portate gli uni i pesi degli altri: “omnia vestra in caritate fiant”. E procurate di togliere tutto quello che potrebbe turbare la carità, l’unione e la pace tra fratelli; non tramonti il sole sulla vostra ira, ritorni tra voi la pace momentaneamente turbata, e fatelo con vero spirito.

In particolare guardatevi dall’appassionarvi della politica. Vi proibisco anzi di parlarne e farne discussioni. L’Apostolo dice che a noi tocca di obbedire e sottostare alle autorità costituite; stiamo, se mai, con l’indirizzo che ci viene dal S. Padre, il Vicario di N. S. Gesù Cristo, che noi come Religiosi dobbiamo obbedire più che i semplici fedeli. La nostra politica è quella del S. Vangelo: Dio e le anime, la santificazione nostra e dei prossimi. Chi mancasse su questo punto darebbe prova di non conoscere e di non possedere lo spirito dell’Opera. Quindi vi raccomando di non leggere troppe riviste e giornali, di non perdere troppo tempo in chiacchiere e conversazioni mondane, di non abusare della radio, che è appena tollerata nelle nostre Case e il cui uso voglio sia regolato dal Superiore d’ogni Casa e con intera dipendenza da lui e a lui lascio la responsabilità.

Vi raccomando lo spirito di fede e la santa umiltà, l’amore dell’Opera; in tutto quello che facciamo apparisca l’Opera, noi dobbiamo scomparire.

Santificate il vostro tempo; coltivate l’unione con Dio, che è il segreto per far del bene e meritare la divina protezione, specie in quest’ora; a proposito della quale mi piace riportarvi le seguenti gravi parole del santo Arcivescovo di Firenze, che meritano di essere ben considerate da tutti: “Non voglio essere un profeta di sciagure: ma se il fosco presente fosse foriero di un fosco avvenire, se tempi gravissimi si preparassero per la Chiesa e per i suoi Ministri, vi saremmo noi preparati? E perché nell’attesa non ritempriamo le nostre armi spirituali nel silenzio, nella preghiera, nella meditazione?…” Prima di chiudere questa mia lettera, vi domando la carità delle vostre preghiere; Dio solo sa quanto ne ho bisogno, perché le anime e le opere di Dio costano. Nella mia povertà sempre vi ricordo e se anche lontani vi seguo passo passo, mi sembra di vedervi, e per voi, o cari, offro al Signore preghiere e sofferenze. E pegno della mia benevolenza sia la benedizione che ora vi do più col cuore che con la mano, con l’augurio di trovarci tutti nel santo Paradiso.

Penso di richiamarvi qui alcune cose, piccole se volete, ma di grande importanza; voi vedete che vi sono dei forellini aperti e vi prego e scongiuro di volerli chiudere subito.

1) – la bicicletta: i Sacerdoti la usino con molta discrezione e solo per disimpegno del sacro ministero; i Fratelli solamente per viaggi non troppo lunghi.

2) – Non partecipate a giochi che non s’addicano alla gravità sacerdotale e religiosa, come quello delle carte.

3) – Nessuno fumi per nessun motivo.

4) – Nessuna cultura dei capelli; tutto spiri semplicità, serietà, proprietà, pulizia e non altro.

5) – Non usare macchine fotografiche senza il permesso del superiore, chiesto di volta in volta. Volerla usare troppo di spesso saprebbe di mondanità. Nemmeno partecipate a gruppi fotografici nei quali entrino persone di sesso diverso, anche se in occasioni di Prime Comunioni, di riunioni di Azione Cattolica od altro. Siate prudenti.

6) – Esaminate se nelle vostre stanze avete delle cose inutili, spogliatevene per amore del Signore.

7) – Fra tutte le regole vi richiamo quella di recitare la preghiera e ricevere la benedizione prima di uscire e dopo rientrati e quella del silenzio maggiore. Dopo le orazioni della sera state al vostro posto, evitate di parlare tranne che per assoluta necessità e allora fatelo sottovoce. Anche nei laboratori si eviti ogni lavoro in questo tempo.

* LETTERA XXXII S. Quaresima 1943

Carissimi fratelli in Cristo

Sono qui seduto al mio tavolino, davanti al mio Crocefisso, via, verità e vita; e penso tanto a voi, amati e cari fratelli, che avete la grazia grande, grandissima – che solo in Paradiso potrete apprezzare – di appartenere a quest’Opera che il Signore, per tratto speciale di Sua bontà e misericordia, ha suscitato in questi turbolenti e tristi tempi per scuoterci, per richiamare a sé l’umanità; questa povera umanità, la quale, per avere abbandonato Lui, la sua legge, fidando in se stessa e abusando di quei doni che ha dal Signore, anche naturalmente, per la felicità della vita presente, ha dimenticato che solo da Lui tutto riceve; e che i doni e le ricchezze della vita presente, sia nell’ordine naturale come soprannaturale, non ci sono dati che per arrivare alla vita eterna, a Dio, fine unico della vita presente.

Cari fratelli, quanto dobbiamo essere grati al Signore per tale divina chiamata! Ma quale responsabilità insieme incombe su tutti e ciascuno, se noi non viviamo di quello spirito puro e genuino che il Signore ha messo in quest’Opera e che è la sola ragione della sua esistenza, della sua vita, per compiere i grandi, grandissimi disegni che la Provvidenza vuole attuare!

E’ per questo che sento forte e impellente il bisogno di scrivere a voi tutti questa mia lettera, che vorrei fosse quasi il mio testamento e la magna charta, affinché questa Opera del Signore venga protetta e difesa dalle arti sataniche che il demonio in mille modi e in mille maniere tenterà di adoperare perché non sia come Gesù, padrone assoluto, la vuole.

Amati fratelli, prima condizione, meditiamolo bene, perché l’Opera viva e possa compiere i divini disegni, si è che noi siamo e viviamo all’altezza della nostra vocazione. Ogni altra Opera potrà vivere anche se in qualche cosa vien meno; ma noi no: o viviamo come Dio vuole, o altrimenti si muore.

Dio mio, che responsabilità! Fratelli, attendiamo alla nostra personale santificazione, dando una grandissima importanza alla vita interiore: la S. Meditazione, la Lettura Spirituale, la Visita al SS. Sacramento, la continua unione con Dio, indirizzando tutte le nostre azioni alla maggior gloria di Dio e a bene delle anime.

Fratelli, lasciate tutto, ma non lasciate mai le pratiche di pietà; siate conche e canali, ma prima conche. Non si può dare se non si ha; e il Signore dà in abbondanza a coloro che da Lui tutto attendono. Fratelli, per amor di Dio, fate conto, gran conto di queste povere parole: povere perché passano attraverso un misero e povero canale, ma sono sempre parole di Dio, e che, fino a quando la misericordia e la bontà di Dio mi tiene qui a Casante e Custode di quest’Opera, voi avete il sacrosanto dovere di ascoltare e di mettere in pratica; tutto vi dico a bene delle vostre anime prima di tutto, e poi per mantenere l’Opera su quel binario che la Provvidenza ha assegnato. Su questo binario deve correre per compiere i grandi e divini disegni che fin dall’eternità il Signore ha preveduto.

Fratelli cari, l’Opera non è dell’uomo, ma di Dio; è nata, come tante volte ho detto, nel S. Cuore di Gesù, sotto il manto e la protezione della Vergine Immacolata. Quelle cariche che ho scritto venticinque anni fa, guardate che non sono scritte a caso; è il Signore che le ha volute così, perché noi esercitiamo la fede e il pieno abbandono in Dio, ricorrendo a Lui e a i suoi Santi, nelle nostre necessità e bisogni. Il Signore, o miei cari, è attivo con noi; e i Santi sono validi e potenti intercessori, che, se pregati con fede, ottengono quello che gli uomini, i grandi uomini, non possono ottenere.

Tutte le opere sono del Signore; ma, ricordatelo bene, ciascuna opera ha la sua impronta, la sua fisionomia; impronta e fisionomia che le dà il Signore; e a questa si deve stare. La nostra Opera, l’Opera dei Poveri Servi, ha dal Signore una impronta e una fisionomia tutta speciale, tutta propria dei tempi presenti; guai se la si cambiasse! sarebbe la rovina e la morte dell’Opera. E quindi il demonio, grande spione, sta attento, ha cercato e cercherà di fare che questa impronta e questo spirito puro e genuino dell’abbandono in Dio e nella sua Provvidenza si sposti; attenti! perché basta un minimo, un istante per cambiarlo: come negli apparecchi radio un leggero spostamento basta a far perdere l’onda e la trasmissione.

Fratelli cari, l’Opera deve essere una grande luce, un sole che mostra a tutti la divina Provvidenza, che Dio esiste e pensa a noi, e che la sua parola, la divina sua parola, non vien meno, mai. Cercate, ha detto, cercate il regno di Dio e la sua giustizia, e avrete in soprappiù tutte le altre cose.

Dunque niente ansie, niente pensieri per le cose terrene, niente angustie; le cose terrene verranno di certo, anche dalle pietre, dai sassi, a patto che noi cerchiamo il Signore, la nostra santificazione, le anime, tutte le anime, specialmente quelle più derelitte, le più abbandonate, le più povere: queste sono le gemme, queste formano il nostro patrimonio. O si crede o non si crede, e allora si stracci il Vangelo. Ci saranno certo dei momenti di prova, dei momenti difficili; ma i momenti difficili sono i momenti di Dio; allora, più fede, più preghiera, più amore al Signore, e la prova sarà coronata, e la nostra fede sarà premiata.

L’Opera è grande se sarà piccola, sarà ricca se sarà povera; avrà la protezione di Dio se non cercheremo quella degli uomini. Io ho sempre visto l’Opera come un grande campo, con tante sementi in mano del divino Agricoltore; sementi che Egli spargerà se il terreno sarà ben arato, ben coltivato. Queste sementi nasceranno e diventeranno tante piante, diverse piante, e ciascuna darà dei grandi frutti. Fratelli, vi è bisogno di luce, di sale nel mondo; v’è bisogno di amore, di carità: v’è bisogno di fede; e l’Opera sarà luce, sarà carità, sarà amore, se sarà come Dio la vuole, e come l’ha fondata, e come a noi l’ha affidata perché gelosamente la custodiamo, la facciamo vivere e progredire, a bene delle anime. Quanto so e posso vi raccomando l’esercizio delle virtù: la santa umiltà: chi vuole essere il primo tra voi si faccia il servo di tutti. Tutti fratelli, siano Sacerdoti o no, una sola persona. Fratelli e Sacerdoti: cuore e braccia, o meglio anima e corpo, disposti a tutto, perché tutto è grande nella famiglia di Dio. Non perdiamo mai di vista l’esempio del divino Sacerdote Gesù: trenta anni a Nazareth, tre anni di apostolato, ma sempre coadiuvato e assistito da fratelli, che erano gli Apostoli e i discepoli.

Tutto per il Signore; guardate che questa è la caratteristica sicura dell’Opera; così l’ha voluta e la vuole il Signore. Umiltà, carità; lungi dunque la divisione, la mormorazione, l’invidia; nei Superiori vedere il Signore e ascoltarli e mettere in pratica e obbedire, non per servilismo né per politica, ma per virtù soprannaturale. Il Custode e Casante di quest’Opera, presente e futuro, deve essere come un gran padre di famiglia; e dal Signore avrà sempre lumi e grazie particolarissime per dirigere quest’Opera e compiere quello che vuole il Signore; e tutti devono ascoltarlo.

Guardate che quello che avete, quello che il Signore ci dà, lo abbiamo in vista dell’Opera, dunque noi dobbiamo scomparire; quello che deve manifestarsi è l’Opera. E quando dico l’Opera, intendo specialmente il tronco e non i rami; e il tronco, l’Opera deve partire da S. Zeno in Monte: questo fu il terreno dove Iddio, Padrone assoluto, ha messo la semente di quest’Opera. Io credo che se noi staremo sulla nostra strada, andremo usque ad finem terrae.

Fratelli, umiltà, carità, fede! tutto per Gesù, con Gesù, per Lui, per le anime! siamo poveri servi, siamo miseri strumenti nelle mani di Dio.

L’Opera è composta di Sacerdoti e Fratelli, come ho detto; ma tanto gli uni come gli altri con lo spirito apostolico; i Sacerdoti sono sempre stati il palpito del mio cuore fino dai primi anni del mio sacerdozio. Oh come vorrei poter tornare indietro per riparare e vivere come sono vissuti gli Apostoli e tanti Sacerdoti santi! Spesso rileggo le parole che ho scritto nel mio diario trenta anni fa riguardo ai Sacerdoti futuri dell’Opera; allora ero solo, e sentii tutta la grandezza e la caratteristica dei Sacerdoti dell’Opera, che devono formare un tutt’uno con i fratelli; ecco le parole: “La barca non può andare senza remi, ci vogliono i remi, e questi saranno i Sacerdoti cresciuti e formati con lo spirito dell’Opera. Un Sacerdote, sia pure santo, ma che non abbia lo spirito dell’Opera, sarà all’Opera stessa di danno e rovina se restasse. Mio Dio, quale responsabilità!” Viviamo lo spirito nostro. Non mi attrae la quantità, sì bene la qualità; i pochi faranno i molti; un Fratello, un Sacerdote, con lo spirito puro e genuino dell’Opera, suppliscono a cento e più ancora. Il nostro organismo che forma l’Opera, deve essere tutto soprannaturale: solo così può espandersi e compiere quello che il Signore vuole.

Fratelli cari, sforziamoci di essere, con la grazia di Dio, differenti da tanti altri; viviamo e mutiamo in succo e sangue le nostre sante Regole. “Buseta e taneta”, nascosti sotto terra, se ci sarà bisogno penserà il Signore a metterci sul candelabro. Noi no, no, no. Di una sola cosa io ho paura, e che può rovinare l’Opera: il non vivere secondo lo spirito puro e genuino, e il peccato. Solo questo; tutto il resto concorrerà a compiere i grandi, divini disegni, e se domani avvenisse qualunque cosa, state certi che il Signore stesso, magari con un miracolo, verrà incontro alla sua Opera; e sono convinto che i carismi dei primi tempi della Chiesa il Signore ce li darà anche adesso, se noi stiamo al nostro programma e viviamo il nostro spirito.

Siamo ormai nella S. Quaresima, tempo di orazione e di penitenza.

Fratelli cari, ricordiamoci che i peccatori si convertono con la penitenza; e noi l’abbiamo il modo di far penitenza, adattandoci ai sacrifici inerenti alla nostra vocazione, osservando le Regole e gli avvisi dei Superiori: “Mea maxima paenitentia, vita communis” diceva quel santo. La Chiesa, nostra Madre benigna, usa una larghezza grande in questi tempi difficili; ma questo non ci dispensa dall’obbligo e dal bisogno che abbiamo di far penitenza.

La Madonna stessa, comparendo a Fatima, venticinque anni or sono, come aveva fatto a Lourdes, ha esortato alla penitenza per propiziare la divina misericordia sul mondo tutto. Facciamo dunque la nostra penitenza, mortifichiamo sopratutto la volontà, “la razionale”, diceva S. Filippo; diamo ai nostri Superiori “tre dita di testa” e avremo portato il nostro contributo all’Opera e al mondo intero. Cerchiamo di sentire questo bisogno di penitenza anche corporale, prima per noi, per i nostri peccati, e per la carità verso i fratelli che penano tanto in questa ora di prova per tutti.

Ora di giustizia e insieme di misericordia da parte del Signore, che per mezzo di tanti dolori intende di sanare la povera umanità.

Pregate tanto per me, che il Signore mi perdoni tutti i miei peccati. Io pure pregherò per voi, come faccio da tanti anni: “Ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem te in saecula saeculorum, amen”.

Paternamente vi benedico.

P.S. – Vi ricordo ancora una volta alcune norme che vi ho dato: piccole ma grandi cose: Non fumare, capelli a posto e senza ricercatezza, non accettare inviti a pranzo, non usare la bicicletta se non per ministero e col debito permesso (questo per i Sacerdoti), non farsi fotografie in gruppi con persone dell’altro sesso, non assumere troppo facilmente direzione e paternità spirituale di certe anime (quanto giova il dipendere dal Superiore!), non accettare di massima regali personali, specialmente da anime che si dirigono nello spirito. Sono piccole cose, direte, ma per me sono di grande importanza, e se alcuno non si sente, può andarsene. Ma io spero che ciò non avvenga, che tutti, come sempre, farete gran conto della mia povera parola, interprete della santa volontà di Dio per noi e per l’Opera.

* LETTERA XXXIII 8 dicembre 1943

LA PAROLA DEL PADRE

Leggete e praticate queste mie povere parole, che vi dico quali mi nascono spontaneamente nel cuore, a none di Gesù benedetto, Padrone assoluto dal quale dobbiamo in ogni cosa dipendere, come povero Casante e custode di quest’Opera dei Poveri Servi della divina Provvidenza, per propiziare per noi e per i fratelli nostri la misericordia divina nella grave ora che incombe su tutta la povera umanità.

Quanto so e posso vi raccomando:

Siate fedelissimi alle pratiche di pietà: Santa Meditazione, Lettura Spirituale, S. Messa, S. Comunione, Rosario, ecc.

“Lasciate tutto ma non trascurate le pratiche di pietà”: sarebbe la vostra e l’altrui rovina.

Coltivate la vita interiore: state uniti a nostro Signore come il tralcio alla vite: ricordate la parola di Gesù: “senza di me non potete far niente”. E’ vero dobbiamo far tutto come se tutto dipendesse da noi: ma al tempo stesso ricordiamoci di non essere altro che “servi inutili”.

Osservate le Sante Regole, espressione della santa volontà di Dio, quindi condizione indispensabile per raggiungere la vostra santificazione, fine supremo della vita religiosa; in particolare vi raccomando il silenzio maggiore; quando è giunta l’ora ritiratevi nelle vostre stanze e non trattate d’altro. Nel silenzio parla il Signore. Il troppo parlare svuota la vostra anima dello spirito buono: ricordate il monito dello Spirito Santo: “c’è il tempo di tacere e il tempo di parlare”.

Vi raccomando la grande predica del “buon esempio” in Casa e fuori; che tutti s’avvedano che voi siete Religiosi, e Religiosi speciali; voi non avete nessuna divisa, la vostra divisa, il vostro distintivo deve essere la virtù, dimostrata nel modo di comportarvi, nel conversare, nel trattare affari, ecc.; ma guai a chi desse cattivo esempio, specie coi ragazzi! Meglio sarebbe piuttosto morire! Mio Dio, quale responsabilità! Iddio ci preservi da tanta sventura!

Vi raccomando tanto la “carità”; regni sovrana nei vostri cuori; la nostra carità sia soprannaturale, sia universale, che ama tutti senza distinzione alcuna, ma specialmente i più poveri, i più abbandonati, i vecchi, i malati, i peccatori; queste sono le gemme di cui deve arricchirsi e che deve cercare la nostra Opera; sopratutto “carità fraterna”: aiutatevi, compatitevi a vicenda, nessuno si permetta di fare critiche e mormorazioni; dov’è la carità c’è Dio, la sua grazia, il suo spirito; cercare il Regno di Dio significa insieme sforzarci che regni sempre e in tutti la carità.

Ricordatevi che il vestito, la corona, il Crocefisso, sono belle e sante cose, ma non sono esse che fanno il vero religioso, bensì la santa vita; altrimenti questi oggetti saranno la nostra condanna al divin Tribunale. Fate, o dirò meglio, facciamo un serio esame di coscienza, guardando dove abbiamo bisogno di correggerci, riformando nella nostra condotta ciò che deve essere rimediato, e con la grazia del Signore mettiamoci all’impegno per farci santi; il continuo richiamo di Dio nell’ora presente ci sia di stimolo efficace, e coopereremo così perché siano abbreviati i giorni della prova, e sia affrettata l’ora del perdono, della misericordia e della pace. Così sia.

* LETTERA XXXIV 20 gennaio 1944

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

A chiusura della presente ottava di preghiere (18-25 gennaio) per il ritorno dei Fratelli dissidenti all’unica vera Chiesa, nella nostra Cappella di S. Zeno in Monte, terremo un solenne Triduo di adorazione Eucaristica, precisamente nei giorni 23, 24, 25 corr. Nel comunicare questa notizia a quanti condividono le ardenti brame di fede e di amore a Gesù, per noi continuamente presente nel Sacramento del Suo amore, domandiamo la loro partecipazione, almeno spirituale, in fraterna carità di preghiere.

Non possiamo certo rimanere indifferenti dinanzi all’immensa moltitudine di fratelli che da secoli vivono separati dall’unico ovile di N. S. Gesù Cristo; ma oltre a ciò, chi non vede l’importanza e la necessità della preghiera in questi momenti di trepida ansia, nei quali si fa sempre più vivo ed insistente l’invito di Dio a piangere i propri peccati e a fare degna penitenza, che importi sopratutto un sincero ritorno all’osservanza della divina legge? Per questo anche noi preghiamo, per questo invitiamo molti ad unirsi con noi, ricordando la solenne promessa di Gesù: “Vi dico che se due di voi si accorderanno sopra la terra a domandare qualsiasi cosa, sarà loro concessa dal Padre mio che è nei cieli” (Matteo 17, 19).

Ringraziando a nome di Gesù Benedetto del contributo che si vorrà portare alla buona riuscita del Triduo, auspicando l’unificazione della grande famiglia cristiana in un solo ovile sotto un solo Pastore, ed inoltre facendo voti che esso valga ad abbreviare i giorni della prova e ad affrettare l’ora della pace, benedico.

* LETTERA XXXV 22 febbraio 1944

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Mi sento fortemente spinto ancora una volta a dirvi una parola, a farvi una calda raccomandazione; mi pare sia proprio il Signore, che sia proprio la Madonna a volerlo; la parola è questa: Dio continuamente ed insistentemente ci chiama tutti, e specialmente noi religiosi, sacerdoti e cristiani, alla piena osservanza della sua divina legge; ma finora purtroppo a questa divina misericordiosa chiamata non si è dato ascolto, si continua ad offendere il Signore anche sotto il suo severo castigo.

Lo si offende nella profanazione della festa, nelle orribili bestemmie, nell’immoralità più sfacciata; le chiese sono ancora deserte, affollati invece i luoghi di divertimento e di peccato, Il santuario della famiglia così spesso profanato, superbamente calpestata la santa legge del Signore e tutto ciò nonostante tanti dolori, tante tribolazioni e rovine.

Cari fratelli, bisogna che tutti, e specialmente noi, umiliandoci sotto la potente mano di Dio che ci castiga per correggerci, facciamo innanzi tutto un serio esame di noi stessi; non siamo facili a crederci senza colpa, mentre l’Apostolo S. Paolo diceva umilmente di se stesso: “Di nulla sono consapevole, ma non per questo posso dire di essere giustificato; chi mi giudica è il Signore”.

Ricordiamoci che il servo del Vangelo fu condannato solo perché non aveva trafficato il talento ricevuto dal suo Padrone. Mio Dio! quale e quanta materia di seria riflessione! Facciamo noi tutto il bene che potremmo e dovremmo fare? ed anche quel poco di bene che crediamo di fare, come lo facciamo? non vi ha nessuna parte l’amor proprio, la naturale inclinazione? abbiamo di mira sempre e solo la gloria di Dio, il bene delle anime, la nostra santificazione? Come traffichiamo il prezioso talento della nostra speciale e santa vocazione?

Ma v’è anche un altro punto da considerare, molto importante. Noi facciamo parte della grande famiglia cristiana ed umana, ed allora anche i peccati commessi dagli altri non possiamo credere che non ci riguardino affatto. Anche noi possiamo avere in essi la nostra parte di responsabilità. Forse non abbiamo fatto nulla per impedirli almeno in parte, forse noi stessi vi abbiamo influito con cattivi esempi, trascurando la preghiera e le grazie del Signore, per cui dovremmo far nostra l’umile preghiera del santo Re David: “Ab occultis meis munda me, Domine, et ab alienis parce servo tuo”.

Ma anche se non avessimo parte alcuna nei peccati dei fratelli, mossi da atto di carità, dovremmo prenderne sopra di noi il compito della riparazione e della espiazione, sull’esempio di Gesù, che, essendo l’innocenza stessa, ha presa sopra di Sé la responsabilità dei nostri peccati, che volle espiare versando fino all’ultima stilla il suo preziosissimo Sangue.

Consapevoli pertanto della nostra parte di responsabilità, ci verrà spontaneo il fermo proposito di rinnovarci spiritualmente, di vivere e di essere come il Signore ci vuole. “Così risplenda la vostra luce, Egli ci dice, dinanzi agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli”.

Purtroppo il popolo cristiano ha perduto il ricordo della sua origine divina, il significato e lo scopo della sua vita, non stima più la grazia di Dio, perché più non la conosce.

Cari ed amati fratelli, a noi incombe un grande dovere, per noi e per gli altri; bisogna che ci santifichiamo, e santificando noi stessi, santificheremo la nostra Congregazione, le anime che la divina Provvidenza ci fa avvicinare, la nostra città, la Patria nostra, il mondo tutto. “Unicuique mandavit Deus de proximo suo”.

E per questo mi sento di dirvi che in tutte le nostre Case si faccia una solenne Novena al Cuore Immacolato di Maria, pregandoLa di mettersi Mediatrice nostra presso il trono del suo divin Figliolo, pregandoLa che ci ottenga in primo luogo la grazia di rinnovarci tutti, modellando la nostra vita sulla vita dei primi discepoli di Cristo e degli Apostoli. Credete che esempi simili produrrebbero anche oggi i medesimi effetti: i nostri fratelli anche più lontani, cui non arriverebbe il suono della nostra voce, si daranno vinti, non potendo resistere alla luce e alla forza dei nostri esempi. Deh che questa Novena, che termineremo, a Dio piacendo, la prima domenica di marzo al Santuario della Madonna di Campagna, ivi invocata col dolce titolo di Madonna e Regina della Pace, ci ottenga, dopo il rinnovamento di noi stessi, il grande dono della pace, di una pace giusta e duratura basata sugli eterni principi del S. Vangelo. Ricorriamo con illimitata fiducia a Colei che è la Madre di Dio ed insieme la Madre nostra, il Rifugio dei peccatori, la Consolatrice degli afflitti, l’Aiuto dei cristiani.

E’ vero, nessun accenno appare ancora di una pace vicina; ma ricordate ciò che avvenne al tempo del profeta Elia? Da tre anni e mezzo, per giusto castigo di Dio non cadeva goccia di pioggia sull’ingrata terra d’Israele, che aveva abbandonato il Signore per darsi in braccio all’idolatria. Il Profeta mosso a compassione del suo popolo, supplicò sette volte il Signore, umilmente prostrato nella polvere, a concedere finalmente la pioggia tanto sospirata.

Levatosi ad osservare il cielo dalla parte del mare, scorse una piccola nuvoletta in fondo all’orizzonte, e tosto, sentendosi esaudito, a chi gli stava da presso: “Io odo già, disse, il fischio rumoroso di grande pioggia”. Il cielo infatti si oscurò, le nubi turgide si aprirono e cadde una pioggia abbondantissima, che pose fine alla carestia e alla grande prova del Signore.

In questa nuvoletta, miei cari fratelli, è raffigurata Maria. Più volte il Santo Padre ci invitò ad invocarla, specialmente nei mesi di maggio e di ottobre; l’altr’anno volle consacrare il mondo intero al Cuore Immacolato di Maria nella fausta ricorrenza del venticinquesimo delle Apparizioni di Fatima. Anche il nostro amatissimo Vescovo spesso ci ha esortato a ricorrere a Maria: che questa solenne Novena rappresenti la settima preghiera del Profeta, dopo la quale il Signore, placato dalla materna intercessione di Maria, faccia spuntare l’arcobaleno della pace, dandoci insieme la grazia di vivere una vita veramente cristiana, religiosa, sacerdotale, mediante la quale soprattutto potremo utilmente ed efficacemente lavorare per il bene delle anime, fino a quando Egli ci concederà l’ultima delle grazie, quella di entrare al possesso dell’eterna gloria, scopo e premio del terrestre pellegrinaggio, nella celeste Gerusalemme, nella vera nostra patria, il santo Paradiso.

Pregate tanto per me che sempre vi ricordo e benedico.

P.S.

1) La Novena comincerà per noi venerdì 25 febbraio e terminerà il giorno 4 marzo, primo sabato del mese. Durante la Novena si reciteranno le seguenti preghiere: S. Rosario, Coroncina al Cuore Immacolato di Maria – Benedizione Eucaristica.

La funzione di chiusura (4 marzo) si farà al Santuario della Madonna di Campagna, col seguente orario: ore 7.30 Messa solenne e cantata con discorso e Comunione generale. Nella funzione serale, dopo il Rosario, canto del Miserere, preghiera di Consacrazione al Cuore Immacolato di Maria del S. Padre Pio XII.

2) Penso sia cosa buona che molti si uniscano, almeno in spirito, a questa nostra solenne Novena, e perciò esorto a diffondere la notizia specialmente tra gli Istituti Religiosi. Il Signore accolga la nostre suppliche e le esaudisca.

* LETTERA XXXVI Maggio 1944

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano con noi sempre, ma specialmente in questo bel mese di maggio, dedicato tutto alla devozione verso la nostra cara Mamma dei Cielo, la Madonna. Ogni anno vi esorto a passarlo degnamente, per onorare nel miglior modo possibile Colei che nelle nostre “Cariche Perpetue”, come sapete, è costituita Patrona della Casa e dell’Opera; con maggior ragione mi sento spinto a farlo quest’anno che purtroppo segna il quinto maggio di guerra. Rovine e afflizioni, lutti e dolori d’ogni genere si sono andati moltiplicando nel mondo con un ritmo spaventoso, apocalittico, e da più mesi il turbine devastatore si è abbattuto anche sulla nostra Patria diletta.

E’ il Signore, o cari, che fortemente tutti ci chiama, ma purtroppo non si ascolta; sì, questa che io non chiamo guerra, ma che è un generale sconvolgimento, un immenso cozzo di errati principi e sistemi che hanno scardinato l’umanità, portandola fuori dagl’immutabili ed eterni principi dell’ordine, ha nel piano di Dio una finalità speciale, come l’ebbero il diluvio, l’incendio di Sodoma e Gomorra, le guerre e le pubbliche calamità mandate da Dio al popolo eletto. Non la si riguardi dunque come un fatto ordinario, no: essa segna un’ora tutta particolare del Signore, l’ora d’una grande sua chiamata per tutti, perché tutti abbiamo sbagliato, ma sopratutto per noi cristiani, per noi religiosi e sacerdoti. Purtroppo, lo dobbiamo umilmente riconoscere e confessare: troppo ci siamo allontanati dal santo Vangelo, dall’osservanza della divina Legge; N. S. Gesù Cristo è mutilato, velato, il suo vero volto divino non lo si riconosce più, e questo purtroppo, in gran parte almeno, per nostra colpa. Dobbiamo tutti ritornare al Vangelo, e al Vangelo pratico, vissuto. E per noi, miei cari ed amati fratelli, il Vangelo è come sintetizzato nel grande e granitico programma dell’Opera: “Cercate in primo Luogo il Regno di Dio e la sua giustizia, e avrete in soprappiù tutte le altre cose”.

Il Vangelo non si smentisce mai: “Passeranno il cielo e la terra, ma la parola di Dio resta”; noi ne viviamo l’esperienza da oltre trentacinque anni, ed anche al presente ci commuove vedere come la Provvidenza viene in aiuto a chi in Essa confida e ad Essa s’abbandona.

Guardiamo di non dimeritare i benefici e le grazie del Signore, anzi intensifichiamo la nostra adesione alle massime, ai principi del S. Vangelo, siamo altrettanti Vangeli viventi, irradiando quella luce che viene dalle opere; viviamo una vita di fede, pensando che siamo qui di passaggio, che la presente vita non è fine a se stessa, ma preparazione alla vera vita nella beata eternità, e che a questa si deve tutto coordinare. Dio ci ha creati per un tratto di infinito amore, e ci ha collocati su questa terra, la quale pur essendo il luogo della prova ed esilio, è ricca di tanti doni, di tante cose belle e piacevoli, che devono servirci di scala, per salire fino a Dio, ma alle quali non dobbiamo fermarci, mettendo in esse il nostro cuore: esse sono fatte per l’uomo e l’uomo per il Signore: “Omnia propter hominem et homo propter Deum”.

Ma l’uomo quanto facilmente dimentica la nobiltà di sua origine, ed i suoi grandi destini! Egli vuole trovare il suo Paradiso quaggiù nell’assecondare le proprie passioni, si immerge quindi nel fango, si ribella a Dio, non ne vuol sapere della sua Legge, vuol essere libero di godere a suo talento la vita, dimenticando il monito evangelico: “Che cosa giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo se poi perde la sua anima”?.

E così la terra si riempie di peccati, la vita non è più cristiana, ma pagana, il mondo non diviene altro se non che, come dice S. Giovanni: ” concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi, superbia della vita”, così da giustificare il rifiuto da parte di Gesù di pregare per esso: “non pro mundo rogo”. Ecco il perché dei divini castighi; castighi che nascondono però sempre disegni di misericordia, come quando il Padre castiga il figliolo che ama; perché il signore vede che siamo fragili in conseguenza delle gravi ferite derivate a noi dal peccato originale, ed è sempre disposto al perdono. Ma per ottenere questo perdono importa che il peccato non sia eretto a sistema, ma non si cerchi di giustificarlo, che non si dica bene al male: ciò che purtroppo vediamo verificarsi al presente, e che provoca maggiormente contro di noi la divina Giustizia, rende impossibile il ravvedimento e impedisce il sincero ritorno a Dio.

Vi ricordate a questo proposito l’appello rivoltovi nel ’37, quando ancora si era in tempo di sviare l’uragano che minacciava? Vi diceva allora che dopo 19 secoli di Redenzione il mondo è ben lontano dall’averne approfittato; Gesù è venuto e viene fra noi, e noi sue creature non lo vogliamo riconoscere ed ascoltare; anzi si arriva a ripetere il grido satanico: “Non vogliamo che costui regni sopra di noi”. La vita si è sfalsata dal suo scopo, gli uomini oltraggiano sfrontatamente il divino Legislatore, si calpestano le sue leggi sapientissime, si dissacra il Matrimonio, si disgrega la famiglia, si defrauda l’operaio, si disprezza il povero, si profana il giorno del Signore, non si ascolta la parola di Dio, il Vangelo, il Catechismo; tanti cristiani credono che basti qualche pratica di culto; essi non sanno non pensano che il Vangelo deve informare tutta la vita, privata e pubblica, perché non vi sono due coscienze, e che altrimenti non si potrebbe accontentare lo sguardo del Signore che scruta i cuori: “Il Padre cerca adoratori che lo adorino in spirito e verità”.

Questo vi dicevo allora, questo sento di dovervi ripetere anche adesso, insistendo e ribadendo quegli stessi concetti.

Ma da chi, miei cari, verrà la luce? Forse non è detto a noi come agli Apostoli: “Voi siete il sale della terra e la luce del mondo?”. E allora, se il mondo è nelle tenebre, di chi è la colpa? Quante volte vi ho detto che noi dobbiamo essere come i macchinisti di un treno! Se i macchinisti compiono il loro dovere, tutti i viaggiatori sono al sicuro, il treno arriverà alla meta senza pericoli. Ma noi siamo veramente quali dobbiamo essere? Penso spesso che se tanti infedeli, buddisti, maomettani, desiderassero venire da noi per vedere come N. S. Gesù Cristo è da noi conosciuto, amato, imitato, ne resterebbero scandalizzati e sarebbero costretti a ripetere: stiamo meglio noi con le nostre credenze, con i nostri riti. Quale responsabilità sarebbe la nostra!

Cominciamo dunque noi a vivere come vivevano i primi cristiani, che erano un cuor solo e un’anima sola, nello spirito di fraterna carità, in una comunanza di beni temporali, e di ideali spirituali, così che attiravano lo sguardo dei pagani, i quali dicevano: “Guardate come i cristiani si amano!” E a tali esempi si convertivano.

L’unione di carità, la mutua comprensione e indulgenza, l’aiuto scambievole, l’onestà, la disciplina, l’obbedienza, sono virtù oggi più che mai necessarie, mentre non solo santificano chi le pratica, ma costituiscono il migliore contributo che all’amata Patria ognuno di noi può e deve dare in quest’ora di umiliazione e di prova per essa.

Certo, questo non possiamo con le sole nostre forze, ma il Signore ci darà la sua grazia, e con questo aiuto tutto potremo.

Ben venga dunque il caro e santo mese di Maggio, mese di Maria, mese di grazie; ho tanta fiducia che la Madonna mossa a compassione finalmente di tante miserie, Lei che è la Madre della misericordia, ci ottenga prima di tutto la riforma della nostra vita, e poi la tanto sospirata pace.

Ricordate la solenne Novena che abbiamo fatto poco tempo fa in onore del suo Cuore Immacolato; vi dicevo allora che Maria è raffigurata nella nuvoletta vista dal Profeta Elia, che in brevissimo tempo ricoperse il cielo di nubi e diede alla terra riarsa da lunga siccità una pioggia ristoratrice, sovrabbondante; esprimevo ancora la speranza che quella nostra Novena rappresentasse quasi la settima preghiera del medesimo Profeta, dopo la quale il Signore, placato dalla materna intercessione di Maria, facesse spuntare l’arcobaleno della pace, dandoci insieme la grazia di vivere una vita veramente cristiana, religiosa, sacerdotale: ripeto in questa mia lettera il medesimo auspicio, e siccome nel Maggio avremo anche la festa della Pentecoste, a Maria ricorriamo per avere e meritare una più larga infusione delle grazie e dei doni dello Spirito Santo, come gli ha meritati agli Apostoli, in mezzo ai quali pregava nell’aspettazione del grande avvenimento.

Purtroppo poco è conosciuto lo Spirito Santo dal popolo cristiano, e forse se ne parla assai meno di quanto converrebbe. Pensiamo che se Gesù è il Capo della Chiesa, suo Corpo Mistico, lo Spirito Santo ne è come l’anima; ogni membro cui non giunge l’influsso vitale dell’anima, si dissecca e muore; ma per operare non basta vivere in qualche modo; occorre intensità di vita: questa vita e questa intensità è rigoglio di vita soprannaturale è frutto dello Spirito Santo.

Lo Spirito Santo, operò negli Apostoli quella mirabile trasformazione per cui poterono rendere gloriosa testimonianza a N. S. Gesù Cristo, giorno e notte faticando, e con gioia soffrendo per Lui fino a dare la vita in testimonianza della verità. Senza l’assistenza e la guida dello Spirito Santo, come la Chiesa avrebbe potuto resistere all’urto immane di persecuzioni e di lotte, superare vittoriosamente le forze del male, al di dentro e al di fuori satanicamente congiurate contro di essa? Ma appunto perché portata dal soffio dello Spirito Santo, questa mistica navicella, tra gli scogli e i marosi di un mare infido, veleggia sicura al porto dell’eternità beata. Ed anche per noi lo Spirito Santo è spirito di luce e di verità, spirito di grazia e di santità, spirito di carità, di amore e di pace, spirito di saggezza e di forza, di pietà e di gioia.

Sempre dovremo sentire il bisogno di ricorrere allo Spirito Santo, ma specialmente adesso, mentre sembrano giunti i tempi infelicissimi predetti da S. Paolo, nei quali “gli uomini abbandoneranno la fede per credere agli spiriti dell’errore e alle dottrine dei demoni”. Per questo desidero vivamente che in tutte le nostre Case si faccia con particolare impegno la Novena in preparazione della Pentecoste, aggiungendo il canto del Veni Creator alla recita del Rosario; come vedete, non vi prescrivo nessuna preghiera oltre quelle solite degli altri anni, ma lascio alla vostra devozione di aggiungere, se credete, altri esercizi di pietà, ad esempio la recita della corona dello Spirito Santo, di cui vi unisco copia; ma quello che vi raccomando sopratutto è che facciate questa Novena in unione con Maria SS.ma affinché preghi con noi e per noi, in quest’ora così grave per la Chiesa e per la povera umanità. Io parlo a voi miei cari ed amati fratelli, ma vorrei che questa mia povera parola di Sacerdote venisse accolta da altri, affinché moltiplicandosi le suppliche rivolte a Dio per mezzo di Maria SS. nostra Celeste Madre, più facilmente siamo ascoltati ed esauditi, pregando pure con noi e in noi “con gemiti inenarrabili” lo Spirito Santo.

Sopratutto invito ad unirsi nella nostra preghiera nella prossima Novena allo Spirito Santo le anime sacerdotali e religiose, i membri degli Istituti, che vivono sotto le ali della religione e della carità cristiana e tutte quelle anime, che, pur essendo nel mondo, battono la strada della perfezione evangelica.

Che al soffio irresistibile di questo Santo Spirito si rinnovi la faccia della terra, e si ottenga per la S. Chiesa una novella Pentecoste, per cui rifiorisca lo spirito cristiano, cessino gli odi, si ridesti la sopita carità cristiana, si rinsaldino i vincoli della vera fratellanza in Cristo, ritrovino gli erranti la via della verità e della giustizia, ritornino all’unica vera Chiesa coloro che se ne sono separati, affinché fin da questa terra, si faccia un solo ovile sotto un solo Pastore, e tutti possiamo arrivare sicuramente al porto della eterna salvezza.

Pregate tanto per me, che vi porto nella mente e nel cuore, mentre con fraterno affetto vi benedico.

Ho pensato di raccogliere qui insieme unite alcune disposizioni che vi diedi in varie circostanze, affinché le possiate meglio osservare, avendole continuamente presenti.

1º Vi raccomando di non parlare di politica e tanto meno di appassionarvi di essa. La nostra è la politica del Vangelo e delle anime.

2º Nessuno ascolti la radio senza licenza del Superiore, che ne permetterà solo un uso quanto mai moderato e legittimo.

3º Ricordo la proibizione di fumare, di giocare le carte, di posare in gruppi fotografici ove entrino persone di altro sesso, sia pure in occasioni di prime Comunioni, Cresime, ecc.

4º Raccomando di usare con discrezione la bicicletta, sempre con dipendenza dal Superiore, e, per i sacerdoti, solo per ragioni di ministero.

5º Non si leggano romanzi, riviste, giornali, in Casa e fuori di Casa, senza il debito permesso.

6º Non si accettino inviti a pranzo, specialmente in occasione di matrimoni; nemmeno si entri in case private che non siano di stretti parenti, ed anche in questo caso col dovuto permesso.

7º Non si coltivino mondanamente i capelli; e per precisare meglio: a) si taglino alla stessa altezza davanti e di dietro; b) non si taglino di troppo più bassi alla nuca e alle tempia; c) non si faccia la riga nel mezzo; d) non si usino profumi; tutte queste cose sarebbero altrettanti fili di cui si servirebbe il diavolo per condurci fuori dalla Casa e farci perdere la grazia grande della vocazione religiosa.

In qualche caso particolare, verificandosi circostanze speciali, il Superiore potrà concedere in merito qualche dispensa.

* LETTERA XXXVII 2 luglio 1944

Festa della Visitazione

Premessa

La sera dell’8 settembre 1943, festa della Natività di Maria SS., dopo quattro anni di guerra europea, e più di tre di guerra dell’Italia, veniva comunicato per radio la notizia che il governo Italiano aveva conchiuso l’armistizio. Si temevano complicazioni con la Germania alleata, la quale continuava la guerra. La notte passò calma; al mattino seguente, verso le 9,30, la città cominciò a risuonare di sinistre sparatorie: i Tedeschi reagivano occupando le caserme e disarmando i soldati.

In considerazione di tali dolorosi provvedimenti e nella triste probabilità di ulteriori complicazioni, specialmente per il timore di danni e rovine alla nostra città di Verona, il venerato Padre, accogliendo nel suo cuore la trepidazione e l’angoscia dei concittadini tutti, prometteva alla Madonna, presenti testimoni della Casa, che, se per la festa dei Sette Dolori, quindici settembre, la cose prendessero una buona piega per la nostra città come anche per l’amata Patria, avrebbe fatto particolari atti di ossequio ad onore della Madonna, in ricordo dell’insigne beneficio.

Nel periodo di tempo assegnato non si verificò nessun fatto specifico; tuttavia, per grazia di Dio, le cose tendevano a normalizzarsi su un piede di occupazione militare abbastanza tollerabile, e nella nostra città non si ebbe a lamentare disordini gravi.

Quanto a noi riconosciamo di avere esperimentato una singolare protezione della Provvidenza; fummo infatti finora preservati da ogni danno per incursioni aeree, da qualsiasi occupazione di nostre case a scopo bellico, né ci venne mai meno il soccorso divino nei crescenti bisogni, sovente in maniera straordinaria. Per questo il Padre ritenne sempre dover attuare ugualmente le promesse fatte.

All’avvicinarsi della festa del Preziosissimo Sangue, verso il quale egli sente una speciale devozione, ed è convinto che un accrescimento di questa sia provvidenziale al fine della pacificazione del mondo, il Padre indisse per quel giorno 1 luglio una giornata Eucaristica e preghiere per propiziare la pace al mondo e giorni migliori alla diletta Patria.

Nell’occasione egli si sentì spinto a rinnovare e perfezionare con alcune modificazioni le promesse fatte l’ottobre scorso; in particolare espresse il desiderio che la festa del Preziosissimo Sangue sia celebrata nella nostra Congregazione con grande solennità, onde prestare, da parte nostra, il massimo culto al prezzo divino della Redenzione, e fosse il monumento di perenne riconoscenza a Dio. “habebitis hunc diem in monumentum, et celebrabitis eum solemnem Domino in generationibus vestris cultum sempiternum” (Exod. XII, 1).

Ciò premesso, ecco in quali termini si rinnova e si precisa la volontà del Padre:

“Io sottoscritto, in qualità di Padre e Custode dell’Opera e dinanzi al Signore, sentendomi quasi rappresentante dei cari concittadini: se la divina Provvidenza ci preserverà, come finora, dai danni di incursioni aeree, eventuali occupazioni a scopo bellico, così pure se preserverà i nostri religiosi da ogni male, ed inoltre se all’amata nostra Patria e particolarmente alla nostra Verona saranno risparmiate ulteriori tristi vicende, ho promesso, e di nuovo solennemente prometto quanto segue:

1) Faremo mettere a posto e adornare convenientemente a S. Zeno in Monte la grotta dell’Immacolata e le sue adiacenze compreso l’accesso decoroso alla Croce della Redenzione.

2) Faremo quanto prima un conveniente assetto di abbellimento al caseggiato, così da renderlo quasi monumento di gratitudine alla divina Provvidenza, che richiami i cittadini al ricordo di Dio e delle grazie ricevute in questo momento.

3) Ogni primo sabato del mese sarà dedicato al Cuore Immacolato di Maria, ed in ogni nostra famiglia religiosa si farà qualche pia pratica in suo onore.

4) Ogni anno, per celebrare l’anniversario del felice raggiungimento della pace, in ricordo o in ringraziamento dei divini benefici, e per rendersi sempre propizia la divina Misericordia, il primo luglio festa del Preziosissimo Sangue, sarà per la nostra Congregazione giorno festivo da celebrarsi con grande solennità.

Insieme la Congregazione procurerà, secondo le circostanze, di farsi promotrice di questa devozione.

5) Una lapide ricorderà ai posteri la grazie ricevute.

* LETTERA XXXVIII 25 luglio 1944

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Qui come sempre ai piedi del mio Crocefisso, mi sento spinto a rivolgervi la mia povera parola, quale mi nasce spontanea nel cuore; e la mia parola questa volta vuol essere come il riassunto di quelle che vi ho scritto durante i lunghi anni di questa guerra, se guerra si può chiamare, perché, per conto mio, come sempre vi ho detto fin da principio, non è guerra, ma una continua insistente chiamata di Dio per tutta l’umanità, che tanto ha deviato dalla divina legge, ma in modo speciale per noi sacerdoti, religiosi, e cristiani tutti, perché a noi sopratutto incombe l’obbligo di essere luce e sale della terra.

Come ricorderete vi ho scritto che bisogna tornare al santo Vangelo pratico, alla vita cristiana nel pieno senso della parola; ciascuna famiglia religiosa deve essere un fermento di nuova vita, un faro di luce divina. Ma per dare, bisogna prima avere; per insegnare, bisogna prima praticare. Io voglio sperare che la grande misericordia del Signore ci conceda presto, per intercessione della divina Madre Immacolata, la tanto sospirata pace.

Quella nuvoletta, già vista dal Profeta Elia, che fu apportatrice di benefica pioggia, e che è bella immagine della cara Madonna, speriamo apparisca presto all’orizzonte di questo povero mondo sconvolto; ma, ad affrettare quel fortunato momento, noi dobbiamo cooperare con la nostra preghiera fervente e perseverante, e più ancora con un serio ritorno a Dio mediante l’osservanza fedele della sua Legge, mediante il generoso adempimento di tutti i nostri doveri.

Si pensa, miei cari fratelli, a ricostruire i monumenti, le chiese e le case abbattute dalla guerra; si pensa a rinnovare la vita civile; e va bene. Ma, o miei cari, è assolutamente necessario che anche noi ripariamo i disordini della nostra vita, intraprendiamo a ricostruire il santuario del nostro cuore, l’edificio della nostra santificazione. Guai se, dopo terminato, per sola misericordia di Dio, questo immane flagello, noi ritornassimo a vivere come prima! Mi parrebbe di vedere piangere la Madonna e tutta la Corte Celeste; e non so dove si andrebbe a finire, perché si preparerebbe un altro castigo peggiore di questo.

Dunque, cari ed amati fratelli, mano all’opera; prima per noi e per la nostra santificazione, e poi per la santificazione del prossimo. Che la nostra Casa sia veramente come la vuole Gesù che l’ha fondata. Vi raccomando di conservare e alimentare lo spirito puro e genuino impresso dal Signore fino da principio; spirito di umiltà e di nascondimento, lontani dalle protezioni umane, sempre intesi alla ricerca del regno di Dio, interamente affidati alla divina Provvidenza. Allora sì potremo pensare anche agli altri, e adoperarci con la parola e con l’esempio affinché venga rimessa in pratica l’osservanza della divina legge.

Vi ho detto che io distinguo sempre i mali inerenti alla fragilità della natura e i mali di sistema. Per le miserie che accompagnano la nostra povera vita il Signore ci ha dato i mezzi a liberarcene: i santi Sacramenti, la sua parola, l’insegnamento e la guida della Chiesa. Se noi approfittiamo come si deve di questi mezzi di salute, per diventare migliori, saremo veri discepoli di Gesù Cristo, e così irradieremo intorno a noi quella luce cristiana che attirerà molti a seguire il nostro esempio.

Ma quanto ai mali di sistema, questi no, no! Dobbiamo fare di tutto per toglierli dal mondo per evitare che vi ritornino. Oggi purtroppo si offende il Signore a viso aperto, senza nessun ritegno, nei costumi, nel modo di vivere privato e pubblico, nel modo di pensare e di ragionare, contro le più elementari leggi del Signore e della ragione.

Il peccato oggi non è più peccato, viene giustificato; quindi nessun pentimento, nessun impegno a cambiar vita. Questo, o cari, deve cessare. Ma io mi domando: se per grazia del Signore terminasse questa guerra, come mi comporterei indi innanzi? Come prima? Con quella freddezza, con quella trascuratezza della mia santificazione, con quella indifferenza all’interessi del Regno di Dio? con quella poca o niuna fede nelle mie opere e nelle mie intenzioni?

Che grande sventura sarebbe mai questa! Cerchiamo di esaminarci bene, e di fare dei seri propositi di cambiar vita, di vivere proprio da veri religiosi, da veri cristiani.

E qui discendiamo alla pratica, al concreto, anche perché dobbiamo, poi, inculcare al prossimo le stesse cose, specialmente noi come sacerdoti, nell’esercizio del sacro ministero. La Casa, tutta la nostra famiglia religiosa, deve tenersi pronta ai cenni del Signore, allorquando gli piaccia di adoperarci per il bene della società, perché, come tante volte vi ho detto, nei disegni della Provvidenza, la nostra Opera credo proprio abbia una speciale relazione con l’attuale momento dell’umanità e dobbiamo quindi essere strumenti docili in mano del Signore.

Pratichiamo noi, e più perfettamente che ci è possibile, quello che raccomandiamo agli altri.

Vivere in grazia di Dio: quanti dei cristiani si prendono pensiero di questo dovere e di questo interesse personale? Quanti purtroppo passano le settimane, i mesi, e, Dio non voglia, gli anni nel peccato mortale, sempre nella disgrazia del Signore, sempre in percolo di precipitare nell’eterna disgrazia dell’inferno! Non si pensa alla fortuna di un’anima in grazia di Dio; non si pensa alle parole di Gesù Cristo: “che giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo, se poi perde la sua anima?” Guardiamo di apprezzare noi per primi questa fortuna; e procuriamo di evitare tutti i peccati, anche i piccoli, perché raffreddano in noi la carità e preparano le cadute nei maggiori; e poi anche perché le nostre mancanze, per quanto possono parere leggere, sono spesso di grave scandalo ai laici, e gettano il discredito sulla nostra opera di bene. Cerchiamo la perfezione, se vogliamo poter ottenere dagli altri questo ritorno alla vita costante in grazia di Dio.

Santificate la festa, giorno del Signore: si è andato estendendo in maniera spaventosa l’uso di profanare il giorno del Signore; si lavora come negli altri giorni, senza ritegno e senza scrupolo, per motivi da nulla, se non proprio per dispetto alla santa legge di Dio. La maggior parte dei cristiani non va più nemmeno alla Messa festiva, e pochissimi sono quelli che intervengono al catechismo. Come è possibile che il Signore ci benedica e ci aiuti mentre si manca a questo sacrosanto dovere?

E noi, quale stima portiamo alla Messa, alla parola di Dio, alle sante Funzioni? Bisogna insistere su questo punto presso il popolo cristiano; ma guardiamo noi di precedere con l’esempio.

La pubblica onestà deve essere rimessa in onore; una moda procace, nelle donne e negli uomini, fa sfoggio nelle nostre contrade e provoca i castighi tremendi del Signore; la gioventù è insidiata da ogni parte, e invece di trovare incitamento alla virtù, riceve continui incitamenti al male, al vizio.

Quale uomo di senno direbbe, passando per le nostre strade, che qui siamo in paesi cristiani? La ragione stessa condanna questo modo di vivere e di vestire, che è un oltraggio al pudore istintivo, e una scuola di immoralità.

Combattiamo a tutto potere questo spirito del male; e noi stessi guardiamo di risplendere per una modestia veramente cristiana e religiosa, che sia una tacita lezione a chi manca, e un invito a serietà di portamento. Stiamo attenti alle piccole infrazioni della modestia, in noi e nei nostri di casa; quanti genitori che si credono cristiani, praticano la chiesa e i sacramenti, hanno poi una deplorevole larghezza di vedute su questo punto, e vestono i loro bambini malamente, con il pretesto della loro ingenuità! e non capiscono che intanto fanno loro perdere il senso del pudore, e li avviano alla rovina. Facciamo opera di persuasione con questi nostri fratelli; siamo ligi agli insegnamenti dell’esperienza, alle prescrizioni della Chiesa.

E noi stessi cerchiamo di evitare tutto quello che disdice alla modestia sacerdotale e religiosa, tutte quelle mondanità nel vestito e nella attillatura, che denotano un carattere leggero, che, dopo aver rinunciato al mondo e alle sue pompe, si fa schiavo, sia pure in cose piccole, di quella moda che tanta strage mena tra le persone del mondo.

Santità della famiglia: è qui dove il diavolo ha portato i danni più gravi, dissacrando il matrimonio, disseccando le sorgenti della vita, riducendo il “grande Sacramento” ad un affare economico, o peggio, al solo accontentamento delle passioni. Come si è lontani dalla sante disposizioni del giovane Tobia, che alla vigilia delle nozze così pregava il Signore: “Tu lo sai, o Signore che io non per passione, ma per il solo desiderio di una discendenza nella quale si benedica il Tuo nome nei secoli dei secoli, prendo in moglie questa giovane”. Invece come si preparano i nostri giovani al Matrimonio? Quale spaventosa leggerezza! Come si comportano i genitori stessi nei santi e ammirabili doveri matrimoniali? Quanti peccati, quanti delitti da parte di molti, di troppi! Il malcostume si va diffondendo sempre più largamente, compiendo nell’ombra del santuario domestico i più iniqui attentati alla vita, che, se sfuggono alla giustizia umana, non possono non provocare tanto più rigorosamente quella divina!

Occorre lavorare alla santificazione della famiglia; insistere sul valore spirituale e materiale della vita umana, sulla nobiltà del Matrimonio, e allora faremo opera efficace per la ricostruzione.

La fede: in quanti cristiani è inerte! Si direbbe anzi che è morta addirittura! Quanti sono che si regolano secondo i dettami della fede? Si guarda alle cose con occhio umano, senza mai assurgere alla visione di Dio e della sua ineffabile Provvidenza Paterna. Quale differenza fra la vita dei cristiani e quella dei pagani? Quale differenza fra il loro modo di ragionare e quello dei pagani? Nessuna differenza! Credono in Dio, ma poi vivono in tutto dimentichi di Lui. Credono in Gesù Cristo, ma non si interessano del suo Vangelo e dei suoi insegnamenti. Guardano alla Chiesa come ad una società qualunque, e non alla divina società che Gesù Cristo ha fondato per la salvezza delle anime; nel Papa non vedono se non un gran personaggio, benemerito sì della carità, sapiente più di tanti altri; ma niente più: non ci vedono il carattere sacro e soprannaturale di Vicario di Cristo, di Maestro dei fedeli, al quale Cristo ha dato poteri divini supremi nella Chiesa. Nei Vescovi, quanti Cristiani non vedono se non l’elemento umano, e dimenticano quello che la fede ci mostra in essi: i successori degli Apostoli, messi da Dio a reggere e governare le varie Chiese. E si arriva a criticare, a condannare quello che il Papa e i Vescovi dicono e insegnano a nome di Cristo! Si arriva fino ad insegnare loro quello che devono dire e fare, capovolgendo le posizioni stabilite da Cristo.

Povera fede illanguidita, moribonda, se non morta del tutto! E nella vita, negli affari, nel lavoro, dovrebbe pur risplendere la fede; la fede dovrebbe essere la norma di ogni nostra operazione; invece, che cosa dobbiamo costatare? Che non si vive di fede, che si è schiavi della terra, della materia, dell’interesse; il capitale della fede resta immobilizzato, o tutt’al più si adopera soltanto in rare occasioni, quando si va in chiesa, si assiste ad una funzione, si mormora qualche preghiera. Troppo poco.

Noi, sacerdoti e religiosi abbiamo nulla a rimproverarci a questo riguardo? E’ troppo facile che anche noi siamo presi dall’andazzo del mondo, dall’abitudine, e non viviamo lo spirito della fede. Come allora potremmo lavorare a ravvivare nei cristiani questa luce divina?

Mettiamoci una mano sul cuore, esaminiamoci e rimediamo subito a quanto vi fosse di manchevole.

La bestemmia: orribile retaggio dei nostri tempi! Linguaggio che disonora anche dal lato semplicemente umano; ma più che tutto, linguaggio che provoca i più tremendi castighi di Dio offeso. Piange il cuore a sentire come dilaga l’orribile vizio; con grave scandalo dei giovani che imparano dai vecchi a offendere Dio invece di imparare ad amarlo e lodarlo! Quale responsabilità tremenda! Fratelli, preghiamo per costoro, che si ravvedano, preghiamo per i genitori che mai arrivino a rovinare così i loro figli.

Preghiamo; ma anche lavoriamo a sradicare il vizio; noi stessi teniamo un linguaggio purissimo e castigato; non permettiamoci mai e poi mai certe parole volgari, certi modi triviali, che se non sono peccato forse nemmeno veniale, pure aprono la strada a cose peggiori; “certe sciocchezze e banalità – dice S. Bernardo – che rimangono tali in bocca dei mondani, sono bestemmie sulle lebbra sacerdotali e religiose”.

La preghiera: causa ed effetto dell’allontanamento da Dio e dalla sua legge è la mancanza di preghiera. Il cristiano dovrebbe essere l’uomo dell’orazione; oggi, invece, che cosa dobbiamo dire? che il cristiano non fa orazione; quanti sono che al mattino si inginocchiano a pregare il Signore con le belle formule insegnateci da Cristo, dalla Chiesa? Quanti si inginocchiano alla sera a ringraziare il Signore per le grazie ricevute?

Quanti di quei pochi che vanno a Messa alla festa, pregano durante il divin Sacrificio?

Non si prega; è doloroso costatarlo. Non si prega in privato, meno ancora si prega in pubblico; la società, la Nazione lo Stato, la famiglia umana hanno dimenticato la preghiera.

Tutto si aspetta dagli uomini; e anche nei momenti critici, come nel nostro, raramente si sente un invito ufficiale a ricorrere a Dio; quale meraviglia se Iddio differisce il soccorso? Oh se si pregasse! se i popoli ricorressero alla preghiera, quante sventure sarebbero evitate, quanta misericordia e aiuto opportuno si otterrebbe!

Cominciamo noi, miei cari fratelli, a stimare la preghiera, a usarla con intensa pietà e amor verso Dio. Per la preghiera di Mosè quante volte il Signore risparmiò l’intero popolo eletto! Mostriamo di avere assoluta fiducia nell’orazione, pur rimettendoci, quanto all’effetto della preghiera, con figliale abbandono alla volontà di Chi ci è Padre. Preghiamo per noi, preghiamo per tutti, per l’amata Patria, per il mondo.

La carità: questa virtù, compendio e caratteristica della Religione, come si è raffreddata durante la guerra! Non spendo parole per rilevare le rovine portate dalla discordia, dall’odio fraterno, dalle invidie, sia in privato come nella vita civile odierna. Quanto sangue è corso per la mancanza della carità!

La guerra ha portato a sistema l’odio e se ne è fatto un bisogno e un mezzo per sostenere la lotta. Orrendi attentati si sono consumati a sangue freddo, contro i più elementari insegnamenti della fede e della ragione, dimenticando l’ordine perentorio: “Non uccidere”.

La ricostruzione del povero mondo non può avverarsi che nello spirito della carità di Cristo. E noi dobbiamo essere gli araldi della carità; ma come lo saremo in mezzo ai fratelli, se prima noi stessi non siamo rivestitisi di questa divina livrea, infiammati di questo fuoco sacro dell’amore? Oh quale responsabilità ci addossiamo con le mancanze alla carità fraterna! Con quelle inimicizie, con quelle gelosie, con quelle invidiuzze che tante volte deturpano la nostra condotta, le nostre relazioni col prossimo, le nostre famiglie religiose e sacerdotali…

Stiamo attenti, stiamo molto attenti, perché molto troveremo da riformare su questo punto. Le piccole discordie fra sacerdoti e fra religiosi paralizzano la nostra opera di zelo e rendono sterile la nostra fiducia.

Dove c’è la carità, c’è Iddio; per conseguenza dove non c’è carità non c’è Iddio: e, senza il Signore, cosa possiamo fare?

Buon esempio: è una forma speciale della carità; esso vale assai più delle parole; che cosa importa predicare se le nostra vita è contraria a quello che insegniamo? Ma soprattutto, con le lacrime agli occhi, vi raccomando e vi scongiuro: non date mai e poi mai cattivo esempio! Mio Dio quale responsabilità! Ricordate la grande condanna del divin Redentore: “è impossibile che nel mondo non avvengano degli scandali; ma guai a colui per colpa del quale viene lo scandalo! Sarebbe meglio per lui che si legasse una macina al collo e si gettasse nel fondo del mare!” Si sa che molti figli nascono difettosi per causa dei peccati dei genitori; fu questo il recente accorato e materno richiamo della Madonna stessa.

Penso che altrettanto si può dire di noi nel campo spirituale; quante anime vacillanti nella fede, deboli nella resistenza e nella lotta contro le passioni, restano scandalizzate e vivono scostumate a motivo di esempi non buoni da parte di coloro che avrebbero dovuto tener loro il posto di padri e di madri spirituali! Mettiamoci una mano sul cuore; con timore e tremore operiamo la nostra salute, diamo a tutti l’esempio buono che li muova all’osservanza della divina legge, alla pratica del Vangelo.

La carità dunque! Ve la raccomando tanto e poi tanto. Conservate la carità a costo di qualunque sacrificio, se volete che il Signore vi adoperi per i suoi alti disegni di misericordia.

Gli Apostoli, i primi cristiani, hanno iniziato la conquista del mondo armati di questa santa carità di Cristo; nei nostri tempi, la riconquista del mondo al santo Vangelo non può farsi in altra maniera. Dunque, mano all’opera e subito.

La carità; ecco la parola che metto a chiusura di questa mia paterna esortazione e come compendio di quanto vi ho raccomandato.

Termino col domandare a voi, cari ed amati fratelli, la carità di pregare tanto per me, affinché io per il primo pratichi quello che nel nome del Signore vi ho detto in questa mia lettera.

Tutti uniti nella carità di Nostro Signore, lavoriamo alla gloria di Dio, al bene delle anime, secondo lo spirito genuino della nostra Opera; per ritrovarci poi uniti nella vera nostra Patria, nel santo Paradiso. La vita presente passa presto, guai se non salviamo l’anima! Santifichiamo noi stessi nello spirito della santa vocazione: metteremo in sicuro l’anima nostra e ci renderemo degni di cooperare alla salvezza dei nostri fratelli.

Con grande effusione di affetto paterno vi benedico tutti e ciascuno, augurandovi e invocandovi la grazia di essere tutti all’altezza della nostra santa vocazione, per essere strumenti degni in mano della Provvidenza, per la rinascita cristiana del mondo, così rovinato appunto perché ha disprezzato e non ha osservato la santa legge di Dio.

* LETTERA XXXIX 29 settembre 1944

Miei cari fratelli in Gesù Cristo

Questa mia povera, ma sincera parola che parte dal mio cuore di Padre, vorrei che fosse come il mio ultimo testamento, l’ultimo ricordo che io vi lascio, prima di tutto per la vostra personale santificazione, e poi perché quest’Opera, che si dice dei Poveri Servi, viva sempre come vuole Gesù benedetto che l’ha fondata, portando attraverso il mondo la luce e la pratica del santo Vangelo, compiendo così tutti quei divini disegni al cui compimento è destinata e ordinata. Disegni, come io vi ho detto altre volte, propri dei tempi attuali, ma che noi non potremo compiere, se non vivendo sempre con lo spirito puro e genuino dell’Opera, che deve essere quello del S. Vangelo, degli Apostoli e dei primi cristiani.

Miei cari fratelli, il male dell’ora presente è male senza nome: Satana ha messo in esecuzione, per mezzo dei suoi ausiliari, tutte le ultime riserve dell’inferno, per fare, se fosse possibile, che l’uomo non sia fatto per Iddio, per la vita futura, negando il Cristo, la sua divina dottrina; cari fratelli, il male è grave, ma, ricordiamolo bene, è inutile deplorarlo, imprecare e imputare a questo o a quello la cagione di tanta rovina, senza prima mettere una mano sul nostro cuore e vedere come viviamo, se lo spirito puro e genuino dell’Opera è nei nostri polmoni, ossia se la nostra è vita proprio di veri religiosi, di veri Poveri Servi, e se per somma disgrazia non fosse così, subito mano all’opera, cominciamo subito la nostra personale riforma.

Si è troppo discusso, si è troppo parlato, ma si è poco praticato; i libri, la scienza, le questioni, le prediche, le conferenze, sono tutte belle cose, buone cose, ma se non sono accompagnate dal buon esempio, dalla vita santa da veri religiosi, non valgono nulla, proprio nulla; conclusione: mano all’opera, santifichiamoci prima noi, modellando la nostra vita su nostro Signor Gesù Cristo, sugli Apostoli e su i primi cristiani. E’ inutile, lo dobbiamo dire un po’ tutti, abbiamo deviato, abbiamo cambiato strada, bisogna subito ritornare indietro, perché tra la teoria e la pratica di tanti c’è un’abisso.

L’Opera dei Poveri Servi, della quale io non sono altro che un povero Casante, messo qui dalla Provvidenza per manifestare la bontà e misericordia del Signore, ho sempre detto che non so quando, come, ma che la Provvidenza la vuole usare per l’ora attuale, compiendo nuovi e grandi disegni. Dio mio, quale grazia, ma insieme quale responsabilità, che grande rendiconto alla sera della nostra vita, se per somma sventura il divin Giudice non ci trova come ci doveva trovare! Fratelli, viviamo, con la grazia di Dio, lo spirito puro dell’Opera dei Poveri Servi, che consiste nell’essere Vangeli viventi, staccati dalle cose terrene, convinti del nostro nulla, e che tutto quello che abbiamo è dono di Dio.

Dobbiamo vivere abbandonati nelle braccia della divina Provvidenza, con questo solo pensiero: anime, solo le anime, tutte le anime, perché queste vadano, assieme a noi, a Dio. La nostra Opera è grande quanto è piccola, è ricca quanto è povera, ha di certo la protezione particolare di Dio, quando noi non cerchiamo protezioni umane, e solo riceviamo quelle che la Provvidenza ci manda, e queste con grande riconoscenza.

Io non mi preoccupo di avere molti religiosi, molti Sacerdoti: pochi, ma con lo spirito dell’Opera; i pochi formeranno i molti.

Datemi, diceva S. Filippo Neri, dieci preti santi ed io vi convertirò il mondo. Un religioso solo, un sacerdote secondo lo spirito vale per cento; e perciò temo che la quantità non abbia a portare gli inconvenienti soliti a verificarsi là dove c’è il gran numero ma difetta la santità.

L’umanità, la povera umanità, con tutta la sua scienza, il suo progresso, i suoi uomini dalle grandi vedute terrene, come è ridotta! Tutti lo vediamo, lo costatiamo, in pieno secolo di civiltà ha fatto completo fallimento, e perché? Perché si è scostata da Dio e dal Suo Cristo, ha confidato in se abbandonando la divina Legge, e forse, e anche senza forse, perché non ha trovato in parecchi di noi, religiosi e sacerdoti, quella luce necessaria per essere illuminata, non ha trovato quei dotti e santi condottieri che la dovevano guidare sul retto sentiero, con la vita santa e con l’esempio. Fratelli cari, ricordiamo bene, ci vogliono fatti, non parole, essere prima noi compresi di quello che insegniamo e che vogliamo sia praticato, ma per essere così, per avere questo spirito è assolutamente necessario domandarlo al Signore, e come? Prima di tutto con la preghiera, con la vita interiore, con la piena osservanza delle nostre sante Regole, cominciando dalla più grande fino alla più piccola. Ricordatevi che il Signore, specie in questa sua Opera, ha versato torrenti di grazie e di doni, propri per il nostro spirito; sta a noi il cooperare.

E qui adesso, in questo momento, nel segreto del nostro cuore, domandiamoci: come ho capito queste verità per noi fondamentali? Sono stato un Povero Servo nel pieno senso della parola? La mia vita ha corrisposto, corrisponde a quello che io dico, insegno ed esigo da altri? Pratico per primo io stesso quello che sento e che voglio negli altri? Sono proprio convinto che da me io sono zero e miseria, ma che unito al Signore e respirando il suo spirito, farò dei veri miracoli? Fratelli, il Signore vuole, domanda strumenti umili, docili, malleabili, per compiere la santificazione delle anime nostre prima di tutto, e poi i grandi e nuovi disegni dell’ora attuale; disegni di totale rinnovellamento, di una vita veramente cristiana; e questo non può essere se noi non siamo luce, sale. Guardate che il mondo, i cattivi stessi, tutti ci guardano, e da noi domandano, esigono, e per questo noi dobbiamo essere sempre in primo piano.

Mi ha fatto impressione una parola che disse ad un nostro Confratello uno senza fede e religione, ma che in cuor suo aveva stima di noi e dell’Opera; egli uscì in questa frase: “Ma voi siete dei santi!” Dio mio, che lezione, guai se non corrispondiamo!

Fratelli cari, noi siamo in quest’Arca Santa che è la Congregazione dei Poveri Servi; non a caso il Signore ci ha messo sul monte; tutti, buoni e cattivi, alzano lo sguardo a noi, e specialmente in certi momenti difficili; per amore di Dio, che il Signore per colpa nostra non oscuri, non spenga questa luce, non muti questo celeste e divino colore!

Fratelli, ancora una volta una mano sul cuore e domandiamoci: come vivo? Ho lo spirito puro di quest’Opera? Tutto sacrifico perché quest’albero stenda i suoi rami “usque ad finem terrae”? E li stenderà veramente, e l’Opera sarà come un faro che illuminerà il mondo, come una fonte alla quale tutti verranno a bere, se noi staremo fermi al nostro posto, nel cercare solo e sempre il santo Regno di Dio e la sua giustizia.

Fratelli torno a ripetervi: l’Opera dei Poveri Servi fu suscitata in questi tempi così oscuri perché la misericordia del Signore ancora una volta ci chiama al suo amore; e come chiama noi, così chiama tanti anche dei nostri fratelli che per un insieme di circostanze, non del tutto imputabili a loro, ma piuttosto ai loro padri, vivono fuori dalla vera Chiesa; sono anch’essi pecorelle dell’ovile di Cristo, ed egli, Pastore delle anime li chiama, nell’ansia divina che si avveri quella sua preghiera: “ut unum sint”. Ma questo, o cari, ricordiamolo bene, in gran parte dipende da noi; il Signore ci vuole adoperare, e ci adopererà se noi siamo veramente come Lui ci vuole, cooperando con Lui affinché nel mondo si stabilisca il suo santo Regno, nella giustizia, nella carità, nella pace, nella santità.

Mio Dio, quale grazia, quale privilegio, ma quale responsabilità se noi, che dobbiamo essere luce, sale, vita, condottieri d’anime, facessimo il contrario! Deh, per amore di Dio, facciamo in questo momento un’esame pratico, rinnoviamo i nostri propositi di vivere e morire con lo spirito puro e genuino dell’Opera; non guardiamo ad altro, ad altri, ma a noi, all’Opera di Dio, per essere vita e fari per noi, per la povera umanità.

Che il Signore, per intercessione della cara Madonna, ci sia fonte di grazie per perseverare in queste sante disposizioni e corrispondere alla nostra grande vocazione.

Fratelli, pregate, pregate tanto per me; siate apostoli, siate santamente contagiosi, la vostra vita vissuta da veri Poveri Servi affretti il compimento dei divini disegni, e beati voi nel tempo, ma più beati nella eternità!

Vi benedico paternamente.

* LETTERA XL Festa delle Palme 25 marzo 1945

Miei carissimi fratelli

La grazia, la pace del Signore siano sempre con noi.

In questo momento così grave e critico della storia umana, sento nel mio cuore di cristiano e di Sacerdote un impulso così forte e veemente di rivolgervi la mia povera parola che non posso resistervi. E questa parola che dico a voi, la dico a tutti i miei cari fratelli in Gesù Cristo; e Dio volesse che questa mia parola, che non per mio merito, ma per la sola divina misericordia è parola stessa di Dio, fosse intesa e ascoltata da tutto il mondo!

L’ora continuamente si aggrava sulla povera umanità; e gli uomini che l’anno provocata non la possono fermare, se non c’è un intervento speciale di Dio, Padre nostro che è nei cieli; questo intervento, questo miracolo verrà di certo, ve lo dico con la massima fiducia, se noi cristiani, e, lasciate che lo dica, se noi sacerdoti e religiosi, tutti uniti, un cuor solo ed un’anima sola, faremo una esatta revisione della nostra vita per vedere se è conforme alla nostra professione, al nostro carattere di cristiani e di sacerdoti. Che se non la troviamo conforme alla santa Legge di Dio e al santo Vangelo, subito, nella polvere e nelle lacrime, umiliamoci, facciamo penitenza e formiamo seri propositi di vivere d’ora in avanti secondo la nostra dignità di uomini e di cristiani, secondo la legge di Dio, non solo a parole, ma a fatti.

Fratelli, Iddio ci chiama, continuamente ci chiama. Quando vedo e sento questi ordigni di guerra, seminatori di stragi e di morte, mi par di sentire la voce di Dio Creatore gridarci: Basta, basta, basta peccati! Vita veramente cristiana nel pieno senso della parola!

Miei cari fratelli, fra la teoria e la pratica del cristianesimo vi è un abisso. Dopo venti secoli di cristianesimo, di Vangelo, dopo innumerevoli grazie del signore, tanti e tanti cristiani come vivono? Da pagani, e peggio dei pagani; e con la loro vita sregolata, con la loro condotta contraria alle massime del Vangelo, richiamano continuamente nuovi castighi sul mondo: castighi che pure sono sempre di misericordia, perché il Signore, nel permetterli, vuole da parte sua che servano alla nostra salvezza eterna. Ci castiga di qua per salvarci di là.

Fratelli, ve lo dico e ripeto ancora: questa è l’ora di Dio, nella quale Egli vuole compiere un disegno di specialissima misericordia, nonostante la cattiveria degli uomini…

La guerra, se guerra si può dire questa, lo sconvolgimento mondiale che l’accompagna, il rimescolio di uomini e di cose, prelude nella mente di Dio, a un nuovo ordinamento su basi più solide che non siano state quelle volute dagli uomini. Ma il Signore, che potrebbe fare tutto da solo, si compiace di servirsi delle cause seconde, di noi sue creature; sta a noi, dunque, collaborare al compimento di questi disegni della sua Provvidenza per il bene e la rinascita dell’umanità. Come saremo noi strumenti della sua Provvidenza? Col viver bene, da veri e sinceri cristiani. Mano subito ai rimedi, mettiamoci sul serio, ciascuno nel proprio stato, a vivere così.

Genitori cristiani, siate all’altezza della vostra missione: pensate che siete collaboratori di Dio nella grande opera della creazione; per mezzo vostro Iddio trae dal nulla nuove creature, destinate ad essere suoi figli.

Le vostre famiglie siano sempre il campo del Signore, giardino dove crescono fiori olezzanti, frutti ubertosi. Fiori e frutti del S. Matrimonio sono i figli; quanta cura non spende l’agricoltore, il giardiniere per le sue piante! Quanta cura dovete spendere voi, e più ancora, per le pianticelle che vi affida il Signore! Anime destinate alla santità, al Paradiso, figli destinati ad essere anche loro, a suo tempo, genitori e capi famiglia. Vedano in voi, sempre, fin dai primi anni, l’esempio eloquente di una vita veramente e sentitamente cristiana. Ricordate la parola di Dio nella S. Scrittura: “il giovanetto seguirà sempre, anche negli anni inoltrati, la via che imparò da piccino”. Date ai figli il tesoro della educazione cristiana, prima di tutto col vostro esempio, oltre che mediante la parola.

Procurate loro l’istruzione religiosa; non dite: “andate al Catechismo”, ma voi stessi conduceteli al Catechismo; fate vedere che voi per primi apprezzate l’istruzione religiosa. E poi, in casa, nel santuario domestico, vedano la pratica franca e costante di quello che imparano, la pratica della santa Legge di Dio. Vedano posto in onore Iddio e la Religione; troneggi in casa il Crocefisso, il quadro della Madonna: quante case di cristiani si direbbero case di pagani, mentre non c’è in esse un’orma di religione, oppure è relegata in un angolo segreto, quasi una cosa tollerata, e che non si vuol fare apparire, mentre purtroppo io ho veduto in case cristiane quadri indecenti e stampe sataniche!

Madri cristiane sorvegliate le vostre figliole, fin dai primi anni, perché il demonio nemico di Dio e delle anime, non ve le contamini con la sua bava velenosa.

Le vostre figliole devono in un domani, diventare madri anch’esse; quali madri diventeranno, se voi non date loro oggi l’esempio della vera madre cristiana? Quali famiglie potremo sperare, se oggi sciupano il bell’ornamento che devono portarvi, la purezza dei costumi? State attente alle loro compagnie; tenetele lontane dai luoghi pericolosi, dalle occasioni del peccato, dai divertimenti peccaminosi; vegliate sui libri e sui giornali che leggono, sui discorsi che tengono. Costa fatica questo lavoro di vigilanza: lo comprendo; ma si tratta di interessi della massima importanza, come è evidente. E voi ne avrete consolazione in vita, e merito grande per il Paradiso.

Genitori, abbiate cura particolarissima del fidanzamento dei vostri figli. Il fidanzamento dovrebbe essere tempo di santa preparazione al grande Sacramento; e invece, per quanti e quanti esso è tempo di peccato!

Ricordate che il matrimonio è un Sacramento divino; vedete? io sono Sacerdote per virtù dell’Ordine sacro; gli Sposi sono tali in virtù di un altro Sacramento! Quale preparazione ci vuole per formare un Sacerdote! Si tratta di formare un ministro di Dio, collaboratore di Cristo nel salvare le anime. E per gli sposi cristiani, non si tratta forse di una missione essa pure assai grande? Dare a Dio, alla Chiesa, alla Patria, nuovi figlioli, nuovi cristiani, nuovi cittadini? Quale serietà non occorre per assumere questa nobile missione! E come dobbiamo deplorare altamente e condannare la leggerezza estrema con cui tanti e tanti figlioli profanano il tempo del fidanzamento, e non si preparano bene alla loro vocazione!

Quale meraviglia se poi, troppo presto, piangono amare lacrime, per la infelicità che è nella loro casa? Infelici, e padri di infelici: ma per loro colpa; e Dio non voglia, per colpa dei loro genitori, che non hanno dato loro il giusto senso della vita.

I figli, i vostri figli, sono la corona vostra, il vostro gaudio, il segno tangibile del vostro amore. E sono anche la vostra ricchezza, perché Dio Padre non può a meno di benedire quelle famiglie in cui si guardano in tale maniera i figli, mentre non può non castigare severamente là dove si riguardano i figli come un peso sgradito, che si cerca di evitare a costo anche di gravissimi delitti. Quanta gioventù non ha falciato questa guerra: sui campi insanguinati di battaglia, nelle case e nelle scuole bombardate…; forse non erra chi dice che ne hanno colpa tanti e tanti genitori; hanno voluto mettere un limite alla Provvidenza, hanno tradito la loro missione: e il Signore permette che siano strappati dal loro fianco i figli, con dolore e strazio del loro cuore.

Miei fratelli, siamo cristiani, lo siamo proprio sul serio, in pratica? Compiamo fedelmente i nostri doveri? Per esempio, come recitiamo le orazioni del mattino e della sera? L’orazione è l’arma potente del cristiano, arma invincibile, con la quale si vincono le battaglie spirituali. Quale stima facciamo noi dell’orazione? Quante sono le famiglie in cui si prega? E non si arrossisce di pregare? Quante sono le case profumate dallo spirito di orazione? Temo che a questo riguardo si debba lamentare molto; rimediamo dunque, e subito.

Oh se nelle famiglie si recitasse il S. Rosario, quante benedizioni attirerebbero sopra di esse dalla Cara Madonna! Siamo cristiani. Il Battesimo ci ha fatti tali; ma, viviamo noi il Battesimo? Siamo fedeli a quelle solenni rinunce che abbiamo fatto? Abbiamo rinunciato al demonio, al mondo, alle passioni: mi par di sentire il demonio dire verso il Signore: “Sì, dovrebbero essere tuoi, per il Battesimo, per la Cresima, e per tante grazie che hai loro fatte; ma in realtà sono miei; hanno rinunciato a me, ma mi servono fedelmente, continuamente; hanno rinunciato al mondo ma vivono attaccati al mondo e seguono le sue massime; hanno rinunciato alle passioni, ma in pratica danno sfogo a tutte… “.

Fratelli, che dolore per il Cuore di Gesù, davanti a tale constatazione! Eppure questa è una triste realtà.

Cristiani, un serio esame di noi stessi, su la nostra condotta; abbiamo la vita, come dice il Catechismo, per conoscere, amare e servire Dio; non per il peccato, non per il demonio, ma per il Signore e la sua legge. Valorizziamo questa vita, questo dono eccelso di Dio; la guerra, tra le tante disgrazie, ha portato anche questa: la svalutazione della vita umana. Con quale indifferenza si assiste oggi alle stragi, alle morti di migliaia e migliaia di fratelli! Con quale leggerezza si tratta la vita umana, come di cosa qualunque che si può gettare per ogni minimo pretesto!

Vivendo secondo la legge di Dio, si rimedierà anche a questo male; si comprenderà la dignità del nostro corpo, di questo involucro dell’anima immortale, destinato ad essere strumento dell’anima nel fare il bene, e compagno nella felicità del Paradiso. Solamente il cristiano ha il giusto concetto del valore della vita umana; dono di Dio, opera della sua onnipotenza creatrice e della sua Bontà santificatrice. Non disprezziamo, non sottovalutiamo la vita, il corpo stesso; la ragione e la fede ci illuminino sul conto che dobbiamo farne.

Fratelli, siamo cristiani; viviamo alla luce del Vangelo. Ma, è proprio vero che le nostre contrade, le nostre città, sono cristiane? La vita, la condotta, manifestano chiaramente la religione che diciamo di professare? Noi attraversiamo un’ora tragica: non mi stancherò di ripeterlo: è anche l’ora di Dio. Gli uomini, con i loro disordini, hanno scatenato il flagello su tutta la famiglia umana; atterriti oggi dalle conseguenze, ne sono spaventati, terrorizzati, ma nulla possono per arrestare quest’ora da essi voluta.

Il male non può fare che male; solo Iddio è potente da saper trarre il bene dal male ed Egli vuol farlo; Egli vuole afferrare quest’ora e farla servire ai suoi disegni di bontà; è un’ora di sangue e di morte, ed Egli vuol farla un’ora di salvezza e di vita: basta che trovi strumenti adatti alla sua Provvidenza. E gli strumenti siamo noi cristiani, se ci metteremo a vivere bene.

All’indomani di questo sconquasso, all’indomani della cessazione di questa immane guerra, gli uomini, gli studiosi di problemi cercheranno una via di salvezza, di vita; noi sappiamo che solo Gesù è: “via, verità e vita”.

Guarderanno a noi questi studiosi, si volgeranno a noi i fratelli separati, gl’idolatri, tutto il mondo, cercando luce e vita; che terribile responsabilità non sarebbe la nostra, se essi vedendo i nostri esempi, il nostro vivere contrario al Vangelo e alla Legge di Dio, dovessero tornare ai propri idoli, alle proprie idee e dire: ” ma questa è una commedia!

Dicono di essere cristiani, seguaci di Cristo e della sua dottrina; ma in pratica vivono come noi e peggio di noi! Meglio, meglio il nostro Budda, il nostro Maometto…” Ancora una volta, allora, per colpa dei cristiani andrebbe frustrata la grande chiamata di Dio, ancora una volta sarebbe scoccata invano l’ora di Dio, l’ora della salvezza del mondo. Quale rendiconto per noi!

Fratelli, torniamo in noi stessi, e facciamo subito quello che la coscienza ci detta. Siamo cristiani, seguaci di Cristo, seguiamolo sinceramente.

Siamo umili. l’umiltà è la base della santità, è la salvezza del peccatore. La superbia invece è la radice di ogni male, anche per questo mondo; il superbo è il collaboratore diretto di Satana, spirito di orgoglio e di superbia; il superbo è peggiore dell’idolatra: questi adora un altro, il superbo adora se stesso.

Viviamo col cuore in alto nell’aspettazione dei veri beni di lassù, dei cielo; lassù è la nostra patria eterna; qui siamo di passaggio, ci stiamo per poco, guai se non viviamo bene!

Siamo cristiani; viviamo dunque nella carità sincera, amiamoci gli uni gli altri. Siamo figli di un medesimo Padre che sta nei Cieli, siamo tutti fratelli in Cristo che ci ha redenti, siamo tutti un’unica famiglia, la famiglia di Dio. Perché dunque tanto odio? L’odio è opera di Satana, chi odia si fa strumento di Satana che vuole la distruzione del bene; l’odio è morte, l’amore è vita l’odio è tormento, l’amore è gioia. Come fa male sentire, fra i cristiani, sinistri propositi di odio e di vendetta! Si medita, si brama l’ora di sfogare questo basso istinto all’indomani del flagello; no, no, per amor di Dio! Coltiviamo invece generosi propositi di perdono e di pace; tutti abbiamo peccato, tutti abbiamo bisogno di ripetere sinceramente quella preghiera sublime insegnataci da Cristo: “Padre nostro, che sei nei Cieli…, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo a chi ci ha offeso”. Che pace sarebbe la nostra, se la volessimo profanare con la lotta fraticida, con le private vendette, con le rappresaglie? Che cristianesimo sarebbe il nostro?

Siamo al mondo per salvare l’anima: questo è il grande unico affare della nostra vita; e non c’è sacrificio che debba parere grande, quando si tratta di mettere al sicuro l’anima nostra. Teniamo bene a mente la parola di Cristo: “Che giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo, se poi perdesse la sua anima?”. Con questa parola termino questa mia lettera, questa paterna esortazione, che mi è nata dal cuore, ai piedi del mio Crocefisso, alla considerazione dei mali che ci affliggono da tanto tempo.

Il Signore benedica questa mia povera parola, questa Sua parola e faccia degni tutti noi di ascoltarla e di metterla in pratica, a gloria sua, a bene dell’umanità.

Con paterna effusione di affetto, in questi giorni di Pasqua cristiana, vi benedico, raccomandandomi alla carità delle vostre preghiere.

* LETTERA XLI 28 Aprile 1945

Miei cari fratelli

La grazia, la pace del Signore sia sempre con noi, specie in quest’ora di riconciliazione e di perdono da parte di nostro Signore, per certa intercessione della Santissima Madre, la cara Madonna, che ancora una volta si è mostrata Madre di misericordia e di bontà. Sta ora a noi, o miei cari ed amati fratelli, far tesoro di tanto dono, e tutti “cor unum et anima una”, metterci in un fronte unico di carità verso Dio e verso i fratelli, affinché l’Opera dei Poveri Servi riesca quale il Signore la vuole, una fonte alimentata continuamente dalla vena nascosta della vita interiore di ciascuno di noi, perché le anime e le altre opere della Chiesa di Dio vi attingano continuamente la carità e lo spirito genuino del santo Vangelo, unico mezzo per ritornare tutti a Dio, in questa valle di pianto e di esilio, ma che è pure, con la fede e l’amore di Dio, bella vigilia della Patria Celeste, il santo Paradiso.

Questo deve essere il proposito ed il programma di tutta la nostra vita per l’avvenire; ma un altro dovere è necessario che ci affrettiamo a compiere: quello di ringraziare il Signore del gran dono che ci ha fatto; e per questo vi invito ad una giornata di adorazione eucaristica, fatta con la massima solennità possibile, che si chiuderà con un discorso di occasione ed il solenne Te Deum.

Non dimenticatevi mai di pregare per questo vostro Padre che tanto vi ama nel Signore, che prega e soffre per voi, perché siate come veramente dovete essere, cioè Poveri Servi, e che un giorno si compia il voto e la preghiera che, come sapete, faccio ogni mattina dopo la S. Messa “ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum”.

Così sia e Dio vi benedica.

* LETTERA XLII 24 giugno 1945

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Più volte in questo ultimo volgere di tempo, vi ho fatto sentire la mia povera parola quale mi veniva spontanea nel cuore, sempre esortandovi a riconoscere nel grande flagello che ci sovrastava, la divina chiamata per tutta l’umanità in generale, ma sopratutto per noi cristiani, religiosi, sacerdoti, che, mentre dovremmo essere sale della terra, luce del mondo, purtroppo ci siamo tanto allontanati dagli insegnamenti del Santo Vangelo, e così dissimile è la nostra vita da quella degli Apostoli e dei primi cristiani, che sovente vi è un’abisso fra la teoria e la pratica, la fede e le opere. Per questo sento il bisogno di dirvi che la chiamata di Dio, col cessare delle ostilità non è cessata, ma continua più insistente che mai: guai a noi se non vi rispondiamo cambiando vita e costume, ritornando alla osservanza della divina legge e ad una vita praticamente cristiana!

Dobbiamo sì ringraziare la bontà e la misericordia del Signore, che in maniera prodigiosa ha protetto tutte la nostre Case, come pure la nostra diletta città, che avrebbe potuto essere un cumulo di macerie; e questo, è doveroso riconoscerlo, fu grazia specialissima della cara Madonna, che, contro ogni previsione, nonostante i propositi e gli apprestamenti per una ben agguerrita resistenza, evidentemente ha fatto prevalere in nostro favore gli effetti della divina misericordia sopra i diritti della divina giustizia: come dobbiamo ringraziarla!

Ma questo non basta miei cari fratelli; il Signore domanda ben più da noi. Egli vuole che ci sforziamo tutti a diventare migliori: la santità della vita è il migliore ringraziamento; guai a noi se dopo questo grande flagello fossimo come prima! Nessuno in quest’ora ha il diritto di essere mediocre. Solo così compiremo i divini disegni su noi e su l’Opera.

Il mondo è come disorientato, tutti cercano una luce che li guidi nel nuovo cammino, ma questa luce non potrà venire che da nostro Signore Gesù Cristo, luce vera che illumina ogni uomo che viene a questo mondo.

A questo proposito voglio qui riferire e proporre alla mia e vostra meditazione alcuni passi bellissimi di un dotto e pio scrittore, e son certo e sicuro che faranno tanto bene a voi, come hanno fatto anche a me.

“Il Cristo, egli dice, è veramente luce del mondo, ma una luce in sé invisibile che deve farsi visibile per mezzo di un corpo; la luce che è Cristo deve prima accendersi in noi, affinché noi l’abbiamo a diffondere nel mondo; il Cristo ha bisogno di lampade. Quanto più siamo dominati da Lui, tanto più forte é pure la luce che emana da noi; tanto più mi distacco da me stesso e mi abbandono incondizionatamente a Dio, tanto più chiaramente e distintamente rifletto il Cristo”.

“Molti cristiani purtroppo, (possiamo dire molti sacerdoti e religiosi) riflettono la divinità tanto deformata da renderla irriconoscibile: altri invece (e noi Poveri Servi con la divina grazia dobbiamo essere di questo numero) la trasmettono tanto chiaramente, che coloro che non sono atti a riceverla, mediante un apparecchio tanto buono la percepiscono”. E cita il detto di un celebre filosofo, che un giorno disse: se i redenti vivessero da redenti, sarebbe più facile credere al Redentore.

Quanta verità, o miei cari, in queste parole e come devono farci tutti riflettere!

Ma quell’autore va avanti e tocca altri punti, non meno importanti e fondamentali per noi, se vogliamo collaborare ad una vera ricostruzione per la povera società. “Ognuno di noi, egli dice, può farsi centro di una invisibile comunità spirituale. Quale conforto, quale gioia, ma pure quale responsabilità in questo fatto! E’ nelle mani di ognuno di noi il salvare o il perdere le anime redente dal Sangue di Cristo. Chi è luce nel Signore è pure luce nel mondo e prende parte al governo del mondo, in quanto Dio intende trasmettere e continuare l’opera della Redenzione solo attraverso gli uomini. Non i potenti reggono il mondo, ma gli umili, e ciò che vale per il governo del mondo, vale pure per ciò che concerne la santità personale. Non i potenti ma gli umili traggono a se il regno dei cieli. Nessuno può dire: non valgo nulla, inutile è la mia vita; perché nel regno di Cristo valgono ben altri principi che non tra i figli del mondo. – Gli ultimi saranno i primi; il più piccolo fra tutti voi, questo sarà il più grande -. Nessuno disperi, né il malato, né il debole, né il naufrago, né lo sradicato, né il reietto, né l’abbandonato: ognuno di questi può fare cose grandi, divenire persino – una colonna nel tempio di Dio… – L’insignificante che passi inosservato senza lasciare traccia di sé nel mondo, può diventare padre di tutto un popolo, avverando in sé tutto il significato spirituale delle bibliche parole: il minimo crescerà di mille doppi: il piccolo in gente fortissima (Isaia 60,22). Gli umili in questo mondo sono potenti presso Dio. Essi domineranno il mondo, riducendolo a Cristo”.

Quanta luce ci viene da questo insegnamento, miei cari ed amati fratelli! Quante volte vi ho detto e ripetuto anch’io che noi saremo grandi se saremo piccoli, che saremo ricchi se saremo poveri, che compiremo cose grandi se ci conserveremo fedeli ai piccoli quotidiani doveri! non ci lasciamo ingannare dalla bramosia di fare cose grandi, dal desiderio di crescere e di moltiplicare le Case. No, no, o cari! Non è il numero che conta, ma la qualità: io dico sempre: i pochi formeranno i molti. Se ci riducessimo ad avere anche una sola Casa e restassimo soltanto pochi Sacerdoti, pochi Fratelli, ma pieni dello spirito puro e genuino dell’Opera, ve lo dico in nome di Dio, noi potremo compiere cose grandi per il bene delle anime e per la gloria del Signore.

Umiltà quindi, o miei cari. Vita interiore, spirito di fede, osservanza delle Regole e dei santi voti, carità, grande carità, e sopratutto carità fraterna; ve la raccomando tanto questa virtù, che ha il suo fondamento nella nostra elevazione all’ordine soprannaturale, nella nostra adozione a figlioli di Dio, fratelli quindi di N. S. Gesù Cristo, eredi di Dio e coeredi insieme con Cristo.

Oh! prodigio della infinita carità di Dio verso di noi, dice l’Apostolo S. Giovanni, Egli ha voluto che ci chiamassimo e fossimo suoi figlioli! Ma, soggiunge il medesimo Apostolo, se Dio ci ha così amati, anche noi dobbiamo amarci a vicenda. Precetto divino questo della carità fraterna, o miei cari, che mai come in quest’ora è doveroso di richiamare.

E lasciate che vi ripeta qui ancora quanto vi scrissi in un’altra mia lettera. “Siamo cristiani, vi dicevo in essa, viviamo dunque nella carità sincera, amiamoci gli uni gli altri, siamo tutti figli di un medesimo Padre che sta nei cieli, siamo tutti fratelli in Cristo che ci ha redenti, siamo tutti un’unica famiglia, la famiglia di Dio. Perché dunque tanto odio?

L’odio è opera di Satana; chi odia si fa strumento di Satana, che vuole la distruzione del Bene; l’odio è morte, l’amore è vita. L’odio è tormento, l’amore è gioia.

Come fa male sentire fra cristiani sinistri propositi di odio e di vendetta! Si medita, si brama l’ora di sfogare questo basso istinto all’indomani del flagello; no, no, per amor di Dio! coltiviamo invece generosi propositi di perdono e di pace; tutti abbiamo peccato, tutti abbiamo bisogno di ripetere sinceramente quella preghiera sublime insegnataci da Cristo: Padre nostro, che sei nei cieli,… rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo a chi ci ha offeso. Che pace sarebbe la nostra, se la volessimo profanare con la lotta fraticida, con le private vendette, con la rappresaglie? Che cristianesimo sarebbe il nostro?”.

Finisco o miei cari ed amati fratelli, pregandovi di tener conto di quanto vi dice questo povero e vecchio Padre, e specialmente di metterlo in pratica; che cosa gioverebbe ascoltare e poi dimenticare e non darsi nessun pensiero di quanto si è ascoltato? Quale responsabilità sarebbe la nostra!

Nella mia povertà prego che ciò non avvenga per nessuno di voi, e voi pregate tanto per me, che ne ho proprio tanto, ma tanto bisogno, affinché possa fare sino alla fine la santa volontà di Dio.

Vi benedico con paterno affetto.

* LETTERA XLIII Verona, ottava del S. Cuore, [7 giugno] 1945

Amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Qui ai piedi del mio Crocefisso, scrivo questa mia lettera per farvi sentire ancora una volta la mia povera parola, quale mi nasce spontanea nel cuore. E poiché siamo ormai tanto vicini alla festa del Preziosissimo Sangue, desidero mettervi a parte della “solenne promessa” che il vostro Padre ha fatto a nome di tutta la Congregazione all’indomani dell’armistizio, e rinnovata il 2 luglio dello scorso anno. Per una maggiore conoscenza ne unisco copia per le singole nostre Famiglie religiose, e da questa conoscerete che alcune cose riguardano direttamente S. Zeno in Monte, ma altre obbligano tutt’intera la Congregazione. Quanto io posso, vi raccomando di metterle subito in pratica, specialmente quello che si riferisce alla pratica del primo Sabato del mese ad onore del Cuore Immacolato di Maria SS., e quello che concerne la devozione e la festa del Preziosissimo Sangue.

Dobbiamo riconoscerlo e confessarlo apertamente: noi di S. Zeno in Monte e tutte le Case, fino all’ultimo momento siamo stati protetti in una maniera veramente singolare e straordinaria; Lo stesso sinistro della tipografia è stata una grazia, un dono del nostro Padrone Assoluto Gesù Benedetto, perché in tal modo ci ha preservati da un pericolo che avrebbe potuto portare conseguenze assai gravi per tutta l’Opera, come saprete a viva voce appena questo sarà possibile.

E’ doveroso quindi mantenere la parola data ed elevare il nostro monumento di perenne riconoscenza a Dio, che, mentre testimonierà anche a coloro che verranno dopo di noi i divini benefici, servirà a renderci propizia la divina misericordia per noi e per tutte le anime salvate, purificate, santificate dal Sangue Preziosissimo di Nostro Signore Gesù Cristo, scaturito come da purissima sorgente dal Cuore Immacolato della SS. sua Madre. Fatevi apostoli di questa duplice devozione, e ne sperimenterete gli effetti salutari, specialmente per noi Poveri Servi.

Oh quanto è bello questo nome “Poveri Servi”, e come dobbiamo ringraziare il Signore per il dono grandissimo che ci ha fatto, dandoci la grazia di essere fra i primi ad appartenervi! Ma, per amor di Dio, che questo non sia solo un nome, un’etichetta qualsiasi, perché allora sarebbe la nostra condanna, la nostra rovina! Quanto so e posso vi raccomando di essere veri Poveri Servi, e lo saremo vivendo lo spirito puro e genuino dell’Opera, che alla fine è quello proprio degli Apostoli e dei primi cristiani; fu questo spirito che convertì il mondo al tempo di Nostro Signore.

Dio mio, in quale abisso di degradazione era caduta la povera umanità, che nuotava in tutti i vizi, segni certi di estrema rovina! Dodici Apostoli, pieni del soffio dello Spirito Santo, hanno mutato faccia al mondo e rinnovata la terra; ai pagani, agl’infedeli bastava vedere la vita, l’esempio, lo spirito dei primi cristiani per detestare le proprie turpitudini e convertirsi. “Guardate, dicevano, come si vogliono bene fra di loro, come si aiutano, come si compatiscono! e questo amore, questa carità non è soltanto per loro, ma anche per noi; essi ci vengono incontro, ci beneficano”; e col loro esempio si convertivano. Noi dobbiamo rinnovare in noi stessi lo spettacolo di simili esempi. Viviamo in un’ora in cui tutti hanno gli occhi verso di noi, domandano e vogliono vedere come viviamo, come ci comportiamo, se mettiamo in pratica quello che insegniamo e predichiamo.

E’ facile, amati fratelli, scrivere, parlare, ma è difficile praticare; d’altra parte non sono le parole, ma gli esempi che persuadono, ed esercitano come un fascino per tutti, grandi e piccoli, dotti e ignoranti.

Durante questo flagello si sono imparate tante cose, sono cadute tante barriere, si studiano tutti i mezzi per dare vita più tranquilla e normale ai popoli; anche noi dobbiamo muoverci ed esercitare la nostra missione di pace e di bene, richiamando in pratica il Santo Vangelo, modellandoci tutti, e specialmente noi Sacerdoti e Religiosi, sul divino modello Cristo Gesù, sommo ed eterno Sacerdote, il vero e primo servo del celeste Padre.

Dobbiamo persuaderci una buona volta che non basta più, ai nostri tempi, in quest’ora soprattutto, confessare Gesù in qualche circostanza solenne, in qualche cerimonia di parata; non basta amare il Signore e servirlo a metà, con una vita che infondo è spesso uguale, se non anche inferiore, a quella dei laici; ma bisogna che il suo amore, la sua volontà e il suo servizio formino la vita della nostra vita, l’anima della nostra anima, cercando con passione la sola gloria di Dio e il bene delle anime. Non parole ci vogliono, ma fatti, ma virtù; è assolutamente necessario essere buoni per noi e per gli altri, cercando noi di espiare i delitti e le aberrazioni di tanti nostri fratelli caduti nell’abisso dell’odio, della vendetta, che purtroppo continua a inquinare e rovinare le anime che Cristo ha redento, santificato con la sua carità e con il suo amore, fino a dare per esse la vita.

Sono al termine, sono vicino alla sera della mia povera vita, e vorrei che questo fosse il mio testamento per voi, amati fratelli: per amor di Dio, vivete le spirito puro e genuino dell’Opera, e se alcuno non si sentisse, lo prego, lo scongiuro per il bene della sua anima e dell’Opera stessa, se ne vada pure; Gesù ha bisogno che nelle nostre vene religiose scorra praticamente il sangue con il quale ha redento e salvato la povera umanità.

L’Opera dei Poveri Servi deve essere di modello: Dio mio quale responsabilità! Il mondo sarà conquistato con la follia della croce, l’umanità troverà il suo posto solo accanto a Gesù, in Cristo, per Cristo, con Cristo.

Amati fratelli, quante volte vi ho detto che dobbiamo essere conche e canali, pieni di Gesù, per dare Gesù alle anime! Ma non si può dare quello che non si ha. Perché il mondo è pieno di corruzione, di vizi, di odi, di vendette? Perché ci sono tanti ausiliari di Satana, fedeli esecutori dei suoi ordini, e quindi danno quello che dà Satana. Noi deploriamo spesso il male negli altri, ma dobbiamo metterci una mano al petto e chiederci: di chi è anche la colpa? Abbiamo proprio bisogno di fare una seria revisione di noi stessi e della nostra vita, e farla subito, finché siamo in tempo, prima che la faccia il Signore, con un’altra prova, forse più grave e dolorosa di quella da poco passata.

L’ora della chiamata da parte di Dio non e cessata; fu fatto solo dalla divina bontà e misericordia, certo per intercessione della cara Madonna, un armistizio, una tregua; per amor di Dio, guardiamo di approfittarne dando mano a una riforma che si impone per tutti, ma specie per noi Sacerdoti e Religiosi; promettiamo di vivere come cenci, come creta, umili, convinti della nostra miseria, ma abbandonati in Dio e nelle braccia amorose della divina Provvidenza, con cuor grande e generoso, cercando solo anime, anime, anime, nella forma e nel modo che ha voluto Gesù, e che gli Apostoli hanno imitato vivendo distaccati dalle creature, uniti a Cristo con la vita interiore, che in ginocchio vi raccomando, e con amore grande e generoso, vedendo nel prossimo, chiunque sia, l’immagine di Dio, e con il solo desiderio che tutti in un cuor solo ed un’anima sola facciano un unico ovile sotto un solo Pastore.

Ho detto con la vita interiore, alla quale ci esorta l’Apostolo con quelle parole a Tito: “Attende tibi”; fuori c’è un mondo da convertire e da salvare; eppure egli insegna: “Attendi a te”, pensa a te; e così salvi te e coloro ai quali dovrai parlare. Parrebbe un controsenso, e invece è così. E’ febbrile oggi il lavoro nel campo del bene, ma con quali risultati? Purtroppo si sbaglia tattica, non si pensa alla propria santificazione, ed è solo a questa che è annessa la salvezza delle anime. Così ha fatto Gesù, così hanno fatto i Santi.

E’ Dio che converte le anime, noi dobbiamo solo renderci strumenti bene adatti. Avviene nell’opera grande e divina della salvezza delle anime come nella fotografia; per impressionare la lastra ci vuole l’obiettivo e la persona che si metta davanti ad esso. Le anime sono la lastra, noi siamo la figura da riprodurre. Se noi siamo altrettanti Cristi, nelle anime si riprodurrà la figura di Gesù; ma se noi siamo tutt’altro, che cosa si riprodurrà?

Ricordiamoci che solo i Santi santificano; ed essi ci insegnano a coordinare la vita presente con la vita futura, a non perdere di vista il cielo, per il quale siamo fatti, ed il premio che lassù ci attende. Siamo inondati dalle meraviglie di Dio, tutto ci parla di Lui, tutto è dono suo: l’aria che respiriamo, la luce che ci sorride, il calore che ci riscalda, il fiore che ci allieta, il frutto, le vesti, la casa, tutto è dono suo; serviamoci di questi doni come di altrettanti mezzi per lodare e benedire Dio, come di gradini per salire fino a Lui. Le anime seguiranno il nostro esempio, ascolteranno con più fede la nostra parola, e fra tante prove e dolori della vita, specie in quest’ora gusteranno il soave conforto della cristiana rassegnazione e si orienteranno a Dio che ci ha creati, che ci ha redenti per la vera vita.

Vi raccomando in fine la carità, che deve essere il distintivo di noi Poveri Servi. Via ogni grettezza indegna di un’anima religiosa e sacerdotale; senza la carità, anche se facessimo miracoli, non saremo creduti; invece tutti disarmano dinanzi alla vera carità di Cristo; la predica che più si ricorda è quella della carità, e un atto di bontà compiuto nel silenzio e nel nascondimento a favore di chi soffre, da chi lo riceve non sarà mai dimenticato. La vera religione, alla fin fine, consiste nella carità: “Spezza il tuo pane all’affamato, accogli nelle tua casa i poveri e i pellegrini, se vedi un ignudo rivestilo, e non disprezzare la tua carne”. Cari ed amati fratelli, come è bello richiamare questi grandi pensieri dei Libri Santi! meditiamoli e mettiamoli in pratica secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera. Guardate, e ricordatelo bene, che l’Opera dei Poveri Servi muore di certo se non sarà così, e che nessuna forza, nessun nemico esterno la può far deviare e rovinare; solo noi, se non viviamo e pratichiamo lo spirito puro e genuino.

Vi raccomando tanto, fate tesoro di queste mie povere parole, mettendole in pratica subito. Meditatele sovente, specialmente nei giorni di Ritiro e nei prossimi Santi Esercizi, che in quest’anno vi raccomando di fare con particolare impegno. Essi ci aiuteranno a fare quella revisione di cui vi ho parlato in questa mia; bisogna che ci rinnoviamo, per farci sempre più conformi all’immagine del Figlio di Dio, N. S. Gesù Cristo, condizione necessaria per la nostra eterna salvezza, come dice l’Apostolo; che se queste parole sono dette per tutti, quanto più per noi, che per la nostra specialissima vocazione dobbiamo più degli altri seguire da vicino Gesù, come altrettanti Cristi, per generare Cristo nei nostri fratelli, in tutte le anime che la divina Provvidenza ci fa avvicinare.

E affinché vi possiate meglio disporre, vi dico subito che gli Esercizi, a Dio piacendo, saranno, come il solito, il 1º e 30 settembre; il turno del Noviziato il 24 dello stesso mese. Preghiamo fin d’ora lo Spirito Santo, la cara Madonna, affinché dispongano le anime nostre come hanno disposto gli Apostoli e i Discepoli nel cenacolo, e ci preparino ad una nuova, beata Pentecoste.

Io sono sempre in mezzo a voi, amati fratelli, con il pensiero, con la mia benedizione, e con la sofferenza; benedico a tutti e con voi benedico la nuova pianta dei Fratelli esterni, pianta che Dio ha messo vicino all’Opera dei Poveri Servi e che farà un immenso bene nelle famiglie, nella società e nel mondo.

PS. Questa mia lettera sia letta e commentata in chiesa dal Superiore a tutti i fratelli appena ricevuta, mentre raccomando di far tesoro tutti di queste mie povere parole, dette e sentite in cuore per santificazione nostra e dell’Opera dei Poveri Servi.

* LETTERA XLIV 20 luglio 1945

Miei cari fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siamo sempre con noi.

Eccomi qui davanti al mio Crocefisso, dal quale mi pare parta l’ispirazione di scrivervi questa mia povera lettera, per dirvi tutto quello che il mio cuore desidera a bene delle vostre anime, a santificazione della cara nostra Congregazione, che, come altra volta vi ho detto, ha relazione, non so come né quando, con l’ora attuale. Ricordatelo bene: l’Opera dei Poveri Servi è destinata, nella economia della divina Provvidenza, non solo a bene nostro, ma ancora della nostra Verona, della diletta Patria nostra e di tutta l’umanità, a patto però che noi corrispondiamo, ritornando, e presto, alle pure sorgenti dello spirito e della vita degli Apostoli e dei primi cristiani. A questo, con divina insistenza, il Signore ci chiama con la potente voce dei gravi avvenimenti dell’ora attuale, per salvare noi e la cara Patria, l’Italia, nazione e popolo da Dio eletti ad essere luce e sale per tutta la povera umanità, poiché fu per predisposizione della divina Provvidenza che nel centro di essa, in Roma, fosse elevata la Cattedra del Vicario di Cristo, il Papa, Maestro di verità, che, additando le vie della giustizia e della carità, anche oggi, come sempre, conduce il mondo alla pace vera, alla prosperità e alla salvezza, così da doverlo ancora una volta proclamare: salus mundi Pontifex.

Quale grazia, miei cari fratelli, ma nello stesso tempo quale responsabilità, se, nonostante tanti divini favori, nonostante tanta misericordia, tanto perdono da parte di Dio, facessimo come prima o peggio di prima! E qui subito una mano sul cuore, prima io stesso, e dopo ciascuno di voi: quale profitto abbiamo tratto da questo flagello? Siamo usciti più buoni, più virtuosi? Ci siamo corretti dei nostri difetti? Abbiamo pianto e detestato i peccati? Abbiamo promesso di essere tutti del Signore, veri suoi servi, fedeli alle nostre sante Regole, tutti intenti a santificare le nostre anime? perché, o cari, questo è il fine di tutti noi, salvare l’anima. E fosse vero che tutti facessero questa riflessione, secondo il loro stato e si convincessero che tutto il lavoro che si fa per la vita terrena non vale proprio niente se non è coordinato con la vita futura, con la salvezza dell’anima, memori della parola di N. S. Gesù Cristo: “Quid prodest homini si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur?”.

Ed è appunto questo, cari fratelli, il nostro compito: pregare, soffrire, vivere secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera, per impetrare dal Signore, oltre le grazie per noi, anche copiose benedizioni e grazie per la nostra città, e per la nostra cara Patria, che, specie in questi momenti, ne ha un bisogno tutto particolare, perché possa essere all’altezza della sua missione, e quindi una Patria riedificata in Cristo, sulle basi granitiche del S. Vangelo, unico codice perché regni e trionfi nel mondo la giustizia e la carità che tutti affratella nel più giusto e vero senso della parola; così possiamo lavorare per la ricostruzione materiale, ma soprattutto spirituale e morale. Finora, purtroppo si sono dimenticati, conculcati anzi, tutti i valori soprannaturali e dello spirito; si è confidato nella scienza, nelle ricchezza; si è affermato il diritto della forza contro la forza del diritto; si è stabilito il nuovo mito della razza e del sangue, con inaudito orgoglio ripudiando la nobilissima adozione a figli di Dio in Cristo; e che cosa ne è derivato?

Troppo evidente e clamoroso è il crollo di tante ideologie, eppure le terribili lezioni del passato forse ancora non bastano. Nel tentativo di ricostruire dopo tante rovine, si fanno da molti grandi passi, ma fuori di strada, se si dimentica Dio, la Redenzione, l’anima, l’eternità. Se non è il Signore che edifica la casa e la città, dice la S. Scrittura, ogni fatica e ogni sforzo è vano: Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam.

Ed è anche vero che tante avversità sono castigo del peccato, frutto della odierna apostasia da Dio e del vero paganesimo sempre più dilagante nella famiglia, nella società, attraverso la moda invereconda, il cinema immorale, la stampa e le illustrazioni corruttrici, gli scandali pubblici, per i quali non possiamo che attenderci sempre più gravi flagelli da parte di Dio, secondo il monito scritturale: Propter peccata veniunt adversa!

La vita presente, staccata da Cristo, perde ogni suo incanto; vissuta in Cristo, secondo il S. Vangelo, coordinata con la vita futura nella Patria celeste, diventa la grande e bella vigilia di una festa perenne. Oh, se fossimo tutti dominati da questi pensieri! Se non a parole ma a fatti servissimo il Signore, allora si irradierebbe da noi quella luce divina che N. S. Gesù Cristo è venuto a portare sulla terra, e per la quale egli illumina ogni uomo che viene a questo mondo.

Allora sarebbe facile il precetto della carità, sarebbe anzi lieta e gioconda cosa vivere nella carità sincera, nell’amore vicendevole degli uni per gli altri, memori che siamo tutti figli del medesimo Padre che sta nei Cieli, fratelli in Cristo che ci ha redenti, costituendo tutti un’unica famiglia, la famiglia di Dio. Così cesserebbe l’odio che tanto male produce oggi nel mondo; non vi sarebbero più divisioni, rappresaglie, vendette: tutte opere di Satana, grande nemico di Dio e nostro. Per questo vi dicevo che bisogna riedificare in Cristo. Oh, se in tutte le nazioni, in tutti gli Stati ritornasse Cristo, il suo Vangelo, questo povero mondo diventerebbe davvero un anticipato Paradiso!

Ma per questo bisogna pregare e pregare. Durante il tremendo flagello testé passato non si poteva parlare di preghiera, non si voleva; tutto era fondato sulle sole forze umane, sulla superbia, ed ecco la rovina, ed ecco il mondo come è ridotto…

Cari fratelli, preghiamo, preghiamo; la preghiera, unita con una vita santa, ottiene miracoli; ed ora ci vuole proprio un miracolo perché tutto ritorni nell’ordine. Fratelli, questa è la nostra parte, parte grande, nobile, divina; pregate e fate pregare, e a quanti avvicinate, siamo grandi o piccoli, sapienti o ignoranti, dite con franchezza della necessità della preghiera, specie in quest’ora.

E, guardate Provvidenza divina, mi viene ora nelle mani uno scritto di persona che io credo ispirata, che parla proprio della preghiera per la nostra cara Patria, specie in quest’ora importantissima per l’avvenire di essa, scritto che io avrei rimorso se non ve lo facessi conoscere.

Anche questo è una grazia che ci fa il Signore; siamone a Lui grati e riconoscenti, per amor di Dio, che il Signore non passi invano sopra di noi.

E affinché la nostra preghiera sia più accetta al Signore, mettiamola nelle mani e sulle labbra della cara Madonna, per la cui intercessione, come siamo stati prodigiosamente liberati dall’incubo e dagli orrori dell’invasione, così confidiamo di conseguire quella pacificazione degli animi che sarà preludio della pace vera che dobbiamo meritarci con un sincero ritorno all’osservanza della santa Legge di Dio e vivendo una vita in tutto conforme al S. Vangelo, che, come vi ho detto, sarà vita di anticipato Paradiso, proemio della vera ed eterna vita con Dio in cielo.

Ecco pertanto il tenore dello scritto, al quale ho qui sopra accennato e che vi raccomando di bene meditare e praticare. Guai a noi se, dopo aver ascoltato la parola e la voce del Signore, non la mettiamo in pratica, indurendo in tal modo ancor più il nostro cuore! Quella parola sarebbe per noi di condanna. Che questo non sia, o cari ed amati fratelli, per nessuno di noi.

PER LA SALVEZZA D’ITALIA

Crediamo di essere nel vero affermando che forse molti dei Cattolici italiani non si rendono conto esatto delle attribuzioni di quella che sarà la futura Costituente.

Si pensa da tanti che essa abbia semplicemente lo scopo di decidere se lo Stato nostro debba reggersi con forma monarchica o repubblicana, e si dimentica, o si ignora, che sarà compito della Costituente di dare allo Stato italiano uno nuovo Statuto, poiché la costituzione largita da Carlo Alberto il 4 marzo 1848 è considerata sempre come Statuto fondamentale del Regno italico, ma, deformata in seguito e sostanzialmente abrogata dal passato regime, non corrisponderebbe più, nel suo ordinamento primitivo, al clima politico dell’Italia di oggi e alle esigenze di una nuova struttura sociale quale è reclamata dai tempi nostri. Per conseguenza la nuova carta costituzionale che sarà data all’Italia, dovrà affrontare non solo il problema della forma dello Stato (repubblicana o monarchica) nonché quello delle autonomie, o meno, Comunali e Regionali, e della nostra struttura economica (proprietà, sua funzione, suoi limiti, iniziativa privata e controllo pubblico, riforma agraria, ordinamento del lavoro), ma anche il problema religioso, famigliare, educativo e della tutela dei diritti dell’umana persona e del cittadino italiano.

Chi non vede a prima vista quanto la futura Costituente investa gli interessi di noi cattolici come cittadini, come credenti, come anime, come eredi di un patrimonio di valori morali, religiosi, storici, con i diritti della fede, con la gloria e le tradizioni della cristiana civiltà del popolo italiano?

Chi è che non afferri immediatamente l’enorme portata di uno Statuto dal quale dipenderà se l’Italia sarà o meno considerata come nazione Cattolica, se essa sarà o meno avulsa dal suo passato bimillenario di madre della civiltà cristiana, se le nostre famiglie non saranno peggiormente rovinate dall’introduzione del divorzio, se sarà sancita la libertà di insegnamento nei diritti della scuola privata, se l’unità sindacale sarà severamente informata al rispetto delle coscienze; se la dignità della persona umana sarà tutelata da ogni insidia liberticida, da aggressioni suscitate da pregiudizi settari?

Per mettere in salvo valori e diritti di tale suprema importanza è necessario e doveroso organizzarsi nel campo politico e sociale, e non perdere un solo minuto nell’opera di addestramento e di preparazione alle competizioni elettorali dalle quali può dipendere la salute o la rovina del nostro paese; ma basterà questo? Che cosa crediamo di poter fare senza I’aiuto di Dio? E come fare assegnamento su di esso senza invocarlo? E come non invocarlo apertamente, socialmente, degnamente, quando anche dagli stessi eretici ci viene l’esempio del supremo riconoscimento di Dio in espressioni solenni di non ambigua fede?

Aggiungete alle accennate preoccupazioni tutte quelle altre che derivano dal naufragio desolante dell’onestà, del pudore e degli stessi sentimenti di pietà umana, nonché dalle insidie che si tendono alla fede stessa e dalla penosa situazione economica e internazionale, e poi dite se non è questa l’ora della preghiera, e d’una preghiera sentita, perseverante, generale, per la salvezza della nostra Italia diletta.

Lasciamo naturalmente a chi spetta il compito di invitare i fedeli a pubblica preghiera, come sempre avviene, nel tempo ritenuto conveniente, il occasione di comuni necessità; noi intendiamo semplicemente rivolgerci oggi a quanti hanno coscienza di quel che importi salvare alla nostra Patria la sua impronta cristiana cattolica, perché in uno slancio di privata carità ci si trovi uniti in una crociata di preghiere da iniziarsi senza indugio.

Collochiamo la nostra Italia nel cuore adorabile di Gesù.

Che cosa ci impedisce di ripetere a vantaggio della Patria la pratica dei Nove primi Venerdì del Mese? Come per mezzo di questa devota forma abbiamo chiesto un giorno la salvezza della nostra anima, chiediamo oggi la salvezza della nostra Italia Cattolica.

E poiché il momento non è privo di legittime trepidazioni, e poiché Satana compie lo sforzo supremo per rovinare l’umanità che odia, facciamoci arditi a penetrare nello stesso sacrario del Cuore del Salvatore per chiedergli in carità che si degni di operare dal suo Cuore una trasfusione del suo Sangue divino nelle nostre vene esauste.

Tante povere anime, già così deboli, sono uscite dalla prova di questi anni tragici, esaurite di forze spirituali, disorientate, scardinate, in condizioni tali di dissanguamento religioso da non potersi salvare che con una trasfusione di vitali energie.

Ebbene: se nella S. Comunione del primo venerdì del mese porteremo a Gesù un cuore palpitante di carità per i nostri fratelli d’Italia, il Sangue divino, che nel Sacramento d’amore scende realmente nel nostro essere, non potrà non estendersi, nella sua benefica virtù, a tutti quelli che portiamo in cuore, poiché non è possibile immaginare che la divina infinita Carità non tenga conto del fatto che noi non possiamo essere separati, nella nostra trepidante angoscia, dalle sorti delle anime tutte della nostra Patria.

Sarà compito della nostra Fede di rimettere in circolazione nelle vene esauste d’Italia il Sangue di quel Cuore che ad essa ha assegnato la sede del suo supremo potere spirituale, affinché la patria nostra, non solo sia salva nella sua fede religiosa, ma ritorni alla sua privilegiata missione di primato come Madre della Cristiana Civiltà.

In conformità a quanto è detto in questo scritto, desidero che nelle vostre preghiere raccomandiate al Signore queste importanti intenzioni, intensificando la devozione e il ricorso al Cuore Sacratissimo di Gesù, fonte di ogni consolazione, pieno di bontà e di amore per noi. In particolare desidero che in tutte le Case il S. Rosario di ogni giorno sia indirizzato a questo stesso scopo, aggiungendo ad ogni posta la bella invocazione liturgica: Ut cuncto populo christiano pacem et unitatem largiri digneris, te rogamus audi nos.

Come sempre, vi raccomando di pregare tanto tanto per me, che ne ho estremo bisogno, prima per la mia anima e poi per l’Opera del Signore, mentre di gran cuore paternamente tutti benedico.

* LETTERA XLV 18 agosto 1945

Amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

A breve distanza dall’ultima mia lettera e quasi a complemento di essa vi scrivo la presente, per farvi sentire ancora la mia povera parola e dirvi quello che sento profondamente nel mio cuore di Padre e di Casante e Custode di questa grandissima Opera del Signore.

A grandi mali grandi rimedi; miei cari fratelli, il male che dilaga oggi nel mondo e sembra prendere proporzioni sempre maggiori, mi pare sia senza precedenti; il demonio, nemico giurato del Signore e delle nostre anime, usa tutte le arti perché quest’incendio divampi sempre più, per mezzo dei suoi anche troppo fedeli seguaci, che sono tutti coloro che commettono l’iniquità, di essi servendosi per tenere schiava la povera umanità, che Dio con infinito amore ha creata, redenta e alla quale ha dato e continua a dare aiuti e mezzi divini, affinché possa valorizzare la presente vita, che è, si può dire, come la vita di un giorno rispetto all’eternità, coordinandola con la vera vita del cielo, nostra Patria.

Purtroppo la maggior parte degli uomini chiude gli occhi e non considera queste grandi verità, le dimentica, vive così una vita terrena, vita dei sensi, delle passioni e, come dice il salmo, “l’uomo elevato al grande onore della figliolanza divina non comprese, si è paragonato agli animali senza senno ed è divenuto simile ad essi”.

Ma dove si andrà a finire, miei cari ed amati fratelli, che cosa accadrà, se non si pone un argine, un rimedio efficace a tanto male? Nel passato, come ricorderete, noi sovente abbiamo pregato, abbiamo fatto qualche triduo Eucaristico, per espiare i peccati nostri e del mondo, per propiziarci la divina misericordia, affinché ci fossero risparmiati i castighi divini; le armi di Satana: l’egoismo, la superbia, la perfidia, l’odio ebbero il sopravvento ed ecco quanti disastri, quante sciagure, quante rovine ne sono venute! E l’umanità si è convertita? Sono cessati i peccati? In quale conto si tiene la santa Legge di Dio?

Mio Dio! Cessato questo immane flagello il male si è, si può dire raddoppiato. La generale apostasia da Dio, l’orgoglio, l’accontentamento delle più basse passioni, la sete sfrenata di piaceri, di divertimenti, cinematografi, balli, la moda invereconda, l’idolatria della carne, l’odio tra fratelli, la guerra aperta contro Dio, contro N. S. Gesù Cristo, la sua Chiesa, il suo Vicario e tutto l’ordine sacerdotale, costituiscono un quadro terrificante.

Questo nel mondo; e noi cristiani, religiosi, sacerdoti, come viviamo? Come ci conformiamo nei pensieri, nei giudizi, nella nostra vita pratica alle massime, ai principi del S. Vangelo? Ahimè, quale abisso fra la teoria e la pratica, fra la morale e il nostro Credo, fra la fede che professiamo e la vita che viviamo! Ed è perciò che ancora una volta io mi domando: dove si andrà a finire? Quali altri castighi la giustizia divina ci riserva nell’avvenire?

Il Signore, miei cari fratelli, ha la sua ora; a noi Poveri Servi, ve l’ho detto più volte, mi sembra che il Signore voglia affidare una speciale missione per l’ora attuale. Per questo dobbiamo ancora una volta sinceramente umiliarci dinanzi all’infinita Maestà di Dio, irritata per i nostri peccati, piangere e detestare prima le nostre colpe, espiare per noi e poi riparare e innalzare suppliche per tutti i nostri fratelli, per il mondo e in particolar modo per la nostra cara Patria, che in questo momento specialmente di importanza grandissima per l’avvenire di essa, ha particolare bisogno di Dio, della sua grazia, dei suoi aiuti. Per tutte queste ragioni, nella nostra Casa di S. Zeno in Monte si farà un solenne Triduo Eucaristico ad onore del S. Cuore di Gesù, Triduo al quale io vorrei si unissero tante anime, tutte le anime, per attingere a questa divina sorgente di ogni consolazione quelle grazie, quegli aiuti, quel conforto di cui più che mai tutti sentiamo bisogno in quest’ora di generale smarrimento e confusione; e al Cuore di Gesù cerchiamo di condurre tutti quelli che avviciniamo, con la parola, con l’esempio, con la preghiera: oh se il Cuore di Gesù regnasse veramente nel mondo, mentre sappiamo che il suo regno “è regno di verità e vita, regno di santità e grazia, regno di giustizia, di amore e di pace”!

Se il Triduo Eucaristico è solo per la Casa di S. Zeno, desidero invece che in tutte le Case, a cominciare dal prossimo mese di settembre, si faccia con particolare impegno e devozione la pratica dei primi venerdì per nove mesi consecutivi, alla cui pratica è legata, come sapete, la grande promessa del S. Cuore, con l’intenzione che essa giovi soprattutto per la nostra cara Patria, nella grave ora che attraversiamo, per conciliare ad essa grazie ed aiuti specialissimi da parte del Cuore divino di Gesù.

Pertanto nei prossimi giorni 16, 17, 18 agosto, che seguono immediatamente la Festa dell’Assunta, Gesù nel Sacramento del Suo amore sarà solennemente esposto e noi ci succederemo per turno nell’adorazione; l’Ottava, poi, dell’Assunta, nella quale quest’anno per la prima volta si celebra per tutta la Chiesa la festa del Cuore Immacolato di Maria, sarà per noi una giornata Mariana, dedicata interamente a questo Cuore Immacolato ed ad esso nello stesso giorno rinnoveremo pubblicamente la nostra consacrazione.

Così le nostre povere preghiere, presentate per le mani della cara Madonna saranno certo più efficaci e a Dio più gradite; ed io confido che una fitta pioggia di grazie scenderà sulla nostra Congregazione, sulla nostra Patria, sul mondo; ma per questo dobbiamo unire alla preghiera la promessa sincera di cambiare vita, di vivere come vuole il Signore, secondo il S. Vangelo, e adoperarci perché il peccato, causa unica di tanta rovina e di tanti mali, venga tolto, perché sia osservata la santa legge di Dio, e cessino gli odi e le vendette, perché fiorisca in tutti la vita cristiana nel vero senso della parola.

In questo proposito di rinnovarci spiritualmente ci dovranno confermare i Santi Esercizi ormai non lontani; vi esorto ad entrare in essi come ad un cenacolo, ed oh piacesse a Dio che gli Esercizi di quest’anno siano per noi quasi una Pentecoste, per uscirne, come gli Apostoli, veramente trasformati in Dio, per vivere davvero lo spirito puro e genuino dell’Opera e compiere così la missione che la divina Provvidenza vuole affidarci.

Che il Signore ci aiuti con la sua grazia.

Pregate tanto per me: come sempre, ve lo chiedo anche questa volta, perché ne sento tanto ma tanto bisogno, mentre nella mia povertà di gran cuore vi benedico.

* LETTERA XLVI 1 – 8 settembre 1945

Fratelli dilettissimi

La grazia del Signore sia sempre con noi tutti, specialmente in questi santi giorni di Esercizi Spirituali. Sono questi giorni destinati a santificare le anime nostre; sono questi giorni di grande misericordia, dove ancora una volta il Signore – pensate: il Signore! quello che un giorno, forse non lontano, ci chiamerà al grande rendiconto – il Signore, dico, ci chiama, per dirci le parole di bontà, per farci conoscere la grande grazia, il grande onore che ci ha fatto togliendoci dal mondo per farci suoi collaboratori, con la vocazione a questa grande, grandissima Opera dei Poveri Servi, per compiere i grandi disegni di bene, sia nell’ordine spirituale, come in quello morale e sociale, a vantaggio della povera umanità.

Miei fratelli, ve l’ho detto tante volte, ve lo ripeto ancora: l’Opera dei Poveri Servi è grande, per la sua natura, per il bene che è destinata a fare, e soprattutto per lo spirito che il Signore le ha dato.

Anche nella stima degli uomini quest’Opera è grande; e tutti guardano a noi con interesse particolare, sentendo qualche cosa di speciale che si irradia da quest’Opera; la posizione stessa, incantevole e bellissima di questa Casa, e di altre nostre Case, è un richiamo ad ammirare la grandezza della bontà e misericordia del Signore, che pensa ai suoi figli, a patto che essi cerchino sempre il suo regno e la propria santificazione.

L’Opera dei Poveri Servi ha una missione tutta particolare poi in quest’ora critica e difficile della storia; nei disegni della provvidenza ha una relazione intima con l’ora attuale per il rinnovamento dello spirito cristiano nel mondo; e questi disegni il Signore si degnerà di sviluppare gradatamente, per il bene dell’umanità, se noi saremo fedeli al nostro programma e se vivremo lo spirito puro e genuino dell’Opera, spirito che ormai tutti dobbiamo conoscere bene, e del quale dobbiamo essere pervasi e compenetrati. E questo spirito, ve lo dico sinceramente, non ho rimorso di non averlo infuso a nome di Dio su tutti voi in generale e su ciascuno in particolare: con la mia povera parola in pubblico e in privato, e con i miei poveri scritti, con le lettere che più volte vi ho mandato, scritte ai piedi del mio Crocefisso, e sempre domandando al Signore che mi ispirasse quello che sarebbe per la sua maggior gloria e il bene spirituale vostro.

Queste lettere, anzi, vi prego di rileggerle ogni qual tratto, meditarle seriamente, per investirvi del vero spirito dei Poveri Servi, e farne tesoro per il vostro avanzamento nel divino servizio in quest’Opera.

Fratelli dilettissimi, per amor di Dio vi raccomando questo spirito puro e genuino, perché solamente così potremo compiere i divini disegni che il Signore vuole attuare per mezzo nostro. Il demonio, nemico di Dio e delle anime, non vuole quest’Opera e tenterà ogni via, ogni arte, anche sotto forma di bene e di zelo, pur di svisarla, di farla deviare dalla sua caratteristica, e se potesse, pur di annientarla. Stiamo attenti, miei cari, e guardiamo di non lasciarci vincere dallo spirito del male; ascoltiamo sempre la voce del Signore, seguite in tutto e per tutto la voce di questo povero “Casante” messo dalla misericordia di Dio a custodia dell’Opera: sono un poveretto fra i poveretti, un miserabile fra i miserabili: ma fin che la bontà del Signore mi tiene qui, dovete ascoltarmi: è il Signore che si degna di adoperare l’ultimo dei suoi servi e dei suoi ministri per dirvi quello che dovete fare per il bene e lo sviluppo dell’Opera. Vi raccomando tanto di ascoltare queste mie povere parole, di farne tesoro; il Signore si degnerà concedere anche singolari carismi a chi mette come Casante dell’Opera; ascoltatelo con spirito di fede, seguitelo docilmente e generosamente.

Fratelli dilettissimi, che grande responsabilità pesa su noi tutti e su ciascuno! Il Signore ci guarda con occhi di speciale predilezione, ci segue e ci guida con affetto più che paterno, e opera veri miracoli per noi, lo possiamo proprio dire; e l’abbiamo visto e costatato in pratica tante volte. A noi ha affidato questa creatura, che è l’Opera dei Poveri Servi; sta a noi di nutrirla, sta a noi il mantenerla, svilupparla sempre meglio, e di estenderla sino agli ultimi confini della terra. E come? Con una grande fede in Dio e nella sua Provvidenza, una grande e profonda umiltà, lasciandoci maneggiare da Lui, come cenci, come creta. Guardate alle anime, ecco il nostro compito; guardate a tutte le anime, ma in modo speciale alle più povere e più abbandonate, quelle che sono la predilezione di Dio. Non fermiamoci alla corteccia, non cerchiamo le cose di questo mondo, gli onori, le grandezze; anime, anime: ecco quello che dobbiamo cercare; tutto il resto non vale niente.

Già voi ricordate bene come le origini dell’Opera sono i giovani abbandonati; è questo il fondamento sul quale la divina Provvidenza ha sviluppato il seme durante questi quasi quarant’anni di vita. Nei nostri tempi, poi, è urgente più che mai darsi alla ricerca dei poveri giovani abbandonati dal mondo e dei più bisognosi. E come a Verona, così si farà a Roma, e in tutti quei luoghi che la divina Provvidenza ci darà. Con questo fondamento divino, che sono queste creature – le quali, specie in quest’ora, sono a migliaia – son certo che il Signore svilupperà altre grandi opere, particolarmente quella sacerdotale, che ci condurrà alle prime sorgenti della vita apostolica: unico mezzo per salvare il mondo.

Per amor di Dio, che al punto della nostra morte, quando saremo lì per il grande rendiconto, non ci abbiano a venire incontro anime che andarono dannate per colpa nostra, perché noi non le abbiamo cercate ed aiutate, perché non le abbiamo assistite quando erano in pericolo, anime rovinate per sempre perché noi non abbiamo imitato il buon Samaritano, Cristo Gesù, come era nostro dovere e nostra vocazione. Fratelli, questo sarebbe il principio del nostro inferno fin dal letto di morte. Che non avvenga a nessuno di noi tanta sventura, tanta disperazione.

Fratelli dilettissimi, facciamo un serio esame in questi santi giorni, facciamo tutti questo esame, e, se troviamo d’essere venuti meno allo spirito dell’Opera, un atto di umiltà subito, e un fermo proposito di rimediare e di vivere d’ora innanzi come il Signore ci vuole.

Ho detto che su di noi pesa una grande e nobile responsabilità; ed è vero, perché l’Opera dei Poveri Servi ha un’intima relazione coi tempi presenti. Ve lo dico con certezza; ho dei segni che la nostra Opera è una grande luce per tutta l’umanità, che vive nella totale oscurità; è una fonte dove molti e molti verranno a bere le acque di vita eterna; è quel modello sul quale si formeranno tante altre opere parallele, a vantaggio della santa Chiesa: qui verranno a vedere, a osservare, a ricopiare come Dio vuol essere amato e servito. Che grande onore e che grande responsabilità!

Fratelli, mettiamoci con impegno, dunque; tutti un cuor solo ed un’anima sola, per compiere i divini disegni. Non temiamo di nulla; nessuna forza esterna, nessun ostacolo esterno può impedire il compimento di questi disegni, e arrestare lo sviluppo dell’Opera. Solo noi possiamo distruggere l’Opera, solo noi possiamo mettere ostacolo sulla sua via luminosa, se non vivessimo secondo il nostro spirito. Che il Signore ci salvi da tanto pericolo, e ci faccia mille volte morire, piuttosto che rovinare l’Opera sua.

Mettiamoci dunque con impegno; rinnovelliamoci in questi santi giorni di bontà e misericordia; viviamo conforme il nostro spirito puro e genuino. Ricorriamo al Signore con la preghiera umile e fervente; fratelli, vi raccomando quanto so e posso la vita interiore: date la massima importanza alle pratiche di pietà, che sono il sostegno della vita spirituale: senza l’aiuto del Signore non si può far niente, in modo speciale quando si tratta della salvezza delle anime. Buona cosa le opere esteriori di zelo e di apostolato; ma, o miei cari, se manca l’interiore, se manca lo spirito, non avremo che dei “rochetoni” che fanno molto rumore, ma nessun frutto.

E ancora vi raccomando le Regole; siate osservanti, non trascuratene alcuna, per quanto piccola e secondaria vi potesse sembrare: tutte son regole dateci dal Signore, e costituiscono la nostra forza, e il segreto della buona riuscita nelle nostre fatiche.

Vi raccomando la carità fraterna; amatevi l’un l’altro di amore sincero, cordiale. Lungi da noi la mormorazione, la critica; se vedessimo qualche cosa che non sembra a posto, compatiamoci a vicenda e sosteniamoci gli uni gli altri; con la carità, col compatimento, con lo spirito di Cristo, i difetti scompariranno, perché il Signore stesso si incaricherà di intervenire a toglierli.

Nelle vostre fatiche quotidiane, nei lavori manuali che spesso dovete fare, talvolta con non lieve sacrificio, ravvivate la fede, guardate in alto e santificate tutto con la retta intenzione, con la buona volontà di fare del bene per mezzo di queste cose. Non disprezzate gli umili uffici; tutto è grande se fatto per il Signore, ma specialmente nella Casa poi acquista una nobiltà tutta propria. E nel trattare gli affari e gli interessi materiali, non dimenticate mai che siamo Servi della divina Provvidenza, Servi del Signore; e quindi anche le cose materiali siano irradiate dallo spirito, trattate al lume della fede, come si addice a persone consacrate a Dio. Vedano i secolari un modo superiore, una luce soprannaturale in queste relazioni temporali, affinché ne restino edificati e imparino anche loro a cercare sempre e soprattutto il santo Regno di Dio.

Analogamente comportatevi nelle conversazioni, nelle discussioni: la politica, le questioni sociali che agitano il mondo di adesso, le guerre e la pace, tutto insomma che tocca da vicino i problemi temporanei, trattiamo al lume della fede, secondo il nostro spirito, alieno dalle vedute umane e mondane, sempre sotto la luce del soprannaturale, dell’interessi del Regno di Dio e della religione. Il Vangelo, miei cari, il Vangelo in pratica: ecco quello che ci deve stare a cuore.

Termino questo mio scritto col raccomandarvi di fare tesoro di quanto vi ho detto col cuore in mano. Se vivrete secondo lo spirito puro e genuino, mi sarete di grande aiuto per portare il peso affidatomi dal Signore; guai se fosse altrimenti! Ne dovreste rendere conto al Signore. Ma mi tengo certo che tutti, un cuor solo ed un’anima sola, vi manterrete fedeli ai santi propositi e vivrete conforme la santa vocazione.

Pregate per me, diletti fratelli; ne ho estremo bisogno. Pregate che io per il primo metta in pratica quello che raccomando a voi. Aiutiamoci a vicenda in questi quattro giorni di terreno pellegrinaggio, per lo sviluppo dell’Opera, a bene delle anime e a gloria di Dio; e saremo poi uniti nel gaudio del santo Paradiso, in quel reparto speciale che il Signore tiene preparato ai suoi servi fedeli.

* LETTERA XLVII Epifania 1946

Miei cari ed amati fratelli

La pace che Gesù Bambino è venuto a portare sulla terra, e che gli Angeli nella Notte Santa annunziarono per la prima volta agli uomini di buona volontà, regni sempre nei nostri cuori. Mi pare sia questo il migliore augurio ch’io possa farvi per il nuovo anno 1946, di cui abbiamo avuto la grazia di vedere l’alba, allietati nello spirito dalle soavi celebrazioni liturgiche proprie del tempo Natalizio.

Il primo d’anno, come ricorderete, fu una bellissima giornata, ed io, a mensa, ne presi motivo per augurare ai fratelli di S. Zeno che, come fuori raggiava uno splendido sole, così risplendesse sempre nelle nostre anime sacerdotali e religiose il sole della divina grazia, per attirare su di noi i doni e gli aiuti dello Spirito Santo, in quest’anno primo di pace, dopo l’immane sconvolgimento di popoli e di nazioni, dopo la terrificante tragedia di dolori, di sciagure, di rovine, di stragi, di morti, che non possiamo ricordare senza raccapriccio.

Tuttavia, tutte queste tristi vicende nella mente e nei disegni della Provvidenza vogliono essere un lievito, una forza, una chiamata a tutti gli uomini, per una generale purificazione, e per noi un insistente, pressante invito perché lo spirito puro e genuino dell’Opera dei Poveri Servi, dallo stesso divin Fondatore messo fin da principio, sia sempre in piena efficienza. Solo così potremo compiere i grandi disegni di Dio, propri dell’ora eccezionale che attraversiamo, e che la nostra Opera è chiamata, sempre con questo spirito, ad attuare.

Perciò, miei cari ed amati fratelli, quanto so e posso vi raccomando prima di tutto gran fede e grande spirito di fede. Dico spesso a coloro che ho la grazia di avvicinare, che questa è l’ora della fede; purtroppo lo spettacolo di un mondo che ritorna sempre più pagano, il dilagare di teorie atee e materialistiche, la lotta ora sorda e ora aperta, sempre satanicamente organizzata contro Cristo e la sua Chiesa, contro il suo Vicario e contro tutto quello che è sacro, il disprezzo della divina legge, gli scandali, il rallentamento della vita cristiana e dello spirito apostolico in coloro stessi che dovrebbero precedere con il buon esempio, tutto questo può portare come conseguenza un indebolimento della fede anche nei buoni. “Sovrabbondò l’iniquità e diminuì la carità di molti” dice il Signore.

E’ dovere nostro ravvivare questa fede, perché brilli come il sole nel cielo della nostra anima, non solo per noi ma anche per gli altri. Quindi la nostra sia una fede pratica, operosa; nessun contrasto tra la fede che professiamo e la condotta che teniamo; la fede deve segnare la norma costante delle nostre azioni, dei nostri pensieri, dei nostri giudizi. In questo senso è detto: “Il giusto vive di fede”. Nel mondo si vuol spesso conciliare Cristo con Satana, le pratiche di pietà con usi e costumi pagani; ma in noi deve risplendere la pura luce di Cristo: Egli è la “luce vera che illumina ogni uomo che viene a questo mondo”. Ma la sua luce è oscura, non si può vedere se non è riflessa da noi; come vicino al sole, ove non sono elementi che ne riflettano i raggi luminosi, regnano le tenebre più fitte. Per questo è detto: “La luce risplende nelle tenebre, e le tenebre non la compresero”. Noi ascoltiamo e pratichiamo l’ammonimento divino: “Così risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini, affinché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che sta nei cieli”.

Alla fede uniamo secondo il nostro spirito, un’illimitata fiducia e un tenero, figliale abbandono nella paterna, sempre vigile ed amabile Provvidenza divina. Dio è Padre, ha cura di noi e dei nostri cari; nulla sfugge al suo sguardo, nulla gli può capitare d’improvviso, quasi di sorpresa; tutto è regolato e ordinato dalla sua infinita sapienza, potenza e bontà. Soprattutto potremo dire dalla sua bontà. Non c’è madre che ami tanto la sua creatura, come Dio ama tutti e ciascuno di noi. A tutto egli arriva, anche più e meglio che non arrivi la luce del sole al filo di erba, all’atomo sperduto negli spazi. Egli ha contato persino i capelli del nostro capo, e senza di lui non ne cade neppure uno; gli uccelli dell’aria che non seminano e non empiono granai, sono quotidianamente nutriti da Lui, che insieme provvede una veste smagliante ai gigli del campo: perché dunque temeremo per noi e per le persone che ci sono care?

Qualcheduno potrebbe dire: ma perché allora tanti lutti e dolori, tante prove e disgrazie? E qui mi par di sentire quasi l’eco di molte voci strazianti: sono madri, spose, fratelli, sorelle che piangono i loro cari dispersi o caduti sul campo di battaglia, o periti per i disagi, gli stenti, le privazioni, nei terribili campi di concentramento, senza una parola amica e buona, forse senza una preghiera, una lacrima. E sono forse i più buoni coloro che la raffica ha portato via, forse coloro che più hanno pregato non furono ascoltati, esauditi. Che vale dunque l’essere virtuosi? Che vale pregare, compiere opere buone? Così diceva anche Anna al suo santo sposo Tobia, visitato da tante disavventure, nonostante le sue preghiere, le sue elemosine e la sua carità nel seppellire i morti. Ma Tobia, ripieno di Spirito di Dio, con piena fiducia nella divina Provvidenza, la rimproverò dicendo: “Non parlare così, perché noi siamo figli di santi e aspettiamo quella vita che Dio darà a coloro che non perdono mai la loro fede in Lui”.

Amati fratelli, impariamo anche noi a coordinare la vita presente con la vita futura; non dimentichiamo che siamo nell’esilio, lontani dalla vera nostra Patria, che questo è il tempo della prova; ricordiamoci che i nostri cari vicini e lontani, in qualunque caso e circostanza, sono sempre nelle mani di Dio, quindi in buone mani; che se a loro e a noi non vengono concesse le grazie che domandiamo, altre ce ne sono riservate in cambio di quelle, senza confronto più preziose e importanti. “Le mie vie non sono le vostre vie” dice il Signore; fidiamoci di lui, umiliandoci sotto la potente sua mano, poiché Egli ci è sempre Padre, e quando ci percuote non ci ama meno di quando ci consola.

Un’altra virtù che direi essenziale per noi e per il nostro spirito è la carità. Mai come adesso è necessario moltiplicare le opere di carità; questa è l’ora in cui occorre sacrificarci, privandoci di cose in altri tempi ritenute necessarie; in questo ci dà esempio luminosissimo il S. Padre, che ha allargato braccia e cuore a tante miserie, arrivando anche là dove sarebbe sembrato impossibile arrivare. Come l’Apostolo dobbiamo, specie in quest’ora, “farci tutto a tutti, per guadagnare tutti a Cristo”.

Mi restò impressa l’osservazione di un religioso: noi facciamo, egli disse i tre voti di povertà, castità, obbedienza; perché non facciamo anche il voto di carità? Certamente la carità è l’argomento più persuasivo, è la predica più efficace che si possa fare, quella che non si dimenticherà più. Mi piace riferirvi qui un fatto. Tempo fa la Provvidenza accompagnò da noi un pastore protestante in divisa di soldato; io gli dissi qualche parola alla buona; che siamo tutti fratelli figli del medesimo celeste Padre, che considerasse la nostra Casa come casa sua, che io lo tenevo come fosse dei miei. “E’ la prima volta, mi disse, che io sento parlare così; le sue parole mi fanno una grande impressione, le ricorderò sempre; se da per tutto ci fosse questa carità scambievole, non vi sarebbe bisogno d’altro, il mondo sarebbe già tutto cristiano”. Vedete, dunque, che cosa si può fare con la carità? E questa mia povera raccomandazione vorrei fosse indirizzata in modo particolare ai miei cari Fratelli Esterni, che hanno il compito di attingere nella sua sorgente lo spirito puro e genuino dell’Opera, per irradiarlo al di fuori. Date voi per primi l’esempio, e in tutte le vostre cose, negli affari, nelle vostre relazioni regolatevi con questi criteri soprannaturali, mostrate disinteresse e distacco dai beni terreni, dalle superfluità inutili; tutto fate servire alla causa del bene, al trionfo della verità, a far conoscere ed amare N. S. Gesù Cristo, poiché in Lui solo noi possiamo sperare salvezza, benessere, pace.

Ma per questo è assolutamente necessario, miei cari ed amati fratelli, vivere una vita di intima unione con Dio, ricorrere alla preghiera, non fatta in qualunque modo, a fior di labbro, ma che porta al cuore, perché allora ne esperimenteremo l’efficacia. Un Santo dice che la preghiera è l’onnipotenza dell’uomo e la debolezza di Dio.

E in particolare ricorriamo con fiduciosa insistenza allo Spirito Santo, unico vero Maestro della vita interiore e che prega in noi, come dice l’Apostolo, “con gemiti inenarrabili”.

Mi pare e mi sento che in quest’anno il Signore voglia in modo speciale beneficare la povera umanità con grazie e aiuti particolari, affinché tutti possano orientarsi verso N. S. Gesù Cristo, e modellare la loro vita secondo gli insegnamenti di Lui, che è venuto al mondo ed è morto sulla croce perché tutti gli uomini ugualmente redenti col suo preziosissimo Sangue, si sentano così affratellati da formare una perfetta unità, ut sint consummati in unum.

Ma questa è opera solo dello Spirito Santo. V’è bisogno, direi quasi, d’una novella Pentecoste. Fu lo Spirito Santo che “della moltitudine dei credenti formò come un cuor solo ed un’anima sola”; lo Spirito Santo che ispirò molti dei primi cristiani a spogliarsi dei propri averi per metterli nelle mani degli Apostoli, per il bene comune; quando i fratelli di Gerusalemme soffrivano la fame, fu ancora lo Spirito Santo che ispirò i cristiani a soccorrerli. Fu solo lo Spirito Santo che formò gli Apostoli e li fece capaci di rendere a Cristo la più splendida testimonianza con la parola, con gli esempi, con i miracoli, soprattutto con il sacrificio della vita stessa.

Anche oggi, attraverso il tremendo cataclisma abbattutosi sulla povera umanità, attraverso tanti lutti e dolori, tante barriere e ostacoli infranti, Dio vuol rinnovare il mondo. Venga dunque lo Spirito Santo, brilli la sua luce nelle nostre menti, il suo fuoco accenda i nostri cuori e operi prima in noi stessi quella trasformazione che desideriamo portare negli altri.

Voi specialmente, miei cari fratelli Sacerdoti, che siete in cura d’anime, siate ripieni di fede e di Spirito Santo come gli Apostoli, come il Diacono S. Stefano, e opererete prodigi. Adoperatevi a tutto potere perché rifiorisca nelle famiglie la vita cristiana, perché sia osservata la santa legge di Dio, venerato e rispettato il focolare domestico, perché si stabilisca la pia abitudine della preghiera in privato e in comune, la frequenza ai Sacramenti, la santificazione della festa. Parlate spesso di N. S. Gesù Cristo, fatelo conoscere vivente nella sua Chiesa, nel Vangelo, nel suo Vicario, nella SS. Eucarestia. Cercate di impedire l’offesa di Dio, e specialmente il diabolico vizio della bestemmia, che attira sopra di noi i più grandi castighi; ditte chiaro a chi bestemmia che presta la sua lingua al demonio, parla il linguaggio dell’inferno, abbruttisce la sua anima e procura a se e ai suoi una vera infelicità, poiché il bestemmiatore non avrà mai pace e turberà quella della sua casa.

Ma il vero cristiano non pensa solo a sé, egli spinge il suo sguardo anche agli altri, in tutti egli vede dei figlioli di Dio e dei fratelli in Cristo. Egli prega per tutti, affinché s’adempia il voto di Gesù, “che si faccia un solo ovile sotto un solo pastore”. Mi pare che questa sia l’ora di Dio per i grandi ritorni dei fratelli da tanto tempo separati. A proposito dei quali il S. Padre Pio XI disse una frase molto indovinata: “Essi sono – disse – come lingotti d’oro staccati dal masso principale”; dobbiamo quindi non disprezzarli, ma preparare loro la via, soprattutto con la preghiera, l’offerta di sacrifici e di altre opere buone. Questo lo dobbiamo fare sempre, ma lo faremo con impegno tutto particolare nella ormai vicina Ottava di preghiere per l’Unità, dal 18 al 25 gennaio, che in quest’anno desidero sia fatta in tutte le Case con la maggior solennità possibile, specialmente a Maguzzano, dove da più anni è istituita, con decreto Vescovile, la santa Adorazione Eucaristica quotidiana proprio a questo scopo.

Quanto so e posso vi raccomando di associarvi tutti, assieme alle vostre anime, a questa crociata di preghiere per affrettare il ritorno dei fratelli lontani; anzi nella mia povertà prego, e anche voi fate pregare, perché, se a Dio piace, si effettui un desiderio che vagheggio da oltre vent’anni, e cioè che si possa riunire in un luogo di raccoglimento e di preghiera tutti i capi di religione in buona fede, per uno scambio di vedute, per conoscersi senza discussioni, e soprattutto per invocare, come in un cenacolo, lo Spirito Santo. Un ambiente adatto mi sembrerebbe Maguzzano, e io sarei felice se la Provvidenza volesse disporne a questo santo fine.

Ad ogni modo, quello che mi sento è che l’Opera è chiamata ad attuare speciali disegni di Dio, proprio dell’ora presente. Guardiamo di non mettere ostacoli, teniamoci pronti. Molti fratelli nostri sono privi della luce: dobbiamo noi portarla loro; siamo ricchi dei doni di Dio come cristiani, come religiosi, come Sacerdoti; dobbiamo farne parte agli altri. Amati fratelli, quale grazia, ma insieme quale responsabilità! Ci aiuti il Signore, per intercessione della Vergine Immacolata, nostra Madre e Patrona del nostro Istituto, affinché possiamo sempre tutti corrispondere ed essere, nel pieno senso della parola, Poveri Servi della Divina Provvidenza.

Mi raccomando tanto alla carità delle vostre orazioni; io sempre vi porto nella mente e nel cuore, e per voi offro le mie quotidiane sofferenze e preghiere. Che s’adempia il voto e la preghiera che faccio ogni mattina nel ringraziamento della S. Messa: Ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum: Amen.

* LETTERA XLVIII Quaresima 1946

Ai miei cari Fratelli interni ed esterni

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

In questa lettera, che con cuore di Padre vi scrivo, come sempre, ai piedi del mio Crocefisso, sento che il divino Padrone vuole che io rivolga la mia povera parola, insieme a voi, miei amati fratelli religiosi, anche ai cari Fratelli Esterni, prima cellula di una grande Opera, piccolo seme di un grande albero. Come indica il loro nome, essi non sono religiosi propriamente detti; non lo potrebbero neanche essere, perché hanno la loro famiglia e vivono nel mondo, ove devono irradiare quella luce che attingono alla sorgente dell’Opera. Sua Eccellenza l’amatissimo nostro Vescovo, che ho sempre considerato il Vescovo della Provvidenza per noi, si è degnato di benedire questa nuova creatura, che così è nata legittimamente, e la sua benedizione è caparra della benedizione di Dio. Così la divina Provvidenza per vie mirabili, ha voluto maturare un disegno delineatosi da anni, mettendo questi miei cari Fratelli Esterni al vostro fianco, perché formino un tutt’uno con voi, compiendo una loro speciale missione propria dell’ora presente, parallela alla vostra, sempre con il medesimo spirito puro e genuino che il divin Fondatore ha messo fin da principio, e guai se questo spirito venisse meno! L’Opera cadrebbe, questo faro luminoso, acceso dalla divina Provvidenza a beneficio della povera umanità, ora più che mai disorientata, scardinata, immersa nelle tenebre di tanti errori e passioni, si spegnerebbe, con grandissimo danno, direi con eterno danno nostro, per non aver corrisposto alle grazie del Signore.

Cari miei fratelli, non finirò mai e poi mai di dirvi e ripetervi che quest’Opera dei Poveri Servi nell’ora attuale dev’essere luce, vita e continuo richiamo al santo Vangelo, alla vita degli Apostoli e dei primi cristiani. Quando si sbaglia strada e ce se n’accorge, bisogna subito tornare indietro e rimettersi su quella giusta che conduce alla meta; ora il passato e il presente, con la voce eloquente dei tragici avvenimenti di cui fummo e siamo testimoni, ci dicono che l’umanità ha sbagliato strada, deve quindi tornare indietro. E’ inutile illudersi, bisogna rifare il cammino, riprendere la via giusta, e qual’è questa via? Non altra che quella dell’osservanza della divina legge; dobbiamo tornare a Dio, a Cristo, al suo Vangelo, che dobbiamo osservare vorrei dire alla lettera, perché è parola di Dio, viva e perenne, che mai si muta, non viene meno mai.

Vedete invece come la maggior parte degli uomini vivono, pensano, agiscono come tutto dipendesse da loro, non si curano di Dio e della sua Legge, guardano solo la vita presente, il benessere materiale, fisico, purtroppo l’uomo crede di far da solo, di bastare a se stesso; la scienza, il progresso, le scoperte ci riempiono di meraviglia, doni grandi di Dio, che dovrebbero coordinarsi al bene di tutti, inorgogliscono l’uomo e arrivano a dargli la sensazione di non aver più bisogno di Dio, e l’uomo si mette egli stesso al posto di Dio, ripetendo coi fatti, se non con le parole, il proposito blasfemo di Lucifero, quando disse: “Sarò simile all’Altissimo; innalzerò il mio trono sopra le stelle”.

Quale follia e insieme quale ingratitudine, mentre queste meravigliose conquiste dovrebbero maggiormente avvicinare Dio all’uomo, messo a contatto con le leggi così sapienti, che a evidenti caratteri portano impresse le tracce e il sigillo della divinità. E questo avviene fra i popoli cristiani, dopo venti secoli di redenzione; per questo mi par di sentire il lamento di Gesù, rivolto specialmente a noi Sacerdoti e Religiosi e cristiani: Quae utilitas in sanguine meo?

La mia vita, i miei esempi, i miei insegnamenti, che sono divini, come vengono osservati e messi in pratica? Io sono venuto al mondo per voi, vi ho dato la mia legge, sono vissuto in tanta povertà, ho faticato, oscuro artigiano, nella casetta di Nazareth, nella mia vita pubblica ho annunciato agli uomini la più santa lieta Novella, ho moltiplicato i prodigi a sollievo di tanti infelici, ebbi compassione delle turbe fameliche, sono morto per voi, rimanendo tuttavia vostro compagno ed amico nei santi Tabernacoli, rinnovando sugli altari di tutto il mondo il sacrificio della Croce, per applicarne a voi abbondantemente i frutti preziosi, per darvi la mia carne in cibo e il mio sangue in bevanda. Ma quale corrispondenza ho io trovato fra gli uomini? Quae utilitas?

Purtroppo, miei cari fratelli, questo grido, questo lamento divino non lo si comprende, l’uomo è volontariamente sordo e cieco, vuol seguire le sue vie, le vie del piacere, dell’orgoglio, dell’odio, dell’egoismo, dell’apostasia da Dio, e trova la sua rovina. Cristo è venuto per conciliare la terra col cielo, per dirci che la vita presente non è altro che una breve parentesi, una vigilia, una preparazione alla vera vita, che non è di quaggiù; per insegnarci che niente giova possedere anche tutto il mondo se non si arriva a Dio, a salvare l’anima; questa è la luce vera destinata a illuminare ogni uomo che viene a questo mondo; ma, come dice il Profeta, gli uomini amano più le tenebre che la luce.

Ed ecco il compito speciale dei Poveri Servi: riportare nel mondo la fede in Dio, quella fede viva operosa che genera la fiducia in lui e nella sua paterna Provvidenza; noi dobbiamo essere fari accesi nella notte oscura del mondo, da noi si deve irradiare la pura luce di Cristo e del suo Vangelo, Codice divino per tutti gli uomini e specialmente per noi.

E questa missione è particolarmente vostra, miei cari Fratelli Esterni, che vivete a contatto col mondo; la vostra vita irreprensibile e santa sia la predica che farete a tutti; poi dite la parola buona, usate grande carità con tutti, secondo quell’aurea regola di S. Agostino: odiare il male, ma amare e compatire coloro che lo commettono. Vi raccomando tanto la preghiera, la frequenza dei Sacramenti; noi dobbiamo sfruttare, lasciatemi passare la parola, le miniere soprannaturali che solo noi possediamo, e ricordiamoci che per questo non ci dobbiamo credere dei privilegiati: il Signore ci ha fatti ricchi dei suoi doni perché gli comunichiamo anche agli altri che ne sono privi.

Purtroppo il mondo ritorna pagano, nonostante tanti inviti, tanti richiami che il Signore ci ha fatti e continuamente ci fa; forse siamo ancora in tempo di far prevalere e trionfare la bontà e la misericordia del Signore; chiamiamo Dio con noi: “Mane nobiscum, Domine”! L’empio e chiunque opera l’iniquità, crede forse di essere libero, e invece è schiavo del peggiore dei tiranni, serve a Satana, nemico di Dio, il genio del male, che stabilisce il suo regno nelle colpe e nei peccati. Per avere ascoltato lui ecco in quale baratro è caduta la povera umanità! Non dimentichiamo che egli è ingannatore e bugiardo fin da principio. Se invece ascoltiamo il Signore, se gli prestiamo un fedele servizio, godremo della vera libertà, propria dei figlioli di Dio. Egli sarà con noi, godremo la sua pace. Se gli uomini vorranno ricostruire senza di Lui, si affaticheranno invano. Nisi Dominus aedificaverit domum, in vanum laboraverunt qui aedificant eam. Ma se faticheremo con Lui, i nostri sforzi saranno benedetti, e avremo la fortuna di avere la sapienza di Dio per guida, la sua onnipotenza per aiuto, e di essere i collaboratori con Dio per la nostra e altrui santificazione.

Ma un’ultima cosa sento il bisogno di dirvi; abbiamo in questi giorni sentito sgorgare dal cuore Apostolico del S. Padre la parola che ha elettrizzato il mondo; ma più che aver inteso, è necessario farne tesoro, specialmente noi che dobbiamo essere in prima linea nel cooperare col Vicario di Gesù Cristo in terra.

Il Signore si è servito della malvagità umana per ben arare il terreno, per abbattere tante barriere e così la S. Chiesa sempre più si innalza e fa sentire la sua voce fino agli ultimi confini della terra, tutti richiamando al suo seno. Ma oh quanti fratelli nostri non sentono questa chiamata, vivono lontani e fuori dalla vera Chiesa! E sono nostri fratelli, ed è dovere nostro usare tutti i mezzi, perché anch’essi tornino all’ovile. Il pensiero dell’unità cristiana deve essere nel cuore di ogni cattolico e in modo speciale di noi Sacerdoti e Religiosi. Vorrei anzi dire che uno scopo nostro, ossia dei Poveri Servi, dev’essere anche questo, di cooperare all’unità cristiana. Anche voi, cari Fratelli Esterni, avete una speciale missione vostra; nella vostra famiglia, nell’ufficio, nella professione che esercitate, nell’ambiente di lavoro, quanto bene potete fare! Avete poi il vostro Regolamento, tenetelo non solo scritto o stampato sulla carta, ma nel cuore, e praticatelo, e così facendo concorrerete voi pure a compiere il grande palpito di Cristo: ut unum sint.

E i mezzi? Ve li ho accennati: l’Eucarestia, la S. Messa, la preghiera, la devozione alla cara Madonna, la carità, lo spirito di fede, vedere in tutti l’immagine di Dio, dare il buon esempio, perché proprio bisogna incominciare di qui. Bisogna avere per dare, vivere per far rivivere; viviamo Cristo e il Suo Vangelo e lo comunicheremo anche agli altri. Mi sono sempre sentito, ma oggi in modo tutto particolare, che l’Opera dei Poveri Servi, l’Opera dei Fratelli Esterni, dev’essere il piccolo gregge che deve richiamare gli uomini e il mondo al santo Vangelo. Dio mio, quale grazia, quale onore! ma insieme quale responsabilità!

Vi prego e vi scongiuro, leggete, studiate ogni giorno qualche tratto del S. Vangelo, vivetene lo spirito che è lo spirito di Cristo e dell’Opera nostra; siate in efficienza di virtù e di santità, per essere prima di tutto sale e luce per voi stessi, e diventare quel “genus electum” di cui parla l’Apostolo S.Pietro.

Vissuta così, la vita presente è vita di pace e di grazia, di serenità e gioia nel Signore, saggio e caparra dell’eterna beatitudine in Cielo.

Ma se tanto vale per i cari Fratelli Esterni, quanto più vale per voi che avete la fortuna di chiamarvi e di essere i Poveri Servi della Divina Provvidenza! Per questo, quanto so e posso vi raccomando la vita interiore, l’osservanza delle sante Regole, e specialmente la fedeltà a quelle piccole prescrizioni che appunto perché piccole si può essere tentati di trascurare. Io ho questa massima, che le più grandi cose sono fatte di piccole cose; l’oceano immenso è pur formato di innumerevoli goccioline d’acqua. E poi niente è piccolo di quello che si fa per il Signore, e ciò vale tanto più per noi, che in tutto e sempre dobbiamo regolarci con lo spirito di fede, caratteristica di quest’Opera, la quale potrà compiere i nuovi disegni che Dio ha sopra di essa, propri dell’ora attuale, a patto che noi siamo all’altezza della nostra santa vocazione. L’Opera, ricordatelo, siamo noi; da noi dipende quindi, la sua stabilità, diffusione, fecondità. Guai a noi se non tendiamo con tutte le nostre forze alla nostra santificazione! Per amor di Dio guardiamo di corrispondere!

Siamo nella S. Quaresima: “tempo veramente accettevole, giorni di salute”, questi, per noi. Avremo presto anche i santi Spirituali Esercizi: sono tutte grazie del Signore; approfittiamone per rimediare al passato e rinnovare i nostri propositi di bene. Viviamo in modo, o cari, che la nostra condotta, i nostri sacrifici, le nostre preghiere di questi giorni siano un contrappeso sulle bilance di Dio per attirare la sua divina misericordia; senza dire che così ci prepareremo santamente alla massima solennità cristiana, la Pasqua di Resurrezione. Pregate tanto per me.

* LETTERA XLlX Esercizi 1946

Amati fratelli in Cristo

Ho pregato perché il Signore mi conceda la grazia di potervi rivolgere una parola, che, detta in questi momenti in cui la grazia di Dio è venuta così abbondante nella mia anima, nelle vostre anime, sono più che certo porterà frutti di bene, prima per la santificazione personale vostra, e poi per la santificazione di questa grande, grandissima Opera, alla quale per tratto tutto particolare della divina Provvidenza noi apparteniamo.

Miei cari fratelli, non vi dico cose nuove, vi ripeto e vi dico in nome di Dio quello che tante e tante volte vi ho detto. Io qui non sono altro che un povero custode, messo qui dalla divina Provvidenza per manifestare la bontà, la misericordia del Signore, ma fino a tanto che il Signore mi tiene qui, ricordatelo, mi dovete in tutto ascoltare, perché è questo uno dei tratti caratteristici dell’Opera: il Custode, il Casante presente e futuro avrà aiuti e grazie e lumi particolari dallo Spirito Santo, per condurre e guidare questo divino Bastimento che è l’Opera, la Famiglia dei Poveri Servi.

Fratelli cari, siate cenci, creta, disposti a tutto, siate conche e canali e conformate con la divina grazia, la vostra vita a quella degli Apostoli, non avendo altro di mira che la gloria di Dio e il bene delle anime. Questa parola “anime” deve elettrizzare i vostri cuori, pensando che Gesù per tutte le anime ha dato la sua vita, ha versato tutto il suo Sangue; ed è per le anime, per tutte le anime, specie in quest’ora, che la Provvidenza divina ha messo nel mondo sconvolto e che sta per rovinare, quest’Opera dei Poveri Servi. Amati fratelli, il nostro pensiero, il nostro palpito più vivo siano le anime; quante anime anelano la luce in mezzo a tante tenebre, quante sono sitibonde di grazia e di pace, dopo le delusioni di un mondo che crolla! Ma per andare loro incontro, perché queste anime siano salvate, prima di tutto è necessario che ciascuno di noi tenda alla propria santificazione; ed ecco allora l’importanza di vivere praticamente lo spirito puro e genuino della nostra Opera; per dare bisogna avere, per avere bisogna che noi tutti riceviamo da N. S. Gesù Cristo, che deve essere il nostro divino modello. Non faremo niente, rovineremo l’Opera, se noi non ci santifichiamo; ed ecco l’importanza della vita interiore e delle pratiche di pietà, dell’osservanza delle Sante Regole; lasciamo tutto, ma non lasciamo le pratiche di pietà, perché solo così, insieme con noi, l’Opera sarà in piena efficienza e compirà i grandi disegni che la Provvidenza vuole compiere.

Fratelli, quale gloria, ma nello stesso tempo quale grande responsabilità! L’ora attuale è terribile, non si sa cosa potrebbe avvenire da un momento all’altro; stiamo pronti a tutto, stiamo uniti con N. S. Gesù Cristo e saremo sicuri di vincere. Fratelli, vi ho detto ancora: “nessuna forza esterna potrà distruggere quest’Opera, solo noi se non viviamo come il Signore vuole”.

La Provvidenza divina, dopo le tante grazie del passato, ci ha fatto anche questa dei Santi Esercizi; da questo Cenacolo dobbiamo uscire tutti rinnovati, come gli Apostoli nel giorno della Pentecoste; gli Esercizi di quest’anno 1946 segnino il principio di una nuova vita, tutta spesa per il Signore; quale pace godremo allora anche in questa vita di esilio, ma più che tutto, quale premio in Cielo! Sì, miei cari ed amati fratelli! pensiamo spesso al Paradiso per il quale siamo fatti; portiamo Dio alle anime, a tutte le anime, ed avremo la dolce certezza di avere assicurata la salvezza dell’anima nostra.

Io sempre vi porto nella mente e nel cuore; vi seguo vorrei dire passo per passo, nel vostro lavoro e offro al Signore la mie non piccole sofferenze perché il vostro lavoro sia fecondo di santi frutti. Voi non dimenticate il vostro Padre, pregate, pregate tanto per me, non velo dico per consuetudine, no; ne sento estremo bisogno. E che a tutti noi il Signore conceda la grazia di ritrovarci tutti, nessuno, nessuno escluso, nel Santo Paradiso. Vi do la S. Benedizione, che sia come sigillo alle grandi grazie che il Signore vi ha fatto in questi santi Esercizi, e questa benedizione vi accompagni sempre e sia fonte di luce, di forza e di pace per il vostro apostolato in quest’ora tanto terribile e pur tanto grande nella mente di Dio, perché, se noi saremo in piena efficienza, la bontà divina risplenderà ancora una volta sopra la povera umanità caduta tanto in basso.

* LETTERA L Pentecoste 25 maggio 1947

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con voi e con tutte le anime che la divina Provvidenza vi fa avvicinare e cui dovete essere “sale e luce” per mezzo dello spirito puro e genuino dell’Opera, alla quale solo per un tratto di particolare predilezione il Signore vi ha chiamati.

Senza dubbio, cari ed amati fratelli, noi viviamo in una epoca che esce dall’ordinario corso delle cose e degli avvenimenti: la si potrebbe giustamente definire “epoca di emergenza”, tanto profondo e generale è il contrasto delle idee, tanto minaccioso il cozzo che si teme inevitabile tra le forze del bene e quelle del male; non possiamo quindi, anzi non dobbiamo restare inattivi, indifferenti: sarebbe tradire quella missione di bene che a ciascuno è affidata a pro dei fratelli. Guardate come lavorano e si organizzano gli avversari: purtroppo molto spesso i figli delle tenebre sono più prudenti dei figli della luce. Dobbiamo sentire potente il bisogno e il dovere di una totale riforma della nostra vita, per essere, come tante volte vi ho detto, “in piena efficienza”, onde trovarci pronti, in un domani forse non lontano, a fare tutto quello che il Signore ci domanderà, qualora ci veda ripieni di Lui, “Vangeli viventi, altrettanti Cristi” come dice l’Apostolo.

Questo vale per tutti, sacerdoti, religiosi, cristiani, ma vale specialmente per noi, perché voi sapete, come tante e tante volte vi ho detto, che l’Opera ha fini particolari, propri dell’ora attuale: quale gloria, quale privilegio! ma insieme quale responsabilità, se non siamo come veramente il Signore ci vuole. Mettiamoci dunque subito all’impegno, facciamo un serio esame di coscienza e poi dei santi propositi di bene. Ricordiamoci che la vita passa presto; in un giorno più vicino forse di quello che non pensiamo, ci ritroveremo stesi sul letto di morte; beati noi allora se avremo corrisposto al cumulo immenso di grazie da parte del Signore! Quanta pace, quanta consolazione inonderanno il nostro spirito! Ancora sul letto di morte, io credo, vedremo Gesù che verrà a consolarci e a portare le nostre anime al premio eterno.

Ma poveri noi se ci troveremo a mani vuote, senza aver trafficato i talenti ricevuti! Per questo ho sentito il bisogno di rivolgervi ancora una volta, sarà forse l’ultima, la mia povera parola, che per quanto io sia misero e povero canale, zero e miseria, vi parlo però a nome di Dio, che vi vuole strumenti umili, docili, per compiere cose grandi con cose piccole, perché, come sempre, Dio sceglie “le cose stolte del mondo per confondere i sapienti, e le cose deboli per confondere le forti, le cose vili e spregevoli e quelle che non sono per confondere quelle che sono”, affinché a Dio solo sia onore e gloria. Per questo tante volte vi ho detto: l’Opera sarà grande se sarà piccola, sarà ricca se sarà povera, avrà la protezione di Dio se starà lontana dalla ricerca delle protezioni umane. Ed anche per conto vostro non ambite di far cose grandi, invece fate gran conto delle cose piccole. Nel servizio di Dio tutto è grande e divino. La preziosa margherita della vostra santificazione è nascosta nel campo delle quotidiane e semplici occupazione vostre; nulla quindi trascurate: i più piccoli doveri, le minime regole contengono tutte e vi manifestano la santa volontà di Dio; Ricordatevi che la fedeltà di un servo si manifesta soprattutto nell’osservanza dei minimi ordini del suo padrone.

Viviamo la vita della fede, non solo per noi ma anche per le anime che avviciniamo; dobbiamo essere veramente quello che esse ci stimano e credono; per amor di Dio che non siano ingannate, e un giorno non devano rimproverarci che la vita da noi vissuta era ben diversa da quella che esse si pensavano: quale confusione sarebbe per noi! Siamo invece, come ci esorta l’Apostolo, veri “figli della luce; ora, frutto della luce è tutto ciò che è buono, giusto e vero, tutto ciò che piace al Signore”.

Solo così potremo dirci ed essere veramente Poveri Servi nel pieno senso della parola; a che servirebbe averne il nome e non possederne lo spirito? Meglio sarebbe, in questo caso, ritornare nel mondo, dove un Fratello potrebbe ancora sperare di salvarsi e aiutare l’Opera stessa, mentre restando qui, sotto i padiglioni della divina Provvidenza, porterebbe lo sconcerto, il disagio, e non si potrebbero compiere i divini disegni. Quale responsabilità! Pensiamoci bene, e se il nostro desiderio è di rimanere, in ginocchio ve lo dico, guardate, anzi dirò meglio, guardiamo di corrispondere e di tendere continuamente alla nostra santificazione.

Miei cari fratelli, l’umanità è come avvolta in fitte tenebre, gli uomini non vogliono saperne di Nostro Signore, il male che dilaga è grande, ma non ci deve spaventare; un “fiat” può annientare le forze del male, distruggere tanti errori, rovesciare posizioni e cose, e far sì che si realizzino “caeli novi et terrae novae”; allora la povera umanità potrà conoscere che solo in Dio e nel santo Vangelo praticamente vissuto si trova la soluzione chiara e precisa di ogni questione terrena, e al tempo stesso ci assicurerà l’acquisto e il possesso dell’eterna felicità. Poiché la vita presente dev’essere coordinata con la vita futura; “che cosa giova all’uomo, dice il Signore, guadagnare anche tutto il mondo, se poi perde la sua anima?”.

Vi sono, è vero, tante bellezze e meraviglie anche in questo mondo, e dobbiamo esserne grati a Dio, essendo doni della sua amabile e paterna Provvidenza, ma non dobbiamo attaccarvi il cuore; pensiamo piuttosto che, se ha abbellito così il rovescio del lavoro, come sarà il diritto? E se il Signore per noi ha profuso tante bellezze in questa terra d’esilio, quali saranno le gioie della Patria? Non per nulla Gesù ha voluto ricomperarci il Paradiso a costo del Suo preziosissimo Sangue! Non dimentichiamo questi pensieri e questi principi fondamentali, non perdiamo mai di vista l’anima, il Cielo, l’eternità.

Amati fratelli, stanno per compiersi quaranta anni, dacché il Signore, per tratto particolare della sua divina misericordia, ha fondato quest’Opera, qui nella nostra Verona e proprio a S. Zeno in Monte, terra da lui prediletta e benedetta, che non a caso ha voluto su quest’altura. Anche il faro, si pone in alto, perché illumini da lontano; la nostra Opera, dal colle di S. Zeno, deve irradiare la sua luce “usque ad finem terrae”.

In questi XL anni, con la divina grazia si è fatto un po’ di bene, il Signore ha manifestato molti disegni ed altri ancora ne manifesterà per la sua gloria e il bene delle anime, a patto che anche in futuro e sempre si stia fedeli allo spirito puro e genuino dell’Opera. Uno di questi disegni mi pare che il Signore si sia degnato di manifestarmi in questi giorni: è un disegno grande, un incarico divino che viene affidato alla nostra Opera, che se da una parte è titolo di predilezione, dall’altra ci deve riempire di sacro timore, consci della debolezza e fragilità nostra; tuttavia son certo e sicuro che lo riceverete tutti con riconoscenza e cercherete di corrispondervi con il più grande impegno e fervore.

Gesù Benedetto, Padrone assoluto, nella sua divina bontà e misericordia, si rivolge alla nostra Opera, e la chiama ad una particolare azione riparatrice per gli incredibili sacrilegi che si commettono non solo in paesi a noi lontani, ma in molte città della stessa nostra cara Patria, pur tanto prediletta dalla divina Provvidenza. Fa orrore pensare a quello che Satana mette in opera, in quest’ora più che mai, perché la terra sia bruttata da orribili contaminazioni sacrileghe, prendendo di mira soprattutto la SS. Eucarestia. La nostra Opera deve fare da contrappeso a tanto infernale odio contro Dio e contro le cose più sacre della nostra santa Religione, con preghiere riparatrici e ancor più con la santità della vita.

In questa divina luce di espiazione e riparazione mi sembra di capire il perché delle sofferenze di tanti nostri cari Confratelli, e forse il Signore ne chiederà anche di maggiori. Dobbiamo essere disposti e preparati, pensando al gran dono della sofferenza che ci rende conformi a N. S. Gesù Cristo, che con i suoi patimenti e la sua morte ha pagato per i peccati di tutti gli uomini.

E’ lo stesso Gesù benedetto che ci vuole associare a sé per cooperare con Lui e compiere ciò che manca alla sua Passione. E come ci vuole compagni nel patire, ancor più ci vuole partecipi dei suoi stessi interni sentimenti nel soffrire. Come Lui, accettiamo tutti i dolori fisici e morali dalle mani amorose del Celeste Padre, e quando dovessimo soffrire da parte degli uomini, preghiamo per essi, ripetendo la preghiera di Gesù pendente dalla croce: “Padre perdona loro, perché non sanno quello che si fanno”. La loro conversione, il loro ravvedimento ci devono stare a cuore assai più di quello che dovessimo soffrire da parte loro. Oh, se la nostra preghiera, avvalorata dalla sofferenza, potesse ottenere la conversione anche di uno solo di coloro che presiedono alle Nazioni, chi potrebbe calcolare il bene che ne verrebbe?

Vedete, dunque, miei cari fratelli, quali orizzonti va tracciando la Provvidenza a noi e alla nostra religiosa Famiglia. Siamone riconoscenti e guardiamo di corrispondere a questa singolare predilezione divina. Queste sono le vere ricchezze per l’Opera, e ricordiamoci che dinanzi a Dio non ha molta importanza il moltiplicare le Case, ma bensì intensificare lo spirito e la nostra vita interiore. Egli cerca noi stessi, e vuole essere onorato soprattutto dal nostro sacrificio, dalla rinuncia di noi stessi, dalla nostra immolazione per la santificazione nostra e la salvezza delle anime.

Ed ecco quanto mai opportuno il mese di giugno, miei cari ed amati fratelli, per entrare nel più ampio spirito di questo nuovo fine che il Signore ci vuole affidare. La devozione al Sacratissimo Cuore di Gesù mira principalmente alla riparazione, come Gesù stesso ha rivelato a S. Margherita e la Chiesa, ha solennemente confermato; e quest’anno la festa del S. Cuore, grazie alla santa e provvida iniziativa di un’anima guidata dallo spirito del Signore, dovrà essere una giornata consacrata alla santificazione del clero.

Tutte queste circostanze ci devono animare sempre più allo spirito e alla pratica della riparazione, e la cara Madonna in questi giorni che ci rimangono del suo bel mese, e coincidono con la novena e la festa di Pentecoste, ottenga a noi, come agli Apostoli, una larga infusione dello Spirito Santo, che ci trasformi e accenda nei nostri cuori il fermo proposito di corrispondere sempre più e sempre meglio alle aspettative del Signore.

Ecco, miei cari ed amati fratelli, quello che mi sono sentito di dirvi. Pregate tanto, ma tanto per me. Non ve lo dico per complimento: ne sento estremo bisogno, prima per la mia povera anima, e poi per questa grande Opera del Signore. Anche io sempre vi porto nella mente e nel cuore e prego per tutti, vicini e lontani. Vi seguo dovunque con la preghiera, con la sofferenza e con la Paterna benedizione; ed anche ora più col cuore che con la mano vi benedico tutti.

* LETTERA LI Verona 18 agosto 1947

Miei amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Questa mattina mi sono sentito di scrivere ad ogni nostra Famiglia religiosa, per richiamare a tutti un punto della massima importanza, e ogni Superiore locale legga queste mie povere parole, commentandole con giusta fermezza ai cari nostri Fratelli e Sacerdoti.

Anzi tutto ricordo loro che l’Opera dei Poveri Servi è la pupilla dell’occhio di Dio, fu Lui a fondarla e la dirige con Provvidenza tutta particolare; ora Satana ha i suoi ausiliari e si serve della lingua mordace e mormoratrice per colpirla, e purtroppo sono proprio quelli che la Provvidenza ha prediletto con doni e grazia. Li metto sull’avviso, che domandino perdono a Dio e vivano tutti lo spirito puro e genuino dell’Opera, e che quando parlano con gli esterni, pesino le parole. Non basta dire di obbedire a Don Giovanni, bisogna fare quello che dice Don Giovanni.

Fu il Signore che ha voluto che dica così, per risparmiare castighi ai mormoratori.

Le nostre Costituzioni sono molto severe in proposito, e vorrei che tutti leggessero e meditassero la regola 91, che dice così: “si eviti con ogni cura la mormorazione, soffocatrice della carità e della pace, seminatrice di discordie, massime se si riferisce alle disposizioni dei Superiori. Chi ammonito, non si corregge da questo difetto, sarà rimandato” (Costit. 106 del testo approvato dalla S. Sede).

Ognuno faccia un serio esame e prometta di emendarsi, se non vuole essere allontanato direttamente da Dio. Pregate tanto per me, che vi benedico come sempre con cuore di Padre.

* LETTERA LII Santi Spirituali Esercizi 1947

Miei amati, amatissimi fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Ringrazio e benedico di cuore il Signore che anche questo anno mi concede di rivolgervi la mia povera parola nel tempo dei Santi Esercizi, che sono sempre giorni di grazie e di grandi misericordie. Forse sarà l’ultima volta che io vi parlo in nome di Dio, Padrone assoluto di questa sua Opera, destinata a compiere miracoli di bene in quest’ora tanto oscura anche per la santa Chiesa, e che solo il ritorno pratico alla vita degli Apostoli e dei primi cristiani può rischiarare, illuminare.

Ma che cosa vi dirò come mio ultimo ricordo, come mio testamento? – Non cose nuove, ma vi ripeterò quello che tante e tante volte vi ho detto e ripetuto. E prima di tutto ricordatevi che l’Opera dei Poveri Servi è grande, grandissima nella mente di Dio; nata nel Sacro Costato di Gesù Crocefisso, è destinata a compiere nuovi e grandi disegni divini propri dell’ora attuale, a patto che noi viviamo lo spirito puro e genuino che il divino Fondatore ha messo fin da principio, a patto che tutti corrispondiamo, vivendo all’altezza della nostra speciale vocazione.

Satana freme, non vorrebbe l’Opera, e tenterà tutti i mezzi per distruggerla, se fosse possibile; ma come vi ho detto ancora, io non temo i nemici esterni; anzi le lotte le contraddizioni che vengono dal di fuori, serviranno a maggiormente consolidarci; d’una sola cosa io ho paura: del peccato; ho paura che il demonio cerchi e trovi degli ausiliari in qualcheduno di noi. Mio Dio, quale rovina sarebbe! Ma quale sorte toccherebbe a chi profanasse la Casa di Dio col peccato, e facesse causa comune col demonio ai danni dell’Opera! – Quando, anni addietro, rivolgevo più spesso la mia povera parola ai cari ragazzi, molti di voi ricorderete, io ero solito dire che la Casa è benedizione o rovina; benedizione per chi corrisponde e rovina per chi non corrisponde; benedizione o rovina nel tempo, ma più che tutto nella eternità. Se questo è vero per i ragazzi, quanto più per noi amati fratelli!

Per questo in ginocchio vi prego e vi scongiuro: guardate di corrispondere; che il nome dei Poveri Servi della divina Provvidenza non ci sia di condanna quando ci presenteremo dinanzi al Tribunale di Dio, perché, o cari, verrà per tutti il giorno in cui dovremo rendere conto a Dio della nostra vita, delle grazie ricevute e non corrisposte; ma noi dovremo rendere conto come membri di quest’Opera di Dio, che vive da quarant’anni e, si può dire, ci ha allevati, nutriti, e tutto quello che abbiamo al presente, l’abbiamo per riguardo e in vista dell’Opera.

Vivete la vita di fede; in un mondo che si allontana sempre più da Dio, accendiamo in noi stessi questa fiamma, che rischiari anche ad altri il cammino; ma la nostra sia una fede pratica; quindi vi raccomando lo spirito di fede; vedere il Signore in tutto e in tutti; anche negli avvenimenti dolorosi, anche quando il Signore permette la prova. I Santi hanno vinto per mezzo della fede, e anche noi saremo dei vincitori secondo la grandezza della nostra fede.

Vedete il Signore nei Superiori; negli ordini che vi vengono dati, che se questo pensiero ci fosse famigliare e potessimo dire e ripetere sempre: “Dominus est! E’ il Signore!” quanto ricca di meriti sarebbe la nostra vita! E poi pieno e figliale abbandono in Dio e nella sua Provvidenza; Dio non può mancare di parola; ora Egli ha detto: “Cercate in primo luogo il Regno di Dio e la sua giustizia, e avrete in soprappiù tutte le altre cose”.

Se la Provvidenza venisse a mancare, guardiamo se prima siamo mancati noi ad Essa; che se il Signore permetterà la prova, allora più fede, più fede, e vedremo Dio. – E mostrate a tutti questo abbandono nell’avvicinare i benefattori; nel trattare gli affari non mostratevi eccessivamente interessati, non fate risaltare voi stessi, ma Dio, l’Opera. Ricordatevi, noi dobbiamo scomparire. – Chi fa caso alla singola pietra di questa bella chiesetta? – Noi ammiriamo solo la chiesa nel suo complesso. Noi siamo le vive pietre che compongono un altro grande edificio, che è l’Opera dei Poveri Servi. Che tutti vedano l’Opera, senza curarsi di noi che, ripeto, dobbiamo scomparire.

Vi raccomando tanto la vita interiore; stiamo uniti a Gesù, come tralcio alla vite; che cosa può fare il tralcio se non rimanere attaccato alla vite? – Ricordiamo la grande parola di Gesù: “senza di me non potete far niente”.

Quindi le pratiche di pietà; vada tutto, ma non si trascuri le pratiche di pietà. Per quanto si abbia da fare, si trova il tempo di mettersi a tavola; le pratiche di pietà sono l’alimento indispensabile della nostra vita cristiana e religiosa, sacerdotale. La nostra sia sopra tutto pietà Eucaristica, pietà Mariana.

L’Eucarestia è la devozione caratteristica della nostra Opera: Gesù vivente in mezzo a noi, dimorante nei nostri tabernacoli, che ci invita a se per consolarci e santificarci, che ci promette la vita eterna: che cosa possiamo cercare di più e di meglio?

Quindi, per noi Sacerdoti la celebrazione della S. Messa e per voi Fratelli la S. Comunione, siano il centro della nostra vita e della nostra giornata. Ma a Gesù si va per mezzo di Maria; siamo devoti della cara Madonna, veneriamo in Lei sopra tutto il grande privilegio della sua Immacolata Concezione: Maria Immacolata, nelle cariche perpetue, la Padrona dell’Opera nostra.

Siate umili; l’umiltà rende possibili e stabili tutte le virtù; amate il nascondimento, buseta e taneta; il Signore allora verrà a cercarci ed adoperarci. – Siate docili ed obbedienti; come cenci, come creta, senza testa, perché allora il Signore ci presterà la sua; non cercate le protezioni umane, Dio solo ci basti. – Siamo Vangeli viventi, per irradiare intorno a noi la luce di Cristo, affinché conoscano e glorifichino il Padre nostro che sta nei Cieli.

Guardiamo di essere fedelissimi ai Santi Voti; saranno un giorno la nostra gloria; fate che non siano per nessuno la sua condanna. Specialmente vi raccomando la santa povertà; non prender niente come proprio; unita alla povertà è la semplicità in tutto, nel vestito, nella stanza, nelle camerate, oh, che bell’ornamento la semplicità! anche nella cultura dei capelli, nessuna ricercatezza mondana, guai altrimenti!

Vi raccomando poi tanto il voto e la virtù della castità, per la quale noi viviamo la vita degli angeli fin da questa terra, alla quale sono legate le più belle e grandi promesse del Signore. Quanti precauzioni sono necessarie, specie dovendo vivere in mezzo a tanta corruzione del mondo! Siate come il raggio del sole, che penetra dovunque senza imbrattarsi, anzi purificando il fango della strada.

A voi, cari Confratelli Sacerdoti, raccomando che siate cauti nell’esercizio del vostro ministero; curate le anime, solo le anime, e fra queste le più povere, le più abbandonate, le più reiette dal mondo.

E anche voi, cari Fratelli, grande precauzione nel trattare con i ragazzi; maxima debetur puero reverentia – Non toccate e non lasciatevi toccare, vigilate sul vostro cuore, non abbassatevi mai a gesti o a parole che disdicono ad un’anima consacrata a Dio; date buon esempio in tutto, sempre; guai a chi desse cattivo esempio! Mio Dio, piuttosto morire che dare anche un minimo scandalo.!

Vi raccomando la carità: oh la carità è divina, è Dio stesso: “Deus caritas est!” – Io non saprei concepire un Povero Servo senza la carità; rileggendo una conferenza tenutavi qualche anno fa durante un corso di Esercizi, ho trovato scritte queste parole: “se io sapessi che un religioso non ha la carità, in ginocchio lo pregherei di andarsene; sarebbe la rovina dell’Opera”. – Queste parole hanno tutto il loro valore anche adesso, e ve le confermo a nome di Gesù Benedetto, che dai suoi domanda soprattutto che siano una sola cosa e consumati nella carità: “Ut unum sint”. Noi dobbiamo attuare in noi stessi, nelle nostre famiglie religiose questo palpito del Cuore divino di Gesù, ed estenderlo ancora a tutti i fratelli della terra, specialmente a quelli separati o non ancora illuminati dalla luce del S. Vangelo, pregare per essi, offrire sacrifici, adoperarci in tutti i modi perché anche ad essi possano essere partecipati i doni di grazia che noi possediamo.

La nostra carità sia pratica, aiutiamoci a vicenda, sopportiamoci, fra di noi ci sia un cuor solo ed un’anima sola, che non apparisca mai nelle nostre Case il male grande della mormorazione; il mormoratore presta la sua lingua al demonio per ferire Gesù Cristo nella persona del suo fratello; ricordatevi che Giuda prima di essere traditore fu mormoratore; per questo io ho paura, mi fa spavento la mormorazione.

E finalmente ancora una volta vi dico e vi ripeto: ascoltate il Casante presente e futuro; io sono povero e meschino, zero e miseria, ma fino a che la misericordia di Dio mi tiene qui, avete l’obbligo di ascoltarmi. Siate il mio respiro, riguardatemi come inquadrato nell’Opera; guardate che alle volte mi basta una sguardo, una parola, un’attenzione per consolare il mio cuore, che tante volte nuota nell’amarezza e nel dolore. Fate questa carità a questo vostro padre, che vi porta sempre nella mente e nel cuore, e tanto vi ama nel Signore.

Ecco, amati fratelli, quello che mi sono sentito di dirvi; tenete queste mie povere parole come il mio ultimo ricordo, come il mio testamento; e soprattutto mettetele in pratica: beati voi allora! compirete i divini disegni, e avrete il Paradiso fino da questa terra, nel vostro cuore, e un giorno una grande ricompensa in Cielo. Che nessuno manchi allora, che tutti ci possiamo trovare insieme uniti a lodare e benedire Iddio per sempre: ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum. Amen.

* LETTERA LIII 7 ottobre 1947

Amati fratelli in Cristo

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi. A tutti è noto quanto stia a cuore al S. Padre la cura e l’assistenza dei giovanetti più poveri ed abbandonati e, appunto per questo, esposti a maggiori pericoli.

L’intenzione che per il mese di ottobre Egli ha voluto assegnata ai 35 milioni di iscritti all’Apostolato della Preghiera è proprio “per i fanciulli abbandonati” e recentemente la Radio Vaticana, commentando tale intenzione, illustrava largamente quanto si è fatto e quanto ancora resta a fare in questo importantissimo settore, che può avere ripercussione anche gravissima nella compagine sociale, specialmente in quest’ora.

L’invito del Papa è sceso in fondo al nostro cuore e ci impone di fare quanto più è possibile per realizzarlo in forma concreta e pratica, tanto più essendo questa la finalità propria delle nostra Casa Buoni Fanciulli, che da quarant’anni (1907-1947) si è andata prodigando per raccogliere sotto i padiglioni della divina Provvidenza centinaia di giovanetti abbandonati: presentemente sono più di cinquecento le famiglie cristiane formate da antichi allievi, che proiettano così nella società gli effetti della buona educazione avuta e degli insegnamenti appresi.

Tuttavia finora l’Opera nostra si è limitata ai soli fanciulli interni; ma sembra giunto il momento di allargare il raggio di attività e di carità, estendendo anche agli esterni l’umile nostra azione di bene.

La divina Provvidenza ci è venuta incontro offrendoci la Casa della ex GIL presso Porta Nuova, per trasformarla in un ambiente adatto per accogliervi la gioventù, e il nome “Patronato Buoni Fanciulli” ne indica già gli scopi e le finalità.

Infatti fino dallo scorso anno si sono ivi raccolti giovanetti poveri nelle ore libere dalla scuola, per toglierli dai pericoli dell’ozio e della strada, dando ai più bisognosi la refezione e facendo a tutti trovare un’amorevole assistenza nello studio e nella ricreazione.

Contemporaneamente un’altra importante attività si è svolta, e si svolgerà ancora, a vantaggio dei giovani studenti che dalla provincia vengono in città per frequentare la scuola, creando per essi la “Casa dello studente”. In essa detti studenti trovano amorosa assistenza durante l’orario extra – scolastico, ed hanno pure una refezione calda, aule riscaldate per lo studio e un lieto e conveniente sollievo.

In questo nuovo anno è volontà di Dio che si abbia a dare inizio contemporaneamente ad un’altra opera, la cui importanza non può sfuggire ad alcuno: le Scuole Professionali, che, a Dio piacendo, si inizieranno entro il mese di novembre. In dette scuole si accoglieranno giovanetti poveri che, terminate le scuole elementari, desiderano imparare un mestiere; vi si fermeranno dalla mattina alla sera, alternando le ore del lavoro con ore di studio e di conveniente sollievo. Si darà loro anche la refezione del mezzogiorno, il tutto gratuitamente, secondo il programma e lo spirito della nostra Opera.

Certo i pesi che ci verremo addossando non sono lievi, le difficoltà saranno senza numero, ma confidiamo nell’aiuto della divina Provvidenza, della quale tuttavia sollecitiamo molti che ne hanno la possibilità a divenire ministri e cooperatori in un’opera sì bella, così necessaria e provvidenziale. Tanto più che l’ambiente è stato semidistrutto dalla guerra e occorrono ingenti somme per ricostruirlo e adattarlo allo scopo; da parte del Governo e di altre Autorità nulla si è potuto ottenere. Occorrono pure somme fortissime per provvedere macchinari, attrezzi e utensili, banchi di lavoro e di scuola e arredamento in genere. Eppure è assolutamente necessario affrontare il grave problema.

Dovremo abbandonare l’impresa per mancanza di mezzi? Ci sembrerebbe tradire la nostra speciale missione di bene! D’altronde, ci sono ancora, per grazia di Dio, anime veramente buone e cuori generosi che meritano di capire e di fare la carità; ho sempre visto infatti che per fare la carità bisogna esserne degni; la carità non impoverisce, ma arricchisce per il tempo e più che tutto per la beata eternità. A tutti costoro ci rivolgiamo nel Nome del Signore, anche a nome di tanti giovanetti bisognosi che domandano soccorso e attendono. Che fra noi non si avveri il lamento del Profeta: “I piccoli domandavano il pane e non v’era chi loro lo spezzasse”. Questa è l’ora di fare una vera “crociata di carità”.

Voglia il Signore illuminare e muovere le anime buone, i suoi servi fedeli a fare quanto è loro possibile; quanto si offre in carità per amor del Signore, viene assicurato ad una Banca che non fallisce e ricompensa col cento per uno: la Banca della divina Provvidenza.

Invoco grazie e doni celesti.

Questa lettera costituisce un’attuazione di quanto il Padre ebbe più volte ad esprimere e che lasciò anche scritto in documenti ufficiali: “Potrà il Signore permettere qualche grave prova per saggiare la nostra fede; potrà anche avvenire di dover mendicare di porta in porta; e questo il Signore lo farà conoscere al Casante” (commento del Padre alle costituzioni: vedi anche Lettera LXIII, p. 294).

Anche in questo caso l’eccezione conferma la regola dell’abbandono nella divina Provvidenza, la cui essenza, del resto, non consiste nel non chiedere, ma nel non angustiarsi.

* LETTERA LIV Natale 1947

Miei cari ed amati fratelli

La grazia di Gesù Benedetto sia sempre con voi tutti e vi renda perfetti nel servizio di Dio.

Siamo alle feste di Natale; e il mio cuore pensa in modo speciale a voi, che la divina bontà ha voluto, ci ha voluti, membri di questa grande Opera propria dei tempi attuali, tanto difficili ma tanto importanti per la Chiesa e per il mondo tutto.

Quanto so e posso, vi raccomando di corrispondere sempre più alla vostra santa vocazione, vivendo secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera. – Ma qual’è questo spirito? – mi ha domandato uno dei Poveri Servi. Voi lo conoscete: è quello che il divin Fondatore ha impresso fin dai primi anni, ed ha sviluppato in questi quaranta anni di vita dell’Opera. Spirito di umiltà, di distacco dai beni della terra, di ricerca del regno di Dio, di abbandono figliale alla santa Provvidenza, niente ricerca delle protezioni umane: queste verranno da sé, a patto che noi non le cerchiamo. Anime, anime! Ecco il nostro programma. E le anime dei poveri, degli umili, dei diseredati; queste sono le gemme preziose onde si arricchisce l’Opera dei Poveri Servi.

Quindi il mio augurio per Natale è che siamo tutti all’altezza della nostra vocazione, ben compresi della grazia fattaci dal Signore col chiamarci nell’Opera.

E siccome le cose grandi son fatte di cose piccole, lasciate che richiami alla vostra, alla nostra attenzione alcune piccole cose, che altre volte vi ho raccomandato: piccole grandi cose, che, se messe in pratica con docilità di figli, serviranno a mantenerci nello spirito puro e genuino.

1 – Evitiamo ogni ricercatezza, certe comodità, superfluità. Quello che è necessario sì, va bene; ma è facile un po’ alla volta esagerare, e farsi un corredo che mal si addice ad un Povero Servo. Dipendete sempre da chi ha la responsabilità morale della Casa; e non sbaglierete. Che il voto di Povertà non corra il pericolo di diventare una irrisione: osserviamolo lietamente, generosamente. Se ci manca qualche cosa, siamone contenti, perché siamo dei poveri. Ricordiamo il caro Fratello Francesco Perez: dipendeva puntualmente in tutte le cose, anche le più piccole.

2 – Riguardo alla persona, evitiamo ogni singolarità, specialmente nei capelli: proprietà sì, pulitezza anche; ricercatezza no, mai! La nostra modestia sarà una predica muta ma eloquente agli altri. Noi dobbiamo essere esemplari a tutti.

Ho visto, nella mia esperienza, delle defezioni; andar fuori strada persone delle quali non sembrava doversi avere alcun timore; eppure, i segnali primi venivano proprio da queste piccole cose, da queste singolarità.

3 – Siate docili, obbedienti; dipendete con spirito di fede dai Superiori, anche nelle piccole cose, nelle spese per oggetti che credete necessari a voi o alla Casa. L’obbedienza vi salverà dagli abusi e renderà preziosa la vostra vita, perché renderà preziose le vostre azioni; e il voto di obbedienza sarà una felice realtà, che ci preserverà da errori, e ci farà simili al Signore Gesù, che per amor nostro si è fatto obbediente fino alla morte.

4 – Una cosa che mi sta tanto a cuore, è la bicicletta, specialmente per i sacerdoti; temo assai che l’uso degeneri in abuso; sarebbe un gran male per tutta l’Opera. Perciò vi raccomando:

a) – In città, particolarmente nelle vie principali del centro, non è bello vedere il sacerdote in bicicletta; e può essere un pericolo. Si eviti quindi al possibile di passare per certe vie; si scelgano le meno frequentate, meglio ancora quelle delle periferie. E quando è inevitabile recarsi al centro, non sarà male smontare, e menare a mano la bicicletta; questo salvaguarderà molto la dignità personale.

b) – La bicicletta sia adoperata solamente per vera necessità, specialmente per ministero, per recarsi in luoghi distanti ad aiutare, per esempio, confratelli, a cercare anime, ecc.

c) – Soprattutto raccomando: ricordiamoci che siamo religiosi, e religiosi speciali. Dobbiamo tenerci nella dovuta dignità e compostezza esteriore. Adoperando la bicicletta secondo le direttive dei Superiori locali, guardate di farlo con spirito buono, è lo spirito con cui si fanno le cose, che dà anima ad esse. Ma se manca lo spirito, sono inutili le raccomandazioni e le limitazioni. Usando la bicicletta, tenete un comportamento grave, dignitoso, evitando esibizioni, corse, curiosità. So bene che ormai la bicicletta non è un mezzo di divertimento, nemmeno per le persone di mondo; guardiamo allora che non lo diventi per noi, sacerdoti e fratelli. Adoperiamola solo quando la prudenza la renda necessaria per fare carità ai confratelli, per moltiplicare il bene, per cercare anime.

Un’ultima cosa importante: avrete sentito che il Santo Padre ha scritto una Enciclica sui mali odierni, e ha dato l’allarme sulla gravità dell’ora. E’ un’ora terribile non si sa a che cosa si vada incontro. E, purtroppo, molti di noi non se ne rendono conto.

Il Papa esorta alla preghiera per propiziare la divina misericordia sul mondo. Noi dobbiamo essere tra i primi ad assecondare i desideri augusti del Sommo Pontefice. A tal fine qui a S. Zeno in Monte facciamo preghiere speciali davanti al Santissimo. Nelle altre Case lascio alla prudenza e discrezione dei Superiori locali stabilire quello che crederanno opportuno a questo scopo.

Termino raccomandandovi ancora una volta il nostro spirito. Io non ho paura, o miei cari, di nemici esterni: questi non possono mai rovinare l’Opera. Chi la rovina siamo noi se non vivremo lo spirito puro e genuino. Il Signore ci preservi da tanta disgrazia.

Pregate per me, che vi porto nella mente e nel cuore. Siate la mia vita, il mio respiro; tutti uniti lavoriamo alla diffusione del santo regno di Dio e alla salvezza delle anime, per trovarci un giorno tutti uniti nel gaudio del Signore.

* LETTERA LV Epifania 1948

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Alla precedente mia circolare faccio seguire a breve distanza questa mia povera lettera, per farvi qualche altra raccomandazione. E anzitutto guardate, guardiamo che questa è un’Opera tutta speciale, che ha una stretta relazione con la grave ora che attraversiamo, e che incombe sempre più terribile e minacciosa sull’intera umanità. Ma l’Opera, come vi ho detto ancora, siamo noi, Poveri Servi; e questo nome deve essere non una semplice etichetta, bensì un nome pratico, cioè dobbiamo essere realmente quello che il nome significa. Siamo servi, non pretendiamo dunque di farla da padroni: il servo dipende in tutto dal padrone, fa di tutto per accontentarlo; noi abbiamo un Padrone che insieme è Padre, e che ci darà una ricompensa eterna per un breve e quasi momentaneo servizio.

Non solo siamo servi, siamo anche poveri; accontentiamoci dunque di quello che la Provvidenza ci dà, amiamo la santa povertà, pronti a sopportare con generoso abbandono in Dio quei disagi, privazioni, sacrifici che sono i compagni inseparabili della vera povertà, ed insieme le nostre vere ricchezze.

L’Opera è come una bilancia in perfetto equilibrio: un piccolo peso è sufficiente per farla traboccare da una parte; così anche una piccola trasgressione può portare nell’Opera un grande sconcerto. Teniamoci dunque nell’attitudine di Poveri Servi, cioè di servi fedeli e vigilanti, sempre attenti e pronti al cenno di Gesù Benedetto, Padrone assoluto, come è detto nelle cariche perpetue, dal quale dobbiamo in ogni cosa dipendere, togliendo da noi e dalla casa tutto quello che Gli può dispiacere. Saremo così “gli scopatori del buon Dio”, che tengono sempre pulito questo suo palazzo, e soprattutto il nostro cuore, la nostra anima, dove Egli abita con la sua santa grazia, costituendoci così santuari della sua divinità.

State ben attenti a non venire meno allo spirito puro e genuino; osservate l’apparecchio radio: anche il più leggero spostamento d’onda è sufficiente per perdere la trasmissione desiderata. E per questo vi dico e vi ripeto: guardate al Casante, a lui obbedite in tutto e per tutto, state attenti anche a un semplice cenno, a un desiderio, ad un batter di ciglio; per questo vi dico, non fermatevi all’esteriorità, ma miratelo sempre come inquadrato nell’Opera; non considerate la persona, guardatelo tre dita più in su della testa, e allora vedrete Dio in Lui, nei suoi ordini, nei suoi consigli e indirizzi; nella sua parola vedrete con sicurezza la volontà di Dio.

Se, ad esempio, egli dicesse: pianta la questo chiodo; voi piantatelo anche se è storto, anche se vi sembrasse un lavoro inutile, sbagliato; con questo spirito soprannaturale, vi dico e vi ripeto, guardate al Casante presente e futuro, altrimenti l’Opera perderà una sua caratteristica e la sua speciale fisionomia.

Ricordiamoci inoltre che nel nostro lavoro deve risaltare solo e sempre l’Opera, noi dobbiamo scomparire.

E siccome le grandi cose sono fatte di piccole cose, come vi dissi l’altra volta, quanto so e posso fate tesoro delle seguenti raccomandazioni, osservandole puntualmente:

1 – siate fedeli alla visita in chiesa prima di uscire di casa, come pure al vostro ritorno.

2 – Ricevete prima e poi la benedizione del Superiore o del Sacerdote che ne fa le veci, dicendo dove andate e per quali ragioni; al vostro ritorno riferite brevemente quanto vi è occorso.

3 – Non recatevi in casa di parenti o conoscenti senza il dovuto permesso: anche se si tratta di visitare qualche malato; e tali permessi siano dati raramente e con le debite cautele.

4 – Trattando con persone estranee, non mettetele a parte dell’intimità; non manifestate cose e avvenimenti di famiglia; siate riservati e prudenti; mortificate la curiosità di tutto sapere; non fermatavi a leggere manifesti murali, titoli di giornali o riviste, indicazioni cinematografiche, ecc.; il Povero Servo deve essere esemplare in tutto, edificando con il suo contegno grave e modesto.

5 – Una parola sulla corrispondenza: non scrivete che per necessità o convenienza, non dimenticando che siamo poveri; consegnate aperte tutte le lettere al Superiore. E’ grave mancanza impostare senza permesso; così pure la corrispondenza in arrivo deve essere vista dal Superiore. Leggete, a questo proposito, quanto dispongono le nostre sante Costituzioni, e osservatele nella lettera e nello spirito; nessuna eccezione, all’infuori dei casi previsti dalle stesse Costituzioni.

Dovendo scrivere per qualche legittimo motivo a persone di altro sesso, state attenti ad evitare certe espressioni poco opportune, anche se non vi è niente di male; la nostra delicatezza su questo punto sia assoluta.

Nei passati giorni abbiamo avuto la dolorosa notizia della morte del nostro Re Vittorio Emanuele III. Ho letto con piacere lo scambio cortese di telegrammi e specialmente quello inviato dal Santo Padre; i rispettosi commenti dei giornali, e i solenni funerali avvenuti; per conto mio, ho dato subito ordine ai Superiori delle Case vicine di darne notizia con ogni deferenza, invitando tutti a pregare in suffragio dell’anima benedetta, e a considerare la caducità delle cose umane e delle grandezze terrene. Non spetta a noi di giudicare e tanto meno condannare. De mortuis nihil, nisi bene: è umano ed è cristiano; anche in questo noi dobbiamo dare esempio.

Pregate tanto per me, ne ho estremo bisogno. Vi benedico.

* LETTERA LVI Giovedì Santo 1948

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi. Eccoci anche quest’anno per la bontà e misericordia del Signore, vicinissimi ormai alla santa Pasqua, che sempre e per tutti deve essere un vero passaggio dalla vita forse della colpa a quella della grazia, da una vita tiepida e rilassata ad una vita più osservante e fervorosa. A questo ci invita la Chiesa con le commoventi espressioni della sacra Liturgia, esortandoci a deporre l’uomo vecchio e a rivestirci dell’uomo nuovo. “Se veramente siete risorti con Cristo, Ella ci dice, cercate le cose di lassù; non abbiate gusto e desiderio che delle cose del cielo: “quae sursum sunt, quaerite, quae sursum sunt sapite”.

Ma la Pasqua di quest’anno mi pare sia, specialmente per noi Poveri Servi, un nuovo e forte richiamo alla santità. Mai come adesso dobbiamo sentire il bisogno che Dio resti con noi, che non ci lasci, che non ci abbandoni in quest’ora così grave e oscura. Certamente non è Dio che ha bisogno di noi, ma noi abbiamo un grande e assoluto bisogno di Lui. Dobbiamo quindi chiamarlo con gemiti e lacrime; dobbiamo pregare con assiduità e fervore. Ma la miglior preghiera, ricordiamolo bene, o miei cari, è la santità della nostra vita. E se questo vale per tutti, in modo particolarissimo vale per noi Poveri Servi, che con la grazia di Dio, per la nostra missione di religiosi, dobbiamo essere luce e vita a tutto il mondo.

Amati miei fratelli, quante volte vi ho detto e ridetto che dobbiamo essere in efficienza, vivendo in pieno lo spirito puro e genuino dell’Opera! Che Dio ha dei nuovi e grandi disegni da compiere; che la nostra Opera ha stretta relazione con l’ora attuale; che molti guardano al nostro bel S. Zeno in Monte, “terra veramente benedetta”, come a cittadella posta sul monte, e si sentono rinvigoriti nella fede, confortati nelle prove, guardando a noi e credendoci santi. Quale responsabilità se non lo fossimo! Noi saremmo dei traditori.

Ricorderete, io spero, quello che lo scorso anno vi ho detto, che cioè il Signore, per un tratto di bontà e di misericordia tutta particolare, chiama la nostra Opera e le affida una speciale missione e azione riparatrice. Ora voi comprendete che la migliore riparazione consiste nello sforzo continuo per l’acquisto della perfezione e della santità.

Solo per mezzo della nostra santità personale potremo santificare l’Opera e il mondo, e “segnare la strada” anche agli altri, quella strada, quella via stretta ma unica che conduce alla vera vita, come anche al benessere e alla prosperità temporale, e che consiste nell’osservanza della divina Legge. Credetemi, amati fratelli, la predica muta del buon esempio è la più efficace. Sono stanchi molti di belle parole, di discussioni ecc.; desiderano e vogliono i fatti e le opere. Sono le buone opere nostre che glorificano il Padre Celeste. Che cosa gioverebbe predicare, insegnare la perfezione e non praticarla? Potremo noi dire allora come l’Apostolo: “Siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo”?

Ma per essere santi non pensate che si debbano fare cose straordinarie, no; basta che siano sante e perfette le disposizioni con cui attendiamo ai nostri doveri quotidiani. Ricordiamoci che per quanto sia umile il posto che uno occupa, può illuminarsi con la luce della santità, ed è questo quello che importa, solamente questo.

E qui miei cari e amati fratelli, una mano sul cuore e facciamo un serio esame di noi stessi: come viviamo? Ci chiamiamo Poveri Servi, ma lo siamo in pratica? Per amor di Dio, che questo nome tanto onorifico non sia un giorno di condanna per nessuno di noi.

Per questo, quanto so e posso, vi raccomando la vita interiore e le pratiche di pietà che ne sono l’alimento; viviamo di fede, guardiamo e giudichiamo le persone e le cose con spirito di fede, con criteri soprannaturali; diamo grande importanza alle sante Regole; siamo umili; “buseta e taneta”, e allora il Signore verrà a cercarci, e ci adopererà mettendoci anche, se a lui piace, sul candelabro, ma per parte nostra noi dobbiamo vivere nascosti e scomparire, noi non dobbiamo essere che poveri servi.

Non preoccupiamoci di fare cose grandi secondo il mondo; Gesù è rimasto trent’anni nella casetta di Nazareth, attendendo alle occupazioni più semplici e più umili. Quando i suoi esempi saranno l’unica norma della nostra vita? Quando saremo, come spesso vado ripetendovi, “Cristi e vangeli viventi”? Allora potremo fare anche miracoli, e allora soltanto potremo compiere i grandi disegni che Dio ha sopra di noi e sull’Opera.

E qui mi sento di ripetere per tutti quello che alcuni giorni fa ho detto in refettorio ai cari fratelli di S. Zeno in Monte. Mi pare che di quando in quando il Signore mandi il suo Angelo a vedere se siamo in efficienza, e trovandoci quali Egli ci vuole, cioè tutti attenti a vivere lo spirito puro e genuino dell’Opera, Egli non solo ne è contento, ma in vista di ciò mi pare voglia concedere tante grazie alla povera umanità, sull’orlo dell’abisso.

Quale privilegio, quale grazia, miei cari, ma quale responsabilità!

Chi mi dice che alla santità della nostra vita, al vero spirito dei Poveri Servi vissuto in pieno, non possa essere legata la salvezza della povera umanità? Vi dico queste cose, per sgravio di responsabilità; guai a me se non vi dicessi quello che sento nell’intimo del mio povero cuore! Ma al tempo stesso sento di raccomandarvi che non facciate poco caso di quanto vi dico, col pretesto che son sempre le stesse cose, che è sempre la medesima campana che suona; no, o miei cari ed amati fratelli, non pensate così: un giorno dovrete, dovremo rendere conto al Signore, ciascuno nel suo stato, ciascuno secondo le grazie ricevute. E noi Poveri Servi, quale cumulo di grazie abbiamo ricevuto! Per amor di Dio guardiamo di corrispondere!

E parlando a voi, intendo comprendere, con le debite proporzioni, anche i i cari Fratelli Esterni, perché anch’essi fanno parte dell’Opera e partecipano quindi alle grazie, ai meriti e alle responsabilità dei Poveri Servi. Se anch’essi vivono nel santo amore e timore di Dio, irradiando lo spirito puro e genuino dell’Opera, prima in casa compiendo tutti i doveri inerenti al loro stato, e poi fuori casa, nell’ufficio, nell’officina, dovunque, oh, quanto bene possono fare, specie in quest’ora così grave e decisiva per le sorti della nostra cara Patria, da Dio prediletta, perché Sede del vicario di Cristo e dalla quale deve partire la luce e la parola debellatrice dell’errore.

Ma a voi, miei cari Fratelli Esterni, specie in questo momento tanto delicato, in modo particolare raccomando la carità; fermezza nel combattere l’errore, ma carità grande con tutti gli erranti: “interficite errores, diligite homines!” ecco l’aurea regola di S. Agostino. Oh, se invece di prendere di fronte gli avversari (non mi sento di chiamarli nemici, perché anch’essi sono nostri fratelli); se invece di inveire contro di loro, si cercasse di illuminarli, direttamente o indirettamente, pregando per essi! Proprio in questi giorni mi sono sentito di celebrare per essi la Santa Messa, perché il Signore si degni di illuminarli, di far cadere dai loro occhi il velo che li acceca così da non vedere l’abisso, sull’orlo del quale camminano senza accorgersene. Anzi desidero che in tutte le Case si faccia, dopo la Pasqua, una giornata di preghiere “pro Russia”, e per tutti coloro che militano contro Dio e contro la Chiesa.

Uniamo la nostra preghiera alla preghiera di Gesù sulla croce: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”.

Possa la nostra preghiera affrettare la conversione di tanti fratelli, e l’ora del trionfo di Dio sulla terra, che sarà anche l’ora della pace per la povera umanità.

Il Signore ci dia questa grazia.

Ecco, miei cari ed amati fratelli, quello che mi sono sentito di dirvi; sono parole sgorgate, dirò così, spontaneamente dal mio cuore; voi ricevetele con vero spirito di fede e pregate sempre e tanto per me, che faccia io per primo quello che dico a voi, e possa così trovare grande misericordia nella ormai vicina grande chiamata.

Vi auguro buona e santa Pasqua; nella mia povertà prego per tutti e tutti benedico, unitamente ai vostri cari.

* LETTERA LVII Verona 23 aprile 1948

Lettera diretta alla Famiglia Religiosa di Roma e portata dal P. Maestro Don Pietro Murari in occasione del suo primo viaggio a Roma, dal 23 – 4 al 3 – 5 – 1948

Miei cari e amati fratelli

La pace e la grazia di Gesù Benedetto siano sempre con noi. Mi sento proprio ispirato dal Signore a mandarvi, attraverso il caro Don Murari, la mia benedizione, i miei saluti e la mia povera parola, che voi ascolterete come parola di Dio.

In ogni tempo, ma specialmente adesso, è necessario che viviamo lo spirito puro e genuino della nostra grandissima Opera, lo spirito evangelico del Quaerite primum, che noi possiamo trovare nelle nostre Costituzioni, nelle nostre Regole e nella nostra stessa vita pratica.

Facciamo quindi un serio esame, ricordando che il segreto e l’efficacia del nostro lavoro sta nella santificazione nostra personale: sine me nihil potestis facere. Nessuno dà ciò che non ha. Vivere di Cristo, vita interiore. Dobbiamo essere Vangeli viventi in un mondo che ha dimenticato il Vangelo. C’è ancora tanta parte di Vangelo che noi dobbiamo tradurre in pratica.

E per andare alla pratica, vi raccomando quanto so e posso le nostre sante Regole. Esse sono l’espressione pratica, momento per momento, della volontà di Dio. Leggetele spesso e meditatele.

Viva voce della volontà di Dio è il vostro Padre, il Casante di questa grande Opera, che voi dovete ascoltare come il portavoce di Dio stesso. Voi non dovete guardare la mia miseria, ma Dio che mi ha chiamato a questo grande compito. Vi parlo come sul letto di morte: sento che tradirei la mia vocazione se non lo dicessi: ascoltatemi, ascoltate il presente e futuro Casante dell’Opera se volete lavorare con frutto nell’Opera dei Poveri Servi; esso avrà sempre lumi e grazie particolari.

Noi passiamo, ma l’Opera resta; come il mondo guarda alla Chiesa in questi momenti, così la Chiesa guarda a noi. Per questo noi dobbiamo essere in efficienza piena. L’Opera ha relazione strettissima con l’ora attuale. Anni fa non lo sapevo ancora, ma adesso è volontà chiarissima di Dio: La nostra Opera è Opera dei tempi. Non dimentichiamolo. Come il Signore volle diffondere il Cristianesimo attraverso gli Apostoli, così ora è volontà divina che il mondo ritorni a Cristo attraverso l’Opera dei Poveri Servi. Vocazione sublime ma piena di impegni e responsabilità. Per questo vi dico: guardate più alla qualità che alla quantità; i pochi formeranno i molti, se sono veramente imbevuti dello spirito puro e genuino. Santificazione personale, riempirci di Cristo; non multa, sed multum. Non deve apparire la nostra persona; ricordiamoci del nostro motto: “buseta e taneta”. Dobbiamo amare il nascondimento. Non mettiamoci in vista. Se il Signore vorrà, ci metterà Lui sul candelabro, noi da parte nostra dobbiamo desiderare di restare ignorati e sconosciuti. Del resto l’unico modo di brillare è di dare buon esempio e di vivere integralmente il Vangelo.

Viviamo nell’abbandono più completo e fiducioso alla divina Provvidenza. Nessuna preoccupazione materiale: il Signore ci manderà sempre il necessario. Viviamo staccati dalle cose della terra e non confidiamo mai nei mezzi umani.

L’Opera è il giardino di Dio, vi potrà essere in essa qualche albero speciale, suscitato da Dio, che avrà magari bisogno di mezzi fissi, per il quale il Casante darà disposizioni particolari, ma anche allora, come sempre, lo spirito particolare che ci anima, deve essere quello del Quaerite primum.

Vi raccomando di dare grande importanza alle cose piccole; nulla è piccolo nella Casa del Signore e le cose grandi sono formate di cose piccole. Vi raccomando soprattutto l’obbedienza, la dipendenza, l’accordo fraterno nelle vostre iniziative.

Il Signore ha bisogno di voi per entrare nelle anime. Tutti siamo strumenti nelle mani di Dio, io, poi, zero e miseria, pure; nel quadro dell’Opera ciascuno di noi è necessario per realizzare i disegni di Dio.

Lavoriamo nel posto che ci ha assegnato l’obbedienza, lavoriamo con cuore e zelo, ma nello stesso tempo ricordiamoci che la nostra attività deve essere inserita nell’Opera come un ramo nel tronco. La stessa linfa deve scorrere in tutti i rami. Il mostro cuore deve battere per tutta l’Opera, non isoliamoci, cerchiamo che le nostre Case siano unite il più possibile, partecipando gli uni alle gioie e ai dolori degli altri: tanti raggi un unico sole, tanti rami un unico albero, tanti canali una unica fonte.

Questa è l’ora di Dio; l’ora delle grandi chiamate e misericordie, l’ora della traduzione in atto di tutto il Vangelo. Cristo e la Chiesa hanno dei potenti e agguerriti avversari: ma in essi noi, più che dei nemici da combattere, dobbiamo vedere dei fratelli da salvare, delle anime da guadagnare a Cristo, da convertire e amare. Il mondo guarda alla Chiesa; ma la chiesa siamo noi; Dio guarda alla nostra Opera e l’Opera siamo noi. Il mondo domanda luce, verità, amore, salvezza. Tocca a noi di non lasciare morire ancora una volta questo ardente desiderio e dare a lui il dono divino delle grazie.

Miei cari ed amati fratelli, viviamo la nostra vocazione, sentiamo la nostra responsabilità. Voi siete la mia vita, il mio respiro. Ho bisogno di voi per vivere. Spero e son certo che il caro Don Murari mi porterà consolanti vostre notizie. Vedrete in Paradiso quale grazia e quale merito sarà il vostro per aver ascoltato e sostenuto il vostro Padre, messo qui dalla bontà e misericordia del Signore.

Miei cari fratelli e diletti figlioli, vi benedico con tutta l’effusione del mio cuore, mentre vi sono vicino, vicinissimo col la preghiera e riconoscenza. Pregate, pregate tanto per me, e che tutti, terminata la nostra terrena giornata, ci possiamo, per grazia di Dio, trovare tutti uniti nella celeste Gerusalemme: “ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum”.

* LETTERA LVIII Verona, 5 agosto 1948

Miei cari ed amati Confratelli

La pace, la grazia di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Qui ai piedi del mio Crocefisso scrivo questa mia povera lettera, indirizzandola proprio a voi che siete guide e pastori di anime nelle Parrocchie che la divina Provvidenza vi ha affidate; a proposito delle quali immagino che saprete già come al principio dell’Opera inclinavo a credere che esulasse dal nostro programma di lavoro l’apostolato e il ministero parrocchiale propriamente detto; se questo invece è un fatto compiuto, penso che non può essere venuto a caso, ma a fine di compiere qualche particolare disegno divino, tutto proprio dell’ora attuale, che per conto mio è un richiamo continuo da parte del Signore, perché tutti, ma specialmente noi Sacerdoti e Religiosi, ritorniamo a vivere la vita degli Apostoli e dei primi cristiani, per essere in tal modo “sale della terra e luce del mondo”.

Ma al presente voglio dirvi che mi pare sia giunta l’ora di attuare da parte nostra quel divino programma: “Gratis accepistis, gratis date”; parole queste che mi fecero sempre grande impressione fino dai primi anni di sacerdozio, unitamente alle altre: “Quando vi mandai senza sacca, senza borsa e senza calzari, vi mancò mai niente?” “niente” risposero gli Apostoli.

La parola di Dio non è, o miei cari e amati fratelli, come la parola dell’uomo, che muta, mutando tempi e circostanze, ma essa conserva sempre il suo primo valore e significato, manca solo che la mettiamo in pratica; e mi pare che questo sia un compito speciale che il Signore affida alla nostra Opera, di precedere con l’esempio. Per questo mi sono sentito fortemente mosso a darvi alcune norme che vi comunico con la presente circa l’amministrazione di alcuni Sacramenti, e che io ho maturato nella preghiera e nella sofferenza, e per le quali ho voluto anche sentire prima il parere di alcune persone molto autorevoli e altrettanto competenti in materia. Dalle quali avendo avuto parole di plauso e di incoraggiamento, volli tuttavia sottoporre tutto a S. Ecc. l’amatissimo nostro Vescovo, che per me è l’autentico interprete della volontà di Dio, come ne è il legittimo rappresentante. Egli lodò e approvò tutto, tranne l’articolo che riguarda l’unica classe dei funerali; avendo parlato il mio Vescovo, è come avesse parlato il Signore, per cui ci vogliamo attenere con filiale abbandono alla sua decisione; ma intanto ecco io affido a voi il compito di osservare le presenti norme nella lettera e nello spirito e mi farà piacere sapere qualche cosa circa i risultati conseguiti.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre preghiere, di cui sento il più grande bisogno, per fare fino alla fine la santa volontà del Signore; anch’io vi porto nella mente e nel cuore, vi seguo nel vostro lavoro che immagino assillante, ma appunto per questo vi raccomando di non trascurare la vita interiore e le pratiche di pietà; ricordatevi che le anime si salvano soprattutto in ginocchio, perché non dimenticatelo mai, non siamo noi, non è la nostra attività, ma è la grazia di Dio che converte le anime.

Vi raccomando di non preoccuparvi di fare molte cose, ma di fare bene quello che fate: non multa sed multum. Benedico a voi, alle vostre anime, dirò meglio alle nostre anime e a tutti i Confratelli e Fratelli che lavorano.

I – PER IL BATTESIMO

1) – Dare tutta l’importanza che merita questo Sacramento, il quale ci costituisce figlioli di Dio e ci comunica la vita soprannaturale della grazia. Quindi molto istruire i fedeli, spiegando ad essi l’alto significato delle singole cerimonie;

2) – Amministrare il Battesimo collettivamente, specialmente nelle Domeniche;

3) – Amministrarlo con solennità: (curare l’assistenza dei chierichetti opportunamente istruiti ed educati, che portino le cose necessarie e rispondano alle domande del sacerdote);

4) – Un distinto suono delle campane avverta i fedeli del rito che si sta celebrando;

5) – amministrarlo gratuitamente, e non ammattendo differenza alcuna tra ricchi e poveri.

II – PER IL MATRIMONIO

(quando si celebra regolarmente)

1) – Sia celebrato con solennità uguale per tutti.

a) – Si celebri la Messa votiva Pro Sponsis, permettendolo il rito;

b) – L’altare sia convenientemente addobbato;

c) – Si procuri un servizio liturgico: (chierichetti, suono dell’organo o dell’harmonium, possibilmente si eseguiscano mottetti liturgicamente adatti);

d) – Si eviti tutto quello che è disdicevole alla santità del rito e del tempo: (suono del violino, gli assolo, prendere fotografie degli sposi in chiesa…)

e) – Il suono festivo delle campane annunci ai fedeli il costituirsi di una nuova famiglia cristiana;

2) – Il Parroco rivolga brevi parole di esortazione agli sposi, ma non parli mai in lode di uno o dell’altro degli sposi.

3) – Il Matrimonio sia celebrato gratuitamente. Tuttavia i fedeli siano istruiti ed educati a fare una offerta libera nel modo che sembrerà più opportuno.

III – PER I FUNERALI

1) – Se dalle disposizioni Diocesane non è consentita, come sarebbe in votis, l’unica classe, si cerchi ad ogni modo di elevare la classe dei poveri, che anche per essi ci sia la Messa cantata, e siano osservate le norme come per gli altri funerali, pensando che sono tutti nostri fratelli, e che tutti siamo uguali dinnanzi a Dio, che anzi onora di preferenza il povero, nella cui persona dichiara di essere onorato Lui stesso. Quindi:

a) – Si disponga un conveniente servizio liturgico, servendosi dei chierichetti per il canto dei salmi e della Messa;

b) – Durante il tragitto dalla casa alla chiesa, e dalla chiesa al cimitero si recitino preghiere o eseguiscano canti tratti dalla liturgia dei Defunti, e si esiga da tutti un contegno serio e grave, e se ne dia l’esempio;

c) – Ci sia la Messa cantata, possibilmente in Terzo. Quando nella Parrocchia non c’è numero sufficiente di Ministri, si procuri l’assistenza dei Sacerdoti confinanti, ma solo in numero sufficiente per rendere decoroso il servizio liturgico, e questo, s’intende, per tutti;

d) – Se il funerale ha luogo nel pomeriggio, l’Ufficio e la Messa si cantino al mattino, “cadavere moraliter praesente”;

e) – Il suono delle campane sia uguale per tutti;

f) – Si raccomanda l’esatta esecuzione dei canti nella Messa e nelle Esequie; ciò sarà di grande edificazione ai presenti, fra i quali si trovano spesso persone che entrano in chiesa solo raramente.

2) – Sia il Parroco che ordina e regola il funerale, non già le Imprese delle Pompe Funebri.

3) – Il Parroco si mostri molto discreto nell’esigere le tariffe prescritte dall’Autorità Diocesana, sia facile anzi a rinunciarvi quando lo creda opportuno, e non ne esiga alcuna dai poveri.

NB. – I certificati di Battesimo, Cresima, Matrimonio e di Morte, richiesti in carta libera, siano rilasciati gratuitamente.

PS. – Prima di spedire queste lettere ho creduto opportuno farle vedere a S. Ecc. Mons. Vescovo per la sua benedizione.

Egli lesse attentamente e poi con paterno affetto approvò e benedisse, augurando che l’esempio buono che parte della Casa, influisca santamente anche negli altri, e piano piano vada allargandosi e affermandosi sempre più.

Questo, per me, fu ed è di grande conforto e lo considero come auspicio di celesti benedizioni.

* LETTERA LIX Santi esercizi 1948

Miei cari ed amati fratelli

Sono qui davanti al mio Crocefisso, e mi pare che proprio dal suo Cuore divino siano scaturite queste mie povere parole che anche quest’anno ho la grazia di rivolgervi in questi Santi Esercizi, che mi pare rivestano nel piano del Signore un carattere tutto particolare. Certo Egli ha parlato e parla al nostro cuore, più fortemente forse che altre volte per mezzo del messo di Gesù, che io considero come l’Angelo inviatoci da Dio per richiamarci a considerare sul serio la grandezza di quest’Opera e a vivere non soltanto a parole, ma a fatti, lo spirito puro e genuino.

Come vo ho detto ancora, Dio vuole servirsi dell’umile nostra Opera per compiere grandi cose, per ricondurre la povera umanità che, immersa nelle tenebre dell’errore e nel fango dei vizzi, ha smarrito ogni senso del soprannaturale e del divino, sulle vie della salvezza e della prosperità temporale ed eterna. Sembra questo un paradosso! Eppure è così: quando Dio vuol compiere grandi disegni, si serve dei più umili strumenti, come si è servito della stoltezza della Croce per convertire il mondo pagano, e come fu proprio nella oscura grotta di Betlem che gli angeli cantarono: “Gloria a Dio e pace agli uomini di buona volontà”. “Quid boni a Nazareth?” era il detto comune; eppure proprio a Nazareth il Verbo visse e conversò con gli uomini.

Vi ho detto ancora che la nostra Opera è la tromba, l’altoparlante del buon Dio; bisogna però che la tromba sia in efficienza, e l’altoparlante funzioni, perché si senta la voce di Colui che parla; per venire alla conclusione che, per compiere questi nuovi e grandi disegni divini, è assolutamente necessario che l’Opera sia in efficienza, mediante lo spirito puro e genuino che Gesù benedetto, Padrone assoluto, ha nesso fino dal principio. Ma l’Opera, ricordiamolo bene, non è qualche cosa di astrato, come non è costituita dai fabbricati e dai terreni: l’Opera siamo noi; noi quindi dobbiamo essere in pina efficienza; miei cari ed amati fratelli, una mano sul petto, e facciamo un serio esame: come viviamo? siamo in pratica quello che diciamo di essere, cioè veri Poveri Servi della Divina Provvidenza?

Alla luce sovrabbondante di questi Santi Esercizi, il Signore ci ha fatto chiaramente vedere il male che dobbiamo togliere e il bene che dobbiamo fare; mano quindi all’opera, con fermi e generosi propositi di voler corrispondere e camminare in maniera degna della nostra santa vocazione, per compiere così i divini disegni ed essere, come vi dicevo, tromba e altoparlante del buon Dio.

Per parte mia, quanto so e posso, vi raccomando la vita interiore, ricordatelo bene: tralci e vite, conche e canali; senza di me non potete far niente; non sono più io che vivo, è Gesù che vive in me. Bisogna, o miei cari, che di ogni Povero Servo, fratello o sacerdote che sia, si possa dire con verità: egli è Gesù. Noi sacerdoti essere Gesù all’altare, nel confessionale, nell’annunziare la divina parola, nelle visite ai malati, nell’amministrazione dei Sacramenti, nella recita del divino Ufficio; voi, fratelli, nel disimpegno dei vostri uffici e doveri, a contatto dei cari ragazzi, nelle necessarie relazioni con i secolari, dicendo sempre la parola buona di vivido sapore evangelico, e soprattutto dando l’esempio di una via pratica e vissuta secondo il santo Vangelo; ormai il mondo è stanco di parole, vuole vedere i fatti: se noi fossimo altrettanti Gesù, quanto bene potremmo fare; saremmo veramente sale della terra e luce del mondo.

Ma alimento della vita interiore sono le pratiche di pietà, santa meditazione, lettura spirituale, santa Messa santa Comunione, la visita al SS. Sacramento, il santo Rosario, le altre preghiere private nostre, secondo il nostro fervore e la nostra devozione; miei cari ed amati fratelli, in ginocchio ve le raccomando tutte, e vi prego di dare ad esse la massima importanza; siate puntuali a farle e fatele in comune; fatele con santo fervore che è frutto anch’esso di preghiera assidua e ben fatta. Ricordatevi che dalla pietà, quindi dall’amore e dalla fedeltà vostra alle pratiche di pietà, si potrà con sicurezza giudicare se siete o no buoni Religiosi, se siete o no veri Poveri Servi.

Vi raccomando ancora l’osservanza delle sante Regole, stimatele, siate ad esse non solo fedeli, ma fedelissimi; non dite mai: sono cose da poco; no, o miei cari: le cose grandi sono fatte di cose piccole e le piccole negligenze sono altrettanti fori per i quali esce lo spirito del Signore e penetra lo spirito del mondo. Siate fedeli in particolare alle piccole prescrizioni delle nostre Sante Regole, come ricevere la benedizione dal Superiore e la visita in chiesa prima di uscire di Casa e al ritorno; puntualità agli atti comuni ecc.

Vi raccomando poi tanto lo spirito di fede: vedere Dio in tutti e tutti in Dio; vedere Dio nel povero che incontrate per via, nella persona con la quale dovete trattare, nei ragazzi che dovete educare, nelle anime che la divina Provvidenza vi fa avvicinare, nei nostri fratelli, in questo vostro Padre; quante volte vi dico e vi ripeto che non dovete guardare la mia povera persona, ma il rappresentante di Dio, inquadrato in questa sua grandissima Opera! e ricordatevi bene che, finché la bontà e la misericordia divina mi tiene qui, avete il sacro dovere di aiutarmi, di ascoltarmi; mi pare che sia proprio Gesù che lo vuole; dovete aderire al Casante come l’edera al muro, come la luce al sole. Quante grazie sono legate a questo spirito di fede, a questi criteri e principi soprannaturali! Guardate che spesso a me basta una parola, un sorriso, un’attenzione per consolare il mio cuore; sono, come tante volte vi ho detto, una pianta sensitiva: in questo c’è tutto.

Miei cari ed amati fratelli, termino dicendo che dobbiamo uscire da questi santi Esercizi come gli Apostoli dal cenacolo, rinnovati, trasformati; Satana freme, non vuole, chissà cosa farà, ma vi assicuro che con voi è Gesù, e con Lui non dovete temere: “Io ho vinto il mondo” Egli dice; e con l’aiuto della sua grazia lo vinceremo anche noi, superando difficoltà, ostacoli, tentazioni, ecc.

Non dimenticate che in cima a tutti i nostri pensieri dobbiamo porre il pensiero della nostra santificazione: tutto ha ragione di mezzo: il fine, l’ideale nostro, la meta alla quale dobbiamo tendere è questa: farci santi a qualunque costo. E nei momenti difficili, nelle varie contingenze della vita, nelle inevitabili croci e sofferenze, guardiamo a Gesù Crocifisso e diciamo: quello che è buono per Gesù è buono anche per me.

Fratelli, santificatevi: e vi santificherete vivendo lo spirito puro e genuino dell’Opera, che è fede, abbandono nelle braccia della divina Provvidenza; noi dobbiamo scomparire; l’Opera, solo l’Opera!

La cara Madonna, nella cui festa terminiamo i santi Esercizi, ci aiuti e sostenga in questo grande nostro compito, ci assista in vita e in morte; oh, sul letto di morte, un vero Povero Servo che è vissuto secondo lo spirito puro e genuino, pregusterà, io credo, la gloria del santo Paradiso! Tutta la nostra vita sia una preparazione a quel grande momento, che verrà per tutti, come è arrivato quasi all’improvviso, per il nostro caro Don Albano; e allora non temeremo la morte, sarà un felice cambio; lasceremo l’esilio per la Patria, la terra per il Cielo, le lotte per la vittoria, le tribolazioni per la gioia e il gaudio dei Santi.

Pregate tanto per me e io vi porto nella mente e nel cuore. Vi seguo tutti e tutti benedico.

R I C H I A M I

Credo opportuno ripetervi qui alcuni avvisi e richiami, alcuni dei quali già fatti in passato.

1) – Modestia nel vestire; non va bene mettersi senza giacca e senza panciotto, sia pure durante il lavoro: se mai indossate un camiciotto leggero; non va bene rimboccare le maniche oltre il gomito; oppure indossare camicette con maniche che coprono appena la spalla o poco più; non è conforme alla modestia religiosa indossare la sola canottiera e flanella della salute.

2) – I Fratelli non escano mai senza berretto e cappello. Ai Sacerdoti raccomando la berretta anche in Casa.

3) – Ai Sacerdoti raccomando un uso discreto della bicicletta, evitino le vie più frequentate della città.

4) – Nessuna ricercatezza per i capelli; non ciuffo, non discriminature, non la coppa. Se una eccezione potesse essere consentita ne è solo giudice il vostro Padre.

5) – Non si giochi mai alle carte per nessun motivo.

6) – Grande discrezione nell’uso della macchina fotografica; non si facciano fotografie senza il permesso del Superiore locale.

7) – Radio: si usi con molta discrezione; la custodia è affidata al Superiore locale.

8) – Richiamo l’esatta osservanza del silenzio maggiore.

* LETTERA LX Santo Natale 1948

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Buon Natale e Buon Anno, a tutti e a ciascuno di voi, miei cari ed amati figli. Ecco la parola che spontanea mi nasce dal cuore, e che mando a voi in questi santi giorni. E una parola breve ma che vorrei fosse meditata assai, e che fosse il compimento di quella che avete ricevuto nel libriccino apposito. Veramente io non avevo mai pensato a un libretto simile, e quando mi fu presentato, ne rimasi sorpreso; ci ho pensato prima di accettarlo. Ma poi ho visto che poteva essere un bene, e che per ciascuno di voi era una nuova grazia, perché vi offre la opportunità di meditare le parole che in tante occasioni vi ho rivolto.

Meditate, dunque, la parola del vostro Padre, che tanto vi ama; parola che non è mia, ma di Gesù, perché è Lui il Fondatore di quest’Opera, è Lui che l’ha voluta; ed è Lui che ha dettato a questo povero e meschino suo Casante ciò che la deve mantenere in vita per compiere i grandi e divini disegni ai quali è destinata.

Meditate quelle parole; in esse troverete racchiuso lo spirito, nutritevi di esso. Come cenci, come creta molle, sempre pronti a tutto, anche ad un cenno di chi rappresenta il Signore! Quello che importa è la nostra santificazione personale; solo così potremo fare del bene alle anime: se vivremo integralmente il nostro spirito, che è quello del santo Vangelo.

Quante grazie ci ha fatto il Signore mediante quest’Opera! e la più grande di tutte è quella di averci chiamato a farne parte come Poveri Servi della Divina Provvidenza. Ricordatevi che l’Opera è di Dio, non mia; è di Lui, che l’ha fondata e la sostiene. E l’Opera è salute o rovina; salute per chi corrisponde, rovina per chi non corrisponde. Nella lunga esperienza di questi quarant’anni ho visto che, se uno non corrisponde, ci pensa il Signore ad allontanarlo; ma guai a quel poveretto!

Non discutete mai. Che se qualcuno non si sentisse di vivere questo spirito, in ginocchio, lo prego e lo scongiuro: è meglio che se ne vada prima che lo mandi via il Signore stesso, divino Fondatore dell’Opera. Queste parole ve le lascio come mio testamento. Fatene tesoro per le vostre anime; e allora Gesù stesso al termine dei vostri giorni, vi verrà incontro con volto amabile, per ricevervi con sé nella beata eternità.

Sono certo che il Signore Gesù – che in questi giorni adoriamo umiliato nel presepio – esaudirà la preghiera che in ogni giorno dopo la santa Messa Gli faccio: “Ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum”.

Pregate, pregate tanto per me: il Signore sa quanto ne ho bisogno.

Più con il cuore che con la mano vi benedico tutti.

* LETTERA LXI Quaresima 1949

Miei cari ed amati fratelli,

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Vicini alla Santa Quaresima sento una forza tutta particolare che mi spinge a rivolgervi la mia povera parola, così come mi sgorga spontanea dal cuore, in relazione anche con i gravi avvenimenti di quest’ora che precipita e che, se è ora di Satana, soprattutto però è ora di Dio.

Miei cari ed amati fratelli, è sceso in fondo al mio cuore di sacerdote l’appello angosciato che il Vicario di Cristo in questi giorni ha fatto sentire al mondo intero.

Egli è sopraffatto dalla tristezza e dall’angoscia nel vedere che la malvagità dei cattivi ha raggiunto un limite di empietà incredibile; al punto, ha detto il Santo Padre, che è impossibile non scorgervi le insidiose e inique trame del nemico infernale, il cui programma è “odiare Dio e rovinare l’uomo”. E infatti l’anima dell’uomo è naturalmente cristiana, l’uomo tende istintivamente alla bontà, alla giustizia, alla verità; come dunque, senza l’intervento di Satana, si potrebbe spiegare tutta questa ondata di irreligione e di empietà, questa impressionante marea di corruzione che tutto minaccia di sommergere, questo paganesimo nella vita e nei costumi per cui trionfa nel mondo l’idolatria della carne e lo sfrenato amore del piacere? Come spiegare tanto sangue fraterno versato, così fiera persecuzione mossa alla Chiesa nei migliori dei suoi figli e sovente nei suoi più degni ed invitti Pastori, e nello stesso suo Capo, il Vicario di Cristo? Come spiegare tanto scempio della persona umana, che spietatamente senza il minimo rispetto viene umiliata, asservita, troppo spesso seviziata e spenta nel sangue con inaudita efferatezza? Non può essere altro che il demonio, nemico giurato dell’uomo, in quanto è la viva immagine di Dio e destinato ad occupare in Cielo i posti perduti da Satana per l’aperta sua ribellione contro Dio.

Ma il demonio, miei cari ed amati fratelli, da solo nulla o ben poco potrebbe fare; per riuscire nei suoi perfidi divisamenti, per stabilire il suo impero tirannico, egli ha bisogno e cerca degli ausiliari fra gli uomini stessi, facendosi alleato delle loro passioni. Questi ausiliari di Satana, l’Apostolo S. Paolo li ha già previsti fin dal suo tempo.

“Verranno, egli dice, tempi difficili, perché gli uomini saranno egoisti, avari, vanitosi, superbi, bestemmiatori, disobbedienti, scellerati, senza amore, senza pace, calunniatori, incontinenti, crudeli, senza umanità, traditori, perversi, amanti più del piacere che di Dio” (II Tim. 3).

Ed oh! quale strage menano tutti costoro anche fra il popolo cristiano, che è il popolo di Dio, mentre, come dice il Santo Padre, “questi nemici del nome di Dio, con la suprema audacia loro propria, si impadroniscono di ogni mezzo, di tutti gli espedienti: libri, opuscoli, giornali, radio, colloqui privati, le scienze e le arti, tutto è in loro potere per spargere il disprezzo delle cose sacre!”.

Ma a questo punto sento il bisogno di fare a me stesso una duplice domanda: in primo luogo, se la società odierna fosse più cristiana, se tutti, ma specialmente noi sacerdoti e religiosi fossimo veramente sale della terra e luce del mondo, con la santità della nostra vita, sarebbe mai possibile questo impressionante progresso del male, la scarsa reazione dei buoni, quando anche essi stessi non abbandonano la propria fede e la pratica della religione, per passare nel campo dei nemici di Dio e della Chiesa?

Purtroppo, dobbiamo confessare che ci siamo molto, ma molto allontanati dai principi ed insegnamenti, dalle massime del Santo Vangelo! Quale differenza spesso fra ciò che si crede e quello che si pratica! “La luce venne nel mondo, ma gli uomini amarono più le tenebre che la luce” (Jo. 3, 19). Altrimenti come spiegare che ci sia così poco cristianesimo pratico, dopo venti secoli di luce e di grazia?

Il dono della fede, il possesso della verità e della divina grazia, costituiscono un grandissimo privilegio per noi, ma non per goderne da soli, bensì per renderne partecipi tanti altri nostri fratelli. Il divino Maestro ha dato il suo ordine: “andate e ammaestrate tutte le genti” (Mt. XXVIII, 18). Ma come fu eseguito quest’ordine per tanti secoli?

Tuttavia, per noi in particolare, un’altra riflessione è utile fare. Tutti riconosciamo che in Italia il 18 aprile abbiamo avuto un vero miracolo di grazia da parte del Signore, ma come gli abbiamo dimostrato in pratica la nostra riconoscenza? Quale mutamento è avvenuto nelle nostra vita? Le chiese si sono viste più frequentate, la festa più santificata, i costumi meno pagani e più cristiani, più rispettato il santuario della famiglia, più decisa l’opposizione dei buoni contro la campagna d’immoralità diffusa specialmente attraverso la stampa, il cinematografo, la spiaggia, ecc.? Oppure quel dono divino, lungi dall’offrire il pretesto per abbandonarsi ad un quieto vivere, doveva costituire un nuovo impegno per tutti, ed essere considerato come un punto non già d’arrivo, ma piuttosto di partenza per nuove conquiste in ogni campo.

Purtroppo invece non fu così; quale meraviglia quindi se i nemici della Religione e della umanità sono sempre più forti, se trovano le porte aperte e il terreno adatto per spargere la loro pessima zizzania, se tarda l’aiuto e l’intervento del Signore a debellare le avverse forze del male?

Ma un’altra considerazione mi pare torni qui opportuna; senza dubbio l’ora attuale è grave ed oscura, non sappiamo che cosa essa ci riservi nell’avvenire, tuttavia penso che siamo ancora in tempo per stornare da noi nuovi disastri e flagelli, se davvero ritorneremo alla pratica del santo Vangelo, di tutto il Vangelo, senza mutilazioni, “sine glossa”, ossia senza arbitrarie interpretazioni, ma cercando di penetrarne il senso e lo spirito puro e genuino, per conformarvi poi i nostri giudizi e la nostra vita.

Il Vangelo ci parla, ad esempio, di Dio che è Padre, che ha cura di noi assai più che degli uccelli dell’aria, e dei fiori del campo, così che non ci lascierà mai mancare il necessario per il cibo e per il vestito, a patto che noi cerchiamo in primo luogo il Regno di Dio e la sua giustizia: quale è la nostra fede nella paternità di Dio, quindi la nostra fiducia nella sua santa ed amabile Provvidenza?

Il Vangelo ci predica il distacco dalle cose della terra, ci esorta a “non accumulare ricchezze dove la ruggine e la tignola consumano, dove i ladri dissotterrano e rubano, ma ad acquistare dei tesori nel cielo”, per il quale unicamente siamo fatti; ci insegna quindi che la vita presente è solo una preparazione alla vita futura, la vigilia d’una grande festa, la quale durerà sempre.

Ci conforta nel dolore e nelle inevitabili prove e sofferenze, assicurandoci che poi “la nostra tristezza si cambierà in gioia”: sostiene la nostra fede e speranza, mostrandoci l’efficacia assoluta della preghiera.

Vuole che ci amiamo l’un l’altro, come Gesù ci ha amati, cioè fino al sacrificio di noi stessi e delle nostre cose, e ci insegna che la sostanza della Religione sta proprio nella carità, non di parole ma di opere.

E quasi a conferma di questo nuovo e grande precetto, ci parla di continuo, ponendolo nel massimo risalto, dell’ineffabile mistero della carità di Dio verso l’uomo, per cui l’uomo da prima è elevato all’ordine soprannaturale, destinato cioè a vedere e possedere Dio per sempre; poi, dopo la caduta di Adamo non viene abbandonato a se stesso, ma ricomperato e redento col Sangue di Gesù, Figliolo di Dio fatto uomo, che si è immolato sull’altare della Croce per i nostri peccati. E quasi ciò non bastasse, quel sacrificio, viene ogni giorno rinnovato sui nostri altari, ed il Corpo ed il Sangue di Gesù, sotto le umili apparenze di pane e di vino, sono dati a noi in cibo e bevanda, medicina e nutrimento delle anime nostre, pegno della vita eterna e della beata risurrezione.

Ecco le grandi, consolanti ed immutabili verità alle quali dobbiamo conformarci tutti, ma specialmente noi Sacerdoti e Religiosi; si può dire che tutto il mondo guarda a noi, all’Italia, a Roma, Cattedra della verità e Centro della Cattolicità, per cui a noi incombe un obbligo in un certo senso più grave che altrove. Quale esempio potremo dare nel vicino Anno Santo ai pellegrini di tutto il mondo, se saremo all’altezza del nostro compito, se ci sforzeremo di essere Vangeli viventi!

Oh, come vorrei che queste mie povere parole fossero sentite da tutti i cristiani, come un forte stimolo a cambiar vita, per offrire al mondo lo spettacolo di un cristianesimo che si rinnova, riproducendo la vita degli Apostoli e dei primi cristiani!

L’altra domanda che dobbiamo farci, è questa. Molti sono i nemici di Dio, i persecutori della Chiesa, coloro che si sono schierati dalla loro parte; che cosa facciamo per il loro ravvedimento? Sono pur essi nostri fratelli, anche le loro anime costano il Sangue di N. S. Gesù Cristo, essi pure dovranno presentarsi al divin Tribunale, e rendere conto della loro vita; e che cosa sarà di loro, se non si ravvedono e non si convertono in tempo?

Per guarire le varie malattie e curare i corpi si aprono ospedali e case di cura, si fanno tutti i tentativi possibili; e per guarire le anime, salvare questi nostri fratelli, non ci daremo nessun pensiero, specialmente quando abbiamo a nostra disposizione mezzi efficacissimi?

Mezzo efficacissimo è la preghiera alla quale il S. Padre ci invita; essa potrà risvegliare e rendere sempre più vivo lo zelo per la causa del bene e della religione, per difenderci noi stessi dai pericoli, per convertire coloro che tante volte sono vittime dell’ignoranza e dei pregiudizi, perché cresciuti in ambienti corrotti e ostili. Una volta ho avvicinato uno di questi poveri nostri fratelli e, conosciuta la verità, colpito dalla grazia, non rifiniva di ringraziare il Signore, ed era felice.

Spesso sono più disgraziati che cattivi; d’altra parte a noi deve stare a cuore non di combatterli, ma di conquistarli, portandoli a Gesù, l’amico dei peccatori, il Pastore buono che va in cerca della pecorella smarrita. Ed oh quanto bene questi fratelli illuminati e ritornati a Dio potranno fare a tanti altri!

Ma la preghiera, ci ricorda il Santo Padre, deve essere avvalorata da ferma fiducia e accompagnata da un seguito di buone opere.

Bella e santa cosa certe solenni manifestazioni religiose, le proteste per i delitti contro gli innocenti, ma esse devono essere seguite da un cambiamento profondo di vita, dalla pratica fedele delle virtù cristiane e religiose, altrimenti tali manifestazioni sarebbero un’irrisione, che lascia il tempo che trova, se piuttosto non attirano nuovi castighi del Signore.

E con la santità della vita soprattutto potremo anche meritare che il Signore ponga fine a tanti mali, e ci conceda finalmente di godere gli effetti della sua infinita misericordia, il suo perdono e la pace vera, di cui sentiamo tutti tanto bisogno. Spesso anche i buoni si domandano: perché il Signore non impedisce la persecuzione e non soccorre le vittime di essa? Dobbiamo riflettere che sono i nostri peccati che legano, per così dire, le mani al Signore. Noi formiamo il corpo mistico di Cristo; la Comunione dei santi è una realtà soprannaturale, e ogni membro risente del bene e del male di ogni altro membro. Noi siamo come dei vasi comunicanti: ci possiamo comunicare gli effetti della divina giustizia, come i doni della misericordia. Per cui se noi ci convertiremo davvero, possiamo sperare con certezza che il Signore verrà in nostro aiuto e soccorso.

Finalmente dobbiamo offrire a Dio l’omaggio della riparazione, che dovrà intensificarsi nella domenica del 3 aprile p.v., che coincide col cinquantesimo dell’Ordinazione Sacerdotale del Santo Padre, e nella quale Egli ha dato facoltà ai Sacerdoti di celebrare una seconda Messa per la remissione dei gravissimi peccati commessi in quest’ora. “L’Eterno divin Padre, ha detto il Vicario di Cristo, verrà propiziato e placato con il Sangue prezioso dell’Agnello Immacolato, la cui voce è più efficace di quella del sangue dell’innocente Abele e di tutti i giusti. E se l’ateismo e l’odio contro Dio è gravissima colpa, noi possiamo col lavacro del Sangue di Cristo lavare l’esecrando delitto, distruggerne le conseguenze, implorando perdono ai colpevoli e preparando alla Chiesa uno splendido trionfo”.

In omaggio agli augusti desideri del Santo Padre, desidero e dispongo che in tutte le chiese delle nostre Case e delle Parrocchie affidate all’Opera nostra, sia celebrata con solennità questa Messa di riparazione, e che si aggiunga, nelle funzioni pomeridiane, un’ora di solenne Adorazione Eucaristica, durante la quale innalziamo speciali preghiere per la conversione dei ciechi nostri fratelli che combattono la Chiesa e i suoi ministri, e sono in grave pericolo di dannare se stessi.

Questo invito alla riparazione dobbiamo sentirlo rivolto in modo particolare a noi, perché, come vi ho detto ancora, fra i compiti che la divina Provvidenza affida all’umile nostra Opera, uno è anche quello della riparazione, per cui possiamo ritenere che le povere preghiere, i piccoli sacrifici da noi offerti, siano particolarmente accetti a Dio, ed abbiano un’efficacia tutta speciale, non per i nostri meriti, ma per un tratto di predilezione da parte del Signore, che ha voluto quest’Opera proprio in questi tempi.

La Vergine Immacolata che più volte ha visitato questa nostra povera terra, specialmente a Lourdes e a Fatima, invitandoci alla preghiera e alle opere di penitenza, purtroppo non fu ascoltata e anche al presente non la si ascolta, per cui ci dobbiamo riconoscere immeritevoli della sua materna protezione; tuttavia preghiamola che si degni assisterci spiritualmente, supplire alle nostre deficienze e avvalorare con la sua materna intercessione la riparazione che desideriamo offrire a Dio, uniti a tanti altri nostri fratelli, secondo i desideri e le intenzioni del Vicario di Cristo.

Miei cari ed amati fratelli, viviamo bene, osserviamo le nostre sante Regole, compiamo in tutto e sempre il nostro quotidiano dovere, amiamo Iddio, cerchiamo in primo luogo il suo santo regno. Facendo così potremo sperare di compiere i divini disegni e cooperare all’immancabile trionfo di Cristo e della sua Chiesa.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre preghiere: sempre più ne sento il bisogno, per poter fare sino alla fine la santa volontà di Dio.

Nella mia povertà anch’io prego e vi ricordo, unitamente ai vostri cari, mentre in questo momento più con il cuore che con la mano vi benedico, con l’augurio di trovarci un giorno tutti uniti in Cielo, nostra Patria.

Amati fratelli,

Il Signore sia sempre con noi. Come vedete, l’amato nostro Padre Don Giovanni ha scritto di getto l’unita che vi ho battuta dall’originale.

Non v’è bisogno di molte parole per farvi rilevare tutta l’importanza di tutte le parole del Padre, ma in particolare di quelle che Egli ci rivolge in questo momento in cui attendiamo la notizia ufficiale della cresima della nostra cara Congregazione.

Il Superiore di ogni religiosa famiglia legga, commenti ai fratelli, richiamando tutti al dovere di rinnovarci nello spirito dell’Opera, nell’osservanza di tutte le sante Regole, grandi e piccole, se pure può dirsi piccolo quello che concerne la gloria di Dio, la nostra santificazione e il bene delle anime.

Con affettuoso saluto e in unione di preghiere

(Sac. Luigi Pedrollo)

* LETTERA LXII Verona, 7 giugno 1949

Miei amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi. Nel mentre mi avvicino sempre più alla grande chiamata, sento tutta la grande responsabilità che pesa su di me e su voi tutti, quando compariremo al grande rendiconto, in quel momento ultimo e decisivo – pensate, pensiamo – per tutta l’eternità. O sempre con Dio in Cielo, in paradiso, o sempre all’inferno: che disperazione per quel religioso dei Poveri Servi che ha trascurato, che non è vissuto secondo la sua grande e particole vocazione!

Non ho rimorso, certo, di non aver detto a parole e in scritto quanto è grande l’Opera dei Poveri Servi, come è speciale la nostra vocazione, che consiste in queste parole: cenci, creta, disposti a tutto, cercare le anime, tutte le anime, specie le più povere, le più abbandonate, in una parola vivere e morire con lo spirito puro e genuino che lo stesso Gesù ha messo Lui, divino Fondatore, in quest’Opera, che culmina in quelle parole: buseta e taneta.

Amati fratelli, sento come non mai il bisogno di raccomandarmi alle vostre orazioni, e per me e per l’Opera. Sento il bisogno di raccogliermi in silenzio più del solito per sentire quello che domanda per me e per voi Gesù: A nome di Gesù vi dico di pregare in modo particolare per me; state per qualche giorno più uniti al vostro Padre che tanto vi ama, perché quante grazie vi ha fatte e vi farà il Signore se tutti sarete uno con il Padre, ciascuno di noi scomparendo perché viva solo l’Opera che è tutta di Gesù per l’ora attuale in modo particolare! Avrei, a tal fine, desiderio che in tutte le case si facciano preghiere speciali per avere tutti quegli aiuti spirituali e materiali di cui abbisogna l’Opera e che certo non mancheranno se tutti con la divina grazia cercheremo il santo Regno di Dio e la sua giustizia… et haec omnia…

Amati fratelli, facciamoci santi per santificare l’Opera e compiere tutti i grandi disegni di Dio propri dell’ora attuale; che grazia, che pace, che premio alla finne della vita!

P.S. Per tre giorni raccomando la coroncina della Provvidenza.

* LETTERA LXIII Festa del Preziosissimo Sangue 1949

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Qui davanti al mio Crocefisso vi scrivo questa mia povera lettera a nome di Dio, per dirvi che Gesù, Padrone assoluto di quest’Opera, ha dato il suo divino benestare, per mezzo della Santa Sede, accordando all’umile nostra Congregazione il “Decretum laudis”.

Fratelli, ringraziamo di cuore il Signore; con questo sigillo santo noi ora possiamo andare avanti sicuramente e compiere quei nuovi e grandi disegni, tutti propri dell’ora attuale, che la divina Provvidenza ha sopra di noi, sempre secondo lo spirito puro e genuino di questa Opera che è di Dio e che nessuna forza, come tante volte vi ho detto e ve lo ripeto in questa circostanza solenne, come fossi sul letto di morte, la può distruggere, ma solo noi, se non viviamo come vuole ed esige la nostra specialissima vocazione. Fratelli, pensate, pensiamo tutti a queste gravi parole: solo noi, se non viviamo secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera!

Appena la divina Provvidenza mi pose in mano il “Decreto di lode”, non potei fare a meno di ammonire: “grande grazia, ma insieme grande responsabilità; dono grande, ma altrettanto grande deve essere il nostro impegno di rinnovarci, di santificarci, osservando ad litteram, ad litteram le sante Costituzioni, imbevendoci e compenetrandoci tutti del loro spirito, fino all’ultimo nostro respiro, che sarà porta per il santo Paradiso”.

Per questo la prima cosa che mi sento di raccomandarvi è che viviate, o meglio dirò che tutti viviamo le nostre sante Costituzioni, che si imperniano in una vita di viva fede in Dio e di figliale fiducia nella divina Provvidenza. Purtroppo viviamo in un mondo più pagano che cristiano; gli uomini non vivono e non pensano che alla terra, alla soddisfazione dei sensi e delle passioni, illudendosi di trovare in essi la felicità, cui tutti naturalmente aneliamo e per la quale siamo fatti; ma non la trovano e sono infelici, perché solo in Dio, dice S. Agostino, è la nostra pace, la nostra gioia: “Signore, Tu ci hai fatti per Te, ed inquieto è il nostro cuore finché non riposa in Te”.

Sembrano venuti quei tempi difficili previsti dall’Apostolo S. Paolo, nei quali, egli dice, gli uomini saranno egoisti, avari, vanitosi, superbi bestemmiatori, disobbedienti scellerati, senza amore, senza pace, calunniatori, incontinenti, crudeli, senza umanità, traditori, perversi, amanti più del piacere che di Dio.

Fra tanto male, anche i buoni sono disorientati, sfiduciati; la loro fede, se non è spenta del tutto, è languida: “Abundavit iniquitas, refrigescitis caritas multorum”. Ed ecco il compito che la divina Provvidenza affida alla nostra Opera: ravvivare in questo povero mondo la fede, con la parola e soprattutto con l’esempio. Dio, l’anima, l’eternità, per molti sono parole quasi vuote di senso. Noi invece viviamo di questa fede sicura ed incrollabile, che non viene meno in qualunque prova, fosse anche la persecuzione e la morte stessa. Dio non ha bisogno di essere dimostrato, ma portato da noi. L’esempio vale più di qualunque apologia. Oh se vivessimo davvero le grandi verità della nostra fede: l’ineffabile mistero dell’Incarnazione, il Presepio, il Calvario, l’Eucarestia, Dio in mezzo a noi, con noi in noi! Sono misteri che dovrebbero rapirci in estasi di corrispondenza e di amore! Le prediche non si va più ad ascoltarle, ma se gli uomini vedessero queste verità realmente vissute, quali felici e sante impressioni ne riceverebbero!

Ma dove, miei cari ed amati fratelli, attingeremo questa viva fede, se non alle pure sorgenti del santo Vangelo? per questo tante volte vi ho detto e ripetuto che dobbiamo essere altrettanti Cristi e Vangeli viventi, per essere fari di luce alla povera umanità brancolante nelle fitte tenebre, di tanti errori, nel fango di tanti vizi. E’ come l’Eco del comando di Gesù Benedetto: “Così risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini affinché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che sta nei Cieli!”. Nelle quali parole notate come Gesù, richiamando il pensiero di Dio, lo chiama Padre, ed anzi Padre nostro. Voglio dirvi, miei cari fratelli, che la fede vera e genuina considera Dio, non solo come creatore e Signore, ma soprattutto come Padre. Fede quindi nella Paternità di Dio, e perciò fiducia illimitata, figliale abbandono alla divina Provvidenza, che è caratteristica tutta propria della nostra Opera, uno degli insegnamenti che il Signore vuol dare per mezzo di essa al mondo.

Ricordiamoci che la divina Provvidenza è una tenera Madre che tutto ordina per il nostro bene, anzi per il nostro maggior bene; dobbiamo sentirci portati dalle sue materne mani; è vero, molte volte dobbiamo soffrire, e la natura può provarne talvolta quasi sgomento; non meravigliamoci; anche Gesù conobbe la tristezza, il tedio e la paura, giungendo a pregare il Padre di allontanare da Lui l’amaro calice, soggiungendo però che si rimetteva alla sua paterna Volontà.

Adesso noi vediamo solo l’orditura del lavoro e il rovescio del ricamo, potrà sembrare che tutto sia confusione, ma quando potremo vedere il lavoro finito e il diritto del ricamo, allora essi ci appariranno in tutta la loro magnifica e meravigliosa fattura.

Ma se la divina Provvidenza ha cura di tutti, notiamolo bene, amati fratelli, Ella veglia su di noi con una cura tutta particolare, a misura che noi staremo al grande e divino programma.

Abbiamo noi avuto sempre fin qui fede così grande, così pieno e totale abbandono nella divina Provvidenza? Io viglio sperare di sì, ma se per somma sventura così non fosse, in questo momento, in questa circostanza solenne ravviviamo la nostra fede e promettiamo di vivere in conformità ad essa.

Per noi in modo tutto particolare stanno quelle parole che a me hanno fatto sempre grande impressione, fin dai miei primi anni di sacerdozio: “Quando vi mandai, così Gesù ai suoi Apostoli, senza sacco, senza borsa e senza bastone, vi è mancato qualche cosa?”. “Niente”, risposero essi.

Deh, che non vi siano mai angustie e ansie! Non cerchiamo di metterci in vista, non facciamo réclame; questo dispiacerebbe tanto al Signore, e facendo così verremmo a mostrare al mondo la nostra poca fede, e giustamente il mondo ci potrebbe dire: sì, avete la Provvidenza, ma a parole; a fatti invece, ecco le preoccupazioni, ecco che cercate i mezzi, ecco che nelle prove venite meno.

Fratelli, quante volte l’ho detto! ma ancora lo ripeto: quando in quest’Opera manca la Provvidenza, in via ordinaria è perché veniamo meno al nostro programma, la nostra vita non è da religiosi, da figli della Provvidenza. Oh se noi viviamo come vuole la nostra vocazione, stiamo certi che la nostra vita sarà una continua calamita della Provvidenza. Potrà il Signore permettere qualche grave prova per saggiare la nostra fede; potrà anche avvenire di dover mendicare di porta in porta; e questo il Signore lo farà conoscere al Casante; non dovremo allora turbarci, ma piuttosto godere e sentirci, direi quasi nella “perfetta letizia”. Stiamo certi che se la coscienza ci dice che siamo fedeli alla nostra santa vocazione, dopo la prova la Provvidenza verrà con “misura ricolma, agitata e scossa”.

Ma guai, o cari, se per colpa nostra non viene onorato ed amato questo divin attributo della Provvidenza, che proprio nei disegni di Dio deve essere richiamato per mezzo nostro in questi tempi di mancanza di fede e di sollecitudine per le cose transitorie, mentre tutto viene fondato sui calcoli umani, sul progresso della scienza, della civiltà, e a Dio e alla sua Provvidenza non si dà parte alcuna!

Sono troppi i “fuggitivi della Provvidenza”, come gli chiama lo Spirito Santo, i quali, invece di abbandonarsi alla potenza, alla sapienza e all’amore di questa tenera Madre, confidano in se stessi, nelle loro forze e risorse, calcolano sui denari che possiedono, rubano quello che è di Dio. Noi di quest’Opera dobbiamo manifestare con le parole e con la vita pratica questo divino attributo: oh quanto bene allora potremo fare! Sacerdoti apostoli, fratelli apostolici, pieni di fede e di figliale abbandono in Dio, saranno senza dubbio generatori di tante opere, quanti sono i bisogni della società presente, così fidati nella Provvidenza, da fare strabiliare il mondo; perdonate l’espressione, mi è uscita spontanea dal cuore; Dio è e sarà con noi, l’Opera è tutta sua.

Ma per questo bisogna essere santi, ci vogliono dei santi. Ed è perciò che vi raccomando tanto l’osservanza delle Regole e dei santi Voti. Nessuno venga meno agli impegni assunti: ricordiamoci che tutte le doti esterne, tutti i doni, tutte le qualità naturali, senza la nostra santificazione, valgono meno di zero; quello che importa è la santità, essere veri e santi Religiosi.

Sacerdoti e Fratelli, gli uni e gli altri figli di una medesima Madre, la Congregazione, che siano fra loro “cor unum et anima una”, tutti intesi ad una sola cosa, a cercare il santo Regno di Dio, uniti nel vincolo dell’amore scambievole, aiutandosi compatendosi a vicenda.

Nella nostra cara Congregazione il Sacerdote si consideri come l’ultimo dei Fratelli, ed il Fratello si senta come investito di uno specialissimo carisma sacerdotale, non solo per il Battesimo, che, come dice l’Apostolo S. Pietro, ci rende partecipi di un regale sacerdozio, ma ancora per la speciale vocazione in quest’Opera. E sia gli uni che gli altri ricordino che l’influenza loro nelle anime dipende non tanto dall’apostolato e dalle attività esteriori, quanto invece dal grado della loro santità. Per questo mi è famigliare il pensiero che ho letto sul Graf: “Non tutti i sacerdoti sono santi, ma tutti i santi sono sacerdoti”.

Amate l’umiltà e il nascondimento, che solo apparisca l’Opera, noi dobbiamo scomparire; siate come cenci e creta, senza testa; portate il nome dei Poveri Servi, guardate anche di esserlo in pratica. Sacrificate quindi ogni superfluità, ogni gingillo; amate la povertà: beati voi se vi troverete qualche volta in condizioni di sentirne anche gli effetti! Siate, siamo servi, quindi guardatevi dal fare la vostra volontà; ascoltate in tutto e per tutto i vostri Superiori, e in particolare obbedite al Casante dell’Opera, presente e futuro. Sento che il Signore gli darà lumi e grazie speciali, a bene dell’Opera in generale e di ciascuno di voi in particolare. Non fermatevi a guardare la persona; guardate tre dita più in su della testa e troverete il Signore.

Càpita alle volte che ci sono dei problemi da risolvere e che le vedute, i pareri sono divergenti; in questi casi discutete pure tra di voi in santa carità, ma per la decisione rimettetevi sempre con piena fiducia al Casante: in questo modo state sicuri che farete sempre la volontà di Dio, salverete più facilmente la santa umiltà e carità, e otterrete le divine benedizioni su di voi e sul vostro lavoro.

Voi sapete quanto io sono povero e meschino, ed è proprio per questo che il Signore mi ha scelto in quest’Opera, perché così meglio si vedrà Lui; tuttavia sento che avete l’obbligo di aiutarmi. Vi dico spesso che voi siete il mio respiro, la mia vita, e sento di ripetervelo ancora una volta. Guardate che a me basta solo uno sguardo, una parola, un’attenzione, per sentirmi come rinfrancato; evitarmi un dispiacere, assecondare un desiderio, vedervi a me vicini, questi ed altri simili atti si ripercuotono nel mio cuore di Padre, sempre tanto sensibile, come voi sapete, recandomi tanto conforto. Ma soprattutto fate quello che vi dico, non obbligandomi a tacere, a chiudermi nel mio silenzio; il Signore non sarebbe contento e non si compirebbero i divini disegni.

Inoltre quanto so e posso, vi raccomando la vita interiore: siate conche e canali, conche per voi, canali per gli altri. Siate come tralci intimamente uniti alla vera vite che è Gesù, avendo Egli detto: “chi rimane in me e io in Lui, questi fa molto frutto, perché senza di me non potete far niente”.

Nulla trascurate, poiché tutto è grande quello che si fa per il Signore, e le piccole regole, le piccole osservanze, non sfuggono allo sguardo del Padre Celeste, che osserva con uno sguardo di pericolare compiacenza quello che per suo amore si fa nel segreto, nel nascondimento, e ve ne darà un giorno una grande ricompensa; ma fin d’ora statene certi, benedirà e feconderà il vostro lavoro, e gusterete la pace e la gioia propria dei figlioli di Dio, e quale conforto proverete sul letto di morte! Quanta sicurezza di passare dal letto degli ultimi vostri dolori, all’immenso gaudio del Cielo per la beata eternità!

Ecco quello che mi sono sentito di dirvi, miei cari ed amati fratelli. Guardate di pensare e di riflettere al momento solenne in cui ci troviamo; nei prossimi esercizi, emettendo i santi Voti, dovremo come rinascere alla nostra cara Congregazione e quindi rinnovarci. Quale responsabilità sarebbe assumere così gravi impegni e poi venir meno ad essi!

Per questo vi dico: se qualcuno non si sentisse, si ritiri per amor della sua anima e dell’Opera, che non ha bisogno di nessuno, o piuttosto ha bisogno di chi con fede e amore si abbandoni in Dio e alla sua divina Provvidenza; ma le molte prove che mi avete dato fin qui del vostro spirito di fede e di sacrificio, mi danno motivo di bene sperare anche per l’avvenire.

Fratelli, noi passiamo, ma l’Opera resta, deve vivere, camminare, andare fino all’estremità della terra, sino alla fine del mondo; ma questo sta in noi, è legato alla nostra personale santificazione.

Pregate per questo vostro Padre, che tanto vi ama nel Signore, e che, sebbene povero e meschino, vi lascia una grande eredità, l’eredità di un’Opera che santificherà in modo speciale le vostre anime in terra, e poi vi procurerà un posto specialissimo in Cielo. Che tutti, nessuno eccettuato, possiamo un giorno ritrovarci lassù a lodare, benedire e ringraziare Iddio di averci chiamati a far parte di quest’umile nostra Congregazione.

La Vergine Immacolata, Padrona di quest’Opera, ci ottenga quegli aiuti spirituali e materiali di cui abbiamo bisogno e accolga i nostri voti, custodisca i nostri propositi, ci difenda dai nostri spirituali nemici, ci protegga nei pericoli, ci soccorra nei nostri bisogni, ci consoli nel punto della nostra morte e ci porti nel santo Paradiso.

Pegno di queste grazie sia la paterna benedizione che a tutti e a ciascuno più con il cuore che con la mano desidero impartirvi.

* LETTERA LXIV Verona 25 agosto 1949

Ai singoli Superiori delle Case

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

All’avvicinarsi del santo tempo degli Esercizi sento il bisogno di rivolgere per mezzo tuo la mia povera parola quale mi sgorga spontanea dal cuore agli amati fratelli, esortando tutti a disporsi con una preparazione specialissima a farli veramente bene, per trarne un frutto più abbondante del solito. Quest’anno infatti è per noi, per la nostra cara Congregazione, un anno di speciali benedizioni; abbiamo avuto il dono grande e il sigillo divino dell’approvazione Pontificia, che importa in noi una grande responsabilità ed un impegno nuovo per essere veri Poveri Servi, non a parole soltanto, ma a fatti.

Mio caro…, l’ora che attraversiamo è grave, la lotta fra il bene i il male, fra la luce e le tenebre, non fu mai così aperta, così tremenda; è l’ora di Satana, ma insieme l’ora di Dio, che prepara l’ora del trionfo di Cristo e della sua Chiesa. Ma v’è bisogno della nostra cooperazione, quindi urge, urge il ritorno pratico alle pure sorgenti del Santo Vangelo; e se, come mi pare e come sento nell’intimo del mio cuore, la divina Provvidenza vuole servirsi dell’umile nostra Opera per compiere questi nuovi grandi disegni, voi capirete la necessità di rinnovarci e di camminare in maniera degna della nostra speciale, anzi specialissima vocazione.

Ed ecco quanto mai opportuni, per questo, i santi Esercizi; nel silenzio, nel raccoglimento, nella preghiera parlerà il Signore; diciamo con il profeta: “Parla, o Signore, che il tuo servo ti ascolta!”, ovvero con San Paolo: “Signore, cosa vuoi che io faccia?”.

E cominciamo a metterci tutti, io per il primo, una mano sul petto per domandare perdono delle mancanze e dei peccati commessi, specialmente nella Casa del Signore, come membri di quest’Opera; e poi un fermo proposito di incamminarci per la via che conduce al monte santo della perfezione cristiana, religiosa, sacerdotale; sarà una via stretta, via di rinuncia e di sacrificio, ma quanta pace proveremo nel cuore fino da questa terra, e poi quale ricompensa in Cielo!

Mio caro ed amato…, quante altre cose vorrei dire ancora! Ma tu leggimi in cuore, di’ a tutti che diano grande importanza alla mia povera parola, che mi ascoltino, che siano il mio respiro e la mia vita, vivendo lo spirito puro e genuino di questa grandissima Opera, che il Signore guarda come un tempo guardava a Betlem e a Nazareth. Se noi saremo ripieni di questo spirito e di questi sentimenti, v’assicuro, faremo miracoli, vorrei dirvi, faremo strabiliare il mondo, perché il Signore si serve delle cose più umili e nascoste per compiere i suoi più grandi disegni.

In questi santi e benedetti giorni vi sarò più che mai vicino con la preghiera e la sofferenza, e voi pregate tanto per me, per questo vostro Padre che sempre vi porta nella mente e nel cuore, e che in questo momento più con il cuore che con la mano vi benedice; e ricordiamoci che il Povero Servo che giorno per giorno nelle mansioni affidategli dall’obbedienza vive lo spirito puro e genuino dell’Opera, ha assicurata la sua eterna salvezza e ha già in mano le tessera per il santo Paradiso. Quale dono, quale grazia!

* LETTERA LXV Verona 8 settembre 1949

Parole del Ven. Padre Don Giovanni alla fine degli Esercizi Spirituali, dopo la Prima Professione Triennale fatta a S. Zeno in Monte l’8 settembre 1949.

Amati fratelli, non mi sentivo di parlarvi, ma all’ultimo momento mi sono sentito come scosso e mi pareva di sentir Gesù che mi diceva: “Io sono e sarò sempre con te, perché questa Opera è Opera mia. Va’ e di’ loro queste parole”.

II primo è pensiero di ringraziamento per il dono grandissimo di questi santi Esercizi Spirituali, diretti proprio dallo Spirito Santo, proprio secondo i nostri bisogni spirituali.

E’ una grande Opera che Gesù stesso ha fondato ed è grande grazia appartenere ad essa. Guardiamo di uscire da questi Spirituali Esercizi come sono usciti gli Apostoli dal Cenacolo, per portare la luce e la vita alle anime e al mondo.

Gesù sarà con noi! La prima nostra preoccupazione è la santificazione nostra. Guai a noi se non ci facciamo santi! Ricordatevi che per santificare bisogna essere santi! Ci santificheremo vivendo lo spirito puro e genuino dell’Opera. Nessuna prova esterna, nessun nemico potrà rovinare la nostra Opera. E se qualcuno tenterà di distruggerla, gli Angeli di Dio difenderanno quest’Opera. Io solo posso rovinare quest’Opera. Quale responsabilità!

L’ora attuale è triste. Ma il Signore ha attuato nella sua Opera dei disegni che io una decina di anni fa non pensavo neppure. E’ Gesù che opera, o cari, con lo spirito puro e genuino. Se noi vivremo con lo spirito puro dell’Opera, sono sicuro che il Signore farà i miracoli dei primi tempi del cristianesimo. Il Signore non ha bisogno di nessuno. E spesse volte io ho detto che non mi preoccupo di mandar via un ragazzo: pensa il Signore ad allontanare chi non corrisponde.

Ma guardiamo noi di non avere la disgrazia di essere esclusi! Guardiamo di corrispondere attraverso il dolore e la sofferenza, che sono il sigillo delle Opere di Dio.

Io vi porto nella mente e nel cuore e vi sono vicino con la preghiera e con la sofferenza inerente all’ufficio di Casante.

Tutto il mondo guarda a noi. Grandi disegni Gesù vuol compiere, ma li vuol compiere con noi.

* LETTERA LXVI Verona, 4 ottobre 1949

Ai singoli Superiori delle Case.

Mio carissimo

La grazia di Gesù benedetto sia sempre con noi.

Leggo qui nuovamente il decreto di Approvazione riportato nel Bollettino Ecclesiastico Veronese, e il commento così bello che lo accompagna. Nel leggerlo, sento in me più viva che mai la responsabilità che il Signore, per tratto speciale di sua infinita bontà, si è compiaciuto di addossare a noi. Il Povero Servo ha in sua mano la propria sorte eterna, e quella di tante anime.

E’ il Paradiso che ha in sua mano, se fedelmente corrisponde alla sua vocazione, vivendo secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera; sarebbe l’inferno se non volesse corrispondere e per colpa sua restassero incompiuti i divini disegni della Provvidenza. Che non sia mai di nessuno di noi tale disgrazia!

L’Approvazione Pontificia è il sigillo di Dio su la nostra Opera. Il Signore ancora una volta ci ha dato saggio della sua speciale predilezione per noi. Beati noi se prenderemo nuova lena per corrispondere!

Viviamo dunque nell’umiltà, nella carità, nello spirito di sacrificio: buseta e taneta, lontano dalle protezioni umane, appoggiati alla Provvidenza. Anime, anime! Ecco quello che dobbiamo cercare e domandare. Siamo “Vangeli viventi” come ne desidera il caro Gesù, per salvare le anime. Il nostro esempio la vita religiosa nostra sia una predica eloquente, che dà valore a quello che diciamo a voce, specialmente predicando. E allora compiremo i disegni di Dio, e assicureremo la nostra sorte eterna e quella di tanti nostri fratelli.

Data l’occasione, dirai queste mie raccomandazioni anche agli altri. Viviamo bene, facciamoci santi! E la nostra opera procederà a sempre nuovi sviluppi, a salvezza di tante anime.

Prega tanto per me, sai, che ne ho estremo bisogno. Prega che io per il primo sia all’altezza della responsabilità che richiamo alla tua attenzione.

E io di gran cuore ti benedico, augurando che il Signore Gesù trovi in te, e nei Confratelli Poveri Servi, le sue divine compiacenze; e nell’ultimo dei tuoi giorni ti possa dire: “Euge serve bone et fidelis, intra in gaudium Domini tui”.

* LETTERA LXVII Santo Natale 1949

Miei cari ed amati fratelli interni ed esterni

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Buono e santo Natale! Proprio dal fondo del cuore mi sgorga questa parola di augurio per voi. Parola semplice, ma al tempo stesso piena di grande significato. Gesù Bambino rinasca nei nostri cuori, in tutti i cuori, e rinascendo ci comunichi i suoi stessi sentimenti, e ci faccia amare quello che Egli ha amato, ed abbracciare quello che Egli ha abbracciato, affinché la sua vita si manifesti in noi: “ut et vita Jesu manifestetur…”, così che ciascuno di noi arrivi a dire a se stesso in tutte le prove di questa vita di esilio: – Quello che è buono per Gesù, è buono anche per me!

Oh come prego e supplico lo Spirito Santo, che voglia donare a questa mia povera parola tanta efficacia da produrre in tutti voi copiosi frutti di grazia e di santità! Miei cari ed amati fratelli, la santità, la nostra personale santificazione: ecco il grande bisogno e il grande imperativo dell’ora presente, che è l’ora di un continuo richiamo del Signore a tutta la povera umanità, ma specialmente a noi sacerdoti, religiosi e popolo cristiano, perché esso sia veramente il popolo di Dio, e noi viviamo la vita degli Apostoli e dei primi cristiani. Mai come adesso il mondo andò errando lontano da Dio, brancolando nelle tenebre di tanti errori e vizi; ora, è solo la luce della santità che si irradia da noi, che gli può rischiarare il cammino e indicare la via del grande ritorno a Cristo e alla sua Chiesa. Di qui la responsabilità nostra, il gravissimo compito di coloro che hanno ricevuto il divino mandato di insegnare: “Euntes docete omnes gentes!” con la parola, ma soprattutto con l’esempio di una vita pienamente conforme ai principi e alle massime del santo Vangelo, vissuto e praticato così com’è, sine glossa, ossia senza arbitrarie mutilazioni e vani commenti, per essere davvero altrettanti Cristi e altrettanti Vangeli viventi.

Solo la santità, secondo il mio povero parere, può risolvere i gravi problemi sociali che si agitano in quest’ora. Oh se fosse vivo in noi, come era vivo negli Apostoli e nei primi cristiani, il pensiero della paternità di Dio! Cioè che Dio è Padre infinitamente buono e provvido, che noi tutti siamo fratelli in Cristo, che dobbiamo fare agli altri quello che vorremmo fosse fatto a noi! Non vi sarebbero più egoismi, lotte di classe, odi, vendette, che hanno sovente il loro triste epilogo nel sangue fraterno versato.

Davanti al Presepio abbiamo tutti bisogno di riflettere e di meditare l’incomprensibile mistero degli abbassamenti dei Figliolo di Dio fatto uomo, del quale dice l’Apostolo, che essendo infinitamente ricco, si è fatto povero, affinché per il volontario suo spogliamento noi diventassimo ricchi dei suoi doni e della sua grazia: “Propter vos egenus factus est cum esset dives, ut illius inopia vos divites essetis”.

Dove mai, se non qui davanti al Presepio, i Santi appresero quella celeste dottrina che, essendo di tutti i tempi, sembra tuttavia scritta per l’epoca nostra? “Voi ricchi, diceva S. Giovanni Crisostomo, ricordatevi che siete dispensatori, non possessori delle vostre ricchezze, e quando date ai poveri, un tale atto di misericordia è giustizia”. E S. Agostino nelle sue istruzioni al popolo diceva: “Voi fate il Segno di croce, venite in chiesa, ascoltate le prediche, sapete partecipare ai canti della sacra Liturgia, vi accostate ai Sacramenti, ma tutto questo non mi può dire ancora che voi siete cristiani; ciò che vi dimostra tali è solo la carità, è l’amore verso i fratelli”. Tutti questi insegnamenti, alla fine non sono altro che un magnifico commento alla lettera ispirata dell’Apostolo S. Giacomo, il quale dice testualmente così: “Che giova, o fratelli, a uno dire d’aver la fede, se non ha le opere? Forse la fede lo potrà salvare? Se un fratello o una sorella son nudi e mancanti del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: ‘andate in pace, riscaldatevi, satollatevi’, senza dar loro il necessario al corpo, che gioverà? Così la fede, se non ha le opere, è morta in se stessa” (Jac. II, 14).

Questo, miei cari ed amati fratelli, è lo spirito puro e genuino del santo Vangelo, quello spirito nuovo che Gesù è venuto a portare sulla terra, che è fuoco di carità per Iddio e di amore verso i fratelli, che ne sono la viva immagine. Ed è ancora nella carità e nell’amore che consiste la vera santità.

Alla quale ci impegna anche un altro motivo, ed è il sapere che la nostra santificazione e la santificazione delle anime mediante la preghiera e la penitenza è il primo e principale fine proposto dal Santo Padre nell’indire l’Anno Santo che avrà inizio appunto con la solennità di Natale. E’ un invito rivolto a tutti i fedeli, ma senza dubbio in modo tutto particolare rivolto ai Religiosi, quindi anche a noi Poveri Servi della Divina Provvidenza. E’ questo il nome dei Fratelli Interni, ma anche voi, amati Fratelli Esterni, come appartenenti all’Opera, dovete possederne lo spirito, così bene compendiato nello stesso nome; ricordatevi che è una grande grazia che Gesù vi ha fatto, di associarvi all’Opera dei Poveri Servi.

Analizziamo pertanto il nostro nome: ci diciamo poveri; dobbiamo dunque amare la santa povertà e soffrirne i disagi, le privazioni, i sacrifici, che ne sono le naturali conseguenze: chi ama gli agi ed è attaccato alle proprie comodità, è povero di nome ma non di fatto, e quale premio allora potrà ripromettersi dalla sua professione di povertà? L’amore poi alla santa povertà ci darà la possibilità di dividere con altri fratelli i beni a noi compartiti dalla divina Provvidenza.

Siamo servi: sull’esempio di Gesù, che fin dalla sua nascita si proclama il servo per eccellenza del Padre, dobbiamo conformarci sempre alla santa volontà di Dio che ci viene manifestata dalle sante Regole e dagli ordini dei Superiori; “Quae placita sunt Ei facio semper”. Quante volte vi ho detto che dobbiamo essere senza testa, come creta, come cenci, disposti a tutto! Deh, che queste parole non siano un giorno di nostra condanna!

Ma anche voi, amati Fratelli Esterni, dovete obbedire, cioè osservare la santa legge del Signore, nel compimento dei vostri doveri nella famiglia, nell’ufficio, nella professione che esercitate, in tutto e sempre; ricordate in particolare il dovere del buon esempio. Quale pregiudizio ne avrebbe I’Opera dal cattivo comportamento di qualche Fratello Esterno!

Infine siamo i servi della Divina Provvidenza: dobbiamo vivere e dimostrare in pratica il “non v’angustiate…” del santo Vangelo; lontani dalle protezioni umane, usare e custodire religiosamente quelle che il Signore ci manda; per conto nostro amiamo il silenzio e il nascondimento; accontentiamoci dello sguardo e dell’approvazione di Dio. Qualche volta la Provvidenza vorrà che l’Opera si manifesti anche esternamente, ma appena assolto il mandato, ritorniamo nel nostro silenzio e nascondimento: “buseta e taneta”.

Ed anche voi miei cari ed amati Fratelli Esterni, vivete in questa atmosfera di silenzio, nella piena fiducia e figliale abbandono in Dio e alla sua divina Provvidenza; cercate prima le cose dell’anima, la vostra santificazione, tenendovi lontani dal peccato, coordinate la vita presente con la vita futura, sopportate con generosità le inevitabili prove della vita, e quanto al resto state certi e sicuri, il Signore non vi abbandonerà, poiché ha impegnata la sua parola: “Quaerite primum regnum Dei… et haec omnia adiicientur vobis”.

Questo era quello che mi premeva di dirvi, ma siccome non è ormai molto lontana “l’Ottava di preghiere per l’unità della Chiesa” solita a farsi dal 18 al 25 gennaio, sento anche il bisogno di esortarvi a farla quest’anno con impegno tutto particolare. Voi sapete che a Maguzzano, fin dall’inizio, è stata autorizzata con Decreto Vescovile, l’Adorazione Eucaristica quotidiana, con il preciso scopo di pregare per il ritorno dei Fratelli separati, ed ho dato disposizione perché a Maguzzano questa “Ottava” si faccia il più solennemente possibile. Ma anche nelle altre Case desidero che si dia ad essa la massima solennità e a tutti raccomando di offrire preghiere e sacrifici per implorare dal Signore grazie di luce e di cristiana fortezza, necessaria per intraprendere la via del ritorno, superando ovvie difficoltà e ostacoli; così che di tutti i fedeli e credenti in Cristo si faccia un solo ovile sotto un solo Pastore.

Oh, se questo movimento verso la Casa del Padre comune, alla volta dell’ovile di Pietro, si iniziasse su larga scala, quanto bene ne verrebbe alle anime, quanto vantaggio e prestigio alla Chiesa, quanta gloria a Dio! Anche se umanamente parlando la cosa si presenta difficile, nulla è impossibile a Dio; e non dimentichiamo che ogni grazia è legata alla nostra incessante e fervida preghiera.

Davanti al Bambino Gesù preghiamo dunque per tutte queste intenzioni; pregate pure per questo vostro Padre, che vi porta tutti nella mente e nel cuore, e che ogni giorno prega e offre le sue sofferenze per voi e per tutti i vostri cari, ai quali con voi più con il cuore che con la mano benedico. Che terminata la nostra terrena giornata, possiamo ritrovarci tutti nessuno escluso, nel santo Paradiso, essendo questo il fine della nostra vita di prova e di esilio, ma insieme vigilia della vera vita, che consiste nel pieno ed eterno possesso di Dio.

P.S.

Quanto so e posso vi raccomando di leggere e di meditare frequentemente quello che vi dico o a voce o per mezzo dello scritto, perché è parola che mi nasce nel cuore e che vi ripeto sempre a nome di Gesù benedetto; così alimenterete in voi lo spirito puro e genuino che Egli fin da principio ha messo nell’Opera.

* LETTERA LXVIII Verona, 30 gennaio 1950

Miei cari ed amati figlioli di Roma

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Sono qui davanti al mio Crocefisso e penso e medito all’infinito amore di Gesù per le nostre anime, che ha amato fino alla totale sua immolazione sulla Croce, e redento a prezzo del suo preziosissimo Sangue. Mio Dio, come costano le anime, come bisogna faticare e soffrire per salvarle!

Con questa stessa visione davanti agli occhi della vostra mente, con questa intima convinzione in fondo al vostro cuore vi prego di leggere e meditare queste mie povere parole che vi scrivo a nome e per volontà di Gesù, sia per esortarvi a vivere sempre più intensamente quello spirito puro e genuino che il divino Padrone ha messo fin dall’inizio in quest’Opera che è tutta sua e alla quale noi abbiamo la grazia di appartenere, sia per darvi quelle norme e disposizioni che mi sembrano necessarie e opportune, perché di tutte le Comunità romane si faccia veramente una sola famiglia, in piena conformità di indirizzo, in perfetta fusione di cuori e di spirito, come si conviene a coloro che sono fratelli, figli della stessa madre, che è la nostra cara Congregazione.

E in primo luogo quanto so e posso vi raccomando la vita interiore: conche e canali, tralci e vite, ecco come devono essere i Poveri Servi della Divina Provvidenza.

Quindi date la massima importanza alle pratiche di pietà, che alimentano in noi la vita d’unione con Gesù. Guai a chi le trascura o le compie solo superficialmente! A poco a poco lo spirito si affievolisce, subentra la tiepidezza e le cose allora si fanno senza fervore e senza slancio, e ben scarso sarà il frutto che ricaveremo dall’esercizio del sacro ministero, da ogni forma di apostolato. Che se vi sentite talvolta languidi, freddi, distratti, senza entusiasmo nella ricerca del santo Regno di Dio, ricorrete allo Spirito Santo, che è luce, che è calore, che è forza, che è conforto: Adsit nobis, quaesumus, Domine, virtus Spiritus Sancti…

In secondo luogo, ve lo raccomando tanto, vivete la vita di fede e di filiale fiducia e abbandono in Dio e alla sua paterna Provvidenza; state lontani dalle protezioni umane, pure accogliendo quelle che la Provvidenza vi manda; non appoggiatevi agli uomini, e non contate sui vantaggi materiali e morali che vi possono venire da loro, avendo sempre presente la parola del Signore: “Maledictus homo qui confidit in homine… benedictus vir qui confidit in Domino, et erit Dominus fiducia eius!”

Inoltre non preoccupatevi di far molte cose: non multa, sed multum! Fa molto chi fa bene; fa molto chi attende di proposito alla sua santificazione; ma chi tende a mille altre cose, anche buone in sé, e facesse più calcolo del multiforme suo lavoro esteriore che della vita interiore e della sua santificazione, cadrebbe in quella che si chiama eresia dell’azione. Ma anche a prescindere da questo eccesso, ricordatevi che quando si mette mano a molte, a troppe cose, è facile che c’entri l’io e sia escluso Dio.

Deh non sia così per nessuno di noi! e facciamo di tutto per essere, come tante e tante altre volte vi ho detto, altrettanti Cristi e Vangeli viventi, sale della terra e luce del mondo. Se il mondo va male, in gran parte la colpa è anche nostra; cominciamo noi dunque la nostra riforma, e mettiamo in cima a tutti i nostri pensieri il grande pensiero della nostra personale santificazione, per ottenere la quale dobbiamo stare attenti a non uscire dalla santa volontà di Dio. Che cosa giova fare grandi passi, ma fuori di strada? Quindi, allorché avete in animo di fare qualche cosa che vi pare sia per la gloria di Dio e il bene delle anime, sottomettete prima umilmente i vostri progetti e iniziative all’approvazione dei competenti Superiori vostri. Chi opera in questo modo è sicuro di fare la volontà di Dio, Dio lavorerà con lui e renderà santamente feconde e fruttuose le sue opere; ma chi fa di sua testa, d’una cosa sola è certo, di sbagliare. Facessimo anche miracoli, riscotessimo l’approvazione e gli applausi del mondo, a nulla ci gioverebbero, se non forse per la nostra rovina e condanna.

Anche un’altra raccomandazione mi preme di farvi, ed è questa: in quello che fate non dovete mai proporvi il buon nome e il prestigio vostro personale, ma bensì il bene e il vantaggio dell’Opera. Noi dobbiamo scomparire, quello che deve restare è l’Opera, solo l’Opera. Chi cerca se stesso, il proprio interesse, commetterebbe una rapina nell’olocausto, riprendendo per sé quello che una volta ha solennemente donato al Signore.

E’ vero, come Parroci o Vice Parroci, riceverete il mandato e l’investitura della competente autorità Ecclesiastica, alla quale dovete rendere conto e dovete da essa dipendere; ma voi non siete persone private, bensì rappresentanti, esponenti della Congregazione; propriamente parlando, non voi, ma è la Congregazione che per mezzo vostro riceve in consegna le anime, in mezzo alle quali non potete esercitare il sacro ministero a vostro arbitrio, ma come Poveri Servi, cioè secondo lo spirito, gli indirizzi, i criteri propri dei Poveri Servi. Chi facesse diversamente, non solo porterebbe un grave pregiudizio all’Opera stessa, ma si priverebbe di quegli aiuti e grazie che renderebbero particolarmente fruttuoso e fecondo il suo santo ministero, secondo la parola di Gesù: “Chi rimane in me e io in lui, questi fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”.

Viviamo dunque lo spirito della nostra Opera, come cenci, come creta, senza testa, “buseta e taneta”, nel nascondimento, nell’umiltà; allora il Signore ci adopererà, potrà anche metterci sul candelabro e compiere i nuovi, grandi disegni, tutti propri dell’ora attuale.

Ed infine vi raccomando tanto e poi tanto che viviate uniti, cor unum et anima una; sebbene vi sia stata affidata la cura d’anime in zone lontane l’una dall’altra, però dovete vivere il medesimo spirito, mantenere unità d’indirizzo; per questo, anche in passato, vi ho sempre raccomandato che vi teneste uniti a S. Filippo, per opportuni scambi di vedute, per una fraterna intesa e collaborazione. Tuttavia mai come in questi ultimi tempi ho sentito il bisogno, la necessità, l’urgenza che le diverse Borgate formino un’unica Famiglia, nel pieno senso della parola; ed è venuto delineandosi e maturandosi nella preghiera e nella sofferenza un piano, che mi pare torni di grande gloria di Dio e sia di grande vantaggio alla cara nostra Congregazione. Il piano è questo: che il caro Don Ottorino, nella sua qualità di Parroco di S. Filippo, rivesta la qualità di un vero Superiore, quale mio rappresentante. Voi ne comprendete la ragione; dovrei io stesso venire o mandare a visitarvi di quando in quando; queste visite però non possono essere frequenti così come sarebbe necessario, ed anche prescindendo da ciò, sento che è necessario che un mio rappresentante risieda in loco.

Quindi d’ora innanzi, al caro Don Ottorino sono affidati compiti nuovi. Egli deve visitare le nostre Famiglie religiose di Roma, rendersi conto delle varie opere e attività che sorgono in ciascuna, invigilare sulla osservanza della disciplina religiosa, accertarsi che tutto procede secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera, ecc. Inoltre, se i singoli Religiosi, preposti alle varie Borgate, restano liberi nell’ordinario esercizio del sacro ministero, quando si tratta di nuove attività ed iniziative, prima di attuarle devono sottoporle all’approvazione del nuovo Superiore, che per ogni buon fine si terrà in frequente contatto con i Superiori Maggiori.

Miei cari ed amati figlioli, ecco quello che mi premeva di dirvi; ricevete questa mia povera parola, come parola di Gesù, Padrone assoluto dal quale dobbiamo in ogni cosa dipendere; beati voi allora! Compirete cose grandi, non secondo gli uomini, ma secondo Dio, gioverete alla vostra anima e a tutte le anime, specie a quelle che la Provvidenza ci volle affidare, e con questa fiducia, terminata la vostra terrena giornata di lavoro, guarderete in faccia alla morte, per sentirvi ripetere quelle consolanti parole: “Servo buono e fedele, entra nel gaudio del tuo Signore”.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre orazioni, ne ho estremo bisogno, per fare sino alla fine la santa volontà del Signore. E che poi un giorno ci possiamo ritrovare insieme uniti per sempre nel santo Paradiso. Più con il cuore che con la mano, vi benedico tutti.

* LETTERA LXIX Verona, 1 luglio 1951

(Nel 50º di Sacerdozio del Ven. Padre)

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Qui ai piedi del mio Crocefisso, nel pieno riposante silenzio delle creature e delle cose, quale mi è dato di gustare in questo magnifico luogo, offertomi dalla divina Provvidenza per un breve periodo di convalescenza, penso a tutti voi, e con il cuore in mano vi ringrazio per le tante preghiere e suppliche che avete fatte per me, nel tempo della dolorosa prova che il Signore ha permesso per i suoi fini, ma soprattutto per la mia personale santificazione.

Per me, la carità più grande che uno possa farmi è la preghiera, soffio di Dio da cui deriva a noi ogni bene; che se oggi posso rivolgervi la mia povera parola, quale mi sgorga spontanea dal cuore, è appunto perché il Signore ha ascoltato ed esaudito le vostre preghiere. Con queste voi avete aiutato me, ed io desidero aiutare voi con la presente lettera, che se non vi dirà cose nuove, tuttavia vorrei che fosse come il mio testamento e il miglior ricordo del 50º del mio Sacerdozio.

Io non so se avrò la grazia di arrivare a farne la celebrazione; ma fin d’ora nel mio cuore benedico e ringrazio il Signore del grandissimo dono del Sacerdozio, concesso anche a me, tanto povero e meschino. Ed insieme oh come sento il bisogno in questa straordinaria ricorrenza di chiedere a Dio perdono per tutte le deficienze e miserie di questo non breve periodo di vita sacerdotale, e di offrire in uno spirito di umiltà e con l’animo veramente contrito il divin Sacrificio “pro inumerabilibus peccatis et offensionibus et negligentiis meis”; e al tempo stesso vi prego e vi scongiuro di unirvi anche voi a me con la preghiera, per ottenermi dal Signore il perdono del male fatto fin qui, affinché possa trovare pietà e misericordia nella mia ormai non lontana chiamata al divino Tribunale. Pregate, inoltre, perché questa grande data segni per me una nuova tappa per la mia personale santificazione e per la santificazione dell’Opera.

Mio Dio, come sento tutta la responsabilità di Povero Servo! Come e più ancora di Casante e Custode di questa grandissima Opera! Per questo, quanto so e posso vi dico e ripeto, guardate di pregare tanto per me, che in quest’ultimo scorcio della mia vita abbia ad essere quello che vuole Gesù.

Nella mia povertà anch’io vi porto nella mente e nel cuore, e in questo 50º ripeterò con più intenso fervore la preghiera che sono solito di fare da tanti anni dopo la Santa Messa: “Ut cum fratribus meis et pueris tuis, laudem te, in saecula saeculorum”! Oh sì, miei cari ed amati fratelli, che dopo compiuta la nostra terrena giornata, ci possiamo ritrovare tutti insieme nel santo Paradiso, come il Signore ci ha uniti in terra, chiamandoci a far parte di quest’Opera che è tutta sua, per mezzo della quale vuole compiere nuovi e grandi disegni tutti propri dell’ora attuale, e li compirà sicuramente, a patto che noi stiamo sempre fedeli al nostro divino programma: “Quaerite primum…!”

Miei cari ed amati fratelli, l’ora attuale è senza dubbio una grande ora; come fossi sul letto di morte, mi sento di dirvi che è l’ora decisiva per il trionfo della Chiesa e della nostra santa Religione, per l’avvento dell’età di Gesù!

Ne abbiamo chiari segni nei carismi e grazie singolarissime che lo Spirito Santo comparte a certe anime (tra queste a P. Lombardi, che io chiamo il messo di Dio), le quali, attuando in pieno gli insegnamenti e le massime del santo Vangelo, preannunziano questo trionfo di Gesù nella lotta tremenda che in questo ultimo tempo è ingaggiata tra le forze del bene e quelle del male.

Noi Poveri Servi dobbiamo contribuirvi con la santità della vita, irradiando la pura luce del santo Vangelo, essendo Vangeli viventi, cercando anime, solo anime, specialmente quelle più bisognose; come vi ho detto ancora: creature abbandonate, vecchi, poveri, malati, sono le nostre ricchezze, le gemme dell’Opera.

Questo miei cari fratelli, è lo spirito puro e genuino che Gesù ha messo fin da principio, che è ormai consacrato dalle nostre sante Costituzioni, che “in visceribus” vi raccomando di leggere spesso e di meditare, per osservarne anche le più minute disposizioni. Poiché non dovete dimenticare che le grandi cose sono fatte di tante piccole cose, come la vastità dell’oceano risulta da infinite piccole gocce d’acqua. Del resto, la grandezza delle azioni dipende unicamente dalla misura dell’amore con cui si fanno; e a queste piccole cose si rivolge ora il mio pensiero, e mi pare che sia proprio Gesù a volere che io le abbia a richiamare come in sintesi, in questa solenne circostanza, prime a me stesso e quindi anche a tutti voi.

Ricordiamoci che non si è mai abbastanza pensato al “porro unum est necessarium”, che il resto è niente, è fumo e vanità. Coordinare la vita presente con la vita futura, pensare e parlare spesso dell’anima, dell’eternità, del paradiso, dell’inferno; giudicare delle cose e avvenimenti alla luce dei principi soprannaturali, vedere tutto in Dio e Dio in tutto; nel filo d’erba, in un fiore, in un frutto, in ogni creatura piccola e grande, riconoscendo l’infinita potenza, sapienza e bontà di Dio, che è grande nelle cose grandi e massimo nelle cose minime.

Questo miei cari, è spirito evangelico pratico, questa è vera sapienza cristiana. E quanto v’è bisogno di anime che incarnino questo spirito, che irradino questa luce in mezzo a tante tenebre del modo, tenebre d’ignoranza, di errori e di corruzione! Ed è quello che Gesù vuole da tutti i cristiani, ma specialmente da noi sacerdoti e religiosi: a noi essendo rivolto in modo tutto particolare il monito di Gesù: “così risplenda la vostra luce, affinché vedano le vostre opere e glorifichino il Padre vostro che stà nei Cieli”.

Se possederemo questo spirito, non ci sarà difficile vedere nei poveri, nei vecchi, nei malati le vive immagini di Gesù, i prediletti di Lui; stimare come meritano tanti piccoli atti di carità: dire una buona parola, avere un gesto, un sorriso, recare un servigio; tanti piccoli sacrifici, rinunce, distacchi, tante piccole mortificazioni, che sembrerebbero insignificanti ed invece sono efficacissime per preservarci dal contagio e dalla corruzione del mondo, per conservare ed accrescere in noi il santo fervore. Voi vedete qui aperto un orizzonte vastissimo; beati voi se saprete scendere a pratiche applicazioni, secondo il vostro carattere, il vostro ufficio, le vostre inclinazioni!

Siamo umili: “buseta e taneta”; amiamo l’ultimo posto: ama nesciri et pro nihilo reputari, non solo a parole, che poco importa, ma a fatti. Quindi mortifichiamo generosamente il solletico dell’amor proprio, che tenderebbe a fare cose grandi e appariscenti; miei cari fratelli, che cosa giova l’applauso del mondo? perché non ci basterà l’approvazione di Dio? “Chi mi ha da giudicare, dice l’Apostolo, è il Signore”.

Ve l’ho detto tante volte: noi dobbiamo scomparire; quella che deve risplendere è l’Opera; che se al Signore piacesse di collocarci in alto, per parte nostra conserveremo il desiderio e l’amore dell’ultimo posto, dicendo intanto con sincero sentimento del cuore: “Non nobis, Domine, non nobis, sed, Nomini tuo da gloriam”.

Osservate le piccole Regole: la puntualità agli esercizi comuni, alle pratiche di pietà, alle refezioni; quanta giocondità apporta questa osservanza della vita comune! “Ecce quam bonum et quam iucundum habitare fratres in unum”!

Vi raccomando tanto il silenzio, specialmente il silenzio maggiore; alla sera, giunta l’ora, lasciate tutto, in ogni angolo della Casa regni il massimo silenzio. Ricordatevi che dal Silenzio si può misurare il grado di fervore di una comunità.

Vi raccomando la vita interiore, la vita di intima unione con Dio; non dimenticate che da questa soltanto dipende la fecondità delle nostre attività e la stessa nostra santificazione: “chi rimane in me e io in lui, questi fa molto frutto, perché senza di me non potete far niente”. Ricordate quindi quello che tante volte vi ho detto: tralci e vite, conche e canali; nell’esercizio stesso del sacro ministero, credetelo, non sono le prediche che convertono, ma la grazia divina, che viene data agli umili e rifiutata ai superbi: “Deus superbis resistit, humilibus autem dat gratiam”.

Fra le prescrizioni delle nostre sante Regole vi è pure quella di non fumare; la richiamo qui, non perché ve ne sia bisogno, ma solo per ribadire un pensiero che ho sempre avuto; e anche per l’avvenire ricordate che, se uno non potesse o non si sentisse di osservarla, chiunque sia, fosse pure fornito di doti e talenti straordinari, potrà fare del bene altrove, ma l’Opera non sarebbe per lui.

Il Signore, state certi, non mancherà di suscitare persone degne di capire e aiutare l’Opera; servirsi di esse, lungi dall’essere contrario allo spirito, è anzi un assecondare i piani della divina Provvidenza; ma per conto vostro non cercate appoggi e protezioni umane, perché il Signore è geloso; la nostra fiducia in Lui dev’essere totale, costante, non venir meno neanche nei momenti più difficili e critici che certamente verranno. In queste prove dovremo fare un serio esame di coscienza, levare gli ostacoli, che sono: la poca fede, una difettosa corrispondenza, qualche attacco a noi stessi e alle creature, e guardare soprattutto che non vi sia peccato.

Oh il peccato! Che male tremendo sarebbe per l’Opera! Vi ho detto ancora che nessuna forza esterna potrà distruggere quest’Opera, come nessuna forza, permettete il confronto, può distruggere il Vangelo e la Chiesa. Se noi staremo fedeli al nostro programma, se il “Quaerite…”, oltre che essere scritto sulla carta, sarà insieme scolpito nel nostro cuore, v’assicuro, le lotte e le persecuzioni serviranno piuttosto a consolidare e rafforzare l’Opera; l’unica cosa che io pavento, e che sola potrebbe annientare quest’Opera, è il peccato. Per amor di Dio, che nessuno di noi giunga, ve lo ripeto, a commettere questo delitto, a tradire l’Opera del Signore. Mio Dio, quale responsabilità peserebbe sopra di lui!

Vi raccomando anche la carità e l’unione fraterna: uniti fra di voi e con il vostro Padre, con il Casante presente e futuro, che avrà lumi e grazie speciali per guidare l’Opera in generale, e ciascun membro in particolare, secondo la volontà del divino Padrone N. S. Gesù Cristo. Se starete uniti nella carità, nell’aiuto e compatimento scambievole, nel generoso sacrificio di voi stessi per amor dei fratelli, vi dico che sarete invincibili; Satana avrà paura di voi, perché egli non teme le prediche, le organizzazioni esterne, ma teme unicamente la santità. A proposito del demonio ricordatevi che egli lavora sempre sul naturale, e non può nuocere se non a chi vuole, a chi gli mette in mano qualche filo; per riuscire egli si serve del nostro carattere, di qualche debolezza, del nostro giudizio, d’una simpatia, di qualche attacco alle cose, all’ufficio, all’occupazione, alle persone ecc. Miei cari fratelli, cerchiamo solo Dio, quello che facciamo, molto o poco che sia, facciamolo tutto e solo per Lui, e da Lui riceveremo una ben larga ricompensa.

La carità sia proprio il nostro distintivo, non solo in casa fra di noi, ma verso di tutti. Ricordiamolo bene, noi non abbiamo dei nemici da combattere, ma dei fratelli da amare, da illuminare, da correggere, da edificare secondo il detto di S. Agostino: “Diligite homines, interficite errores”.

Diamo nella misura che ci è possibile, ma con cuore largo, molti purtroppo possiedono delle ricchezze per loro castigo, hanno il portafoglio pieno ma il cuore vuoto. Oh, se ricordassero il grave monito di Gesù: “come è difficile che un ricco si salvi”! Vedete, i poveri hanno molte vie di salvezza, ma i ricchi ne hanno una sola, quella della carità. In questo senso io dico sovente che i poveri sono fatti per salvare i ricchi, come ce lo dimostrano chiaramente le parole che il divin Giudice pronuncerà nella inappellabile sentenza finale: “avevo fame e mi deste da mangiare, ecc.”.

Ancora, non dimentichiamo che la nostra natura è decaduta, quindi non presumete mai di voi stessi, delle vostre forze; fuggite sempre le occasioni, fate come i medici, i quali, curando i malati, si premuniscono contro ogni possibile infezione del male.

Guardatevi dallo scoraggiamento, pessimo consigliere e alleato di Satana ai vostri danni; umiliatevi sì, ma non scoraggiatevi mai. Se ci sono delle debolezze, tentazioni ecc., usate i mezzi per superarle: vigilanza, preghiera, mortificazione, fiducia in colui che, mentre non permetterà che siamo tentati al di sopra delle nostre forze, ci darà il necessario aiuto e la grazia per vincere, e saprà anche trarre molti vantaggi dalla tentazione stessa.

State anche in guardia dal falso misticismo e sentimentalismo, specialmente voi, amati fratelli sacerdoti, nella direzione delle anime, affinché, cominciando con lo spirito, non si finisca nel senso e nella carne. Massima serietà e cautela con certe anime pie; se aveste sentore di qualche pericolo, troncate, provvedete a tempo, per non piangere o far piangere quando sarebbe troppo tardi.

Vi raccomando tanto e poi tanto di non parlare di politica, peggio, di appassionarvi per essa; noi non dobbiamo conoscere altra politica che quella del santo Vangelo: anime, vita futura, regno di Dio, ecc.

Lodiamo e approviamo il bene, sia che venga fatto da noi o da altri. Ci deve premere la gloria di Dio, non il nostro prestigio.

Siate acqua cristallina con i vostri Superiori, col vostro Padre Don Giovanni, che sapete quanto vi ama tutti nel Signore; manifestate le vostre pene le vostre ansietà, i vostri timori e desideri; e poiché siamo in argomento, ricordatevi quello che ho detto ancora: è meglio non far niente col Padre, che fare grandi cose senza di lui.

Siate santamente orgogliosi della vostra santa vocazione, amatela, cercate di corrispondervi, perché a questa corrispondenza è legata la vostra eterna salvezza; chi vive e muore santamente nella vita religiosa, ha il passaporto bell’e firmato per il Paradiso: quale grande grazia non è mai questa, per noi, miei cari fratelli!

Amate anche la Casa, dove siete, dove vi ha mandati la obbedienza; ogni Casa è come una creatura di Dio, e io dico sempre che questa creatura deve essere ben vestita: vestito della Casa è la proprietà, l’ordine, la pulizia, ecc…

Vi raccomando di non mettere gli estranei a parte di quello che si fa nella Casa: non introdurrete nessuno nell’intimità della vita comune, che è riservata ai soli Religiosi; si trattino con carità, ma ogn’uno stia al suo posto.

Miei cari ed amati fratelli, vorrei potervi dire ancora molte altre cose, ma spero che basti così; solo ora in ginocchio vi prego e vi scongiuro, mettetevi, o dirò meglio mettiamoci una mano sul petto, ed esaminiamoci seriamente come ci siamo diportati fin qui, per rimediare dove ne vedessimo il bisogno.

A far questo mi pare quanto mai opportuno il tempo ormai non lontano dei santi Spirituali Esercizi; disponetevi a farli con tutto l’impegno; sono giorni di salute, nei quali il Signore metterà a nostra disposizione, se occorre, grazie anche straordinarie, tanto più in quest’anno che è pure Anno Santo per tutta la Chiesa.

Tutto ci deve stimolare ad un più intenso lavoro per le nostra santificazione: il più efficace rimedio a tanti mali, l’unica soluzione pratica dei difficili e urgenti problemi dell’ora attuale.

Ma un’altra cosa mi sento di dirvi in questa circostanza; voi sapete che, oltre al Noviziato, le nostre Costituzioni prescrivono una seconda prova di almeno tre mesi; ai Fratelli, ma specialmente ai Sacerdoti che lo desiderassero e me lo domanderanno, mi sono sentito di offrire, quasi come dono del mio 50º, la possibilità di approfittare di questa grandissima grazia del Signore, sebbene non siano compresi nell’ambito della Regola stessa.

Questo vi dica quanto mi sta a cuore il vostro rinnovamento interiore, nello spirito della vostra santa vocazione, per riprendere poi con più ardore e forze e con più profitto il lavoro del vostro apostolato e del sacro ministero.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre preghiere, ne ho estremo bisogno, per fare sino alla fine la santa volontà di Dio, perché, miei cari fratelli, sapete quanto le anime e le opere di Dio costano.

Prima di finire, sento di ringraziare tutti coloro che mi sono stati più vicini nel tempo della mia lunga prova, per tutto quello che hanno fatto per me; in particolare ringrazio il mio caro Don Luigi, per la parte sostenuta nel governo della nostra amata Congregazione, avendo fatto le mie veci. Sopra di loro invoco la più larga ricompensa del Signore; mentre, in questo momento, più col cuore che con la mano, tutti benedico.

P.S.

Questa lettera quanto prima verrà letta e commentata dai Superiori delle singole Case, i quali poi ne dispenseranno una copia a ciascuno dei fratelli.

Approfitto di questo momento per raccomandarvi di leggere ogni venerdì “La Parola del Padre”, di cui mi sento di richiamare qui il punto dove è raccomandato il buon esempio, specialmente coi ragazzi; ricordatevi quel detto sapiente: “Maxima debetur puero reverentia”! Accostatevi a loro come a Gesù; amate le loro anime, non le grazie esteriori; non accarezzate, ma nemmeno percotete in nessun modo, altrimenti perdereste il prestigio e l’ascendente del vero educatore e dell’apostolo.

* LETTERA LXX Verona, 18 novembre 1951 – A.S.

Carissimi fratelli

La grazia, la benedizione e la pace di Gesù Benedetto siano sempre nei nostri cuori.

Come custode di quest’Opera del Signore mi sento di dirvi una parola, e la dico così come mi sgorga spontanea dal cuore.

Una gravissima sciagura ha colpito la nostra cara Patria: tanti nostri fratelli sono rimasti senza tetto, si son visti portar via dalla furia delle acque i loro averi, le loro case, persino i loro cari congiunti! Chi può misurare il cumulo di dolori e di privazioni che in così pochi giorni si sono abbattuti su tante famiglie d’Italia?

Miei cari fratelli e figlioli, come mi sanguina il cuore al pensiero di tante sventure! Come vorrei poter sollevare tante sofferenze, andare incontro a tanti bisogni! Solo il Signore lo sa, Lui che istantemente prego perché dia sollievo e consolazione agli afflitti e dia a coloro che possono la grazia grande di comprendere l’occasione provvidenziale che loro si offre di aiutare con ogni mezzo i fratelli sofferenti.

Pregate anche voi, cari fratelli, preghiamo tutti insieme e facciamo pregare: per i vivi che sono nel bisogno e per coloro che la furia degli elementi ha strappato da questa terra per condurli al giudizio di Dio. E poi facciamo tutti quanto sta in noi, per lenire tante sofferenze, ricordando che sono nostri fratelli coloro che soffrono.

Siamo poveri, ma nelle nostre Case non rimangano in questi giorni posti vuoti; vuoto soprattutto non rimanga il nostro cuore, chiudendosi all’altrui dolore. Facciamo agli altri quanto vorremmo fosse fatto a noi se ci trovassimo in analoghe circostanze.

Ma poi i bisogni urgenti della misericordia corporale da esercitare con i nostri fratelli, non ci distolgano da un attento esame della situazione spirituale, prima nostra e poi della nostra Italia e del mondo intero. Nostra, prima di tutto. Dobbiamo sentirci responsabili anche noi delle presenti miserie e riconoscere che abbiamo bisogno di santificarci seriamente, se vogliamo tener lontani altri flagelli.

Esaminiamoci bene, ciascuno nel proprio stato: corrispondiamo noi in pieno alle infinite grazie che il Signore continuamente ci elargisce? Noi che oggi ci commoviamo a tante sventure materiali, sentiamo ugualmente la tragedia di tante bufere spirituali nel nostro prossimo?

Sapete quanto mi sta a cuore la diagnosi di tanti mali che affliggono l’umanità e in particolare la nostra cara Patria! Questa nostra Italia che io vorrei chiamare il paradiso terrestre della Chiesa di Dio; questa Italia che è la sede del Vicario di Cristo e quindi in qualche modo la centrale di comando di Cristo sulla terra; questa Italia che Dio ha ricolmato di grazie straordinarie, di miracoli e benefici senza numero!

E come ripaghiamo una predilezione così chiara e tangibile? Come si vive da molti che pur si dicono cristiani? Come, per esempio, viene santificata la festa, giorno del Signore? Quanti che si accontentano di ascoltare una Messa quasi per moda e per sport, senza curarsi di comprendere il divin Sacrificio, trascurando l’istruzione religiosa, il santo Vangelo, la frequenza ai Sacramenti!

E come si vive nel santo Matrimonio? Ci si dovrebbe preparare come ci si prepara al sacerdozio e invece si tende solo alla ricerca del godimento, allo star bene, ad evitare tutto ciò che sappia lontanamente di sacrificio. E dire che se, invece di pensare solo a star bene, si pensasse di più a vivere da veri cristiani e a divenire migliori, si finirebbe anche con lo stare meglio! Poiché se è vero che la vera felicità si trova solo nel cielo, è pur vero che l’unica felicità che si può avere su questa terra è quella che viene dalla retta coscienza, come dice la Sacra Scrittura: Pax multa diligentibus Deum.

Quanti peccati salgono al Cielo! Ricordo sempre il detto di una santa vecchietta, che udivo quando ancora ero ragazzo: su peccati, giù flagelli!

E tuttavia in queste pubbliche calamità non dobbiamo tanto vedere un castigo per i poveretti che ne sono vittime, quanto una voce di misericordia del Signore che ci richiama sulla retta via della virtù e del bene, affinché ricordiamo soprattutto che non siamo fatti per la terra ma per il cielo.

Facciamo perciò noi, proprio noi un serio esame, e se vedessimo che abbiamo deviato dal retto sentiero, ritorniamo sulla strada della virtù, verso la perfezione del nostro stato.

Tanti nostri fratelli sono in errore per ignoranza o per altre cause che solo Iddio può giudicare; l’ho visto tante volte, trovandomi a contatto con fratelli nostri che disgraziatamente combattono la nostra santa religione; il più delle volte ho constatato che li ha condotti a ciò l’ambiente in cui sono stati educati, la tradizione di famiglia, un torto o un cattivo esempio ricevuto, e di loro potrebbe dire il Signore: nesciunt quid faciunt.

Questi nostri fratelli disgraziati possono dunque portare delle scuse; ma noi, noi non abbiamo scuse. Facciamo dunque un serio esame e passiamo subito alla pratica di una vita veramente cristiana, secondo il santo Vangelo, sine glossa, senza mutilazioni e accomodamenti. Solo così potremmo concorrere ad abbreviare i giorni della prova e a sollevare tanti innocenti e sofferenti.

Diciamo al Signore con convinzione e con ardore di carità: Hic ure, hic seca, hic non parcas, ut in aeternum parcas. O Signore, facci sentire quaggiù i rigori della tua giustizia, purché non li riservi nell’eternità!

Ma dobbiamo essere soprattutto noi stessi a mortificarci, prevenendo la mortificazione dall’alto. Guerra, guerra al peccato!

Guerra in modo particolare al peccato, diciamo così, di sistema, al peccato che entra nella pacifica abitudine, al peccato che si tollera, che si scusa e che si ama nel proprio cuore.

Il mondo ha un gran bisogno di luce per redimersi: voi lo sapete bene; la fede è poca, e anche dove c’è la fede, parrebbe che fosse conosciuto solo il Credo, senza il Decalogo e i precetti; e come se ciò non bastasse, non solo fra i senza Dio, ma persino tra di noi c’è chi attenta, con diabolica malizia, volutamente alla stessa innocenza dei bimbi: cose che fanno inorridire e fremere di santa indignazione. E allora si capisce perché le calamità si abbattono sul nostro capo. Chi è cristiano sa bene che il peccato fa infelici i popoli e le nazioni, che chi ha con sé la virtù ha con sé il premio, mentre il peccato porta seco necessariamente il castigo.

Per questo povero mondo, in frenetica ricerca del godimento e che è continuamente senza pace e gioia, dobbiamo essere noi i portatori di luce, di serenità, della vera pace. In che modo? Ve lo ripeto ancora una volta: col fuoco di un amore veramente operante verso Dio e verso il prossimo; con la luce dell’esempio per il mondo che ci guarda e aspetta da noi la prova della validità della nostra fede; soprattutto con la carità esercitata con cuore aperto e generoso e sempre illuminata dai motivi soprannaturali della nostra santa Religione.

La sciagura che si è abbattuta ora su tanti nostri fratelli è un’occasione propizia per tutte queste cose insieme. Cari fratelli, che nella meditazione dei nostri doveri personali e nell’esercizio della virtù della carità abbiamo la grazia di accostarci maggiormente a Gesù e alla nostra cara Madre Celeste, esempio di ogni virtù e canale di ogni grazia. Gesù e Maria ci aiutino a santificarci e a santificare la povera umanità. E’ questo il fine principale della nostra Opera; sia anche la prima preoccupazione di tutta la nostra attività e di tutta la nostra vita.

In questi giorni di dolore per tutti, vi sono vicino più che mai. Stiamo tanto uniti nella preghiera. Io ne ho tanto, tanto bisogno.

Più che con la mano, vi benedico col cuore straziato dal dolore, ma tanto pieno di amore per voi e per tutti i fratelli nostri.

* LETTERA LXXI nel 44º anniversario della Casa: 1907-1951.

Ai miei cari fratelli, ex Allievi e Buoni Fanciulli,

Miei cari fratelli, figlioli ed ex allievi

La grazia di Gesù Benedetto sia sempre con voi, e la sua pace ricolmi i vostri cuori.

Qui, ai piedi del mio Crocefisso, oggi, 44º anniversario della Casa che il Signore ha fondato nel 1907, penso alle grazie che la Provvidenza ha elargito in questi 44 anni di vita a voi e a me. Come abbiamo noi corrisposto? Come corrispondiamo adesso?

Mi viene alla memoria una immagine-ricordo per vestizione clericale di tanti anni fa, che ho letto appena congedato, nel 1896: c’era scritto: “Unam petii a Domino, hanc requiram: ut inhabitem in Domo Domini omnibus diebus vitae meae”. Questa grazia ho chiesto al Signore: di abitare nella sua casa tutti i giorni della mia vita.

Mi sembra che questa domanda debba essere proprio il desiderio ardente del nostro cuore, come ringraziamento delle grazie grandi ricevute qui nella Casa, e poi come canto di lode alla Provvidenza, che ci ha prediletto in mille guise.

Ora la Casa che il Signore ha suscitato per il bene di tante anime, e nella quale oggi voi, oh figlioli, abitate, richiama il pensiero a tre case che il celeste Padre ha provvisto all’uomo, sua creatura prediletta.

La prima casa è l’Eden, il Paradiso terrestre: ed oh, quanto bella e ricca l’aveva apprestata il Signore per l’uomo, suo figlio adottivo! C’era l’abbondanza dei beni di terra; c’era soprattutto la grazia santificante, l’amicizia di Dio.

Questa doveva essere la casa dell’uomo. In essa, una pace ineffabile, una serenità senza nubi, una vita senza tristezze.

Quanta generosità nel celeste Padre verso l’uomo! quanta ricchezza di amore, che doveva passare intatta nei discendenti sino alla fine dei secoli! Invece, il peccato è venuto a sconvolgere il piano del Signore, e a provocare la perdita del divino patrimonio, l’espulsione dalla casa bella e ricca dell’Eden.

Dover uscire dalla “Casa del Padre”, dalla propria casa: quale sventura! Lo vediamo proprio in questo giorni, in cui tante migliaia di nostri fratelli sono stati costretti dalla furia delle acque a lasciare la propria casa, le masserizie, gli utensili, tutto, tutto! Lasciare la casa: è delle più terribili sventure che possano capitare.

E capitò ad Adamo. Ma, buon per lui e per noi suoi discendenti, che il celeste Padre, nella infinita sua misericordia, ha provvisto subito un’altra casa, adatta alla nuova condizione dell’uomo decaduto: ha riadattato la Terra, come oggi noi l’abitiamo, perché fosse la dimora dell’esule, e desse modo a noi peccatori di espiare la infedeltà, e riacquistare il diritto alla casa miseramente perduta. Al figlio prodigo, che volontariamente ha abbandonata la casa paterna, il Padre celeste ha provvisto una casa dove le pene e le contrarietà si accompagnassero alle gioie e dolcezze della vita, così da richiamare l’uomo alla nostalgia della casa perduta, alla riparazione del peccato, all’amore di Dio.

Al figlio prodigo il celeste Padre ha assegnato una Legge sapiente e di grande misericordia, tutta adatta alla vita umana, al buon ordine e alla prosperità del mondo.

Il popolo Ebreo, depositario di questa Legge di Dio, quante volte ne ha sperimentato la bontà ed efficacia nella sua storia! Secondo le promesse e le minacce di Dio per bocca di Mosè e di altri Profeti, il popolo aveva benedizioni quando osservava la legge, aveva castighi talvolta tremendi quando veniva meno. Libertà e prosperità nei periodi di fedeltà, schiavitù e miseria nei periodi di infedeltà. E la storia si ripete lungo i secoli, anche adesso; e si ripeterà sempre: le avversità avvengono per i peccati, dice lo Spirito Santo.

Quale dunque non dev’essere il nostro impegno, perché in questa casa assegnataci dal Padre misericordioso sia sempre in vigore la divina Legge! Dobbiamo essere fedeli noi, e procurare che tutti i nostri fratelli, siano fedeli: con la parola e con l’esempio di una vita onesta possiamo e dobbiamo procurare tutto questo alla nostra casa. Lo facciamo noi? Come viviamo? Tanto più che, nella pienezza dei tempi, il Figliolo stesso del celeste Padre, Gesù Cristo, è venuto ad apprestarci una casa veramente nuova, la Santa Chiesa, casa veramente divina, nella quale troviamo la ricchezza dei beni spirituali.

Quale fortuna per noi, cristiani, di appartenere a questa dimora che sa tutta di cielo! Quivi, capo è Gesù, fattosi “fratello maggiore”, Maestro e Salvatore. Legge e regolamento di questa casa è il Vangelo, che è venuto a perfezionare l’antica legge di Dio, e tradurla in legge di amore. Qui i divini rifornimenti della grazia: i santi Sacramenti. Qui, i fulgidi esempi dei Santi, che ci spronano al bene, le molteplici loro opere che attuano la carità pratica in ogni bisogno e necessità della vita.

Come apprezziamo noi questa casa? facciamo onore alla Chiesa, vivendo da buoni cristiani?

Le ricchezze di questa terza casa sono così grandi, che la Chiesa arriva a dire: “o felix culpa! oh fortunato peccato di Adamo, che ha attirato da Dio il Redentore Gesù!”.

Ma, come nella casa domestica non bastano le ricchezze dei rifornimenti, ma occorre attingere a queste ricchezze: così nella Chiesa occorre che le valorizziamo. Dunque, miei cari, viviamo di fede.

Il Battesimo ci ha fatti cristiani, membri vivi della Chiesa. Come viviamo il Battesimo? Osserviamo tutta la Legge, specialmente della carità?

La Cresima, che ci ha dato la maturità di cristiani, ci ha fatti soldati di Cristo, come la viviamo? Da veri e prodi soldati?

L’Eucarestia ci fornisce l’alimento spirituale dell’anima; come ci accostiamo a questo divino Banchetto? E con quale frequenza? Forse appena una volta all’anno? Oh, andiamovi spesso a prendere da Gesù la forza di camminare per la via della bontà, e per averne la gioia spirituale!

La Confessione ci riabilita nella grazia di Dio, nelle figliolanza adottiva. Quanto buono è il Signore! Se cadiamo nel peccato, ecco Egli offre prontamente il rimedio! Ebbene: ricorriamo subito alla Confessione appena avessimo la disgrazia di cadere; non aspettiamo un’ora sola, che potrebbe essere fatale per una rovina irreparabile. E così dite degli altri Sacramenti.

L’ Eucarestia, poi, non è solo Sacramento, ma Sacrificio della nuova legge. Come vi assistiamo? Assistiamovi con viva fede, non con la indifferenza di troppi cristiani, per i quali la Messa festiva, invece di essere un’ora di gioia intima con i fratelli e con Dio, è un tormento, un peso, al quale ci si adatta per forza, per evitare il peggio.

E il giorno festivo, giorno del Signore per eccellenza, lo santifichiamo? Accontentarsi della santa Messa è poco; bisogna intervenire al Catechismo.

Guai a chi trascura di istruirsi, specialmente ai nostri tempi! Sarà facile preda di errori, perderà quel poco che ha imparato prima, e camminerà verso la rovina eterna. Come si osserva il riposo festivo? Miei cari: ricordate un proverbio molto saggio e vero: il guadagno di festa va fuori per la finestra. Iddio è costretto a punire coloro che profanano il suo giorno. Diceva il Curato d’Ars: Io conosco due modi per mandare a male i propri affari: rubare e lavorare di festa.

Per amore di Dio, vi raccomando tanto: rispettate il giorno del Signore! E, se è vero che si può prendersi un onesto sollievo, è vero pure che spesso si esagera: certe gite lontane, certi sport, ecc. non sono certo nello spirito cristiano; invece di sollevare, stancano: e tengono l’uomo lontano dalla Chiesa e dalla famiglia.

Un altro punto di capitale importanza per il buon andamento di una casa, è il Matrimonio. Guardate, miei cari, che è una grande cosa: Gesù lo ha elevato a dignità di Sacramento! Come l’Ordine sacro crea i sacerdoti, padri delle anime, il Matrimonio crea i genitori, collaboratori diretti di Dio Creatore. Con quanta “devozione” adunque deve essere riguardato e usato il Matrimonio! Con quale premura deve essere preparato, sotto lo sguardo del Signore, per averne poi la piena benedizione! Il mondo ha idee tutto diverse da quanto insegna la ragione e la Religione; il mondo fa di tutto per dissacrare il Matrimonio. State allerta! Rispettate il Matrimonio quasi direi come la santa Eucarestia: è anch’esso un Sacramento e Sacramento grande.

E finalmente ricordate che nella casa si sta bene se c’è l’armonia dei cuori, l’amore reciproco. Nella casa della terra, nella santa Chiesa ancor più, dobbiamo custodire questo segreto della felicità. La carità pratica che ama tutti, per amore di Dio, che soccorre secondo le forze, che sacrifica del proprio per provvedere il fratello… ecco il distintivo del cristiano, del fortunato abitatore della grande casa che è la Chiesa. “Oh, quanto bella e buona cosa è che i fratelli abitino insieme in mutua concordia!” esclama lo Spirito Santo. Siamo tutti fratelli, tutti figli del medesimo Padre che sta nei Cieli, redenti dal medesimo Sangue di Cristo, destinati a raggiungere il Paradiso.

Quando in una famiglia un fratello non si comporta bene, è lontano per cattiva condotta, c’è il fratello buono che lo invita e lo esorta al ritorno. Così dobbiamo fare noi con i nostri fratelli traviati, che vanno dietro al male, a programmi cattivi…; li dobbiamo invitare, esortare. Non sono nemici da combattere, ma fratelli da ricondurre a casa.

Il Paradiso; Ecco l’ultima definitiva abitazione che il celeste Padre ci ha preparato se saremo stati fedeli abitatori della casa terrena, se saremo stati uomini retti, cristiani ferventi. Miriamo lassù la nostra ultima casa: puntiamo lassù i nostri ideali, i nostri desideri, lassù dove il Padre ci aspetta, per coronarci di gloria, e immergersi nel suo gaudio.

Pensiamo spesso al Paradiso? Oh, se ci pensassimo sul serio, come volentieri compiremo i nostri quotidiani doveri, di uomini, di cittadini, di cristiani!

Queste cose ho meditato nel giorno anniversario della Casa che la Provvidenza ha fondato, il 26 novembre 1907. Nella Casa avete trovato tutto il necessario per la vita di uomini e di cristiani. “Come potrò sdebitarmi di quanto ho ricevuto nella Casa?” mi scriveva uno dei cari ex allievi; e concludeva con il proposito di “vivere lo spirito della Casa” che è spirito del Vangelo puro e genuino.

Così va fatto; così cercate di fare tutti.

Allora, dopo aver onorato la Casa che il celeste Padre vi ha preparato qui in terra, sarete, saremo tutti fatti degni di venire introdotti nella ultima Casa del Padre: il santo Paradiso, dove saremo eternamente felici e beati; perché così è la vita: siamo fatti per il Cielo. Non dimentichiamolo mai.

Il Signore esaudisca la preghiera che faccio tutte le mattine: “ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem te in saecula saeculorum: unito ai miei fratelli e a tutti i tuoi giovani ti lodi in eterno, o Signore”. Con questa preghiera e con questo augurio, di gran cuore vi benedico, e con voi benedico i vostri cari. Pregate per me.

* LETTERA LXXII 28 dicembre 1951

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace che si irradiano dal santo Presepio inondino i nostri cuori e regnino in tutte le nostre Religiose Famiglie.

Qui ai piedi del mio Crocefisso, sul finire dell’anno vecchio e alle soglie del nuovo, penso in modo tutto particolare a voi, e mi sento di rivolgere questa volta proprio a voi la mia povera parola, perché a vostra volta l’abbiate a commentare agli altri fratelli, e tutti ne facciamo tesoro, prima a bene e a santificazione della nostra anima, e poi a bene e a santificazione di questa grande, grandissima Opera, che, come tante volte vi ho detto e non cesserò di ripetervi, è tutta e solo Opera di Gesù per i tempi di adesso, ossia con finalità tutte proprie della grave, gravissima ora che attraversiamo e che incombe sempre più minacciosa sulla povera umanità; ora di Satana, ma insieme ora di Dio.

Ma l’Opera, ricordiamolo bene, non sono le case, le officine, le scuole, gli ospedali; l’Opera siamo noi! e se noi non ne vivessimo lo spirito puro e genuino che Gesù ha messo fin da principio, essa non sarebbe altro che un nome vuoto di senso e privo di ogni efficacia. Per amor di Dio che questo non avvenga per nessuno di noi; chiamati a far parte di quest’Opera, noi abbiamo l’alto privilegio di essere gli ausiliari del buon Dio, nel compiere i suoi nuovi e grandi disegni; quale onore, ma insieme quale responsabilità!

Anche Satana ha i suoi ausiliari, senza dei quali ben poco potrebbe nuocere, ma aiutato da loro, quanto male, quante rovine egli semina nel mondo! Ora guardate come Satana è servito dai suoi, con sacrificio di tempo, di denaro, di riposo, talvolta della vita stessa; e che cosa dà ad essi in cambio? Ahimè, quante segrete amarezze, quanti rimorsi quale infelicità loro procura! “Non c’è pace per l’empio”, dice lo Spirito Santo. Invece quanta pace dona il Signore a chi lo ama e lo serve fedelmente, a chi lavora e si affatica perl’avvento del suo santo Regno! S. Paolo era inondato di gioia, in mezzo alle più grandi tribolazioni; e S. Stefano, nel suo martirio, guardando in alto, pieno di sicurezza diceva: “vedo i cieli aperti e il Figlio dell’Uomo stare alla destra della virtù di Dio”, in atto di venire in soccorso del suo fedele ministro. E chi potrà poi descrivere la grandezza del premio che il Signore prepara nella beata eternità a quanti hanno perseverato sino alla fine nel suo divino servizio? Dice infatti l’Apostolo: “La momentanea e leggera tribolazione nostra, produce per noi un eterno e sopra ogni modo sublime peso di gloria… Né occhio vide, né orecchio intese, né cuor dell’uomo seppe desiderare ciò che il Signore tiene preparato a quelli che lo amano”.

Ma in che modo, miei cari ed amati fratelli, potremo aiutare il Signore a compiere i suoi divini disegni, ed essere veramente i suoi collaboratori, i suoi ausiliari?

Osservate quello che avviene ai nostri giorni in questo povero mondo senza pace. Si studiano sempre nuovi tipi di armi, tutti mirano a perfezionarle, a fare delle nuove scoperte, ed è una gara tremenda a chi possiede le armi più terribili e micidiali, perché confidano così di riuscire vincitori in caso di guerra. Ebbene, noi dobbiamo fare altrettanto nel campo spirituale, facendo nostra la esortazione dell’Apostolo: “Gettiamo via le opere delle tenebre e indossiamo le armi della luce… una volta eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Vivete dunque come figli della luce… ora frutto della luce è tutto ciò che è buono giusto e santo”.

Ecco dunque le nostre armi, sicuramente invincibili: guerra al peccato, sforzo continuo per l’acquisto delle virtù cristiane e religiose. Satana non teme coloro che trascurano di usare queste armi; egli non teme in nessun modo la mediocrità; ma non può far nulla con le anime veramente generose e fedelissime nel divino servizio. Tali devono essere i Poveri Servi della Divina Provvidenza.

Quindi quanto so e posso vi raccomando di vigilare, di pregare, di agire, in una parola di fare tutto il possibile perché tra di noi non regni assolutamente il peccato. Noi amiamo indicare le nostre opere con il bellissimo appellativo di “Case del Signore”; come potrebbero essere tali se vi fosse il peccato? Per amor di Dio guardate, guardiamo tutti di far guerra continua al peccato; anche ai figlioli rinnovate spesso la raccomandazione che non profanino la Casa del Signore col peccato; che se per disgrazia l’avessero a commettere, tosto lo tolgano dal loro cuore con la contrizione e con la confessione; che da tutti e da ciascuno si dica sempre al peccato: di qui non si passa!

Ed a questo scopo vi prego in ginocchio e vi scongiuro: guardate che ci sia sempre la sorveglianza, cercate di togliere per quanto è umanamente possibile, tutte le occasioni, perché guai se il peccato commesso potesse essere imputato a nostra colpa!

Ed ora, fra le molte cose che vorrei dirvi, vi raccomando in primo luogo le pratiche di pietà; che tutti vi siano fedelissimi, non tollerate abusi, richiamate in pubblico e in privato, se occorre; non datevi pace se non avete provvisto come si conviene su questo punto della massima importanza.

Quindi guardate che siano opportunamente distribuiti i turni di meditazione e di lettura spirituale, che all’una e all’altra si dia il tempo prescritto e che la meditazione sia preparata con cura fin dalla sera precedente.

Raccomando che siano fissati i confessori per ogni Casa e che i fratelli si accostino alla confessione regolarmente.

Non trascurate le conferenze quindicinali, a proposito delle quali ripeto il mio desiderio, cioè che anche i Fratelli si abituino a tener qualche conferenza agli stessi Fratelli.

Tutti diano grande importanza al Ritiro mensile; sia fatto regolarmente e nel miglior modo, curando l’osservanza del silenzio; chi fosse stato impedito, non se ne creda dispensato, ma vi supplisca privatamente.

Vi raccomando che da tutti siano osservati i santi Voti; in particolare cercate di togliere gli abusi in materia di povertà, come sarebbe tenere presso di sé oggetti di valore o di lusso, superfluità, macchine fotografiche, a proposito delle quali raccomando anche a voi di farne un uso moderato.

Vigilate con ogni attenzione perché nessuno si esponga a pericoli con la bella virtù; in particolare non permettete che i Religiosi entrino in case private, se non con giusto motivo e in casi rarissimi, ed anche allora avvertiteli che non ricevano doni di sorta, come indumenti, dolciumi, liquori, ecc.

In generale da tutti si osservi la massima delicatezza nel trattare con persone d’altro sesso, anche quando fossero ammesse a visitare la Casa.

Raccomando tanto l’osservanza scrupolosa della clausura con le Sorelle; si trattino con ogni riguardo e riserbo, non intrattenendosi a parlare con loro oltre lo stretto necessario. In casa e fuori tutti devono accorgersi dal nostro comportamento che noi siamo Religiosi e Religiosi speciali.

Attendete con ogni cura al buon andamento della vostra Casa, senza però dimenticare la Casa Madre e tutta l’Opera; il vostro pensiero non si chiuda nella breve cerchia della vostra Casa, e se potete cercate anche di aiutare materialmente e soprattutto spiritualmente.

A questo proposito, da qualche tempo penso al grande bisogno che abbiamo di vocazioni, specialmente di Fratelli, i quali hanno una parte importantissima nella nostra Congregazione.

In passato nelle nostre Case si sono maturate delle vocazioni eccellenti, ma da alcuni anni questo provvidenziale afflusso è quasi cessato. Come mai? Chi sa quante volte vi sarete rivolti anche voi una simile domanda, alla quale non è così facile dare una risposta adeguata, anche perché le cause possono essere varie. Quello che dobbiamo tuttavia certamente fare, in primo luogo è di esaminare se forse, almeno in parte, la causa non sia da parte nostra. Facciamo noi, ad esempio, tutto il possibile per edificare i giovanetti che la divina Provvidenza ci viene affidando? Abbiamo zelo perché crescano buoni? Con loro ci mostriamo felici della nostra vocazione e ne parliamo con santo entusiasmo? Siamo generosi, amanti della fatica e del sacrificio? Sappiamo portare le anime giovanili solo al Signore, o cerchiamo di cattivarci il loro affetto? Guardate che chiunque lega un cuore a sé, lo ruba a Gesù.

Se troviamo di aver mancato in qualche cosa, domandiamo sinceramente perdono al Signore, promettendo di comportarci meglio per l’avvenire, cercando di invogliare l’animo dei giovanetti delle cose più belle e sante. Questo sarà anche un eccellente mezzo per favorire la formazione e lo sviluppo di qualche buona vocazione.

In secondo luogo dobbiamo fare un’altra cosa assai importante, ed è questa: pregare! Ce l’ha insegnato Gesù stesso, avendoci detto: “Pregate il Padrone della messe che mandi operai nella sua messe”. Pregate spesso, anche tutti i giorni, a questo fine, sarà una cosa ottima, ma mi pare che sarebbe quanto mai opportuno dedicarvi una intera giornata ogni anno in ciascuna Casa. Questa proposta mi fu presentata da un carissimo nostro confratello nell’ultimo corso di Esercizi Spirituali e vi dico che mi è piaciuta moltissimo. Ora con la presente vi invito ad attuarla, secondo lo specchietto a parte. In detta giornata ogni Fratello dovrà fare un’ora di adorazione privata, secondo un turno precedentemente disposto, anche se non sarà necessariamente continuo.

Non sarà male che anche i figlioli sappiano di questa speciale giornata di preghiere, ma ad essi non si richieda nulla in più degli altri giorni.

Invece sarà cosa buona che il Superiore e anche qualche Fratello parlino di quando in quando intorno alla possibilità di orientarsi alla vita religiosa, facendo vedere il merito grande di chi si consacra interamente al Signore, proponendo gli esempi di santi giovanetti e anche di qualche nostro Fratello defunto.

Io spero che, se tutti metterete l’impegno che merita, in questa santa pratica, il Signore benedirà le nostre umili preghiere, coronandole di frutti salutari e copiosi.

Prima di chiudere, sento di farvi i più santi auguri per la fine i il principio d’Anno. Il tempo che passa e fugge ci sia monito e stimolo a valorizzarlo il più perfettamente possibile, ricordando che esso vale quanto vale Dio. Il mezzo migliore poi per trafficare questo prezioso dono, è di spenderlo interamente per il Signore. A poco serve ogni nostra attività se ci mettiamo fuori dal campo soprannaturale, se non ci conformiamo alla santa volontà di Dio. “Beati quei servi, ha detto Gesù, che alla venuta del Padrone saranno trovati vigilanti!” Il Povero Servo è vigilante se vive di fede, se mira costantemente ai valori soprannaturali, se unicamente cerca il santo Regno di Dio e la sua giustizia, convinto che anche il compito più umile può illuminarsi con la luce della santità.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre preghiere; ne ho estremo bisogno per fare la santa volontà di Dio sino alla fine. Più col cuore che colla mano vi benedico, unitamente agli altri fratelli e a tutti i figlioli.

Che per tutti si verifichi la bella preghiera che sono solito di fare ogni mattino dopo la S. Messa: “Ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum”.

Giornata di preghiere per le vocazioni – Turni per le varie Case.

Si è pensato di suggerire il 1º venerdì del mese come giornata di preghiere per le Vocazioni, secondo quest’ordine:

Gennaio: S. Zeno in Monte – S. Benedetto – S. Giacomo.

Febbraio: Nazareth (1º giovedì)

Marzo: Milano – Patronato di Verona

Aprile: Madonna di campagna – Villaggio dall’Oca

Maggio: Costozza Giugno: Ferrara

Luglio: Roncà Agosto: Negrar – S. Pancrazio

Settembre: Borgate di Roma

Ottobre: C. B. F. Primavalle

Novembre: Ronco all’Adige

Dicembre: Maguzzano

* LETTERA LXXlII 12 febbraio 1952

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con noi.

Abbiamo tutti ascoltato nella domenica 10 febbraio, vigilia dell’Immacolata di Lourdes, il pressante accorato appello del Santo Padre, proprio ispirato dallo Spirito Santo, e che io direi un S.O.S. lanciato non solo alla città di Roma, ma al mondo intero, perché tutti considerando la gravità dell’ora si scuotano da un funesto torpore, si sveglino dal sonno, e, lasciate da parte le inutili discussioni, comincino a fare, ad agire e facciano tesoro, poiché non si tratta di interessi solo materiali, ma dei beni spirituali di infinito valore, ai quali è legata la nostra eterna salvezza.

Se poi l’augusta parola del Vicario di Cristo, detta con tanto paterno calore e trepida ansia apostolica, è diretta a tutto il mondo cristiano e anzi a tutti gli uomini di buona volontà; come dobbiamo pensarla rivolta più particolarmente a noi, Poveri Servi, che in quest’ora tanto oscura, in cui non si sa che cosa da un momento all’altro possa accadere, abbiamo l’obbligo di vivere praticamente e integralmente il santo Vangelo! E’ questo l’unico mezzo per richiamare sulle vie della giustizia e della vera pace la povera umanità, che brancola nelle tenebre e cammina inconsciamente sull’orlo dell’abisso, perché ha ripudiato Dio, la sua Chiesa, il santo Vangelo.

Né ci rincresca alcun sacrificio. Guardate quello che da anni stanno facendo gli uomini di governo, per dare al mondo un miglior assetto economico e sociale, quanti sacrifici e lotte debbono sostenere, quante difficoltà superare, e con quanta pazienza perseguono i loro fini, con quale tenacia sono protesi al raggiungimento delle mete che si prefiggono; non è giusto quindi che noi restiamo indifferenti ed inerti, mentre il Santo Padre tutti richiama alla coscienza delle proprie responsabilità.

Mettiamoci dunque, miei cari ed amati fratelli, una mano sul petto, facciamo un serio esame di noi stessi e domandiamoci sinceramente: vivo io lo spirito puro e genuino dell’Opera? Sono io vero Povero Servo? E’ vero, abbiamo fatto la professione, il nostro nome figura nel libro dei Professi, ma può bastare questo per essere veri Poveri Servi? Voi convenite che è necessario viverne lo spirito. Allora consideriamo innanzi tutto la grazia che il Signore ci ha fatto, chiamandoci a far parte di quest’Opera che è tutta sua, e per chiarire meglio il mio pensiero mi servirò di un esempio.

Quando Gesù chiamò gli Apostoli, essi possedevano già una grazia ordinaria e comune a molti, con la quale potevano salvarsi facendo i pescatori e osservando la divina Legge; ma allorché Gesù disse loro: “Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini”, ricevettero una grazia nuova e straordinaria, una grazia di privilegio, che li costituì discepoli e Apostoli del Signore. Tale grazia diede loro un carattere nuovo, un’impronta nuova; non penseranno più alla barca, alle reti, alla famiglia, ma solo ad essere gli Apostoli di Gesù. E come resteranno fedeli a questa speciale vocazione! Infatti, se incontrano difficoltà, non si tirano indietro; diffidati, affermano arditamente: “E’ necessario obbedire a Dio piuttosto che agli uomini”; imprigionati, battuti: “ne andavano contenti per essere stati fatti degni di soffrire qualche cosa per il nome del Signore”; alla fine coronarono la loro vita con un glorioso martirio. Tutto questo ha operato in essi la grazia straordinaria della loro vocazione.

Una simile grazia l’abbiamo ricevuta anche noi, e se vi corrispondiamo fedelmente, essa opererà nell’intimo della nostra anima una profonda trasformazione, per cui il Povero Servo si distinguerà dagli altri nel pensare, nel sentire, nel giudicare, nel trattare; in ogni circostanza seguirà l’impulso e lo spirito della sua specialissima vocazione.

Essere e mostrarsi in tutto, sempre e in ogni luogo, Poveri Servi, ecco la grazia nostra, la nostra caratteristica, ecco insieme il nostro impegno e il centro cui devono indirizzarsi, tutti i nostri sforzi, per raggiungere quella personale santificazione che è al tempo stesso condizione indispensabile per essere in piena efficienza e poter donare anche agli altri.

Ma, praticamente, a che cosa deve mirare il vero Povero Servo? Come deve pensare, giudicare delle persone, delle cose, degli avvenimenti? Come deve agire da solo, in presenza d’altri, nell’esercizio dei sacri ministeri, come pure nel trattare gli stessi affari materiali?

Quale vasto campo di serie ed importanti riflessioni si apre qui al nostro sguardo, miei cari ed amati fratelli!

Un vero Povero Servo prima di tutto deve portare scolpito nella mente e nel cuore il grande nostro programma : “non v’angustiate… cercate in primo luogo il Regno di Dio…”. Cercare Dio, la sua gloria, la propria santificazione, le anime, solo le anime, e fra queste le più povere, le più abbandonate, vere gemme dell’Opera; e tutto questo nell’esercizio d’una carità generosa e disinteressata, che non dice mai basta, che nei fratelli vede le vive immagini di Gesù: ecco la prerogativa di un Povero Servo.

Inoltre egli deve vivere di fede e dello spirito di fede; fede viva e sentita nella paternità di Dio, che tutto, anche le pene e le prove inerenti a questa nostra povera vita di esilio, fa servire al nostro vero bene; sentire e vivere la vita di abbandono fiducioso, figliale in Dio e nella sua Provvidenza, senza mai angustiarsi nelle difficoltà; come Gesù, non proporsi, nella vita, altro scopo che di far piacere al nostro celeste Padre: “Quae placita sunt ei facio semper”; aver solo di mira la divina volontà: “Cibus meus est ut faciam voluntatem eius qui misit me”; vivere la vita di unione con Dio, come tralcio e vite, come conche e canali.

Oltre a ciò, il Povero Servo è ben convinto che quello che importa non è fare molte cose, ma fare molto: “non multa sed multum!”. Fa molto chi fa bene, fa molto chi si tiene nell’obbedienza, nella dipendenza dei Superiori, e specialmente del Casante presente e futuro, al quale, ve lo ripeto, il Signore darà lumi e grazie particolari per guidare l’Opera in generale, e ciascuno in particolare.

E qui torna opportuna una raccomandazione per quelli fra voi che il Signore ha chiamato a dirigere una famiglia religiosa. Ricordatevi che non ogni attività rientra nel novero di quelle volute da Gesù per la nostra Opera; state bene attenti su questo punto, e per non sbagliare dite tutto al vostro Padre, con semplicità e sincerità; se egli approva e benedice, andate avanti, certi e sicuri di avere con voi anche la benedizione di Dio.

Non fidatevi dei vostri lumi, e lasciate che vi ripeta quello che altre volte vi ho detto e che deve essere una nota caratteristica della nostra Opera: Meglio non far niente col Padre, che miracoli di bene senza il Padre”.

Il Povero Servo non cerca lodi, ama il nascondimento, non disprezza gli uffici umili. Vi ho detto ancora che per me il Fratello con la scopa in mano è come il Sacerdote all’altare. Non guardiamo la santità delle azioni ma la santità nelle azioni.

A questo proposito voglio raccontarvi un grazioso episodio. L’Imperatore Ottone aveva chiesto ad un ragazzino: come ti chiami? – Giacomo! egli rispose – Che mestiere fai? – Il pastore, e conduco ogni giorno le pecore al pascolo. – E cosa guadagni? – Maestà, quello che guadagnate voi; guadagno il Paradiso o l’Inferno!

Sapiente e sensata risposta! E come bene esprime quello che intendo dirvi! Oh, sì, miei cari ed amati fratelli, tutto è grande, nulla è piccolo nel servizio del Signore, basta che noi facciamo tutto con grande amore e con l’unica mira di piacere a Dio.

Vivete queste grandi verità, sentitene tutta la bellezza, siano in voi come un lievito, un fermento, per manifestarle poi al di fuori, per irradiarle anche agli altri, perché un Povero Servo deve essere tale da per tutto.

Irradiate lo spirito puro e genuino dell’Opera! E’ questa la raccomandazione, il monito che si fa ai Sacerdoti nostri ex allievi, e anzi il loro impegno specifico; perché, altrimenti, la Provvidenza gli avrebbe tanto amorevolmente curati per tanti anni nella sua Casa? Ma se ciò vale per loro, quanto più per noi!

E a questo proposito, credete sia a caso che la Provvidenza abbia disposto che nell’Opera ci siano ben sei Parroci; tre a Roma e tre a Verona?

Quanto bene possono fare, portando ovunque e sempre lo spirito dell’Opera, in Parrocchia, nella predicazione soprattutto, nelle adunanze, nelle discussioni!… dire, quando occorre, con santa franchezza: su questo e quel punto, il nostro spirito esigerebbe di fare così e così!

Ma a tutti, Sacerdoti e Fratelli, qui raccomando, tutti prego e scongiuro: vivete lo spirito puro e genuino dell’Opera.

L’Opera è come una torre: noi dobbiamo difenderla; il nemico di Dio fa di tutto perché non sia come Gesù la vuole, cerca di spostarne lo spirito, servendosi non degli estranei o degli avversari, ma di noi stessi; mio Dio, quale responsabilità! Nessuno si presti al gioco del nemico di Dio; siate tutti solidali, coltivate lo spirito di corpo; vivete cioè gli uni per gli altri, ognuno goda del bene che fanno i Confratelli, come fosse bene proprio; aiutatevi a vicenda; che nessuno demolisca con critiche o mormorazioni, specialmente con gli estranei, l’azione dei propri fratelli, ma regni sovrana la carità, perché dov’è la carità, ivi è Dio.

E lasciate che vi ripeta qui un pensiero che ricordo di aver detto negli esercizi spirituali di settembre, e che allora mi fece grandissima impressione. Dalla nostra personale santificazione, dall’essere noi in piena efficienza mediante lo spirito puro e genuino dell’Opera, può dipendere la vita o la morte dell’Opera e lo scongiurare o meno nuove calamità al mondo. Mio Dio, quale responsabilità.

Miei cari ed amati fratelli, finisco con un ultimo pensiero. Si cerca di fabbricare, di migliorare le condizioni d’ambiente, secondo le esigenze del nostro tempo, e sta bene; ma quanto più dobbiamo preoccuparci di lasciare a quelli che verranno dopo di noi un patrimonio di virtù e di esempi, ai quali essi potranno ispirarsi per essere insieme i continuatori dell’Opera e dello spirito puro e genuino che ne è la caratteristica! Oh come dal cielo godremo nel vedere i futuri sviluppi dell’Opera, e la gloria che procura a Dio, il bene che reca alle anime lo spirito da noi tramandato come in eredità!

Questa grazia domandiamo con la nostra umile e fervida preghiera, interponendo l’intercessione, sempre tanto efficace, della nostra celeste Madre, la Vergine Immacolata. Oh preghiamola per noi, per l’Opera, per il mondo! E’ diffuso più o meno latente, anche fra i buoni, un senso di scoraggiamento; molti sono disorientati, ma sapete perché? Purtroppo guardano al basso e si dimenticano di guardare in su. Diamo l’esempio di fiducia nella invocazione di Colei che, mentre nella sacra Scrittura è detta forte e potente come un’esercito schierato a battaglia, è insieme salvezza del popolo cristiano, mistica stella che ci addita il porto nel mare burrascoso della vita, nostra certa speranza per il tempo e per la beata eternità.

Pregate tanto, ma tanto per me, che ne ho estremo bisogno, affinché possa fare sino alla fine la santa volontà di Dio, costi quello che costi; e in questo momento, più con il cuore che con la mano, tutti benedico.

* LETTERA LXXIV 2 marzo 1952

Ai confratelli in cura d’anime.

Carissimo confratello

La grazia di Gesù benedetto sia sempre con noi.

In questo santo giorno, I domenica di Quaresima, sento un forte impulso a rivolgerti la mia parola, quale mi nasce spontanea dal cuore di padre, che sente tutte le ansie e desideri dei cari figli.

La Provvidenza ti ha affidato una porzione del gregge di Cristo da pascere, anime da condurre alla salvezza eterna, educandole alla vita praticamente cristiana. E tu sei Povero Servo; come tale, devi irradiare attorno a te lo spirito puro e genuino dell’Opera, devi svolgere il tuo nobile ministero secondo questo spirito che il Signore Gesù stesso ha dato all’Opera.

Ed oh, quanto è urgente in questi nostri tempi far rivivere lo spirito cristiano del santo Vangelo! E’ di pochi giorni fa l’accorato appello del Santo Padre, Vicario di Cristo, per un rinnovamento spirituale dei cristiani nell’ora presente così gravida di minacce, ma anche così importante per l’avvenire della santa Chiesa e del mondo. Se tutti devono corrispondere all’appello del Vicario di Cristo, quanto più il Povero Servo messo dal Signore a reggere una Parrocchia! Animo dunque! Se mi è lecito, aggiungo la mia calda esortazione a quella del Santo Padre; e dico a te: abbi cura del tuo gregge; spendi generosamente le tue sollecitudini per il bene delle anime. Tutte, tutte le anime siano oggetto del tuo amore.

Mi pare inoltre di doverti ripetere con S. Paolo: “Non lasciar passare invano la grazia del Signore, poiché nel tempo accettevole – dice il Signore – io ti esaudirò”. Ed eccoci proprio nel tempo accettevole, la santa Quaresima, di preparazione alla Pasqua e preparazione alla nostra risurrezione spirituale in Cristo. “In ogni cosa mostriamoci degni ministri di Dio, con la pazienza, la sofferenza, le fatiche, lo zelo delle anime”.

In particolare poi mi sento di raccomandarti quelle pecorelle, che, sviate da dottrine erronee, combattono contro il Signore e contro la sua santa Chiesa. Poveretti! Sono degli sbandati, dei fuorviati, dei malati. Per essi quindi occorrono cure più sollecite, perché anche essi sono pecorelle del Signore, redente dal Sangue di Gesù Cristo, chiamate alla santità come tutti gli altri. Certo, non dobbiamo transigere con l’errore; ma dobbiamo però scindere l’errore dall’errante: l’errore è una cosa, l’errante è ben altra. Non sia mai che il Povero Servo trascuri dunque queste anime; son nostri fratelli, sono anime che il Signore vuole salvare.

La nostra Opera fa professione di cercare i più poveri; e non è una povertà grandissima quella dello spirito, più ancora di quella materiale? Abbi dunque una cura speciale per costoro; cerca di accostarli con la carità di Cristo, con l’affetto di padre, sull’esempio di Gesù, che andava in cerca dei peccatori anche più traviati, volentieri li accoglieva, li confortava a confidare, li convertiva.

A tal fine ricorda che siamo tutti un solo corpo: il corpo mistico di Cristo. Quindi ogni buona azione fatta da un membro, rifluisce beneficamente sulle altre membra; e, come nel corpo fisico il lavoro della vita si intensifica proprio là dove più grande è il bisogno: per una malattia, una infezione, o altro, così tu, Povero Servo, nello spirito dell’Opera, procurerai di portare giovamento a quanti sono lontani. Una preghiera, una buona azione, un sacrificio, una sofferenza, un sospiro d’amore a Gesù… sono tutti mezzi efficaci della grazia per fare del bene alle anime e attirarle a noi.

Io stesso, sentendomi più che mai unito a te, offrirò una intera giornata – domenica 16 c. – per il bene delle anime a te affidate; preghiere, sofferenze, ogni cosa insomma, saranno invocazione a Gesù perché salvi tutti e li santifichi, specialmente chi ne ha più bisogno. Dillo pure anche ai tuoi parrocchiani, che io sono loro vicino, vicinissimo col cuore, perché tutti li amo immensamente nel Signore, e tutti li desidero quali li vuole e desidera il Signore.

Se tutti davvero ci metteremo a vivere cristianamente, oh, allora sì, il mondo cambierà faccia, e i tempi si faranno migliori! Con il vivere in grazia di Dio, si metteranno a posto anche le cose materiali della terra, e verrà la pace; mentre vivendo nel peccato, in disgrazia di Dio, tutte le cose vanno a male e in iscompiglio.

Ti ho aperto il mio cuore, per infervorarti a lavorare con sempre nuova lena al bene spirituale dei tuoi fedeli. Io ti porto nella mente e nel cuore, facendo mie le cure e sollecitudini tue per il regno di Dio nelle anime.

Prega tanto, ma tanto per me, e fa’ pregare, che ne ho grande bisogno.

Che tutti ci possiamo trovare uniti un giorno lassù, in Paradiso, a cantare le divine misericordie, e godere il frutto della nostra povera vita spesa per i cari fratelli.

* LETTERA LXXV 10 aprile 1952

Miei cari ed amato fratelli

La grazia di Gesù Benedetto siano sempre con noi tutti, e ci sostenga nel cammino della povera vita.

E’ il Giovedì Santo: se è sempre giorno molto solenne e caro al cuore del cristiano e del Religioso, mi sembra che quest’anno rivesta una solennità tutta particolare; il Giovedì Santo 1952 mi pare che nei disegni del Signore abbia qualche cosa di tutto suo ed è per questo che stamane ho celebrato la S. Messa prima di tutto per la mia povera anima, e per voi, cari fratelli; ma in modo speciale per il mondo tutto, che ha tanto bisogno di luce e di alimento spirituale, che solo da Gesù può venire.

Qui ai piedi del mio Crocefisso, mentre ringrazio Gesù del dono grande fatto con la sua Eucarestia alle nostre anime, penso e medito sul nostro dovere di Poveri Servi in quest’ora decisiva della storia. L’Opera è di Gesù: tante volte ve l’ho detto, e sempre ve lo ripeto; è Lui al timone della barca, è Lui l’anima che dà e conserva la vita dell’Opera. Certo, vi è anche l’elemento umano: siamo noi, poveri uomini, con le nostre miserie e deficienze; noi siamo come il corpo fisico dell’Opera; il corpo può andar soggetto a malanni, a difetti; ma l’anima no; essa rimane sempre in piena efficienza. Voglio dire come voi capite bene, che nell’Opera ci potranno essere delle manchevolezze materiali e morali: ma finché noi ci teniamo fedeli allo spirito puro e genuino che Gesù ci ha impresso, l’Opera va avanti, si sviluppa sempre più e sempre meglio, si dilata e si perfeziona, come la vita fisica del corpo; e allarga la zona di bene, a gloria di Dio, a vantaggio delle anime. Constatando, quindi, qualche deficienza, non deve il Povero Servo fermarsi a criticare, a escogitare: ci vorrebbe questo… manca quell’altro… ecc.; sarebbe tempo perso! Invece il Povero Servo si ripiega su se stesso, e pensa: come vivo io lo spirito dell’Opera? Come osservo le mie Regole? Concorro a incrementare l’Opera con la mia condotta e lo sforzo della mia santificazione? Oppure metto ostacoli con la trascuratezza, con i peccati, con la vita tiepida, senza fervore di amore a Gesù?

Oh! se tutti e sempre faremo così, l’Opera è assicurata. Verranno sì delle prove, anche grandi; sorgeranno difficoltà serie, contrarietà che parranno insuperabili: ma Gesù, che è l’anima dell’Opera, trovando in noi strumenti adatti saprà trionfare di tutto e di tutti, anzi fortificherà sempre più la sua Opera, come avviene nel corpo fisico assuefatto alle difficoltà; acquista ed accresce energie per reagire vittoriosamente.

L’Opera, come tante volte vi ho detto, ha un suo rapporto speciale con l’ora presente: Gesù guarda a noi e chiede il contributo efficace della nostra vita per compiere i suoi divini disegni di misericordia per l’ora presente. Il mondo è pieno di male; il male trionfa in lungo e in largo; ma, o miei cari, Gesù vuole esercitare la sua grande misericordia e dare al mondo ancora una volta la sua pace, la sua grazia: pegno di prosperità anche materiale.

Guai a noi se per colpa nostra non potesse attuare i suoi disegni! E se per colpa nostra dovesse venire il tracollo tremendo che gli uomini si meritano! Ma no: nessuno di noi vorrà ritirarsi; tutti e ciascuno vogliamo corrispondere all’invito di Gesù, Padrone assoluto della Casa, e concorrere alla salvezza delle anime e del mondo. Che grazia grande! Che nobile impresa, questa, che deve entusiasmare il nostro cuore di Poveri Servi!

Animo dunque! Questo Giovedì Santo segni un balzo in avanti nella nostra vita di Poveri Servi, tutti protesi alla santificazione nostra personale e all’attuazione dei divini disegni. Con gli Apostoli assisi attorno a Gesù nel Cenacolo, diciamo anche noi: siamo pronti e disposti a tutto, caro Maestro; siamo pronti a seguirti dovunque vorrai, fosse anche in carcere o alla morte! Troppo onorati ci sentiamo di lavorare sotto di Te, alla salvezza delle anime, alla diffusione del tuo Regno! Domine, non sum dignus!

Queste parole mi sono sgorgate proprio dal cuore questa mattina.

Pregate tanto per me, che mentre parlo a voi, abbia a praticare io per il primo questi santi propositi.

Tutti uniti, un cuor solo ed un’anima sola, viviamo il nostro spirito, siamo Vangeli viventi, portatori di Cristo al povero mondo che va alla deriva. Beati noi nel tempo; più felici nella eternità.

* LETTERA LXXVI luglio 1952

Cari ed amati fratelli

La grazia di Gesù Benedetto sia sempre con noi.

Mi sono sentito spinto a dirvi ancora una volta la mia parola, quale mi nasce spontanea dal cuore, per il bene vostro e della Congregazione. Per amore di Dio, fate tesoro di questa parola; accoglietela come mio testamento. Mi tengo sicuro che mi ascolterete.

Tante volte mi sentite raccomandare lo spirito puro e genuino dell’Opera: a voce e per iscritto ve lo raccomando continuamente; e voi di certo vi sforzate di assecondare il desiderio del vostro Padre, che è volontà precisa di Gesù.

Ma, mi pare di sentire qualcuno domandarsi: in che cosa consiste questo spirito puro e genuino?

La risposta è molto facile, e molto importante: lo spirito puro e genuino dell’Opera è segnato chiaramente nelle nostre sante Regole. In esse abbiamo l’indicazione sicura di quello che il Signore vuole da noi Poveri Servi. Molti di voi, la maggior parte anzi, siete vissuti tanti anni nella Casa, siete cresciuti quindi nel clima tutto speciale dell’Opera; avete toccato con mano l’umiltà che deve contraddistinguere il Povero Servo e l’Opera stessa: “buseta e taneta”: mai cercare protezioni umane, ma solo ricevere quelle che il Signore manda; fidarsi prima di tutto del Signore.

Avete sentito tante volte inculcare la parola di Gesù: “Cercate prima di tutto il Regno di Dio – cioè la vostra santificazione – e tutto il resto lo avrete in soprappiù”. avete fatto esperienza come la Casa si fonda sulla completa fiducia nella divina Provvidenza: anime, anime! Nessuna preoccupazione per i mezzi materiali: questi verranno se noi faremo la nostra parte.

Queste ed altre cose avete visto nella pratica dell’Opera; ebbene: questo è lo spirito puro e genuino. Questo spirito è come la fisionomia particolare dell’Opera: ed è il binario sul quale deve camminare. Ogni treno deve correre sul proprio binario per arrivare alla meta prefissa; guai se entra nel binario altrui! è il disastro. Ora tutte le Opere hanno una fisionomia; tutte hanno il loro binario stabilito dal Signore; cambiare lo spirito di un’Opera vuol dire toglierla dal binario assegnatole, condannarla alla rovina.

Questo spirito della Provvidenza, amati fratelli, dovete irradiarlo in mezzo al mondo. Voi specialmente, sacerdoti in cura d’anime : ricordatevi che siete sempre Poveri Servi, e quindi dovete regolarvi secondo lo spirito dell’Opera. Gratis accepistis, gratis date; massimo disinteresse, umiltà, nascondimento. Anime, anime! Ecco il nostro spirito, ecco la condizione per la quale l’Opera accetta cura d’anime.

Ci sono tanti modi di compiere il bene, di curare le anime; ma ciascuno di noi deve fare il bene che il Signore vuole, non qualunque bene. Non vi lasciate lusingare dal miraggio di opere buone: state sempre nel giusto binario.

Conservate l’unità di intenti e di lavoro: risplenda sempre e in tutto non la persona, ma l’Opera. Non facciamo chiesuole, nicchie di attività personali; siamo pronti a sacrificare il nostro io perché regni Iddio, e si manifesti la sua Opera. Noi, povere persone, dobbiamo scomparire; l’Opera deve restare.

Carità nell’unità: ecco l’ideale che dobbiamo proporci nella nostra vita di Poveri Servi. Si potrà fare anche del bene, apparentemente; ma se non siamo uniti secondo lo spirito, il Signore si allontana. Raccomando quindi che tutte le Case si tengano sempre più unite ed affiatate con la Casa Madre; di qui si prenda il tono; qui si guardi come al faro che guida per la retta via.

State attenti a tutte le cose; anche le minime possono compromettere il nostro spirito e falsare la fisionomia dell’Opera. Che grande responsabilità si assumerebbe il Povero Servo che concorresse a questo!

Guardiamo di trovarci sempre in piena efficienza, sempre fedeli al nostro spirito, per compiere i divini disegni. Siamo in un’ora difficile e decisiva nella storia; la santa Chiesa è combattuta da ogni parte aspramente, con tutti i mezzi. Possiamo dire che mai come oggi “le porte dell’inferno” si sono coalizzate così fortemente contro Cristo e la sua Chiesa. Eppure, questa è l’ora di Dio, l’ora del trionfo, ancora una volta Cristo deve trionfare. Ma, chi determinerà questo trionfo? La grazia del Signore, per mezzo di coloro che si faranno degni strumenti. Tutte le opere buone suscitate dal Signore sono strumenti per il trionfo del bene; e la nostra ha una relazione tutta propria con i tempi presenti, quindi è destinata ad assolvere un compito tutto suo in questa santa battaglia contro il male. Sta a noi lavorare alacremente nel posto assegnatoci e nel modo stabilito dalla Provvidenza; beati noi! avremo benedizioni particolari da Dio.

Mettiamoci con tutto l’impegno, dunque, per corrispondere ai disegni del Signore. Stiamo uniti a Lui: fedeli alle pratiche di pietà, coltiviamo la vita interiore: uniti a Gesù, faremo qualche cosa, senza di Lui, non faremo nulla. Né ci rincresca di sacrificare le nostre vedute, tutta la nostra vita nel servizio del Signore; guardiamo a Gesù: quale generosità di dedizione per noi! quale mortificazione a tutta prova! doniamoci con tutto l’entusiasmo all’Opera, ben contenti di servire, di sacrificarci, di consumarci alla gloria di Dio e al bene delle anime.

E’ un’ora particolarmente grave, dicevo. Guardatevi d’attorno, e ve ne convincerete subito.

Guardiamo il settore della gioventù: quanto si fa ai nostri tempi per rovinare l’innocenza e corrompere i giovani! Sembra impossibile che ci siano uomini che mettono tutto il loro studio nel rovinare la fanciullezza: con spettacoli, divertimenti, mode, sport… tutto fanno servire al triste scopo di rovinare. E’ cosa orrenda, che provoca i più tremendi castighi del Signore su una società che permette tanti scandali.

La nostra Opera ha dalla Provvidenza come fine suo primario proprio la cura della gioventù; specialmente si deve occupare dei giovani più poveri, abbandonati e quindi più esposti ai pericoli morali e materiali. Apprezziamo, o miei cari, questo nobile compito che il Signore ci affida; e lavoriamo con generosità e spirito di fede nell’assistere, istruire, coltivare i cari giovanetti. Diamo loro il sacro patrimonio di una educazione schiettamente cristiana; con la parola e con l’esempio facciamo del nostro meglio, per crescerli “in età, sapienza e grazia, davanti a Dio e davanti agli uomini”.

Guai se guardassimo alle classi medie o agiate! Non è il nostro campo. Peggio se ci lasciassimo prendere dalla smania del lucro, così contrario al nostro spirito e alle Regole. Un povero, un sofferente, un abbandonato porta con sé lo sguardo e la protezione di Gesù.

Altro settore nel quale le cose vanno male: la famiglia. Opera di Dio, vivaio della umanità, essa dovrebbe essere un santuario, dove si inalzano a Dio i sacrifici accettevoli, e dove le nuove generazioni imparano a compiere la volontà di Dio. Invece, quante volte la famiglia viene dissacrata dal vizio, dal peccato, da certi enormi delitti che gridano vendetta al cospetto del Signore! Che cosa sarà domani della società, se il suo vivaio è corrotto?

Lavoriamo a tutto potere per salvare la famiglia, cellula dell’umanità, affinché ritorni al suo posto di nobiltà e di santità. Non si risparmi fatica per ricostruire su basi cristiane le famiglie che si vanno formando, e per ritornare alla loro nobiltà quelle che se ne sono allontanate.

Oggi, o miei cari è in atto una guerra accanita contro tutto ciò che vi è di bene. Il progresso gigantesco dell’umanità nei nostri tempi meriterebbe che gli uomini fossero ben avanti nelle vie dello spirito e corrispondessero con grandi virtù ai grandi doni del Signore. Invece vediamo proprio il contrario: tanta gente si serve di questi doni per fare la guerra al Signore.

Come si può spiegare tanto male? E’ un mistero di iniquità; si può dire che Satana è uscito dall’inferno e ha invaso il mondo; non potendo sfogarsi contro il Signore, si accanisce contro le creature del Signore, contro gli uomini che ne sono l’immagine. Ma Satana ha bisogno di aiuti; egli non ha lingua per parlare, non ha corpo, non ha mani per agire; quindi cerca strumenti: e ci sono uomini che prestano a lui le mani, la lingua, il cervello, la forza per fare quello che egli vuole: il male; il peggior male alle anime. Quanti ne trova di tali uomini! Poveretti costoro! Mi fanno una profonda compassione; ed anche a voi, perché sono nostri fratelli, figli del medesimo Padre, redenti dal medesimo Cristo, e destinati al medesimo Paradiso. Specialmente nell’ora attuale si può dire che sono un esercito che marcia serrato sotto la direzione di Satana e si sacrifica per lui! Che orrenda cosa: essere le mani, la lingua di Satana!…

In quante forme, poi, il diavolo conduce questa guerra alla santa Religione! Ogni pretesto è buono per coprire i suoi disegni: ora è di migliorare le condizioni economiche della povera gente, ora di elevare il tono della vita, ora di ricreare dalle fatiche il lavoro quotidiano, ora di istruire… il bersaglio peraltro è sempre uno: la Religione, la santa Chiesa. Lì si mira, lì si vuole arrivare: a distruggerla una volta per sempre.

Quello che mi impressiona profondamente, poi, è che questo spirito del mondo sa insinuarsi pian piano perfino tra i cristiani, sa infiltrarsi anche nelle opere più buone e sante, anche nelle case religiose, se non si sta più che attenti; sotto colore di bene, di penetrare in qualche ambiente, di avvicinare certa gente… si ammettono poco alla volta concessioni e compromessi che finiscono col rovinare le opere di bene, e falsare lo spirito del Vangelo che le deve animare.

Attenzione, dunque, o miei cari ed amati fratelli; che non penetri fra noi lo spirito del mondo, che è spirito di Satana. Noi religiosi teniamoci ben stretti a Gesù, viviamo pienamente il suo Vangelo, senza compromessi; e non temiamo; sotto le bandiere di Cristo nessuna cosa potrà vincerci, perché dove è Cristo è la vittoria. E’ finito il tempo delle mezze misure; stiamo alla realtà, fidiamoci del Vangelo, teniamoci alle sue leggi, svolgiamo un’azione decisa e ordinata come Egli stesso ci ha insegnato.

Attenzione a non far concessioni o compromessi; che, sotto pretesto di allargare il campo del bene, non facciamo delle falle pericolose, e condanniamo al naufragio il mistico bastimento del Signore. non accontentiamoci di essere canali, ma cerchiamo di essere conche e canali insieme: ripieni noi di Cristo e del suo spirito, per dispensarlo poi agli altri.

E’ l’ora decisiva, o miei cari fratelli: O Cristo o Satana. Beati noi che siamo chiamati a combattere per Cristo e la sua Chiesa! La vittoria sarà certamente del Signore; ma il merito ridonderà a coloro che avranno combattuto sotto le insegne di Cristo; anche noi, se staremo fedeli alla nostra vocazione, porteremo Cristo al mondo, specialmente a quelli che non lo conoscono o non lo vogliono riconoscere.

L’ateismo: è una piaga del nostro tempo. Eppure, o miei cari, credetelo: per quanto l’uomo faccia, non può spegnere questo sole che è Dio nell’intimo del proprio essere. Iddio ha impresso in noi un’orma così profonda che non si può cancellare. L’ateismo nasce da passione; l’esperienza lo dimostra chiaramente. “Dixit insipiens in corde suo: non est Deus; l’insipiente ha osato dire: non esiste Dio”. Ma perché? “Corrupti sunt…”. La corruzione li ha portati a questo; e “animalis homo non percipit ea quae sunt spiritus; l’uomo animale non può capire le cose dello spirito”. Io ho sempre visto che solo due categorie di uomini non credono in Dio: i bambini che non sono arrivati all’uso di ragione, e i poveretti che l’anno perduta. Voi stessi l’avrete visto tante volte, che, dove non si ammette Iddio, c’è il peccato, l’immoralità e il disordine. L’uomo si abbassa ad una vita di sensi; questo cuore questa mente fatta per le cose superiori, vengono avviliti da una vita tutta terrena, animalesca: ed ecco l’incredulità, non tanto per convinzione, quanto per il bisogno che non vi sia un Dio giusto che punisce il peccato. Nella mia esperienza ho sempre visto che guasto il cuore, è guasta la mente; messo a posto il cuore, è messa a posto la mente.

Si voglia o non si voglia, tutti abbiamo un’anima da salvare. Cristo è morto per salvare le anime. Bisogna lottare contro il male, per salvare la nostra anima. L’umanità è caduta e molti mali la affliggono quaggiù; ma nella mia esperienza ho costatato che molte volte il male e la sofferenza sono voluti proprio dall’uomo, con il peccato. Tornando al Signore, vivendo bene, oh, quanti malanni di meno sarebbero al mondo! Quanta pace e serenità anche nelle pene inevitabili della povera vita!

Abbiamo compassione per tanti poveretti che servono a Satana. Sono nostri fratelli redenti anche loro dal Sangue di Gesù Cristo. Sbagliano, è vero; ma noi dobbiamo cercare di salvarli. “Diligite homines, interficite errores”, diremo con S. Agostino: guerra all’errore, senza compromessi; ma amore grande agli erranti!

Abbiamo l’esempio di Gesù nostro Maestro, che nelle parabole ci ha dato il suo ritratto: ora è il pastore che lascia le novantanove pecorelle per cercare quella che si è sbandata; ora è il Padre che accoglie il figlio prodigo pentito…

Dobbiamo fare di tutto perché i nostri fratelli si convertano e tornino all’ovile. Quanti di loro, forse, non hanno mai sentito una buona parola! Quanti sono stati traviati da compagnie perverse, da ambienti malati, da letture cattive, da scandali!… Oh, quanta compassione dobbiamo sentire per loro! Andiamo loro incontro col più grande e sincero affetto; vedano che noi cristiani li amiamo, li comprendiamo, li desideriamo come veri fratelli.

Anzi, a questo proposito mi sento ispirato a indire per tutta l’Opera una giornata penitenziale per il ritorno di tutti coloro che combattono la santa Chiesa e corrono sulla via della perdizione. Mi sembra opportuno l’ 1 agosto, 1º venerdì: è proprio la giornata di riparazione al SS. Cuore, quindi molto opportuno a questo scopo. In quella giornata eleviamo al Signore le nostre preghiere, offriamo espiazioni, sacrifici per il bene dei fratelli. Cantiamo le Litanie dei Santi, come facevano gli antichi cristiani in tempi di spirituali necessità.

E voi sacerdoti che lavorate nelle Parrocchie, fate sapere questa iniziativa, e invitate i fedeli a unirsi nella preghiera penitenziale per la conversione dei fratelli, specialmente pel ravvedimento di coloro che combattono la nostra santa Religione.

Tutti uniti, cor unum et anima una, facciamo dolce violenza al Cuore di Gesù perché diffonda il suo spirito su tutti, e ci infiammi del suo santo amore.

Vi ho aperto il mio cuore, diletti fratelli, perché vi animiate a conservare e ravvivare sempre più lo spirito puro e genuino dell’Opera. E’ una responsabilità per me se non vi parlassi a nome del Signore; ed è una responsabilità per voi se non mi ascoltaste. Ma son certo e son sicuro che farete tesoro di queste mie parole e vi sforzerete di corrispondere alla nostra speciale vocazione.

Così compiremo i divini disegni, e attireremo le più abbondanti benedizioni sull’Opera, perché possa contribuire efficacemente all’avvento del regno di Dio nell’ora attuale.

Pregate per me. Io vi porto nella mente e nel cuore più del solito, e per voi prego che la grazia della vocazione magis ac magis abundet.

Più col cuore che con la mano, vi benedico tutti, ad uno, ad uno, con tutto quanto avete di più caro su questa terra, con l’augurio e la preghiera che faccio da tanti anni: Ut cum fratribus meis et pueris tuis laudem Te in saecula saeculorum.

I Direttori di Comunità si faranno un impegno di leggere e commentare questa mia lettera ai membri della loro famiglia religiosa.

* LETTERA LXXVII Verona, 11 ottobre 1952 – Maternità di M. SS.ma

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre nei nostri cuori.

Con voi ringrazio e benedico la bontà e misericordia del Signore, che anche in quest’anno ci ha concesso di fare i santi spirituali Esercizi, con immenso vantaggio per le nostre anime sacerdotali e religiose. Ma v’è sempre bisogno di rivedere di quando in quando le partite della nostra anima, specialmente in un’ora in cui lo spirito del mondo cerca di forzare le porte del Santuario e delle stesse Case Religiose, per penetrare insidiosamente anche nei cuori consacrati a Dio.

Per questo ho pensato di farvi alcuni richiami e raccomandazioni, e mi tengo sicuro che ne farete tesoro per la vostra personale santificazione e per la santificazione dell’Opera, che è tutta di Gesù e perciò deve essere come Egli la vuole. Solo così, miei cari ed amati fratelli, potremo compiere i nuovi e grandi disegni che il Signore ha sull’Opera in generale e sopra ciascuno di noi in particolare.

1) – Quanto so e posso vi raccomando di riempirvi tutti dello spirito puro e genuino dell’Opera, che è lo spirito di Gesù, lo spirito del santo Vangelo, vissuto e praticato interamente, e senza compromessi e arbitrarie interpretazioni, “sine glossa”, come tante volte vi ho ripetuto.

Ravvivare nel mondo la fede nella paternità di Dio, la fiducia e il figliale abbandono nella sua divina Provvidenza: ecco il fine speciale della nostra Opera, ecco il principale nostro dovere. Ma non possiamo ravvivare nel mondo questa fiamma, se prima non arde in noi. Ricordatevi che tutte le nostre opere devono manifestare questa fiducia e questo abbandono nella divina Provvidenza. Che nessuno dei Poveri Servi ponga la sua fiducia più nei mezzi materiali che nella Provvidenza. Ricordatevi che Gesù non ha detto: senza i mezzi non potete far niente, ma bensì: “senza di me non potete far niente!” Abbiate dunque fede che, se noi saremo fedeli al nostro programma: “Quaerite primum Regnum Dei”, il resto ci verrà dato in aggiunta.

2) – Vi raccomando tanto la vita interiore; chi non la possiede rassomiglia a un corpo senz’anima. Vita interiore; quindi le pratiche di pietà; per amore di Dio non trascuratele mai, lasciate tutto, ma non lasciate le pratiche di pietà. Siate puntuali; se non avete potuto farle o siete arrivati in ritardo, fatene l’accusa; sia oggetto del vostro rendiconto la fedeltà o meno alle pratiche di pietà.

Per questo guardatevi dalle troppe occupazioni, che un po’ alla volta vi distoglierebbero dall’attendere seriamente alla vostra anima. Anche per noi vale il monito di Gesù: “che giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo, se perde la sua anima?”

3) – Ho testé nominato il rendiconto di coscienza; quanto anch’esso è necessario per eliminare molti inconvenienti che derivano dal non farlo regolarmente! I fratelli lo facciano al proprio Superiore e il Superiore locale lo faccia al vostro Padre almeno ogni tre mesi, dando conto di tutti i fratelli. Siate libri aperti coi vostri Superiori, non abbiate timore di manifestarvi ad essi, perché troverete sempre in loro dei fratelli, degli amici, dei consiglieri che tanto vi amano nel Signore.

4) – Altro punto importante è l’osservanza del silenzio, poiché da tale osservanza si può arguire il buono o cattivo andamento di una Casa Religiosa.

Soprattutto vi raccomando il silenzio maggiore. Arrivata l’ora stabilita, ognuno si ritiri al proprio posto e regni dovunque il più assoluto silenzio delle persone e delle cose. I Superiori delle singole Case ne siano santamente gelosi e non lascino mai di inculcarlo e di richiamarlo ogni qualvolta ce ne fosse bisogno.

Ricordatevi che nel silenzio il Signore parla. Uno che fa troppo chiasso, non può ascoltare la sua voce. “Io condurrò l’anima nella solitudine, e parlerò al suo cuore”.

5) – Altro punto delicatissimo è l’osservanza della clausura. I Superiori locali non permettano o tollerino abusi su questo punto. Come sapientemente prescrivono le nostre sante Costituzioni, si comunichi con le Sorelle attraverso le ruote e gli sportelli. non si entri nei reparti riservati alle Sorelle senza espressa licenza, anche quando uno dovesse entrarvi per eseguire qualche lavoro.

Si parli con le Sorelle solo per ragioni d’ufficio, limitandosi anche allora allo stretto necessario; con esse si parli sempre con il massimo rispetto, con tutta la carità, ma senza nessuna affettazione. Nessuno si fermi a mangiare in cucina, nessuno entri in guardaroba per fare o ricevere commissioni. Per amor di Dio, tenete nel massimo conto queste importantissime raccomandazioni, e guardatevi anche dal minimo sentore, dalla minima apparenza del male.

6) – Raccomando a tutti di non leggere giornali o riviste poco o punto convenienti a persone religiose; in particolare non permettetevi di sfogliare riviste mediche, riviste e giornali illustrati messi a disposizioni dei clienti nei salotti d’aspetto.

7) – Desidero che tutti si attengano alle seguenti norme circa la cura delle vesti e della persona. La biancheria personale sia confezionata secondo le norme della più delicata modestia, sia per i Religiosi come per i ragazzi. A questi non si permetta di indossare la semplice canottiera, mutandine e calzoncini troppo succinti.

Ai Fratelli raccomando di non comparire mai davanti agli altri con le maniche della camicia corte o rimboccate fino alle spalle; si usi piuttosto un camiciotto leggero.

Per i vestiti dei nostri Religiosi non si provvedano stoffe eccessivamente costose, non essendo questo conforme alla povertà che professiamo.

A tutti i Religiosi è proibito coltivare i capelli secondo l’uso mondano; senza uno speciale permesso nessuno tenga il ciuffo; così pure nessuno usi per i capelli sostanze profumate o adoperi saponi odorosi o tenga l’orologio a polsino; al Povero Servo s’addice la nettezza della persona, che pure tanto raccomando, la proprietà del vestito e la massima semplicità in tutto.

Analogamente, anche ai ragazzi non si permetta l’uso di certe superfluità che disdicono alla povertà della Casa dalla quale tutto ricevono, come l’uso dei profumi, gli occhiali neri quando non ve ne sia la necessità, occhiali sagomati e con montature di lusso, scarpe e vestiti troppo eleganti, ecc.

Quanto a voi, miei cari ed amati fratelli, queste ed altre superfluità, certi gingilli e oggetti di lusso, ricordatevi che sono affatto contrari alla santa povertà; fate quindi una diligente rivista e, se trovate di averne, portate ogni cosa al vostro Superiore, facendone così un bel sacrificio al Signore.

8) – Ai Superiori locali raccomando di non ammettere facilmente persone estranee nella intimità della famiglia religiosa, ad es. in refettorio; di non concedere ai fratelli qualunque permesso, come di fare una gita o un pellegrinaggio lontano, di visitare i parenti, tranne il caso di una brevissima visita occasionale, oppure di una malattia grave di qualche stretto parente o simili.

Anche durante le vacanze estive non si permettano passeggiate o escursioni che obbligano di pernottare fuori di Casa.

9) – A tutti, ma specialmente ai Sacerdoti, raccomando discrezione nell’uso della bicicletta.

Senza uno speciale permesso nessuno deve permettersi l’uso e l’acquisto di biciclette motorizzate. Ricordatevi che non è e non può essere visto bene il Religioso e specialmente il Sacerdote quando usa mezzi di trasporto che i poveri non possono procurarsi.

10) – Raccomando ai Sacerdoti in cura d’anime di non recarsi a visitare le famiglie se non per giusta esigenza del ministero pastorale. Non accettino inviti a pranzo, non regali che legano sempre le mani e spesso anche il cuore. E’ necessario oggi più che mai che il Sacerdote non scenda dall’altezza alla quale il Signore lo ha elevato, perché gli occhi di molti sono rivolti a lui, e tutti esigono che egli sia diverso dagli altri uomini.

11) – Penso che non a caso la Provvidenza ha disposto che all’Opera siano affidate ben sette parrocchie; vuol dire che il Signore per loro mezzo vuol compiere qualche speciale disegno. Voi sapete quanto mi stia a cuore che nelle Parrocchie siano abolite tutte le tariffe: “Gratis accepistis, gratis date”. Che non vi sia distinzione di classe fra ricchi e poveri, sia nei funerali che nei battesimi e nei matrimoni. Miei cari ed amati figlioli, cominciate voi a dare esempio, e se vi sono difficoltà, fate di tutto per risolverle. Nelle riunioni sacerdotali poi, dite francamente qual è lo spirito dell’Opera e il vostro sentimento su questo punto. Così ogni parrocchia dei Poveri Servi diventerà faro di luce evangelica, e voi, con il divino aiuto, comunicherete quel santo contagio, che suole provocare l’esempio, nonostante critiche e contraddizioni, che di solito verranno da chi meno si crederebbe.

Su questo punto spero di mandarvi norme pratiche e precise, sul come dovrete comportarvi; pregate anzi per questo.

12) – Ma rivolgendovi a voi come Parroci, mi sento di farvi anche un’altra raccomandazione sul così detto cinema parrocchiale. Quando penso alle gravi parole del Sommo Pontefice Pio XI, allorché accenna alla “strage di anime giovani (operata dal cinema), a tante innocenze che si perdono proprio nelle sale cinematografiche”, provo come una stretta al cuore, ed è con le lagrime agli occhi che vi prego e vi scongiuro di non prendere alla leggera questo gravissimo problema del cinema.

Ricordatevi che di ogni pellicola rappresentata assumete voi la responsabilità; per amor di Dio, che alle anime non offrano un veleno micidiale proprio coloro che sono chiamati a prestare solo medicine salutari. Non venite a compromessi che né la coscienza né il Vangelo potrebbero giustificare; siate intransigenti e non lasciatevi adescare dall’interesse.

A tutti i Religiosi poi raccomando di non recarsi ad assistere a rappresentazioni cinematografiche, sia pure nelle sale parrocchiali.

13) – A tutti raccomando di rimanere fedeli alle tradizioni e consuetudini dell’Opera in generale, e di ciascuna Casa in particolare. Non deve il Superiore locale cambiare senza giusto motivo e senza essersi prima consigliato; trattandosi di innovazioni importanti, ricordatevi che dovete domandare e ottenere l’approvazione e la benedizione del vostro Padre.

14) – In fine vi raccomando tanto di amare e aiutare S. Zeno in Monte, “terra santa e benedetta”, come dissi l’ultima sera dei primi Esercizi. Non guardate solo ai rami, ma al tronco; non fatevi delle chiesuole, guardate al Centro, che è la Casa Madre, la quale più riceve e più dà.

Ecco quello che mi son sentito di dirvi in questa circostanza, miei cari ed amati fratelli. Fatene tesoro, rileggete spesso queste mie povere parole e procurate di conformare ad esse la vostra condotta. Sarà questo un bel mezzo per conservare il frutto dei Santi Esercizi, che in quest’anno mi pare abbiano avuto una nota tutta speciale.

Fatevi santi, o meglio dirò facciamoci tutti santi, per salvare e santificare le anime, che saranno in cielo il nostro gaudio e la nostra corona.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità grande delle vostre preghiere; ne ho estremo bisogno per la mia povera anima, così vicina ormai alla grande chiamata.

Più col cuore che con la mano vi benedico.

PS. – Queste norme desidero siano lette in ogni ritiro mensile.

* LETTERA LXXVIII 18 novembre 1952

Miei cari ed amati fratelli

Qui ai piedi del mio Crocefisso, vado pensando a quanto il Signore vuol bene all’uomo, e quanto fa per attirare tutti al suo amore.

Ogni tempo ha le sue caratteristiche, i suoi contrassegni distintivi, che segnano il progresso compiuto dall’uomo nel cammino dei tempi.

Pensiamo come l’uomo lavorava la terra nei tempi antichi e come la lavora oggi: quale progresso! Oggi la macchina facilita il lavoro, toglie quasi del tutto la fatica; oggi un uomo solo fa quello che una volta dovevano fare in venti.

Quanti progressi materiali in ogni attività umana! Dal carro primitivo al treno gigantesco, dalla carrozza all’automobile, dalla barca al transatlantico, all’aeroplano… E’ tutto un progresso ammirevole, che l’uomo ha compiuto valorizzando quell’ingegno che Iddio gli ha dato. Tutto dono del Signore adunque, perché l’uomo apprezzi la bontà del Signore, e corrisponda ai divini disegni.

L’umanità nei singoli tempi e periodi, usa quei mezzi che la Provvidenza fornisce; gli uni devono valorizzare i mezzi primitivi, gli altri quelli perfezionati, noi le macchine svariatissime che il nostro tempo ha realizzato. Ciascuno deve vivere il suo tempo; ciascuno deve rendere conto di ciò di cui dispone.

Questo nell’ordine materiale: grandi giganteschi progressi segnano il tempo nel quale siamo chiamati a vivere. Che grandi doni! e sono per la vita presente, sebbene sia vita di esilio, e di essere decaduti per la colpa.

Ora quello che succede nell’ordine materiale, quanto lo dobbiamo realizza renell’ordine soprannaturale!

E’ proprio qui che mi preme attirare la vostra attenzione di Poveri Servi, o miei cari fratelli. L’ordine morale ci interessa molto di più di quello materiale. Ora, anche in quest’ordine morale la Provvidenza ha fornito all’uomo tanti mezzi, adeguati sempre ai tempi. Così in questi tempi passati, di pari passo con il progresso materiale, sono sorte Opere di bene, che, quali macchine meravigliose, compiono gli svariatissimi disegni d’amore del nostro Iddio verso gli uomini.

Il nostro secolo si può dire che è arrivato al colmo per aiutare le anime e indirizzarle alla vita soprannaturale.

E, fra la varie opere, in questo nostro tempo il Signore ha suscitato l’Opera dei Poveri Servi, con una finalità appropriata alle esigenze moderne, che richiedono in modo tutto speciale la pratica piena e semplice del Vangelo.

Tante volte l’ho detto, e voi già ne siete persuasi per una lunga esperienza: l’Opera ha relazione intima coi tempi attuali; ha disegni tutti propri da compiere. A noi il Signore ha affidato questa sua Opera, che direi potente macchina spirituale, per il progresso morale dei fratelli. Tutte le opere sono buone e belle; ma tutte hanno un loro spirito particolare. L’Opera dei Poveri Servi ha il suo, caratteristico, che noi dobbiamo tenere in piena efficienza, se vogliamo corrispondere e farci santi, per compiere i disegni e fini propri dell’Opera stessa; ricordiamolo bene.

Il Signore ha i suoi tempi e le sue ore; potrebbe da un momento all’altro venire a fare il “collaudo” della sua macchina. Con quanta diligenza si preparano le macchine terrene per il collaudo! Attenzione di qua, attenzione di là, perché ogni pezzo sia a posto, ogni ingranaggio funzioni bene, ogni ruota giri a perfezione. Altrettanto deve essere di noi, che dalla divina Provvidenza siamo stati chiamati ad essere i ‘pezzi” di questa macchina spirituale che è l’Opera dei Poveri Servi. Per amore di Dio cerchiamo di essere bene a posto, perché il divino collaudatore possa essere contento di noi, e adoperarci per i suoi disegni.

Se una macchina al collaudo non risponde bene, la si rifiuta e si ricorre ad altro. Guai a noi se il Signore, non trovandoci quali dobbiamo essere, dovesse rifiutarci! Egli, certamente, compirebbe lo stesso i suoi disegni, ma senza di noi! che responsabilità grande per il Povero Servo! E che premio grande invece, se saremo trovati bene a posto, e degni di attuare qualche disegno provvidenziale per l’ora presente! Che fortuna sarà la nostra! Cerchiamo di meritarla, o miei cari.

Apparentemente il nostro programma ha dei punti che sono in netto contrasto con la prudenza ordinaria; qualche volta vi dico: l’Opera è il rovescio del mondo; ha i suoi fondamenti non in terra ma in Cielo. Ed è vero; ma è vero che tale l’ha voluta il Signore; ed il Signore non si smentisce mai. Fede in Dio, Padre nostro, o miei cari! se saremo fedeli al programma, la promessa di Dio si avvererà per noi, e faremo tanto bene, specie in quest’ora.

Quanta importanza si dà alla parola degli uomini in terra! e va bene. Ma quanta più ne dobbiamo dare a quella del Signore! Crediamo dunque al Signore; fidiamoci della sua parola. Ogni parola di Dio è – lasciatemi passare l’espressione – consacratoria, sacramentale: opera quello che dice.

Certo: Iddio non ha fretta; ha davanti a sé l’eternità. Quindi matura i suoi disegni gradatamente, poco alla volta: è il sigillo delle opere di Dio.

Crediamo, dunque, tutte le parole del santo Vangelo; onoriamo Iddio con questa fede piena e generosa. Non sia per noi il lamento del Signore: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”.

Viviamo, quindi, il nostro tempo, o miei cari; lavoriamo nella nostra Opera, valorizzando la santa vocazione di Poveri Servi. “Non multa sed multum” è un motto che fa per noi. Non ci allettino le molteplici attività, a scapito della vita interiore: quanto so e posso, ve la raccomando tanto questa vita interiore, di unione con Dio: è la base indispensabile di ogni apostolato. “Sine me, dice Gesù, nihil potestis facere: senza di me, nulla potete fare”. Se facciamo da noi soli, senza il Signore, sarà cosa che svapora presto.

Facciamo di gran cuore quel poco che la Provvidenza ci assegna; e avremo collaborato con tutti gli altri nel divino lavoro per il progresso dell’umanità nella via di Dio.

Sempre, ma specialmente adesso, l’umanità è come una sola famiglia, che tende a unirsi sempre più e a mantenersi strettamente unita.

La teoria dei vasi comunicanti si applica anche nella vita morale e spirituale; facendo la nostra parte per quanto piccola in apparenza, noi siamo in comunicazione con tutti coloro che operano nella Chiesa di Dio, e compiamo i divini disegni. Tutto è grande nell’Opera del Signore; nulla è piccolo quando si fa ad onore della Maestà infinita di Dio. Basta farlo bene; basta farlo nello spirito del Signore, sorretti e guidati dalla sua grazia.

L’esempio di Gesù Cristo ci sia sempre davanti agli occhi; non disdegnò di essere povero operaio, Egli che era il Figlio di Dio!

E qui lasciate, o miei cari, che vi raccomandi ancora una volta di dare molto peso, il primo posto, alla vita interiore “senza di me, dice Gesù, non potete fare nulla”. Mettiamocela bene in mente la parola di Gesù, e prendiamola per nostro programma. I Santi, oh, come maturavano i grandiosi disegni di opere immortali! dove e come? ai piedi del Crocefisso, davanti al Tabernacolo, nelle preghiere prolungate, nei digiuni e austerità. Ecco il segreto della loro riuscita. Il Signore è sempre Lui: vuole essere servito oggi come ieri; imitiamo dunque i Santi e faremo cose grandi.

Fidiamoci del Signore; ve lo ripeto. crediamo al Signore con fede ferma, incrollabile, semplice.

Mi viene in mente un caro episodio letto anni fa. Una nave è in preda alla tempesta; tutti i passeggeri sono in ansia e trepidazione per l’imminente pericolo di naufragare. Eppure fra tutti i terrorizzati, c’è un bambino che in un angolo della nave sta giocando, senza nessuna paura. – Come?! tu giochi? non hai paura. – C’è mio padre che guida la nave; son più che sicuro.

Cari ed amati fratelli: al timone della nave c’è il nostro celeste Padre; di che temere? Verranno le tempeste, le difficoltà; niente paura! il timoniere non fallirà il suo compito; e noi giungeremo sicuri al porto dell’eterna salute.

Siamo in viaggio per il Cielo, o miei cari; la nostra vita è orientata lassù; conoscere, amare, servire Iddio in terra, possederlo eternamente in Cielo, ecco ciò che importa, quello che dà valore alla vita. Tutto il resto non vale nulla. Teniamo fisso lo sguardo al Paradiso; e lavoreremo meglio qui in terra, vivendo il nostro tempo, attuando i divini disegni di bene spirituale per i tempi attuali.

Ricordiamo pure il fine principale dell’Opera come è nelle Costituzioni: manifestare al mondo che Dio è Padre, e che governa la nostra Opera con la sua Provvidenza. Dunque, cominciamo noi a tenerlo per nostro Padre: affidiamoci a Lui con fiducia di figli.

L’atmosfera di Dio, nella quale dobbiamo lavorare, è quella della Fede, della Grazia, della Orazione. Non lasciamoci adescare da quel certo spirito che preferisce una atmosfera di razionalità, di attivismo, di accomodamento al mondo.

Volgiamo il nostro sguardo alle creature abbandonate che il Signore ci affida; dobbiamo lavorare attorno a loro per formare buoni padri di famiglia, bravi ed onesti operai. Con la grazia del Signore abbiamo veduto e vediamo frutti consolanti in molti cari ex-allievi, che, usciti dalla Casa, hanno fatto onore alla educazione ricevuta. Per parte nostra cerchiamo di fare il possibile perché tutti riescano così.

E’ questo uno dei compiti assegnati dalla Provvidenza; oh, quanto nobile questo compito!

Lavoriamo con cuore generoso: tutto è grande nell’Opera: scopa, scuola, economato, sacerdozio… Niente è piccolo nella Casa di Dio, quando siamo illuminati dalla fede.

Siamo “pusillus grex”: umili, poveri servi, che fanno quello che il Signore vuole. Saranno per noi le consolanti parole di Gesù: “Non temete, piccolo gregge, ché piacque al vostro Padre affidare proprio a voi il regno”.

Regno di Dio qui in terra, per il bene che faremo e per le anime che salveremo; regno di Dio in Cielo, per il premio e la ricompensa che riceveremo lassù, per quel po’ di servizio fedele che avremo generosamente compiuto in questi quattro giorni di vita terrena.

Teniamo di vista il Paradiso; camminando in terra, guardiamo in Cielo. Terra e Cielo: ecco il fondamento per vivere bene e farci santi. “Che importa guadagnare anche tutto il mondo, se perdessimo la nostra anima”?.

Siamo generosi col Signore! Sacrifichiamo tutto per Lui, per le anime, per il suo regno. “Che importa perdere anche tutto il mondo, se salviamo la nostra anima?” Questo pensiero devono averlo tutti gli uomini, perché tutti abbiamo avuto la vita presente per conoscere, amare e servire il Signore e così salvare l’anima nostra. Ricordiamo sempre le parole di Gesù: “Che giova all’uomo guadagnare anche tutto il mondo, se poi perde la sua anima?” Queste parole mi sono sgorgate dal cuore.

Pregate sempre per me, che di gran cuore vi benedico.

Cari ed amati fratelli, ritorno al pensiero donde sono partito: viviamo il nostro tempo. Ringraziamo il Signore, che ci ha chiamati a vivere e a lavorare per la beata eternità.

Ogni uomo deve valorizzare le grazie che riceve nel suo tempo; quanto più il Povero Servo, chiamato a una vocazione così speciale e santa! Guardiamo o miei cari, di far bene, perché la macchina, che è la nostra Opera, si trovi sempre in piena efficienza.

Pregate per me che di gran cuore vi benedico.

* LETTERA LXXIX 16 marzo 1953

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Ai piedi del mio Crocefisso ho letto e riletto una lettera che un nostro caro Confratello di Roma mi ha inviato. Ho provato tanta consolazione e commozione nel sentire come i miei figli lontani vivano lo spirito puro e genuino dell’Opera, ricevendone in compenso grazie speciali di luce e di forza, tanto necessarie per il difficile campo del loro apostolato. Ed è sempre la luce dell’Opera, faro luminoso posto da Dio sul monte, che si diffonde in quest’ora terribile, e a poco a poco va compiendo gli speciali disegni che il divin Fondatore già le ha affidato.

Sento proprio il bisogno di far conoscere anche a voi, perché ne facciate oggetto di meditazione, quello che mi è stato scritto, perché sento nell’intimo del mio cuore che è parola ispirata e dettata dallo Spirito Santo. Per amor di Dio, vi scongiuro, in visceribus Christi, fatene tesoro, traducetela in pratica; è il Signore che parla e si serve di tutti e di tutto per richiamarci. Sono i pensieri che io, umile Casante dell’Opera di Dio, ho cercato sempre di infondere nei vostri cuori, in tanto tempo che parlo, che esorto, che scongiuro, opportune et importune, ego vinctus in Domino, in mezzo alla mie sofferenze continue, affinché i miei figli, i Poveri Servi, vivano lo spirito dell’Opera, sine glossa, ad literam!

Ecco cosa mi scrive:

“Amatissimo Padre,… è parecchio ormai che non Le scrivo: non mi scuso, perché so quanto Lei, Padre, comprende la nostra situazione e il molteplice lavoro – data anche la scarsità di personale – in cui siamo impegnati.

Dato che ora ho un momento di tranquillità, vorrei venerato Padre, manifestarLe alcuni pensieri che di continuo occupano la mia mente, sia pure in mezzo alle svariate e, tante volte, opprimenti occupazioni.

Vivo insieme con tanta povera gente: nelle miserabili abitazioni, negli incontri, nell’ufficio parrocchiale e condivido ormai gioie e sofferenze, più sofferenze che gioie.

Torno ora dalla visita a una povera donna, mamma di famiglia, ammalata di TBC, con una figliola da preventorio ed il marito in prigione, la quale essendo sprovvista di libretto di povertà, è costretta a pagare medico e medicine… è l’ultimo dei tanti casi che incontro ogni giorno.

… Ogniqualvolta lascio la canonica e visito la borgata e raccolgo le voci, gli spasimi, le angosce ed il martirio di quei fratelli, torno a casa con il cuore afflitto ed il martirio loro diventa il mio martirio.

Ed il dolore più grande lo provo quando penso che io non posso far niente o poco per alleviarli; in quei momenti di sconforto mi getto ai piedi del Tabernacolo e dico tutto a Gesù, e ho dei fatti che la preghiera non è inutile.

Quante famiglie condannate alla miseria, alla fame, alle malattie, alla sofferenza!

Quale contrasto poi si sente, quando si entra in Roma! Là, leggerezza, mondanità, egoismo, sperpero, soddisfazioni, capricci, ogni comodità ed ogni ritrovato per rendere più lieta e più splendida la vita: qui si lotta per la vita.

Allora mi chiedo: dov’è il cristianesimo?

… Ma la colpa è tutta nostra, che non sappiamo vedere Cristo nel cencioso e nel miserabile; la colpa è tutta nostra, perché nel sofferente non vediamo più la perpetuazione della passione di Cristo: e, perduta questa visione soprannaturale, ci siamo allontanati e abbiamo lasciato libero il campo a Satana per le sue facili conquiste.

Noi cristiani abbiamo una Dottrina, dei principi così umani, così aderenti all’uomo, con cui potremmo debellare con tutta facilità l’opera nefasta di Satana. Cristo nel fratello! Non si tratta più di un essere inidentificato, ma di un uomo che porta nella sua carne l’effige di una personalità divina: Cristo! Un appartenente alla mia stessa famiglia, carne della mia carne. E’ inutile che noi vogliamo sconfiggere il comunismo a tavolino o ricorrendo all’apologetica: sarebbe come se un generale tracciasse i piani dell’offensiva senza dar ordine ai soldati di attaccare; occorre affrontarlo il comunismo e incontrarsi con questo sul campo di battaglia, ma finché i cristiani non faranno quello che i comunisti promettono, la battaglia sarà sempre perduta.

Da parte nostra, con il povero occorre sempre molta comprensione, comprensione che è frutto di fede – vedere Cristo nel povero: ed è frutto di un illimitato amore – virtù che ci fa amare anche se non vi è niente di amabile all’apparenza. Oh! se noi sapessimo che ci sono dei cuori che ci vogliono bene!

Mi pare che questa rivoluzione spetti proprio a noi Poveri Servi di compierla. Il nostro spirito è scaturito dalle fonti genuine del santo Vangelo: l’Opera dei Poveri Servi vuole essere copia vivente del Vangelo. C’è bisogno di questo lievito nel mondo e di questo Lei, amatissimo Padre, ne parla di continuo nelle Sue lettere. Ma come c’è bisogno di non allontanarci da questo spirito! Lo comprendo in questo momento più che mai, e come capisco le Sue ansie per tenerci legati a questi santi principi! Guai a noi!

Lo trasmetteremo questo spirito al mondo in proporzione di quanto lo possederemo noi. L’Opera, che è partita scegliendo come campo preferito i “rifiuti di tutti”, deve rimanere qui; il Povero Servo deve essere pieno di comprensione, vicinissimo spiritualmente e fisicamente a colui che soffre, deve raccogliere le angosce, farle sue, mettersi perfettamente sullo stesso piano dei rifiutati e dividerne le ansie e i dolori, vivere povero con il più povero.

L’Opera possiede tutto questo corredo: Paternità di Dio, uguaglianza perfetta tra i membri della Famiglia, preferenza per i più disgraziati divenuti padroni; amore senza misura, “stofegarli de carità”. Quanto è sublime questo spirito! Io credo nell’onnipotenza dello spirito dell’Opera, che è né più né meno che lo spirito del Cristianesimo.

Vale la pena di sacrificarsi nel vivere così, quando si pensa alle benefiche conseguenze che opererà questa forza viva. Scusi, amato Padre, se mi permetto di dire un mio pensiero: secondo me, l’Opera conserverà la freschezza della sua vitalità solo se rimarrà sempre tra i più miserabili, tra gli scarti, negli ambienti rifiutati dagli altri; se invece, prima di accettare un luogo di apostolato (missione), faremo i nostri calcoli umani, l’Opera s’imborghesirà e finirà con il perdere la sua meravigliosa fisionomia.

Le chiedo scusa della lunga chiacchierata; per me era necessaria: in fondo, un figliolo può dire i suoi pur poveri sentimenti al Padre, e mi perdoni: io desidero solo di essere ricordato al Signore, per vivere da Povero Servo…”.1

Sì, è vero, non dobbiamo andare avanti con calcoli umani, ma nella luce divina del “Quaerite primum”. Ricordatevi che la Chiesa è Cristo, Cristo è l’Opera, la Chiesa quindi è l’Opera. Satana freme; che importa a lui del comunismo, della guerra, del mondo! l’unica paura è la Chiesa; quindi l’Opera, che egli vorrebbe non quale il Signore l’ha fatta.

State ben attenti tutti a non travisare il pensiero di Dio; niente aggiornamenti fuori del Vangelo; le nostre mire siano davvero sempre per i poveri, per i più poveri, per i più abbandonati, per i più sprovvisti di mezzi. Se ci fosse da fare una scelta, si dia sempre la preferenza a quelli che sono sprovvisti di ogni umano appoggio: dove mancano gli uomini, interviene sicuramente la Provvidenza del Padre Celeste; il “Quaerite primum” esige anche questo!

L’Opera, nata nel Costato di Cristo, deve vivere dei palpiti di quel Cuore divino che pulsava per gli infelici, per i poveri… “Evangelizare pauperibus misit me”!

E se questi nostri cari confratelli si sentono abbandonati dagli uomini, che sentano almeno che noi siamo uniti a loro, con la preghiera, con l’aiuto, con la carità. Dobbiamo sentirlo questo desiderio di profonda unione e comprensione fra noi. Dobbiamo formare un tutt’uno un solo blocco, come uno è il Corpo Mistico di Cristo. Per carità che Satana non trovi fessure, screpolature per infiltrarsi e rovinare le opere di Dio! E’ sempre stata per me una spina angosciosa il pensare che forse tra noi non ci sia una unione perfetta, tutta quella comprensione tra Superiori e fratelli, quale è assolutamente indispensabile per compiere i disegni di Dio nell’ora attuale.

State uniti nell’osservanza perfetta dei voti, nella confidenza col vostro Padre, nello sforzo continuo e incessante verso la perfezione, fedeli sempre alla divina nostra vocazione.

Sono tanti anni che ho la grazia di servire il Signore, eppure, ve lo dico in confidenza, ogni giorno, quando indosso la mia veste sacerdotale, ancora da quando la indossai la prima volta, la bacio con gioia nuova e ogni sera recito un’Ave Maria per la perseveranza nella santa vocazione. E voi pregate sempre per me, perché il Signore giudica totaliter aliter dagli uomini: che io non sia come uno di quei cartelli indicatori delle strade, che indicano la via, ma non si muovono mai e mai arrivano dove indicano.

Vi ripeto ancora: siate fedeli e generosi. Guai se qualche Povero Servo tradisse in se stesso la missione che Dio, Padrone assoluto, ha affidato all’Opera! mio Dio quale responsabilità!

Vi parlo nella luce della eternità, siate santi, siate in efficienza; il Signore Gesù sta passando in revisione la macchina pezzo per pezzo; chi non è a posto, sarà scartato e sostituito. Non date un tale dispiacere al Signore, non date un tale dolore al vostro Padre, che tutti vi pensa, tutti vi porta nel cuore e tutti ad uno ad uno vi segue con trepida ansia.

La Madonna ci aiuti ad essere fedeli, come fu Lei, alla nostra sublime vocazione.

* LETTERA LXXX Verona, Festa di S. Giovanni 1953

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre nei nostri cuori e li infiammi del divino amore.

Vi porto sempre nella mente e nel cuore, e ringrazio la divina Provvidenza che ci ha uniti in quest’Opera, che è tutta del Signore nel più vero senso della espressione, perché Lui l’ha fondata, diretta, sostenuta materialmente e più ancora spiritualmente, dandole la grazia di fare del bene a tante e tante anime lontane e vicine. Quale dono, miei cari fratelli, e come dobbiamo essere riconoscenti e domandare al Signore l’aiuto e la forza di vivere lo spirito puro e genuino, spirito che Gesù ha messo fin da principio e che è condizione indispensabile perché si possano compiere i nuovi disegni, tutti propri della grande ora che attraversiamo!

Come sapete, da qualche tempo la mia salute lascia al quanto a desiderare; per me è un continuo richiamo e ammonimento a tenermi pronto per la grande chiamata, per voi un invito a pregare tanto, ma proprio tanto per me, perché ho estremo bisogno prima per la mia povera anima, poi anche perché il Signore mi dia la forza di compiere in tutto e sempre la sua santa volontà, accettando generosamente quello che Gesù vuole da me in quest’ultimo scorcio della mia povera vita.

Amati fratelli, teniamoci tutti preparati e pronti, affinché quando per ciascuno di noi suonerà l’ora solenne della divina chiamata, possiamo rispondere il nostro “adsum: presente!” con lo spirito puro e genuino integralmente vissuto.

Vorrei dirvi tante cose, miei cari ed amati fratelli, ma comprendo tutto in poche parole: mi pare di sentire che andiamo incontro a delle grandi prove, che tuttavia serviranno al compimento dei divini disegni, tanto più se impreziosite dalla nostra generosa accettazione della divina volontà. Sarà la sicura vittoria per noi, o dirò meglio, del Signore stesso in noi.

Tutti, ma specialmente sacerdoti e religiosi, e ancor più noi Poveri Servi, dobbiamo tenere fisso nella mente che sempre, ma particolarmente in quest’ora, quello che assicura la vittoria è il Vangelo messo in pratica sine glossa e senza compromessi. Mano all’Opera dunque, per farci santi e corrispondere così alla nostra grande vocazione; solo così gioveremo alla salvezza di tante anime, e compiremo i divini disegni e metteremo al sicuro la nostra anima, la nostra eternità. Non dimentichiamo mai che la vita presente ha la sua ragione di essere solo in ordine alla vita futura; tutti abbiamo un’anima da salvare. “Che giova all’uomo guadagnare tutto il mondo, se perde la sua anima?”. Queste verità, ricordiamolo bene, sono per gli altri, ma anche per noi, sacerdoti e religiosi, anche per noi Poveri Servi!

Vi scrivo queste parole come un mio spirituale testamento; fatene tesoro, o miei cari, affinché ci possiamo un giorno trovare insieme uniti nel santo Paradiso. Come saremo contenti di aver lavorato in quest’Opera, quanto godremo del premio eterno ed infinito che Gesù ci ha preparato! Coraggio, miei cari ed amati fratelli, facciamoci santi, ma sul serio!

Paternamente vi ringrazio delle preghiere che son certo e sicuro voi farete per me nella cara ricorrenza di S. Giovanni mentre più con il cuore che con la mano vi benedico.

* LETTERA LXXXI Verona, 21 luglio 1953

Miei cari ed amati fratelli

La grazia di Gesù benedetto sia sempre con noi tutti, e ci ispiri generosi propositi di sempre miglior servizio a Dio e alle anime.

Qui davanti al mio Crocefisso, penso e ripenso a voi; vi vedo intenti alle vostre mansioni, animati da zelo per il bene del prossimo, per la santificazione delle anime. Oh, quanto grande è la vocazione di Povero Servo! più vado avanti e più mi convinco che il Signore ci ha fatto una grazia specialissima di predilezione chiamandoci nella sua Opera. Ma quale responsabilità pesa su noi, o miei cari, di corrispondere nello spirito puro e genuino impresso dal Signore! Beati noi se ci sforziamo di essere all’altezza della vocazione, e di essere degni della fiducia che il Signore ha riposto in noi per l’avvenire dell’Opera stessa!

Procuriamo dunque di far bene, di camminare nella via della santità religiosa; è tutto nostro interesse, ed è interesse delle anime che il Signore ci ha affida.

Due cose in particolare vi raccomando: la vita interiore e lo studio delle sante Regole. Sono i due mezzi sovrani per corrispondere alla santa vocazione e fare tanto bene, come vuole il nostro stato.

La vita interiore: non sarà mai raccomandata abbastanza; se per tutti i cristiani Gesù ha detto: “senza di me non potete far niente”; quanto più per noi religiosi, chiamati a lavorare per le anime! Potremmo faticare, sudare, consumarci in cento e mille attività; ma se manca la vita interiore, non concludiamo nulla, perché manca il contatto con il divino, e il Signore non può adoperarci come suoi strumenti.

Diamo perciò il primo posto alla vita interiore; teniamoci strettamente e intimamente uniti a Gesù Cristo con lo spirito di orazione, con fervido amore, che ci faccia pensare continuamente a Lui e ricorrere al suo aiuto, indispensabile perché il nostro apostolato sia fecondo.

Le sante Regole poi, sono la guida sicura del nostro operare; esse sono come le rotaie, il binario su cui deve correre il treno della nostra Opera. Abbiate un sacro rispetto per le Regole; vedete in esse la parola espressa di Dio; sotto un certo aspetto dovete venerarle quasi come le pagine del Libro divino. Leggetele, studiatele con amore, con desiderio di approfondirne lo spirito, e così diventare ogni giorno più Poveri Servi.

Cari ed amati miei fratelli, fate tesoro delle mie povere parole, che scrivo quali mi nascono dal cuore, per l’unico scopo della vostra santificazione personale e dello sviluppo di questa Opera del Signore. Iddio ha dei disegni suoi speciali da attuare in quest’ora grave, a bene delle anime. Voi sapete che fuori della Chiesa sono quasi due miliardi di uomini nostri fratelli; e anche quelli il Signore vuole salvare; ma, pure, guardate che mistero di bontà!. Egli guarda ai suoi eletti come se fossero i soli nel mondo, come non ce ne fossero altri! Gli è perché il Signore vuol servirsi degli eletti a vocazione speciale, per portare la salvezza nel resto del mondo, per conquistare tutta quella grande massa di suoi figli e nostri fratelli ancora lontani dalla luce del Vangelo.

Corrispondiamo fedelmente, generosamente, alla divina predilezione: all’infinito amore di Dio, cerchiamo di dare il contraccambio con tutto il nostro povero cuore, senza eccezioni, senza riserve. Oh, noi beati! avremo la pace e la benedizione di qua, pegno e caparra di quella felicità che tutti aspettiamo di là da questa vita che passa.

Prima di terminare lasciate che vi raccomandi una cosa di grande importanza. Vi raccomando sempre lo spirito puro e genuino dell’Opera; ora, che siamo nel periodo estivo, bisogna che stiamo attenti a non metterci per la strada comune riguardo alle vacanze e al soggiorno di riposo. Non vorrei che entrasse in noi la smania dei monti, del mare, delle gite, ecc. Il corpo ha bisogno sì del legittimo riposo e sollievo; ma attenti che non ne vada di mezzo lo spirito dell’Opera. Non sarebbe ben fatto che un Povero Servo accampasse pretese di vacanze, scegliendo lui il tempo, il luogo, la durata, ecc., costringendo così il Superiore a delle concessioni che non piacciono al Signore.

Se c’è un vero e reale bisogno, lo si fa presente con umiltà, e senza insistenze, abbandonandosi serenamente alla Provvidenza per ogni decisione. Il Povero Servo deve ricordarsi che non è un “padrone”, tanto meno nella Casa del Signore, dove unico Padrone è Gesù Cristo.

Per andare in montagna, o al mare, e tanto più a casa dei suoi, il vero Povero Servo si rimette ai Superiori, pronto e disposto a rinunciare alle sue vedute, e anche al sollievo, certo e sicuro che il Signore non mancherà di provvedere al suo benessere fisico anche con miracoli, se fosse necessario.

Siamo “servi”, siamo “poveri servi”; che varrebbe questo bel nome se non vi corrisponde la realtà? Se volessimo agire da padroni, da signori che si vogliono prendere tutte le libertà, tutti gli svaghi? Voi capite che saremo fuori di strada completamente; lo spirito sarebbe alterato, rovinato, compromessa l’Opera tutta, e compromessa la nostra personale santificazione.

Quindi, dopo aver molto riflettuto e pregato, mi pare di dover richiamare nel Signore qualche norma per regolare questa materia:

1) – Quando si tratta di colonie per i nostri giovani, il Superiore locale destina lui chi andrà per l’assistenza, e quanto tempo vi si fermerà, anche per stabilire una certa rotazione, senza compromettere l’andamento della Casa.

2) – Se non funzionano Colonie, il Superiore stabilirà con somma prudenza il tempo e il luogo e la durata del periodo di vacanza, quando lo ritiene utile alla salute dei confratelli.

3) – Di regola ordinaria, non si chieda di andare in famiglia per le vacanze; ne potrebbe andare di mezzo lo spirito religioso, e talvolta la vocazione stessa, come una lunga esperienza ormai ha dimostrato. Del resto, credetelo: le vostre visite alla famiglia sono più gradite e giovevoli quando non sono frequenti e non si protraggono troppo tempo; la permanenza prolungata diventa spesso un imbarazzo per la famiglia stessa.

4) – Andate in un luogo, con i debiti modi, si stia alle condizioni ordinarie, senza cercare soddisfazioni e divertimenti eccessivi. Non si creda il Povero Servo, per il fatto che è in permesso, di poter fare alto e basso, andare a destra e a sinistra, di qua e di là, magari lontano dal luogo di soggiorno… E’ cosa stonata questa smania di girare; il Povero Servo sta contento alle cose ordinarie, senza voler fare come gli “altri”, come i ricchi, lui che è povero.

In particolare, poi, raccomando di non allontanarsi dal luogo di soggiorno così da dover pernottare fuori casa, all’albergo o disturbando case private, canoniche, ecc.

5) – Sarà poi una cosa bella e santa cosa, molto gradita al Signore, che, prima di andare in colonia o in vacanza, si passi parola con i Superiori Maggiori, col vostro Padre, per aver la benedizione e l’approvazione, specialmente se si trattasse di viaggi fuori dall’ordinario, pellegrinaggi lontani, ecc. E’ molto importante, sapete, dipendere in questo, e non fare di propria testa. Né valga il pretesto che c’è un invito, che le spese sono pagate, ecc. Non si tratta di spese, ma di anime, e di spirito religioso, di umiltà pratica e di dipendenza figliale, che vale ben più dei soldi.

6) – Ospite in qualche casa, il Povero Servo si ricordi bene di tenere un contegno edificante, riservato, modesto: lo richiede il dovere dell’ospitalità, e più ancora lo stato di perfezione che professiamo.

Questo vale per tutti; ma più particolarmente per i sacerdoti nelle case canoniche, e dovunque vadano per ministero od altro.

In una parola voi capite il mio pensiero e la mia preoccupazione: da Poveri Servi che ci dichiariamo, non dobbiamo fare come tutti gli altri, che, finito l’anno scolastico, parlano già di vacanze, di mari e di monti, come cosa di ordinaria amministrazione, come cosa dovuta, come un diritto. Se le vacanze vengono, il Povero Servo ne approfitta come di un dono di Dio, sempre convinto, per altro, di non averne alcun diritto, quindi sempre pronto a stare fermo al suo posto se i Superiori non lo mandano in vacanza, e senza fare confronti con i suoi confratelli di questa o quella Casa.

Questo, per conto mio, è lo spirito puro e genuino che dobbiamo conservare integro e tramandare a chi verrà dopo di noi.

I Superiori, dal loro canto, abbiano zelo per la salute dei religiosi loro affidati e provvedano meglio che possono, sempre secondo lo spirito dell’Opera, perché non manchi ciò che è utile e opportuno. A tal fine si terranno in stretta relazione con la Casa Madre, sottoponendo a chi di ragione i loro progetti e la loro necessità.

Ed ora che vi ho aperto l’animo su cose assai importanti, vi raccomando tanto di pregare per me, che ne ho estremo bisogno.

Io sempre prego per voi e per quanto vi è caro sulla terra.

Di gran cuore vi benedico nel nome del Signore, augurando di essere veri Poveri Servi, degni della mercede che Iddio vi tiene preparata lassù.

* LETTERA LXXXII 10 agosto 1953

Miei cari ed amati figlioli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre con noi.

Voi sapete quanto mi stia a cuore l’unione e la mutua carità delle varie famiglie religiose fra loro e con la Casa Madre, essendo, questa, condizione indispensabile per vivere lo spirito puro e genuino dell’Opera. Ut omnes unum sint! Dobbiamo dar noi, Poveri Servi, I’esempio di questa unione e fusione di cuori, che tanta gloria procura a Dio e tanta edificazione a tutti quelli che ci osservano.

A favorire questa unione, molto giovano le visite canoniche dei Superiori, compiute personalmente oppure per mezzo dei loro inviati.

E’ proprio a questo fine e con questo mandato che ora viene a voi il caro Don Carlo Sempreboni, che voi riceverete come fossi io stesso e con l’autorità che compete al Visitatore, a tenore delle nostre sante Costituzioni (art. 266 e segg.).

Sempre vi ricordo, prego e benedico tutti e ciascuno di voi.

Vi raccomando tanto di disporre il vostro cuore a far bene i prossimi santi Spirituali Esercizi, affinché essi portino un rinnovamento di spirito in ciascheduno di noi e in tutta la diletta nostra Congregazione, che è tutta di Gesù.

Quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre preghiere. Più col cuore che con la mano vi benedico.

* LETTERA LXXXIII Verona, 31 agosto 1953

Miei cari ed amati fratelli

La grazia di Gesù benedetto sia sempre nei nostri cuori, e ci illumini su quello che dobbiamo fare per corrispondere sempre meglio alla vocazione.

Ieri sera il Signore ha disposto che vi dicessi una parola, quale mi nasceva spontanea nel cuore, come introduzione ai santi Spirituali Esercizi; ora, anche non essendo a voi presente fisicamente per i tanti miei incomodi di salute, pure vi sono presente e vicinissimo di spirito, particolarmente con questo mio scritto, che mi sento di rivolgervi in questo santo tempo.

Come vi ho detto, sono convinto che gli Esercizi del 1953 abbiano una loro importanza speciale, come speciale è l’Opera alla quale apparteniamo per una grazia di predilezione. Guardiamo dunque di farne tesoro, di approfittarne col massimo impegno. E il punto di capitale importanza, ricordatelo bene, è la nostra santificazione personale, secondo lo spirito puro e genuino dell’Opera. A questo sono indirizzati gli Esercizi; a questo dobbiamo indirizzare il nostro lavoro spirituale in questi santi giorni.

Miei cari ed amati fratelli, ogni Congregazione che il Signore ha suscitato e suscita nella sua Chiesa, ha la sua finalità propria; la nostra Congregazione dei Poveri Servi – voi lo sapete ormai, perché tante volte ve l’ho ripetuto – ha il suo spirito, impresso da Gesù stesso; tocca a noi mantenerlo puro e genuino, per tramandarlo agli altri che verranno. Quale responsabilità per noi, ma anche quale merito se corrispondiamo! compiremo i divini disegni in quest’ora grave e difficile della storia umana; coopereremo alla riforma del mondo, alla rinascita del mondo ad una vita veramente cristiana. Ma come potremmo fare questo, se non ci santificassimo prima noi? Ecco il punto che vi raccomando tanto e poi tanto di tenere in vista in questi santi giorni: santificare noi stessi per santificare gli altri.

Vi raccomando o miei cari fratelli, la vita interiore di unione con Dio; rinnovatevi nel fervore delle pratiche di pietà, per farle con sempre maggior frutto e ricavarne sempre nuova fiamma di amore di Dio, per riscaldarne anche i fratelli del mondo.

Abbiate la massima confidenza nel “Casante” dell’Opera, presente e futuro; è troppo importante questa cosa, per il nostro avanzamento spirituale e per lo sviluppo dell’Opera stessa. Il Casante vi rappresenta Iddio, ed è l’autentico interprete della divina volontà, e dello spirito puro e genuino che deve animare l’Opera. State sempre a quello che dice lui, non sbaglierete strada; anzi coopererete a che l’Opera rimanga nel suo giusto binario.

Amate Nostro Signore Gesù Cristo; coltivate la fede pratica nella sua presenza attiva in mezzo a noi. Egli non è lontano, ma vicino; anzi è in noi. Lasciamoci guidare da Lui; cerchiamo di ricopiare i suoi esempi, di imbeverci della sua dottrina e delle sue massime divine.

Fede in Dio, o miei cari; quante volte ve l’ho detto e raccomandato! Fede pratica in Dio, nelle sua Provvidenza, che ha cura di ogni cosa, ma per noi ha una cura tutta speciale. Iddio non si smentisce, né vien meno alle sue promesse; cerchiamo al di sopra di tutto e sempre il suo Regno: e tutto quello che è necessario alla vita materiale l’avremo in aggiunta.

Nessuna forza esteriore varrà a scrollare l’Opera dei Poveri Servi, se noi saremo in efficienza come ci vuole il Signore. Soltanto noi possiamo rovinare l’Opera se non corrispondiamo, se deviamo dallo spirito puro e genuino, se, in una parola non ci facciamo santi. Curiamo dunque nel silenzio la nostra santità personale, nell’abbandono figliale in Dio. Un’eletta schiera di santi vale di più che tutte le conferenze di questo mondo. Prepariamo al Signore dei santi, noi stessi; e il Signore ci adopererà quando e come crederà opportuno.

Tempo fa una persona molto autorevole e spiritualmente tanto unita a quest’umile Opera del Signore mi scriveva: “I Poveri Servi rappresentano nella Chiesa di Dio una mano di lievito evangelico. Spetta poi al Signore di impastarlo con le tre staia di farina; Egli ha i suoi tempi e i suoi modi”. Vi confesso che queste parole fecero a me grandissima impressione; vedete, miei cari, cosa si dice e si pensa di noi; quale dono, ma quale responsabilità!

Ma qui vi faccio un altro rilievo pure di grande importanza: la nostra Congregazione è adoperata dal Signore per i suoi fini speciali, e, con la sua grazia, fa del bene grande, come si vede ogni qual tratto: con il suo spirito speciale, e anche con gli scritti che il Signore si compiace di diffondere. Ebbene, non sia mai che ci abbiamo a preferire agli altri, e ci atteggiamo quasi fossimo qualche cosa; peggio, dei riformatori: per carità riformiamo noi stessi, e diciamo sempre che noi siamo dei poveri servi, che ci sforziamo di santificare noi stessi, secondo il nostro spirito: spirito di umiltà e di nascondimento, di abbandono in Dio.

Sento che il Signore ha qualche disegno speciale da maturare; quale? Non so dirlo; ma so di certo che solamente se noi staremo allo spirito puro e genuino, si compirà questo disegno; altrimenti no. Che grande responsabilità, se per causa nostra i disegni della Provvidenza non si maturassero!

Il Signore parla e parlerà in questi santi giorni, a tutti e a ciascuno; stiamo attenti alla voce del Signore, e facciamo di tutto per seguirla docilmente.

Non perdiamo mai di vista il Signore Gesù, che ci ha qui chiamati e raccolti nel suo nome; Egli sarà sempre con noi “usque ad consummationem saeculi”, come ha promesso, a patto che noi Poveri Servi, cerchiamo di stare uniti a Lui di cuore e di spirito.

Termino o miei cari fratelli, raccomandandomi caldamente alla carità delle vostre preghiere, ché ne ho estremo bisogno. Io prego per voi, per quanto vi sta a cuore, prego che siate cor unum et anima una nel divino servizio qui in terra; perché possiamo poi trovarci uniti lassù, nel gaudio eterno preparato ai “servi buoni e fedeli”.

* LETTERA LXXXIV Verona, 3 ottobre 1953

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre nei vostri cuori.

Mai, posso dire, ho pensato tanto a voi, come questa volta, durante questi santi spirituali Esercizi che state per terminare. Mi sento vicino, presente anzi, in mezzo a voi, quantunque la salute non mi abbia permesso di venire di persona, come ardentemente avrei desiderato.

Voi certamente in questi santi giorni, avete sentita chiara e forte la voce del Signore, che vi manifesta la sua santa volontà, per la vostra santificazione personale e per la santificazione di tutta l’Opera, alla quale senza alcun nostro merito apparteniamo.

Io prego il Signore a confermarvi nei santi propositi che vi ha suggerito, specialmente per mezzo della parola del predicatore, e anche per le buone ispirazioni che certo non ha mancato di mandarvi. Che tutti possiate uscire da questi santi Esercizi rinnovellati in quello spirito della santa vostra vocazione, nel desiderio ardente di cercare sempre al di sopra di tutto il santo regno di Dio e nello sforzo di farvi santi, veramente santi, per santificare le anime.

Qui, ai piedi del mio Crocefisso, mi sento tanto in mezzo a voi, che mi par di vedere non solo tutti in generale, ma ciascuno in particolare: lo vedo nella sua anima, nei suoi desideri, nei bisogni particolari, nei voti che formula per la sua vita avvenire di Povero Servo fortemente affezionato alla sua santa vocazione. Sì, vi vedo tutti, ad uno ad uno, con premura paterna; e per tutti come per ciascuno, innalzo al Signore la preghiera, perché questi Esercizi abbiano a segnare una data fatidica nella vostra vita e nella vita della Congregazione intera. Gli Esercizi del 1953 mi sono sempre apparsi in questa luce di un profondo rinnovamento spirituale per noi, per le nostre anime, per tutta l’Opera del Signore.

Sia per ciascuno di voi il santo proposito: “Ego dixi: nunc coepi”; adesso comincio proprio sul serio ad amare e servire Iddio, con la massima generosità di cui sono capace. Oh, quale vantaggio per tutta l’Opera! Come Gesù guarderà a noi, per adoperarci nel compimento dei suoi divini disegni nell’ora attuale così grave e decisiva! Animo, fratelli! Teniamoci pronti, par compiere quanto il Signore domanderà.

Cerchiamo tutti di mantenerci fedeli allo spirito puro e genuino che Gesù ha impresso nella sua Opera; quante volte ve l’ho raccomandato! ora ve lo ripeto con tutto il cuore, perché da questo dipende non solo l’avvenire dell’Opera, ma anche, o miei cari, l’avvenire spirituale ed eterno della nostra anima. Niente può far del male, rovinare l’Opera, quanto noi stessi, se ci lasciamo andare su questo punto di capitale importanza. Ma se noi tutti, un cuor solo e un’anima sola, ci conserviamo sul giusto binario tracciato dal Signore, oh, allora sì compiremo i divini disegni, e assicureremo l’Opera per sempre nuovi sviluppi, a gloria di Dio, a vantaggio delle anime.

Pregate tanto per me, che sono così vicino al traguardo della mia povera vita; pregate che capisca una volta il valore e la preziosità della sofferenza, prima per la mia anima e per ottenere la divina misericordia, e poi per l’Opera stessa. Aiutatemi voi con le vostre preghiere, con la vostra corrispondenza alla grazia della vocazione, con la vostra santità e il vostro fervore nel divino servizio. Voi siete “il mio respiro”, voi date così l’ossigeno a me poveretto, ormai sulla soglia della eternità. Pregate per me: è questa una grande e squisita carità, della quale vi sono grato e riconoscente, e della quale il Signore non mancherà di ricompensarvi in modo tutto speciale.

Voi, cari ed amati fratelli, siete l’eletta schiera che Gesù si è scelta per i suoi fini reconditi; alcuni di voi siete sacerdoti, insigniti perciò di un carattere sacro che eleva al di sopra dei fedeli; altri siete Fratelli, chiamati a collaborare pienamente coi sacerdoti: tutti una sola famiglia, tutti un solo cuore pulsante, tutti uno spirito vivificante per l’Opera del Signore. Amatevi gli uni gli altri; aiutatevi a vicenda, secondo il precetto di Gesù; e farete cose grandi, farete miracoli nella mistica vigna del Signore. E’ tale la volontà di Dio, manifestata in tanti modi chiari e palesi; sacerdoti e fratelli, uniti nella carità di Cristo, in parità di condizione, tutti protesi nell’anelito di Cristo: salvare anime.

Termino questa mia lettera, che vuole stare in luogo di una mia venuta tra voi, resa impossibile dalle mie condizioni precarie della mia povera salute. Faccio a voi i più fervidi auguri di santità, di amore di Dio, sotto la protezione di quella Madre celeste che in questo mese suo onoriamo in modo solenne.

A Dio piacendo, sabato 3 celebrerò la santa Messa per il Rev. Padre Predicatore, che con tanta unzione e tanto zelo vi ha dispensato la divina parola, e vi ha mostrato la strada giusta per farvi santi e corrispondere alla vocazione. Il Signore lo rimeriti di tanta spirituale carità, e benedica tutto quello che Egli fa per la gloria del Signore, nell’esercizio del suo ministero.

Che tutti ci possiamo trovare uniti lassù, nel santo Paradiso, dopo di aver lavorato unitamente qui in terra nell’Opera del Signore. Come saremo contenti d’aver spesa la nostra povera vita per il Signore! Che bel premio darà il divino Padrone ai servi buoni e fedeli!

Più col cuore che con la mano vi benedico tutti con quanto avete in cuore.

* LETTERA LXXXV Verona, novembre 1953

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù benedetto siano sempre nei nostri cuori.

Sono qui ai piedi del mio Crocefisso ed ho davanti agli occhi più che mai viva la visione dell’immenso cataclisma abbattutosi sui vasti territori dell’Europa settentrionale.

Come il cuore mi si stringe, come sanguina al pensiero che decine e decine di migliaia di nostri fratelli sono rimasti da un momento all’altro privi di tutto, perché tutto fu travolto dalla furia delle acque! E penso in modo particolarissimo a tanti ammalati, ai vecchi alle donne, ai bambini piangenti, smarriti, dispersi, nell’ansiosa ricerca dei propri cari, che forse non ritroveranno più. Penso a tanti poveretti rimasti vittime sotto il crollo delle case o spazzati via e ingoiati dalle onde paurose del mare; ai moltissimi altri in preda al terrore nell’imminente pericolo di essere essi pure travolti, che da ore e ore lanciano il loro disperato S.O.S. e dal cuore affranto sale supplichevole l’umile preghiera: Signore salvali! e salva, sostieni, proteggi coloro che, in nobilissima gara di fraterno amore da tutte le parti del mondo sono corsi in loro aiuto!

Cari ed amati fratelli, unitevi tutti con me nella medesima preghiera; in ognuna delle nostre Case si celebri una santa Messa e si faccia una intera giornata di preghiere per i nostri fratelli, così duramente colpiti. Poi guardate se nelle vostre case potete mettere a disposizione dei posti, anche a costo di sacrificio, per accogliere dei giovanetti particolarmente bisognosi di quelle regioni; che se il Signore vi ispira di fare qualche altra cosa, ditemi subito il vostro pensiero, e io sarò ben lieto di benedire ogni provvida iniziativa, che sia conforme al nostro spirito.

Ma oltre a questo, miei cari ed amati fratelli, riflettiamo seriamente per nostro ammaestramento, domandiamoci: perché il Signore permette queste immani sciagure? Non già nella pretesa di voler penetrare gli occulti giudizi di Dio, ma piuttosto nell’umile adorazione di quello che per noi sarà sempre un mistero, ma tuttavia mistero d’amore. Poiché, anche in questi dolorosissimi avvenimenti, dobbiamo vedere la luce della Paternità di Dio. Dio è Padre sempre, anche quando ci visita con le tribolazioni; Egli non castiga mai solo per castigare; i suoi castighi non sono altro che inviti e richiami della sua infinita misericordia; ci corregge per salvarci, ci manda delle pene perché ci liberiamo dalle colpe, dal peccato che è l’unico vero male, l’unica vera disgrazia. Che se i peccati provocano la giusta collera del Signore, e specialmente certi peccati: la lotta organizzata contro Dio, la profanazione dei giorni festivi, il dilagare della corruzione che aumenta sempre più, gli scandali tesi alla innocenza, la dissacrazione della famiglia e del santo Matrimonio, e anche, dobbiamo pur confessarlo, da parte di anime consacrate l’abbandono della propria vocazione o l’incorrispondenza ad essa; se questi peccati, ripeto, provocano la giusta collera del Signore, tuttavia il grido di tanti dolori e sofferenza senza nome e senza numero, oh come implorano e ci rendono propizia la divina misericordia!

Ma oltre a ciò, con la voce impressionante di questi avvenimenti Dio vuole potentemente richiamare sul retto sentiero la povera umanità, che è come scardinata dai santi principi dell’onestà e della giustizia, della religione e della morale evangelica, poiché non vi può essere speranza di salvezza fuori di Cristo e del suo santo Vangelo. Ritornare a Cristo, praticare il Vangelo con assoluta coerenza, ecco per noi e per tutti il pressante ed urgente richiamo di questi avvenimenti.

Ma ecco che Vangelo vissuto, cristianesimo pratico è pure questa consolante gara di aiuti, che viene offerta in uno slancio di fraternità e solidarietà umana e cristiana. Il dolore affratella i popoli; nel dolore cadono molte barriere, cessano le divisioni i rancori, gli odi; nell’amore ancora trionfa Cristo. Ed ecco un terzo motivo perché il Signore permette questi sconvolgimenti che tanto ci rattristano.

Miei cari ed amati fratelli, con la preghiera, con la santità della vita, specialmente nei Poveri Servi della divina Provvidenza, cerchiamo di contribuire affinché trabocchi la bilancia divina dalla parte della misericordia. Anche per noi è il richiamo di questi giorni, perché viviamo bene, perché corrispondiamo alla nostra santa vocazione. Mai come adesso occorrono dei santi, che siano i canali della divina Grazia. “Bisogna reagire – mi scriveva ieri un distintissimo personaggio – non solo contro il materialismo, ma altresì contro un cristianesimo naturalizzato”. Purtroppo è così: da molti, da troppi cristiani non si vive che per la terra e si dimentica il Cielo. Non si pensa che di soddisfare la sete insaziabile di piacere e di divertimento, senza riguardo alla santa legge di Dio, come un giorno non dovessimo tutti rendere conto a Dio, del nostro operato.

Facciamo tesoro noi intanto di questi insegnamenti e facciamo anche dei santi propositi, che ci aiuteranno anche a santificare la Quaresima, tempo particolarmente accettevole, giorni di salute per noi e per tanti nostri fratelli.

Quanto ho bisogno di preghiere per fare fino alla fine la santa volontà di Dio, costi quello che costi! Nella mia povertà sempre vi ricordo e prego, e in questo momento più col cuore che con la mano vi benedico.

* LETTERA LXXXVI Verona, 26 novembre 1953

Miei cari ed amati fratelli

La grazia di Gesù benedetto e la protezione della cara Madonna siano sempre con noi.

Siamo entrati nella Novena della Immacolata; ed il mio cuore esulta con voi, nel celebrare il grande privilegio della Concezione Immacolata concesso dal Signore alla nostra Madre celeste.

Sono cent’anni che la Chiesa ha definito come Dogma questa verità sempre creduta e festeggiata nel corso dei secoli. La festa della Immacolata – che per noi dell’Opera è la più grande e solenne in onore di Maria SS. – ci introduce nel grande Anno Mariano. Come deve gioire il Povero Servo, e con quale fervore di spirito deve celebrare questo anno benedetto! Se tutti i cristiani, dietro l’esortazione paterna del Vicario di Cristo, devono celebrarlo col massimo fervore, il Povero Servo deve sentirsi in dovere di andare innanzi a tutti gli altri, se fosse mai possibile, o almeno di non essere secondo a nessuno, nell’onorare la Madonna in questo glorioso suo titolo: l’Immacolata.

Voi avete letto certamente l’Enciclica del Santo Padre a questo proposito; rileggetela spesso, per innamorarvi sempre più della celeste Madre, e infervorarvi a procurare la sua gloria in questo grande Anno.

In ogni Casa, anzitutto, io desidero che si organizzino funzioni solenni, secondo permettono le circostanze locali, e specialmente si partecipi a quelle che verranno indette dall’autorità ecclesiastica. Ogni festività della Madonna sarà per il Povero Servo una bella occasione per manifestare il suo amore alla Immacolata Madre di Dio e nostra.

Ma ricordiamo, o miei cari, che il primo e grande onore da procurare è quello della santità di nostra vita. Le funzioni solenni, i canti, i discorsi, le accademie, ecc. sono belle cose e gradite alla Madonna se vengono dal cuore, se hanno per fondamento la nostra buona volontà di vivere secondo la nostra santa vocazione; altrimenti sarebbero vano suono di tromba, non certo conformi allo scopo della celebrazione quale è designato dal Santo Padre.

Ascoltiamo la sua parola: “occorre che questa celebrazione non solo riaccenda negli animi la devozione ardente verso la santa Vergine, ma sia di stimolo per confermare il più possibile i costumi sull’esempio della Vergine Madre. Come tutte le madri provano soavissimi sentimenti quando scorgono che il volto dei propri figli riproduce per qualche particolare somiglianza le loro fattezze, così Maria Madre nostra dolcissima, non può avere maggior desiderio né più grande gioia del veder riprodotti nei pensieri, nelle parole, nelle azioni, di coloro che Ella accolse come figli, i lineamenti e le virtù della sua anima”.

E una prima grazia da chiedere, un primo sforzo da fare, è di acquistare “quell’innocenza di costumi, che rifugge ed aborre anche la minima macchia di peccato”, poiché commemoriamo il mistero delle SS. Vergine la cui Concezione fu Immacolata; poi, l’acquisto delle virtù proprie del nostro stato e di quella perfezione religiosa che forma il vero Povero Servo. La Beatissima Vergine, che nell’intero corso della vita, sia nel gaudio come nella tribolazione e negli atroci dolori, mai si allontanò dai precetti e dagli esempi dei divino Figliolo, sembra ripetere a tutti noi, come durante le nozze di Cana: “Fate tutto quello che Egli vi dirà”.

Questo ci insegna, e a queste cose ci esorta la Beata Vergine Maria, Madre nostra dolcissima, la quale ci ama di vero amore, certamente più di tutte le madri terrene.

E infine la preghiera, per noi e per i fratelli del mondo intero. La Madonna in questo suo Anno, vorrà certamente dispensare a più larga mano le sue grazie e i suoi doni. Sta a noi dunque implorare umilmente e fiduciosamente la sua materna e misericordiosa protezione. Anche qui il Santo Padre addita alcune grazie particolari da chiedere; e io mi permetto far mie le sue auguste parole, ed esortarvi a pregare tanto, ma tanto, per il rifiorimento della vita cristiana, la purezza della gioventù, per la santità e fede franca degli uomini, per la famiglia cristiana e la felicità del nido domestico.

Preghiamo per tutti i bisogni, per gli affamati, per gli oppressi dall’ingiustizia, per il ritorno dei profughi alla Patria diletta, per i senza tetto, per gli esiliati e perseguitati.

Preghiamo per i tanti ciechi nello spirito, e perché regni in tutti la carità, la concordia.

Preghiamo per la Chiesa santa, che possa godere la pace necessaria a svolgere la sua benefica azione a vantaggio di tutta la povera umanità, ora brancolante nelle tenebre dell’errore e in pericolo di cadere nell’abisso e nella rovina. La Chiesa sia sempre in cima ai nostri ideali; tutto quello che facciamo, che soffriamo, che desideriamo, sia rivolto all’avvento del santo Regno di Dio, e alla glorificazione della Chiesa, vera arca di salvezza in mezzo al mare tempestoso della vita.

Oh, se noi faremo così, se entreremo con questi sentimenti nell’Anno Mariano, e cercheremo di crescere nello sforzo di santificarci, potremo contribuire al compimento dei divini disegni che il Signore ha sopra dell’umile nostra Opera in generale e sopra ciascuno di noi in particolare.

Miei cari fratelli, fate tesoro di queste mie povere parole. Cercate che in ogni Casa, in ogni aiola della divina Provvidenza rifiorisca, con lo spirito puro e genuino dell’Opera, una più consapevole e tenera devozione a Maria. La nostra devozione non sia a base di un sterile sentimentalismo, ma abbia la sua profonda radice nel Dogma. Si cerchi quindi di meglio conoscere le ineffabili relazioni di questa “umile ed alta” Creatura con la SS. Trinità, i suoi privilegi, la indivisibile partecipazione col suo divin Figliolo alla grande opera della Redenzione.

Di qui scaturisca la nostra ammirazione e venerazione, il nostro figliale attaccamento a Colei, che, essendo la Madre di Gesù, è insieme la Madre nostra. Non stanchiamoci di moltiplicare i nostri umili ossequi, per dimostrarLe la nostra devozione, il nostro amore, come buoni figlioli verso l’ottima fra tutte le madri.

Per cui non mi stancherò mai di raccomandarvi, specialmente in questo Anno Mariano, alcuni ossequi speciali verso Maria: la recita quotidiana dell’intero Rosario, distinguere con qualche fioretto particolare il sabato, celebrare con particolare impegno le feste di Maria, la recita frequente del Piccolo Ufficio (tutto o parte), ecc. per le singole Case: abbellire, se possibile, l’altare o cappella della Madonna. Qui a S. Zeno ho visto con piacere l’accurata sistemazione della Grotta, che era mio vivissimo desiderio, nell’80º mio compleanno, alla vigilia, possiamo dire, dell’anno Mariano; che l’esempio sia imitato! Lascio a voi altre iniziative, delle quali se mi terrete al corrente, sarà per me motivo di conforto in mezzo alle mie grandi e continue sofferenze.

Per le quali vi domando la carità delle vostre preghiere mentre io le offrirò anche per voi e per l’Opera, affinché essa sia sempre come Gesù la vuole, e tutti siamo come investiti dallo spirito puro e genuino che tante volte vi ho raccomandato.

Più con il cuore che con la mano, per l’intercessione della cara Mamma celeste, l’Immacolata Concezione, vi benedice il vostro Affezionatissimo Padre.

* LETTERA LXXXVII Verona, 11 febbraio 1954 – A. M.

Miei cari ed amati fratelli

La grazia e la pace di Gesù benedetto siano sempre nei nostri cuori.

Mi sgorgano spontanee dal cuore di Padre, di fratello, di amico, queste parole che dovevano essere dette prima, nelle circostanze solenni, come ogni anno, a Natale e a Capodanno; quest’anno non fu così, perché il Signore mi ha visitato con la sua grazia e misericordia, permettendo sofferenze che, sebbene non ancora cessate, sono, ringraziando il Signore Iddio, però mitigate.

Per questo mi sento adesso di dirvi la mia parola. Mi tengo certo che ne approfitterete tutti, a vantaggio spirituale delle vostre anime.

So che voi tutti avete pregato, e pregate per me; ve ne ringrazio di tutto cuore! E’ una carità spirituale di grandissimo valore, e della quale sento la più viva riconoscenza. Oh, la preghiera! grande aiuto che sostiene la nostra debolezza, ci conforta nelle prove, ci lega con dolci vincoli al Padre che sta nei cieli. Continuatemi questa grande carità: ne ho estremo bisogno, per compiere sino alla fine, la santa volontà di Dio. Io vi ricambio con la mia preghiera per tutti voi; specialmente in questi mesi nei quali il Signore ha disposto che non potessi avvicinarvi. Oh, come sempre vi rivedevo dinanzi a me, quasi direi uno per uno, con la vostra fisionomia, con i vostri desideri, con il vostro affetto per me. E nella mia povertà ho pregato per voi, che il Signore vi ricolmi delle sue grazie e benedizioni, vi faccia tutti suoi, veramente suoi.

Colgo volentieri l’occasione dell’Anno Mariano che si sta svolgendo con tanta solennità: divina chiamata del Signore – come e più che altre volte – per mezzo della Chiesa, in questi tempi così gravi e difficili. A grandi mali, grandi rimedi, ed il Signore questa volta ci chiama attorno alla sua e nostra Madre, la Madonna Immacolata, affinché ci studiamo di ricopiarne i fulgidi esempi, ne viviamo lo spirito di umiltà, di amore, di obbedienza alla divina volontà che la Madonna ci ha dati nella sua vita. Il Signore ci chiama a specchiarci nel modello di candore che è la Mamma nostra celeste, e sotto la sua guida abbiamo a muover guerra al peccato, a tutti i peccati, per mantenere l’anima nostra bella e fulgente come si addice a veri figli della Immacolata.

La Madonna in questo suo Anno solenne, vuole farci grazie e doni speciali, a condizione che ci mettiamo sul serio a vivere la nostra vocazione di cristiani, di sacerdoti, di religiosi. Chi di noi non vorrà approfittare di questa occasione tanto propizia, di questo Centenario che la Provvidenza divina ci ha riservato?

Raccomando in modo speciale a voi, cari fratelli, di vivere lo spirito della nostra vocazione, per compiere i grandi disegni che il Signore ha sull’Opera.

Animo, dunque! Ciascuno nel nostro stato, abbiamo avuto la chiamata al cristianesimo, alla sequela di Cristo. Viviamo da veri cristiani, ricordando che la vita presente l’abbiamo in funzione della vita futura; questa di adesso passa presto; quell’altra durerà eterna. Viviamo dunque come pellegrini, in questa terra, tenendo di vista la Patria che ci aspetta in Paradiso.

Teniamoci più strettamente uniti a Gesù, con la preghiera, con la pratica devozione alla Madonna Santa, con la vita interiore: diamo il primo posto al Signore: “cerchiamo soprattutto il santo Regno di Dio”.

Il demonio freme, contro i cristiani in modo tutto speciale, perché, se noi vogliamo, abbiamo il segreto per la rinascita del mondo. Oh se fossimo tutti dei Vangeli viventi! Cerchiamo di esserlo, specie in quest’Anno Mariano.

Ecco in breve quello che sento di dirvi. Non posso dilungarmi, perché le forze non me lo permettono; ma voi leggete nel mio animo quello che voglio e desidero da tutti voi.

La Madonna Immacolata, celeste Padrona della Casa, ci ottenga la grazia di corrispondere alla divina chiamata, e di “fare quello che ci dice Gesù”, come esorta il Santo Padre, ricordando l’episodio dei servi alle Nozze di Cana. Fortunati noi, felici noi, nel tempo e nell’eternità!

Pregate tanto per me, che di gran cuore vi benedico tutti, con le vostre famiglie, e quanto avete nel cuore.

* LETTERA LXXXVIII Verona, sabato 23 ottobre 1954

Miei cari ed amati fratelli

La grazia, la pace di Gesù Benedetto siano sempre con voi e con tutte le anime che la divina Provvidenza vi fa avvicinare mediante il vostro santo ministero e apostolato di bene.

In mezzo alle mie sofferenze, sempre nuove e sempre più acute, oh come vi penso e vi seguo, miei cari ed amati fratelli, e non potendo fare altro, offro a Dio per voi e per le vostre, per le nostre anime le mie povere preghiere, le mie prove e sofferenze quotidiane! Ma anche voi pregate, pregate tanto per questo vostro vecchio Padre, così vicino ormai alla grande chiamata, perché possa capire il grande dono della sofferenza e farne tesoro prima per la mia povera anima e poi per quest’umile e grande Opera, suscitata proprio dal Signore in questi tempi di così poca fede e di tanto egoismo e materialismo, per manifestare al mondo la fede nella Paternità di Dio, la fiducia nella sua divina Provvidenza.

Deh, miei cari ed amati fratelli, come fossi sul letto di morte vi prego e vi scongiuro, guardate che essa sia sempre come Gesù la vuole, vivendone tutti e sempre lo spirito puro e genuino, per tramandarlo poi anche a quelli che verranno dopo di voi. Lo spirito puro e genuino – voi lo sapete, perché tante e tante volte l’ho detto e ripetuto – è lo spirito di Gesù, il suo programma di vita, la sua stessa missione. Come è vissuto Gesù a Nazareth? Come si è dato alle opere della sua vita pubblica? A chi principalmente si è rivolta la missione ricevuta dal Padre?

Viviamo così anche noi. “Buseta e taneta”, “ama nesciri et pro nihilo reputari”; noi dobbiamo scomparire, amare il silenzio, mortificare il desiderio di fare cose grandi, fuggire gli applausi e le approvazioni del mondo, cercare per sé l’ultimo posto; allora il Signore certamente verrà Lui a cercarci e ci adopererà per compiere nuovi e grandi disegni, tutti propri della grave ora attuale.

Nell’esercizio poi del nostro apostolato facciamo come ha fatto Gesù: prima di tutto e soprattutto attendiamo alla preghiera e alla vita di unione con Dio. Quante ore e quante notti Gesù passava in orazione, in intima comunicazione col suo celeste Padre! L’attività esteriore è destinata ad essere sterile, se non affonda le proprie radici nel sacro e fecondo terreno della vita interiore. Siate conche, come tante volte vi ho detto, e non soltanto canali che nulla trattengono per sé e finiscono con l’esaurirsi.

Alla preghiera unite una continua vigilanza sopra voi stessi, e continuo spirito di mortificazione, particolarmente necessario ai nostri giorni, in cui sono senza numero le attrattive e le seduzioni del mondo.

Finalmente la missione di Gesù è e deve essere la nostra stessa missione: evangelizare pauperibus misit me. Le creature abbandonate, i poveri, i vecchi, gli ammalati, ecco le nostre gemme, le gemme dell’Opera. Anime, anime, miei cari! tutto il resto è niente.

In questi pensieri e sentimenti, in questi propositi e sante aspirazioni son certo e sicuro che vi sarete confermati nei santi Esercizi che tutti avete avuto la grazia di fare anche in quest’anno. Conservatene il frutto, vivete e irradiate intorno a voi quelle verità che avete meditate ed approfondite sotto il materno sguardo della Madre nostra celeste, condotti quasi per mano ed istruiti da Lei per mezzo degli zelanti predicatori; così avrete sentito il bisogno di approfondire i motivi della vostra devozione a Maria, vivendo la perfetta vostra consacrazione a Lei.

Oh come torna opportuna, in quest’ultimo scorcio dell’Anno Mariano, la raccomandazione di intensificare la vostra pietà figliale verso la cara Madonna Immacolata, fino dai primi tempi dell’Opera costituita Padrona della Casa! E non dimenticate che la vera e perfetta devozione a Maria è la imitazione di Gesù. “Fate tutto quello che Egli vi dirà”, ci ripete continuamente questa buona Madre.

Riprodurre in noi i lineamenti di Gesù, divenire altrettanti piccoli Gesù, nell’umiltà e povertà, nella perfetta conformità del nostro volere col volere di Dio, Padre nostro che sta nei Cieli, nell’obbedienza generosa e continua, fino al massimo sacrificio, fino alla totale immolazione di sé; oh quale gioia proverà la Madre nostra Maria, vedendoci rassomigliare così al suo divin Figlio! Come ci amerà, di quali doni e grazie arricchirà la nostra povera anima!

E ricorriamo spesso a Lei, in tutte le circostanze, ma specialmente nei momenti di prova e di scoraggiamento, quando vediamo rovesciati i nostri piani, le nostre iniziative anche più sante; ancora quando ci viene richiesto qualche speciale sacrificio e rinuncia. Dico questo anche in considerazione dei recenti trasferimenti di personale, che dopo tanto tempo si sono resi necessari ed opportuni. Mi rendo conto, miei cari ed amati fratelli, di quello che possono costare certi ordini dell’obbedienza; ma non guardate solo al sacrificio presente, ma vi sostenga e vi conforti il pensiero del bene che ne deriverà a voi e alle anime, che, credetelo, non si salvano senza sacrificio: sine sanguinis effusione non fit redemptio.

Ricordatevi che il Signore, per compiere i suoi disegni, non ha bisogno di dotti, ma bensì di veri obbedienti, disposti a tutto, pronti a qualunque cenno dell’obbedienza. Senza dire che è propriamente l’obbedienza che dà valore alle nostre azioni. Il vostro Padre pensa a tutte queste cose, ed è particolarmente vicino a tutti quelli che hanno avuto il dono prezioso di una lettera d’obbedienza.

Ed eccomi ora a darvi una bella notizia. Da quarant’anni desideravo che la vuota cella campanaria del nostro bel campanile di S. Zeno in Monte fosse riempita e rallegrata dalla presenza di una grossa campana. La divina Provvidenza, servendosi, come sempre, di ministri degni di capire e di fare la carità, ha appagato finalmente questo mio vivo desiderio. La campana è arrivata e sarà inaugurata, a Dio piacendo, il 1º novembre prossimo, proprio quando una nuova gemma verrà dal Santo Padre incastonata nella già ricchissima corona della Vergine Immacolata, che verrà proclamata Regina del Cielo e della terra, degli Angeli e degli uomini.

La campana si chiamerà Regina della Pace, in omaggio alla celeste nostra Regina e quasi a perenne invocazione di pace per gli uomini di tutto il mondo; pace fra loro, pace con se stessi, pace con Dio.

Quel giorno, voi lo sapete, è anche l’anniversario del mio Battesimo per quanto so e posso mi raccomando alla carità delle vostre preghiere; ne ho estremo bisogno, per fare sino alla fine la santa volontà di Dio, costi quello che costi, e perché possa, come vi ho già detto, capire in pratica il grande dono della sofferenza.

Termino, paternamente benedicendovi, più con il cuore che con la mano, nel nome e per l’intercessione di Maria, Immacolata Regina della Pace.

PS. Quando la presente era appena stampata, siamo stati allietati dalla pubblicazione della commovente Enciclica del Santo Padre sulla Regalità di Maria.

Di fronte alla marea di corruzione che avanza sempre più travolgente e minacciosa, di fronte alla paurosa china verso cui è avviata la povera umanità, di fronte alla apocalittica visione di nuovi conflitti e disastri, non c’è, miei cari ed amati fratelli, nessun’altra speranza, che nel figliale e fervido ricorso alla comune nostra celeste Madre e Regina. Così è avvenuto sempre nei momenti più gravi della storia, così avverrà anche al presente; e vorrei che non sfuggisse che con la pubblicazione della presente Enciclica, che porta la data dell’11 ottobre, festa della divina Maternità di Maria, coincidono gli importanti avvenimenti politici, che generano un senso di generale distensione e fiducia per tutti.

Che la cara nostra Madre Maria guardi propizia alla Chiesa, all’Italia, al mondo; guardi in particolare a tanti nostri fratelli che soffrono disumane persecuzioni per la fede, ci ottenga un sincero ritorno alla vita cristiana, perché sorga finalmente una nuova era di pace e di vita veramente cristiana. Così sia!

1 Sperando che abbiano i Novizi la grazia grande di fare la loro professione religiosa.

1 la lettera è di don Gino Gatto

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“L’ANIMA E IL SUO DESTINO”, Milano, Cortina, 2007 Vito Mancuso

mancuso vito teologo2Vito Mancuso, teologo

Vito Mancuso (Carate Brianza, 9 Dicembre 1962) è un teologo italiano.

È docente di Teologia presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano ed editorialista de “La Repubblica”. Nato il 9 dicembre 1962 a Carate Brianza da genitori siciliani, è dottore in teologia sistematica. Dei tre gradi accademici del corso teologico, ha conseguito il Baccellierato presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrional di Milano, la Licenza presso la Pontificia facoltà teologica dell’Italia meridionale San Tommaso d’Aquino di Napoli, il Dottorato a Roma presso la Pontificia Università Lateranense .

Dopo il liceo classico statale a Desio (Milano), ha iniziato lo studio della teologia nel Seminario arcivescovile di Milano (sede di Saronno per il biennio filosofico e di Venegono Inferiore per il triennio teologico). Al termine del quinquennio è stato ordinato sacerdote dal cardinale Carlo Maria Martini nel Duomo di Milano il 7 giugno 1986, all’età di 23 anni e sei mesi. A distanza di un anno, ha chiesto di essere dispensato dalla vita sacerdotale e di dedicarsi solo allo studio della teologia. Dietro indicazione del cardinal Martini ha vissuto due anni a Napoli presso il teologo Bruno Forte (attuale arcivescovo di Chieti e Presidente della Commissione Episcopale per la Dottrina della Fede della Cei) dove ha conseguito il secondo grado accademico.

Ha quindi iniziato a lavorare in editoria (Edizioni Piemme, Mondadori, Edizioni San Paolo, ancora Mondadori) proseguendo nel frattempo lo studio della teologia per il terzo e conclusivo grado accademico, il Dottorato, conseguito nel 1996 con il punteggio di 90/90 summa cum laude e la tesi: La salvezza della storia. La filosofia di Hegel come teologia, primo relatore Piero Coda (attuale Presidente dell’Associazione Teologica Italiana), difesa il 29 febbraio 1996, e pubblicata nell’aprile dello stesso anno col titolo Hegel teologo e l’imperdonabile assenza del Principe di questo mondo. Ricevuta la dispensa papale, si è sposato nella parrocchia milanese di Santa Maria del Suffragio con Jadranka Korlat, ingegnere civile. Dal matrimonio sono nati Stefano nel 1995 e Caterina nel 1999.

mancuso vito teologoL’anima e il suo destino

« Il principale obiettivo di questo libro consiste nell’argomentare a favore della bellezza, della giustizia e della sensatezza della vita, fino a ipotizzare che da essa stessa, senza bisogno di interventi dall’alto, sorga un futuro di vita personale dopo la morte. »

(Vito Mancuso, L’anima e il suo destino)

L’anima e il suo destino ha superato le 120.000 copie vendute (a maggio 2008), ed è diventato un dibattuto caso editoriale e culturale.

In questo libro, presentato da Carlo Maria Martini, Mancuso studia il concetto di anima alla luce del quesito se vi sia un’esistenza dopo la morte.

Fra Fiorenzo 07 fiori

Un teologo rifà da capo la fede cattolica.

Ma la Chiesa dice no

È Vito Mancuso, in un libro di grande successo raccomandato dal cardinale Martini. Nel quale non c’è più peccato né redenzione, ma l’uomo si salva da sé. Dopo mesi di silenzio, il doppio altolà delle autorità vaticane. Ecco i testi integrali

di Sandro Magister

ROMA, 8 febbraio 2008 – In un medesimo giorno di questo inizio di febbraio “L’Osservatore Romano” e “La Civiltà Cattolica” – cioè il giornale ufficiale della Santa Sede e la rivista controllata riga per riga dalla segreteria di stato vaticana – hanno doppiamente stroncato un libro che è divenuto un caso editoriale, teologico, ecclesiale. In Italia ma non solo.

Il libro è “L’anima e il suo destino”, di Vito Mancuso. L’una e l’altra stroncatura sono uscite contemporaneamente sulle due autorevoli testate il 2 febbraio, festa della presentazione di Gesù.

In pochi mesi “L’anima e il suo destino” ha avuto sette edizioni e ha venduto in Italia 80 mila copie, che per un libro di teologia sono moltissime.
Vito Mancuso, 46 anni, sposato con figli, insegna teologia moderna e contemporanea nella facoltà di filosofia dell’Università San Raffaele di Milano, un ateneo privato senza legami con la Chiesa. Ha conseguito il dottorato in teologia presso la Pontificia Università Lateranense. La sua tesi, patrocinata dal presidente dell’Associazione teologica italiana, Piero Coda, diventò il suo primo libro: “Hegel teologo e l’imperdonabile assenza del Principe di questo mondo”, uscito nel 1996 e giudicato con favore – al pari del successivo, del 2002: “Il dolore innocente. L’handicap, la natura e Dio” – da teologi affermati e di sicura ortodossia come don Gianni Baget Bozzo e Bruno Forte. Quest’ultimo è membro della commissione teologica internazionale che affianca la congregazione vaticana per la dottrina della fede, è stato ordinato vescovo nel 2004 dall’allora cardinale Joseph Ratzinger, regge l’arcidiocesi di Chieti e Vasto e presiede la commissione per la teologia e la cultura della conferenza episcopale italiana.
Ebbene, su “L’Osservatore Romano” del 2 febbraio, è proprio l’arcivescovo-teologo Forte che critica a fondo l’ultimo libro di Mancuso.

La sua conclusione è lapidaria: “Non è teologia cristiana ma ‘gnosi’, pretesa di salvarsi da sé”.

I numerosi lettori che hanno acquistato “L’anima e il suo destino”, però, trovano in apertura del volume la prefazione di un altro arcivescovo di grandissima fama, il cardinale e gesuita Carlo Maria Martini, il quale raccomanda vivamente la lettura del medesimo libro, nonostante ravvisi in esso idee “che non sempre collimano con l’insegnamento tradizionale e talvolta con quello ufficiale della Chiesa”.

E così il cardinale prosegue, rivolgendosi familiarmente all’autore:

“Sarà difficile parlare di questi argomenti senza tenere conto di quanto tu hai detto con penetrazione coraggiosa. […] Anche quelli che ritengono di avere punti di riferimento saldissimi possono leggere le tue pagine con frutto, perché almeno saranno indotti o a mettere in discussione le loro certezze o saranno portati ad approfondirle, a chiarirle, a confermarle”.

Martini non dice quali siano i punti che si staccano dalla dottrina cattolica.

Li mettono invece nero su bianco “L’Osservatore Romano” e “La Civiltà Cattolica”. Secondo quest’ultima rivista i dogmi “negati” o “svuotati” nel libro sono “circa una dozzina”. E tutti di prima grandezza.
Su “L’Osservatore” Bruno Forte non è da meno. Vede smantellati il peccato originale, la risurrezione di Cristo, l’eternità dell’inferno, la salvezza che viene da Dio. La tesi del libro è che l’uomo basta a se stesso e si salva da sé, alla luce della sua sola ragione.

Mancuso, che si professa cattolico, è consapevole del terremoto che ha provocato. Ma il suo programma dichiarato è proprio quello di “rifondare” la fede cristiana. In un articolo pubblicato il 22 gennaio sul quotidiano “il Foglio” ha respinto anche il dogma della creazione e la dottrina della “Humanae Vitae” sulla contraccezione. A quest’ultima dottrina ha opposto il seguente argomento:

“Occorre guardare in faccia la realtà per quello che è, non per quello che si vorrebbe che fosse, e la realtà è che i rapporti sessuali sono praticati largamente al di fuori del matrimonio e a partire da giovanissima età”.

Al che gli ha replicato sullo stesso giornale don Baget Bozzo, suo ammiratore d’un tempo:

“Caro Vito, che senso ha chiamarsi ancora teologo, se non per pura commercializzazione del prodotto, quando si ha una così bassa concezione della teologia?”.

Più sotto, in questa pagina, sono riportate l’una dopo l’altra le due recensioni apparse su “L’Osservatore Romano” e su “La Civiltà Cattolica”. La seconda ha per autore il gesuita Corrado Marucci, professore di esegesi biblica al Pontificio Istituto Orientale.
Del caso non si è occupata direttamente la congregazione per la dottrina della fede in quanto Mancuso non ha vincoli istituzionali con la Chiesa né insegna in una università ecclesiastica.

Il timore era però che un silenzio delle autorità della Chiesa avrebbe alimentato l’idea che le tesi del libro fossero innocue o persino apprezzabili, offerte a una disputa fruttuosa, come raccomandato dal cardinale Martini nella sua prefazione.

“L’Osservatore Romano” e “La Civiltà Cattolica” hanno rotto il silenzio e fornito una autorevole indicazione su ciò che è conforme o no alla dottrina cattolica e a un metodo corretto di far teologia.
Una teologia che in Italia, nell’ultimo anno, non ha prodotto solo un discutibile successo editoriale come “L’anima e il suo destino”, ma anche un capolavoro di intelligenza della fede come il saggio intitolato “Ingresso alla bellezza”, di Enrico Maria Radaelli.

Un’opera maestra sulla quale www.chiesa dovrà presto tornare.

__________Gnosi di ritorno e linguaggio consolatorio

Da “L’Osservatore Romano” del 2 febbraio 2008

di Bruno Forte

“Salvarsi l’anima”. Questa espressione antica ha nel linguaggio della fede un senso che appare messo radicalmente in questione dal libro di Vito Mancuso, “L’anima e il suo destino” (Milano 2007). Il volume ha suscitato un dibattito vivace, aperto dalla stessa lettera del cardinale Carlo Maria Martini, pubblicata in apertura, che – pur con grande tatto – parla con chiarezza di “parecchie discordanze [...] su diversi punti”.

L’autore si era fatto conoscere e apprezzare sin dalla sua opera prima, dal titolo suggestivo ed emblematico: “Hegel teologo e l’imperdonabile assenza del Principe di questo mondo” (Casale Monferrato, Piemme, 1996). Libro significativo, questo, attraversato da una lucida critica al monismo hegeliano dello Spirito e da una drammaticità, che contro Hegel ribadisce l’inesorabile sfida del male che devasta la terra, precisamente nel suo volto diabolico e insondabile.
Anche altri saggi di Mancuso mantengono viva questa tensione, che si condensa in pagine profonde lì dove egli tocca il mistero del dolore innocente o scandaglia le profondità sananti dell’amore. Anche a motivo di queste premesse, il libro sull’anima ha suscitato in me un senso di profondo disagio e alcune forti obiezioni, che avanzo nello spirito di quel servizio alla Verità, cui tutti siamo chiamati.

La prima obiezione riguarda la potenza del male e del peccato. Mancuso non esita ad affermare che il peccato originale sarebbe “un’offesa alla creazione, un insulto alla vita, uno sfregio all’innocenza e alla bontà della natura, alla sua origine divina” (167). È vero che l’intento dichiarato dall’autore non è di “distruggere la tradizione”, ma di “rifondarla” (168), cercando di tenere insieme “la bontà della creazione e la necessità della redenzione”: in quest’ottica, il peccato originale non sarebbe altro che “la condizione umana, che vive di una libertà necessitata, imperfetta, corrotta, e che per questo ha bisogno di essere disciplinata, educata, salvata, perché se non viene disciplinata questa nostra libertà può avere un’oscura forza distruttiva e farci precipitare nei vortici del nulla” (170).

La spiegazione non convince: dove va a finire in essa il dramma del male, la potenza del peccato? Kant ha affermato con ben altro rigore la serietà del male radicale: “La lotta che in questa vita ogni uomo moralmente predisposto al bene deve sostenere, sotto la guida del principio buono, contro gli assalti del principio cattivo, non può procurargli, per quanto si sforzi, un vantaggio maggiore della liberazione dal dominio del principio cattivo. Il guadagno più alto che egli può raggiungere è quello di diventare libero, ‘di essere liberato dalla schiavitù del peccato per vivere nella giustizia’ (Romani, 6, 17-18). Nondimeno, l’uomo resta pur sempre esposto agli attacchi del principio cattivo, e per conservare la propria libertà, costantemente minacciata, è necessario che egli resti sempre armato e pronto alla lotta” (Immanuel Kant, “La religione entro i limiti della semplice ragione”, Milano 2001, 111).

Come ha osservato Karl Barth, “quello che meraviglia non è che il filosofo Kant prenda in generale in seria considerazione il male [...] bensì il fatto che egli parli di un principio malvagio, e dunque di una origine del male nella ragione e in questo senso di un male radicale” (“La teologia protestante nel XIX secolo”, Milano 1979, 338). Vanificare il peccato originale e la sua forza attiva nella creatura vuol dire banalizzare la stessa condizione umana e la lotta col Principe di questo mondo, che proprio Mancuso aveva rivendicato contro l’ottimismo idealistico di Hegel.
La conseguenza di queste premesse è la dissoluzione della soteriologia cristiana. Se non si dà il male radicale, e dunque il peccato originale e la sua forza devastante, su cui appoggia la sua azione il grande Avversario, la salvezza si risolve in un tranquillo esercizio di vita morale, che non vive più di alcuna tensione agonica e non ha bisogno di alcun soccorso dall’alto: “salvarsi l’anima” non sarebbe né più né meno che una sorta di autoredenzione. “La salvezza dell’anima dipende dalla riproduzione a livello interiore della logica ordinatrice che è il principio divino del mondo” – “La salvezza dell’anima non dipende dall’adesione della mente a un evento storico esteriore, sia esso pure la morte di croce di Cristo, né tanto meno dipende da una misteriosa grazia che discende dal cielo” (311).

La risurrezione di Cristo risulterebbe così del tutto superflua: essa, per Mancuso, “non ha alcuna conseguenza soteriologica, né soggettivamente, nel senso che salverebbe chi vi aderisce nella fede visto che la salvezza dipende unicamente dalla vita buona e giusta; né oggettivamente, nel senso che a partire da essa qualcosa nel rapporto tra Dio e il genere umano verrebbe a mutare” (312).
Mi chiedo come siano conciliabili queste affermazioni con quanto dice Paolo: “Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1 Corinzi, 15, 14). La confessione della morte e risurrezione del Figlio di Dio fatto uomo è l”‘articulum stantis aut cadentis fidei Christianae”!
Vanificata la soteriologia, ne consegue anche lo svuotamento del dramma della libertà e la negazione della possibilità stessa della condanna eterna: l’Inferno sarebbe un “concetto [...] teologicamente indegno, logicamente inconsistente, moralmente deprecabile” (312). Convinzione della fede cattolica è al contrario che senza l’Inferno l’amore stesso di Dio risulterebbe inconsistente, perché non si darebbe alcuna possibilità di una libera risposta della creatura. “Chi ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te”: il giudizio di Agostino richiama la responsabilità di ciascuno di fronte al suo destino eterno.
L’insieme di queste tesi si rifà a un’opzione profonda, che emerge da molte delle pagine del libro: quella che non esiterei a definire una “gnosi” di ritorno, presentata nella forma di un linguaggio rassicurante e consolatorio, da cui molti oggi si sentono attratti.

“Io penso – afferma l’autore – che l’esercizio della ragione sia l’unica condizione perché il discorso su Dio oggi possa sussistere legittimamente come discorso sulla verità” (315). Il problema è di quale ragione si parla: quella totalizzante della modernità, che ha prodotto tanta violenza nelle sue espressioni ideologiche? O quella che il Logos creatore ha impresso come immagine divina nella creatura “capax Dei”? E se di questa si tratta, come si può assolutizzarla fino al punto da ritenere superfluo ogni intervento dall’alto, quasi che il “lumen rationis” escluda il bisogno del “lumen fidei”? Cristo sarebbe venuto invano? E la fragilità del pensare e dell’agire umano sarebbe inganno, perché nessuna debolezza originaria degli eredi del primo Adamo si opporrebbe alla potenza di una ragione ordinatamente applicata?

Ben altro dice la testimonianza di Paolo, alla quale non può non attenersi una teologia che voglia dirsi cristiana, preferendola a ogni illusoria apoteosi della ragione prigioniera di sé: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano” (Galati, 2, 20-22).

Dalla legge, da qualunque legge di autoredenzione, la salvezza non viene. Senza il dono dall’alto, nessuna salvezza è veramente possibile. Sta qui la verità della fede, il suo scandalo: proprio così, la sua potenza di liberazione, la sua offerta della via unica e vera per “salvarsi l’anima”. Pensare diversamente, non è teologia cristiana: è “gnosi”, pretesa di salvarsi da sé.

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L’anima e il suo destino secondo Vito Mancuso

Da “La Civiltà Cattolica” del 2 febbraio 2008, quaderno 3783

di Corrado Marucci S.I.

Nel suo ultimo libro Vito Mancuso (1), docente di Teologia moderna e contemporanea alla Facoltà di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano, espone quello che si può definire un moderno trattato di escatologia. In vari riferimenti sparsi nel corso dell’esposizione, egli concepisce il proprio lavoro come “costruzione di una ‘teologia laica’, nel senso di rigoroso discorso su Dio, tale da poter sussistere di fronte alla scienza e alla filosofia”. Questo “discorso” si sviluppa nel testo, dopo la prefazione del card. Martini, nella quale egli afferma, fra l’altro, “di sentire parecchie discordanze su diversi punti”, e un capitolo introduttivo sulle coordinate speculative dell’Autore di circa 50 pagine, in nove capitoli che trattano dell’esistenza dell’anima, della sua origine e immortalità, della salvezza dell’anima, della morte e del giudizio, della terna paradiso/inferno/purgatorio e infine di parusia e giudizio universale. Chiudono una “Conclusione” e l’indice degli autori citati.

Data la mole degli argomenti trattati e lo stile enciclopedico scelto dall’Autore, è praticamente impossibile esporre sinteticamente e commentare le convinzioni, le conclusioni, le proposte, le tirate ironiche e gli stimoli disseminati nel testo (2). Ci limitiamo qui all’essenziale, col rischio di trascurare cose che possono essere sembrate essenziali all’Autore.

INTRODUZIONENel lungo capitolo introduttivo egli espone uno dopo l’altro i cardini di ciò che intende sviluppare in seguito. In realtà si tratta di un insieme di convinzioni e princìpi in parte decisamente ovvi (quanto alla necessità di aderire alla verità, chi ha mai ammesso che si possa argomentare a partire da falsità o addirittura accettarle?), in parte bisognosi di molti distinguo (sembrerebbe che per l’Autore l’ultima istanza di ogni argomentazione sia l’accordo o almeno il non disaccordo con le scienze positive e ciò è ovviamente discutibile, poiché queste sono in un continuo processo autocorrettivo e spesso non prive di preconcetti e indebite estrapolazioni).

Mancuso, seguendo una moda terminologica più del gergo politico e giornalistico che non filosofico, dichiara che il suo referente è la “coscienza laica”, intendendo con ciò “la ricerca della verità in sé e per sé” (p. 9). Sarebbe difficile trovare qualche pensatore, dai presocratici a oggi, che abbia un differente concetto di verità: il problema è come si può arrivare alla certezza di aver raggiunto tale verità.

Ma forse, come emerge da alcune allusioni, egli è convinto che chi aderisce alla fede cristiana lo faccia tacitando le difficoltà razionali o addirittura senza troppo pensare. L’Autore riassume poi diversi dati e acquisizioni scientifiche relative alla materia, alla sua equivalenza con l’energia, all’evoluzione, che egli ritiene necessario integrare con il concetto di relazione.

Diverse volte, in questo capitolo e anche nei seguenti, Mancuso dice di voler essere un pensatore cattolico, un figlio della Chiesa. È perciò assai strano che egli, in un’opera che sostanzialmente vorrebbe essere di teologia, tra le premesse argomentative non faccia alcun riferimento alla metodologia dell’esegesi biblica e a quella propria della teologia cattolica. Sulle conseguenze di questa mancanza torneremo in seguito. Le ultime pagine del primo capitolo possono qui essere tralasciate sia perché difficilmente riassumibili, sia perché le necessarie critiche saranno più evidenti nelle loro conseguenze sui singoli argomenti trattati in seguito.

L’”ANIMA SPIRITUALE”

Nei capitoli seguenti l’Autore espone le sue convinzioni sugli argomenti classici relativi all’anima e al suo destino finale. Innanzitutto, sempre attingendo ad autori del passato a partire dagli antichi egizi fino al recente Catechismo della Chiesa Cattolica, egli si dichiara “apertis verbis” per l’esistenza dell’anima spirituale nell’uomo arrivato a maturità (?).

Va detto tuttavia che con il termine “anima spirituale” egli intende molte cose, ci pare, più legate a concetti come energia, relazione, libertà, creatività e così via, legati cioè più alla materia, o ai sensi o ancora conseguenze della presenza nell’uomo della dimensione spirituale. Molte osservazioni, derivanti dai più disparati settori della vita, sono condivisibili, altre oscure dal punto di vista concettuale. Quello che però stupisce è la completa assenza di argomenti veri e propri che dimostrino l’esistenza di quella realtà che in tutta la tradizione cristiana si è chiamata anima o spirito.

Ovviamente ogni dimostrazione vale all’interno di un sistema logico predefinito; ma poiché, come si è detto, Mancuso non dichiara le sue coordinate logiche, non è possibile giudicarne le asserzioni. È ovvio che la pura assimilazione alle scienze fisico-chimiche contemporanee non potrà mai essere sufficiente allo scopo, poiché il loro oggetto formale sono i dati materiali sensibili e osservabili.

Nella sistemazione classica del cattolicesimo la dimostrazione dell’esistenza dell’anima spirituale era demandata alla filosofia, quale “ancilla theologiae”. Dall’ovvia esistenza nell’uomo dell’intellezione e del conseguente giudizio, che sono operazioni non materiali, ma spirituali, si deduceva la necessità di un principio immateriale nell’uomo, poiché la materia non è capace di operazioni non materiali. Il supporto logico-argomentativo era dato dall’ontologia aristotelico-tomista. Quanto invece alle argomentazioni di Mancuso, non è difficile immaginare che un lettore non digiuno di logica e di filosofia le trovi vaghe e poetiche (3).

Quanto poi al momento dell’infusione dell’anima razionale nel corpo, l’Autore, in buona sostanza, pare far sua la teoria delle “formae vitales”, che la filosofia scolastica aveva ereditato da Aristotele, come conseguenza dell’assioma che ogni forma ha bisogno di una materia adeguatamente preparata a riceverla. Tale teoria però, oltre che per difficoltà teoretiche, è stata abbandonata dalla Chiesa cattolica, perché le operazioni vitali, vegetative e sensibili, per sostenere le quali si invocava la presenza nel feto di un’anima soltanto vegetativa e in seguito soltanto sensibile, possono essere tranquillamente attribuite fin dall’inizio all’(unica) anima razionale, come si fa in seguito nell’esistenza umana matura.

A nostro parere l’applicazione dell’assioma sopra ricordato non conduce ad alcuna conclusione sicura, poiché la sproporzione ontologica dell’anima spirituale è totale nei confronti di qualsiasi tipo di materia; non è questione cioè di gradi. Su questo tema stupisce infine il silenzio di Mancuso in merito a tutta quella serie ormai ricchissima di studi sulla fisiologia del cervello per appurare se vi siano operazioni umane non spiegabili con le sole proprietà neurologiche (4). Notiamo infine che diverse volte (5) nel corso dell’esposizione Mancuso attribuisce alla dottrina ecclesiale l’idea che per essa l’anima sia una sostanza, cosa assolutamente erronea: il famoso asserto per cui l’anima è “forma substantialis corporis” significa che essa non è una sostanza bensì un “principium entis”; la sostanza è la persona umana (6).

L’ORIGINE DELL’ANIMA

Il testo poi presenta tutto un capitolo (30 pagine) sul problema dell’origine dell’anima. Nonostante il tentativo di distanziarsi anche in questo punto dalle concezioni tradizionali (di cui egli cita tutta una serie), Mancuso in buona sostanza concorda con la dottrina ecclesiale praticamente in tutto, fatta eccezione per l’affermazione che l’anima umana viene creata direttamente da Dio. In proposito va ricordato che tale dottrina non è mai stata definita come dogma di fede; i manuali le danno la qualifica di theologice certa. L’Autore lo ammette, benché non spieghi esattamente il significato di questa “nota theologica” (7). La conseguenza di questo fatto è che la dottrina contraria (in questo caso che i genitori trasmettono l’anima al concepito) è accettabile laddove si riesca a dimostrare che le argomentazioni razionali che conducono alla necessità del suo contrario non tengono.
Orbene non ci pare che questo riesca all’Autore, ma che anzi quelle classiche siano ancora valide (8), aggiungendo comunque che l’asserto per cui le anime sono create direttamente da Dio ha anche la funzione di sottolineare che ciò che nasce (con una fenomenologia molto varia e addirittura a volte casuale) in realtà è sempre qualcosa di per sé direttamente voluto da Dio, destinato a dialogare con lui e che quindi non rappresenta mai un progetto solamente storico o fattuale, ma eterno. Mancuso sfrutta qui una sua ricorrente convinzione che lo spirito, in quanto energia, possa derivare dalla materia e contesta l’opposizione classica tra spirito e materia, per cui l’una è il contrario dell’altra. Non è il caso di ribadire questa concezione che, una volta capiti i termini, è ovvia; il problema è che qui, e per tutto il libro, l’Autore opera con un concetto di spirito che non è quello di cui parla tutta la tradizione cristiana. Affermare infatti che esso è energia e appellarsi alla fisica einsteiniana è un’idea perlomeno bizzarra (9). Come può una realtà estesa, misurabile e presente anche nelle cose e negli animali, essere spirituale?
D’altronde Mancuso aveva dichiarato nelle premesse la sua incondizionata adesione al pensiero evolutivo e a Teilhard de Chardin. Citando poi come esempio il noto manuale di Flick e Alszeghy, egli sostiene che nell’argomentazione tradizionale ci sarebbe un circolo vizioso; ma perlomeno nell’edizione finale di tale manuale (10) tutto ciò è affatto assente: l’immortalità dell’anima è detta naturale fin dall’inizio, anche se ovviamente voluta da Dio e quindi, dicono i due dogmatici, può essere creata soltanto da Dio. Foriera di gravi conseguenze etiche è l’affermazione che “non c’è più (nel caso di una vita colpita da una grave malattia o da senilità acuta) l’anima razionale-spirituale” (p. 107): è chiaro che Mancuso confonde la facoltà con il suo esercizio (11).

IMMORTALITÀ E SALVEZZA DELL’ANIMA

Il quarto capitolo, di 40 pagine, è dedicato all’immortalità dell’anima. Affastellando citazioni e “bons mots” (a volte poco pertinenti) di pensatori e scienziati dell’antichità, del Medioevo e moderni, Mancuso arriva alla conclusione che per l’immortalità dell’anima non esistono prove (p. 123 e passim). Senza analizzare i motivi del dogma, egli si sofferma sull’esistenza o meno di un Dio personale e su problemi derivanti dalla domanda spontanea di perennità innata nell’uomo. La definizione, ribadita in tutto il corso del testo, dell’anima come energia impedisce di capire il senso delle dimostrazioni classiche e delle numerose conferme bibliche concernenti l’immortalità dello spirito umano. Non è qui il caso di contestare singole affermazioni del testo, che procede veramente a ruota libera (12).

L’Autore ritiene necessario dedicare poi il quinto capitolo, di 37 pagine, al tema della salvezza dell’anima. Innanzitutto dichiara che tutti i contenuti veicolati dal dogma del peccato originale (13) devono essere riformulati o abbandonati; concretamente Mancuso ritiene corretto parlare soltanto di “peccato del mondo”. Prescindendo praticamente dalla teologia paolina, ma ricorrendo a Platone, Anassimandro e Bonhoeffer egli ritiene di dover “rifondare” fede e tradizioni (p. 168).

Cercando allora di rispondere alla domanda se dobbiamo ancora essere salvati e se sì, da cosa e come, l’Autore spiega “da noi stessi e dalla vita disordinata (nel senso di sottoposta all’entropia)” (p. 173). Quanto al come, egli proclama che “non è la religione che salva: […] non sono i sacramenti, la Messa, i rosari, i pellegrinaggi, le indulgenze, la Bibbia” (p. 176), e oltre “non c’è alcuna esigenza di credere nella sua [cioè di Gesù] resurrezione dai morti per essere salvi” (p. 183). È ovvio che siamo agli antipodi di ciò che Paolo afferma in 1 Cor 15 e in molti altri passi.

Il sesto capitolo, di 18 pagine, è dedicato a “Morte e giudizio”. Anche qui Mancuso, sulla base di rudimentali richiami biblici (tra i quali manca il testo principale Gn 2,17; 3,19) definisce i dati tradizionali come contraddittori (cfr p. 189); quanto alla valenza della morte egli, in buona sostanza, va catalogato tra coloro che negano la reale problematicità della morte degli umani (14), posizione difforme dalla dogmatica cattolica. Sul criterio del giudizio dopo la morte, Mancuso invece di ricordare la classica formula paolina della “fides caritate formata” preferisce appoggiarsi a Platone, Marco Aurelio, Pascal, Kant e Simone Weil.

I quattro capitoli seguenti, più sintetici dei precedenti, riguardano paradiso, inferno, purgatorio, e parusia e giudizio universale. Anche per il paradiso, la visione beatifica e la risurrezione dei corpi l’Autore compie una completa “demitizzazione”, sempre argomentando da alcuni suoi assiomi non ulteriormente discussi quali l’identità tra spirito e materia, la concezione dell’anima come energia e l’eterna validità delle leggi fisiche.

Egli stabilisce perciò che la distinzione tra immortalità dell’anima e risurrezione dei corpi è “del tutto infondata” (p. 223), che la concezione per cui le anime dei defunti vivono “un letargo simile alla morte” sarebbe “oggi maggioritaria tra i teologi e ancor più tra i biblisti” (p. 214) (15) e che “la convinzione che nessun intelletto creato può vedere l’essenza di Dio [è] la peggiore delle eresie” (p. 219), che “la credenza della risurrezione della carne appare nella sua inconsistenza fisica e teologica” (p. 225) e così via.

Non è qui possibile commentare questa congerie di affermazioni anche perché le argomentazioni ora sono oscure, ora soltanto accennate sulla base di citazioni, di convinzioni e frasi di pensatori di ogni epoca. Ci limitiamo a segnalare che, in contesto escatologico, il termine “eternità” ha due significati assai diversi, soltanto analogici: se si parla di quella di Dio, essa implica l’assenza di ogni successione e di ogni distinzione tra essenza e operazioni (16), mentre per gli altri esseri spirituali il termine implica la perennità de iure, non solo de facto, ma non esclude la successione temporale e questo risolve alcune antinomie che Mancuso crede di rintracciare nella dogmatica cattolica (17). Nonostante il profluvio di autori citati, pare che Mancuso non conosca la letteratura collegata al concetto di “risurrezione nella morte”, che è la più recente querelle di carattere escatologico in campo cattolico (18).

Venendo poi a parlare dell’inferno, Mancuso dedica praticamente tutto il capitolo (ben 35 pagine) alla confutazione del dogma dell’eternità dello stesso. Anche qui, saltando da Agostino a Tommaso fino a von Balthasar, egli approda alla lapidaria affermazione per cui “parlare di eternità dell’Inferno è una contraddizione assoluta” (p. 263), oltre che poco evangelico. Si tratta dunque di scegliere tra apocatastasi e annichilazione dei reprobi: dopo aver a lungo esposto il pensiero di P. Florenskij, egli resta, per così dire, “anceps”, dopo aver fatto un peana dell’antinomia annunciata.

Il lettore noterà la mancanza di analisi delle numerose affermazioni del Nuovo Testamento, con l’introduzione di errori teologici anche non lievi (19). Precisiamo qui, se fosse necessario, che la dottrina dell’apocatastasi, oltre che sempre condannata dal Magistero, è anche insostenibile fintantoché si vuol mantenere la reale libertà di ogni essere spirituale anche di fronte all’appello di Dio.

Dopo aver definito il purgatorio “una salutare invenzione”, Mancuso afferma che l’unica modalità che gli appare “razionalmente legittima” è di concentrarlo nell’istante della morte (p. 279). La parusia infine è da lui definita come maggiormente bisognosa di essere ripensata (cfr p. 289). In definitiva il testo sostiene che non ci sarà alcun ritorno del Gesù glorioso; le frasi corrispondenti del Nuovo Testamento sono errori di Gesù e di Paolo. Per Mancuso è semplice anche spiegare perché “Dio non è mai intervenuto direttamente nella storia” e perché “non tutta la bibbia è parola di Dio”!

CONCLUSIONE

Se per teologia si intende la riflessione dell’intelletto umano illuminato dalla fede sulla Sacra Scrittura e sulle definizioni della Chiesa, allora il nostro giudizio complessivo su questa opera non può che essere negativo. L’assenza quasi totale di una teologia biblica (20) e della recente letteratura teologica non italiana, oltre all’assunzione più o meno esplicita di numerose premesse filosoficamente erronee o perlomeno fantasiose, conduce l’Autore a negare o perlomeno svuotare di significato circa una dozzina di dogmi della Chiesa cattolica.

A fronte di una relativa povertà di dati autenticamente teologici, la tecnica di accumulare citazioni da tutto lo scibile umano, oltre al rischio di distorcerne il senso reale ai propri fini poiché esse fanno parte di assetti logici a volte del tutto diversi, non corrisponde affatto alla metodologia teologica tradizionale (21).

In realtà non è facile neanche elencare tutte le matrici che Mancuso alterna e assomma nel corso dell’esposizione (platonismo, razionalismo gnostico, scientismo, eclettismo e così via): quello che comunque domina è il razionalismo convinto che di realtà di cui non si ha alcuna percezione sensibile o decisamente soprannaturali si possa discettare in analogia con le scienze fisico-biologiche.

Nel contesto di notevolissima confusione sulla religione e la Chiesa tipica della cultura mediatica contemporanea, questo testo ci sembra che contribuisca ad aumentare tale confusione. L’Autore dichiara la sua disponibilità ad essere corretto: ma ciò, dato lo stile non sistematico e velleitario delle sue affermazioni, non è facile, poiché si può confutare soltanto ciò che è organicamente formulato al di dentro di un preciso assetto epistemologico.

NOTE

(1) Cfr V. Mancuso, “L’anima e il suo destino”, Milano, Cortina, 2007, XVI-323, € 19,80. Le pagine indicate nel testo si riferiscono a questo volume.

(2) È spiacevole che in un’opera teologica ci siano titoli come “il deposito di zio Paperone” (p. 37) e “Vino e tortellini” (p. 40). Ancora a p. 73 il matrimonio è detto “legame chimico totale della libertà”. Gli esempi potrebbero essere moltiplicati.

(3) Alquanto sorprendente invece è la convinzione dell’Autore secondo la quale le attività più chiaramente spirituali dell’uomo sono “scienza, arte, musica, pensiero” (p. 64). Anche in seguito si sostiene che la musica è la massima espressione spirituale dell’uomo.

(4) Su questo settore di ricerca cfr, tra i molti, H. Goller, “Hirnforschung und Menschenbild”, in “Stimmen der Zeit” 218 (2000) 579-594 (con abbondante bibliografia) e H. Schöndorf, “Gehirn-Bewußtsein-Geist”, in “Herder-Korrespondenz” 53 (1999) 264-267.

(5) Cfr, ad esempio, pp. 53, 77, 93, 97.

(6) Ricordiamo “en passant” che anche per la cosiddetta anima separata san Tommaso precisa che essa non è persona umana (cfr “Summa Th.” 1, 29, 1 ad 5m; Pot 9, 2 ad 14m; “Summa contra Gentiles” 4, 79).

(7) Tale qualifica significa che un asserto è necessariamente connesso mediante operazioni logiche a un dogma di fede, non, come spiega Mancuso, “che i pronunciamenti del Magistero sono stati tali da rendere tale dottrina patrimonio sicuro della fede cattolica” (p. 85).

(8) Senza stare qui a ripeterle rimandiamo all’esposizione di M. Flick – Z. Alszeghy, “Il Creatore, l’inizio della salvezza”, Firenze, Lef, 19612, 251 s.

(9) Con la solita mescolanza dei generi letterari egli afferma che “per avere una reale esperienza spirituale […] non è necessario […] andare in Chiesa, isolarsi in un monastero” (p. 87).

(10) Cfr M. Flick – Z. Alszeghy, “Il Creatore…”, cit., 183 ss; lo stesso vale per J. Donat, “Psychologia”, Oeniponte, 19327, 409 ss.

(11) Più o meno le stesse cose vengono ripetute dall’Autore oltre, alle pp. 136 ss.

(12) Ci limitiamo a notare che non è vero che con le note prove tomistiche dell’esistenza di Dio si approda sempre a un essere impersonale, poiché almeno la quinta prova termina a un essere intelligente, che non può essere che personale. Il termine riferito a Dio di “universitatis principium”, che secondo Mancuso a motivo del neutro proverebbe che si tratta di qualcosa di impersonale (p. 129), non viene usato da Tommaso nel contesto delle cinque prove, ma una volta sola in “Summa contra Gentiles” 1, 1, 3.

(13) Quanto al rapporto tra peccato dei progenitori e peccato originale originato, notiamo che Mancuso pare ignorare il noto saggio di K. Rahner “Theologisches zum Monogenismus”, in “Schriften zur Theologie” 1 (Einsiedeln, 19604) 253-322. Più avanti (p. 287), con la solita eccedenza verbale, egli stabilirà che “il peccato originale [è] un autentico mostro speculativo e spirituale, il cancro che Agostino ha lasciato in eredità all’Occidente”!

(15) Anche su questo tema avrebbe apportato chiarezza la conoscenza dell’ottimo saggio di K. Rahner, “Zur Theologie des Todes” (QD 2), Freiburg i.Br., 19613.

(15) Non si citano nomi concreti, ma l’affermazione, per quanto concerne teologi e biblisti cattolici, è completamente erronea (vedi anche i testi da noi citati sotto in nota 18). In realtà fu Lutero a parlare per primo di un “Seelenschlaf”.

(16) Il che è perfettamente espresso nella nota definizione di Boezio: “interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio”. L’erronea concezione che Mancuso ha dell’eternità dello spirito creato ritorna spesso (cfr soprattutto p. 313).

(18) Cfr la Quaestio disputata “Auferstehung im Tode” di G. Greshake – G. Lohfink (Freiburg, 19825) con la nostra critica in G. Lorizio (ed.), “Morte e sopravvivenza”, Roma, Ave, 1995, 289-316.

(18) Il più grave è quello di attribuire a Tommaso l’affermazione che in “Summa Gent.” III, 163 Dio “spinge […] ad agire effettivamente male. No comment” (p. 254 s). Il commento è invece necessario: Tommaso continua nel testo con le parole “reprobatio includit voluntatem permittendi aliquem cadere in culpam, et inferendi damnationis poenam pro culpa”.

(19) Segnaliamo in nota che la traduzione del p. Centi di “assimilamur” con “somiglianza” in “Summa contra Gentiles” III, 51 (p. 218) è corretta (l’italiano “assimilare” è frutto di evoluzione semantica); la frase citata (a p. 207) dal “Kleines Theologisches Wörterbuch” di Rahner e Vorgrimler (che non è proprio il massimo che si possa citare in tema di escatologia) alla voce “Himmel”, per cui il cielo non sarebbe un luogo, è avulsa dal contesto, per cui, rileggendo tutta la voce, viene corretta nel senso tradizionale.

(20) Basta ricordare la seguente sentenza: “Il biblicismo è una pericolosa malattia, è la paralisi dello spirito” (p. 279). Già prima Mancuso aveva informato il lettore che, tra i 73 libri biblici, “ve ne sono di banali [...]; alcuni sono capolavori assoluti, mentre altri presentano pagine persino dannose al progresso spirituale delle anime verso la via del bene e della giustizia” (p. 104 s).

(21) Questa è ben formalizzata e più solida di quanto forse l’Autore si immagina: si veda anche soltanto il chiarissimo piccolo capolavoro del Bochenski, uno dei maggiori storici della logica del Novecento, dal titolo “The Logic of Religion” (New York, 1965) e il “Method in Theology” di B. Lonergan.

L’articolo di Mancuso per “Il Foglio” e la risposta di Giuliano Ferrara sono consultabili qui

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Pubblicato da Raffaella

La ragione vince, rifare la Chiesa

Da “il Foglio” di martedì 22 gennaio 2008. Con, a seguire, la replica di Giuliano Ferrara

di Vito Mancuso

Il discorso che Benedetto XVI non ha potuto pronunciare alla Sapienza ha condotto nuovamente alla ribalta il tema della ragione, già definito nella “Spe salvi” “il grande dono di Dio all’uomo”. Questo mio articolo intende riflettere sulla situazione attuale del rapporto fede-ragione considerando le cose dall’interno della chiesa. La mia tesi è che oggi il mondo cattolico, rimasto orfano di una filosofia su cui basare la propria visione del mondo a causa della demolizione della tradizione metafisica, è alla ricerca soprattutto della forza della ragione, ma tale forza potrà dare frutto solo alla precisa condizione che la ragione (teologicamente considerata) regni anche all’interno della chiesa, il che, sostengo, non sempre avviene.

Prendo spunto dalla campagna antiabortista di questo giornale (alla quale, in quanto battaglia culturale, aderisco con convinzione e gratitudine). Io ritengo che la causa principale del suo successo consista nel fatto che chi l’ha inventata e la conduce, Giuliano Ferrara, sia laico, anzi, come dice egli stesso, ateo, e che quindi risulti parlare sulla base della sola ragione. Ciò gli consente di ottenere il più ampio consenso, essendo ascoltato dai credenti quanto al contenuto, e non rifiutabile a priori dai non credenti con la motivazione che le sue parole provengono da una sfera per loro irrazionale quale la fede.

Questo è un segno, a mio avviso, della debolezza teoretica della fede ai nostri giorni. Per secoli le argomentazioni condotte a partire dalla fede erano vere a priori, accettate senza discutere. Oggi avviene il contrario: le argomentazioni a partire dalla fede sono opinabili a priori, senza fondamento stabile, pura soggettività, gusto personale.

Lo avvertono anche i credenti, ed è questo il motivo per cui Ferrara ottiene tanta attenzione presso di loro, soprattutto presso i più attenti all’ortodossia e all’ortoprassi. Di esempi ce ne sono altri, primo tra tutti il fatto che per elogiare al massimo il discorso del Papa alla Sapienza questo giornale l’abbia definito nel titolo di prima pagina del 17 gennaio “galileiano”, con tanto di foto del Papa che guarda con simpatia alla sua sinistra dove era posto un ritratto di Galileo, col risultato di presentare il Papa che sorride a Galileo.

Anche il Foglio sente che per dare il massimo dell’autorevolezza veritativa alle parole papali oggi occorre appoggiarsi alla ragione, in particolare alla ragione scientifica. Un altro esempio è dato dal fatto che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI per pubblicare i loro libri più importanti scelgono editrici laiche quali Mondadori e Rizzoli, e non editrici cattoliche. Perché lo fanno?

Tutti sanno che si tratta di editrici che non esitano a pubblicare libri come “Il codice Da Vinci” di Dan Brown, “L’illusione di Dio” di Richard Dawkins e altri titoli poco amichevoli verso la fede, ed è normale che lo facciano essendo aziende che perseguono solo il business, non l’evangelizzazione. Ma perché i papi, che perseguono l’evangelizzazione e non il business, le preferiscono a scapito delle editrici cattoliche?

Non è per un motivo distributivo, perché tra le editrici cattoliche ve ne sono di grandi che potrebbero benissimo ottenere lo stesso risultato distributivo di Mondadori e Rizzoli. Il vero motivo delle scelte papali è un altro: è la maggiore forza culturale che i libri ottengono se pubblicati da editrici laiche. Un libro di religione pubblicato da un’editrice religiosa è molto meno forte dello stesso identico libro pubblicato da un’editrice laica. Perché?

Perché oggi la ragione è più forte della fede. Il discorso vale allo stesso modo per le interviste e gli articoli. Pubblicati dalla stampa cattolica assumono, anche agli occhi degli stessi cattolici, meno efficacia rispetto a quando compaiono sulla stampa laica. Avvenire non avrebbe mai potuto orchestrare con lo stesso successo la campagna del Foglio contro l’aborto. Perché? Perché oggi la ragione è più forte della fede.

Il cardinal Ruini dieci anni fa ha lanciato il cosiddetto Progetto culturale della chiesa italiana. Frutti? In poche settimane il Foglio ha ottenuto di più. È la dimostrazione della maggiore forza di chi può parlare a partire dalla sola ragione. Si tratta di una forza che attrae e convince prima di tutto gli stessi credenti, i quali avvertono oggi più che mai un bisogno profondo di vedere le loro convinzioni di fede rafforzate e garantite dalla ragione. In ordine alla condanna dell’aborto valgono di più mediaticamente le poche righe di Norberto Bobbio che centinaia di discorsi papali. La ragione oggi è più forte della fede.

La coscienza credente avverte oggi il bisogno di poter sussistere di fronte alla scienza e alla filosofia, di poter cioè risultare razionalmente fondata. E questo per un semplice motivo: perché ormai da secoli, dal tempo di Galileo, si viene a sapere com’è fatto il mondo non più dalla Bibbia e dalla dogmatica della chiesa, ma dalla scienza e dalla filosofia. Ai credenti si impone così il compito di conciliare ciò che del mondo dice la fede, con ciò che il mondo dice di se stesso. Questo, esattamente questo, è il punto.

Ma tale conciliazione è un lavoro della ragione, ed è per questo che la ragione oggi è più forte della fede. Laddove infatti emerge un’inconciliabilità tra ciò che sostiene la ragione e ciò che sostiene la fede, è quest’ultima, la fede (intesa come fides quae) a cedere e uniformarsi. O lo fa subito spontaneamente, oppure, come purtroppo il più delle volte è avvenuto, lo fa quando è costretta dalla forza delle cose, dalla forza della ragione, la forza della verità.

Questa maggiore forza della ragione rispetto alla fede non è però qualcosa di cui il cattolicesimo si debba preoccupare. Ha scritto Joseph Ratzinger quand’era cardinale: “Nell’alfabeto della fede, al posto d’onore è l’affermazione ‘In principio era il Logos’. La fede ci attesta che il fondamento di tutte le cose è l’eterna Ragione”.

Parole straordinarie. Per il cattolicesimo, la cui anima teoretica si chiama analogia entis, la ragione è più di un’alleata: è lo strumento privilegiato del rapporto con Dio. La fede ha senso solo come estensione della forza della ragione, mai come contrapposizione. A differenza del protestantesimo, il cattolicesimo ritiene vitale l’esercizio della pura ragione. La differenza di fondo tra le due confessioni cristiane è proprio qui, tutte le altre ne sono una conseguenza.

Ha scritto il più influente teologo protestante del ’900, Karl Barth: “Io ritengo l’analogia entis un’invenzione dell’Anticristo e penso che è a motivo di ciò che uno non può diventare cattolico. Al che mi permetto di aggiungere che tutte le altre ragioni che si possono addurre per non farsi cattolico mi sembrano puerili e di nessun peso”.

Accettare l’analogia entis significa ritenere che tra Dio e Uomo vi sia comunanza ontologica, e quindi che la ragione dell’uomo possa da sé giungere a Dio, alla giustizia, al vero, al bene. Al contrario rifiutare l’analogia entis significa ritenere che tra Dio e Uomo non vi sia nessuna comunanza ontologica, che Dio sia il totalmente Altro, e che quindi l’esercizio autonomo della ragione sia del tutto inutile per la fede.

Per il protestantesimo la ragione è utile alla fede solo se è esercitata all’interno della fede e da essa guidata; il cattolicesimo invece attribuisce grande importanza al lavoro autonomo della ragione. È questo il motivo per cui l’ellenizzazione del cristianesimo per i protestanti è deleteria, mentre per i cattolici positiva (si vedano le parole di Benedetto XVI a Ratisbona al riguardo).

Ma il punto è che se si accetta la ragione, la si deve accettare fino in fondo. Non si può prenderla come guida fino a quando i conti tornano, e poi, quando ci si accorge che iniziano a non tornare, abbandonarla. La ragione non ci sta a questa strumentalizzazione, non è una serva che si può congedare a piacimento.

O le si dà sempre il primo posto facendola regnare, o la si mette sempre in secondo piano riducendola a strumento. Non si può prima fare una cosa, poi l’altra.

O si accetta il suo principio (che è il Logos) estendendolo all’intero, oppure non si può dire di parlare nel suo nome.

O tutto o niente, è questo il comportamento che la ragione impone. Non è possibile l’equilibrismo di fides et ratio, il primato o è della fides o è della ratio.

Assegnare il primato alla ragione, come l’assegna Ratzinger col dire che il posto d’onore della fede cristiana spetta al Logos, significa impegnarsi a condurre il discorso teologico “sempre” all’insegna della ragione, la quale ovviamente deve essere teologicamente configurata (concetto su cui mi soffermerò nell’ultima parte dell’articolo).

A me sembra però che questo primato del Logos nella nostra chiesa non venga sempre rispettato. Faccio alcuni esempi, prima di ambito specificamente dottrinale, poi di prassi ecclesiale, infine di dottrina morale con specifico riferimento al tema dell’aborto. Inizio dalla dottrina.

Com’è possibile fare del Logos il criterio decisivo con cui considerare la natura, e poi sostenere al contempo la creazione ex nihilo, quando oggi si sa che l’energia non si crea né si distrugge ma solo si trasforma (primo principio della termodinamica)? Come si può sostenere il divino logos creativo, e insieme proclamare la dottrina del peccato originale che, a causa del primo uomo, grava su ogni bambino che viene al mondo?

Come si può abolire il Limbo, com’è avvenuto con il documento della Commissione Teologica Internazionale dell’aprile 2007, e non rivedere radicalmente la dottrina del peccato originale che ne è la causa?

Potrei fare altri esempi, ma ciò che voglio dire è che senza una chiarificazione logica all’interno della dottrina le parole di esaltazione del Logos spesso pronunciate da Papa Benedetto risultano poco credibili alle più avvertite coscienze contemporanee. Voglio dire che la battaglia a favore del Logos non si combatte solo al di fuori della chiesa, ma anche al nostro interno. Prima di guardare la pagliuzza negli occhi degli altri, osserviamo la trave nei nostri.

Anche a livello di prassi ecclesiale siamo abbastanza distanti dal porre il Logos quale principio del comportamento. Nella stampa cattolica ufficiale i contrasti sono assopiti, le opinioni divergenti oscurate, il pluralismo negato. Qualcuno forse si ricorderà come venne trattato l’intervento del cardinal Martini insieme a Ignazio Marino sui temi della bioetica pubblicato dall’Espresso nell’aprile 2006.

Che cosa vietava al cardinal Ruini o a qualcun altro di pubblicare in risposta un pezzo altrettanto ampio e argomentato? Questo libero e ragionevole contraddittorio però non avvenne, al contrario apparve un senso di tradimento, volti scuri, labbra strette, persino parole pesanti da parte di un collega del Sacro Collegio che paragonò le idee di Martini ai profilattici (dimenticando, tra l’altro, il beneficio che l’umanità trae dai profilattici).

Mi chiedo perché, nella chiesa che intende rifarsi al Logos, si sia incapaci di discutere logicamente, in modo pubblico, sereno, responsabile.

Mi chiedo perché chi la pensa diversamente sia subito tacciato di eresia e considerato con paura e con sospetto.

Mi chiedo perché il dissenso, anche quando è condotto in modo equilibrato e da personalità autorevoli, venga sempre visto come tradimento.

Nel discorso preparato per La Sapienza il Papa dice che l’università “deve essere legata esclusivamente all’autorità della verità”: a me sembra che troppo spesso la mia chiesa sia legata esclusivamente alla verità dell’autorità (però sono fiducioso, perché la beatificazione di Rosmini ha segnato un fondamentale punto di non ritorno per lo statuto del pensare all’interno della chiesa).

Giungo infine al tema dell’aborto. Io penso che, se davvero si vuole contribuire a evitare l’aborto, una revisione della dottrina della contraccezione si imponga. È un’evidenza elementare, ognuno lo vede da sé. “Fate l’amore, non l’aborto” è un ottimo slogan, che però può essere assunto responsabilmente dalla coscienza (credente o no, poco importa, visto che l’amore lo fanno tutti e presumo allo stesso modo) solo a patto di considerare le conseguenze del fare l’amore, che talora sono anche gravidanze non volute.

Visto che ne va della soppressione di innocenti, proprio per evitare la tragedia dell’aborto occorre guardare in faccia la realtà per quello che è, non per quello che si vorrebbe che fosse, e la realtà è che i rapporti sessuali sono praticati largamente al di fuori del matrimonio e a partire da giovanissima età. Favorire una protezione di tali rapporti per evitare gravidanze indesiderate e quindi aborti, come pure per contrastare il diffondersi dell’Aids, è un dovere morale di ogni persona responsabile. Esattamente come lo è combattere l’aborto. Anzi, l’aborto si combatte (anche) non ostacolando la contraccezione.

Ma la dottrina morale della chiesa condanna la contraccezione. Occorre chiedersi perché lo fa, e andare a verificare se si tratta di motivazioni razionalmente fondate. A mio avviso tale dottrina si basa su due pilastri oggi entrambi superati. Il primo è la superata concezione biologica secondo cui la vita umana era presente nel seme maschile, la cui dispersione quindi non poteva che apparire come soppressione della vita.

Quando però nel 1879 il biologo svizzero Hermann Fol osservò sperimentalmente la penetrazione dello spermatozoo nell’ovulo, si stabilì la formazione di un organismo autonomo a partire da quel momento e divenne chiaro che la vita umana non è contenuta già nel seme paterno ma scaturisce solo dall’unione di questo con il seme materno.

Alla luce di ciò anche la dottrina sulla contraccezione avrebbe dovuto essere rivista radicalmente, perché tutte le fonti dottrinali (bibliche, patristiche, scolastiche, magisteriali) si basavano su quella superata visione biologica. Purtroppo non è stato così.

Il secondo pilastro su cui si regge la condanna della contraccezione consiste nella concezione negativa della sessualità, fino a poco tempo fa ritenuta intrinsecamente corrotta a causa dell’inevitabile libido (chiamata dalla tradizione “concupiscenza”), e considerata come realtà positiva solo in funzione della generazione dei figli all’insegna del “non lo fo per piacer mio, ma per dare figli a Dio”.

Anche questa concezione non è sostenuta più nella chiesa, ora è riconosciuto il valore in sé positivo dell’unione coniugale, è finalmente passato l’insegnamento del Cantico dei cantici.

Ho elencato motivi dogmatici, morali e di prassi ecclesiale che mostrano la disattenzione della chiesa al suo interno verso quel primato del Logos che la stessa chiesa propone al mondo di riconoscere. A mio avviso occorrerebbe un comportamento più coerente.

È infine decisivo sottolineare, soprattutto in questo paese dove possono avvenire fatti incredibili come l’intolleranza laicista di qualche giorno fa alla Sapienza, che assegnare il primato alla ragione non comporta in nessun modo rinunciare alla teologia e alla spiritualità.

La mentalità odierna lavora per lo più con una parziale accezione di ragione, considerata unicamente come una facoltà del soggetto. La razionalità così è ridotta a razionalismo, cioè a quella ristrettezza mentale che equipara la razionalità alla verifica sperimentale del soggetto.

La visione classica, alla quale io aderisco, è un’altra. Essa sostiene che se nell’uomo c’è la ragione, lo si deve al fatto che in lui si rispecchia una razionalità più ampia, origine della stessa ragione del singolo uomo. Il logos dell’uomo è la manifestazione di un più complessivo Logos cosmico, creativo e ordinatore, che informa e sostiene l’essere-energia.

Così ritenevano pensatori, pur tanto diversi tra loro, come Pitagora, Platone, Aristotele, gli Stoici, Plotino, e, nell’epoca moderna, Giordano Bruno, Spinoza, Goethe, Hegel, Hölderlin, Schelling. Così ritengono tutte le grandi tradizioni spirituali dell’umanità.

Il Logos preesiste all’uomo, il quale lo deve solo riconoscere e attuare dentro di sé, e quanto più lo attuerà, tanto più la sua vita sarà logica, armoniosa, relazionale. Non deve essere la logica del mondo a restringersi per entrare nella piccola mente dell’uomo (razionalismo); deve essere la piccola mente dell’uomo a dilatarsi per ospitare la logica del mondo (razionalità).

La teologia non è altro che lo studio colmo di amore e di meraviglia di questo Logos eterno, creatore e ordinatore del mondo. Lo si può studiare per via storica, come fa per lo più la teologia cristiana, e lo si può studiare per via speculativa, come fa la grande filosofia, ma il risultato non può che essere identico. Ha scritto Tommaso d’Aquino: “Le cose che si accettano per fede sulla base della rivelazione divina non possono essere contrarie alla conoscenza naturale”. È per questo che la frase che apre il Quarto Vangelo, “in principio era il logos”, sta al posto d’onore nell’alfabeto cristiano. Ma occorre obbedirle davvero, a partire da casa nostra.

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Ma la vittoria della ragione è solo nell’aver trovato il suo limite ai confini della fede

di Giuliano Ferrara

giulianoferraraIl teologo Vito Mancuso ci onora della sua collaborazione.

Qualche lettore obietta in nome della tutela dell’ortodossia cattolica di fronte a un progetto di rifondazione della fede che è il sostrato esplicito del lavoro di Mancuso, docente laico di teologia ed eccellente e chiaro scrittore.

L’obiezione non è pertinente. Un giornale libero ricerca il contatto con chi ha un pensiero diverso da quello del suo direttore e di alcuni suoi collaboratori. Lo fa senza perdere la capacità di svolgere in autonomia il proprio discorso, con l’aiuto dei tanti che lo suffragano del loro talento, anche i molti che non la pensano come Mancuso.

Lo fa o cerca di farlo con naturalezza, senza esibire consenso e dissenso, che sono la pasta quotidiana di cui è fatto un foglio impegnato e responsabile nel campo delle idee, come rarità preziose o fiori all’occhiello. I lettori di questo foglio sono disincantati e tutti a loro modo credenti, nel senso che amano una ragione ricca e non un razionalismo povero, e sanno benissimo fare da soli le loro distinzioni.

Se intervengo per replicare all’articolo di ieri di Vito Mancuso è perché interpella direttamente le quattro cose di cui mi sono e ci siamo occupati in questo giornale da qualche anno, con ritmo sempre crescente. Prima di arrivare all’aborto e alla contraccezione, che sono l’esemplificazione scelta dal professor Mancuso per rendere più chiaro il suo ragionamento in generale su ragione e fede oggi, affronto direttamente la questione centrale da lui posta. Semplificando, naturalmente.

Secondo Mancuso la ragione ha vinto al punto tale che oggi certe idee sulla necessità di una vita buona sono credibili solo se affermate da non credenti e da laici e in nome della sola ragione. Mi permetto di dissentire, e non per gentilezza verso la chiesa, che non ha bisogno delle mie cortesie, ma per rispetto della verità effettuale della cosa.

Non nego di avere accumulato nella mia formazione razionale, prima e al di fuori di un contatto con il problema della fede, l’energia per sostenere quanto sostengo quando parlo di vita e morte, di biotecnologie, di comportamenti sociali del mio tempo, di etica e politica e diritto.

Ma se non ci fosse la chiesa, se non fossero successe alcune cose nel mondo, e tra queste principalmente la nuova koinè o cultura diffusa instaurata da lunghi anni di predicazione papale, da Paolo VI a Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, più l’incalzante offensiva culturale dei vescovi italiani, io non esisterei come banditore delle cosuzze in cui credo, quel che penso resterebbe una piccola testimonianza personale impotente, e forse non penserei quel che penso così come lo penso.

Vittorio Messori ha detto di recente, segnalando la sua diffidenza verso il senso ultimo delle mie battaglie: su queste cose decide il vangelo, non la ragione degli uomini, sebbene lo spirito possa parlare attraverso la bocca di chiunque dica una cosa giusta, e da una prospettiva di fede cattolica ha indubbiamente qualche ragione.

Gianni Baget Bozzo, il mio amato don Gianni, ha detto il contrario: l’appello di coscienza contro l’aborto, che distingue la questione etica da quella della legalità di un comportamento pubblico, è un modo profondamente cristiano ed evangelico di intendere la cosa, e anche lui ha forse la sua ragione.

Ora Mancuso dice una terza cosa, chiudendola in un paradosso. Dice che il mio appello razionale è radicalmente indipendente dalla fede e indica imperativamente la necessità che il senso di ragione di cui è portatore il magistero cattolico di questi anni faccia fino in fondo i conti con le conseguenze di quel che insegna, rifondando razionalisticamente e in un certo senso risantificando la fede biblica, che non ha più un contenuto autonomo e parlante per il mondo moderno, alla luce del trionfo della ragione.

Io non sono d’accordo con il professor Mancuso, che ha il pieno diritto di pensarla così in generale, ma sbaglia, secondo me, nell’usare come esemplificazione il mio modo di argomentare razionalmente scelte alle quali si arriverebbe (a suo giudizio) con più fatica in una prospettiva di fede tradizionale. E credo di poter dimostrare la mia piccola parte di verità in modo molto semplice.

In un certo senso la ragione ha avuto il suo trionfo. Che non è però un trionfo della ragione sperimentale o storicistica, di Galileo o di Vico come funghi intellettuali spuntati nella radura o come rotture epistemologiche rispetto a un passato contaminato dalla fede, ma un più complesso trionfo della ragione come logos, e come logos cristiano.

Noi siamo figli della storia dell’incarnazione, che è superiore alla storia come storia della ragione perché comprende la necessità logica e caritativa della speranza. E dominiamo la natura, leggendola e modificandola fino a un punto critico di cui siamo chiamati a discutere con sapienza ed amore, perché a monte di Galileo e di Newton, di Heisenberg e di Feyerabend, c’è non solo l’analogia entis di san Tommaso ma tutto il pensiero patristico fondato sull’immediata decrittazione dei vangeli, e poi quello di sant’Agostino, di Anselmo, di Bonaventura e di molti altri censiti per esempio nello “sviluppo della dottrina cristiana” del cardinale Newman.

Senza Cristo, niente storia.

Senza Cristo e i cristiani, niente filosofia moderna e niente scienza moderna.

Io penso quindi che la ragione ha avuto il suo trionfo nel senso che ha trovato il suo limite o si è messa a cercarlo con fervore e accanimento, e solo in questo senso. Se il cardinale Ratzinger poteva parlare di illuminismo cristiano, discutendo l’Europa e le sue culture, e se ha potuto fare della “dittatura del relativismo” l’idolo polemico di una delle più straordinarie omelie dell’ultimo secolo, questo dipende da un risveglio della fede, che è necessariamente anche fede biblica e, per i cristiani, compattezza liturgica intorno all’adorazione eucaristica.

Insomma, caro professor Mancuso, Atene trova il suo limite in Gerusalemme. La modernità, come diceva Leo Strauss, è divenuta un problema. E se di rifondazione vogliamo parlare, credo che sia la fede ad avere intrapreso un cammino di rifondazione della ragione, non l’opposto come lei sostiene.

Arrivo brevemente all’esempio intorno al quale lei argomenta, derivandolo dalla questione riaperta dell’aborto sulla quale lei concorda, e ne sono felice. Lei dice che la chiesa dovrebbe tirare le somme dell’impatto razionale che ha il suo magistero, di cui la campagna laica sull’aborto sarebbe una significativa conseguenza o una rivelatrice testimonianza d’accompagno. E che dovrebbe farlo rivedendo la sua dottrina contraria alle pratiche anticoncezionali.

A questo punto dovremmo trovarci in teoria d’accordo: se la base è razionale, viva la faccia dell’argomento dimostrativo il quale afferma che per scongiurare l’aborto moralmente indifferente occorre assecondare la propensione a fare l’amore con il profilattico o impillolandosi il giorno prima e il giorno dopo. Invece, come lei sa, non siamo affatto d’accordo.

Io sono contrario alla stupida bandiera ideologica del profilattico (contrario, non legalmente abolizionista), che pure considero un male minore rispetto all’aborto come pratica contraccettiva, e lo sono per le stesse ragioni per cui credo che, fatta salva la tutela delle donne dalla minaccia dell’aborto clandestino, occorre rovesciare la mentalità e il diritto contemporanei e bandire la pratica dell’aborto dai nostri principi e dalle nostre povere coscienze.

Forse, in nome del minor danno, in futuro la chiesa dirà di sì alla sua richiesta, ma anche in quel caso mi riserverei il diritto razionale di pensare e di dire che l’amore contraccettivo è la sanzione dell’irresponsabilità personale, il fallimento della compiutezza e significatività dell’amore, un cedimento irrazionale a un’identità umana amputata del suo senso del bene.

Non perché il seme maschile non deve essere disperso, argomento di un positivismo povero, che infatti in modo grottesco minacciava cecità in conseguenza della masturbazione, bensì per altre ragioni, tipicamente inerenti al senso unitivo e di reciprocità dell’atto d’amore.

Può essere che in questo la mia razionalità sia troppo severa, e molto fuori del tempo, anzi è certamente così. Ma è nondimeno razionalità, è rifiuto dell’animalesco e del naturalistico che è penetrato nella cultura moderna. È rifiuto dell’idea corriva che tutto sia possibile al mondo, tranne la continenza quando non si sia disponibili a fare l’amore conoscendo il senso dell’amore, cioè il rischio e la libertà di generare figli in un atto d’unione che ha anche l’alto e nobile orizzonte del piacere, ma non se programmaticamente separato da questo rischio liberamente e consapevolmente ingaggiato.

Un grande comico televisivo ha liberato l’umanità vogliosa che è in noi dal proprio limite, leggendo Dante e Agostino come gli è piaciuto; e citando l’Agostino peccatore ha chiesto la continenza, “ma non ora”.

Le sembrerà aridità razionale, lontananza da future possibili scelte del magistero o della dottrina sociale della chiesa, incapacità di un laico di rispondere alle sfide della modernità come dovrebbe fare la chiesa del Vaticano II, ma io non cambierò mai questa mia idea di ragione, fondata sulla sola ragione. Faccio l’amore, ora, e allora so di rischiare, so di essere nudo e non vestito di gomma. Non voglio rischiare, e allora prego che mi sia data la continenza: ora.

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